BARRY SELDES Leonard Bernstein VITA POLITICA DI UN MUSICISTA AMERICANO Traduzione dall’inglese di Francesca Cosi I Indice del volume Un giovane americano Bernstein a Harvard I. Un giovane americano. Bernstein a Harvard II. Gli anni Quaranta. L’ascesa e la lista nera III. Biedermeier americano, 1951-1959 IV. I lunghi anni Sessanta, 1960-1973 V. Le Norton Lectures, 1973 VI. Bernstein prende il largo, 1974-1990 VII. Comprendere Bernstein Epilogo. Un uomo in tempi bui Indici Questo fascicolo riproduce alcune pagine del libro di Barry Seldes con l’intento di presentarne i contenuti; per ragioni di spazio abbiamo scelto di non includere in questo contesto le note che contribuiscono a documentare e precisare le affermazioni dell’autore. Nel 1982, a sessantaquattro anni, Leonard Bernstein inserì nella raccolta Findings alcuni saggi scritti in gioventù che prefiguravano elementi significativi della sua vita adulta e della sua carriera. Il primo, Father’s Books, scritto nel 1935, a diciassette anni, parla del padre e del Talmud. Per tutta la vita, Bernstein fu sempre consapevole di essere ebreo; compose musica su temi ebraici e in vecchiaia si definiva un “rabbino”, un insegnante con la tendenza a trasmettere agli orchestrali conoscenze di alto livello, saggezza e tradizioni culturali. Inoltre, Bernstein giunse ad adottare una voce da profeta del Vecchio Testamento in gran parte della sua musica, comprese la prima sinfonia, Jeremiah, e la terza, Kaddish. Il secondo saggio, The Occult, redatto nel 1938 a vent’anni, per un corso di composizione del primo anno a Harvard, riguardava l’incontro con Dimitri Mitropoulos, che lo indusse a dedicarsi alla direzione d’orchestra. Il terzo, la sua tesi dell’aprile 1939, era di fatto un manifesto programmatico che invocava una musica organica, autoctona, fondata sul ritmo e marcatamente americana, una musica che in seguito sostenne dal podio e realizzò nelle composizioni per il palcoscenico di Broadway, le sale da concerto e i teatri lirici. 3 Barry Seldes Leonard Bernstein. Vita politica di un musicista americano Bernstein profeta del Vecchio Testamento? Il padre di Leonard, Sam, nacque nel 1892 in Russia, in uno shtetl ebraico ultraortodosso. Le sue aspirazioni a una carriera da rabbino andarono in frantumi quando fu richiamato per il servizio militare nel brutale esercito zarista. Sam fuggì negli Stati Uniti nel 1908, fu assunto come assistente pescivendolo presso il Fulton Fish Market di New York e dopo diversi anni finì per diventare un uomo d’affari di grande successo nel campo dei prodotti di bellezza a Lawrence, Massachusetts. A quanto pare Sam, dopo aver rinunciato alla vocazione rabbinica, fu comunque rabbino per hobby. Sua moglie Jennie (Resnick da nubile), nata nel 1898 in Russia, giunse negli Stati Uniti nel 1905 e nel 1912, a quattordici anni, andò a lavorare nei lanifici di Lawrence. Sam e Jenny si sposarono e diedero vita a una famiglia ebraica conservatrice. Secondo il figlio Burton, Sam, di giorno uomo d’affari, la sera era una «figura dell’Antico Testamento» che presiedeva alla vita familiare con una «presenza dominante, onnisciente». Era un profeta al tavolo da pranzo intorno al quale sedevano Louis, in seguito chiamato Leonard, nato il 25 agosto 1918, Shirley, nata nel 1923, e Burton, nato nel 1932. Sam pontificava su argomenti che spaziavano dalle meditazioni del Talmud alla storia del popolo ebraico dai tempi biblici fino alla penosa situazione sotto il potere nazista in Europa. Nelle famiglie ebraiche dell’epoca, la conversazione toccava anche le condizioni degli ebrei americani e la devozione al presidente Roosevelt, che molti di loro consideravano un baluardo sia contro i fascisti stranieri, sia contro quelli americani del calibro di padre Coughlin (le cui trasmissioni erano viste in tutto il paese), e altri antisemiti. Le speranze di Sam che il primogenito realizzasse i suoi progetti frustrati di diventare rabbino andarono in frantumi quando sua sorella Clara regalò alla famiglia un pianoforte, dando in tal modo il via al destino musicale di Leonard. Questi non solo divenne inseparabile dal pianoforte, ma dimostrò anche, fin dall’inizio, di essere precoce e di provare gioia nel suonare. A quanto pare, Jenny incoraggiò l’applicazione di Leonard al pianoforte; per Sam, al contrario, l’incessante suonare di Leonard era un continuo martellamento che lo faceva andare su tutte le furie. Sembra che, da adolescente, Leonard affrontasse con tranquillità la collera paterna. Presto riuscì a far fruttare la propria musicalità reclutando Shirley e altri ragazzi perché recitassero nelle rappresentazioni teatrali musicali che dirigeva dal pianoforte e che la sua troupe interpretava di fronte a un pubblico adulto nel luogo di villeggiatura sul lago dove le famiglie passavano le vacanze estive. Leonard persuase Sam a pagargli le lezioni di pianoforte e fece rapidi progressi, passando da principiante a musicista completo sotto la direzione di diversi insegnanti, tra cui Helen Coates, che lavorerà poi per lui come segretaria dagli anni Quaranta agli anni Settanta. Bernstein andava ai concerti ed era sempre più assorbito dalla musica; dopo il diploma alla prestigiosa Boston Latin School nel 1935, fu accettato a Harvard come studente di musica. Sam sperava che Leonard, pur non diventando rabbino, avrebbe almeno preso il suo posto nella ditta di famiglia. Ma la musica? Fare musica era un’abilità tenuta in scarsa considerazione dagli ebrei ortodossi dell’Europa orientale, la cui tradizione religiosa non vantava alcun Bach né Telemann né, di fatto, alcuna musica strumentale. In quei paesi, il maestro del coro canta a cappella e, a parte il soffio dello shofar, o corno di ariete, nel giorno sacro del Kippur, la musica non ha spazio alcuno nella sinagoga ortodossa. Se nella cultura yiddish esisteva un posto per la musica strumentale, era riservato all’umile arte della musica klezmer, suonata ai matrimoni e ai bar mitzvah da artisti che mangiavano insieme al personale di cucina e poi uscivano dalla porta di servizio. La scelta professionale di Leonard, dunque, rappresentava per Sam un passo indietro nell’ascesa della famiglia dalle misere condizioni di immigrata: una macchia sul blasone familiare. Tuttavia, Leonard riuscì a fare a modo proprio e nel settembre 1935 entrò nello Harvard Yard, passando così dallo shtetl a cosmopoli. 4 5 I primi anni: una voce profetica Barry Seldes Leonard Bernstein. Vita politica di un musicista americano Quando, nell’autunno del 1935, Bernstein iniziò il semestre del primo anno, le notizie dall’estero facevano riflettere: la violazione del Trattato di Versailles da parte di Hitler con il riarmo della Germania fu affrontata solo con un debole lamento da parte della Francia. Il fascismo di Mussolini aveva ottenuto l’imprimatur della Chiesa cattolica e anche in Austria, Portogallo e Romania il governo era retto da regimi fascisti. Negli Stati Uniti i fascisti, così come molti membri del Partito repubblicano, erano pronti a sostenere la candidatura del generale Douglas MacArthur alla presidenza. Tuttavia, se da un lato il giovane studente di musica si preoccupava per queste gravi notizie, dall’altro trovava nel college motivi di entusiasmo. Harvard appariva pervasa da una nuova musica piena di instabilità ritmica, un’ampia tavolozza di colori strumentali e un cromatismo arrogante che tendeva alla dissonanza e addirittura all’atonalità. Grazie a questi aspetti, tale musica rappresentava un taglio radicale con quella classica e romantica del diciannovesimo secolo. Inoltre, nascevano dibattiti appassionanti all’interno delle due grandi fazioni della nuova musica: i neoclassicisti franco-russi e gli atonalisti tedeschi. I primi, rappresentati da Eric Satie, Maurice Ravel e Igor Stravinsky, sostenevano l’economia, la semplicità, la chiarezza e un senso dell’ironia e della parodia; i secondi, guidati da Arnold Schönberg, Alban Berg e Anton Webern, trovavano nella musica atonale e nel serialismo un modo per aggirare quelle che consideravano le rigidità del tonalismo, considerandoli il mezzo migliore per dare espressione al caos sociale e politico e al crollo psicologico. Tuttavia, quali che fossero le battaglie tra questi due gruppi, i difensori della nuova musica concordavano sul fatto che le tradizioni musicali del diciottesimo e diciannovesimo secolo avessero ben poco da dire sulla metropoli dell’era delle macchine del ventesimo secolo, e sugli effetti cacofonici e caleidoscopici da questa esercitati sui sensi. Non che la nuova guardia intendesse rifiutarsi di onorare i vecchi maestri. A differenza dell’avan- guardia futurista italiana e dei poeti cubisti-futuristi russi che disdegnavano il passato, questi nuovi compositori veneravano i predecessori. Tuttavia, desideravano una musica nuova che esprimesse la realtà del proprio tempo. Questi giovani musicisti americani guardavano con particolare entusiasmo al crescente utilizzo, da parte di Stravinsky, Ernst Krenek, Kurt Weill e Darius Milhaud, di forme jazz per rappresentare alcuni stati emotivi contemporanei, ad esempio la camminata dell’uomo di città, la primitiva ferocia dionisiaca, l’erotismo sporco e cupo e la sensualità seduttrice, il brivido di terrore, la sensazione di ironia, sarcasmo e cinismo oscuri, incombenti o lascivi, il turbinio dell’ebbrezza, dello stordimento o del delirio da ubriaco. Tutte queste condizioni erano cancellate da quel senso di sicurezza, affermazione e trionfo che veniva trasmesso agli spettatori delle sale da concerto dall’equilibrata tonalità e dalle solide consonanze e cadenze dei repertori classici e romantici del diciottesimo e diciannovesimo secolo. La nuova musica aveva sedi importanti a Harvard e a Boston. Il modernista americano Walter Piston presiedeva la facoltà di musica di Harvard e, in città, l’emigrato russo Serge Koussevitzky dirigeva regolarmente la Boston Symphony Orchestra nelle esecuzioni di opere moderniste francesi, russe e americane. Bernstein avrebbe incontrato Koussevitzky nel 1940, con effetti importantissimi sulla propria carriera; tuttavia il primo incontro decisivo con un grande mentore musicale fu con un altro esponente del modernismo, il direttore d’orchestra Dimitri Mitropoulos. Nel gennaio del 1937 Bernstein assistette a un concerto di Mitropoulos a Boston e rimase incantato dall’espressivo stile di direzione del maestro. Grazie a un colpo di fortuna, Bernstein fu invitato dalla Harvard Greek Society a suonare il pianoforte a un evento in onore di Mitropoulos e, dandosi da fare, riuscì a procurarsi un incontro privato con il direttore d’orchestra, durante il quale pare sia rimasto impresso all’anziano musicista. Un anno più tardi, nel febbraio 1938, Bernstein narrò questa conoscenza casuale nel resoconto romanzato del 6 7 Bernstein a Harvard: Mitropoulos Barry Seldes Leonard Bernstein. Vita politica di un musicista americano loro incontro, The Occult. Il saggio raggiunge il culmine della sensualità gastronomico-erotica quando il maestro depone, con la propria forchetta, un’ostrica nella bocca dell’estasiato protégé. Incontrando il giovane a un concerto, immediatamente dopo i fragorosi applausi del pubblico, il maestro esorta l’allievo a realizzare il proprio destino, la propria «missione»: comporre. Tuttavia, in una performance di Mitropoulos, mentre Bernstein osservava quelle che il biografo di Mitropoulos chiama «estasi coreografiche», «pura fisicità» ed «esperienza sessuale tra il direttore e l’orchestra» accadde qualcos’altro. Bernstein scoprì il suo secondo destino: dirigere. Dal 1935 al 1939, il suo periodo a Harvard, il principale mentore di Bernstein fu un professore di estetica, David Prall. Bernstein incontrò Prall nel 1936 e venne introdotto nella cerchia dei suoi laureati, che comprendeva il compositore Arthur Berger, il pittore Robert Motherwell e il poeta e saggista Delmore Schwartz. Prall aveva un’enorme influenza su questi uomini, artisti creativi che si sentivano lontani dalla comunità accademica di Harvard, di orientamento analitico. In quegli anni la vita universitaria era pesantemente polarizzata verso il positivismo, verso i fatti verificabili attraverso i canoni del metodo scientifico, e verso una critica che indagava le cause e analizzava le strutture. Perfino i professori di estetica abbracciavano questa corrente, soffermandosi non sulla bellezza, ma sul “concetto” di bellezza, e affrontando le opere con un distacco clinico, sminuendo al tempo stesso l’“esperienza” dell’opera. Non sorprende che i giovani artisti finissero per sentirsi insicuri, frustrati e repressi. La caratteristica di Prall che più li attraeva era la sua critica ai modelli positivisti di bellezza e di studio decretati ufficialmente, e la sua opposta attribuzione di valore all’esperienza e alla sensazione. Il campo dell’estetica, soste- neva, non era un sancta sanctorum intellettuale riservato agli specialisti. Al contrario, le persone esperiscono gli elementi della natura e le opere realizzate dall’uomo, comprese le opere d’arte, come “superfici estetiche”. La comprensione del significato di un’opera d’arte aumenta quanto più ci si impegna a comprenderne gli aspetti sensuali (i colori, le masse, le figure e le forme di un dipinto, le melodie, i temi, i ritmi e la combinazione di timbri di un’opera musicale) e quelli spazio-temporali (nella pittura, la relazione spaziale tra i colori su una tela; nella musica, le relazioni tra tonalità strutturate in scale maggiori o minori e disegni cromatici). Secondo Prall, la conoscenza e la sensazione non si escludono vicendevolmente. Al contrario, l’ascoltatore (o spettatore) acquisisce una sorta di conoscenza quando intuisce o percepisce la “superficie estetica” di un’opera d’arte. Prall affermava dunque che la forma, la sola a essere considerata dalla comunità accademica, e la sensazione, così a lungo trascurata, hanno entrambe valore; si tratta di due modalità con cui un’opera viene alla luce ed è esperita. Promuovendo questo punto di vista, di fatto Prall conferiva dignità alla sensazione e legittimava l’innovazione. Prall sosteneva inoltre la necessità di studiare un’opera d’arte nel suo contesto. Anni dopo la sua permanenza a Harvard, Bernstein dichiarò legittima la pretesa di Prall che gli studenti studiassero un’opera da una varietà di punti di vista disciplinari e filosofici. È probabile che abbia preso a cuore anche l’apparente insistenza di Prall sul fatto che la musica tonale sia naturale, se non altro per come è enunciata nel suo libro del 1936, Aesthetic Analysis. Prall sostenne inoltre che l’artista ha la vocazione sociale a produrre opere d’arte che vivifichino osservatori e ascoltatori grazie allo spirito del loro tempo; l’opera d’arte unisce dunque creatore e pubblico in una comunità significativa dal punto di vista sociale e politico. Bernstein arrivò a sostenere la medesima opinione; di fatto, questa idea divenne uno dei fondamenti della sua visione, e trovò espressione nelle sue composizioni, nel suo repertorio, nella sua filosofia estetica e sociale e nel suo impegno politico. 8 9 David Prall Barry Seldes Leonard Bernstein. Vita politica di un musicista americano Un giorno, nel 1936, Arthur Berger pensò di presentare al brillante e giovane collega le Piano Variations di Aaron Copland del 1930. Opera di estrema austerità, spesso stridente e discordante, permeata di un’atmosfera cupa se non addirittura opprimente, lontana anni luce dal lirismo di Liszt o di Brahms, le Variations erano diventate l’inno dei giovani modernisti americani. Bernstein fu enormemente colpito dal pezzo e ne parlò subito a Prall. Quest’ultimo, che dalla reazione euforica di Leonard doveva aver percepito che le Piano Variations erano rappresentative del nuovo spirito dilagante nella musica americana, volle a tutti i costi comprare lo spartito per Bernstein e studiarlo insieme a lui. Bernstein padroneggiò rapidamente il pezzo di Copland e lo imparò a memoria. Poi, una sera di novembre del 1937, Bernstein si recò a New York per un concerto e si ritrovò seduto accanto a Copland: l’eternamente socievole Leonard attaccò subito discorso. Copland fu preso dalla verve del giovane e lo invitò a una festa nel suo studio, dove Bernstein si vantò di fronte a uno scettico Copland e agli ospiti riuniti, fra cui Virgil Thomson e Paul Bowles, di conoscere le Piano Variations a memoria. Sfidato da Copland a suonare il pezzo, lo eseguì, annunciando in tal modo il proprio arrivo sulla scena musicale modernista di New York. Dunque, a diciannove anni, studente del secondo anno, Bernstein si sentiva ancora a proprio agio nel vecchio mondo ebraico di Sam, ma anche nella cerchia di Prall a Harvard e tra le figure centrali del mondo artistico newyorchese che gravitavano intorno a Copland. Muoversi nei circoli di Copland non solo portò Bernstein da Boston a New York, ma lo immerse direttamente anche nell’inebriante crogiolo dell’arte moderna. Copland aveva già un’influenza straordinaria sulla nuova musica americana. Tutti i giovani musicisti degli Stati Uniti riconoscevano in Copland la guida e il coordinatore dei compositori americani. Nato a Brooklyn nel 1900, Copland promuoveva una musica nazionale che si inseriva nel più ampio tentativo di creare una cultura americana spiccatamente modernista. Il movimento aveva fatto la sua comparsa nel primo decennio del secolo, quando il fotografo Alfred Stieglitz aveva esposto nella sua galleria newyorchese opere di Cézanne, Brancusi e diversi pittori e scultori modernisti francesi, e aveva poi ricevuto un enorme impulso dall’Esposizione Internazionale d’Arte Moderna del 1913. Nel 1915 il critico Van Wyck Brooks aveva sostenuto, nel volume America’s Coming of Age, che i tempi erano maturi perché gli americani creassero una propria letteratura, per accantonare l’eredità puritana che aveva costretto l’individuo a scegliere tra culture antagoniste: “intellettuale” contro “incolto”, “teorico” contro “pratico”. Secondo Brooks, tale biforcazione culturale aveva allontanato l’uomo di pensiero dalla cultura di massa, dominata dai valori di uomini d’affari, scienziati e ingegneri, e colpevole di filisteismo, in quanto sminuiva le espressioni elevate dell’animo umano. Non esisteva alcun terreno comune che collegasse l’individuo alla vita attiva, palpitante e “organica” dei suoi concittadini. I nuovi moderni avevano dunque bisogno di (e desideravano) una cultura nuova, unificata, “organica”, modellata su radici americane e tesa a formare un’identità nazionale. Ispirati da modelli del calibro di Walt Whitman, tutti i “giovani americani” – membri dell’ondata riformista della metà del diciannovesimo secolo – potevano trovare la propria voce autentica e il proprio posto all’interno di questa nuova e vibrante cultura americana. Whitman, con la sua poetica autoctona, aveva indicato la strada per l’“inclusività”. Celebrava la vitalità dell’individuo e della collettività a cui l’individuo apparteneva, una moltitudine pluralistica e democratica che costruiva una democrazia vitale, carica di erotismo. Una “giovane America” nuova e moderna poteva ora mettersi alla ricerca di ciò che Brooks, nel 1918, aveva definito un «passato fruibile» – esperienze e modalità espressive a lungo dimenticate o sommerse sotto il discorso ufficiale – per creare una nuova cultura nazionale. 10 11 Copland e il modernismo americano Barry Seldes Leonard Bernstein. Vita politica di un musicista americano Questo appello non era in alcun modo rivolto alla creazione di un provincialismo americano. Nei decenni successivi, i membri dei circoli modernisti, tra cui i critici Lewis Mumford, Waldo Frank e Paul Rosenfeld, Eugene O’Neill e Harold Clurman, si resero conto di come questa ondata culturale fosse un’esplorazione dei temi americani all’interno dei diversi stili modernisti internazionali. Molte opere nuove e appassionanti, come The Hairy Ape (Lo scimmione) di O’Neill (1922), The Adding Machine di Elmer Rice (1923) e Four Saints in Three Acts di Virgil Thomson e Gertrude Stein (1927) utilizzavano tecniche moderniste per dare espressione ad aspetti estremamente intensi e toccanti della vita contemporanea, non ultimi quelli estranianti e tragici trascurati dall’ottimismo affaristico (rappresentato nel romanzo satirico di Sinclair Lewis del 1922, Babbitt) che dominava la discussione pubblica in America. Copland si era arruolato presto nel movimento modernista. Era andato a Parigi nei primi anni Venti per studiare con la celebre Nadia Boulanger, ed era tornato a comporre musica integrando il modernismo francese e russo con lo stile del jazz americano, esemplificato al meglio nel suo Concerto per pianoforte e orchestra del 1926. In men che non si dica, i membri della cerchia di Brooks avevano compreso che Copland costituiva il modello del giovane artista americano. Nel 1929 Rosenfeld vide in Copland il musicista della nuova era, autore di una musica che invitava l’ascoltatore a fondersi con «il flusso delle metalliche, moderne cose americane». A metà degli anni Trenta, i fautori del nuovo modernismo americano cominciarono a unirsi al Fronte Popolare: un patto fra Liberali, Progressisti, Socialisti e Comunisti per opporsi al fascismo. Nel novembre 1936, durante il secondo anno di Bernstein a Harvard, il Fronte Popolare americano stava guadagnando slancio, perché milioni di lavoratori erano entrati nei nuovi sindacati industriali che si erano formati con il sostegno dell’amministrazione Roosevelt. Questo nuovo clima si era manifestato per la prima volta nel 1933, quando la first lady Eleanor Roosevelt e i suoi collaboratori iniziarono a documentare i sacrifici affrontati da innumerevoli americani, molti dei quali avevano vissuto vite di silenziosa disperazione per anni, se non per decenni, prima della crisi del 1929 e della conseguente depressione. Un simile impegno dimostrava che i Roosevelt intendevano prendere provvedimenti. Il Segretario di Stato Harold Ickes, uno degli eroi di Bernstein, creò la Public Works Administration (Ente per i lavori pubblici), mentre un collaboratore di Roosevelt, Harry Hopkins, istituì la Federal Emergency Relief Administration (Ente per l’assistenza sociale) e la Work Progress Administration (altro importante Ente per i lavori pubblici), programmi che miravano non solo a far riassumere milioni di persone, ma anche a modernizzare le città e le periferie americane. Thomas Hart Benton, incaricato da finanziatori istituzionali e aziendali e, nel 1934, dal Federal Arts Project (Programma di sostegno alle arti visive), dipinse murales sulle pareti interne di alcuni edifici pubblici rappresentando la visione produttivista del lavoro nobile e dignitoso. Ispirata dalla nuova arte, emerse anche una nuova corrente politica i cui elettori comprendevano operai e persone perlopiù delle aeree urbane e appartenenti a minoranze etniche. Molti di questi erano naturalizzati da poco o erano americani di prima generazione che votavano per la prima volta; molti di essi aderirono agli scioperi, diventando membri politicamente consapevoli di un movimento di massa e ingrossando le fila del Partito democratico. A loro volta ispirarono progressisti come John Dewey a spingere l’amministrazione del New Deal a ripensare profondamente i rapporti tra il governo democratico e l’economia, chiedendo al governo di assumere un ruolo più forte nel regolare il potere, altrimenti incontrollato, dell’industria e della finanza americane che aveva provocato la Grande depressione. L’impulso riformista stava trasformando conoscenze e forme espressive nell’intero panorama culturale. Gli studiosi di scienze sociali e i ricercatori, governativi e non, raccoglievano informazioni per comprendere il funzionamento della vita americana. Altri scoprivano e cercavano 12 13 Barry Seldes Leonard Bernstein. Vita politica di un musicista americano di riesumare elementi fino ad allora dimenticati del passato culturale americano, per apportare vitalità alla nuova cultura. Ad esempio, lo storico di Harvard Perry Miller riscoprì la forza morale e il lirismo della cultura puritana americana del diciassettesimo e diciottesimo secolo. Altri scoprirono e registrarono la musica della gente comune. Martha Graham creò la coreografia di una danza moderna e socialmente critica che si allontanava dal balletto tradizionale, non solo nella forma, ma anche nel contenuto, rappresentando casi di cronaca contemporanea in cui i deboli venivano oppressi dai più forti. La trilogia americana di John Dos Passos (1930-36) utilizzava un’impaginazione e una veste tipografica nuove, incorporava forme letterarie dell’Ulisse di James Joyce e impiegava gli effetti di montaggio realizzati nella cinematografia al fine di creare un’epica panoramica dell’America che mostrava come i volgari valori del profitto si insinuassero in ogni angolo politico e sociale della vita nazionale. La sensibilità progressista era evidente anche nella pièce Winterset (1934) di James Maxwell Anderson, di grande successo a Broadway, una tragedia in versi che narrava di un immaginario figlio di Sacco o Vanzetti. Un anno dopo, la produzione da parte del Group Theater del manifesto sindacalista di Clifford Odets, Waiting for Lefty (Aspettando Lefty), registrò il tutto esaurito per mesi. Molti tra le fila del pubblico di Broadway erano iscritti ai nuovi sindacati e alle nuove organizzazioni di sinistra, come l’International Workers’ Order (Ordine internazionale dei lavoratori), l’Associated Workers Club (Circolo dei lavoratori associati), l’American League against War and Fascism (Lega americana contro la guerra e il fascismo) e l’American Music League (Lega musicale americana). Erano interessati alla nuova musica impegnata? Nella primavera del 1936, mentre Roosevelt si preparava alle elezioni di novembre, il compositore Marc Blitzstein pensava senz’altro di sì. «Il pubblico assalta i cancelli», scrisse su «Modern Music», «una grande massa di persone» sta per «entrare finalmente nel campo della musica seria». John Houseman scrisse: «Il cinquanta per cento del nostro pubblico veniva da gruppi teatrali organizzati, per lo più di sinistra, era pieno di pregiudizi e poco istruito, ma giovane e generoso e desideroso di partecipare all’eccitazione che solo il palcoscenico sembrava offrire in questi tempi incerti. Ecco chi erano gli spettatori: in quello stesso mese, molti di loro avevano partecipato ai sit in di protesta dei lavoratori della wpa». Il celebre grido: «Sciopero!» alla fine dell’opera Aspettando Lefty di Odets cercava di spronare gli spettatori ad agire nel proprio posto di lavoro. Lo stesso Copland si era spostato su posizioni politiche radicali. Sosteneva che anche le Piano Variations, nonostante l’evidente austerità e la forte astrazione modernista, cercavano di esprimere la «tragica realtà» non solo «al centro della nostra esistenza», ma anche «dei nostri tempi». Il brano sinfonico Militant del 1935 (primo dei suoi Statements) era una chiamata progressista alle armi. Nel 1937 scrisse una canzone in occasione della Festa dei lavoratori per la rivista di estrema sinistra «New Masses». Nel 1938, nel tentativo di comporre una musica più accessibile alle masse e di sostenere il Fronte Popolare, il lavoro di Copland entrò in una fase popolar-elegiaca, in cui l’opera Billy the Kid, commissionata da Agnes de Mille, fu la prima di una serie di nostalgiche musiche della prateria o, come le chiamava lui, “cowboy music” (in realtà, la svolta di Copland verso le opere popolar-elegiache era iniziata con El salón México del 1936. Durante un viaggio in Messico, Copland aveva incontrato il compositore Carlos Chávez, che cercava di integrare i temi folcloristici locali nello stile modernista). Copland non era certamente solo nella lotta per la creazione di uno stile specificamente americano. Edward Burlingame Hill, uno dei professori di Bernstein a Harvard, compositore di jazz e opere da concerto, «incoraggiava i propri studenti a fare ricerca sulla musica autoctona del paese – musica popolare, gospel – come possibile fonte di materiale per opere da concerto autenticamente americane». Anche Marc Blitzstein, Charles Ives e Carl Ruggles davano voce al tumulto e alle sofferenze della vita americana di tutti i giorni. Roy Harris aveva composto musica che rappresentava sia le 14 15 Barry Seldes praterie aperte sia il «Weltschmerz urbano», come lo definiva Copland. Roger Sessions, nonostante il suo universalismo, reclamava esplicitamente una nuova opera americana che riflettesse il presente, «definito così marcatamente da precise forze sociali e storiche» e con «temi drammatici […] sufficientemente reali e sufficientemente importanti sia per il compositore sia per il pubblico». In breve, verso la fine degli anni Trenta, l’iniziale appello in favore di un’arte nazionale si era trasformato in un invito agli artisti americani a forgiare una cultura nuova, vigorosa, politicamente significativa. Bernstein accolse quell’invito e dedicò la propria carriera alla promozione di questa nuova musica americana modernista e impegnata nei confronti della comunità. Titolo originale: Leonard Bernstein. The Political Life of an American Musician ©2009 The Regents of the University of California. Library of Congress Cataloging in Publication Datas In copertina: Leonard Bernstein Foto di Joe McNelly/Getty Images ©2011 per l’edizione italiana EDT srl ISBN 978-88-6040-636-1 16