Leonard Bernstein
Scritto da Francesca Piroi
“Voglio trasmettere tutto ciò che so della musica e ciò che provo. Voglio destare nel pubblico la
sensibilità e la coscienza, ma anche portarlo a comprendere la musica”. Leonard Bernstein
nasce nel 1918 a Lawrence, Massachussetts. Ad Harvard è allievo di Arthur Tillman Merritt e
Walter Piston per teoria musicale e contrappunto, al Curtis Institute of Music studia con Fritz
Reiner direzione d’orchestra e con Randall Thompson orchestrazione, e al Berkshire Music
Center studia composizione musicale con Serge Koussevitzky.
Nel 1943 debutta a New York come sostituto di Bruno Walter, e da questo momento in poi
prende il via una decennale carriera che lo vede protagonista in molte orchestre, negli Stati
Uniti, in Europa, Israele, svolgendo una più che intensa attività concertistica in centri culturali di
riferimento mondiale.
Parallelamente all’attività di direttore d’orchestra però, Bernstein portò avanti diverse altre
passioni e iniziative: si interessò alla sensibilizzazione dei giovani ascoltatori attraverso diversi
programmi televisivi, compose diverse opere (“West Side Story”, “Jeremiah Symphony”,
“Songfest” …), pubblicò una raccolta di conferenze. La sua attività di compositore fu
particolarmente significativa nel percorso di creazione di un genere teatrale tipicamente
americano.
Definito “l’artista rinascimentale trovatosi a vivere nel XX secolo”, nella composizione lo
distinsero la spontaneità, la stravaganza, l’impetuosità delle passioni. Come direttore si distaccò
parecchio dai suoi contemporanei: andò contro al realismo o perfezionismo con cui i direttori
americani si distaccavano dal soggettivismo romantico europeo, per concentrarsi totalmente sul
significato della musica, e non sul funzionamento “della macchina orchestrale”.
"A parte questo, rimangono naturalmente molte altre cose da dire: per esempio, in che modo
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Leonard Bernstein
Scritto da Francesca Piroi
affronto lo studio di una nuova partitura, o anche di una partitura non nuova, perché, nel vero
senso della parola, ogni partitura è nuova tutte le volte che ci si accinge a studiarla. Così,
quando presi a rileggere la Nona sinfonia di Beethoven per la cinquantesima volta, dissi a me
stesso che le avrei dedicato al massimo un'ora dopo cena, giusto il tempo di dare un'occhiata e
di rinfrescarmi la memoria prima di andare a letto. Ahimè! Dopo mezz'ora, ero ancora a pagina
due. Ed ero ancora alle prese col sacro testo alle due del mattino, e - badi bene [rivolto
all'intervistatrice, N.d.r.]- non certo vicino al Finale! Ero ancora fermo all'Adagio, rapito in mezzo
alle stelle, perché vi stavo trovando un'infinità di cose nuove. Era come se non l'avessi mai vista
prima. Naturalmente, ricordavo tutte le note, come pure tutte le idee, la struttura, perfino il suo
mistero. Ma c'è sempre qualcosa di nuovo da scoprire, e non appena trovi una cosa nuova,
ecco che le altre ti appaiono come sotto una luce diversa, perché la novità altera la relazione
con tutto il resto..."
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