programma di sala - Società del Quartetto di Milano

STAGIONE 2007-2008
DELIRI
E ARMONIE
Settimane
Martedi
4 dicembre 2007
ore 20.30
Sala Verdi
del Conservatorio
La Risonanza
Fabio Bonizzoni direttore
Roberta Invernizzi soprano
7
Consiglieri di turno
Direttore Artistico
Prof. Alberto Conti
Avv. Marco Janni
Dott.
Con il patrocinio
e il contributo di
Con il contributo di
Con il patrocinio
e il contributo di
Con il contributo di
Sponsor istituzionali
Sponsor “Settimane Bach”
Con la partecipazione di
Per assicurare agli artisti la migliore accoglienza e concentrazione
e al pubblico il clima più favorevole all’ascolto, si prega di:
• spegnere i telefoni cellulari e altri apparecchi con dispositivi acustici;
• limitare qualsiasi rumore, anche involontario (fruscio di programmi, tosse ...);
• non lasciare la sala prima del congedo dell’artista.
Si ricorda inoltre che registrazioni e fotografie non sono consentite, e che
l’ingresso in sala a concerto iniziato è possibile solo durante gli applausi, salvo
eccezioni consentite dagli artisti.
La Risonanza
Fabio Bonizzoni direttore
Roberta Invernizzi soprano
Georg Friederich Händel
(Halle 1685 – Londra 1759)
Le Cantate per il cardinale Ottoboni (1707)
Ero e Leandro (Qual ti riveggio, oh Dio) HWV 150
Cantata per soprano, 2 oboi, archi e basso continuo
Clori, mia bella Clori HWV 92
Cantata per soprano, archi e basso continuo
Intervallo
Ah!, crudel nel pianto mio HWV 78
Cantata per soprano, 2 oboi, archi e basso continuo
In collaborazione con Fondazione Arcadia
Le Settimane Bach sono sostenute dal Comune di Milano
Il cardinale Pietro Ottoboni, vissuto tra il 1689 e il 1740, incarna nella maniera
più emblematica gl’ideali di palingenesi estetica e culturale delle Arti
propugnata dall’Arcadia romana a cavallo del Settecento. Uno dei più grandi
mecenati e connaisseurs di un secolo pur gremito di persone di gusto, Ottoboni
era nato a Venezia e fu nominato cardinale a soli diciassette anni dallo zio, il papa
Alessandro VIII. Nell’elenco degli artisti protetti dal Cardinale si trovano le
figure più importanti della musica romana a cavallo del secolo, Arcangelo Corelli
e Alessandro Scarlatti, oltre a un significativo gruppo di pittori come Francesco
Trevisani e Pier Leone Ghezzi, architetti come Filippo Juvarra e poeti come
Alessandro Guidi. In sostanza si vede radunata, attorno al suo patronato, la
schiera dei “pastori” che diedero vita, grazie all’impulso intellettuale dell’abate
napoletano Vincenzo Gravina, al fenomeno dell’Arcadia. La statura morale di
Ottoboni, peraltro, non era così alta quanto il suo mecenatismo, se si tenesse
conto del ritratto del Cardinale schizzato da Charles De Brosses nelle sue lettere
dall’Italia, pubblicate con il titolo L’Italie il y a cent ans: «…privo di morale, privo
di reputazione, debosciato, decadente, amante delle arti, e buon musicista».
Georg Friederich Händel giunse in Italia nel 1706, probabilmente su invito di
Gian Gastone de’ Medici, figlio del granduca Cosimo III. L’ambiente musicale
fiorentino era molto rinomato all’epoca, soprattutto per merito del fratello maggiore di Gian Gastone, Ferdinando, buon cantante e appassionato suonatore di
strumenti a tastiera. Al suo patrocinio si deve, per esempio, la costruzione del
primo pianoforte di Bartolomeo de’ Cristofori. La corte fiorentina manteneva da
tempo stretti rapporti musicali con i principali mecenati romani, come i cardinali Pamphili, Colonna e Ottoboni e il marchese Ruspoli, con reciproco scambio di
musiche e di artisti. Händel si trovò di conseguenza ben presto in contatto con
questi grandi signori, che manifestarono interesse per la sua musica e ammirazione per le sue qualità d’interprete. La musica vocale costituiva uno dei mezzi
espressivi prediletti dal gusto dell’Arcadia, sebbene fino al 1706 nessun compositore figurasse tra coloro “ammessi alla medesima destinazione dei luoghi”
degli Arcadi sottoscrittori, ovvero fosse accolto nell’accademia a pieno titolo. Il
canto e la musica strumentale costituivano un elemento imprescindibile dei riti
accademici. Le leggi di Arcadia, infatti, prevedevano che “il Vicecustode commetta [ai musici del Coro] un componimento di riguardo di canto col quale
cominci la Ragunanza e una sinfonia col quale si termini”.
Händel si trovò dunque proiettato in un ambiente culturalmente molto articolato e imbevuto di sottili cautele diplomatiche come quello della Curia, dominata
dal gusto dei grandi cantanti. Il castrato Andrea Adami, dal 1700 al 1714 maestro della Cappella Sistina, era il “favoritissimo” del cardinale Ottoboni, con ogni
probabilità non solo nell’ambito della musica. Secondo il primo biografo settecentesco di Händel, John Mainwaring, il musicista avrebbe composto ben 150
cantate nel corso dei suoi due soggiorni a Roma, tra il 1707 e il 1709, oltre a un
cospicuo numero di sonate e altre opere strumentali. L’enorme produzione e
l’ammirazione per la sua musica risvegliata da questi lavori indussero il cardinal
Pamphili a scrivere il testo per la cantata Hendel, non può mia musa, nella
quale compare per la prima volta la metafora di Händel come moderno Orfeo,
un paragone ripreso più volte nel corso della vita del musicista.
Le cantate di Händel si suddividono principalmente in tre gruppi: le cantate
drammatiche, con due o tre personaggi; le cantate per una sola voce con l’accompagnamento di strumenti; le cantate per una sola voce con accompagnamento
del basso continuo. I tre lavori in programma questa sera appartengono al gruppo delle cantate strumentali scritte a Roma, sebbene Clori, mia bella Clori sia
assegnata a questo periodo sulla base di speculazioni riguardo allo stile e al contesto, mancando d’informazioni sicure circa la sua composizione.
Le notizie sulle cantate sopravvissute sono in generale piuttosto incerte, tranne
in pochi casi, come quello della cantata Ero e Leandro, la sola che possa essere
riferita con certezza all’ambiente del cardinale Ottoboni. Un’iscrizione del 1837
sull’autografo riporta la notizia che la cantata era stata scritta a Roma per
Ottoboni nel 1707. L’unica conferma di un rapporto tra Händel e Ottoboni in quel
periodo consiste in una lettera al principe Ferdinando del suo corrispondente
romano Annibale Merlino, il quale descriveva i concerti tenuti nei palazzi
Colonna e Ottoboni di un arciliutista molto bravo e assai apprezzato anche dal
“famoso Sassone”, ossia Händel. Per quanto riguarda Ah! Crudel, alcuni studiosi, come Ellen T. Harris, propendono per assegnare la cantata al gruppo di quelle associate con il marchese Ruspoli, anziché con il cardinale Ottoboni.
Il testo di Ero e Leandro potrebbe suggerire, sotto l’aspetto di una vicenda
mitologica, un riferimento sotterraneo a un tema cristologico. La storia, raccontata in un antico poemetto dello scrittore alessandrino Museo, narra l’infelice
amore tra il giovane Leandro e la bella Ero, costretta a diventare sacerdotessa
del tempio di Afrodite. Tutte le notti Leandro traversava a nuoto l’Ellesponto
per raggiungere Ero, la quale teneva accesa una fiaccola dall’alto di una torre
per indicare all’amante la direzione. Le Moire, però, invidiose della loro felicità,
una notte scatenarono una tempesta di vento, che spense la fiaccola, facendo
annegare Leandro. La cantata comincia sul funesto epilogo della vicenda. Ero
vede il corpo dilaniato di Leandro sugli scogli. Non potendo sopravvivere a quel
triste spettacolo, si strappa i capelli e li getta in mare, seguendo immediatamente il destino di quel misero emblema della sua bellezza per trovare la medesima
morte dell’amato. La storia si prestava a raffigurare una metafora di tipo religioso. L’anima, sotto forma di Ero, anela a congiungersi con il corpo di Cristo,
ma per raggiungere il suo scopo deve prima rinunciare a ciò che la lega ai pia-
ceri terreni. La lettura in chiave moderna della poesia degli antichi rappresentava una delle aspirazioni principali dell’Arcadia. Il Gravina, anima del movimento, invocava il superamento dei vecchi generi della poesia seicentesca:
«Perché la facoltà poetica che si stende quanto l’istessa universalità delle cose,
e che libera e sciolta trascorre per l’immenso spazio del vero e del verisimile,
spandendo l’ali per tutti i gradi, condizioni, stati, affetti e costumi degli uomini,
ora poggiando al sublime, ora piegandosi all’umile, ora sul mediocre rattenendosi, dalla delicatezza e schivezza di molti è stata legata al solo genere stato sublime». In questa ulteriore figura di donna abbandonata, sebbene non per volontà
dell’amante, come le varie Clori o Armida, Händel esprimeva nelle forme stilistiche nuove della cantata moderna di Scarlatti, basata sul modello dell’aria col
da capo, quella varietà di sentimenti e quella forza drammatica che costituiscono le fondamenta dei grandi personaggi del suo teatro.
I personaggi femminili delle cantate esprimono in genere il loro sentimento
immediato, con una partecipazione emotiva che a volte mette in discussione persino l’equilibrio della forma musicale. Il dramma scaturisce direttamente dalla
viva voce della protagonista. Lucrezia, stuprata, grida vendetta, mentre si toglie
la vita. Agrippina attende con angoscia l’arrivo dei sicari, prima di morire per
ordine del figlio Nerone. Ero scopre con orrore il cadavere di Leandro e decide
di suicidarsi. Diverso è il caso dei lavori concepiti per essere cantati da personaggi maschili. Naturalmente, secondo l’uso del tempo, Händel scriveva nel
registro acuto anche la parte dei ruoli maschili, interpretati di solito da sopranisti castrati. Gli uomini, nelle cantate di Händel, tendono a filtrare il carattere
soggettivo della loro espressione tramite una maggiore distanza emotiva, sotto
forma di struttura narrativa o di riflessione lirica. Sia Clori, mia bella Clori, sia
Ah, crudel mostrano questo particolare carattere. Il pastore innamorato di
Clori, un nome di maniera nella poesia pastorale, rimane senza identità, benché
la cantata esprima probabilmente un particolare momento del triangolo amoroso tra la pastorella e i suoi spasimanti Tirsi e Fileno descritto da Händel in altri
lavori del genere, in particolare nella cantata Cor fedel. Il suo struggimento per
la lontananza della donna amata rappresenta un esercizio di stile poetico, così
come lo sono i morsi della gelosia.
Nelle cantate, in maniera analoga alle opere, i recitativi accompagnati da strumenti costituiscono dei momenti di particolare intensità espressiva. I personaggi femminili vengono spesso arricchiti con questo genere di accompagnamento,
grazie al carattere veemente della loro espressione. Nelle cantate destinate a
ruoli maschili, invece, i recitativi accompagnati sono molto più rari. In genere i
momenti di maggior forza espressiva, in queste cantate, sono riservati a episodi legati alla descrizione della natura, che rappresenta nella maggior parte dei
casi una metafora dello stato emotivo del personaggio. Ah! Crudel, per esempio,
raggiunge il culmine dell’espressione drammatica nella raffigurazione di un
temporale, dal momento in cui iniziano i lampi a quello nel quale ritorna la quiete. Nella scena del temporale, sottolineata da Händel con un efficace recitativo
accompagnato, il personaggio esprime, in maniera trasfigurata, la speranza che
il suo dolore possa tramutarsi in gioia.
Le cantate del periodo italiano, sia quelle strumentali, sia quelle accompagnate
dal basso continuo, costituiscono un momento rilevante del percorso creativo di
Händel. A contatto con i grandi esponenti della scuola romana, come Corelli,
Scarlatti e Pasquini, il musicista sassone imparò a comprendere le novità dello
stile italiano, non solo per quanto riguardava la dimensione del canto e dell’espressione drammatica, ma anche nell’ambito delle forme strumentali. La sua
musica ebbe il merito d’inglobare i molteplici stimoli della sua esperienza italiana all’interno di un mondo poetico già fortemente unitario, dando vita a un linguaggio drammatico esplosivo, che nel giro dei due decenni successivi fu in
grado di trasformare profondamente il carattere dell’opera seria tradizionale.
Oreste Bossini
G.F. Händel
Ero e Leandro (Qual ti riveggio, oh Dio) HWV 150
Recitativo
Qual ti riveggio, oh Dio!
Ahi, vista che m’uccide!
Così vieni a bearmi, idolo mio?
È pur questo, occhi miei, Leandro?
Ahi lasso! Leandro il mio conforto,
ecco su queste arene esangue e morto.
Aria
Empio mare, onde crudeli,
giusto è ben ch’io mi quereli
della vostra crudeltà.
Sei pur morto, o caro, ed io
veggio ancor, Leandro mio,
viva in te la fedeltà.
Recitativo
Amor che, ascoso ne’ suoi vaghi lumi,
da così dolce loco porgevi esca al mio fuoco,
ove fuggisti allor che tempo e morte
tessero insidie al caro idolo mio?
Ahi tempo! Ahi morte! Ahi crudo amore, oh Dio.
Aria
Se la morte non vorrà
meco usar la crudeltà
che già teco praticò,
pria del tempo, idolo amato,
pria del tempo a te verrò.
Che se morte a me s’asconde,
di trovarla in mezzo all’onde
la tua fé già m’insegnò.
Recitativo
Questi dalla mia fronte a forza svelti
biondi crini che lacci furon al cuor di Leandro,
e gli ornamenti, rinforzo un tempo,
ora gravosi impacci di mia beltà,
prendili, o mar: tu chiudi nel profondo dell’acque
questi tesori miei; indi la salma attendi di colei
che più di questi al bel Leandro piacque.
Aria
Si muora, si muora;
come son viva ancora,
in tanto e rio martir?
Alma, non troverai
cagion più bella mai,
più propria per morir.
Recitativo
Ecco, gelide labbra, pegni della mia fe’ gli ultimi baci,
dolce nido d’amor, pupille amate, quanto mi duol che chiusi
rimirar non possiate l’ultimo sforzo d’un fedele amore.
Sì, disse, e fiera in mar precipitosse,
ove trovò la giovinetta ardita morte ad altri noiosa, a lei gradita.
Clori, mia bella Clori HWV 92
Recitativo
Clori, mia bella Clori, lungi da te,
che sei dolce d’ogni mia ben cagione amata,
quest’alma sventurata, come viver potrà?
Se sol da quelle luci del volto tuo, serene e belle,
prende il misero cor grato alimento, come lungi starò,
senza che mi dia morte il mio tormento?
Aria
Chiari lumi, voi che siete
il mio fato, rispondete,
senza voi viver potrò?
Voi ch’il duol mio non gradite,
già pietosi un sì mi dite,
ma il mio cor teme di no.
Recitativo
Temo, ma pure io spero, bella, di non morir,
che quello stesso pensier che mi tormenta
mi dice ancor: Se il bel sembiante impresso porti
della tua Clori in mezzo al petto,
l’alta virtù del tuo costante affetto,
ovunque il piè s’aggiri, farà che quella in ogni oggetto miri.
Aria
Ne’ gigli e nelle rose,
cara, le tue vezzose
sembianze io mirerò.
Nel sole e nelle stelle
delle tue luci belle
l’imago adorerò.
Recitativo
Non è però che non molesta e grave,
lontananza sì dura abbia l’alma a soffrire,
che quel piacer soave, di cui parte si perde,
perdere non si può senza martire.
Aria
Mie pupille, se tranquille
foste un giorno,
or v’invito a lacrimar.
Né sarete mai più liete,
s’io non torno
Clori vaga a rimirar.
Recitativo
Tu, nobil alma, intanto,
s’hai pietà del mio pianto,
figlio insieme d’amore e gelosia,
quella parte che mia è nel tuo sen,
poiché tuo servo io fui,
serba tutta per me, niegala altrui.
Aria
Di gelosia il timore
dice all’amante il core,
che non sarai fedel.
Ond’io, tra gelo e foco,
mi struggo a poco a poco
per mio destin crudel.
Ah!, crudel nel pianto mio HWV 78
Sonata
Aria
Ah!, crudel, nel pianto mio,
ch’è di fé limpido rio,
specchia un dì tuoi vaghi rai.
Nel mirar tante mie doglie
cangerai forse allor voglie,
e d’amar non sdegnerai.
Recitativo
Non sdegnerai d’amar chi t’ama tanto,
e t’ama tanto perché Amor risiede nel tuo volto,
ove pose il mio destino, destino per cui soffro mille sospiri e pene;
ma pene, ma sospiri che si fan gloria del costante core,
scopo alla tua beltà, segno al rigore.
Aria
Di quel bel ch’il ciel ti diede
non men vaga è la mia fede,
che più forte ognor diviene.
Tu m’impiaghi, io fido t’amo,
e del tuo rigor io chiamo
pregio eguale la mia speme.
Recitativo accompagnato
Balena il cielo, e il turbine che passa sopra il gravido solco
l’ancor tenera messe e scuote e atterra.
Ma poi, sereno e vago, squarcia le nubi il sole,
e torna il giorno tutto di raggi adorno;
onde il mesto custode grazie rende alle stelle,
e lieto mira il campo verde e salvo il gregge amato.
Così, del tuo spietato genio che mi tormenta
vedrò cangiar il minaccioso aspetto;
e allor doppio diletto avrò dal vinto tuo fiero rigore
e dal mio tanto mal gradito amore.
Aria
Per trofei di mia costanza
mi fa cenno la speranza
ch’io rimiri i tuoi rigori.
E mi dice: soffri o cor!
che poi felice
saran gioie i tuoi dolori.
ROBERTA INVERNIZZI
Roberta Invernizzi, nata a Milano, ha studiato pianoforte e contrabbasso
prima di dedicarsi al canto sotto la guida di Margaret Hayward. Si è poi specializzata nel repertorio vocale antico diventando una tra le soliste più richieste nel campo della musica barocca.
Ha cantato nei principali teatri italiani, europei e americani sotto la direzione di Nikolaus Harnoncourt, Ton Koopman, Gustav Leonhardt, Andrew
Parrott, Jordi Savall, Christophe Coin, Anner Bylsma, Alan Curtis, Giovanni
Antonini, Fabio Biondi, Antonio Florio, Rinaldo Alessandrini, Ottavio
Dantone e in collaborazione con ensemble quali Concentus Musicus Wien, Il
Giardino Armonico, Cappella della Pietà de’ Turchini, Sonatori de la Gioiosa
Marca, Concerto Italiano, Europa Galante, La Risonanza, Archibudelli e la
RTSI di Lugano. Ha partecipato a numerose produzioni operistiche quali
Dido and Aeneas di Purcell, Rodrigo di Händel, La Senna festeggiante di
Vivaldi, Orfeo di Monteverdi, La Dafne di Marco da Gagliano, La finta cameriera di Gaetano Latilla, Le zite n’galera di Vinci, e La colomba ferita di
Francesco Provenzale. Tra gli impegni recenti la Messa in do minore di
Mozart al Musikverein di Vienna con Harnoncourt, Ottavia nell’Incoronazione
di Poppea a Ferrara, Ravenna e Pavia con Ottavio Dantone, l’incisione in
prima mondiale per la Deutsche Grammophone del Dixit Dominus di Vivaldi,
Partenope di Händel alla Citè de la Musique di Parigi, la Passione secondo
Giovanni a Bologna e Verona con Diego Fasolis, la Senna Festeggiante di
Vivaldi al Lufthansa Festival di Londra con Ivor Bolton.
Insegna canto barocco presso il Centro di Musica Antica Pietà de’ Turchini a
Napoli.
Ha al suo attivo numerose incisioni discografiche che hanno meritato premi
quali Diapason d’Or e Choc de la Musique.
È stata ospite della nostra Società nel 1998, 2000 e 2002 per Musica e poesia a
San Maurizio, nel 2003 per le Settimane Bach, e nel novembre 2006 per il primo
concerto dedicato alle cantate italiane di Händel.
FABIO BONIZZONI
Fabio Bonizzoni, milanese, ha studiato in Olanda al Conservatorio Reale
dell’Aia ottenendo, nella classe di Ton Koopman, il diploma in organo barocco e quello di solista in clavicembalo.
Dopo aver collaborato con alcune delle principali orchestre barocche
(Amsterdam Baroque Orchestra con Ton Koopman, Le Concert des Nations
con Jordi Savall, Europa Galante con Fabio Biondi), si dedica all’attività solistica e alla direzione del suo ensemble La Risonanza. In questa duplice veste
tiene concerti nelle più importanti sale e nei principali festival di musica
antica di tutto il mondo. È inoltre docente di clavicembalo al Conservatorio di
Musica di Trapani, al Conservatorio della Svizzera Italiana di Lugano e al
Conservatorio Reale dell’Aia in Olanda. È presidente dell’Associazione
Händel che promuove studi e ricerche sulla musica di Händel in Italia.
Dopo aver realizzato alcuni dischi come solista, registra ora per la casa discografica spagnola Glossa per la quale ha inciso opere di Giovanni Salvatore,
Giovanni Picchi (“Preis der Deutschen Schallplattenkritik”), Francesco
Geminiani (Premio “ffff ” di Télérama), Bernardo Storace (disco del mese di
Amadeus), Domenico Scarlatti (Premio “Eccezionale” di Scherzo), e recentemente le Variazioni Goldberg di J.S. Bach. Con La Risonanza ha intrapreso la
registrazione di tutte le cantate italiane con strumenti di Händel che si concluderà nel 2009.
Direttore e ensemble sono stati ospiti della nostra Società nel 2003 e 2004 per
Musica e poesia a San Maurizio, e nel novembre 2006 per il primo concerto
dedicato all’esecuzione integrale delle cantate italiane di Händel.
A RISONANZA
LA
Fondata nel 1995 da Fabio Bonizzoni come ensemble vocale e strumentale, La
Risonanza si esibisce sempre più frequentemente come orchestra da camera
che suona su strumenti originali. L’organico varia da tre a quindici musicisti.
Il repertorio è quello della musica italiana e, più in generale, della musica
influenzata dallo stile italiano nel XVII e XVIII secolo con particolare attenzione alla musica con voci soliste. Per programmi di particolare ampiezza
l’ensemble si avvale della collaborazione di formazioni corali di primo piano.
Tra gli ospiti più frequenti dell’ensemble Roberta Invernizzi, Emanuela Galli
e Nuria Rial, il baritono Fulvio Bettini e il mezzosoprano Marina De Liso.
È ospite regolare dei più importanti festival di musica antica (Utrecht,
Bruges, Festival di Cuenca, San Sebastian, Santander, Saint Michel en
Tiérache) e di istituzioni musicali quali Bozar di Bruxelles, Rheingau Musik
Festival di Wiesbaden, Styriarte di Graz e Arsenal di Metz.
In campo discografico la registrazione della Missa non sine quare di Johann
Caspar Kerll ha meritato il premio “CHOC” di “Le monde de la Musique”. Ha
inoltre al suo attivo CD dedicati a Girolamo Frescobaldi, alle Cantate di Luigi
Rossi e ai concerti per organo di Haydn. Dal 2000 incide per la casa spagnola
Glossa con la quale ha realizzato un disco dedicato a Barbara Strozzi ed un
altro con i concerti per organo di Giuseppe Sammartini. Attualmente La
Risonanza è impegnata nella registrazione integrale delle cantate italiane con
strumenti di Händel.
L’ensemble è stato ospite della nostra Società nel novembre 2006 per il primo
concerto dedicato alle cantate italiane di Händel.
Andrea Mion, Elisabeth Baumer oboi
Nick Robinson, Silvia Colli, Elena Telò, Fabio Ravasi, Barbara Altobello,
Claudia Combs violini
Gianni De Rosa viola
Caterina Dell’Agnello, Marco Testori violoncelli
Vanni Moretto contrabbasso
Fabio Bonizzoni clavicembalo
Prossimi concerti:
martedì 11 dicembre 2007, ore 20.30
Sala Verdi del Conservatorio
Gemma Bertagnolli soprano
Antonio Ballista pianoforte
La collaborazione tra Gemma Bertagnolli, una delle voci più versatili del
panorama attuale del canto italiano, e Antonio Ballista, inesauribile miniera
d’idee e di passioni musicali, prosegue con successo da diversi anni,
sempre all’insegna dell’intelligenza e del buon gusto. Per offrire al pubblico
del Quartetto un esempio di quanto possa essere ampia la gamma
espressiva della voce, anche all’interno delle forme musicali più ridotte e di
carattere intimo, i due artisti presentano un confronto tra alcuni dei più
preziosi Lieder di Mozart e le visionarie fantasie del Rossini meno conosciuto
e ormai in ritiro dalla vita teatrale, autore di decine e decine di pagine a uso
privato raccolte sotto il titolo geniale e autoironico di Péchés de Vieillesse.
Programma (Discografia minima)
W.A. Mozart
“Lieder”
(Bertagnolli, Ballista, La Bottega Discantica 163)
G. Rossini
“Mon ami Rossini”
(Bertagnolli, Ballista, La Bottega Discantica 15)
martedì 18 dicembre 2007, ore 19.30
Basilica di San Marco
Academy of Ancient Music
Richard Egarr direttore
Susan Gritton, Wilke te Brummelstroete,
Andrew Tortise, Christopher Purves solisti
Händel - The Messiah HWV 56
Società del Quartetto di Milano
via Durini 24 - 20122 Milano
tel. 02.795.393 – fax 02.7601.4281
www.quartettomilano.it
e-mail: [email protected]