artista: Velvet Underground titolo: the velvet

anno III
numero 30
ottobre 2006
poste italiane spa
spedizione in abbonamento
postale DCB 70% Lecce
artista: Velvet
Underground
titolo: the velvet
underground and nico
anno: 1967
autore: Andy Warhol
artista: Nirvana
titolo: Nevermind
anno: 1991
autore: Kirk Weddle
artista: Roxy music
titolo: Country lifes
anno: 1974
autore: Eric Boman
artista: Sonic Youth
titolo: Goo
anno: 1990
autore: Raymond Pettibon
IMMAGINA LA MUSICA
[
CoolClub.it
Quante volte mi sono perso tra le pieghe del suo viso, tra colori, particolari, sguardi. Lì ho cercato la musica,
quella intorno a me. Come Stendhal a Firenze anch’io un giorno ho sentito il tracollo, l’emozione grande di
sentirmi spettatore e protagonista di un tormento cantato e suonato. Avevo trovato l’aleph, il punto esatto in
cui entrare in quel disco. Ed era quella immagine, quella copertina, il mezzo. A chi crede che la scomparsa del
supporto fisico della musica sia una sua naturale evoluzione dedichiamo questo numero del giornale. Siamo
stati ispirati da un serie di mostre (Siena, Perugia, Barcellona) dedicate all’argomento: il rapporto tra arte (più in
generale immagine) e musica. Cosa lega una copertina a un disco? Quali sono i punti di contatto? Quanto il
contenitore somiglia al contenuto?
Molto è stato scritto sulla storia delle copertine, sul legame tra arte e musica, sulle censure che molti artwork
hanno subito. Per questo numero di Coolclub.it, il trentesimo (registrato senza contare quelli “illegalI”), abbiamo
scelto di farlo a modo nostro. Sicuri di non riuscire a esaurire l’argomento ci siamo lasciati guidare dall’affetto
che ci lega a certi dischi cercando di spiegarlo. Sfogliando le pagine troverete le consuete recensioni (questo
mese abbiamo cercato di recuperare i dischi usciti durante la nostra pausa estiva e di segnalarvi le novità),
l’intervista a David Thomas e ai suoi mitici Pere Ubu, le nostre rubriche sull’editoria e sulle etichette indipendenti.
Abbiamo intervistato anche Emanuele Crialese vincitore del leone d’argento all’ultimo festival del cinema di
Venezia con il film Nuovo mondo, il salentino Antonio Castrignanò, autore della colonna sonora, e tanti altri.
Questo numero, come tutti gli altri del resto, è la nostra ennesima dichiarazione d’amore alla musica, alla
letteratura, al cinema. Questo numero, come quelli che verranno, sono per chi, come noi, non sa rinunciare al
piacere di toccare la musica, di sfogliare le pagine di un libro fresco di stampa, di sedere tra le poltrone di un
cinema con il buio in sala.
Osvaldo
CoolClub.it
Via De Jacobis 42 73100 Lecce
Telefono: 0832303707
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Sito: www.coolclub.it
Anno 3 Numero 30
ottobre 2006
Iscritto al registro della stampa
del tribunale di Lecce il
15.01.2004 al n.844
Direttore responsabile
Osvaldo Piliego
Collettivo redazionale
Dario Goffredo, Pierpaolo Lala,
C. Michele Pierri, Cesare Liaci,
Antonietta Rosato
Hanno collaborato a questo
numero: Giancarlo Susanna,
Anna Puricella, Giuseppe
Scarciglia, Davide Rufini,
Roberto Cesano, Valentina
Cataldo, Dino Amenduni,
Giovanni Ottini, Nicola Pace,
Ilario Galati, Lorenzo Coppola,
Gianpaolo Chiriacò, Livio
Polini, Dario Quarta, Rossano
Astremo, Pasquale Boffoli,
Camillo Fasulo, Marco Daretti,
Massimo Ferrari, Mauro Marino,
Simone Rollo, Nino G. D’Attis,
Marta Mazza.
Ringraziamo Pick Up a Lecce e
le redazioni di Blackmailmag.
com, Primavera Radio di
Taranto e Lecce, Controradio
di Bari, Mondoradio di Tricase
(Le), Ciccio Riccio di Brindisi,
L’impaziente di Lecce,
QuiSalento, Pugliadinotte.net.
immagina la musica
}
4 Musica
& copertine
6 Sinestesie
9 Keep Cool
18 David
Thomas
Progetto grafico
dario
Impaginazione
Danilo Scalera
Stampa
Martano Editrice - Lecce
Chiuso in redazione prima
della fine del mese
Errata corrige: per un
errore di impaginazione
nel numero scorso il
racconto di Rossano
Astremo a pagina 21 è
stato “tagliato”. Scusa
Rossano (e grazie).
Scusate lettori.
23 Coolibrì
36 Appuntamenti
29 Be Cool
38 Fumetto
foto: Viviana Martucci
I mmagina la musica
CoolClub.it C
M usica & C O P E R T in E
a cura di Giancarlo Susanna
Per giustificare la recente pubblicazione
del nuovo box dei Byrds, Roger Mc
Guinn, da sempre attento alle conquiste
della scienza, ha sottolineato che i
cambiamenti avvenuti nella tecnologia
dei mezzi di riproduzione del suono negli
ultimi quindici anni sono stati di enorme
portata. “Ascoltare i nuovi cd dei Byrds è
come trovarsi in studio al momento della
registrazione”, ha detto con orgoglio in
un’intervista. Difficile dargli torto, anche
se ci costringerà a un’ennesima spesa”
da maniaco”. Dovremo anzi ringraziarlo
per averci offerto degli spunti di riflessione
preziosi.
Ian Matthwes
If You Saw Thro’ My Eyes
Its About Music - 1971
Ci sono dischi che hanno bisogno di
anni per essere apprezzati e amati,
ce ne sono altri ancora che restano
patrimonio prezioso di una cerchia
di appassionati. È il caso di If You Saw
Thro’ My Eyes, uno dei vertici assoluti del
folk rock inglese negli anni d’oro tra la
fine dei ‘60 e i primi ‘70.
Uscito dai Fairport Convention e dai
Matthews Southern Comfort (con cui
aveva peraltro centrato un numero
uno nelle classifiche britanniche con
una bella versione di Woodstock di Joni
Mitchell), Matthews diede un’ulteriore
prova della sua abilità nel governare
le chitarre acustiche ed elettriche,
suonate per l’occasione da tre maestri
come Richard Thompson, Andy Roberts
e Tim Renwick. Ma If You Saw Thro’ My
Eyes è arricchito anche dalla presenza
di Sandy Denny e di Keith Tippett.
La copertina disegnata dallo studio
Design Machine con le foto di Steve
Hiett - quella virata in blu è stupenda - è
perfettamente sintonizzata con il mood
intimista dell’album.
Quando a casa mia si accendeva la radio
o si ascoltavano dischi, l’evento - perché
proprio di questo si trattava - aveva
qualcosa di magico e quasi misterioso. Da
quei 78 giri pesantissimi usciva un suono
monofonico e (più o meno) prodigo
di fruscii. Le copertine non c’erano... o
meglio: si trattava di semplici buste di carta
con il marchio della casa discografica e
un foro che permetteva di leggere i titoli
sull’etichetta.
Il passaggio ai 45 giri - piccoli, infrangibili e
migliori per la resa sonora - fu decisivo per
la diffusione del rock’n’roll e della popular
music in generale. Ce n’erano molti con
una confezione identica a quelle dei
vecchi 78 giri - difficile dimenticare quelli di
Frank Sinatra per la Capitol, con l’etichetta
blu e le bustine rosa - ma ce n’erano tanti
altri con foto e disegni coloratissimi. Ed è
in quegli anni che nasce e si sviluppa il
legame indissolubile tra la grafica delle
copertine e la musica.
E se la cultura della popular music qualcosa che il nostro paese fa ancora
fatica a considerare seriamente - è in
costante movimento, quella dell’immagine
lo è altrettanto. C’è chi prevede la fine
inesorabile di quest’ultima - la musica
si “scarica”, neppure i cd, con le loro
proporzioni ridotte e le loro scatolette di
plastica sarebbero destinati a sopravvivere
- ma finora ogni passaggio tecnologico si
è sovrapposto ai precedenti e non ne ha
eliminato nessuno. Si può (e si deve) usare
il computer, ma questo non significa che
non dobbiamo più leggere un libro. Ma
non anticipiamo le conclusioni del nostro
ragionamento.
Quando gli LP erano semplicemente delle
raccolte di canzoni già uscite sui 45 giri,
le copertine ci dicevano più che altro
chi le aveva cantate e suonate - quante
di queste immagini sono finite appese
nelle stanze di milioni di adolescenti? - e
alcune case discografiche, specialmente
in ambito blues e jazz, avevano uno stile
subito riconoscibile. In questo senso è
ancora una volta qualcosa creato dai
Beatles e dal loro staff a darci un’idea
precisa di quel che stava accadendo.
Dalle prime copertine firmate da Robert
Freeman a quella celeberrima di Abbey
Road, i Beatles hanno esplorato tutte
le possibilità che la confezione di un
disco in vinile a 33 giri poteva offrire:
un’immagine come quella di Freeman
scelta per Rubber Soul o come quella di
Klaus Voorman per Revolver aggiungeva
qualcosa all’ascolto della musica. Con la
forza che il loro successo aveva procurato
i Beatles cambiavano i parametri della
produzione della musica pop. Dopo la
geniale copertina di Sgt. Pepper - che si
apriva, aveva una busta interna colorata,
un cartoncino da ritagliare, i testi delle
canzoni - nulla poteva più essere come
prima. E quando tutti gli altri artisti e gli altri
gruppi si dannavano l’anima per trovare
qualcosa di nuovo, furono sempre i Beatles
a riportare tutto a zero con l’immacolata
copertina dell’Album Bianco, che peraltro
conteneva, oltre ai due 33 giri con la mela
verde e le buste nere, quattro fotografie e
un poster.
Le copertine allargavano la visuale
dell’ascoltatore, non ne imponevano una
a svantaggio di un’altra e suggerivano
l’esistenza di altri mondi. Potremmo fare
mille esempi: dall’opera sempre originale
dello studio Hipgnosis per i Pink Floyd ai
paesaggi fantastici di Roger Dean per gli
Yes, dai nudi scandalosi di Electric Ladyland
di Jimi Hendrix e dell’unico album dei Blind
Faith alle provocazioni dei Sex Pistols o dei
Clash, protagonisti con London Calling di
una precisa e azzeccata citazione di Elvis
Presley.
La comparsa sul mercato del cd ha
creato degli ostacoli ai grafici, ai fotografi
CoolClub.it
Blonde on blonde
- Bob Dylan - 1966
Elvis Presley - 1956
Immagina la musica
Sell out - The Who
- 1967
Strange days - The
Doors - 1967
Forever changes
- Love - 1968
The Beatles
Sgt.Pepper Lonely Hearts Club
Band
Capitol/Emi - 1967
Per la copertina di quello che si
sarebbe rivelato il più importante
e influente album nella storia della
popular music, i Beatles volevano i
ritratti degli artisti e dei personaggi
che li avevano influenzati di più.
“Vogliamo tutti i nostri eroi riuniti
qui - disse Paul McCartney - Se
crediamo che per noi questo
sia un album molto speciale,
dovremmo avere in copertina
con noi molte persone che
consideriamo speciali”. A Robert
Fraser, molto noto nell’ambiente
artistico londinese e scelto dagli
stessi Beatles, fu affiancato il grafico
Peter Blake e il complicato congegno
della realizzazione della copertina si
mise in moto. Lo spazio che abbiamo
a disposizione non è sufficiente per
scendere nei dettagli. Vi basti sapere
che nell’edizione su cd attualmente
in circolazione c’è una “mappa” dei
personaggi che compaiono su questa
mitica copertina, che fu anche la
prima ad aprirsi e a contenere i
testi delle canzoni. Ascoltare il disco
cercando di individuare i nomi degli
eroi dei Beatles e il significato di
certi particolari era un’avventura
meravigliosa.
e agli art director: non si poteva e non si
può semplicemente “ridurre” le dimensioni
di un progetto. Sono una pattuglia sempre
più ridotta di numero, i “nostalgici del
vinile”, ma anche il cd - senza magari
arrivare alla follia minimalista del 3 pollici,
anche qui troviamo i Beatles! - offre ampie
possibilità alla creatività. Il fascino di un
“digipack” realizzato con cura è irresistibile
quasi quanto un vecchio LP.
A noi stringe un po’ il cuore soltanto vedere
tanti ragazzi con un aggeggio delle
dimensioni di un accendino attaccato al
collo, un auricolare infilato nell’orecchio,
mano nella mano con il proprio partner
e mille canzoni da ascoltare senza
comunicare
con
nessuno.
Magari
qualcuno inventerà un qualcosa capace
di portare su un mini-schermo da polso le
immagini che la musica evoca (si spera)
nella mente di chi ascolta. Ma questa è
tutta un’altra storia...
Santana - 1969
Abbey Road - The
Beatles - 1969
The Beach Boys
Pet Sounds
Capitol/Emi - 1966
L’idea
alla
base di Pet
Sounds è la
cura dei suoni.
Nelle intenzioni
di Brian Wilson
non soltanto le
voci, i cori e le
timbriche degli
strumenti, ma
anche i rumori dal campanello
di una bicicletta
all’abbaiare
di un cane
dovevano
essere seguiti con l’attenzione e la
tenerezza che si deve riservare ai cuccioli.
In questo senso l’immagine di copertina
è perfetta. Può spiazzare, perché è
abbastanza lontana dalle tendenze
“immaginifiche” dell’epoca, ma ritrae
i”ragazzi” alle prese proprio con dei piccoli
animali. La session fotografica allo Zoo di
San Diego è opera di George Jerman,
che forse non immaginava che i suoi scatti
sarebbero stati utilizzati per un capolavoro
assoluto della popular music. Per celebrare
il quarantesimo anniversario della sua
pubblicazione, la Capitol ha distribuito Pet
Sounds in tre edizioni differenti. Niente male
per chi,come il sottoscritto, ne possiede già
cinque, sei versioni!
Neil Young
After The Gold Rush
Reprise - 1970
Pubblicato nell’estate del 1970 è il
capolavoro della prima parte della
lunga carriera di Neil Young. Nonostante
le pressioni derivate dagli impegni con
Crosby, Stills e Nash e dall’attenzione
della critica, Young realizzò un album in
cui hanno spazio tutte le componenti del
suo stile: il rock bruciante delle chitarre
elettriche, il folk intimista delle acustiche e
il country d’autore di Don Gibson (autore
di Oh Lonesome Me, che apre la seconda
facciata, ma anche della celeberrima I
Can’t Stop Loving You di Ray Charles). La
grafica di Gary Burden e le foto in bianco
e nero di Joel Bernstein sono in netta
controtendenza con le colorate immagini
delle copertine dell’epoca e aggiungono
alla malinconica bellezza del disco un
tocco di mistero: bisognava aprire la
copertina per avere un ritratto leggibile di
Young, sorpreso in un momento di riposo
nei camerini del Fillmore.Non sempre
i numerosissimi album del cantautore
canadese avranno un abito confezionato
con tanta perspicacia.
I mmagina la musica
Fun house - The
Stooges - 1970
Hunky dory - David
Bowie - 1970
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Pink moon - Nick
Drake - 1972
Sticky fingers
- Rolling Stones
-1971
Horses - Patti Smith
- 1975
The dark side of
the moon - Pink
Floyd - 1973
Never mind the
bollocks - Sex
pistols - 1977
Aphex Twin
Windowlicker
EP - 1999
La rivoluzione dura 16 minuti. Quanto
basta per cambiare o comunque
per dare una svolta alla musica. La
conferma del genio di Richard James
emerge in questo EP: bastano 3 tracce,
un video (della canzone Windowlicker)
e l’annesso packaging per causare un
piccolo terremoto. Pubblicato nel 1999,
due anni dopo Come to Daddy, verrà
ricordato soprattutto per l’incredibile
video, girato da Chris Cunningham.
Lungo 11 minuti, e quindi anti-televisivo,
è una delirante parodia dei classici
video rap americani, tutta donne,
macchine e champagne, in cui allo
stesso tempo è elevata alla massima
potenza l’immagine di Aphex Twin, il
cui volto, sul finale del video, invade
a sorpresa lo schermo sotto forma di
riproduzione continua dei volti delle
modelle (come è possibile vedere nella
cover). Questo è il momento più alto
della carriera della punta di diamante
della Warp, etichetta le cui scelte
rispecchiano perfettamente l’animo del
musicista. Momento (sempre inseguito,
mai più raggiunto) che coincide con il
famoso episodio del remix richiesto da
Madonna per Music e mai più realizzato
in quanto le richieste di Aphex (un sample
con un grugnito) apparvero offensive
all’entourage dell’incarnazione del
Pop. E in più, un intervista di Thom Yorke,
a 2 mesi dall’uscita di Kid A, l’album
forse più innovativo degli ultimi 10 anni,
che afferma con determinazione la
sua ispirazione massima durante la
realizzazione: proprio Aphex. Cercatevi
il video!
Dino “doonie” Amenduni
S in E s T E si E
Lo stretto legame che da
sempre unisce musica e
immagine viene chiamato
sinestetico.
Ne
è
la
manifestazione più alta
quella in cui i vari i sensi
concorrono a creare un
unica immagine. Il suono
è tra gli stimolatori di sensi,
il più potente. Immergersi
nel suono, soprattutto se
ad alto volume lo rende
fisico, percepibile. Questo da sempre ha
suggestionato i musicisti. Basti pensare
al compositore Debussy che scrisse
partiture per pianoforte chiamandole
Images (immagini appunto). Per questo
stesso motivo fu definito al tempo un
impressionista, proprio come gli esponenti
della corrente pittorica. Molto spesso la
musica, al contrario, ha ispirato artisti visivi
che hanno raffigurato la musica nei modi
più svariati. Con l’avvento del supporto
fisico capace di contenere
la musica, il rapporto musica
immagine si è stretto, è
diventato funzionale. L’arte
diventa
così
applicata,
complementare alla musica,
altre volte slegata, ma parte
di un unico oggetto che è il
disco. Nasce così un rapporto
nuovo tra arte e musica.
Un caso emblematico e
curioso a tal riguardo è
quello della copertina dell’album Go
2 degli Xtc (nella foto accanto) in cui
al posto dell’immagine campeggia un
testo in cui si spiega l’importanza di una
copertina ai fini della vendita di un disco.
Un altro caso, celeberrimo e forse tra i
primi, di interazione tra musica e arte è
quello tra i Velvet Underground e l’artista
pop Andy Warhol. La famosa banana (in
copertina) che campeggia sul disco è
un simbolo come la stessa band diventa
CoolClub.it
Unknow pleasure Joy Division - 1979
London calling
- Clash - 1979
Immagina la musica
Pornography - The
Cure - 1982
Rio - Duran duran
- 1982
Purple rain - Prince
- 1984
Like A Virgin Madonna - 1984
The queen is dead
- The Smiths - 1986
Pink Floyd
Wish you were here
Harvest/Emi - 1975
Scegliere una copertina di un disco dei Pink Floyd non è facile. Ognuna di loro
rappresenta un’opera d’arte intrisa di simbologia e magia che solo loro sono
stati capaci di creare. Storm Thorgherson per molti viene identificato come il
quinto elemento dei Floyd perché ha saputo tramutare in immagini le “visioni”
della band.
Uno dei dischi più belli ma anche più tristi della storia del rock, tutto ruota intorno
alla simbologia dell’assenza. L’assenza di Syd Barrett che proprio durante la
registrazione di questo disco appare negli studi di Abbey Road come per dare
un ultimo saluto agli amici. Storm rappresenta in questo artwork due uomini vestiti
elegantemente che si stringono la mano in mezzo ad una strada. Uno dei due
ha preso fuoco, combustione che viene anche rappresentata sul bordo destro
della cornice. Una visione surreale quasi a citare De Chirico e Magritte il fuoco
rappresenta il dolore per la fine di un’amicizia e la stretta di mano può essere
interpretata come la finta comunicazione.
Una delle più belle foto della storia.
Wish you were here- vorremmo che fossi qui.
Giuseppe Scarciglia
rappresentazione musicale dell’arte e delle
istallazioni dell’artista. Da lì in poi, nel corso
dei decenni, il contatto tra le due arti si
infittisce e articola. Sempre rimanendo
nell’ambito della pop art troviamo tracce
di Keith Haring su un album di Malcom
Mc Laren, ma anche copertine ad opera
dell’italiano Mario Schifano.
Ciò che rimane di un’epoca che non
abbiamo vissuto è certo e soprattutto la
sua musica ma anche la sua iconografia.
Il merito delle copertine, siano esse dipinti,
fumetti, foto, ci offrono lo spunto per
immaginare accompagnati dalle note,
l’istante stesso in cui quel disco ha suonato
per la prima volta.
Fenomeni come il glam, il punk molto devono
alla loro raffigurazione, alle copertine che
ne hanno immortalato l’essenza. Altre volte
le copertine hanno invece immortalato
l’icona promuovendola a mito. È in questa
fase che la foto di moda incontra la musica
regalandoci copertine bellissime.
Altre volte ancora l’immagine di copertina
si slega in maniera violenta dalla musica, si
pone quasi in contrasto con essa creando
un codice che finisce per rappresentare
un genere (penso ai Sonic Youth e a tutti i
loro derivati). Si arriva all’illusione di sapere
cosa conterrà un disco guadandone solo
la copertina (inconfutabile quando si parla
di metal), ma rimane, per fortuna, sempre
un punto interrogativo, la possibilità che
musica e copertine trovino una nuova
strada.
Osvaldo Piliego
Portishead
Portishead
Go! Beat- 1997
I maestri del trip-hop mancano dalle
scene da quasi dieci anni. Portishead, il
loro ultimo lavoro in studio, risale infatti
al 1997. Pubblicato tre anni dopo lo
straordinario esordio (Dummy), con
questo secondo album Beth e soci
hanno impugnato lo scettro dei sovrani
del trip-hop. E anche se è passato
tanto tempo, io quello scettro non
glielo toglierei dalle mani per nessuna
ragione al mondo. Perché nella mia
testa i Portishead hanno contato più dei
compaesani Massive Attack, ai quali
bacerei comunque i piedi.
Sulla cover di Portishead primeggia
il logo del gruppo, una P minimal
proprio come loro. E la stessa P si
ritrova sul taschino della giacca di
un uomo in primo piano, all’altezza
del cuore. L’occhio però cade sulla
figura in secondo piano, soggiogata
dalla mastodontica P dello schermo.
Una bambina, con un vestito bianco
molto Fifties e calzettoni da sfigata. È
un fotogramma dell’inquietante video
di All Mine, primo singolo dell’album.
Avevo 15 anni quando ho visto quel
video per la prima volta, non passava
spesso su Mtv, ma mi agitava ogni volta
lo stomaco. Come la voce di Beth e le
melodie di Barrow ed Utley. Mi disturbava
quella bambina con lo sguardo perso e
la bocca spalancata a doppiare una
Gibbons disperata. “So don’t resist/We
shall exist/Until the day I’ll die/All mine/
You have to be”. Più un’ossessione che
una canzone d’amore. I Portishead
hanno sempre saputo inquietarmi bene,
questo album forse l’ha fatto ancora
meglio di Dummy, e lo fa fin da principio,
con i cori cavernosi di Cowboys, fino a
Only You e Mourning Air.
Non sarà storica come il video o
l’album, considerato uno dei Top20 del
’97, ma questa cover riflette al meglio
lo spirito Portishead, imprimendosi nella
memoria. A quanto pare il gruppo di
Bristol è di nuovo in studio per il terzo
album, finalmente. Io ci spero, anche
se ormai si fanno attendere da troppo
tempo, e mi fanno sentire sconsolata
come la bimba della copertina.
Anna Puricella
Keep Cool
Pop, Alternative, Metal, Elettronica, Lounge,Italiana, Indie
la musica secondo coolcub
Sparklehorse
Dreams for light Years in the belly of a mountain
Capitol/ Emi
Indie / *****
Ai meno distratti la discografia di
questo artista non sarà certo sfuggita.
Il sottoscritto ha dovuto recuperare in
corsa dopo essersi follemente innamorato
del suo penultimo album dal titolo It’s a
wonderful life. Ma Mark Linkous, l’uomo
che si cela dietro il progetto, è uno che ti
lascia prendere il tempo giusto per godere
delle cose. Belle e brutte poco importa,
tutte e due, se vissute con intensità,
trasmettono emozioni che vale la pena
raccontare. Dopo aver esordito nei primi
anni ’90 con un album folgorante come
Vivadixiesubmarinetransmissionplot Mark
ha trascorso un decennio difficile e ce lo
ha raccontato (nel 96 ha anche rischiato
la morte dopo una scorpacciata di
antidepressivi). C’è chi dice che tutti i
grandi artisti soffrono moltissimo, chiusi
in una vita stretta, incapaci, forse, di
esprimere tutto quello che sentono.
Sparklehorse ha scelto per la sua musica un
velo di malinconia che senti sincera, una
rabbia che sembra implodere, soffocata
tra i denti, un amore per le cose intime e
vicine come le sue canzoni. Tutto questo
tradotto in musica è pop, indie, folk, rock.
con l’aiuto di vari musicisti e collaboratori
che si sono avvicendati nel corso degli
album. Mark ha sempre realizzato dischi
dal sapore artigianale, fatto in casa.
Lo dimostra la sua attitudine per suoni
spigolosi e low-fi, un cantato quasi sempre
sussurrato e la predilezione per le ballad.
Ha in sé il talento dei grandi folk singer (il
più accostato al suo nome è Neil Young)
la passione indie che lo ha avvicinato ad
artisti come Beck, Bright Eyes, the Flaming
Lips tutti presenti in album tributo da lui
organizzato e realizzato in onore di Daniel
Johnston, un lato acustico intervallato da
nervose bizze elettriche e una grande
passione per la melodia. Questo ultimo
album segue l’umore musicale del suo
precedente, non ha forse alcuni guizzi
emozionali dei suoi precedenti ma segna
la maturità e l’equilibrio dei vari elementi
che da sempre hanno affollato le canzoni
di Sparklehorse. Insieme a lui, in questo
album, ospiti d’eccezione come Tom
Waits e Dangermouse. Se siete in cerca
di emozioni forti ma sussurrate, questo
disco fa per voi.
Osvaldo
KeepCool
10
Scissor Sisters
Ta-dah
Polydor
Pop / ***½
Oh, che bello! Un cd dei Bee Gees!
Questo è il potenziale commento medio
di un 40enne al primo ascolto di Ta-Dah,
seconda prova del quintetto americano.
E in effetti il dubbio potrebbe anche
venire, se non ci si concentra per bene.
Un cd quanto mai autoreferenziale,
che conferma, nel paradosso, l’unicità
di un gruppo che fa delle citazioni il
proprio punto di forza. Dopo il boom
del cd omonimo del 2004 (album più
venduto nel Regno Unito in quell’anno),
appare piuttosto evidente la volontà
delle Sorelle Forbice di proseguire sul
sentiero già battuto in precedenza, in
un mix tra “Settanta, Ottanta e Duemila”
(come già sottolineato dalla campagna
pubblicitaria). Il singolo, I don’t feel like
dancing è il pezzo più radio-friendly, con
un Elton John ispiratissimo (e non poteva
essere altrimenti). Tutt’attorno, una
manciata di pezzi spiccatamente pop,
anche di ottima qualità, She’s my man
(si, avete letto bene) su tutti. I testi sono
esattamente come ve li potreste aspettare
da un manipolo di fieri metrosessuali, con
citazioni anche ai piani alti della storia
della musica (una canzone si chiama
“Paul Mccartney” pur suonando in
modo esattamente ossimorico rispetto
ai Beatles, ovvero con andamenti synthpop anni ‘80). Degna di nota anche
Intermission, cantata da un Jake Shears
versione no-falsetto, pezzo che avrebbe
fatto la gioia di Rufus Wainwright. Un
buon cd, che non farà la storia della
musica, ma che va ascoltato. E vanno
colte tutte le potenzialità del gruppo di
New York, in attesa di una prova un po’
più coraggiosa, il viatico per entrare nel
gotha del pop. Aspettando, magari, una
collaborazione con Madonna.
Dino “doonie” Amenduni
The Delgados
The complete BBC Peel Sessions.
Chemical
Underground
/
Audioglobe
Indie pop / ****
Indie fatto come ai bei
vecchi tempi, con il
piede su un distorsore,
i Pixies nel cuore, le
Breeders ancora dietro
l’angolo, da qualche
parte i Jesus and mary
chain. Immortalati dalle
mitiche Peel sessions (hanno ospitato
da Hendrix fino ai nostri Uzeda), nate
dalla mente del grandissimo conduttore
radiofonico John Peel queste registrazioni
accumulate negli anni e album dopo
album dalla band capitanata da Emma
Pollock vengono pubblicate. Una sorta di
archivio, memoria di ciò che è passato,
esiste e non bisogna dimenticare.
Ed è generosa questa session dei
Delgados. Un doppio in cui il gruppo
scozzese sfodera tutto il suo campionario,
dalle asperità indie noise, alle canzoni
più chamber rock, fino ai momenti più
romantici e brit pop in cui è il piano a
dominare sulle chitarre. C’è anche una
cover di California uber alles, un tributo
al punk dei Dead Kennedys. Non è un
greatest hits e neanche un live, ma
ha in sè la bellezza e la spontaneità di
entrambi. Se vi siete persi dieci anni di
storia dei Delgados questo è una specie
di Bignami, un assaggio che vi metterà
subito fame, quella di avere tutti e cinque
i loro album. (O.P.)
Micah P. Hinson
Micah P. Hinson And The Opera
Circuit
Sketchbook/Goodfellas
cantautorato folk, country / ****
È una delle voci più
belle degli ultimi anni,
Micah P. Hinson, ci
regala nuove struggenti
emozioni
con
un
album
composto
da undici perle di
ottimo
cantautorato
americano. Inizia col suono delle cicale,
poi una chitarra, un’armonica dal suono
delicato, la sua voce, sembra quella di
un uomo maturo, ma ha solo ventiquattro
anni. Si potrebbe dire, solo per rendere
l’idea, che assomiglia a Johnny Cash
insieme a Calexico e Devendra Banhart,
ma sarebbe stupida e limitata come
descrizione. Micah è se stesso, in tutto il
talento e la sensibilità, un songwriter dal
cuore sanguinante. Seppur di giovane
età, dai suoi testi si evince quanto abbia
sofferto in passato a causa di situazioni
dure, di disagio. Poesia bucolica, rurale,
amore e sofferenza, attimi cupi e spiragli
di luce. Questo disco è stato composto
nella sua casa di Abilene, in Texas, dove
l’artista costretto a letto a causa di un
infortunio alla schiena, ha deciso di
invitare e coinvolgere un gruppo di amici,
gli Opera Circuit, tra cui vi è il cantautore
statunitense Eric Bachmann ed Henry Da
Massa, con la sua armonica, presente
anche nel progetto parallelo denominato
Late Cord. Genio e capacità espresse in
un ottimo disco dalle tinte autunnali.
Livio Polini
Lisa Germano
In the maybe world
Young god records / Goodfellas
Dream pop / ****
A volte c’è bisogno di
qualcosa per risvegliare
una parte di noi che
credevamo sopita. A
volte quel qualcosa è
un disco. Tutti portiamo
con noi malinconie
che
per
un
po’
mettiamo via ma che ci servono, fanno
parte di noi. Ci sono artisti, grandi artisti,
capaci di cantare uno stato d’animo,
di rappresentarlo alla perfezione con
pochissimo. Lisa Germano è certamente
una di questi. Questo suo nuovo album
è onirico, notturno, dolce. Classica per
alcuni versi, come la formazione dei
suoi genitori musicisti, matura per i 48
anni che ormai bussano alle porte e i
numerosi dischi alle spalle, Lisa Germano
in questo In the maybe world riesce a
imporre in poche tracce e pochi minuti
uno stato d’animo. Basta concentrarsi
sui pochi elementi chiamati in causa per
perdere il contatto con tutto il rumore
e trovare pace in queste tracce. Senza
alcun bisogno di forzare, accostando
al piano ora una chitarra, ora un violino
struggente, rispettando strofa e ritornello,
KeepCool
ma semplicemente sentendo ogni
singola nota suonata Lisa ti inchioda
con un incedere che sembra un invito
a riprenderti il tuo tempo. Se sapete che
sapore ha la lontananza provate ad
ascoltare Too much space. Romantico e
decadente come l’artwork questo disco
è neve, fiore e uccello è un sibilo lento e
dolce che arriva fino al cuore e può far
male. (O.P.)
11
Paolo Nutini
These streets
Atlantic
New Acoustic Movement / ****
Ani Di Franco
Reprieve
Righteous Babe
Folk / ***
Un
lungo
intro
strumentale,
un
contrabbasso a cui
si aggiunge, lento,
un pianoforte e solo
successivamente una
voce, dolente, che
parla,
non
canta:
questa la splendida Hypnotized, ad
apertura dell’ultimo album di Ani Di
Franco. Accanto al contrabbasso, ormai
parte integrante del suo sound e suonato
da Todd Sickafoose, l’immancabile
chitarra acustica, meno irrequieta
del solito, più incline verso suoni folk
che sanno di dolce ballata più che di
ribellione. Ma i temi che ad Ani piace
affrontare non mancano certo in questo
disco, la denuncia politica è presente nei
testi anche di questo lavoro - come in tutti
gli altri - a cui è dato un particolare risalto.
Le parole, infatti, spesso parlate piuttosto
che cantate, o urlate, rappresentano
il punto centrale intorno cui ruotano
tutti gli strumenti, la chitarra in primis, il
contrabbasso, il piano e l’organo suonati
da Sickafoose, poi effetti e percussioni.
Probabilmente non tutti dei tanti fan
d’annata della Di Franco avranno ben
accolto questo disco, proprio per questa
sua verve melodica, quieta, molto matura
e introspettiva. Ma la sua voglia di rivolta
resta, seppur velata da note poetiche.
Feminism ain’t about equality, it’s about
reprieve…
Valentina Cataldo
La storia di Paolo Nutini non è troppo
diversa da quelle con cui ultimamente
ci imbattiamo constatando l’avvento di
stelline della musica: un ragazzo di belle
speranze e con una sufficiente dose
di furbizia fa circolare un paio di pezzi
via Internet, attraverso l’onnipresente
myspace.com, i pezzi piacciono, la
multinazionale guarda, ammira, fa
firmare. Lily Allen e Sandi Thom hanno
percorso le stesse tappe, per intenderci.
Qui però finiscono gli elementi in comune
con questo clichè divenuto addirittura
ai margini dello scontato. 19 anni, papà
italiano e mamma scozzese, si presenta
in modo assolutamente convincente con
questo These streets che non appare
affatto un veloce patchwork utile solo a
sfruttare l’onda mediatica, bensì un album
vero e proprio, ragionato e completo. Al
suo interno c’è Last Request, il singolo
giunto sino al quinto posto in UK e che
da qualche giorno passa timidamente
anche da noi in radio (non senza un
minimo di sorpresa). La musica è scritta da
lui, così come i testi: Paolo (dice) si ispira
a Oasis, Doors e Pink Floyd ma in Alloway
Grove, in particolare, appare evidente la
lezione di Simon e Garfunkel. Vocalmente
sicuro (in particolare in Autumn), ha
ricevuto l’investitura dei Rolling Stones,
che l’hanno voluto come opener per
un loro concerto a Vienna. Unico limite
è la sindrome da “già sentito”, ma se il
cd vi annoia, tenete duro (o passate
direttamente alla traccia fantasma): la
finale Last request in versione unplugged
è semplicemente da brividi. Ne sentiremo
parlare, non fosse altro per il tocco di
italiano che porta con sé.
Dino “doonie” Amenduni
My brightest diamond
Bring me the workhorse
Asthmatic Kitty
Gothic pop / ***½
Sufjan Stevens produce per la sua
etichetta l’album di esordio dell’amica e
collaboratrice Shara Worden, originaria
del Michigan, proveniente da una
famiglia di musicisti legati alla chiesetta
pentecostale di Ypsilanti. Durante i suoi
anni di sviluppo delle sue indiscutibili doti
vocali da teatro d’opera lavora addirittura
con Whitney Houston e Mariah Carey,
finché non decide di abbandonare il
mondo mainstream per perfezionarsi
studiando spartiti più classici.
Si iscrive ai corsi di canto dell’University
of North Texas, dopodichè, trasferitasi
a NewYork inizia ad avvicinarsi ai circoli
musicali underground della città, ascolta
Antony, Nina Nastasia, Rebecca Moore.
Raccolti così un gruppo di musicisti,
comincia ad esibirsi in piccoli club, fino
al fatale incontro con Stevens e l’ingresso
nei suoi Illinoisemakers. Ed ecco infine la
sua personale uscita discografica (che in
realtà è doppia, poiché parallelamente
a questo disco ne realizza un altro con
un quartetto d’archi, A thousand shark’s
teeth): legato (non completamente)
al sound dell’etichetta, il disco rivela
la sua particolarità inevitabilmente nel
personale timbro vocale della Worden
(non lontana da Beth Gibbons), che a
dir la verità a tratti risulta anche troppo
ridondante e barocco.
Per fortuna non è uno di quei prodotti
in cui la musica è solo una base di
accompagnamento,
ma
ci
sono
interessanti tessiture strumentali dalle
tonalità cupe, a volte solenni, a volte
spettrali, a volte drammatiche, a
volte marziali (certi punti mi ricordano
addirittura i primi Black Sabbath). Di certo
un album molto emozionale.
Davide Rufini
Barbara Carlotti
Les Lys brisés
4AD
Pop / ***
Una voce bianca e bassa che canta di
pioggia, silenzio, notti d’amanti. Non è
italiana nonostante nome e cognome
possano entrambi trarre in inganno.
Trentenne francese doc nata nella
KeepCool
regione parigina e cresciuta in Corsica
tra studi musicali e l’interesse per la
danza. A tre anni da un mini-album
autoprodotto intitolato Chansons esce
adesso con l’etichetta 4AD - prima artista
francese sotto contratto - il suo Les Lys
brisés. Il disco racchiude quattordici
pezzi, tutti molto semplici, molto delicati,
molto – oserei - nostalgici. Giri di chitarra
d’accompagnamento,
pochi
altri
strumenti per delle melodie sottili e poi
la sua voce, senza artifici, posata, bella
da ascoltare. Nel complesso un suono
estremamente chiaro che non dispiace
affatto, al contrario ben si coniuga alla
malinconia autunnale di questo periodo.
Un’eleganza e una grazia tutte francesi.
Un evidente richiamo ai passati anni ’60
di Françoise Hardy, icona pop, “esile
e ombrosa”, chanteuse amatissima e
conosciutissima in patria cui ancora
oggi molto signorine del rock s’ispirano.
Nell’album della Parlotti una chicca,
la bella A Rose for Emily degli Zombies
adattata da lei in francese.
Valentina Cataldo
Christina Aguilera
Back to basics
Rca
Pop (di tutte le stagioni) / **½
C’è qualcosa che non (mi) convince
in quest’ultima fatica della ri-bionda
X-tina. Eppure non è nemmeno un
album da usare come piattello per le
Olimpiadi: la voce è sempre su discreti
livelli (anche se ho come la sensazione
che la consapevolezza di ciò abbia
portato la Aguilera a non rischiarla più di
tanto) e le idee ci sono, forse addirittura
troppe. Di qui, (non) si spiega il doppio
album. Probabilmente per un suo vezzo,
probabilmente per mettere tanta carne
al fuoco (utilizzando l’espediente come
deterrente alla pirateria), Christina
sfodera un primo album “standard”,
prodotto da Dj Premier e al cui interno
svetta la hit single Ain’t no other man e in
cui è possibile ritrovare tutte le frecce del
suo repertorio: soul, funk (in Still dirrty, una
dichiarazione anti-ansia per i fan), hip-hop
(Thank you, riuscitissima autocitazione di
Genie in a Bottle), e ne affianca un altro,
prodotto da Linda Perry delle compiante
(?) Four Non Blondes. Questo secondo
cd è completamente inatteso ma alla
fine forse prevedibile: strutturato come
una sorta di musical à la Christina in
versione Lady Marmalade, non ha una
fisionomia poi realmente coerente, dato
che sono inseriti due lentoni nel finale,
intensissimi (Mercy on me, Save me from
myself), che fanno mal pensare: Christina
sa fare meglio le ballad. E ora? I video
in cui la musica era un optional? Niente
più? Meglio di no, facciamo 2 album, 22
tracce. Se ne avesse fatte 9, sarebbe stata
la consacrazione. E invece ci dobbiamo
accontentare di una, purtroppo piccola,
maturazione.
Dino “doonie” Amenduni
Pharrell Williams
In my mind
Ect
Hip-hop, soul / **
Finalmente è arrivato. Uno dei cd più
travagliati della recente storia musicale
ha finalmente visto la luce. Dopo ben
tre singoli a introdurlo e dopo una serie
veramente imbarazzante di rinvii (doveva
infatti uscire a novembre 2005) è agli
occhi di tutti il primo progetto solista di
Pharrell Williams, illuminato produttore, a
nome Neptunes, insieme a Chad Hugo, di
(quasi) tutto ciò che di nuovo arriva dagli
Stati Uniti in materia di hip-hop, o come
membro dei N.E.R.D, in cui emerge(va)
lo spirito più rock del nostro. I rinvii
solitamente non portano buoni auspici (i
fan dei Guns’n’Roses ne sanno qualcosa)
e purtroppo questo cd, in questo senso,
non tradisce le aspettative. Lo fa invece
a livello di qualità musicale. Pharrell infatti
sembra non riuscire a reggere il carrozzone
da solo e cade in un limite poi tipico di
questo genere di album, la ripetitività. La
voce non esalta, il falsetto che tanto ha
sciolto le donnine negli ultimi due anni (in
capolavori del genere come Beautiful,
con Snoop Dogg), utilizzato in maniera
massiccia in un album, fa pensare che i
colpi in canna siano finiti. Non bastano le
collaborazioni eccellenti (lo stesso Snoop,
Nelly, Jay-Z, Gwen Stefani, Kanye West)
a salvarlo. Ed è addirittura imbarazzante
la mediocrità del pezzo Number One,
con Kanye. I due, in linea teorica, sono
le menti più brillanti del panorama soul
americano, in pratica fanno il compitino
e niente più. Come se una squadra di
calcio con Ronaldinho e Kakà uscisse ai
quarti di una Coppa del Mondo. Ah, dite
che è successo davvero?
Dino “doonie” Amenduni
Alias and Tarsier
Brooklyn/Oakland
Anticon records
Elettronica / ****
La ritmica distorta e il
fraseggio di piano che
aprono questo disco
ne racchiudono le due
anime.
Quella di Alias robusta,
ritmica, figlia dell’hip
hop e con qualche
ricordo in casa Morr e quella di Tarsier ,
pop, dolce, sognante e malinconica.
All’utilizzo di un’elettronica più glicth
fatta di frequenze disturbate e suoni in
bassa fedeltà si accostano suoni freddi,
muri di sinth, ritmiche che spingono e
incalzano lente e potenti. Tutto convive
in un’armonia che non ha posto dove
esistere se non nell’aria. Musica per
aereoporti teorizzò qualcuno qualche
anno fa, questo è un disco che sa di città,
(sentite l’incipit di Last nail) di strada, ma
anche di stanze dove cercare e trovare
pace e dove quello che succede fuori
arriva ovattato, filtrato. Per i nostalgici
del trip hop questo disco è una corsia
preferenziale verso alcune atmosfere
care al genere, per chi ama il pop
questo Brookland/Oaklyn è una scoperta
(ascoltate come atmosfere acustiche
sposano l’elettronica in Dr.c).Immagina
due colori, due punti di vista diversi ma
complementari e falli suonare insieme. In
alcune battute la voce si Tarsier ricorda
vagamente Bjork, ma è solo un momento.
il resto è ispirato, ricco si muove su trame
semplici ma fitte.
Le due personalità acustica ed elettronica
in 5 year dove scomodano una sezione
di archi che presto viene impastata tra
rumori rubati alla strada fino a esplodere
tra chitarre distorte e delay. Ci sono tante
cose in questo disco, messe lì per farsi
scoprire ascolto dopo ascolto.
Sembra aver preso una piega questo
Brookland Oaklyn, quasi ci stai bene
dentro accarezzato dalla voce di Tarsier
quando arriva un brano claustrofobico
come Luck and fear a rimettere quasi
tutto in discussione. Ligaya infine è come
un saluto sui binari della stazione, la fine di
un viaggio l’inizio di un altro. (O.P.)
Supersystem
A million Microphones
Touch & go rec
Ritmi / ***
Sono lontani gli anni
in cui gli El Guapo ti
riuscivano a disturbare
la cena con le loro
note secche e violente,
capaci di suscitarti
un’angoscia
dal
profondo. Il cambio
di ragione sociale aveva già da subito
fatto intendere un approdo a lidi più
leggeri a fruibili. La maggior cura della
produzione e dei vocalizzi, l’allargarsi
degli strumenti (in Eagles feeling eyres
c’è addirittura un’arpa), l’introduzione
di beats funky e grooves più danzerecci,
finanche di ritmiche da world music,
tutto ha contribuito alla rielaborazione
dell’attitudine (ed evidentemente anche
degli obiettivi) del gruppo.
A sentir loro si sono incentrati molto sulle
melodie, per non fare una ennesima
banale accozzaglia di ritmiche per
ballare, ma per creare con cura strutture
innovative capaci di riempire “lo spazio
tra e attorno i beats”. Ma in questo lavoro
di ricerca e di riempimento certosino
degli spazi, a mio avviso, mi sono ritrovato
KeepCool
in mano un prodotto tanto piacevole,
ricco e ben confezionato (anche nella
grafica) ma che non mi suscita più niente.
Portatevelo a qualche festino in spiaggia
per fare i fighi, avrete di certo successo,
ma quando tornate a casa, e siete da
soli, rimettete su un vecchio vinile degli
El guapo e godetevi i rigurgiti di vomito
alcolico che vi tormenteranno tutto il
resto della nottata.
Davide Rufini
Yo La Tengo
I Am Not Afraid Of You And I Will
Beat Your Ass
Matador/Self
indierock / ****
confronti e collaborazioni in città, Blumm
sparisce con suo camper accompagnato
solo dalla sua fida chitarra, e solo, lontano
dal marasma di input metropolitani,
rielabora tutti i suoi contenuti emotivi,
psichici, culturali, musicali immagazzinati
e tira fuori le basi per il nuovo disco, che
realizzerà in compagnia di fidati amici,
chiusi in una stanzetta accogliente e
silenziosa. Un clarinetto, una trombetta,
un trombone, un flauto, una chitarra,
una batteria e poco altro per realizzare
in musica lo stato d’animo pacifico e
rilassato dei musicisti. La colonna sonora
ideale per un tramonto di una calda
giornata in spiaggia, stesi con in mano
una bevanda ghiacciata: la perfetta
espressione di lounge music. Soffici
fiati, delicate atmosfere, giri di chitarra
avvolgenti, uno stile elegante da far
invidia a Burt Bacharach: una musica
mai ruffiana, mai volgare. Per me, il più
bell’album di questa estate.
Davide Rufini
Miss Violetta Beauregarde
Odi profamun vulgus et arceo
Temporary Residence
Elettropunk / **½
Un nome che è tutto un programma,
“Non ho paura di te e ti romperò il culo”,
questa la traduzione del titolo dell’ultimo
album dei Yo La Tengo. Una delle band
più interessanti della scena indierock
statunitense, da diversi anni in circolazione,
riconosciuti per le particolari e in più
occasioni dimostrate qualità (come non
ricordare I Can Hear The Hearts Beating
As One). In quest’ultima prova è presente
una tale longevità, forza, energia, senso
creativo da fare invidia a svariate bands
di giovani ventenni. Con quindici tracce
per più di un’ora di ascolto, ritorno in
grande stile per la band del New Jersey.
Sicuramente uno dei migliori album in
una ricca discografia quello di Ira Kaplan
e soci, allegro e ben costruito, vario e
ambizioso. Rock and roll, pop, funk, soul,
garage, wave, lounge, un viaggio in
bilico tra il suono lontano dei ‘60 e ‘70 (nel
brano Ronnie addirittura il rock sfrenato
degli anni cinquanta) ed il moderno, un
vortice di generi e stili, abilmente suonati
e arrangiati. Su questa giostra di luci e
colori è una gioia salire, il rischio come
potrete intuire è arrivare da sobri per poi
ritrovarsi completamente ubriachi. Siete
pronti a questa possibilità? Altro giro, altro
ascolto, gettonarsi.
Livio Polini
F.S. Blumm
Summer Kling
Morr Music
Lounge music / **** ½
Con questa nuova uscita il berlinese
Blumm si riconferma essere uno degli
artisti più interessanti di casa Morr. Dopo
un’intera stagione di ascolti, incontri,
Fifi-punk dell’ultim’ora,
originaria di Bergamo,
ma poi trasferitasi ad
Alessandria, amichetta
della tipa dei Verdena
con cui aveva formato
le Porno Nuns (e
già si può intuire il
personaggio se vogliamo affidarci ai
beneamati pregiudizi), accanita fedele
al DIY, ha bazzicato in vari gruppetti
punk ed elettro-punk (tra cui i Tributo a
Luigi Galvani ensemble messo su insieme
a quei fusi di testa dei Uochi Toki, e
questa è cosa buona); col nome di Aiki
è inoltre conosciuta tra gli indie-sfigati
come provocante suicide girl (vedi www.
suicidegirls.com). Una di quelle faccette
carine ma che ti stanno subito sul cazzo,
miss Violetta si è distinta come scomodo
personaggio dell’indie italiano, per i
suoi modi aggressivi e irrispettosi verso
tutto e tutti (basta leggere il titolo del
nuovo album “odio la massa ignorante
e la tengo lontana” per capire il tipo).
In realtà a più di qualcuno ricorda la
solita ragazzina italiana-media un po’
fighetta che deve fare la parte della
punkabbestia a tutti i costi dimostrare al
mondo che lei è diversa, che lei è vera,
che lei prende posizione, che lei non si fa
sfottere, che lei controlla la sua esistenza,
che lei parla in modo poetico e se non
mi segui cazzi tuoi, e barabin baraban (e
per farlo capire a tutti c’ha pure il blog
ovviamente: heidi666.splinder.com); uno
di quei personaggini che dopo dieci
minuti di sofisticate puttanate, sproloqui,
minacce, te ne vai sennò la scatti di
mazzate. E la musica che produce è
un po’ tutta così: isterica a vuoto, un
inutile bombardamento di stronzate, ma
dette con convinzione e cattiveria. Se
dobbiamo esser poi professionali, allora
devo dire che si tratta di un prodotto da
catalogare alla voce: female elettropunk-techno-hardcore di japanoisiana
memoria, e in realtà neanche tanto
malfatto, solo che io proprio non lo
reggo; sarà che fa caldo e starmi a
sentire questa che urla proprio non mi va
giù. Consigliato agli scoppiati nevrotici.
Davide Rufini
Roy & the devil’s motorcycle
Because of women
Voodoo Rhythm Records
Blues / *****
Devo dire che con
questa
produzione
recentissima, Because
of
women
degli
svizzeri Roy & the
devil’s motorcycle, tre
chitarristi (3 Brothers)
più un batterista, Oliver,
la Voodoo Rhythm si
è davvero superata. Il sound prodotto
dalle tre chitarre e da Oliver travalicano
l’abusato concetto di trash-blues che si
rivela limitativo nel loro caso. Da un lato
si ricollegano a certo “decostruttivismo”
blues di mitiche band come Chrome
Cranks, Bassholes e Cheater Slicks; come
loro in brani come l’oppiacea I Had A
Dream, l’acustico-folkeggiante Winding
Up (con tanto di onde che si rifrangono
e grida di gabbiani) e l’informale Dust
Ball Flashback iniettano nella matrice
nera del blues alcolizzati ed onirici
umori esistenziali di bianchi alla deriva,
di vite allo sbando, mutandone per
fatale inerzia e trasfigurandone le trame
originarie. Un mood che ricorda molto gli
abbandoni drogati degli Spaceman 3.
Ma, a differenza dei nomi succitati, Roy
& The Devil’s Motorcycle rinunciano ad
urgenza ritmica e deflagrazioni soniche
per dar vita ad una psichedelica blues
decelerata ed inquietante in cui sono
gli obliqui e visionari téte-a-téte delle
tre chitarre e la voce trasandata ed
occasionale a farla da padrone. Autentici
monumenti al “cuore nero” di questo blues
posseduto da un incredibile nichilismo
bianco sono Dark Sunday Evening (qui
i 13th Floor Elevators sembrano essersi
dati appuntamento con i Joy Division), la
cover di Junior Kimbrough, Don’t Leave
me (strascicata ed alcolizzata) e quella di
Elmore James, It Hurst Me Too, che come
Johnny Be Good iniziano canoniche per
poi inerpicarsi perfidamente su stravolti ed
imprevedibili sentieri sonori. Omaggi alla
tradizione quindi, anche se devastati da
una seriale dedizione alla profanazione
ed ad un’innata trascendenza sonica.
Sono comunque episodi come Illumated
Cowboy, spiritata ed inclassificabile, che
non offre il fianco ad alcuna etichetta
musicale “umanoide”, e poi Dark Sunday
Evening, e la tormentata e densa When
We Were Young che senza ombra di
dubbio mettono a fuoco la visionarietà
straripante e potente di una band
rimasta troppo a lungo nell’oscurità di un
piccolo villaggio delle montagne svizzere,
oggetto di un rito per pochi adepti.
Pasquale Boffoli
KeepCool
Mudhoney
Under A Billion Suns
Sub Pop/ Audioglobe
Rock / ****
Il rock dei Mudhoney dimostra, ancora
una volta, d’essere qualcosa di
sincero e dalla forte identità musicale,
emozionante ed impegnato. Quasi
vent’anni fa, in una fredda e piovosa città
del nord-ovest degli Stati Uniti, quattro
ragazzi scapestrati e ribelli portarono per
la prima volta nelle orecchie dei depressi
adolescenti di allora un suono molesto,
gracchiante
e
spaventosamente
violento, capace di scuotere dalle
fondamenta le certezze stesse del rock
classicamente inteso. Mark Arm e i suoi
Mudhoney avrebbero così tracciato,
per primi nella storia, il solco del grunge
dal quale sarebbero poi sbocciati quei
purissimi talenti che bruciarono per intero
gli anni ’90. Da quelle ceneri disperate e
colme di dolore oggi torna a sgorgare
il sapore dolce di chi, come ultimo
vero sopravvissuto del grunge, non ha
voglia di piangersi addosso, né paura
di guardare il sole negli occhi. Hanno
attraversato vent’anni di storia musicale
dimostrando anche che è possibile
rimanere fieramente indipendenti e
fedeli alle proprie intenzioni primarie,
sviluppando un sound che, partito dal
punk, ha poi saputo sviscerare numeri di
rock rumoroso, distorto e abrasivo. Con
Under A Billion Suns tutto ciò è ribadito e
posto al servizio di undici nuove canzoni
che, al di là di una saltuaria presenza di
fiati a volte straniante, portano impresso
in maniera indelebile un marchio di
fabbrica inconfondibile: quello dei
Mudhoney!
Camillo “RADI@zioni” Fasulo
Todd
Comes To Your House
Southern / Wide
noise rock / ***1/2
Un bel giorno Craig Clouse, dopo un
glorioso passato vissuto in svariati gruppi
hard-rock (Crown Roast, Negative Step,
Hammerhead…) decide di fondare una
band insieme a sua moglie ed alcuni
amici. L’occasione è quella giusta, un
tour come gruppo spalla per le mitiche
Breeders. Il grande ed improvviso
successo dato dalle performance live
portano la band a fissare date in giro un
po’ ovunque, a volte anche su palchi
importanti. Quello che poteva essere
un semplice esperimento, nato per
sfruttare una ghiotta opportunità (un tour
appunto), si trasforma ben presto in una
realtà forte e consolidata. I Todd con la
loro musica riescono a regalare emozioni
molto forti, suoni trascinanti. Il noise rock
espresso è di altà qualità, schizofrenia
e devastazione, nichilismo allo stato
puro. Due chitarre per riff energici e
improvvisi, un basso, una tastiera, una
batteria sbattuta con violenza, alcune
percussioni ed urla feroci, questa la
ricetta. Disturbo e sperimentazione, senza
dubbio. Questo nuovo album, Comes To
Your House, rispetto al precedente Purity
Pledge, appare ancora più completo e
riuscito, carico di dinamismo. Una buona
scoperta questa band, probabilmente in
futuro ne sentirete ancora parlare.
Livio Polini
Cansei de ser sexy
CSS
Sub pop/ audioglobe
Indie / ****
Finalmente anche
il Brasile sforna
un gruppo che si
impone con stile
all’attenzione
del mondo indie
internazionale,
grazie
ad
un
contratto con la prestigiosissima Sub Pop
Records. Cansei De Ser Sexy (abbreviato
in CSS) sono cinque ragazze e un ragazzo
da Sao Paulo, conosciutisi su internet e
tutti impegnati nel mondo della moda,
dell’arte, del cinema. E la musica?
Con la musica hanno cominciato a
cimentarsi solo dopo aver deciso di
formare una band: vera attitudine
art-punk! Nell’album passano da ritmi
leggeri e scanzonati con chitarrine lo-fi
ad un electroclash algido e robotico tra
Peaches e Adult per sganciare poi quella
bomba da dancefloor dall’eccitante
titolo Let’s Make Love And Listen Death
From Above: un irresistibile riempipista
pieno di groove e malizia. Chiamatele
le Chicks On Speed brasiliane. Oppure le
Scissor Sisters sudamericane. Chiamatele
come volete, ma amatele, ascoltatele,
suonatele. Il loro è un disco che ogni bravo
dj dovrebbe avere nella sua valigetta.
Ma che può darvi l’energia giusta anche
solo per ballare in camera vostra. Davanti
allo specchio. Ovviamente mentre cucite
il vostro nuovo vestito.
Marco Daretti
Oneida
Happy New Year
Jagjaguwar/Self
Indiepsichrock / ***1/2
In una carriera così
lunga, circa nove
anni, è normale, o
meglio dire naturale,
che il suono di una
band, in questo caso
gli
Oneida
(from
Brooklyn, New York),
possa mutare. Sì, ma
in quale modo? Non certo rincorrendo le
mode last second, presenti inevitabilmente
anche nell’ambiente indie. Gli Oneida
continuano soli per la propria strada, non
accettano compromessi. Alla ricerca di
nuove emozioni ed espressioni visionarie,
senza abbandonare, e di questo ne siamo
ben felici, il tratto distintivo originario: lo
squilibrio e la pazzia. Kid Millions, Hanoi
Jane e Bobby Matador, giungono così
al loro ottavo album, Happy New Year,
decidono di accogliere in maniera
definitiva un nuovo elemento, il chitarrista
Phil Manley (già Trans Am). In questo
disco le grandi ondate psichedeliche
incontrano e spesso si mescolano con
flussi diversi e a tratti irriverenti di genere
folk, kraut-rock e nu-funk. Le tastiere acide
in richiamo vintage, le psicoagitazioni
vocali, le cavalcate sonore, elettrico
contro elettronico, distorsione come
alta forma di espressione e (persino)
l’alternative-disco.
Meno
melodico
rispetto al precedente The Wedding,
originale e ben costruito, questo disco
vi porterà inevitabilmente ad amare
questa band.
Livio Polini
KeepCool
The Sword
Age Of Winters
Kemado/Wide
Old metal / ***
Prendono spunto dalla pesantezza dei
Black Sabbath come dalla follia omicida
degli Slayer, dalle atmosfere polverose e
desertiche dei Kyuss come dalle oscure
e pachidermiche trame degli Sleep ma,
incredibilmente e sorprendentemente,
finiscono per risultare freschi ed
eccitanti nonostante questo morboso
attaccamento alla tradizione. Se pensate
che i Wolfmother rappresentino, in questo
2006, la rinascita del rock dei seventies,
date un ascolto ai The Sword. Potreste
anche cambiare idea! Nati e cresciuti ad
Austin, Texas, questi atipici ragazzi del sud,
invece che mettersi in testa uno Stetson
e imbracciare dei banjo, hanno preferito
passare il tempo a leggersi almeno per
tre volte di seguito Il Signore Degli Anelli,
sognando poi di ambientarlo nel deserto
del Texas. Ebbene: la spada nella roccia
è stata estratta così la band può correre
per il titolo di “più pesante rock act” del
momento assieme a giganti del calibro
di High On Fire, Mastodon e agli stessi
Wolfmother. Certamente nulla di nuovo
sotto il sole ma con la loro letale carica
adrenalinica i The Sword appaiono come
una grande, grandissima realtà! Con Age
Of Winters si sono guadagnati l’ingresso
nell’olimpo del nuovo “vecchio” metal.
Un debutto colossale!
Camillo “RADI@zioni” Fasulo
Smaxone
Regression
Scarlet/Audioglobe
Post-future-metal / ***
Gli Smaxone, anche se con Regression
presentano il loro album di esordio, fra le
15
proprie fila al contrario contano musicisti,
che non sono proprio degli esordienti, visto
che provengono da altre band attive da
molti anni, ossia Mnemic e Elopa. Il sound
proposto dagli Smaxone si discosta anni
luce dalle band sopra citate, ricordiamo
infatti come gli Mnemic siano dediti al
trash e gli Elopa ad un semplice rock.
Gli Smaxone sono una di quelle band
dal suono non catalogabile, a cui è
impossibile dare riferimenti stilistici senza
cadere in errori o semplificazioni. Tuttavia
possiamo dire, per osare una definizione,
che si muovono a metà strada, fra le
soluzioni di metal estremo alla Fear Factory
e le trovate fantasiose dei Faith No More;
il risultato è un calderone di composizioni
ottimamente realizzate, dove partendo
dal metal, a volte estremo, si arriva verso
sfumature al limite del pop elettronico.
Questo diciamo così, post-future-metal,
non risulta obsoleto, ma è un mix ben
riuscito, fresco e omogeneo. In oltre
Regression ha in se un valore aggiunto,
ossia il tema concettuale che è basato
sulla perdita di un qualcosa, che avviene
nella vita di un individuo quando si
verifica un evento traumatizzante ,che
può essere ad esempio una guerra. L’art
work di copertina si collega a questo
concetto, rappresentando un giovane
ragazzo che copre i suoi occhi per non
vedere e non affrontare gli orrori del suo
mondo. Io penso in conclusione che
Regression rappresenti un lavoro riuscito
in tutti i suoi aspetti, ma che in nessuna
maniera , per la sua particolarità, potrà
risultare accattivante ai più , poiché
troppo abituati a vivere anche il proprio
tempo libero con i paraocchi.
Nicola Pace
Nailbomb
Live at Dynamo
Roadrunner/Universal
Metal / *****
Live at…, rappresenta il secondo ed
ultimo concerto dei Nailbomb, side
project di Max Cavallera, in quegli
anni ancora leader dei Sepultura. La
proposta musicale si configurò subito
come un’assoluta novità a base di una
serie ossessiva di riff di chitarra stoppati,
continue e malsane urla laceranti, il
tutto sorretto da una base elettronica
sintetizzata su ritmo hard-core. Questo
accadeva nel 1995 anno in cui una tale
mescolanza non era affatto scontata
e non sarebbe stata assolutamente
accettata se non proposta da un nome
leggendario come quello di Cavallera, in
quegli anni sinonimo di sperimentazione
e qualità allo stesso tempo. Non vi
sembra quindi, viste le caratteristiche di
questa band, che i Nailbomb possano
rappresentare l’anello di congiunzione
fra il vecchio heavy-metal e l’avvento
della generazione new-metal? Tutto
questo è incredibile basta pensare
che i Nailbomb dovevano essere solo
un progetto per dare sfogo a idee non
utilizzabili nei Sepultura. Questo episodio
è la conferma di come le cose grandi si
possano fare solo in spontaneità, senza
pressioni esterne.
Nicola Pace
Kidd Jordan
Palm of Soul
Aum Fidelity
Jazz / ****
Ci sono dischi
che nascondono
un
retroterra
senza conoscere
il quale non se
ne può capire
il contenuto. E
difatti, ascoltare
Palm
of
Soul
ignorando
gli
antecedenti
porterebbe
a
pensare a un disco
inutile, pretenzioso, anacronistico nella
migliore delle critiche. Ma se, al contrario,
si ispeziona la realtà (e basta leggere le
note di copertina), si scopre che Kidd
Jordan, sassofonista ultrasettantenne,
ha appena assistito alla distruzione
(evitabile?) della sua città, New Orleans,
e del suo stesso appartamento. Si
comprende allora perché Jordan
possegga quella tensione nei silenzi,
quella acidità nel fraseggio, quel respiro
che arranca senza arrendersi. E si disvela,
anche all’ascoltatore lontano, il travaglio
espressivo di un nomade involontario; e
si riconoscono l’orgoglio e l’amarezza, il
rancore e la compassione, la speranza
e la paura. John Coltrane, Yusef Lateef,
Albert Ayler, l’espressionismo di Chicago,
le musiche orientali come il R&B (di cui
Jordan è stato un animatore indiscusso).
Tutto questo riecheggia con chiarezza
e vigore: i tre (con lui, Hamid Drake e
William Parker) non sono nuovi a lavori
di improvvisazione pura, ma qui, per via
di un concepimento doloroso, ogni nota
eseguita raggiunge un altissimo livello di
significazione.
Gianpaolo Chiriacò
KeepCool
Baba Yoga
Minimantra
Gas Tone
World music / ****
World music (nel senso più onesto del
termine) che si incontra con l’elettronica,
con un’intelligente lettura della fusion,
con un testo genialmente antimilitarista,
al livello del miglior Gianfranco Manfredi:
questa la cifra stilistica di Baba Yoga. In
virtù di una creatività inesauribile e di
una notevole padronanza dei linguaggi,
il duo (coadiuvato da numerosi ospiti)
manipola, sprimaccia, accartoccia e
reimposta diversi generi musicali. E come
fossero origami, i brani di Minimantra si
lasciano ammirare senza invadenza,
grazie a un magnetismo sottile e a un
saggio artigianato. Il materiale di base,
variopinto e resistente, è dato dagli scenari
a tratti ampi, siderali, e a tratti minimalisti;
gli accessori, invece, provengono dagli
interventi dei mille strumenti: il sax di
Daniele Tittarelli, le chitarre di Franco
Chirivì e Manuel Contreras, e tanto altro.
Ma il vero asso nella manica sono le
voci: quella (formidabile) di Elisabetta
Macchia, quella di Marta Cherni, quelle
campionate
da
Paolo
Modugno,
posseggono tutte straordinarie proprietà
incantatorie: il richiamo di un disco ricco
e seducente.
Clifford Brown. Dear Raffy, Caro Raffy,
parla da sé: il ringraziamento all’amicocollega Raffaele Casarano. Dopo lo
standard There will never be anoter you
e i brani Illusion e Birdlike, quest’ultimo
ossequio di Sabatino e Bosso a Freddie
Hubburd, si chiude con Pure Soul – reprise,
il brano-titolo dell’album suonato con
tromba in sordina e pianoforte.
Massimo Ferrari
Giovanni Allevi
Joy
BMG/Ricordi
Classica contemporanea / ****
Cosimo Farma
Andrea Sabatino Quintet
Pure Soul
Dodicilune records
Jazz / ****
L’anima
pura
sta
imparando a volare:
Pure
Soul,
Anima
pura, è il primo disco
di Andrea Sabatino
Quintet. Il brano che
dà il titolo, come tutto
il lavoro, è dedicato
alla memoria del fratello di Sabatino,
Alessandro, scomparso prematuramente
l’anno scorso. Edito da Dodicilune
records, il cd è in chiave hard bop, stile
jazz caro a Clifford Brown, e vanta la
partecipazione speciale del trumpet
Fabrizio Bosso, padrino musicale del
jazzista di Salice. Il disco apre con First
Steps, il primo brano scritto dal 25enne
Sabatino quattro anni fa. Si prosegue
con Learning to Fly, con tanto di dedica
a Bosso e al suo Fast fly, “Volo veloce”; “io
invece – dice Sabatino – sto Imparando a
volare”. Al terzo posto troviamo Pure Soul,
di cui si è già accennato: la melodia è
rilassante e concentrata, con il suono del
flicorno che scivola disinvolto tra il piano
di Ettore Carucci e il contrabbasso di
Giuseppe Bassi, tra la batteria di Andrea
Campanale e il sax di Vincenzo Presta.
A quest’ultimo strumentista, spalla di
Sabatino “da sempre”, è dedicata Mr
Vince, la quarta traccia. Poi si continua
con The fable infinity, brano composto per
“una persona che tanto ha contato”, e
Joy Spring, omaggio all’idolo di Sabatino
Nasio Fontaine
Universal Cry
Greenleeves/ Goodfellas
Reggae / ***
Quale miglior ricordo
dell’estate se non un
disco
positivo,
dal
sound
avvolgente.
A quelli a cui piace
il reggae erede del
grande Bob Marley
non possiamo che
consigliare Universal Cry del dominicano
Nasio Fontaine. In un periodo in cui parlare
di reggae è pericoloso (le varie derive
omofobiche e le relative polemiche)
questo disco arriva a mettere pace.
Perché è questa la linfa che scorre nelle
vene di Nasio, nelle sue liriche che parlano
di libertà, di vivere in modo positivo. Da
molti considerato tra le voci più belle del
panorama reggae nazionale Nasio ha il
pregio di avere un approccio alla musica
reggae legato alla tradizione ma la
contempo contaminato in senso positivo
dal pop. Quello rende il suo messaggio e
la sua musica universale, apprezzabile da
tutti. una vita per la musica, una carriera
che comincia nel lontano 1986 e che
ancora oggi cresce con la qualità delle
sue produzioni e la sua fama. Chi ama il
reggae non può amare Nasio. (O.P.)
Pier Cortese
Giovanni Allevi - due dischi per la BMG
nell’arco di una quindicina mesi - è ormai
un compositore e un interprete sicuro,
delle sue mani abili e della sua genialità. Si
sente rassicurato da una casa discografica
enorme, che gli ha fatto un contratto
ricco e una promozione internazionale
importante. Ed è sicuramente in grande
forma, nonostante il tour di più di un anno
(o grazie a quello, come afferma lui). È
sicuro, forse disincantato, ma possiede
ancora quel coraggio di stupirsi che è il
suo più grande pregio (per farvi un’idea
leggete sul suo sito, se ancora non
l’avete fatto, il celebre racconto di come
ha incontrato Muti). Senza la voglia (e
la tenacia) di stupirsi, non potrebbe far
emergere, in maniera ancora più netta
di No Concept, le sue influenze, bianche
e afroamericane: Gershwin, Abdullah
Ibrahim, Chick Corea, John Lewis, il
pianismo classico europeo. Le fonti sono
note eppure l’artista marchigiano sa
creare ogni volta melodie polarizzanti
e semplici, che si alimentano del suo
approccio stupito e del conforto del
pubblico. Per descrivere il suo piano solo
si scomodano con naturalezza Jarrett,
Nyman, Einaudi, tuttavia Allevi è diverso:
più giovanile, elettrico, forse anche più
teso, ma la sua musica ha un senso di
condivisione sconosciuto agli altri e che
lo rende così attuale e così inconsueto, in
una parola: così pop.
Gianpaolo Chiriacò
Contraddizioni
Universal
Italian style / ***
Souvenir
e
Prima
che cambierà sono
sicuramente due singoli
azzeccati.
Giravano
e ronzavano (il primo
da un paio d’anni)
nelle
radio.
Suoni
facili, voce calibrata
e testo ironico nella migliore tradizione
romana (tra Niccolò Fabi, Daniele
Silvestri e Max Gazzè, mi verrebbe da
dire). Adesso Pier Cortese - dopo anni di
gavetta in compagnia dei conterranei
Simone Cristicchi e Marco Fabi - fa il suo
esordio sulla lunga distanza con questo
Contraddizioni. Un cd non sempre
brillante ma che denota una buona
vena compositiva e interessanti intuizioni
di interpretazione e di arrangiamento.
Da segnalare Il basilico, Io pago,
Contraddizioni e la battistiana Canzone
silenziosa.
Scipione
Babaman
Come un uragano
The Saifam Group
Ragga / ****
Una ventata, anzi un uragano di
novità. Lascia sbalorditi questa prova
di Babaman, che dopo quasi 20 anni di
militanza ha costruito forse la prova della
maturità, o comunque quella che può
portarlo alla ribalta. L’album è il frutto
KeepCool
del percorso recente della vita del MC di
origini milanesi: un viaggio a Madrid nel
2004 ha infatti rappresentato una svolta
fondamentale nella sua vita, ovvero la
conversione al rastafarianesimo (per
intenderci, la religione alla base della
cultura giamaicana). E così ne risente
anche la sua produzione sonora, che
passa dal registro dell’hip-hop a quello
del ragga. Ma non è solo una questione
di sound, bensì di idee espresse. Questo
Come un uragano può essere definito,
senza ombra di dubbio, come un concept
album religioso: costanti i riferimenti a Jah
(Dio), l’unico che può giudicare (Forse mi
giudichi), ma anche ai valori sottesi alla
fede (Non è solo religione). Un inno alla
pace, all’amore, alla felicità, ma anche
un album che può far riflettere sulle grandi
questioni politiche ed economiche della
nostra società. La produzione di Bassi
Maestro (che ha spinto i bottoni anche
per Fabri Fibra) è una sicurezza ed è tutto
sommato fedele ai classici standard del
genere. Potenzialmente suggerito a tutti,
perché può piacere a tutti, sia a chi lo
ascolta superficialmente, dato che il
suono è decisamente trascinante, sia a
chi da un’occhiata ai testi: sarà costretto
a riflettere.
Dino “doonie” Amenduni
Bandabardò
Fuori Orario
On the road
Folk / ****
Due cd al prezzo di
uno, quattro inediti,
pezzi riarrangiati,
vecchi
successi,
esibizioni live. Fuori
Orario è una ricca
e
conveniente
antologia vivente
dei tredici anni di
carriera di uno dei
gruppi più “on the road” della musica
italiana. Un successo costruito nelle
piazze di tutta Italia (e di mezza Europa)
praticamente senza passaggi televisivi e
con pochissime citazioni radiofoniche.
La terra macinata sotto le ruote dei
furgoni non muta il sound di questo
gruppo degno della tradizione “combat
folk” italiana. Errico “Erriquez” Greppi e
compagni ci offrono ben 35 brani. Nel
primo cd si parte con quattro inediti: Un
uomo in mare, Filastrocca 2, Fuori Orario
e Bobo Merenda (una cover di Enzo
Jannacci). Si prosegue con 13 brani – nelle
versioni originali – dei precedenti lavori.
Il secondo disco è una bella sorpresa
con i primi 8 brani tratti da un concerto
acustico registrato al Forum Village di
Roma (segnaliamo anche la presenza al
tamburo a cornice del salentino Davide
Conte) e con le interessanti versioni di
Disegnata e Manifesto. Le ultime nove
tracce sono recuperate in giro per l’Italia
con in bella mostra l’intramontabile
Beppeanna (in una versione “vesuviana”
cantata praticamente solo dal pubblico).
Nulla di eclatante e poche novità per
un cd dedicato agli appassionati, ai
fan incalliti e a tutti i nuovi adepti che
17
sicuramente avranno incrociato la Banda
in giro per le piazze e si saranno invaghiti
di testi “politicamente scorretti” e di
musiche orecchiabili... che sono poi la
forza dell’impegnata canzone d’autore
della Bandabardò.
Gazza
Cisco
La lunga notte
Mescal
Soft folk / ***
“Per il pubblico i Modena
erano diventati solo
una scusa per divertirsi
in
piazza,
pogare,
ubriacarsi e fare casino.
Spesso anche i contenuti
erano diventati degli
slogan, che facevano
sì alzare il pugno ma spesso passavano
solo superficialmente”, spiega così Cisco
la fine del rapporto con i Modena City
Ramblers. Adesso, dopo quattordici anni in
giro con il gruppo, il cantante è diventato
più adulto e ha deciso di fare da solo. La
lunga notte è un cd di quattordici brani
che, perlopiù, si discostano dagli abituali
suoni dei Modena. Cisco, affiancato da
ospiti come Don Gallo, Massimo Giuntini
(altro ex MCR), Massimo Ghiacci e
Francesco Moneti (ancora nei Modena),
Ginevra Di Marco, Riccardo Tesi e dallo
scrittore Pino Cacucci, propone infatti un
lavoro molto più intimo e cantautoriale.
Poco spazio ai balli e alle sparate
“populiste” seppur con testi sempre
importanti in bilico tra impegno sociale e
dolore umano, tra amore e solitudine. E
la fine dell’amore nel brano di apertura.
“Insomma hai deciso e fatto i bagagli /
E non credo che ci vedremo mai più /
Hai sempre saputo badare a te stessa /
Perciò i consigli li tengo per me” suona
come un addio ad una donna ma anche
come un malinconico abbandono dei
modena e del combat folk... per un più
rassicurante soft folk. Non tutto il lavoro
è ben riuscito ma, nonostante l’età e
l’esperienza, siamo all’esordio.
Gazza
Diam’s
Dans ma bulle
Capitol
Hip-hop ***1/2
Dopo il trionfo di Brut de femme che le
ha regalato meritatamente il premio di
album hip-hop francese del 2004, Diam’s
torna con un nuovo lavoro trainato per
ora dal singolo di lancio La boulette. Un
disco ragionato, forse meno sincero del
precedente ma dal sicuro successo,
perché la Missy Elliott magrebina sa bene
cosa serve per creare un disco attraente
e il giusto mix di testi e melodie. Ed ecco
pezzi di protesta e immigrazione (Ma
France a moi, Feuille blanche), ma anche
dolci ballate (Car tu portes mon nom)
che la rendono un’artista trasversale
e ascoltata da un pubblico vasto ed
eterogeneo. Il terreno più battuto rimane
ovviamente quello di una Francia divisa
che vive quotidianamente il conflitto
interno nato dal disagio delle banlieu.
In coda ad un pezzo anche una parte
live in cui la rapper si scaglia contro il
leader del partito nazionalista francese
Jean-Marie Le Pen. In sintesi un album
completo che mantiene la necessaria
dose di cattiveria ed impegno sociale,
ma che non rinuncia a pezzi dal sapore
puramente commerciale che non
fanno che mantenere Diam’s in alto in
classifica. Il disco della maturità quindi,
che forse non piacerà a chi ama il rap
duro, ma indubbiamente anche il disco
della consacrazione che fa intendere
che tutto sommato il meglio deve ancora
venire.
Papa Ciro
Stefano Miele
Glocalizm
Vol.
1
“Samples,
traditionals e folk!!”
Mòglocal/Animamundi
Remixes / ****
Buon lavoro discografico quello del dj/
producer napoletano Stefano Miele, già
conosciuto con il nome di Madox nel
circuito della musica breakbeat europea,
che dopo la collaborazione con Nidi
d’Arac si inoltra nei territori della musica
popolare salentina, campana e pugliese.
Il disco, che contiene dodici tracce
più una bonus track feat. Caparezza,
spazia tra le melodie delle varie tradizioni
musicali del Sud Italia, remixandole ma
non stravolgendole, ospitando alcuni
tra i migliori interpreti della musica
popolare meridionale come: Ghetonia,
Marcello Colasurdo, Avleddha, Arakne
Mediterranea
e
Rosapaeda.
La
produzione è di buon livello e gli innesti
elettronici si notano ma non sono invasivi;
sembra non esserci un brano musicale
predominante, ma l’intero cd scorre
piacevolmente. Registrato a più riprese
in vari studi del sud Italia (nel Salento a
Lecce, Insintesi Studio), il disco mescola
le percussioni del tamburello con ritmiche
provenienti dall’Hip-Hop e dal Dub, come
in Tammuriata nera o in Auelì, lasciando
grande spazio agli arrangiamenti di
chitarra classica e violino. La distribuzione
del disco è affidata alla interessante
label salentina Animamundi che già da
vari anni promuove musica popolare
dimostrando, come in questo caso,
attenzione alle nuove realizzazioni della
world music nostrana. Il mosaico della
nuova musica etnica, non sempre di
buon livello, questa volta si arricchisce
di un tassello interessante, evidenziando
come, con un pizzico di consapevolezza,
sia possibile arrivare ad ottenere buoni
risultati.
Dub _ Side
KeepCool
Il sOlE nOn sORgE a EsT
PERcHE’ lO DicE la gEnTE. E’ un assOluTO!
David Thomas è un personaggio noto per
il suo carattere brusco, diretto e senza
peli della lingua, a volte addirittura oltre
il limite della comune, ipocrita, buona
educazione. Ma se si considera che
questo atteggiamento appartiene ad
un uomo che ha dedicato un’intera
esistenza a fare musica in modo serio,
concreto e professionale, non c’è da
meravigliarsi che, dopo aver incontrato
troppo spesso gente superficiale che
ama non la musica ma solo quello che ci
sta attorno, le sue posizioni e i suoi giudizi
si siano un po’ “irrigiditi” (e conditi di una
non celata autostima). Da anni porta
avanti due progetti distinti, quello solista
(in compagnia dei Two pale boys) e
quello a quanto pare immortale dei Pere
Ubu, che per l’appunto tornano oggi con
un nuovo album, Why I Hate Woman, da
poco arrivato anche in Italia. Abbiamo
colto l’occasione per fare un po’ il punto
della situazione con lui.
Sono più di 30 anni ormai che ti dedichi
alla musica, come ti senti oggi?
Mi fanno male i piedi.
So che in gioventù sei stato giornalista
musicale con lo pseudonimo di Crocus
Behemoth, e che ora però addirittura
preferisci evitarli i giornalisti e le loro
fastidiose domande. La cosa dipende da
questioni personali e/o da un qualche
atteggiamento della critica musicale
moderna che non apprezzi?
Io non evito i giornalisti, sono i giornalisti
che evitano me e le mie fastidiose
risposte!
Io non ho problemi con i giornalisti, non so
come ti sia venuta in mente questa idea.
Tutto quello che io ho detto a riguardo è
che: la maggior parte dei giornalisti non
sono tanto bravi nel loro lavoro come
lo sono io nel mio; la maggior parte dei
giornalisti non ha una solida conoscenza
di base della storia e dell’evoluzione
della musica rock. Sapresti confutare una
di queste due affermazioni?
Leggi riviste musicali? Quali reputi
valide?
Certo, leggo le riviste. Non che sto davanti
al giornalaio col fiato sosspeso pronto
a metter le mani sulle nuove uscite, ma
ne leggo un bel po’. E tutte sono valide
fin quanto si tratta di pagare i giornalisti
per scrivere delle opinioni. Io preferirei
che fossero pagati per essere intuitivi
e analitici, ma molta musica, si sa, non
necessita di analisi, ma solo di opinioni.
La colpa non è certo mia. Di chi è?
Di solito si dice che gli artisti che durano a
lungo non riusciranno mai ad eguagliare
i dischi del loro primo periodo. quasi
sempre è effettivamente così. Quando
oggi scrivi le tue canzoni avverti questa
sensazione, il pericolo cioè di non essere
all’altezza del tuo pesante passato?
Non mi piace guardare indietro, non
sono un nostalgico. Il passato è chiuso
ermeticamente. Non è una minaccia.
Non mi riguarda. Niente che si applica
agli altri è applicabile a me. Io faccio
quello che voglio. Prendi i Pere Ubu:
sarebbe impossibile comprenderli senza
partire dal principio. Noi siamo una hard
groove rock band del Midwest, che segue
la tradizione degli MC5 e Stooges. Tom
Herman diceva che la parte migliore di
una chitarra è quella che richiede il minor
movimento delle dita. Se non sei capace
di farla suonare selvaggiamente anche
con una sola corda, allora è meglio che
cambi mestiere. I Rocket from the tombs
furono e sono ancora una esperienza
di rock brutale. Quando si sciolsero, ero
determinato a trovare un altro modo
per portare avanti quell’esperienza. L’ho
detto per decenni: i Pere Ubu furono
fondati proprio a partire da questo
concetto, l’abilità di produrre un rock dal
groove brutale. Questa era la base da
cui sono partite tutte le nostre avventure
sonore. Ma siccome avevamo dimostrato
che eravamo capaci di farlo, non serviva
ribadirlo in ogni nuovo album. La nostra
missione è/era andare oltre quel punto di
partenza.
I Rocket from the tombs, la tua prima
band, avevano un nome che si ispirava ai
b-movie fanta-horror. Ma questo interesse
non è mai stato più così evidente nei
tuoi successivi progetti. Ti piace ancora
guardare questi vecchi film?
No, non guardo più quella roba. Li
vedevo decenni fa. Ne ho fatto il punto
definitivamente tempo fa.
Guarda su http://www.ubuprojex.net/
archives/mayhem.html
In tutti questi anni hai avuto modo di
incontrare e collaborare con un numero
infinito di musicisti. Quali sono quelli che
più hai sentito vicino e che in qualche
Discografia Pere Ubu
30 seconds over Tokyo/ Heart of darkness
(ep, 1975)
Modern dance (1978)
Datapanik in the year zero (anthology, 1978)
Dub housing (1978)
New picnic time (1979)
The art of walking (1980)
390 degrees of simulated stereo, Ubu live
vol. 1 (1981)
Song of the bailing man (1982)
Terminal tower: an archival collection (1985)
The tenement years (1988)
Cloudland (1989)
Worlds in collision (1991)
Story of my life (1993)
Ray gun suitcase (1995)
Harpen singles (1995)
Beach boys see dee plus (1995)
Folly of youth see dee plus (1995)
KeepCool
modo hanno influenzato il tuo percorso
artistico?
Io sono l’influenzatore, non l’influenzato.
Circa un anno fa Mayo Thompson è
apparso magicamente qui nel sud italia
con i suoi riformati Red krayola. Per lui,
nonostante si tratti di uno dei più grandi
personaggi della storia della musica
americana, il suo unico vero momento di
visibilità fu proprio il periodo passato con
te nei primi anni ‘80. In che rapporti siete
oggi?
Abbiamo continuato a vederci molto
spesso, anche se ora sono un po’ di anni
che non ci incontriamo.
So che diffidi molto delle sovraproduzioni,
che preferisci lasciare il suono al naturale,
così come viene registrato, non torturarlo
(tanto da definire il tuo metodo “ipernaturalistico”), ma d’altra parte, fai largo
uso di una serie di particolari microfoni
dai nomi bizzari. di che si tratta?
Non si tratta di microfoni. Sono degli
speaker adattati per essere usati come
microfoni. I nomi che gli abbiamo dato
rispecchiano la loro nuova funzione, sono
strani solo perchè non sai che cosa fanno.
Mi piace registrare il suono in range di
frequenza rigidamente definiti. In tal
modo l’equalizzazione rimane stampata
su tape.
Verrai in Italia per promuovere il disco?
Si, saremo domenica 8 ottobre al Centro
Stabile Cultura di San Vito di Leguzzano
(Vicenza).
Ho letto da qualche parte che la tua
massima ambizione è diventare il più
grande cantante mai esistito. Ma questo
dipenderà anche da chi saranno quelli
che ti giudicheranno: credi che ciò sarà
possibile durante la tua vita o bisognerà
aspettare che tu muoia perché qualcuno
ti riconosca come tale?
Beh, la mia ambizione non è diventare il
più famoso cantante di tutti i tempi. Non
è questo quello che ho detto. Se fosse
stato davvero questo il mio obiettivo avrei
impostato la mia carriera in tutt’altra
maniera. Essere il migliore, questa è la mia
ambizione, e questa non è determinata
dalle altre persone. È qualcosa di assoluto.
Il sole non sorge a est perchè lo dice la
gente. È un assoluto!
Davide Rufini
Datapanik in the year zero (5 cd,
anthology, 1996)
Pennsylvania (1998)
Apocalypse now (live, 1999)
The Shape of Things (2000)
St Arkansas (2002)
Why I Hate Women (2006)
Discografia David Thomas
The sound of the sand (1981)
Winter comes home (live, 1983)
Variations on a theme (1983)
More places forever (1985)
Monster walks the winter lake (1986)
Blame the messenger (1987)
Erewhon (1996)
Mirror man (1999)
Bay city (2000)
Surf’s Up! (2001)
18 Monkeys on a Dead Man’s Chest (2004)
Pere
Ubu
Modern Dance
Cooking Vinyl/ Silverline
records
Dischi grandi come monumenti,
documenti
indelebili
che
racchiudono le chiavi di volta
della storia del rock. sono
testimonianze di un passato
importantissimo che spiegano
il presente e anticipano il
futuro. Questo senza particolari
esagerazioni rappresenta un
disco come Modern Dance dei Pere Ubu. Era il 1978 quando questo uscì per segnare
il solco di una strada che si diramerà nella new wave, nel garage, nel rock nella
musica concreta. Pere Ubu è un personaggio di Ubu Roi opera teatrale di Alfred
Jarry. E come nel teatro anche in questo disco l’assurdo, l’accostamento epilettico
di elementi diventa opera d’arte e canzone. Destrutturando la classica formula
rock Modern Dance conia nuovi codici musicali. Riascoltarlo oggi, ripubblicato in
formato Cd dvd (doppia facciata) fa un certo effetto. Quasi fanno ridere alcuni
sperimentalismi contemporanei, molto di quello che abbiamo ascoltato in questi
ultimi vent’anni sembra improvvisamente più chiaro, il rumore, l’ambiente tutto
entra in questi brani. Niente etichette, niente “post” niente “no” e qualcos’altro,
questo disco è tutto e niente questo disco è la rottura e la continuità. (O.P.)
Pere
Ubu
Why I hate women
Glitterhouse records/
Venus
Non devi avere paura di ripeterti
se quello che fai è assolutamente
unico. Sembra essere questo il
motto dei Pere Ubu che arrivati
al loro quindicesimo album
sembrano non accusare gli anni
e non sentire la necessità di
imboccare nuove strade. Forse
perché di strade non ne hanno
mai avute veramente o forse perché Pere Ubu è semplicemente una creatura
e questa creatura parla questa lingua. Fedeli a quella schizofrenia musicale che
proprio loro hanno canonizzato, capitanati dalla figura ingombrante e geniale di
David Thomas i Pere Ubu riescono a tessere trame stranianti a tratti sciamaniche
e poi ancora isteriche, assurde. Sono violenti e diretti, compressi in un suono che
solo i Pere Ubu hanno. Le geometrie precise di basso e batteria sono tela bianca
per una chitarra che improvvisa naif e acida e per una voce che può evocare la
claustrofobia e la follia. C’è l’avant rock, la wave, il blues più marcio che potete
immaginare, tutto in un impasto sonoro da cui emergono canzoni come la bellissima
e tiratissima Caroleen. Molti si sono ispirati ai nostri e ascoltarli oggi serve forse a
non dimenticarlo. Bello perdersi nel noise ipnotico di Love song, nell’incipit tribale di
Mona. I Pere Ubu sono tornati, anzi, forse non ci hanno mai lasciato. (O.P.)
KeepCool
Moltheni
alla Toilette
Anticipato da un convincente singolo,
L’Età Migliore (contenuto in un ep di tre
tracce inviato alle radio prima dell’estate),
viene pubblicato in questi giorni il nuovo
disco di Moltheni, Toilette Memoria (la
Tempesta). Il sequel di Spendore Terrore,
dunque, non si è fatto attendere molto
e ci ha riconsegnato un autore in ottima
forma, capace di canzoni ispirate e,
quel che più conta, personali. Canzoni
decisamente più mature, nelle quali
songwriter marchigiano, coadiuvato
da un’ottima band e da diversi ospiti
(tra cui l’ingombrante Franco Battiato),
recupera un approccio più positivo senza
per questo perdere quella innegabile
tendenza al psichedelico che aveva
contraddistinto i lavori precedenti.
Moltheni, ti chiedo di introdurre il tuo
nuovo lavoro. Dalle sonorità mi sembra
che Toilette Memoria si inserisca
coerentemente nel filone inaugurato
dal disco precedente che, se vogliamo,
è uno dei momenti cruciali della tua
carriera.
Sicuramente. Splendore Terrore è stato
un disco molto singolare per quello
che posso chiamare la mia storia, il mio
percorso, perché si è sviluppato nell’arco
di più di due anni ed è stato un disco
molto difficile rispetto alle cose che avevo
fino a quel momento realizzato. Toilette
Memoria si rifà al suo predecessore
ma ha uno sguardo più aperto, e non
mancano ballate più immediate, senza
che vengano meno i pezzi più dilatati
e ipnotici. Toilette Memoria è una
prosecuzione, ma se vogliamo è più
solare del precedente.
Il titolo Splendore Terrore descriveva
appieno il suo contenuto. Toilette
Memoria invece è quasi imperscrutabile.
Che cosa vuoi dire con questo titolo?
Semplicemente è legato ad un
aneddoto che ho vissuto personalmente
l’anno scorso. È un ricordo che avevo in
testa durante le registrazioni e che mi è
sembrato suonasse bene.
Da quello che ho letto questo lavoro
dovrebbe
avere
una
promozione
efficace, non a caso avete da poco
terminato il videoclip de L’Età Migliore. Ti
piace questo aspetto del tuo lavoro?
Mi piace tutto ciò che riguarda la parte
iniziale, l’idea, la programmazione, lo
sviluppo del progetto, e mi piace la parte
finale. Quello che c’è in mezzo lo detesto
vivacemente.
Per una serie di casualità ma anche per
eventi piuttosto difficili, hai pubblicato
dischi con diverse etichette passando
così in rassegna alcune situazioni molto
diverse tra loro, sia in ambito indipendenti
e che in quello major. Che opinione ti sei
fatto?
Per me lavorare con le major è una cosa
ormai impossibile, anche eticamente
intendo. Fa davvero schifo il loro mondo.
E fa ancora più schifo quando si relaziona
alla musica italiana. Il lavoro delle major
da noi è davvero scadente. Chiudiamo
quindi subito il discorso major. Per quanto
riguarda le indipendenti io credo che
qualcosa stia cambiando ma non è
semplice e credo che nella maggior parte
dei casi le label lavorino male. Il poco
che raccolgono è frutto di questo lavoro
mal svolto. Quei pochi soldi che girano
in questo ambito credo non vengano
gestiti al meglio. Io mi considero anche
fortunato, nel senso che la mia etichetta,
la Tempesta Dischi (quella dei Tre Allegri
Ragazzi Morti, ndr) è da considerarsi
un’isola felice. In generale chi ritiene che
la situazione delle etichette indipendenti
in Italia sia buona ha una percezione
sbagliata della realtà.
Qualche tempo fa hai pubblicato un live
stampato solo in vinile. Come mai questa
scelta?
Avevamo voglia di pubblicare un disco,
un 33 giri. Abbiamo utilizzato registrazioni
non particolarmente cristalline, una
sorta di bootleg, e quindi l’abbiamo
fatto in totale leggerezza. Il disco non
è distribuito ed è stato stampato da un
nostro amico di Mantova, questo per farti
capire che l’abbiamo fatto senza porci
tante domande. Poi, il problema in sé
non è tanto il vinile, quanto il fatto che
sono ormai pochissimi quelli che hanno
un giradischi in casa.
Sei un grande ascoltatore di musica. In
molte tue interviste hai spesso ribadito di
aver passato una lunga parte della tua
vita ad ascoltare dischi. Adesso? Quali
sono i dischi che stai ascoltando?
Ho riscoperto Rufus Wainwright che
secondo me è un grande cantautore,
dalle doti vocali non comuni, e che
apprezzo anche come compositore. E poi
molto folk: Will Oldham, Hope Sandoval,
Vetiver, Devendra Banhart… ma non ho
degli autori preferiti. Vado per periodi, e
quando trovo il disco giusto, lo ascolto
a ripetizione. Quello che credo è questi
ascolti non mi condizionano quando
compongo.
Quindi ritieni che autori del nuovo folk
americano come quelli che mi hai citato
non abbiano influenzato un lavoro scarno
e ossuto come Splendore Terrore?
Ma no, credo di no. Io mi lascio ispirare
dagli stati d’animo. A volte quello che
ascolto, in determinati periodi, può
concorrere a calarmi in un romanticismo
che poi, impercettibilmente, può affiorare
nella scrittura. Questo può accadere
e probabilmente è accaduto anche
con Toilette Memoria, ma dire che mi
influenzano non credo sia corretto.
Ilario Galati
KeepCool
Giardini Disco Pax
Musica indipendente made in Emilia
Non è un errore, non sono impazzita
(questo è da vedere direte voi), Giardini
Disco Pax è una liason cacciata fuori da
Max (cantante - non cantante pardon solo voce degli Offlaga Disco Pax) a fine
concerto, quando sul palco di Giovinazzo
erano in otto, ognuno a uno strumento,
Offlaga e Giardini insieme a proporre una
versione noise di Iggy Pop, un’esaltante I
wanna be your dog. Incontriamo Jukka
Reverberi dei Giardini di Mirò e di seguito
Max Collini del collettivo neosensibilista
Offlaga Disco Pax nel backstage del
Giovinazzo Rock Festival, nel postconcerto della prima delle tre serate in
programmazione. Entrambi altamente
soddisfatti della situazione, entrambi
reduci dalla data del Soundlabs festival
a Roseto, il giorno prima.
Tornate in Puglia a due anni dalla data in
Salento. Cosa è cambiato da allora?
Jukka – GdM - Il primo cambiamento,
quello più evidente, è che non c’è
più Alessandro (Raina ndr) alla voce.
Al suo posto, cantiamo io e Corrado
(Nuccini ndr) che si occupa anche
dei testi che canta. Per il resto i GdM
rimangono gli stessi, come rimangono
fondamentalmente uguali anche i suoni,
gli arpeggi.
A questo proposito, ci spieghi come
nascono i vostri pezzi? Come sono nati
Punk not diet (uscito per la Homesleep
nell’ormai lontano 2003) e Hits for broken
hearts and asses (uscito soltanto per
l’etichetta tedesca 2-nd rec). Come
nasce North Atlantic Treaty of Love, l’ep
ultimo nato?
I
nostri
pezzi
non
nascono
dall’improvvisazione, anzi d’improvvisato
c’è molto poco. Abbiamo sempre
in mente la struttura della canzone.
Nascono gli intrecci di chitarre, la parte
melodica a cui io sono maggiormente
interessato. Poi ci sono i testi di Corrado
che ad esempio è influenzato dai suoi
molteplici ascolti. Un pezzo nel nuovo
disco sarà cantato da Glen Johnson
dei Piano Magic che per attitudine ci
e’ molto vicino. Anche Jonathan dei
Settlefish ha aiutato e collaborato nella
scrittura di alcuni testi. In ultima fase ho
scritto anche io a mia volta una parte
vocale ed è stato divertente e molto
spontaneo.
Qual è la vostra filosofia e l’approccio
che avete alla musica? Fate altro nella
vita?
Ciò che abbiamo sempre fatto, e speriamo
di continuare a fare, è mantenere la
nostra libertà e indipendenza. Per tale
motivo siamo e saremo proprietari dei
master e non prendiamo né prenderemo
soldi dall’etichetta per questo. Non siamo
mai stati obbligati o indirizzati nella scelta
del nostro sound. Facciamo ciò che ci
piace fare, non subiamo pressioni. E sì,
nella vita facciamo altro. Non tanto altro
io, che sono pigro…se non consideriamo
il lavoro che è condizione obbligatoria
per noi tutti.
Ultima, ovvia, domanda. A quando il
prossimo lavoro? Uscirà sempre per la
Homesleep?
Il prossimo disco uscirà a gennaio per
Homesleep, se tutto rimane così come è
chiudiamo un ciclo di tre dischi.
Max, di nuovo in Puglia. Sempre e solo
vicino a Bari, però.
Max – ODP - Eh già, la scorsa volta
siamo stati allo Zenzero. Bell’esperienza,
ancora più bella questa sera. Un grande
e caloroso pubblico (nonostante il tempo
capriccioso aggiungo io: piove a tratti
e soprattutto c’è un terribile umido che
si appiccica addosso e amplifica la
mia laringite sino ad azzerare - nel vero
senso della parola - la mia voce). È vero,
non siamo mai scesi più giù di Bari e ci
piacerebbe molto venire nel Salento.
Anzi, trovateci una data!
Ti vedo stanco e provato. In cosa siete
impegnati in questo periodo? Che
progetti avete per il futuro?
Stanco provato ma felice. È il quarto
concerto in cinque giorni ma va
benissimo così e ti ripeto che è stata una
serata fantastica. Adesso continuiamo
il nostro tour, ne avremo fino a ottobre.
In programma, l’uscita per l’Unhip di
Socialismo Tascabile in vinile.
Ci parli di questa performance con i GdM?
È stato un fortuito e fortunatissimo (per il
pubblico presente) caso vedervi suonare
insieme (da qui i già citati Giardini Disco
Pax) o state portando avanti una vera e
propria collaborazione?
Ieri sera sul palco di Roseto è stata la
prima volta che abbiamo tentato ed
eseguito il pezzo di Iggy Pop, e l’abbiamo
scelto solo ed esclusivamente perché era
facile. Chiunque può intonare I wanna
be your doooooog! Ma in realtà Jukka
ed Enrico (Fontanelli, “basso, moog
prodigy, casiotone, basi, premeditazioni
grafiche, pensiero debole” come si
legge nel booklet da loro stessi lanciato
durante il concerto, insieme alle chewin
gum alla cannella ndr) vengono dalla
stessa città (I Love Cavriago si legge sulla
maglietta di Jukka ndr). Burro dei Giardini
ha suonato la batteria per noi anche nel
disco in Enver e Cinnamon, come avete
visto oggi.
Max, i tuoi racconti sono tratti da storie
vere? Le cose che scrivi sono così tristi,
crude, forti anche nella realtà? Se l’ultimo
pezzo fosse durato un po’ di più il pubblico
sarebbe scoppiato in lacrime.
Barbara, l’ultimo pezzo che abbiamo
fatto, un pezzo nuovo, sì, è vera. E anche
le altre storie che racconto (perché Max
non è cantante lo sottolinea sempre
ndr) sono cose che mi sono accadute
realmente. E fanno male. Davvero.
Valentina col supporto e soprattutto la
voce di Gabriele e Giuseppe
KeepCool
SalTO nEll’InDiE
NicOTinE REc
Continua il nostro viaggio alla scoperta
dell’underground
musicale
italiano.
Questo mese ospiti della nostra rubrica
dedicata alle etichette indipendenti
italiane sono i ragazzi della Nicotine rec
che produce e promuove il rock and roll
un po’ ovunque.
Perché
abbiamo
bisogno
della
Nicotine? Per quali tipo di dipendenze è
consigliata?
Non so da quali tipi però, spero che
diventiate dipendenti dalla Nicotine rec.
Cosa e chi c’è dietro la Nicotine?
Dietro la nicotine ci sono Gianfranco,
Alberto, Cristina.
Cosa?
Tanta passione, molto sbattimento e
grandi soddisfazioni e bello sapere che
ci sono tante persone nel mondo che
conoscono i nostri artisti, una novità sarà la
creazione di una sublabel della nicotine,
si chiamerà Black Hellvis e guarderà con
un occhio di riguardo i talenti nostrani e
non solo.
Ci racconti un po’ di storia? Da dove siete
partiti, dove siete arrivati e dove volete
andare?
Tutto iniziò circa 6 anni fa (autunno del
‘99) l’idea nacque da Alberto, Massimo
e Roberto con l’intento di produrre il
7” di una band della nostra città i Los
Activos (ora sciolti) ma per problemi
legati ad alcuni componenti della
band in questione l’uscita fu rinviata,
comunque era ormai nata l’idea di una
indie. Il passo successivo fu la creazione
di un web site (www.nicotinerecords.
com primavera del 2000) nei mesi
successivi le prime pubblicazioni dei 7”
dei Most Unusual Sound (Street Stalker)e
dei Thee Psychotones (Introducing thee
Psychotones) con una risposta molto
positiva sia della stampa nazionale che
internazionale. Per quanto riguarda i primi
un esplosivo debutto fra GaragePunk
e Blues merito dell’esperienza dei
membri (2 di loro ex membri dei Two
Bo’s Maniacs, pionieri del lo-fi sound in
Italia, collaborazioni con Oblivians e un
album prodotto dal guru Tim Kerr, Poison
13, Monkeywrench) e il bassista che fa
anche parte della storica band Sick Rose.
Per quanto riguarda i Thee Psychotones
- già al secondo singolo – si trattava
di una chicca di garagepunk sixty e
Detroit sound. Poi
uscirono il 7” split
fra i punkrockers Los
Activos e le Brigate
Rozze (le Brigate
ormai scioltasi band
romana acclamata
nel circuita Hardcore)
e il cd dei Mutzhi Mambo. La band
canta in madre lingua ma con un suono
molto particolare, un mix fra Cramps,
Buscaglione, Psychobilly e Swing. Il resto
è storia.
Quali chicche ha in serbo il vostro
catalogo?
Beh direi tutte……. ecco alcuni nomi
The Wild Weekend, Bad News, Stabilisers
(A.Crockford ex J.Taylor Quartet, The
Prisoners), Dee Jaywalker (chitarista
della band di Marky Ramone and the
Speedkings), Human Tanga, Fleshtones
(storica garage band Newyorchese),
Model Citizen, Gaza Strippers, Popzillas. Il
resto lo potete acquistare e ascoltare sul
nostro sito.
Quali le novità, quali le anticipazioni?
Innanzitutto ci sono i Brain Eaters. Una
esplosiva band parigina che propone una
miscela di punk, garage, surf, rockabilly.
Poi segnalo i Slapstick, un giovane
quintetto al suo album di debutto. Il loro
è un punkr’n’r sulla scia dei mitici Gaza
Strippers
Rock and roll will never die, oppure
annaspiamo?
Noi ci proviamo a non morire mai, nella
vita bisogna provarci e portare avanti le
proprie convinzioni
Cosa non produce la nicotine ma piace
alla Nicotine, dieci dischi di sempre che
bisogna avere assolutamente.
Beatles: Sgt.Pepper’s Lonely Hearts Club
Band
Led Zeppelin: 1,2,3,4
Ramones: Leave Home
Dream Syndicate: omonimo,the days of
wine and roses,medice show
Rolling Stones: Stiky Fingers
Bach: tutto
James Brown: Papa’s got a brand new
bag
David Bowie:The Rise and Fall of Ziggy
Stardust and The spiders from mars
Mark Lanegan: Here Come The Weird
Chill
Stooges:omonimo
E un mucchio di altri dal pop al Jazz,dal
Metal al Blues……..insomma la musica ci
piace
Dove possiamo trovare i dischi della
nicotine?
Il catalogo della nicotine lo si trova sul
nostro website alla pagina produzioni
indirizzo sito www.nicotinerecords.com
vendiamo online e ci appoggiamo
per pagamenti sicuri a Paypal, debbo
dire purtroppo che usufruiscono di
questo servizio solo persone provenienti
dall’estero spero che anche gli utenti
Italiani prendano in considerazione
questa opportunità di acquisto visto che
i cd arrivano direttamente alla vostra
abitazione con un notevole risparmio
di tempo e denaro (consiglio a tutti di
fare carta di credito ricaricabile tipo
paypost e sicura e la carichi solo quando
devi acquistare e non hai spese di
contocorrente), nei prossimi mesi sarà
on line il nuovo sito con annesso negozio
virtuale dove comprare sia dischi della
nicotine che di altre etichette. Per
entrare in contatto con noi (siamo quasi
pronti con il nuovo website ove ci sarà
un form per contattarci) per ora si può
usufruire del nostro indirizzo cartaceo
che è Nicotine Records C.P.16515057
Tortona (AL) o lasciare un messaggio
su nostro guestbook o su nostra pagina
myspace
http://www.myspace.com/
nicotinerecords
inoltre
è
possibile
scaricare 2 mp3 per ogni produzione
e videoclip in wmv o ascoltare alcune
songs su myspace. Riepilogo indirizzi:
www.nicotinerecords.com
http://www.myspace.com/
nicotinerecords
http://www.blackhellvis.com/ nostra sublabel
ciao a tutti
Osvaldo Piliego
Coolibrì
Narrativa, Noir, Giallo, Italiana, Sperimentale
23
la letteratura secondo coolcub
Tutto in una notte
Tony Parsons
Barbera editore
****
Se mai avessi potuto scegliere sarei
sicuramente nato quello stesso anno,
o giù di lì. E se avessi potuto scegliere
un lavoro di sicuro avrei fatto quello dei
protagonisti di questo libro, se poi proprio
potessi anche scegliere una città... beh
Londra sarebbe perfetta. Elementi che
compongono Tutto in una notte di Tony
Parsons. È il 1977, anno nodale per la
storia della musica, tre giornalisti musicali
vivono nell’arco di una notte l’esperienza
che cambierà loro la vita in una Londra
che vive uno dei suoi anni più intensi. È la
notte in cui il mondo del rock saluta per
sempre il suo re Elvis, una notte in cui tutta
la musica sembra sfilare nelle vite dei
protagonisti. Tre personalità musicali e
umane differenti, che messe una accanto
all’altra sono capaci di delineare in
maniera vivida e accurata il panorama
di quel periodo. C’è il folk, i nostalgici dei
Beatles, il punk, il glam. Ci sono i mod, gli
operai e lo star system. Come in tutte le
storie che si rispettino c’è l’amore, anche
qui molteplice e unico allo stesso tempo.
C’è innanzitutto l’amore per la musica
(l’autore prima di dedicarsi alla narrativa
ha lavorato per New musical express),
la passione, la ricerca e la paura del
nuovo.
È un libro in cui le pagine trasudano il
legame che autore e personaggi hanno
con il rock che come una bussola guida
le loro vite, le rende speciali. Sembrano
quasi distanti dal mondo, lontani dalla
quotidianità, dalle cose normali. Sono
ragazzi persi tra i dischi e rintanati nei
locali fumosi.
Ragazzi che sognano di parlare con i loro
miti, che vivono di miti.
Ma l’amore non è solo musa ma è anche
donna. Ad ogni personaggio maschile
del libro corrisponde una donna che farà
irruzione e rivoluzione.
Le donne rappresentano la chiave di
volta per la vita dei tre. Tutto questo
accade in una sola notte. Le ore passano
veloci come veloci scorrono le pagine.
Cambi di scena repentini offrono scorci
intermittenti delle storie di tre che si
separano per poi incontrarsi, allontanarsi
di nuovo e alla fine ricongiungersi. Una
bella avventura, di quelle positive, una
di quelle storie che ti prendono, in cui un
po’ ti immedesimi. Tutto sembra affidato
al caso, anche la scrittura immediata
come fosse cronaca, e invece non è
così. Niente è lì per caso e te ne accorgi
quando ritrovi tutti i pezzi magicamente
al loro posto. Un regalo ideale da fare a
chi ama la musica ma anche a chi non
capisce quanto sia importante per voi.
Osvaldo
Coolibrì
24
La figliola che si fidanzò con
un racconto
Rocco Brindisi
Empirìa
Stanze, malinconie,
amori,
disamori,
allegrezze, spaventi
di Dio, fatazioni di
mani, culi, angeli
ed
espressioni,
metafore e aggettivi
sorprendenti
fanno
la meraviglia de La
figliola che si fidanzò
con un racconto.
L’autore è Rocco
Brindisi, maestro di
scuola lucano che dei lucani porta la
fierezza e la sapienza, l’umiltà densa di un
mondo magico custodito con dedizione
ed intatto nonostante i clamori e le
bastonate del tempo. Silenzio che parla
dagli occhi, strumento e tramite della
sua scrittura, come quelli di Anna, “occhi
lucenti, a crepamore”. Uno scrittore
popolare che mischia le narrazioni e le fa
diventare visioni, “uno scombinamento
di cuore” e d’orizzonte. Un incedere
affabulante, il suo, da incantatore e
colpi di poesia in “un mucchio di pagine
cantate”, per una trance narrativa che
pare nascere da un affidamento ad un
dio animale, un puro accogliere voci
che costruisce storie evocando “un
mondo che non sta ne in cielo ne in
terra”. Un dettato magico che mischia
peli, carne, umori, passioni e, “rigo
dopo rigo le parole deviano dagli usi
comuni, e i verbi, i sostantivi, gli aggettivi,
la loro combinazione in figure fanno
deragliare tutte le nostre consuetudini,
riportandoci da un lato come in un
sogno alle origini della verbalizzazione
e spingendoci dall’altro in avanti, oltre
la nostra modernità estenuata, tra esseri
umani, angeli, fantasmi, libri, film che
germogliano tutti da un unico giardino
delle delizie”. Noi, leggendo, dobbiamo
imparare a stargli appresso, inseguirlo
nella sua realtà, altra, diversa, da quella
esausta del nostro malato tempo senza
più stupore, senza l’oh! che sgrana gli
occhi e apre la bocca e ci fa piccini
nell’ascoltar fiabe, nel palpito d’amore,
nel volgerci al “pieno di compassione”
per timore del “brutto fatto”. Quando
ci accorgeremo che il racconto sarà
finito cambieremo faccia, ci faremo seri,
ansiosi, come se lì attorno fosse comparso
qualcuno che si fosse ingelosito del nostro
tornare indietro nel tempo, quando la
sorpresa era il pane del nostro crescere,
del nostro confermarci al mondo.
Mauro Marino
Impronte di pioggia
Christian Mascheroni
L’Ambaradan
Christian Mascheroni
è
un
autore
di
programmi televisivi.
Lavora per Mediaset.
Programmi
quali
Popstar,
Solaris
e
Appuntamento con
la storia portano la
sua firma. Impronte di
Pioggia, edito dalla
casa editrice torinese
L’Ambaradan è il
suo primo romanzo.
Ci troviamo di fronte ad un romanzo
che, pur presentando le pecche e le
ingenuità tipiche di un esordio, legate
soprattutto ad un insufficiente lavoro
di editing, è dominato da un’intensità
davvero straziante. La storia ha come
protagonista Pioggia, un bambino di
nove anni cresciuto troppo in fretta,
che assiste impotente all’irreversibile crisi
del matrimonio dei suoi genitori, Eléna e
Raul. Eléna è una giovane donna, dotata
di grande sensualità, legatissima al figlio,
autodistruttiva, forte e fragile al tempo
stesso, consunta da un amore totalizzante
per un marito poco presente, sempre
troppo ubriaco, traditore incallito. La
storia si snoda seguendo il punto di vista
di Pioggia, strenuo difensore dell’integrità
psichica della madre, la cui solitudine
e il cui sbandamento vengono alleviati
grazie al dialogo costante con un gatto
e un canarino prodotti dalla sua fervida
immaginazione. Inutile dire che la storia,
nel finale, subisce un’accelerazione verso
i toni del tragico. Senza svelare troppo.
Durante la lettura più volte mi è capitato
di pensare che questo romanzo in
realtà poteva benissimo essere utilizzato
come soggetto per un lungometraggio.
Anzi, vi dirò di più. A mio parere il ruolo
di Eléna potrebbe essere interpretato
da Valeria Golino. Mentre leggevo le
pagine dedicate alla vita emotivamente
al collasso di Eléna si palesava innanzi a
me il volto di Valeria Golino. Ma questo è
un mio problema.
Rossano Astremo
Ritorni e altre storie
Massimo Barone
Ilisso
Massimo
Barone
beve una vodka
tutta d’un fiato.
Massimo
Barone
fuma un sacco di
sigarette. Massimo
Barone
ascolta
Satie, e si sente
come
Paperino
quando
Paperino
è incazzato nero.
Massimo
Barone
racconta delle storie che ti lasciano
senza fiato. Tre righe per dire quello che
si trova nella raccolta di racconti Ritorni
e altre storie, di questo scrittore romano,
classe 1942, classe da vendere, sia per il
suo aplomb d’altri tempi, sia per la sua
scrittura colta e lucida, pulita come una
lastra di marmo, sottile come una lama
che arriva dritta dove deve arrivare. E
la scrittura di Massimo Barone arriva al
cuore passando per il cervello, organo
che tra i due sicuramente lui predilige.
Uomo dalla raffinata intelligenza e
dall’ironia puntuale, riesce a narrare storie
di nostalgia e rimpianto, storie struggenti
che non diventano mai lagnose, proprio
grazie a quell’ironia, che puntuale arriva
a tirar su il tono, quando il racconto
rischia di provocare una lacrima. Come
in Ulisse e Ermes, sicuramente il mio
racconto preferito della raccolta, che
ripercorre, nel bene e nel male, alcuni dei
punti cardine, delle chiavi di volta, della
generazione che in un certo senso ha
cambiato il mondo, cioè la generazione
del ’68, tra grandi bevute, grandi ideali e
viaggi all’altro capo del mondo in cerca
di eroina a prezzi bassi.
Dario Goffredo
Disturbi del sistema binario
Valerio Magrelli
Einaudi
Disturbi del sistema binario segna
una sensibile evoluzione all’interno
Coolibrì
del percorso poetico della scrittore
romano Valerio Magrelli. Nella raccolta
è presente una forte opposizione tra la
prima parte, aperta alle più disparate
sollecitazioni proveniente dalla cronaca,
e la seconda, tutta volta a rappresentare
situazioni di vita domestica. A ciò si
aggiunge una terza parte, nella quale
Magrelli prova a comprendere la
banalità del Male tramite un celebre
test percettivo basato sull’ambiguità
dell’immagine (L’individuo anatra-lepre).
Parlo di sensibile evoluzione, nonostante
la presenza della solita razionalità e
geometria del suo far versi, che lo
contraddistingue sin dall’indimenticabile
esordio del 1980, “Ora serrata retinae”.
C’è, però, in quest’ultimo lavoro,
un’attenzione più pressante nei confronti
della sfera privata, della vita familiare,
e, in particolar modo, dei propri figli. Un
Magrelli più intimista e meno cervellotico.
Non a caso, nell’unica occasione nella
quale ho avuto modo di dialogare con
lui, ciò che mi ha sorpreso maggiormente
è stato scoprire l’uomo Magrelli attraverso
il suo racconto di aneddoti aventi come
protagonisti i propri figli. Ecco un assaggio
della raccolta: “È immagine di poesia, la
figura / paterna che si nutre di me, / la
tenia che divora da dentro la mia vita?
/ Immagine di poesia è la figura / di mio
figlio, che beve proteso / verso il rubinetto
alzandosi / su un piede, mentre l’altra
gamba, / prodigio della statica, / distesa
oscilla in aria, contrappeso / magico per
bilanciare la sete. / Avessi anch’io la sua
grazia / nell’equilibrare la fame / di chi
dentro di me / si sporge e mi dilania!”.
Magrelli ha dato nuovamente alle
stampe una raccolta di grande impatto
emotivo. Uno dei più grandi poeti italiani
viventi. Della sua generazione come lui
solo Milo De Angelis.
Rossano Astremo
Senza polvere senza peso
Mariangela Gualtieri
Einaudi
Dopo la raccolta del 2003 Fuoco
centrale, ecco un nuovo lavoro in versi
per Mariangela Gualtieri. Senza polvere
senza peso, questo è il titolo del libro che
per la prima volta raccoglie versi scritti
non per il teatro, ma nel quale emergono
i tratti distintivi della sua poetica, continua
registrazione rapsodica e, a tratti,
25
delirante, della
sua
emotività
tagliente, del suo
flusso
emotivo
corrosivo, della
sua
coscienza
pura, verginale,
volta a cogliere
le
limpide
corrispondenze
tra l’essenza dei
suoi stati d’animo
e il mondo che
attorno le si agita.
Ciò che emerge, nei versi della Gualtieri,
è un totale salto in avanti rispetto ad una
concezione della poesia ben ordinata
nel suo pacchetto metrico e stilistico e un
assoluto lasciarsi andare della parola che
diviene strumento profondo di analisi,
potente
meccanismo
terapeutico,
straziante e sublime terreno sul quale
poter spargere i semi dello stato sorgivo
del proprio essere. Forse, rispetto ai lavori
precedenti, messi in scena dal Teatro
Valdoca, emerge una tensione positiva,
un filo rosso di gioia, che si concretizza
nei versi d’amore per figure familiari. Una
su tutte, la poesia dedicata a Cesare
Ronconi, compagno di vita e regista del
Teatro Valdoca: “Ho la parola amore per
te / la lavo ogni mattina dal salmastro / la
impasto col mio grano / la essicco dal suo
molle / scortico tutto il rosa / e sono io la
tua sposa marina / mio cuore capitano”.
Rossano Astremo
Icaro la seconda edizione, la precedente
data 1987 a cura del Circolo Ghetonìa di
Calimera: un caso editoriale che esaurì in
pochi giorni le copie stampate. Il libro è
narrativamente intenso, mischia vicende
seguendo la vita di due personaggi
chiave, Pippì e Rocco, che crescono
traversando gli anni poveri della dittatura
e della guerra sino al 1945. Due parti e
due diversi movimenti di racconto. Il
primo attento ad una descrizione del
“piccolo mondo antico” di Calimera,
col suo dialetto-lingua, le credenze, la
morale, la durezza della quotidianeità di
un paese che vive profonde modificazioni
e trasalimenti. Il secondo apre l’orizzonte,
verso la città. Lecce appare, méta di
traversate in bicicletta, con le sue strade
e un tormento borghese che tenta
spazi di agibilità, che cerca ricchezza,
affermazione, ribaltando antichi timori
e soggezioni. Ntoni, il padre di Pippi è
campione di scaltrezza. Affascinatore e
profittatore, mercante di carbone che
si fa padrone. Una cronaca capace di
costruire il quadro di un epoca rimasta
oscura a molti di un Salento inedito e vero,
rimasto segreto, familiare, nei racconti
ascoltati nell’infanzia. Una vicenda
cruda che ci aiuta nei primi passi verso la
messa a punto di un nuovo catalogo del
romanzo salentino
Mauro Marino
Della fotografia trasgressiva
Pino Bertelli
Il sole e il sale, romanzo griko- Nda Press
Dopo
Cinema
salentino
Rocco Aprile
I libri di Icaro - narrazioni
Rocco Aprile è
un signore gentile
con una parlata
fine, che seduce.
È uno storico, di
quelli utili ai territori
perché
capaci
di dare lucidità e
certezze a chi li
abita, andando
a cercare i fili
delle
storie
e
della Storia. Della
Grecìa è uno dei padri nobili, autore di
saggi chiarificanti e suggestivi. Il sole e
il sale è il suo primo romanzo, quella di
dell’eresia
Pino
Bertelli ci regala
una
nuova
pubblicazione
targata Nda Press.
L’autore
è
una
figura di spicco del
neos i tua zi oni s m o
italiano e come
tale non poteva
non rendere omaggio a Diane Arbus la
fotografa della trasgressione, degli ultimi,
degli imperfetti, dei Freaks. L’obbiettivo
della Arbus colpisce e lascia il segno, scatti
a volte imperfetti che fanno rabbrividire
e pensare. Le immagini di devianti e
fenomeni da baraccone, che Diane
immortalava, non pongono l’accento
26
sulla loro pelle, sulla loro presunta
sofferenza, sulla loro infelicità quanto,
piuttosto sull’indifferenza e sull’autonomia.
Per dirla con parole sue “quelli che
nascono mostri sono l’aristocrazia del
mondo
dell’emarginazione...
quasi
tutti attraversano la vita temendo le
esperienze traumatiche, i mostri sono nati
insieme al loro trauma”. La Arbus mette
in luce ciò che la società nasconde,
non la sofferenza di un incidente ma la
normalità nella mostruosità. Il suo genio
ha rotto con tutte le scuole, le prassi o
narcisismi della scrittura fotografica. Ha
mostrato che più un fotografo è lo “stile”
delle sue fotografie e più sarà universale.
Il 27 luglio del 1971, Diane Arbus si dà la
morte. Nel suo diario, aperto sul ventisei
luglio lascia queste parole: l’ultima cena.
Il genio ha inizio sempre col dolore.
Simone Rollo
Una generazione piena di
complessi -Miti e meteore
del beat italiano
Claudio Pescetelli
Editrice Zona
Una chicca per gli appassionati del beat
di casa nostra, delle gonne optical, dei
primi allucinogeni e dei party in cantina.
Un faticoso lavoro di catalogazione di
tutti i gruppi più o meno conosciuti che
hanno prodotto almeno un 45 giri nel
periodo compreso tra il 1964 ed il 1970,
l’unico discrimine che ha segnato questo
simpatico abbecedario di meteore è
che le sonorità siano beat. Sono anni
particolari per l’Italia, la televisione ancora
non è in tutte le case, i ritmi delle canzoni
sono melodici e convenzionali, sono gli
stessi anni in cui stanno per esplodere
fenomeni come i Beatles ed i Rolling
Stones. Nella cattolica Italia il fenomeno
non può esplodere così come nel Regno
Unito ed è così che in perfetto stile di
casa nostra nasce la “Messa Beat” che
fungerà da trampolino per molti gruppi
emergenti. Gruppi come i Cavernicoli,
mitico complesso, elevato a culto grazie
al loro unico 45 giri che li raffigura nudi
con pelli di animali o come Toto & i Tati
ovvero primo gruppo di Toto Cutugno.
Un libro che può accompagnare gli
appassionati del vinile nei propri acquisti
da collezione nei mercatini delle città o
sulle aste di e-bay.
Simone Rollo
Polis. Dialogo di sociologia
urbana
Franco
Fuksas
Manni
Ferrarotti/Massimiliano
Cinquantasei pagine di dialogo e una
trentina di immagini per parlare del
rapporto tra l’uomo e lo spazio urbano,
per discutere della città e del ruolo che
essa deve avere in questo secolo. I due
protagonisti sono il sociologo Franco
Ferrarotti e l’architetto Massimiliano
Fuksas che intavolano un interessante
scambio di opinioni che passa dal
ruolo dell’architetto alla democrazia,
dalla xenofobia agli incidenti scoppiati
nelle periferie francesi. I due mettono
a disposizione del lettore i loro punti di
vista e i loro differenti approcci della
società e ci consegnano un libro che è
un ottimo spunto per lanciarsi in riflessioni
più approfondite. (pila)
Echi Perduti
Joe R. Lansdale
Fanucci
La
fortuna
che
da alcuni anni a
questa parte sta
accompagnando
in Italia le uscite di
Joe R. Lansdale è
pari soltanto al calo
qualitativo registrato
da molti estimatori
dello scrittore texano.
Ad una produzione
elefantiaca
(tra
romanzi,
racconti,
sceneggiature, il nostro può competere
tranquillamente con Stephen King)
non corrisponde in effetti un adeguato
numero di capolavori, o almeno di opere
apprezzabili in toto. Pure, Lansdale non è
un bluff: La Notte del Drive-in (Einaudi),
Fiamma Fredda (Il Giallo Mondadori)
e la raccolta Maneggiare con cura
(Fanucci) rappresentano le massime
vette di un narratore di razza che da
noi ha trovato in Niccolò Ammaniti il suo
testimonial più rilevante. Spiace tuttavia
notare quanto i due scrittori abbiano
più o meno consapevolmente scelto di
adagiarsi in tempi recenti su proposte
“soft” dopo aver incontrato il favore del
grande pubblico: storie che hanno come
protagonisti bambini o adolescenti,
freno a mano tirato all’approssimarsi di
passaggi radicali, urticanti, figli di quella
furia anarcoide che abitava i primi lavori
dell’uno e dell’altro. Non fa eccezione
Echi Perduti, romanzo giocato sul dono/
maledizione soprannaturale di Henry,
un ragazzo in grado di rivivere scene di
violenza realmente accadute in passato.
Lansdale gioca apertamente sul terreno
del King de La Zona morta e perde
puntualmente fiato quando tiene duro
sul tema del fanciullo dalla vita difficile a
causa della sua diversità. Interessante?
Sì, se appartenete alla schiera di ziette
che in libreria chiedono brividi ben
cotti senza troppo sangue né situazioni
sconvenienti ad ogni giro di pagina.
Sensazioni edulcorate, mediamente forti,
insomma, sulla scia di Io non ho paura
dell’Ammaniti nazionale. Un appello:
torna, Niccolò, alle devastazioni di
Fango. E torna anche tu, mio caro Joe,
all’America spietata di malati di mente
della porta accanto, agli adolescenti
spudorati che vanno al cinema per un
horror e una palpata alle tette della
Zoccola Numero Uno della scuola. Per
farla finita con il politicamente corretto.
Per riportare il discorso sul nero e lasciare
alle ziette la Mazzantini e Faletti.
Nino G. D’Attis
Coolibrì
LE sTORiE s
InTERvisTa a CR
Classe ’74, nato a Casola Valsenio, in
provincia di Ravenna, Cristiano Cavina è
stato barista, pizzaiolo e chitarrista prima di
entrare nella Scuola Holden di Alessandro
Baricco, dove è stato compagno di
banco di Pietro Grossi (fortunato autore
di Pugni). Vincitore di diversi concorsi
letterari, il suo racconto Il babbo Natale
di Viale Neri arriva prima viene inserito
(siamo nel 2002) nell’antologia Il quarto re
magio, edita dalla Marcos y Marcos. Con
la stessa casa editrice ha poi pubblicato
Alla grande e Nel paese di Tolintesàc.
Il 2 novembre arriverà nelle librerie la
sua ultima fatica Un’ultima stagione da
esordienti, una galoppata lungo un anno
di campionato giovanile, un ultimo anno
da esordienti, tra monti e valli della
Romagna. Dalla preparazione alla prima
trasferta, dai mugugni dei professori
alle vanterie da sciupafemmine negli
spogliatoi, al glorioso crescendo del
finale, con un “gol impossibile” che segna
il destino di un’indimenticabile finalissima
contro il temibile Castelguelfo.
Cavina è una delle giovani voci italiane
che ha davvero qualcosa da dire, da
raccontare, per usare un verbo che ama
tanto. Non a caso poche settimane fa è
stato protagonista di Scritture Giovani,
Coolibrì
27
sOnO la mia sTORia
RisTianO Cavina
un progetto ideato cinque anni fa dal
Festivaletteratura di Mantova che punta
a promuovere giovani scrittori europei.
Ogni anno ne vengono scelti cinque,
dall’Italia, la Norvegia, la Spagna, la
Germania e l’Inghilterra, chiamati a
confrontarsi in forma di racconto breve
con un tema, quest’anno Casablanca
(lo scorso anno l’Altrove, per esempio).
Il tuo ultimo libro Nel paese di Tolintesàc
è la storia di una famiglia che hai definito
“sgangherata”. Famiglia è sinonimo
di origini, e delle origini fanno parte il
dialetto, le storie popolari, la cultura
popolare che ci portiamo dietro, dentro.
Quanto sono importanti questi elementi
nel tuo scritto?
Il romanzo è tutto un divagare sulla
famiglia, sulla vita e sulle storie dei
personaggi che popolano il mio libro. E in
parte (ma in modo più leggero) sulle storie
dell’Italia. Secondo me bisogna scrivere
delle cose che si conoscono e una delle
cose che sai meglio è come vive la tua
famiglia. Io ho pensato a questa storia
il giorno in cui ho scoperto una cosa
sulla mia famiglia di cui conoscevo già
quasi tutto, pensavo: tranne chi era mio
padre. Un giorno mia mamma e mio zio
litigarono durante una cena di famiglia. E
mia mamma al colmo dell’esasperazione
disse a mio zio di confessarmi di quando
lei era incinta e i miei nonni, i miei zii e
gli altri parenti le offrirono 80.000 lire per
abortire. Ed io ho pensato a questa cosa:
è strano che una famiglia offra dei soldi
per abortire me prima che nascessi.
Dopo sono state le persone più amorevoli
di questo mondo. Io sono cresciuto con
i miei nonni. Pensando a questa grande
ferocia subito e a questo grande amore
poi, mi è venuta in mente questa storia:
una famiglia sgangherata che sa essere
tenera e spietata allo stesso tempo.
Come le terre in cui viviamo, che sono
bellissime e difficilissime e per me questo
vale molto, perchè poi io scrivo, cerco di
scrivere una mitologia del quotidiano. E
tutto parte proprio da lì.
Ci racconti l’aneddoto felliniano che ha
dato il titolo al romanzo?
Mentre scrivevo questo libro, che non
aveva ancora titolo, iniziai a fare uno
spettacolo su Fellini con degli amici
musicisti, un gruppo che si chiama “Trio
eccentrico” composto da flauto, fagotto
e clarinetto. Avevano riarrangiato tutti
i brani delle colonne sonore di Rota per
Fellini e mi avevano chiesto per una
serata in un circolo a Faenza di leggere
tra un pezzo e l’altro qualcosa su Fellini.
Io ho tirato giù delle interviste che aveva
fatto... poi ci è scappata la cosa di mano
e alla fine ci siamo ritrovati in tutta Italia a
fare questo spettacolo, questo omaggio
al grande regista. In particolare c’era un
brano in cui Fellini raccontava di quando
era alle superiori e odiava andare a scuola
(il liceo classico a Rimini ai tempi della
guerra in Abissinia negli anni ’30). Scoprì
che il preside aveva paura dei fascisti
locali e utilizzo questa debolezza per non
studiare. Una volta si presentò al preside
dicendo: “Dobbiamo assolutamente
fermare le lezioni per festeggiare le nostre
truppe che hanno conquistato la rocca
di Vaffancul nel paese di Tolintesàc!”
e il preside gli diede la bandiera. Fellini
raccontava che festeggiò tutto il
giorno liberando tutti gli altri studenti
delle scuole per omaggiare la presa
di Vaffancul nel paese di Tolintesàc.
Io praticamente stavo scrivendo di
questo paese. Tolintesàc in romagnolo
è un modo per mandare a quel paese,
però dopo che ti sono andate tutte
male. La storia che raccontavo era un...
Tolintesàc: una famiglia a cui ne vanno
male dieci e una volta che gliene va
bene una, si permettono di fare il gesto…
dell’ombrello. E quello è rimasto il titolo.
Hai detto di essere un musicista… mancato!
Cosa pensi della contaminazione tra
letteratura e musica? Penso a scrittori
che collaborano con musicisti, Enrico
Brizzi, Lello Voce... oppure musicisti che
scrivono libri, Ligabue, Jovanotti, Guccini,
Vecchioni...
Non so. Ognuno fa quello che si sente
e quello che uno si sente va bene. Molti
possono permettersi di scrivere dei libri
solo perchè sono dei musicisti. Perchè se
quei libri li avessi scritti io e li avessi mandati
per manoscritto ad un editore, non
sarebbero stati pubblicati sicuramente.
Sembra una cattiveria ma credo che sia
così, soprattutto se penso alla trafila che
hanno fatto gli scrittori normali: mandare i
manoscritti e aspettare che ti rispondano
dopo che li han letti…
A proposito di musica e letteratura, mi
viene in mente Boriv Vian, trombettista
jazz, scrittore, ingegnere, pubblicato
tra l’altro anche dalla tua stessa casa
editrice, la Marcos y Marcos. In una delle
sue poesie scrive: “Sono un poeta e vi
cago sul naso”, che suona un po’ come
Tolintesàc. Tu sei uno scrittore e...
E non cago sul naso a nessuno. Lui è Boris
Vian, ha scritto delle canzoni bellissime,
storiche. Di Boris Vian ne nasce uno
ogni pacco di anni, quindi non è il caso
di andarlo a scomodare. Poi io non ho
mai scritto poesie, ripeto, non sono in
grado, penso di non avere la sensibilità
adatta a scrivere poesie. Non sono
neanche scrittore, penso di essere più
un narratore, un racconta-storie. E non
cago sul naso a nessuno. Poi, con tutto
il rispetto, Tolintesàc suona meglio di “ti
cago sul naso”! Bisognerebbe controllare
la versione originale, in francese magari
suona meglio. No, guarda che poi non è
una sfida. Non è che quando scrivo voglio
dimostrare qualcosa agli altri scrittori o ai
lettori. Io scrivo perchè è un mio tic. Mi
scappa di scrivere, mi piace e cerco di
farlo bene. L’unica cosa, forse, è che lo
faccio con una grande rabbia. Ma non
devo dimostrare niente a chi legge o al
mondo che ho intorno. Poi penso di non
dover insegnare niente a nessuno. Non
scrivo per tesi, non ho una mia visione
del mondo che devo fare vedere altri. Io
riporto delle storie per farle sopravvivere.
Marta Mazza
Coolibrì
L’uniOnE FEcE la FORZa
La nuOva musica DEgli EDiTORi RiuniTi
Gli Editori Riuniti sono una delle case
editrici più longeve d’Italia: nascono nel
1953 dalla fusione di due case editrici
vicine al Partito comunista italiano (le
Edizioni Rinascita e le Edizioni di Cultura
Sociale, dirette da Roberto Bonchio,
che resterà alla guida della nuova casa
editrice per molti decenni). Nel corso
di questi cinquanta anni è cresciuta e
si è articolata in diverse collane. Dalla
primavera del 2000 ha aperto anche
una sezione dedicata alla musica. Ne
abbiamo parlato con il direttore editoriale
della collana rock Ezio Guaitamacchi.
La collana ha varie sezioni o sottocollane,
ce le illustri?
Partiamo
dalla
considerazione
di
partenza. Trattando prevalentemente
artisti o gruppi anglo/americani non ce la
siamo sentita di dar vita a vere e proprie
biografie (che avrebbero necessitato
della conoscenza diretta dei personaggi
e del contesto in cui la loro musica si è
sviluppata). Abbiamo pensato che tutti
noi avevamo conosciuto nel dettaglio
questi artisti attraverso le loro opere e
cioè i loro dischi. E così il disco rimane il
“focus” di tutte le nostre produzioni:
Pensieri & parole è una collana che
analizza le opere di artisti internazionali
con particolare attenzione ai testi
nonché alle storie che si celano dietro
ogni canzone. Ogni volume affronta (in
ordine cronologico) tutta la discografia
di un artista e la studia album per album,
canzone per canzone. Un po’ sullo
stile delle antologie scolastiche che
analizzano le opere letterarie.
Momenti rock è una collana che ripercorre
in ordine cronologico la carriera di un
artista. Per questa collana ho coniato il
neologismo di bio-discografia perché,
nuovamente, è il disco l’elemento
centrale dell’analisi.
Legends è una sorta di enciclopedia
per singole voci che vuole presentare
in modo completo ma agile le opere
dei più importanti musicisti del 900.
Dal jazz al rock, dalla world music alla
musica italiana, dal blues al folk le
grandi leggende della Musica rivivono
in volumetti essenziali che ne presentano
vita, opere e miracoli (artistici).
Juke-box del millennio è una collana
che presenta i 100 dischi ideali per
capire vari generi musicali: rock, blues,
jazz, canzone italiana, reggae, punk,
hard & heavy, world music, classica. Un
lavoro enciclopedico e completissimo:
ogni scheda racconta il “making of” di
100 album epocali e consiglia (a pie di
pagina) altri 3 album nella “medesima
vena artistica”.
Ci racconti in particolare la struttura di
Legends?
È un lavoro difficile e complesso che ha
l’obiettivo ambizioso di colmare una
lacuna nell’editoria musicale italiana.
Sono 10 volumi (ciascuno avente come
riferimento un titolo di una canzone
relativa al genere musicale o al momento
trattato) che raccontano 50 anni di
Rock, dalle origini a oggi. Il tentativo è di
raccontare il rock attraverso i momenti
che hanno segnato i cambiamenti
principali di questo genere musicale
senza dimenticare il contesto socio/
culturale nel quale essi si svolgevano.
La sezione pensieri e parole è dedicata
all’analisi dei testi delle canzoni. Alcuni
gruppi e artisti famosi sono analizzati
come fossero poeti.
Da dove viene questa idea?
Da sempre, gli appassionati (specie
quelli che masticano poco l’inglese)
sono interessati ai messaggi che i loro
artisti preferiti lanciano attraverso le
loro canzoni. Questa curiosità non è
stata placata dai testi riportati sui cd
o nei vari siti internet. Questa collana
approfondisce molto il significato delle
canzoni e ne racconta anche storie,
aneddoti e curiosità legate alla nascita.
Molte le cose attualmente in catalogo,
quali sorprese avete in serbo per questo
inverno?
A Natale esce un Almanacco del Rock
– minuto per minuto, dal 1954 a oggi. Un
volume bellissimo, illustrato, curato da
Enzo Gentile. Poi, sempre per il periodo
natalizio, usciranno un libro su George
Harrison (Pensieri & Parole) a 5 anni dalla
morte del Beatle quieto, uno sui redivivi
Duran Duran e uno (bellissimo, con
tanto di partiture e trucchi tecnici) sul
leggendario Jimi Hendrix.
Un parere sullo stato di salute dell’editoria
italiana, è vero che non si legge più?
Domanda troppo complessa a cui non
sono in grado di rispondere su due piedi.
Posso solo dire che (per ciò che riguarda
la musica) noi facciamo un’editoria di
nicchia, una sorta di “manualistica” per
un pubblico di appassionati. E per questo
tipo di hobby e passioni che rendono la
vita più piacevole a chi le pratica, ci sarà
sempre un mercato di riferimento. (O.P.)
Be Cool
il cinema secondo coolcub
La stella che non c’è
Gianni Amelio
01 Distribution
****
Liberamente ispirato al romanzo La
dismissione di Ermanno Rea, La stella
che non c’è è il nuovo controverso
lavoro di Gianni Amelio che sebbene
lontano dagli standard abituali riesce a
confezionare un film intenso e delicato
che analizza temi a lui cari come il viaggio
e l’incomunicabilità. Semplice l’intreccio
in cui una delegazione cinese arriva in
Italia per rilevare un impianto metallurgico
in disuso. Vincenzo Buonavolontà, un
manutentore a conoscenza di un guasto
che potrebbe rivelarsi importante, vuole
secondo coscienza scoprirne l’origine.
Purtroppo riesce nel suo intento solo
quando gli imprenditori hanno lasciato il
paese con l’altoforno incriminato. Inizia
così un lungo viaggio che lo porterà a
scoprire una Cina nuova, fortemente
diversa da come se l’era immaginata.
E capita così che la stella del titolo
assuma più significati e manchi un po’
dappertutto, nella vita del protagonista
alla ricerca di qualcosa di impalpabile
così come nell’immagine di un grande
paese tanto impetuoso economicamente
quanto fragile ed iniquo socialmente.
Il film si muove su due binari diversi e
contrapposti. Il primo riguarda un’ovvia
analisi sociologica che mette in risalto le
contraddizioni umane ed economiche di
una Cina non democratica e cresciuta
troppo in fretta, mentre il secondo è
quello minimale che segue le vicende di
un protagonista (un sempre bravo Sergio
Castellitto) immerso in una realtà con cui
non è possibile non scontrarsi a muso duro.
A fianco di Vincenzo c’è Liu Hua, giovane
ragazza poco più che ventenne che lo
accompagna come interprete, ma che
ben presto diventerà la chiave universale
per comprendere non solo la lingua, ma
anche e soprattutto quei dettagli che
spesso sfuggono e che fanno di ogni
cammino sconosciuto una conquista
interiore. Detto questo il film ha qualche
difetto strutturale che ne impedisce la
completa e perfetta riuscita mancando
di quel legante che tiene unite e che
giustifica delle motivazioni così profonde
e complesse, ma che tutto sommato
mantiene inalterato il senso generale di un
lavoro che appare ugualmente godibile.
Amelio conferma quindi la sua straordinaria
capacità di raccontare attraverso l’uso
di tempi diluiti che sono parte della sua
cifra e che danno alla narrazione un ritmo
particolare che proprio per questo è una
macchina delicata dove ogni ingranaggio
deve essere al suo posto. La stella diventa
così una rapida cometa, che abbaglia
rapidamente per poi trascinare lenta la sua
coda. Potrà morire in fretta ma chi è che
non alzerebbe gli occhi per guardarla?
C. Michele Pierri
30
Il nuOvO mOnDO
Di EmanuElE CRialEsE
Dopo il successo di Respiro
che ne ha lanciato la carriera
a livello internazionale, il
quarantenne
Emanuele
Crialese mantiene le promesse
e si segnala definitivamente
come
una
delle
realtà
più importanti del cinema
europeo
conquistando
a
Venezia il Leone d’argento
con Nuovomondo. Il film è il
racconto di un viaggio che agli
inizi del ‘900 porta la famiglia
siciliana dei Mancuso in
America nella speranza di una vita migliore.
Ma il sogno avrà vita breve perché il tanto
agognato viaggio si rivela ben presto
diverso da come lo avevano immaginato.
Fra onde e disperazione il lavoro di
Crialese rappresenta il documento finora
più “fedele” di quella peregrinazione che
ha visto nel corso del ventesimo secolo
protagonisti milioni di italiani sparsi ora
nel mondo. Ad accogliergli si la Statua
della libertà, ma prima ancora Ellis Island,
detta “l’isola delle lacrime”, dove gli
emigranti venivano tenuti in una umiliante
quarantena fino ad appurarne l’idoneità a
convivere col popolo americano. Il regista
dipinge un quadro reale e commovente
di una storia come tante che nel suo finale
allegorico trova una degna conclusione
che rappresenta finemente il sogno di chi
abbandonava la propria patria per un
futuro misterioso. Nel cast Vincenzo Amato
(nei panni del capofamiglia Salvatore),
sempre presente finora nei film di Crialese
e Charlotte Gainsbourg.
Partiamo da una considerazione che
riguarda la sua esperienza personale.
Prima di parlare di emigranti lo è stato lei
a sua volta, dopo essere partito proprio
negli Stati Uniti per studiare cinema. Come
ha vissuto il ritorno in patria e perché dopo
aver esordito positivamente negli Usa
con Once we were strangers (primo film
italiano ad essere selezionato al Sundance
Festival) ha sentito il bisogno di ritornare?
Ho sempre nutrito una grande passione
per il cinema e dopo essermi fatto una
cultura teorica vedendo tanti film ho
deciso di averne anche una tecnica.
Ho provato ad entrare nella Scuola
Nazionale di Cinema di Roma ma sono
stato scartato. A 26 anni sentivo il bisogno
di confrontarmi con il mezzo tecnico e la
scuola che ho frequentato a New York
me ne dava la possibilità. È stata una
esperienza eccezionale che mi ha dato
l’occasione di confrontarmi con altre
culture. Fatto questo ho deciso di tornare
in Italia perché sentivo di avere col mio
Paese un conto mai chiuso e
poi di tornare negli Stati Uniti
c’è sempre tempo.
Da Respiro a Nuovomondo il
salto è triplo. Me ne racconti la
genesi?
In realtà Nuovomondo è
un’idea nata e scritta prima di Respiro. Il film è nato da una
visita al museo di Ellis Island.
Gli sguardi degli immigrati
puntavano straniti l’obiettivo
e mi hanno influenzato. Dopo
la mia esperienza americana,
tornato in Italia ho scritto Nuovomondo.
Ma i produttori non erano d’accordo,
consideravano l’idea troppo dispendiosa
per un quasi esordiente e mi dissero
chiaramente di cambiare registro. Scrissi
Respiro e accantonai il progetto. Almeno
momentaneamente.
In Nuovomondo così come in Respiro si
coglie il contrasto tra una parte onirica ed
audace e l’elemento reale, forse anche
realista con un ampio uso del dialetto.
Come mai questa scelta apparentemente
contrastante che è parte della tua cifra?
La risposta è più semplice di quel che
appare. In realtà quando scrivo un film
questo è l’ultimo dei miei pensieri, penso
a raccontare una storia nella maniera che
mi sembra più adatta. Chiaramente è
inutile negare che in parte è il mio stile, in
parte dopo il successo di Respiro, che pure
aveva questa componente, ho recepito
che il pubblico apprezzava quel modo di
raccontare che quindi risultava vincente.
Il film tutto sommato sembra essere
diverso da altre pellicole che prima di
questa hanno tentato di raccontare un
passato tanto commovente. Qual è stata
la tua scelta stilistica e quanto è stato
difficile trovarne una che potesse essere
“originale”?
Ho avuto dei riferimenti come America
America di Elia Kazan ma poi me ne sono
staccato. Più che pensare a quello che mi
piaceva sapevo bene quello che non mi
piaceva. Faccio un esempio. Dopo aver
visto Titanic, con quelle inquadrature che
da fuori dipingevano il naufragio, io sapevo
di non voler dare quella visione del mare,
ma piuttosto una visione che rendesse
quello che provavano i protagonisti. Essi
infatti vedono il mare dall’interno, come
un turbinio che li avvolge e che li tiene in
balia. È bastato solo cambiare occhio per
cambiare completamente prospettiva. Il
resto l’ha fatto la storia.
Il tuo film sembra anche contenere, non
so se volontariamente, un interrogativo
politico e sociale. Credi che gli italiani
Be Cool
LA MUSICA DEL MONDO
NUOVO ARRIVA DAL SALENTO
La colonna sonora del Nuovomondo
di Emanuele Crialese parla salentino.
L’autore è infatti Antonio Castrignanò,
tamburellista e cantante di tradizione
protagonista di numerose edizioni della
Notte della Taranta. Il cd Nuovomondo
Soundtrack contiene 13 tracce, due
celebri canzoni della grande Nina
Simone e brani, aree, frammenti e
cantate, composte da Castrignanò, brani
originali e alcuni tradizionali riarrangiati.
Tra i titoli: Corri, Trainieri, Beddha, una
particolarissima Kali nifta che segna una
delle scene cruciali del film, ma anche
una pizzica originale e strumentale Respiri
di pizzica, e ancora Luce, Manamu,
Vienna, Membrane. “Arrangiamenti molto
abbiano dimenticato cosa vuol dire essere
emigranti?
C’è un dato di fatto, inconfutabile,
cioè che gli italiani siano il popolo che
maggiormente è emigrato nella storia
dell’umanità, nell’ordine dei venti milioni
di persone. Attraverso il lavoro abbiamo
trasmesso un messaggio che è quello
della ricerca di una vita migliore. A
questo punto non so dire davvero se lo
abbiano dimenticato, ma sono certo
che dobbiamo riflettere su quello che ci
è accaduto, per capire come accogliere
chi arriva oggi sulle nostre sponde.
Una curiosità locale. La colonna sonora è
firmata dal salentino Antonio Castrignanò
(vedi in alto). Come sei arrivato a questa
scelta e come sei venuto in contatto con
lui e con il Salento?
Chiaramente prima di decidere quali
Be Cool
Il profumo
Tom Tykwer
Medusa
31
e misteriose di L.A. Confidential e regala
al pubblico un intenso noir interpretato da
nomi del calibro di Josh Hartnett, Scarlett
Johansson, Hilary Swank, Aaron Eckhart. Un
cast d’eccezione per un film che si segnala
come una delle migliori opere del regista
italoamericano. Da non perdere.
L’Orchestra di Piazza Vittorio
Agostino Ferrente
radicali - ha spiegato il tamburellista
- che riconducono ad un’epoca
che non esiste, con una matrice
marcatamente salentina che, penso, sia
una forte conquista della nostra musica,
un’operazione rilevante perché inserita
in un contesto importante, al di fuori di
alcuni stereotipi. Il mio compito è stato
ed è, da musicista, quello di evidenziare
il vero senso della tradizione musicale,
che racconta quello che erano gli altri,
la loro vita”. Arie e canti per un lavoro
apprezzato da subito dalla produzione
del film e, soprattutto, dal regista, che ha
scelto così di raccontare le sue vicende
di meridione ed emigrazione, di viaggio,
nostalgia e speranze e di narrarle con
un’anima sonora salentina.
(da.qua.)
musiche utilizzare mi sono informato su
quali fossero quelle meno inflazionate e
più adatte al mio lavoro. Mi fu detto da
esperti che le musiche della tradizione
popolare siciliana e salentina facevano
al caso mio. Arrivato nel Salento ho avuto
modo di incontrare
un
etnomusicologo,
Luigi Chiriatti, che mi
ha invitato a pranzo.
È lì che ho conosciuto
Antonio che mi ha
subito contagiato con
la sua passione. Dopo,
nonostante
le
sue
riluttanze, sono riuscito
anche a convincerlo
ad essere nel film nel
ruolo di comparsa.
C. Michele Pierri
Le riduzioni e gli adattamenti di romanzi
per il cinema sono sempre materia
rischiosa per tutti i registi. Quando poi
il libro in esame è un best seller del
calibro del Profumo di Patrick Suskind e
un romanzo che in molti hanno amato
l’impresa è ancor più rischiosa. Pur se nella
definizione e nello svolgimento il Profumo
è un thriller, a ben scavare si scopre che è
molto di più. Il libro è pervaso di simbolismi
che rimandano continuamente ad altro,
un altro, percepibile sottilmente, come
un odore appunto. Il protagonista stesso
Grenouille è metafora di uno stato, di
una non esistenza che nel libro è resa dal
fatto che egli non ha un suo odore, ma
che in generale rappresenta gli invisibili,
i perdenti. Contrappasso a questa
condizione è il dono che Grenouille ha,
quello di poter percepire e classificare
qualsiasi odore lo circondi. Questo naso
assoluto è la possibilità di riscatto che la
natura ha offerto a lui. Un personaggio
complesso quello di Grenouille che
lascia la morte alle spalle ovunque si
trovi a passare (prima frutto della fatalità
poi delle sue mani) che compensa la
mancanza di un amore che non ha mai
avuto uccidendo l’amore e rubandone
l’essenza. Essenza che diventa, dopo
una serie di omicidi profumo capace di
conquistare il mondo. Questo in sintesi. La
trasposizione cinematografica è potente,
crudele, molto aderente e suggestiva.
È con la suggestione, l’allusione che il
film risolve la mancanza dei particolari,
il gioco di primissimi piani, il rimando
istantaneo alla percezione dell’odore.
Associare a una storia ambientata nel
1700 una tecnica moderna (il regista è lo
stesso del famoso Lola Corre) è una mossa
vincente e il film coinvolge ed entusiasma.
Uno splendido Dustin Hoffman nel ruolo
del profumiere Baldini è la ciliegina sulla
torta. Un tripudio orgiastico magistrale
negli ultimi minuti e un finale che chi ha
letto il libro aspetta e chi non ha letto...
scoprirà.
Osvaldo
The black Dahlia
Brian De Palma
Tratto dall’omonimo bestseller di
James Ellroy, The Black Dahlia è
il racconto della morte di una ex
prostituta ora aspirante attrice,
altrimenti nota come Dalia Nera. Il film,
ambientato nella Los Angeles degli
anni ’40, riprende le atmosfere cupe
Questo intrigante documentario musicale
racconta la genesi dell’Orchestra di Piazza
Vittorio, nata da un’iniziativa di Mario
Tronco, tastierista degli Avion Travel e del
regista Agostino Ferrente. L’orchestra ha
la particolarità di raggruppare elementi
di svariate etnie che popolano il quartiere
Esquilino, il più multietnico di Roma. Tutto
qui il senso del progetto che vuole dare
dimostrazione di come sia possibile una reale
integrazione tesa a rendere le nostre città
un luogo di confronto e scambio culturale.
Anche nella quotidiana vita di quartiere.
Snakes on a plane
David R. Ellis
Arriva anche in Italia il film campione di
incassi studiato e sviluppato per la prima
volta nella Rete. La sceneggiatura è stata
infatti scritta in collaborazione con il popolo
di internet che ha di volta in volta proposto
e dato istruzioni sull’intreccio e i colpi di
scena. Su di un volo che sorvola l’Oceano
Pacifico, un agente dell’F.B.I. sta scortando
uno scomodo testimone oculare di un
omicidio. Durante il tragitto però, qualcuno
con l’intento di uccidere il testimone, libera
dei serpenti velenosi. Flynn oltre a finire il suo
lavoro dovrà salvare la vita dell’equipaggio.
Nel cast il divo cult di Pulp Fiction, Samuel L.
Jackson.
Baciami piccina
Roberto Cimpanelli
Nato da un’idea di Sergio Citti e sceneggiato
da Furio Scarpelli, Baciami Piccina è la
seconda prova dietro la macchina da
presa per Roberto Cimpanelli, che racconta
l’Italia fascista attraverso le vicende di un
brigadiere e di un truffatore (nell’ordine
Neri Marcorè e Vincenzo Salemme) le cui
vite si incontrano e scontrano nel settembre
del ’43 nel giorno dell’armistizio. Ma un
momento così importante e decisivo nella
storia del paese non potrà che scombinare
i piani di chi li aveva programmati. Ne esce
fuori una commedia agrodolce che ricorda
i film di una volta e che tenta di mettere
ordine sul come eravamo.
The Queen
Stephen Frears
Successo di pubblico e critica per questo film
presentato in concorso all’ultimo Festival di
Venezia. La storia è quella della crisi interna
scatenata nel Regno Unito dalla morte di
un personaggio amatissimo come Lady
Diana. La famiglia e la Regina Elisabetta II
in testa si trova così a dover fronteggiare
un pericoloso malcontento che rischia
di degenerare e portare la monarchia al
collasso. Ad affiancarla il leader laburista
Tony Blair e tutti i personaggi più significativi
del momento. Protagonista femminile Helen
Mirren, premiata sul Lido con la Coppa Volpi
come migliore attrice.
I mmagina la musica
Blue lines - Massive
Attack- 1991
Blood sugar sexi
magik - Red hot
chili peppers - 1991
CoolClub.it C
34
Definitely Maybe
- Oasis - 1994
Nevermind Nirvana - 1991
Crooked rain Pavement - 1994
Dookie Greenday - 1994
Post -Bjork - 1995
c O P E R T in E D a c E nsu R a
La storia della musica internazionale è
disseminata di episodi di censura. E non
parliamo solo di quella ai danni di testi
o di atteggiamenti sul palco (pensiamo
alle recenti polemiche della chiesa nei
confronti della crocifissione sul palco
di Madonna) ma quella ai danni delle
copertine. Insomma quando si offende
il comune senso del pudore – in questo
caso visivo – qualcuno interviene. E non è
un problema dei regimi totalitari (anche
Stalin e Hitler modificavano le foto a
OccHiO al DETTagliO: nElla vERsiOnE cEnsuRaTa i mama's E PaPa's nOn POssOnO FaRE la PiPi'
scopo propagandistico) o
coperto con delle scritte.
dell’italietta degli anni ’50 e
Non curanti del risultato i
’60 nella quale le ballerine
censuratori nella versione
in televisione non potevano
successiva rimossero anche
mostrare le cosce oppure
la povera vasca, stringendo
i giornalisti politici non
con un primo piano sul
potevano fare riferimento ai
gruppo.
“membri” del parlamento ma
Dai water alle nudità.
della società statunitense Nel
più
recente
For
più avanzata e democratica
the Beauty of Wynona
del mondo - che si è resa
pubblicato dal musicista
colpevole di episodi tanto siamO la cOPPia Piu' BElla DEl mOnDO
e produttore Daniel Lanois
divertenti
quanto
nel 1993 la scritta American
sconcertanti.
edition copre i seni di una
Vittime di una congiura (veramente ragazza nell’artwork realizzato da Jeri
esilarante) sono stati ad esempio i Heiden. Ma gli americani dimostrano
Mama’s e papas con il loro album anche di non gradire il seno maschile così
if you can believe your eyes John Mellencamp nel suo Dance Naked
and ears. Sulla copertina della si vede coprire un petto (neanche villoso)
prima edizione, uscita nel 1966, il con una vistosa X rossa su sfondo nero.
quartetto è immortalato dentro Ancora più controversa è la storia
una vasca da bagno con un cesso della copertina di Electric Ladyland
accanto (come in ogni bagno considerato da molti il capolavoro del
che si rispetti). Il water venne grande Jimi Hendrix. La prima versione
ritenuto altamente offensivo e ospita in copertina una foto di donne
nella seconda edizione venne nude realizzata da Linda Eastman (che
CoolClub.it
The idealcrash
- Deus - 1999
Fragile - Nine inch
nails - 1999
Neon golden - The
notwist - 2001
Amnesiac Radiohead - 2001
Big Brother&The
Holding Company
Cheap Thrills
Columbia
Mancava
un
giorno
all’uscita di questo disco
quando la Columbia rifiutò
come copertina la foto in
cui i Big Brother posavano
a letto seminudi. Così Janis
Joplin ordinò al fumettista
alternativo Robert Crumb
di lavorare, nel corso di una
sola notte, a un fumetto che
rappresentasse i componenti del gruppo e ogni singolo pezzo
della tracklist. La più irresistibile è la vignetta che illustra Piece
of my heart: una fettina di carne a forma di cuore servita a un
ciccione che si lecca i baffi ansioso di mangiarla.
Quest’album ha un suono unico perché l’addetto alla produzione,
convinto che tra i Big Brother ci fosse coesione solo se suonavano
dal vivo, ebbe il colpo di genio di improvvisare con delle pedane
un palcoscenico in studio e inserì tra le incisioni dei finti rumori
di pubblico cosicché l’ascoltatore, credendo che fosse un disco
diverrà la compagna di Paul McCartney).
La censura si abbatte come una mannaia
e muta la copertina da una affascinante
coacervo di morbide nudità ad una più
posata foto con l’eccentrico chitarrista
e i suoi musicisti. Anni dopo lo scabroso
scatto verrà riabilitato.
Nel 1991 il secondo album del gruppo
Tin Machine composto da David Bowie,
dall’ex Ultravox Reeves Gabrels e dai
fratelli Sales è al centro di una curiosa
sottrazione. In Europa la copertina
rappresenta un’illustrazione, realizzata da
Edward Bell, con quattro statue. Dall’altra
parte dell’Oceano le statue hanno gli
attributi coperti.
Da un particolare (più o meno piccolo)
alla totalità. Copertina interamente
modificata per I Jane’s addiction. In
Ritual de lo Habitual l’audace cantante
Perry Farrell era a letto con 2 donne e
faceva intravedere il proprio pene. Disco
vEDO nOn vEDO
35
( ) - Sigur ros - 2002
Immagina la musica
A ghost is born
- Wilco - 2004
Waiting for the
siren’s call - New
order - 2005
live, avrebbe chiuso un occhio sulle imperfezioni tecniche.
Difficile parlare di Janis Joplin senza scivolare nei luoghi comuni.
Ce l’hanno venduta come un’icona della controcultura:
fricchettona, facile al sesso, tossica, alcolizzata e bisessuale.
Certo, era anche questo, ma soprattutto, come lei stessa ammise
nell’autografa Turtle Blues, era una ragazzina fragile che si fingeva
dura mentre nessuno s’accorgeva che non lo era per niente.
Chiude Cheap Thrills l’unico brano realmente inciso dal vivo, una
cover di Ball&Chain che Janis trasforma in un testo di protesta
contro l’ingiustizia della vita. Non è possibile che l’amore e la vita
siano come una palla al piede grida al suo amante e al pubblico,
che per lei erano la stessa cosa, prima di voltare le spalle alla
folla. Non sappiamo che farcene delle foto in bianco e nero in
cui la Rosa del Texas indossa piume e occhialoni, né possiamo
lasciarci infinocchiare da Hollywood che per guadagnare
due pidocchi vuole portare la sua vita sullo schermo. La vera
immagine di questa donna straordinaria e sfortunata è nella
vignetta che illustra Ball&Chain e che, non a caso, domina il
centro della copertina: Janis, trascinando una palla di piombo
legata alla caviglia, percorre la sua brevissima e sofferente strada
verso la felicità, prima di scontrarsi con un destino bastardissimo. E
poiché i capelli le cadono sul volto coprendolo completamente,
non sapremo mai se lei sta piangendo o se continua a sorridere
nonostante tutto.
Lorenzo
ritirato e copertina modificata con
una candida busta bianca con il
titolo.
Non poteva mancare alla lista dei
censurati anche John Lennon che su
Two vergins appare come mamma
l’ha fatto in compagnia della
compagna Yoko Ono. Mai censurato
ufficialmente, il disco crea comunque
numerosi problemi alla coppia e
porta al ritiro di circa 30000 copie
la cEnsuRa cOlPiscE li' DOvE nOn BaTTE il sOl
all’aeroporto di Newark e addirittura
alla chiusura di un negozio reo di
aver ospitato in vetrina lo scandaloso
una delle foto del mosaico ritrae Adam
oggetto musicale. Lennon era già stato Clayton completamente nudo in una
al centro di un altro caso con i Beatles. foto “artistica” di Anton Corbijn. Negli Usa
Nel 1966 Yesterday and Today ospita in la foto ha un oggetto in più: una bellissima
copertina una foto di Robert Witaker foglia di fico (immaginate dove).
che ritrae i fab four vestiti di bianco con Chiudiamo questa (parziale) ricognizione
pezzi di carne macellata e bambole nel meraviglioso mondo della censura
rotte. L’immagine della copertina rifatta (senza aver considerato quella preventiva
ritrae i Beatles completamente ripuliti e della quale purtroppo non resta traccia)
impomatati.
con l’italiano d’esportazione Lucio Battisti.
Da un mito all’altro. Nel 1968 anche Anch’egli infatti ne è stato vittima. In
i Rolling Stones incapparono in Argentina la compilation dei suoi successi
problemi di moralismi. L’originaria De Italia con amor era confezionata con
copertina, l’immagine di un muro la copertina di Amore e non amore. Qui
all’interno di un bagno ricoperto di Battisti era fotografato seduto su di un
graffiti, del loro ottavo lavoro Beggars prato con una donna nuda sul fondo. Lì
banquet fu cestinata. Riapparirà solo la donna aveva misteriosamente un paio
nella riedizione del 1984.
di mutandoni neri.
Non sfuggono alla cesoia della
(P.U. e P.L.)
censura statunitense neanche gli
irlandesi U2. Nel 1992 nel lato interno
del libretto del cd di Achtung Baby,
a P P un T am E n T i
CoolClub.it C
36
Musica
venerdì 6 / Dopolavoro ferroviario al Mind
the gap di Nardò (Le)
venerdì 6 / Dixinitaly meet Lino Patruno a
Castro (Le)
venerdì 6 / Danilo Rea, Enzo Pietropaoli e
Fabrizio Sferra a Poggiardo (Le)
sabato 7 / Frida X + Enrico Brizzi alla Saletta
della Cultura (Le)
sabato 7 / Fabio Treves a Specchia (Le)
sabato 7 / Francesco Baccini a San Cassiano
(Le)
sabato 7 / Daniele Sepe a Gagliano del
Capo (Le)
sabato 7 / Toni Esposito a Corsano (Le)
sabato 7 / Almamegretta a Taurisano (Le)
sabato 7 / Mario Rosini e i Salento Cantu a
Tiggiano (Le)
sabato 7 / Patrizia Conte a Sanarica (Le)
sabato 7 / Francesco Cafiso ad Andrano
(Le)
sabato 7 / Aida Cooper & Nite Life a Ruffano
(Le)
domenica 8 / Franco D’Andrea e Tiziana
Ghiglioni a Santa Cesarea Terme (Le)
domenica 8 / Nino Bonocore a Patù (Le)
giovedì 12 / Radiodervish a La Feltrinelli di
Bari
venerdì 13 / Blu cianfano al Mind the gap
di Nardò (Le)
sabato 14 / Daniele Sepe a Cutrofiano (Le)
domenica 15 / Radiodervish a Otranto (Le)
domenica 15 / Tullio De Piscopo a Miggiano
(Le)
domenica 15 / Eugenio Bennato a Racale
(Le)
martedì 17 / Gregory Darling al Bohemien
Jazz Cafè di Bari
da martedì 17 ottobre a domenica 19
novembre / Eurotribu a Milano
La quinta edizione del Festival delle nuove
espressioni culturali in arrivo da Austria,
Francia, Germania, Regno Unito, Spagna e
Svizzera si svolgerà a Milano, dal 17 ottobre
al 19 novembre. Eurotribu è è organizzata
da AICEM e Ponderosa Music & Art in
collaborazione con il Settore Cultura della
Provincia di Milano e con il Settore Cultura,
Spettacolo e Turismo del Comune di Milano.
Durante i giorni del Festival, infatti, Milano
diventerà il centro d incontro tra i diversi
paesi di un Europa geografica senza vincoli
e senza confini. La musica è il profondo
legame che unirà Stati diversi in un unico
evento. Tra gli ospiti Ludovico Einaudi
(martedì 17 ottobre all’Alcatraz), The Dining
Rooms (martedì 24 Ottobre al Tunnel),
Stereototal (lunedì 30 Ottobre all’Alcatraz)
e molti altri. Info www.ponderosa.it
venerdì 20 / Rocking fingers al Mind the gap
di Nardò (Le)
sabato 21 / D ‘n’ B con dj Leleprox dei
Micro platform e Dj Delroy dei Golpe Mov
all’Istanbul Cafè di Squinzano (Le)
venerdì 27 / White Queen al Mind the gap
di Nardò (Le)
sabato 28/ Il corridoio al Teatro Kismet di
Bari
sabato 28 / Leo Tenneriello alla Saletta della
Cultura di Novoli (Le)
sabato 28 / Coolclub party all’Istanbul Cafè
di Squinzano (Le)
sabato 28 / An evening Elettro-Paik serata
elettronica con artisti pugliesi e non ai
Cantieri Koreja di Lecce. Inoltre sino al
22 Novembre personale di Arti Visive di
Giuseppe Scarciglia.
martedì 31 / Halloween party al Palazzo
Baronale di Novoli (Le)
martedì 31 / Festival di Sanscemo 2006 a
Erchie (Br)
giovedì 2 novembre / Melomane all’Istanbul
Café di Squinzano (Le)
Riprendono all’Istanbul Cafè di Squinzano gli
appuntamenti con i live curati da Coolclub.
Sul palco gli Statunitensi Melomane. Da un
compromesso d’amore tra pop barocco,
punk, colonne sonore cinematografiche e
composizioni orchestrali nascono a Brooklyn
i Melomane, un concentrato di strumentisti
riuniti in una sfida sonica alla ricerca del
giusto equilibrio fra esplorazione emozionale
e critica politica al vitriolo. “Queste canzoni
combinano l’accessibilitá garage con
un’ingenuitá tale da destabilizzare ogni
CoolClub.it
ascoltatore intelligente dimostrando ai
musicisti e alla musica quanto possa viaggiar
lontano una band…” (All Music Guide). Info
www.coolclub.it
Teatro e lettura
da martedì 3 a domenica 8 ottobre / Gran
Bazar al Fondo Verri di Lecce
Quest’ anno Gran Bazar si ispira alla sua
forma originaria, torna a casa, al Fondo
Verri, con un edizione tutta di riflessione. Una
edizione di transito che non smette il sogno
di un evento sui libri e la lettura che sia
veramente un dono alla città e ai lettori. Tra
gi ospiti Goffredo Fofi, Tetti Minafra, Luciano
Pagano, Maurizio Nocera. Venerdì 6 presso
il Cinema Elio di Calimera Antonio Errico ed
Eliana Forcignanò presenteranno Il sole e il
sale romanzo griko salentino di Rocco Aprile
(i libri di Icaro). Info su fondoverri.splinder.
com
mercoledì 4 e giovedì 5 / Il libro di Ester ai
Cantieri Koreja di Lecce
Eugenio Barba il 29 ottobre compie 70
anni. La Regione Puglia e il Teatro Pubblico
Pugliese gli rendono omaggio ospitandolo
in Puglia con l’Odin Teatret per 10 giorni.
Dal 4 al 14 Ottobre: spettacoli, spettacoli
dimostrazione, seminari pratici e Incontri.
Info www.teatropubblicopugliese.it
venerdì 6 e sabato 7 / Sale ai Cantieri Koreja
di Lecce
martedì 10 / Ivan Raganato a Porto Cesareo
(Le)
mercoledì 11 / Giardini di plastica al Teatro
Fondazione Filograna di Casarano (Le)
giovedì 12 e venerdì 13 / Le grandi città
sotto la luna ai Cantieri Koreja di Lecce
Un concerto dell’Odin Teatret nello spirito di
Bertolt Brecht. La luna osserva e scavalca
le grandi città che ardono sotto di lei, dalle
metropoli europee a quelle dell’Asia Minore;
da Hiroshima a Halle; dalla Cina imperiale
all’Alabama. La voce della luna è beffarda
o attonita, indifferente o dolorosa, fredda o
incandescente. La sua misericordia ignora
malinconia e consolazione. Ingresso 10 euro
(ridotto 7) Info www.teatrokoreja.com.
da giovedì 12 a sabato 14 / Aldo Giovanni e
Giacomo a Bari
venerdì 13 / Flavio Bucci ad Alezio (Le) www.
sudsoudfestival.it
dal 27 al 4 / Il Calapranzi di Harold Pinter ai
37
Cantieri Koreja di Lecce
Ancora una nuova tappa di studio per
l’ultima produzione di Koreja Il Calapranzi di
Harold Pinter. A portare in scena il lucidissimo
testo del premio nobel saranno Angela De
Gaetano, Maria Rosaria Ponzetta, Fabrizio
Pugliese, Fabrizio Saccomanno per la
regia di Salvatore Tramacere, scene e luci
Luca Ruzza e Lucio Diana. Lo spettacolo,
a posti limitati resterà in cartellone dal 27
ottobre sino al 4 novembre, si consiglia
la prenotazione (info 0832.242000, www.
teatrokoreja.com)
mercoledì 1 novembre / The history of
ronald, the clown from Mcdonald’s del
piccolo teatro “Dusko Radovic” ai Cantieri
Koreja di Lecce
venerdì 3 / Olah vince and earth wheel and
sky concert ai Cantieri Koreja di Lecce
Nuova scuola teatrale a
Calimera
La Scuola Biennale L’Attore sul Palco di
Somnia Theatri nasce dall’esigenza di
piantare radici teatrali in questo terreno
salentino, che si offre così fertile a chi ha la
volontà di accudire semi da far crescere e
maturare. La Scuola si rivolge a tutti, sia a
chi vuole cimentarsi con questo mestiere
per poi praticarlo, sia a chi lo vuole fare
per sperimentarsi e arricchirsi. È richiesta
solo una partecipazione attiva e l’aver
compiuto i 18 anni di età. I docenti di
quest’anno saranno: per il primo anno
(corso di base) Federico De Giorgi, attore
e direttore artistico di Somnia Theatri e
Sabrina Chiarelli, attrice formatasi presso
l’Accademia Teatrale Permis de Conduire di
Roma; per il secondo anno (corso avanzato)
la direzione sarà affidata all’attore-regista
Renato Grilli. Sono previsti inoltre laboratori
intensivi di completamento con cadenza
mensile che riguarderanno l’espressione
vocale e corporea diretti dall’attrice Silvia
Lodi. L’integrazione e la specializzazione
sarà curata in appositi stage da diversi artisti
tra i quali Mariano Dammacco, Roberto
Corradino, Salvatore Della Villa. Le lezioni
inizieranno con una SETTIMANA DI PROVA
GRATUITA il 30 ottobre 2006 e termineranno
a giugno 2007 con una messinscena finale.
Info ed iscrizioni: tel. 380/526 8 526 328/60
15 767; [email protected].
La redazione di CoolClub.it non è responsabile
di eventuali variazioni o annullamenti.
Gli altri appuntamenti su www.coolclub.it
Per segnalazioni:
[email protected]
FUM ETTO
CoolClub.it
“The Boondocks”:
GOD BLESS AMERICA
Ryley: “Huey, voglio saperne di più sulla
faida tra 50 Cent e The Game. Qual è il
programma che guardi sempre?”
Huey: “Quale programma?”
Riley: “Dai quello palloso con i bianchi
che parlano di quel che succede nel
mondo…”
Huey: “Telegiornale?”
Ryley: “Quello, non l’hanno cancellato
spero!?!”
Può un fumetto di successo, pubblicato
da centinaia di quotidiani USA, ledere la
sensibilità di un popolo al punto da essere
chiuso sbrigativamente? E, soprattutto,
possono il dolore e la paura scaturiti
dalla tragedia dell’11 settembre 2001,
dare il diritto di censurare le voci e le
opinioni “scomode” marchiandole come
sovversive? Questo è stato il fato di The
Boondocks, striscia nata dalla matita del
giovane fumettista afro americano Aaron
Mcgruder nel 1999 ed apparso sulle
pagine di illustri giornali come il Washington
Post ed il Los Angeles Time. Il motivo
dell’interruzione della serie risiede negli
stessi elementi che ne hanno sancito al
popolarità ed il successo: The Bondocks è
assolutamente “politicamente scorretto”
verso la politica e la società americana
ed i censori “patriottici” temevano le
parole che Mcgruder avrebbe avuto
riguardo l’11settembre.
Fortunatamente la serie è stata ripresa
nel 2003, divenendo anche un cartone
animato prodotto dalla major Sony.
Protagonista del fumetto è la famiglia
Freeman, composta dal nonno paterno
e i due giovanissimi nipoti Huey e Riley.
Huey è ossessionato dal “grande
complotto” dei bianchi ai danni dei
“fratelli neri”, mentre il fratellino minore
Riley sta crescendo nel mito dei gangstarapper e della violenza, quale chiave
della scalata sociale.
Entrambi danno filo da torcere all’anziano
tutore, la cui unica aspirazione è di godersi
l’esiguo spicchio di “american way of
life” che spetta ad un cittadino di ceto
medio. Mcgruder deride impietosamente
i clichè sugli afroamericani (il radical
arrabbiato, il violento figlio del ghetto, il
“quasi” integrato) nei quali essi sembrano
rispecchiarsi realmente. Ne è più tenero
verso il resto di una nazione colpevole di
aver ceduto all’assurdità di un presidente
raccomandato ed imbecille (Bush) ed
alla sua amministrazione di corrotti e
meschini. Attraverso Huey, precoce
fustigatore dei costumi, l’autore ironizza
sulla “zitella” Condoleeza Rice (in una
gag strepitosa, Huey e l’amico Cesar
cercano un uomo per lei, conviti che
ciò porterà la apce nel mondo), su Dick
Cheney, su John Kerry ed i democratici
(troppo deboli ed impauriti dal calo
dei consensi, per combatter il governo
con una convincente opposizione),
sulla litigiosa coppia “tossica” Bobby
Brown- Whitney Houston, sull’ex nero ed
ex pop star Michael Jackson e tanti altri
personaggi pubblici.
Tuttavia,
il
politicizzato
Huey
è
suggestionato quanto il resto della
strampalata famiglia dalla TV, che forgia
la sua mente ed amplifica le paranoie:
allarmato dai tg sull’aviaria, ne è così
ossessionato da costringere suo nonno
a sostituire il tacchino del giorno del
Ringraziamento.
Con un’insalata. Mentre il teppistello
Ryley guarda con ammirazione alle
controverse star dell’hip hop “black”,
cresciute nei ghetti tra crack, pistole e la
passione morbosa per le auto lussuose,
ed il nonno prova licenziose emozioni
nel guardare il topless di Janet Jackson
in una diretta televisiva di qualche anno
fa.
La storia dei comics ci ha spesso deliziato
con bambini pensanti; ma nei Bondocks
non vi è traccia delle profondità
esistenziali e struggenti dei “peanuts”
di Schultz, né della determinazione
rivoluzionaria dell’incavolata Mafalda di
Quino. Lo sguardo spento ed accigliato
di Huey è privo di fiducia in un futuro
che consegnerà lui ad un’esistenza
“conforme” ed il fratellino Ryley alle
patrie galere. In ciò risiede la carica
sovversiva dei Boondocks: nel mostrare
al lettore il presente in tutta la sua
contraddittoria amenità, senza abbellirlo
in una cornice di false speranze. L’utopia
che avvolgeva i bei personaggi di Schultz
e Quino è scomparsa, ed ha ceduto
il passo all’incazzatura “nera” di Huey
Freeman. The Bondocks è giunto in Italia
grazie alla casa editrice Arcana, la quale
ha recentemente proposto una versione
aggiornata con le ultime strips nel volume
Nemico Pubblico N°2. Buona lettura.
Roberto Cesano
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