anno III numero 30 ottobre 2006 poste italiane spa spedizione in abbonamento postale DCB 70% Lecce artista: Velvet Underground titolo: the velvet underground and nico anno: 1967 autore: Andy Warhol artista: Nirvana titolo: Nevermind anno: 1991 autore: Kirk Weddle artista: Roxy music titolo: Country lifes anno: 1974 autore: Eric Boman artista: Sonic Youth titolo: Goo anno: 1990 autore: Raymond Pettibon IMMAGINA LA MUSICA [ CoolClub.it Quante volte mi sono perso tra le pieghe del suo viso, tra colori, particolari, sguardi. Lì ho cercato la musica, quella intorno a me. Come Stendhal a Firenze anch’io un giorno ho sentito il tracollo, l’emozione grande di sentirmi spettatore e protagonista di un tormento cantato e suonato. Avevo trovato l’aleph, il punto esatto in cui entrare in quel disco. Ed era quella immagine, quella copertina, il mezzo. A chi crede che la scomparsa del supporto fisico della musica sia una sua naturale evoluzione dedichiamo questo numero del giornale. Siamo stati ispirati da un serie di mostre (Siena, Perugia, Barcellona) dedicate all’argomento: il rapporto tra arte (più in generale immagine) e musica. Cosa lega una copertina a un disco? Quali sono i punti di contatto? Quanto il contenitore somiglia al contenuto? Molto è stato scritto sulla storia delle copertine, sul legame tra arte e musica, sulle censure che molti artwork hanno subito. Per questo numero di Coolclub.it, il trentesimo (registrato senza contare quelli “illegalI”), abbiamo scelto di farlo a modo nostro. Sicuri di non riuscire a esaurire l’argomento ci siamo lasciati guidare dall’affetto che ci lega a certi dischi cercando di spiegarlo. Sfogliando le pagine troverete le consuete recensioni (questo mese abbiamo cercato di recuperare i dischi usciti durante la nostra pausa estiva e di segnalarvi le novità), l’intervista a David Thomas e ai suoi mitici Pere Ubu, le nostre rubriche sull’editoria e sulle etichette indipendenti. Abbiamo intervistato anche Emanuele Crialese vincitore del leone d’argento all’ultimo festival del cinema di Venezia con il film Nuovo mondo, il salentino Antonio Castrignanò, autore della colonna sonora, e tanti altri. Questo numero, come tutti gli altri del resto, è la nostra ennesima dichiarazione d’amore alla musica, alla letteratura, al cinema. Questo numero, come quelli che verranno, sono per chi, come noi, non sa rinunciare al piacere di toccare la musica, di sfogliare le pagine di un libro fresco di stampa, di sedere tra le poltrone di un cinema con il buio in sala. Osvaldo CoolClub.it Via De Jacobis 42 73100 Lecce Telefono: 0832303707 e-mail: [email protected] [email protected] Sito: www.coolclub.it Anno 3 Numero 30 ottobre 2006 Iscritto al registro della stampa del tribunale di Lecce il 15.01.2004 al n.844 Direttore responsabile Osvaldo Piliego Collettivo redazionale Dario Goffredo, Pierpaolo Lala, C. Michele Pierri, Cesare Liaci, Antonietta Rosato Hanno collaborato a questo numero: Giancarlo Susanna, Anna Puricella, Giuseppe Scarciglia, Davide Rufini, Roberto Cesano, Valentina Cataldo, Dino Amenduni, Giovanni Ottini, Nicola Pace, Ilario Galati, Lorenzo Coppola, Gianpaolo Chiriacò, Livio Polini, Dario Quarta, Rossano Astremo, Pasquale Boffoli, Camillo Fasulo, Marco Daretti, Massimo Ferrari, Mauro Marino, Simone Rollo, Nino G. D’Attis, Marta Mazza. Ringraziamo Pick Up a Lecce e le redazioni di Blackmailmag. com, Primavera Radio di Taranto e Lecce, Controradio di Bari, Mondoradio di Tricase (Le), Ciccio Riccio di Brindisi, L’impaziente di Lecce, QuiSalento, Pugliadinotte.net. immagina la musica } 4 Musica & copertine 6 Sinestesie 9 Keep Cool 18 David Thomas Progetto grafico dario Impaginazione Danilo Scalera Stampa Martano Editrice - Lecce Chiuso in redazione prima della fine del mese Errata corrige: per un errore di impaginazione nel numero scorso il racconto di Rossano Astremo a pagina 21 è stato “tagliato”. Scusa Rossano (e grazie). Scusate lettori. 23 Coolibrì 36 Appuntamenti 29 Be Cool 38 Fumetto foto: Viviana Martucci I mmagina la musica CoolClub.it C M usica & C O P E R T in E a cura di Giancarlo Susanna Per giustificare la recente pubblicazione del nuovo box dei Byrds, Roger Mc Guinn, da sempre attento alle conquiste della scienza, ha sottolineato che i cambiamenti avvenuti nella tecnologia dei mezzi di riproduzione del suono negli ultimi quindici anni sono stati di enorme portata. “Ascoltare i nuovi cd dei Byrds è come trovarsi in studio al momento della registrazione”, ha detto con orgoglio in un’intervista. Difficile dargli torto, anche se ci costringerà a un’ennesima spesa” da maniaco”. Dovremo anzi ringraziarlo per averci offerto degli spunti di riflessione preziosi. Ian Matthwes If You Saw Thro’ My Eyes Its About Music - 1971 Ci sono dischi che hanno bisogno di anni per essere apprezzati e amati, ce ne sono altri ancora che restano patrimonio prezioso di una cerchia di appassionati. È il caso di If You Saw Thro’ My Eyes, uno dei vertici assoluti del folk rock inglese negli anni d’oro tra la fine dei ‘60 e i primi ‘70. Uscito dai Fairport Convention e dai Matthews Southern Comfort (con cui aveva peraltro centrato un numero uno nelle classifiche britanniche con una bella versione di Woodstock di Joni Mitchell), Matthews diede un’ulteriore prova della sua abilità nel governare le chitarre acustiche ed elettriche, suonate per l’occasione da tre maestri come Richard Thompson, Andy Roberts e Tim Renwick. Ma If You Saw Thro’ My Eyes è arricchito anche dalla presenza di Sandy Denny e di Keith Tippett. La copertina disegnata dallo studio Design Machine con le foto di Steve Hiett - quella virata in blu è stupenda - è perfettamente sintonizzata con il mood intimista dell’album. Quando a casa mia si accendeva la radio o si ascoltavano dischi, l’evento - perché proprio di questo si trattava - aveva qualcosa di magico e quasi misterioso. Da quei 78 giri pesantissimi usciva un suono monofonico e (più o meno) prodigo di fruscii. Le copertine non c’erano... o meglio: si trattava di semplici buste di carta con il marchio della casa discografica e un foro che permetteva di leggere i titoli sull’etichetta. Il passaggio ai 45 giri - piccoli, infrangibili e migliori per la resa sonora - fu decisivo per la diffusione del rock’n’roll e della popular music in generale. Ce n’erano molti con una confezione identica a quelle dei vecchi 78 giri - difficile dimenticare quelli di Frank Sinatra per la Capitol, con l’etichetta blu e le bustine rosa - ma ce n’erano tanti altri con foto e disegni coloratissimi. Ed è in quegli anni che nasce e si sviluppa il legame indissolubile tra la grafica delle copertine e la musica. E se la cultura della popular music qualcosa che il nostro paese fa ancora fatica a considerare seriamente - è in costante movimento, quella dell’immagine lo è altrettanto. C’è chi prevede la fine inesorabile di quest’ultima - la musica si “scarica”, neppure i cd, con le loro proporzioni ridotte e le loro scatolette di plastica sarebbero destinati a sopravvivere - ma finora ogni passaggio tecnologico si è sovrapposto ai precedenti e non ne ha eliminato nessuno. Si può (e si deve) usare il computer, ma questo non significa che non dobbiamo più leggere un libro. Ma non anticipiamo le conclusioni del nostro ragionamento. Quando gli LP erano semplicemente delle raccolte di canzoni già uscite sui 45 giri, le copertine ci dicevano più che altro chi le aveva cantate e suonate - quante di queste immagini sono finite appese nelle stanze di milioni di adolescenti? - e alcune case discografiche, specialmente in ambito blues e jazz, avevano uno stile subito riconoscibile. In questo senso è ancora una volta qualcosa creato dai Beatles e dal loro staff a darci un’idea precisa di quel che stava accadendo. Dalle prime copertine firmate da Robert Freeman a quella celeberrima di Abbey Road, i Beatles hanno esplorato tutte le possibilità che la confezione di un disco in vinile a 33 giri poteva offrire: un’immagine come quella di Freeman scelta per Rubber Soul o come quella di Klaus Voorman per Revolver aggiungeva qualcosa all’ascolto della musica. Con la forza che il loro successo aveva procurato i Beatles cambiavano i parametri della produzione della musica pop. Dopo la geniale copertina di Sgt. Pepper - che si apriva, aveva una busta interna colorata, un cartoncino da ritagliare, i testi delle canzoni - nulla poteva più essere come prima. E quando tutti gli altri artisti e gli altri gruppi si dannavano l’anima per trovare qualcosa di nuovo, furono sempre i Beatles a riportare tutto a zero con l’immacolata copertina dell’Album Bianco, che peraltro conteneva, oltre ai due 33 giri con la mela verde e le buste nere, quattro fotografie e un poster. Le copertine allargavano la visuale dell’ascoltatore, non ne imponevano una a svantaggio di un’altra e suggerivano l’esistenza di altri mondi. Potremmo fare mille esempi: dall’opera sempre originale dello studio Hipgnosis per i Pink Floyd ai paesaggi fantastici di Roger Dean per gli Yes, dai nudi scandalosi di Electric Ladyland di Jimi Hendrix e dell’unico album dei Blind Faith alle provocazioni dei Sex Pistols o dei Clash, protagonisti con London Calling di una precisa e azzeccata citazione di Elvis Presley. La comparsa sul mercato del cd ha creato degli ostacoli ai grafici, ai fotografi CoolClub.it Blonde on blonde - Bob Dylan - 1966 Elvis Presley - 1956 Immagina la musica Sell out - The Who - 1967 Strange days - The Doors - 1967 Forever changes - Love - 1968 The Beatles Sgt.Pepper Lonely Hearts Club Band Capitol/Emi - 1967 Per la copertina di quello che si sarebbe rivelato il più importante e influente album nella storia della popular music, i Beatles volevano i ritratti degli artisti e dei personaggi che li avevano influenzati di più. “Vogliamo tutti i nostri eroi riuniti qui - disse Paul McCartney - Se crediamo che per noi questo sia un album molto speciale, dovremmo avere in copertina con noi molte persone che consideriamo speciali”. A Robert Fraser, molto noto nell’ambiente artistico londinese e scelto dagli stessi Beatles, fu affiancato il grafico Peter Blake e il complicato congegno della realizzazione della copertina si mise in moto. Lo spazio che abbiamo a disposizione non è sufficiente per scendere nei dettagli. Vi basti sapere che nell’edizione su cd attualmente in circolazione c’è una “mappa” dei personaggi che compaiono su questa mitica copertina, che fu anche la prima ad aprirsi e a contenere i testi delle canzoni. Ascoltare il disco cercando di individuare i nomi degli eroi dei Beatles e il significato di certi particolari era un’avventura meravigliosa. e agli art director: non si poteva e non si può semplicemente “ridurre” le dimensioni di un progetto. Sono una pattuglia sempre più ridotta di numero, i “nostalgici del vinile”, ma anche il cd - senza magari arrivare alla follia minimalista del 3 pollici, anche qui troviamo i Beatles! - offre ampie possibilità alla creatività. Il fascino di un “digipack” realizzato con cura è irresistibile quasi quanto un vecchio LP. A noi stringe un po’ il cuore soltanto vedere tanti ragazzi con un aggeggio delle dimensioni di un accendino attaccato al collo, un auricolare infilato nell’orecchio, mano nella mano con il proprio partner e mille canzoni da ascoltare senza comunicare con nessuno. Magari qualcuno inventerà un qualcosa capace di portare su un mini-schermo da polso le immagini che la musica evoca (si spera) nella mente di chi ascolta. Ma questa è tutta un’altra storia... Santana - 1969 Abbey Road - The Beatles - 1969 The Beach Boys Pet Sounds Capitol/Emi - 1966 L’idea alla base di Pet Sounds è la cura dei suoni. Nelle intenzioni di Brian Wilson non soltanto le voci, i cori e le timbriche degli strumenti, ma anche i rumori dal campanello di una bicicletta all’abbaiare di un cane dovevano essere seguiti con l’attenzione e la tenerezza che si deve riservare ai cuccioli. In questo senso l’immagine di copertina è perfetta. Può spiazzare, perché è abbastanza lontana dalle tendenze “immaginifiche” dell’epoca, ma ritrae i”ragazzi” alle prese proprio con dei piccoli animali. La session fotografica allo Zoo di San Diego è opera di George Jerman, che forse non immaginava che i suoi scatti sarebbero stati utilizzati per un capolavoro assoluto della popular music. Per celebrare il quarantesimo anniversario della sua pubblicazione, la Capitol ha distribuito Pet Sounds in tre edizioni differenti. Niente male per chi,come il sottoscritto, ne possiede già cinque, sei versioni! Neil Young After The Gold Rush Reprise - 1970 Pubblicato nell’estate del 1970 è il capolavoro della prima parte della lunga carriera di Neil Young. Nonostante le pressioni derivate dagli impegni con Crosby, Stills e Nash e dall’attenzione della critica, Young realizzò un album in cui hanno spazio tutte le componenti del suo stile: il rock bruciante delle chitarre elettriche, il folk intimista delle acustiche e il country d’autore di Don Gibson (autore di Oh Lonesome Me, che apre la seconda facciata, ma anche della celeberrima I Can’t Stop Loving You di Ray Charles). La grafica di Gary Burden e le foto in bianco e nero di Joel Bernstein sono in netta controtendenza con le colorate immagini delle copertine dell’epoca e aggiungono alla malinconica bellezza del disco un tocco di mistero: bisognava aprire la copertina per avere un ritratto leggibile di Young, sorpreso in un momento di riposo nei camerini del Fillmore.Non sempre i numerosissimi album del cantautore canadese avranno un abito confezionato con tanta perspicacia. I mmagina la musica Fun house - The Stooges - 1970 Hunky dory - David Bowie - 1970 CoolClub.it C Pink moon - Nick Drake - 1972 Sticky fingers - Rolling Stones -1971 Horses - Patti Smith - 1975 The dark side of the moon - Pink Floyd - 1973 Never mind the bollocks - Sex pistols - 1977 Aphex Twin Windowlicker EP - 1999 La rivoluzione dura 16 minuti. Quanto basta per cambiare o comunque per dare una svolta alla musica. La conferma del genio di Richard James emerge in questo EP: bastano 3 tracce, un video (della canzone Windowlicker) e l’annesso packaging per causare un piccolo terremoto. Pubblicato nel 1999, due anni dopo Come to Daddy, verrà ricordato soprattutto per l’incredibile video, girato da Chris Cunningham. Lungo 11 minuti, e quindi anti-televisivo, è una delirante parodia dei classici video rap americani, tutta donne, macchine e champagne, in cui allo stesso tempo è elevata alla massima potenza l’immagine di Aphex Twin, il cui volto, sul finale del video, invade a sorpresa lo schermo sotto forma di riproduzione continua dei volti delle modelle (come è possibile vedere nella cover). Questo è il momento più alto della carriera della punta di diamante della Warp, etichetta le cui scelte rispecchiano perfettamente l’animo del musicista. Momento (sempre inseguito, mai più raggiunto) che coincide con il famoso episodio del remix richiesto da Madonna per Music e mai più realizzato in quanto le richieste di Aphex (un sample con un grugnito) apparvero offensive all’entourage dell’incarnazione del Pop. E in più, un intervista di Thom Yorke, a 2 mesi dall’uscita di Kid A, l’album forse più innovativo degli ultimi 10 anni, che afferma con determinazione la sua ispirazione massima durante la realizzazione: proprio Aphex. Cercatevi il video! Dino “doonie” Amenduni S in E s T E si E Lo stretto legame che da sempre unisce musica e immagine viene chiamato sinestetico. Ne è la manifestazione più alta quella in cui i vari i sensi concorrono a creare un unica immagine. Il suono è tra gli stimolatori di sensi, il più potente. Immergersi nel suono, soprattutto se ad alto volume lo rende fisico, percepibile. Questo da sempre ha suggestionato i musicisti. Basti pensare al compositore Debussy che scrisse partiture per pianoforte chiamandole Images (immagini appunto). Per questo stesso motivo fu definito al tempo un impressionista, proprio come gli esponenti della corrente pittorica. Molto spesso la musica, al contrario, ha ispirato artisti visivi che hanno raffigurato la musica nei modi più svariati. Con l’avvento del supporto fisico capace di contenere la musica, il rapporto musica immagine si è stretto, è diventato funzionale. L’arte diventa così applicata, complementare alla musica, altre volte slegata, ma parte di un unico oggetto che è il disco. Nasce così un rapporto nuovo tra arte e musica. Un caso emblematico e curioso a tal riguardo è quello della copertina dell’album Go 2 degli Xtc (nella foto accanto) in cui al posto dell’immagine campeggia un testo in cui si spiega l’importanza di una copertina ai fini della vendita di un disco. Un altro caso, celeberrimo e forse tra i primi, di interazione tra musica e arte è quello tra i Velvet Underground e l’artista pop Andy Warhol. La famosa banana (in copertina) che campeggia sul disco è un simbolo come la stessa band diventa CoolClub.it Unknow pleasure Joy Division - 1979 London calling - Clash - 1979 Immagina la musica Pornography - The Cure - 1982 Rio - Duran duran - 1982 Purple rain - Prince - 1984 Like A Virgin Madonna - 1984 The queen is dead - The Smiths - 1986 Pink Floyd Wish you were here Harvest/Emi - 1975 Scegliere una copertina di un disco dei Pink Floyd non è facile. Ognuna di loro rappresenta un’opera d’arte intrisa di simbologia e magia che solo loro sono stati capaci di creare. Storm Thorgherson per molti viene identificato come il quinto elemento dei Floyd perché ha saputo tramutare in immagini le “visioni” della band. Uno dei dischi più belli ma anche più tristi della storia del rock, tutto ruota intorno alla simbologia dell’assenza. L’assenza di Syd Barrett che proprio durante la registrazione di questo disco appare negli studi di Abbey Road come per dare un ultimo saluto agli amici. Storm rappresenta in questo artwork due uomini vestiti elegantemente che si stringono la mano in mezzo ad una strada. Uno dei due ha preso fuoco, combustione che viene anche rappresentata sul bordo destro della cornice. Una visione surreale quasi a citare De Chirico e Magritte il fuoco rappresenta il dolore per la fine di un’amicizia e la stretta di mano può essere interpretata come la finta comunicazione. Una delle più belle foto della storia. Wish you were here- vorremmo che fossi qui. Giuseppe Scarciglia rappresentazione musicale dell’arte e delle istallazioni dell’artista. Da lì in poi, nel corso dei decenni, il contatto tra le due arti si infittisce e articola. Sempre rimanendo nell’ambito della pop art troviamo tracce di Keith Haring su un album di Malcom Mc Laren, ma anche copertine ad opera dell’italiano Mario Schifano. Ciò che rimane di un’epoca che non abbiamo vissuto è certo e soprattutto la sua musica ma anche la sua iconografia. Il merito delle copertine, siano esse dipinti, fumetti, foto, ci offrono lo spunto per immaginare accompagnati dalle note, l’istante stesso in cui quel disco ha suonato per la prima volta. Fenomeni come il glam, il punk molto devono alla loro raffigurazione, alle copertine che ne hanno immortalato l’essenza. Altre volte le copertine hanno invece immortalato l’icona promuovendola a mito. È in questa fase che la foto di moda incontra la musica regalandoci copertine bellissime. Altre volte ancora l’immagine di copertina si slega in maniera violenta dalla musica, si pone quasi in contrasto con essa creando un codice che finisce per rappresentare un genere (penso ai Sonic Youth e a tutti i loro derivati). Si arriva all’illusione di sapere cosa conterrà un disco guadandone solo la copertina (inconfutabile quando si parla di metal), ma rimane, per fortuna, sempre un punto interrogativo, la possibilità che musica e copertine trovino una nuova strada. Osvaldo Piliego Portishead Portishead Go! Beat- 1997 I maestri del trip-hop mancano dalle scene da quasi dieci anni. Portishead, il loro ultimo lavoro in studio, risale infatti al 1997. Pubblicato tre anni dopo lo straordinario esordio (Dummy), con questo secondo album Beth e soci hanno impugnato lo scettro dei sovrani del trip-hop. E anche se è passato tanto tempo, io quello scettro non glielo toglierei dalle mani per nessuna ragione al mondo. Perché nella mia testa i Portishead hanno contato più dei compaesani Massive Attack, ai quali bacerei comunque i piedi. Sulla cover di Portishead primeggia il logo del gruppo, una P minimal proprio come loro. E la stessa P si ritrova sul taschino della giacca di un uomo in primo piano, all’altezza del cuore. L’occhio però cade sulla figura in secondo piano, soggiogata dalla mastodontica P dello schermo. Una bambina, con un vestito bianco molto Fifties e calzettoni da sfigata. È un fotogramma dell’inquietante video di All Mine, primo singolo dell’album. Avevo 15 anni quando ho visto quel video per la prima volta, non passava spesso su Mtv, ma mi agitava ogni volta lo stomaco. Come la voce di Beth e le melodie di Barrow ed Utley. Mi disturbava quella bambina con lo sguardo perso e la bocca spalancata a doppiare una Gibbons disperata. “So don’t resist/We shall exist/Until the day I’ll die/All mine/ You have to be”. Più un’ossessione che una canzone d’amore. I Portishead hanno sempre saputo inquietarmi bene, questo album forse l’ha fatto ancora meglio di Dummy, e lo fa fin da principio, con i cori cavernosi di Cowboys, fino a Only You e Mourning Air. Non sarà storica come il video o l’album, considerato uno dei Top20 del ’97, ma questa cover riflette al meglio lo spirito Portishead, imprimendosi nella memoria. A quanto pare il gruppo di Bristol è di nuovo in studio per il terzo album, finalmente. Io ci spero, anche se ormai si fanno attendere da troppo tempo, e mi fanno sentire sconsolata come la bimba della copertina. Anna Puricella Keep Cool Pop, Alternative, Metal, Elettronica, Lounge,Italiana, Indie la musica secondo coolcub Sparklehorse Dreams for light Years in the belly of a mountain Capitol/ Emi Indie / ***** Ai meno distratti la discografia di questo artista non sarà certo sfuggita. Il sottoscritto ha dovuto recuperare in corsa dopo essersi follemente innamorato del suo penultimo album dal titolo It’s a wonderful life. Ma Mark Linkous, l’uomo che si cela dietro il progetto, è uno che ti lascia prendere il tempo giusto per godere delle cose. Belle e brutte poco importa, tutte e due, se vissute con intensità, trasmettono emozioni che vale la pena raccontare. Dopo aver esordito nei primi anni ’90 con un album folgorante come Vivadixiesubmarinetransmissionplot Mark ha trascorso un decennio difficile e ce lo ha raccontato (nel 96 ha anche rischiato la morte dopo una scorpacciata di antidepressivi). C’è chi dice che tutti i grandi artisti soffrono moltissimo, chiusi in una vita stretta, incapaci, forse, di esprimere tutto quello che sentono. Sparklehorse ha scelto per la sua musica un velo di malinconia che senti sincera, una rabbia che sembra implodere, soffocata tra i denti, un amore per le cose intime e vicine come le sue canzoni. Tutto questo tradotto in musica è pop, indie, folk, rock. con l’aiuto di vari musicisti e collaboratori che si sono avvicendati nel corso degli album. Mark ha sempre realizzato dischi dal sapore artigianale, fatto in casa. Lo dimostra la sua attitudine per suoni spigolosi e low-fi, un cantato quasi sempre sussurrato e la predilezione per le ballad. Ha in sé il talento dei grandi folk singer (il più accostato al suo nome è Neil Young) la passione indie che lo ha avvicinato ad artisti come Beck, Bright Eyes, the Flaming Lips tutti presenti in album tributo da lui organizzato e realizzato in onore di Daniel Johnston, un lato acustico intervallato da nervose bizze elettriche e una grande passione per la melodia. Questo ultimo album segue l’umore musicale del suo precedente, non ha forse alcuni guizzi emozionali dei suoi precedenti ma segna la maturità e l’equilibrio dei vari elementi che da sempre hanno affollato le canzoni di Sparklehorse. Insieme a lui, in questo album, ospiti d’eccezione come Tom Waits e Dangermouse. Se siete in cerca di emozioni forti ma sussurrate, questo disco fa per voi. Osvaldo KeepCool 10 Scissor Sisters Ta-dah Polydor Pop / ***½ Oh, che bello! Un cd dei Bee Gees! Questo è il potenziale commento medio di un 40enne al primo ascolto di Ta-Dah, seconda prova del quintetto americano. E in effetti il dubbio potrebbe anche venire, se non ci si concentra per bene. Un cd quanto mai autoreferenziale, che conferma, nel paradosso, l’unicità di un gruppo che fa delle citazioni il proprio punto di forza. Dopo il boom del cd omonimo del 2004 (album più venduto nel Regno Unito in quell’anno), appare piuttosto evidente la volontà delle Sorelle Forbice di proseguire sul sentiero già battuto in precedenza, in un mix tra “Settanta, Ottanta e Duemila” (come già sottolineato dalla campagna pubblicitaria). Il singolo, I don’t feel like dancing è il pezzo più radio-friendly, con un Elton John ispiratissimo (e non poteva essere altrimenti). Tutt’attorno, una manciata di pezzi spiccatamente pop, anche di ottima qualità, She’s my man (si, avete letto bene) su tutti. I testi sono esattamente come ve li potreste aspettare da un manipolo di fieri metrosessuali, con citazioni anche ai piani alti della storia della musica (una canzone si chiama “Paul Mccartney” pur suonando in modo esattamente ossimorico rispetto ai Beatles, ovvero con andamenti synthpop anni ‘80). Degna di nota anche Intermission, cantata da un Jake Shears versione no-falsetto, pezzo che avrebbe fatto la gioia di Rufus Wainwright. Un buon cd, che non farà la storia della musica, ma che va ascoltato. E vanno colte tutte le potenzialità del gruppo di New York, in attesa di una prova un po’ più coraggiosa, il viatico per entrare nel gotha del pop. Aspettando, magari, una collaborazione con Madonna. Dino “doonie” Amenduni The Delgados The complete BBC Peel Sessions. Chemical Underground / Audioglobe Indie pop / **** Indie fatto come ai bei vecchi tempi, con il piede su un distorsore, i Pixies nel cuore, le Breeders ancora dietro l’angolo, da qualche parte i Jesus and mary chain. Immortalati dalle mitiche Peel sessions (hanno ospitato da Hendrix fino ai nostri Uzeda), nate dalla mente del grandissimo conduttore radiofonico John Peel queste registrazioni accumulate negli anni e album dopo album dalla band capitanata da Emma Pollock vengono pubblicate. Una sorta di archivio, memoria di ciò che è passato, esiste e non bisogna dimenticare. Ed è generosa questa session dei Delgados. Un doppio in cui il gruppo scozzese sfodera tutto il suo campionario, dalle asperità indie noise, alle canzoni più chamber rock, fino ai momenti più romantici e brit pop in cui è il piano a dominare sulle chitarre. C’è anche una cover di California uber alles, un tributo al punk dei Dead Kennedys. Non è un greatest hits e neanche un live, ma ha in sè la bellezza e la spontaneità di entrambi. Se vi siete persi dieci anni di storia dei Delgados questo è una specie di Bignami, un assaggio che vi metterà subito fame, quella di avere tutti e cinque i loro album. (O.P.) Micah P. Hinson Micah P. Hinson And The Opera Circuit Sketchbook/Goodfellas cantautorato folk, country / **** È una delle voci più belle degli ultimi anni, Micah P. Hinson, ci regala nuove struggenti emozioni con un album composto da undici perle di ottimo cantautorato americano. Inizia col suono delle cicale, poi una chitarra, un’armonica dal suono delicato, la sua voce, sembra quella di un uomo maturo, ma ha solo ventiquattro anni. Si potrebbe dire, solo per rendere l’idea, che assomiglia a Johnny Cash insieme a Calexico e Devendra Banhart, ma sarebbe stupida e limitata come descrizione. Micah è se stesso, in tutto il talento e la sensibilità, un songwriter dal cuore sanguinante. Seppur di giovane età, dai suoi testi si evince quanto abbia sofferto in passato a causa di situazioni dure, di disagio. Poesia bucolica, rurale, amore e sofferenza, attimi cupi e spiragli di luce. Questo disco è stato composto nella sua casa di Abilene, in Texas, dove l’artista costretto a letto a causa di un infortunio alla schiena, ha deciso di invitare e coinvolgere un gruppo di amici, gli Opera Circuit, tra cui vi è il cantautore statunitense Eric Bachmann ed Henry Da Massa, con la sua armonica, presente anche nel progetto parallelo denominato Late Cord. Genio e capacità espresse in un ottimo disco dalle tinte autunnali. Livio Polini Lisa Germano In the maybe world Young god records / Goodfellas Dream pop / **** A volte c’è bisogno di qualcosa per risvegliare una parte di noi che credevamo sopita. A volte quel qualcosa è un disco. Tutti portiamo con noi malinconie che per un po’ mettiamo via ma che ci servono, fanno parte di noi. Ci sono artisti, grandi artisti, capaci di cantare uno stato d’animo, di rappresentarlo alla perfezione con pochissimo. Lisa Germano è certamente una di questi. Questo suo nuovo album è onirico, notturno, dolce. Classica per alcuni versi, come la formazione dei suoi genitori musicisti, matura per i 48 anni che ormai bussano alle porte e i numerosi dischi alle spalle, Lisa Germano in questo In the maybe world riesce a imporre in poche tracce e pochi minuti uno stato d’animo. Basta concentrarsi sui pochi elementi chiamati in causa per perdere il contatto con tutto il rumore e trovare pace in queste tracce. Senza alcun bisogno di forzare, accostando al piano ora una chitarra, ora un violino struggente, rispettando strofa e ritornello, KeepCool ma semplicemente sentendo ogni singola nota suonata Lisa ti inchioda con un incedere che sembra un invito a riprenderti il tuo tempo. Se sapete che sapore ha la lontananza provate ad ascoltare Too much space. Romantico e decadente come l’artwork questo disco è neve, fiore e uccello è un sibilo lento e dolce che arriva fino al cuore e può far male. (O.P.) 11 Paolo Nutini These streets Atlantic New Acoustic Movement / **** Ani Di Franco Reprieve Righteous Babe Folk / *** Un lungo intro strumentale, un contrabbasso a cui si aggiunge, lento, un pianoforte e solo successivamente una voce, dolente, che parla, non canta: questa la splendida Hypnotized, ad apertura dell’ultimo album di Ani Di Franco. Accanto al contrabbasso, ormai parte integrante del suo sound e suonato da Todd Sickafoose, l’immancabile chitarra acustica, meno irrequieta del solito, più incline verso suoni folk che sanno di dolce ballata più che di ribellione. Ma i temi che ad Ani piace affrontare non mancano certo in questo disco, la denuncia politica è presente nei testi anche di questo lavoro - come in tutti gli altri - a cui è dato un particolare risalto. Le parole, infatti, spesso parlate piuttosto che cantate, o urlate, rappresentano il punto centrale intorno cui ruotano tutti gli strumenti, la chitarra in primis, il contrabbasso, il piano e l’organo suonati da Sickafoose, poi effetti e percussioni. Probabilmente non tutti dei tanti fan d’annata della Di Franco avranno ben accolto questo disco, proprio per questa sua verve melodica, quieta, molto matura e introspettiva. Ma la sua voglia di rivolta resta, seppur velata da note poetiche. Feminism ain’t about equality, it’s about reprieve… Valentina Cataldo La storia di Paolo Nutini non è troppo diversa da quelle con cui ultimamente ci imbattiamo constatando l’avvento di stelline della musica: un ragazzo di belle speranze e con una sufficiente dose di furbizia fa circolare un paio di pezzi via Internet, attraverso l’onnipresente myspace.com, i pezzi piacciono, la multinazionale guarda, ammira, fa firmare. Lily Allen e Sandi Thom hanno percorso le stesse tappe, per intenderci. Qui però finiscono gli elementi in comune con questo clichè divenuto addirittura ai margini dello scontato. 19 anni, papà italiano e mamma scozzese, si presenta in modo assolutamente convincente con questo These streets che non appare affatto un veloce patchwork utile solo a sfruttare l’onda mediatica, bensì un album vero e proprio, ragionato e completo. Al suo interno c’è Last Request, il singolo giunto sino al quinto posto in UK e che da qualche giorno passa timidamente anche da noi in radio (non senza un minimo di sorpresa). La musica è scritta da lui, così come i testi: Paolo (dice) si ispira a Oasis, Doors e Pink Floyd ma in Alloway Grove, in particolare, appare evidente la lezione di Simon e Garfunkel. Vocalmente sicuro (in particolare in Autumn), ha ricevuto l’investitura dei Rolling Stones, che l’hanno voluto come opener per un loro concerto a Vienna. Unico limite è la sindrome da “già sentito”, ma se il cd vi annoia, tenete duro (o passate direttamente alla traccia fantasma): la finale Last request in versione unplugged è semplicemente da brividi. Ne sentiremo parlare, non fosse altro per il tocco di italiano che porta con sé. Dino “doonie” Amenduni My brightest diamond Bring me the workhorse Asthmatic Kitty Gothic pop / ***½ Sufjan Stevens produce per la sua etichetta l’album di esordio dell’amica e collaboratrice Shara Worden, originaria del Michigan, proveniente da una famiglia di musicisti legati alla chiesetta pentecostale di Ypsilanti. Durante i suoi anni di sviluppo delle sue indiscutibili doti vocali da teatro d’opera lavora addirittura con Whitney Houston e Mariah Carey, finché non decide di abbandonare il mondo mainstream per perfezionarsi studiando spartiti più classici. Si iscrive ai corsi di canto dell’University of North Texas, dopodichè, trasferitasi a NewYork inizia ad avvicinarsi ai circoli musicali underground della città, ascolta Antony, Nina Nastasia, Rebecca Moore. Raccolti così un gruppo di musicisti, comincia ad esibirsi in piccoli club, fino al fatale incontro con Stevens e l’ingresso nei suoi Illinoisemakers. Ed ecco infine la sua personale uscita discografica (che in realtà è doppia, poiché parallelamente a questo disco ne realizza un altro con un quartetto d’archi, A thousand shark’s teeth): legato (non completamente) al sound dell’etichetta, il disco rivela la sua particolarità inevitabilmente nel personale timbro vocale della Worden (non lontana da Beth Gibbons), che a dir la verità a tratti risulta anche troppo ridondante e barocco. Per fortuna non è uno di quei prodotti in cui la musica è solo una base di accompagnamento, ma ci sono interessanti tessiture strumentali dalle tonalità cupe, a volte solenni, a volte spettrali, a volte drammatiche, a volte marziali (certi punti mi ricordano addirittura i primi Black Sabbath). Di certo un album molto emozionale. Davide Rufini Barbara Carlotti Les Lys brisés 4AD Pop / *** Una voce bianca e bassa che canta di pioggia, silenzio, notti d’amanti. Non è italiana nonostante nome e cognome possano entrambi trarre in inganno. Trentenne francese doc nata nella KeepCool regione parigina e cresciuta in Corsica tra studi musicali e l’interesse per la danza. A tre anni da un mini-album autoprodotto intitolato Chansons esce adesso con l’etichetta 4AD - prima artista francese sotto contratto - il suo Les Lys brisés. Il disco racchiude quattordici pezzi, tutti molto semplici, molto delicati, molto – oserei - nostalgici. Giri di chitarra d’accompagnamento, pochi altri strumenti per delle melodie sottili e poi la sua voce, senza artifici, posata, bella da ascoltare. Nel complesso un suono estremamente chiaro che non dispiace affatto, al contrario ben si coniuga alla malinconia autunnale di questo periodo. Un’eleganza e una grazia tutte francesi. Un evidente richiamo ai passati anni ’60 di Françoise Hardy, icona pop, “esile e ombrosa”, chanteuse amatissima e conosciutissima in patria cui ancora oggi molto signorine del rock s’ispirano. Nell’album della Parlotti una chicca, la bella A Rose for Emily degli Zombies adattata da lei in francese. Valentina Cataldo Christina Aguilera Back to basics Rca Pop (di tutte le stagioni) / **½ C’è qualcosa che non (mi) convince in quest’ultima fatica della ri-bionda X-tina. Eppure non è nemmeno un album da usare come piattello per le Olimpiadi: la voce è sempre su discreti livelli (anche se ho come la sensazione che la consapevolezza di ciò abbia portato la Aguilera a non rischiarla più di tanto) e le idee ci sono, forse addirittura troppe. Di qui, (non) si spiega il doppio album. Probabilmente per un suo vezzo, probabilmente per mettere tanta carne al fuoco (utilizzando l’espediente come deterrente alla pirateria), Christina sfodera un primo album “standard”, prodotto da Dj Premier e al cui interno svetta la hit single Ain’t no other man e in cui è possibile ritrovare tutte le frecce del suo repertorio: soul, funk (in Still dirrty, una dichiarazione anti-ansia per i fan), hip-hop (Thank you, riuscitissima autocitazione di Genie in a Bottle), e ne affianca un altro, prodotto da Linda Perry delle compiante (?) Four Non Blondes. Questo secondo cd è completamente inatteso ma alla fine forse prevedibile: strutturato come una sorta di musical à la Christina in versione Lady Marmalade, non ha una fisionomia poi realmente coerente, dato che sono inseriti due lentoni nel finale, intensissimi (Mercy on me, Save me from myself), che fanno mal pensare: Christina sa fare meglio le ballad. E ora? I video in cui la musica era un optional? Niente più? Meglio di no, facciamo 2 album, 22 tracce. Se ne avesse fatte 9, sarebbe stata la consacrazione. E invece ci dobbiamo accontentare di una, purtroppo piccola, maturazione. Dino “doonie” Amenduni Pharrell Williams In my mind Ect Hip-hop, soul / ** Finalmente è arrivato. Uno dei cd più travagliati della recente storia musicale ha finalmente visto la luce. Dopo ben tre singoli a introdurlo e dopo una serie veramente imbarazzante di rinvii (doveva infatti uscire a novembre 2005) è agli occhi di tutti il primo progetto solista di Pharrell Williams, illuminato produttore, a nome Neptunes, insieme a Chad Hugo, di (quasi) tutto ciò che di nuovo arriva dagli Stati Uniti in materia di hip-hop, o come membro dei N.E.R.D, in cui emerge(va) lo spirito più rock del nostro. I rinvii solitamente non portano buoni auspici (i fan dei Guns’n’Roses ne sanno qualcosa) e purtroppo questo cd, in questo senso, non tradisce le aspettative. Lo fa invece a livello di qualità musicale. Pharrell infatti sembra non riuscire a reggere il carrozzone da solo e cade in un limite poi tipico di questo genere di album, la ripetitività. La voce non esalta, il falsetto che tanto ha sciolto le donnine negli ultimi due anni (in capolavori del genere come Beautiful, con Snoop Dogg), utilizzato in maniera massiccia in un album, fa pensare che i colpi in canna siano finiti. Non bastano le collaborazioni eccellenti (lo stesso Snoop, Nelly, Jay-Z, Gwen Stefani, Kanye West) a salvarlo. Ed è addirittura imbarazzante la mediocrità del pezzo Number One, con Kanye. I due, in linea teorica, sono le menti più brillanti del panorama soul americano, in pratica fanno il compitino e niente più. Come se una squadra di calcio con Ronaldinho e Kakà uscisse ai quarti di una Coppa del Mondo. Ah, dite che è successo davvero? Dino “doonie” Amenduni Alias and Tarsier Brooklyn/Oakland Anticon records Elettronica / **** La ritmica distorta e il fraseggio di piano che aprono questo disco ne racchiudono le due anime. Quella di Alias robusta, ritmica, figlia dell’hip hop e con qualche ricordo in casa Morr e quella di Tarsier , pop, dolce, sognante e malinconica. All’utilizzo di un’elettronica più glicth fatta di frequenze disturbate e suoni in bassa fedeltà si accostano suoni freddi, muri di sinth, ritmiche che spingono e incalzano lente e potenti. Tutto convive in un’armonia che non ha posto dove esistere se non nell’aria. Musica per aereoporti teorizzò qualcuno qualche anno fa, questo è un disco che sa di città, (sentite l’incipit di Last nail) di strada, ma anche di stanze dove cercare e trovare pace e dove quello che succede fuori arriva ovattato, filtrato. Per i nostalgici del trip hop questo disco è una corsia preferenziale verso alcune atmosfere care al genere, per chi ama il pop questo Brookland/Oaklyn è una scoperta (ascoltate come atmosfere acustiche sposano l’elettronica in Dr.c).Immagina due colori, due punti di vista diversi ma complementari e falli suonare insieme. In alcune battute la voce si Tarsier ricorda vagamente Bjork, ma è solo un momento. il resto è ispirato, ricco si muove su trame semplici ma fitte. Le due personalità acustica ed elettronica in 5 year dove scomodano una sezione di archi che presto viene impastata tra rumori rubati alla strada fino a esplodere tra chitarre distorte e delay. Ci sono tante cose in questo disco, messe lì per farsi scoprire ascolto dopo ascolto. Sembra aver preso una piega questo Brookland Oaklyn, quasi ci stai bene dentro accarezzato dalla voce di Tarsier quando arriva un brano claustrofobico come Luck and fear a rimettere quasi tutto in discussione. Ligaya infine è come un saluto sui binari della stazione, la fine di un viaggio l’inizio di un altro. (O.P.) Supersystem A million Microphones Touch & go rec Ritmi / *** Sono lontani gli anni in cui gli El Guapo ti riuscivano a disturbare la cena con le loro note secche e violente, capaci di suscitarti un’angoscia dal profondo. Il cambio di ragione sociale aveva già da subito fatto intendere un approdo a lidi più leggeri a fruibili. La maggior cura della produzione e dei vocalizzi, l’allargarsi degli strumenti (in Eagles feeling eyres c’è addirittura un’arpa), l’introduzione di beats funky e grooves più danzerecci, finanche di ritmiche da world music, tutto ha contribuito alla rielaborazione dell’attitudine (ed evidentemente anche degli obiettivi) del gruppo. A sentir loro si sono incentrati molto sulle melodie, per non fare una ennesima banale accozzaglia di ritmiche per ballare, ma per creare con cura strutture innovative capaci di riempire “lo spazio tra e attorno i beats”. Ma in questo lavoro di ricerca e di riempimento certosino degli spazi, a mio avviso, mi sono ritrovato KeepCool in mano un prodotto tanto piacevole, ricco e ben confezionato (anche nella grafica) ma che non mi suscita più niente. Portatevelo a qualche festino in spiaggia per fare i fighi, avrete di certo successo, ma quando tornate a casa, e siete da soli, rimettete su un vecchio vinile degli El guapo e godetevi i rigurgiti di vomito alcolico che vi tormenteranno tutto il resto della nottata. Davide Rufini Yo La Tengo I Am Not Afraid Of You And I Will Beat Your Ass Matador/Self indierock / **** confronti e collaborazioni in città, Blumm sparisce con suo camper accompagnato solo dalla sua fida chitarra, e solo, lontano dal marasma di input metropolitani, rielabora tutti i suoi contenuti emotivi, psichici, culturali, musicali immagazzinati e tira fuori le basi per il nuovo disco, che realizzerà in compagnia di fidati amici, chiusi in una stanzetta accogliente e silenziosa. Un clarinetto, una trombetta, un trombone, un flauto, una chitarra, una batteria e poco altro per realizzare in musica lo stato d’animo pacifico e rilassato dei musicisti. La colonna sonora ideale per un tramonto di una calda giornata in spiaggia, stesi con in mano una bevanda ghiacciata: la perfetta espressione di lounge music. Soffici fiati, delicate atmosfere, giri di chitarra avvolgenti, uno stile elegante da far invidia a Burt Bacharach: una musica mai ruffiana, mai volgare. Per me, il più bell’album di questa estate. Davide Rufini Miss Violetta Beauregarde Odi profamun vulgus et arceo Temporary Residence Elettropunk / **½ Un nome che è tutto un programma, “Non ho paura di te e ti romperò il culo”, questa la traduzione del titolo dell’ultimo album dei Yo La Tengo. Una delle band più interessanti della scena indierock statunitense, da diversi anni in circolazione, riconosciuti per le particolari e in più occasioni dimostrate qualità (come non ricordare I Can Hear The Hearts Beating As One). In quest’ultima prova è presente una tale longevità, forza, energia, senso creativo da fare invidia a svariate bands di giovani ventenni. Con quindici tracce per più di un’ora di ascolto, ritorno in grande stile per la band del New Jersey. Sicuramente uno dei migliori album in una ricca discografia quello di Ira Kaplan e soci, allegro e ben costruito, vario e ambizioso. Rock and roll, pop, funk, soul, garage, wave, lounge, un viaggio in bilico tra il suono lontano dei ‘60 e ‘70 (nel brano Ronnie addirittura il rock sfrenato degli anni cinquanta) ed il moderno, un vortice di generi e stili, abilmente suonati e arrangiati. Su questa giostra di luci e colori è una gioia salire, il rischio come potrete intuire è arrivare da sobri per poi ritrovarsi completamente ubriachi. Siete pronti a questa possibilità? Altro giro, altro ascolto, gettonarsi. Livio Polini F.S. Blumm Summer Kling Morr Music Lounge music / **** ½ Con questa nuova uscita il berlinese Blumm si riconferma essere uno degli artisti più interessanti di casa Morr. Dopo un’intera stagione di ascolti, incontri, Fifi-punk dell’ultim’ora, originaria di Bergamo, ma poi trasferitasi ad Alessandria, amichetta della tipa dei Verdena con cui aveva formato le Porno Nuns (e già si può intuire il personaggio se vogliamo affidarci ai beneamati pregiudizi), accanita fedele al DIY, ha bazzicato in vari gruppetti punk ed elettro-punk (tra cui i Tributo a Luigi Galvani ensemble messo su insieme a quei fusi di testa dei Uochi Toki, e questa è cosa buona); col nome di Aiki è inoltre conosciuta tra gli indie-sfigati come provocante suicide girl (vedi www. suicidegirls.com). Una di quelle faccette carine ma che ti stanno subito sul cazzo, miss Violetta si è distinta come scomodo personaggio dell’indie italiano, per i suoi modi aggressivi e irrispettosi verso tutto e tutti (basta leggere il titolo del nuovo album “odio la massa ignorante e la tengo lontana” per capire il tipo). In realtà a più di qualcuno ricorda la solita ragazzina italiana-media un po’ fighetta che deve fare la parte della punkabbestia a tutti i costi dimostrare al mondo che lei è diversa, che lei è vera, che lei prende posizione, che lei non si fa sfottere, che lei controlla la sua esistenza, che lei parla in modo poetico e se non mi segui cazzi tuoi, e barabin baraban (e per farlo capire a tutti c’ha pure il blog ovviamente: heidi666.splinder.com); uno di quei personaggini che dopo dieci minuti di sofisticate puttanate, sproloqui, minacce, te ne vai sennò la scatti di mazzate. E la musica che produce è un po’ tutta così: isterica a vuoto, un inutile bombardamento di stronzate, ma dette con convinzione e cattiveria. Se dobbiamo esser poi professionali, allora devo dire che si tratta di un prodotto da catalogare alla voce: female elettropunk-techno-hardcore di japanoisiana memoria, e in realtà neanche tanto malfatto, solo che io proprio non lo reggo; sarà che fa caldo e starmi a sentire questa che urla proprio non mi va giù. Consigliato agli scoppiati nevrotici. Davide Rufini Roy & the devil’s motorcycle Because of women Voodoo Rhythm Records Blues / ***** Devo dire che con questa produzione recentissima, Because of women degli svizzeri Roy & the devil’s motorcycle, tre chitarristi (3 Brothers) più un batterista, Oliver, la Voodoo Rhythm si è davvero superata. Il sound prodotto dalle tre chitarre e da Oliver travalicano l’abusato concetto di trash-blues che si rivela limitativo nel loro caso. Da un lato si ricollegano a certo “decostruttivismo” blues di mitiche band come Chrome Cranks, Bassholes e Cheater Slicks; come loro in brani come l’oppiacea I Had A Dream, l’acustico-folkeggiante Winding Up (con tanto di onde che si rifrangono e grida di gabbiani) e l’informale Dust Ball Flashback iniettano nella matrice nera del blues alcolizzati ed onirici umori esistenziali di bianchi alla deriva, di vite allo sbando, mutandone per fatale inerzia e trasfigurandone le trame originarie. Un mood che ricorda molto gli abbandoni drogati degli Spaceman 3. Ma, a differenza dei nomi succitati, Roy & The Devil’s Motorcycle rinunciano ad urgenza ritmica e deflagrazioni soniche per dar vita ad una psichedelica blues decelerata ed inquietante in cui sono gli obliqui e visionari téte-a-téte delle tre chitarre e la voce trasandata ed occasionale a farla da padrone. Autentici monumenti al “cuore nero” di questo blues posseduto da un incredibile nichilismo bianco sono Dark Sunday Evening (qui i 13th Floor Elevators sembrano essersi dati appuntamento con i Joy Division), la cover di Junior Kimbrough, Don’t Leave me (strascicata ed alcolizzata) e quella di Elmore James, It Hurst Me Too, che come Johnny Be Good iniziano canoniche per poi inerpicarsi perfidamente su stravolti ed imprevedibili sentieri sonori. Omaggi alla tradizione quindi, anche se devastati da una seriale dedizione alla profanazione ed ad un’innata trascendenza sonica. Sono comunque episodi come Illumated Cowboy, spiritata ed inclassificabile, che non offre il fianco ad alcuna etichetta musicale “umanoide”, e poi Dark Sunday Evening, e la tormentata e densa When We Were Young che senza ombra di dubbio mettono a fuoco la visionarietà straripante e potente di una band rimasta troppo a lungo nell’oscurità di un piccolo villaggio delle montagne svizzere, oggetto di un rito per pochi adepti. Pasquale Boffoli KeepCool Mudhoney Under A Billion Suns Sub Pop/ Audioglobe Rock / **** Il rock dei Mudhoney dimostra, ancora una volta, d’essere qualcosa di sincero e dalla forte identità musicale, emozionante ed impegnato. Quasi vent’anni fa, in una fredda e piovosa città del nord-ovest degli Stati Uniti, quattro ragazzi scapestrati e ribelli portarono per la prima volta nelle orecchie dei depressi adolescenti di allora un suono molesto, gracchiante e spaventosamente violento, capace di scuotere dalle fondamenta le certezze stesse del rock classicamente inteso. Mark Arm e i suoi Mudhoney avrebbero così tracciato, per primi nella storia, il solco del grunge dal quale sarebbero poi sbocciati quei purissimi talenti che bruciarono per intero gli anni ’90. Da quelle ceneri disperate e colme di dolore oggi torna a sgorgare il sapore dolce di chi, come ultimo vero sopravvissuto del grunge, non ha voglia di piangersi addosso, né paura di guardare il sole negli occhi. Hanno attraversato vent’anni di storia musicale dimostrando anche che è possibile rimanere fieramente indipendenti e fedeli alle proprie intenzioni primarie, sviluppando un sound che, partito dal punk, ha poi saputo sviscerare numeri di rock rumoroso, distorto e abrasivo. Con Under A Billion Suns tutto ciò è ribadito e posto al servizio di undici nuove canzoni che, al di là di una saltuaria presenza di fiati a volte straniante, portano impresso in maniera indelebile un marchio di fabbrica inconfondibile: quello dei Mudhoney! Camillo “RADI@zioni” Fasulo Todd Comes To Your House Southern / Wide noise rock / ***1/2 Un bel giorno Craig Clouse, dopo un glorioso passato vissuto in svariati gruppi hard-rock (Crown Roast, Negative Step, Hammerhead…) decide di fondare una band insieme a sua moglie ed alcuni amici. L’occasione è quella giusta, un tour come gruppo spalla per le mitiche Breeders. Il grande ed improvviso successo dato dalle performance live portano la band a fissare date in giro un po’ ovunque, a volte anche su palchi importanti. Quello che poteva essere un semplice esperimento, nato per sfruttare una ghiotta opportunità (un tour appunto), si trasforma ben presto in una realtà forte e consolidata. I Todd con la loro musica riescono a regalare emozioni molto forti, suoni trascinanti. Il noise rock espresso è di altà qualità, schizofrenia e devastazione, nichilismo allo stato puro. Due chitarre per riff energici e improvvisi, un basso, una tastiera, una batteria sbattuta con violenza, alcune percussioni ed urla feroci, questa la ricetta. Disturbo e sperimentazione, senza dubbio. Questo nuovo album, Comes To Your House, rispetto al precedente Purity Pledge, appare ancora più completo e riuscito, carico di dinamismo. Una buona scoperta questa band, probabilmente in futuro ne sentirete ancora parlare. Livio Polini Cansei de ser sexy CSS Sub pop/ audioglobe Indie / **** Finalmente anche il Brasile sforna un gruppo che si impone con stile all’attenzione del mondo indie internazionale, grazie ad un contratto con la prestigiosissima Sub Pop Records. Cansei De Ser Sexy (abbreviato in CSS) sono cinque ragazze e un ragazzo da Sao Paulo, conosciutisi su internet e tutti impegnati nel mondo della moda, dell’arte, del cinema. E la musica? Con la musica hanno cominciato a cimentarsi solo dopo aver deciso di formare una band: vera attitudine art-punk! Nell’album passano da ritmi leggeri e scanzonati con chitarrine lo-fi ad un electroclash algido e robotico tra Peaches e Adult per sganciare poi quella bomba da dancefloor dall’eccitante titolo Let’s Make Love And Listen Death From Above: un irresistibile riempipista pieno di groove e malizia. Chiamatele le Chicks On Speed brasiliane. Oppure le Scissor Sisters sudamericane. Chiamatele come volete, ma amatele, ascoltatele, suonatele. Il loro è un disco che ogni bravo dj dovrebbe avere nella sua valigetta. Ma che può darvi l’energia giusta anche solo per ballare in camera vostra. Davanti allo specchio. Ovviamente mentre cucite il vostro nuovo vestito. Marco Daretti Oneida Happy New Year Jagjaguwar/Self Indiepsichrock / ***1/2 In una carriera così lunga, circa nove anni, è normale, o meglio dire naturale, che il suono di una band, in questo caso gli Oneida (from Brooklyn, New York), possa mutare. Sì, ma in quale modo? Non certo rincorrendo le mode last second, presenti inevitabilmente anche nell’ambiente indie. Gli Oneida continuano soli per la propria strada, non accettano compromessi. Alla ricerca di nuove emozioni ed espressioni visionarie, senza abbandonare, e di questo ne siamo ben felici, il tratto distintivo originario: lo squilibrio e la pazzia. Kid Millions, Hanoi Jane e Bobby Matador, giungono così al loro ottavo album, Happy New Year, decidono di accogliere in maniera definitiva un nuovo elemento, il chitarrista Phil Manley (già Trans Am). In questo disco le grandi ondate psichedeliche incontrano e spesso si mescolano con flussi diversi e a tratti irriverenti di genere folk, kraut-rock e nu-funk. Le tastiere acide in richiamo vintage, le psicoagitazioni vocali, le cavalcate sonore, elettrico contro elettronico, distorsione come alta forma di espressione e (persino) l’alternative-disco. Meno melodico rispetto al precedente The Wedding, originale e ben costruito, questo disco vi porterà inevitabilmente ad amare questa band. Livio Polini KeepCool The Sword Age Of Winters Kemado/Wide Old metal / *** Prendono spunto dalla pesantezza dei Black Sabbath come dalla follia omicida degli Slayer, dalle atmosfere polverose e desertiche dei Kyuss come dalle oscure e pachidermiche trame degli Sleep ma, incredibilmente e sorprendentemente, finiscono per risultare freschi ed eccitanti nonostante questo morboso attaccamento alla tradizione. Se pensate che i Wolfmother rappresentino, in questo 2006, la rinascita del rock dei seventies, date un ascolto ai The Sword. Potreste anche cambiare idea! Nati e cresciuti ad Austin, Texas, questi atipici ragazzi del sud, invece che mettersi in testa uno Stetson e imbracciare dei banjo, hanno preferito passare il tempo a leggersi almeno per tre volte di seguito Il Signore Degli Anelli, sognando poi di ambientarlo nel deserto del Texas. Ebbene: la spada nella roccia è stata estratta così la band può correre per il titolo di “più pesante rock act” del momento assieme a giganti del calibro di High On Fire, Mastodon e agli stessi Wolfmother. Certamente nulla di nuovo sotto il sole ma con la loro letale carica adrenalinica i The Sword appaiono come una grande, grandissima realtà! Con Age Of Winters si sono guadagnati l’ingresso nell’olimpo del nuovo “vecchio” metal. Un debutto colossale! Camillo “RADI@zioni” Fasulo Smaxone Regression Scarlet/Audioglobe Post-future-metal / *** Gli Smaxone, anche se con Regression presentano il loro album di esordio, fra le 15 proprie fila al contrario contano musicisti, che non sono proprio degli esordienti, visto che provengono da altre band attive da molti anni, ossia Mnemic e Elopa. Il sound proposto dagli Smaxone si discosta anni luce dalle band sopra citate, ricordiamo infatti come gli Mnemic siano dediti al trash e gli Elopa ad un semplice rock. Gli Smaxone sono una di quelle band dal suono non catalogabile, a cui è impossibile dare riferimenti stilistici senza cadere in errori o semplificazioni. Tuttavia possiamo dire, per osare una definizione, che si muovono a metà strada, fra le soluzioni di metal estremo alla Fear Factory e le trovate fantasiose dei Faith No More; il risultato è un calderone di composizioni ottimamente realizzate, dove partendo dal metal, a volte estremo, si arriva verso sfumature al limite del pop elettronico. Questo diciamo così, post-future-metal, non risulta obsoleto, ma è un mix ben riuscito, fresco e omogeneo. In oltre Regression ha in se un valore aggiunto, ossia il tema concettuale che è basato sulla perdita di un qualcosa, che avviene nella vita di un individuo quando si verifica un evento traumatizzante ,che può essere ad esempio una guerra. L’art work di copertina si collega a questo concetto, rappresentando un giovane ragazzo che copre i suoi occhi per non vedere e non affrontare gli orrori del suo mondo. Io penso in conclusione che Regression rappresenti un lavoro riuscito in tutti i suoi aspetti, ma che in nessuna maniera , per la sua particolarità, potrà risultare accattivante ai più , poiché troppo abituati a vivere anche il proprio tempo libero con i paraocchi. Nicola Pace Nailbomb Live at Dynamo Roadrunner/Universal Metal / ***** Live at…, rappresenta il secondo ed ultimo concerto dei Nailbomb, side project di Max Cavallera, in quegli anni ancora leader dei Sepultura. La proposta musicale si configurò subito come un’assoluta novità a base di una serie ossessiva di riff di chitarra stoppati, continue e malsane urla laceranti, il tutto sorretto da una base elettronica sintetizzata su ritmo hard-core. Questo accadeva nel 1995 anno in cui una tale mescolanza non era affatto scontata e non sarebbe stata assolutamente accettata se non proposta da un nome leggendario come quello di Cavallera, in quegli anni sinonimo di sperimentazione e qualità allo stesso tempo. Non vi sembra quindi, viste le caratteristiche di questa band, che i Nailbomb possano rappresentare l’anello di congiunzione fra il vecchio heavy-metal e l’avvento della generazione new-metal? Tutto questo è incredibile basta pensare che i Nailbomb dovevano essere solo un progetto per dare sfogo a idee non utilizzabili nei Sepultura. Questo episodio è la conferma di come le cose grandi si possano fare solo in spontaneità, senza pressioni esterne. Nicola Pace Kidd Jordan Palm of Soul Aum Fidelity Jazz / **** Ci sono dischi che nascondono un retroterra senza conoscere il quale non se ne può capire il contenuto. E difatti, ascoltare Palm of Soul ignorando gli antecedenti porterebbe a pensare a un disco inutile, pretenzioso, anacronistico nella migliore delle critiche. Ma se, al contrario, si ispeziona la realtà (e basta leggere le note di copertina), si scopre che Kidd Jordan, sassofonista ultrasettantenne, ha appena assistito alla distruzione (evitabile?) della sua città, New Orleans, e del suo stesso appartamento. Si comprende allora perché Jordan possegga quella tensione nei silenzi, quella acidità nel fraseggio, quel respiro che arranca senza arrendersi. E si disvela, anche all’ascoltatore lontano, il travaglio espressivo di un nomade involontario; e si riconoscono l’orgoglio e l’amarezza, il rancore e la compassione, la speranza e la paura. John Coltrane, Yusef Lateef, Albert Ayler, l’espressionismo di Chicago, le musiche orientali come il R&B (di cui Jordan è stato un animatore indiscusso). Tutto questo riecheggia con chiarezza e vigore: i tre (con lui, Hamid Drake e William Parker) non sono nuovi a lavori di improvvisazione pura, ma qui, per via di un concepimento doloroso, ogni nota eseguita raggiunge un altissimo livello di significazione. Gianpaolo Chiriacò KeepCool Baba Yoga Minimantra Gas Tone World music / **** World music (nel senso più onesto del termine) che si incontra con l’elettronica, con un’intelligente lettura della fusion, con un testo genialmente antimilitarista, al livello del miglior Gianfranco Manfredi: questa la cifra stilistica di Baba Yoga. In virtù di una creatività inesauribile e di una notevole padronanza dei linguaggi, il duo (coadiuvato da numerosi ospiti) manipola, sprimaccia, accartoccia e reimposta diversi generi musicali. E come fossero origami, i brani di Minimantra si lasciano ammirare senza invadenza, grazie a un magnetismo sottile e a un saggio artigianato. Il materiale di base, variopinto e resistente, è dato dagli scenari a tratti ampi, siderali, e a tratti minimalisti; gli accessori, invece, provengono dagli interventi dei mille strumenti: il sax di Daniele Tittarelli, le chitarre di Franco Chirivì e Manuel Contreras, e tanto altro. Ma il vero asso nella manica sono le voci: quella (formidabile) di Elisabetta Macchia, quella di Marta Cherni, quelle campionate da Paolo Modugno, posseggono tutte straordinarie proprietà incantatorie: il richiamo di un disco ricco e seducente. Clifford Brown. Dear Raffy, Caro Raffy, parla da sé: il ringraziamento all’amicocollega Raffaele Casarano. Dopo lo standard There will never be anoter you e i brani Illusion e Birdlike, quest’ultimo ossequio di Sabatino e Bosso a Freddie Hubburd, si chiude con Pure Soul – reprise, il brano-titolo dell’album suonato con tromba in sordina e pianoforte. Massimo Ferrari Giovanni Allevi Joy BMG/Ricordi Classica contemporanea / **** Cosimo Farma Andrea Sabatino Quintet Pure Soul Dodicilune records Jazz / **** L’anima pura sta imparando a volare: Pure Soul, Anima pura, è il primo disco di Andrea Sabatino Quintet. Il brano che dà il titolo, come tutto il lavoro, è dedicato alla memoria del fratello di Sabatino, Alessandro, scomparso prematuramente l’anno scorso. Edito da Dodicilune records, il cd è in chiave hard bop, stile jazz caro a Clifford Brown, e vanta la partecipazione speciale del trumpet Fabrizio Bosso, padrino musicale del jazzista di Salice. Il disco apre con First Steps, il primo brano scritto dal 25enne Sabatino quattro anni fa. Si prosegue con Learning to Fly, con tanto di dedica a Bosso e al suo Fast fly, “Volo veloce”; “io invece – dice Sabatino – sto Imparando a volare”. Al terzo posto troviamo Pure Soul, di cui si è già accennato: la melodia è rilassante e concentrata, con il suono del flicorno che scivola disinvolto tra il piano di Ettore Carucci e il contrabbasso di Giuseppe Bassi, tra la batteria di Andrea Campanale e il sax di Vincenzo Presta. A quest’ultimo strumentista, spalla di Sabatino “da sempre”, è dedicata Mr Vince, la quarta traccia. Poi si continua con The fable infinity, brano composto per “una persona che tanto ha contato”, e Joy Spring, omaggio all’idolo di Sabatino Nasio Fontaine Universal Cry Greenleeves/ Goodfellas Reggae / *** Quale miglior ricordo dell’estate se non un disco positivo, dal sound avvolgente. A quelli a cui piace il reggae erede del grande Bob Marley non possiamo che consigliare Universal Cry del dominicano Nasio Fontaine. In un periodo in cui parlare di reggae è pericoloso (le varie derive omofobiche e le relative polemiche) questo disco arriva a mettere pace. Perché è questa la linfa che scorre nelle vene di Nasio, nelle sue liriche che parlano di libertà, di vivere in modo positivo. Da molti considerato tra le voci più belle del panorama reggae nazionale Nasio ha il pregio di avere un approccio alla musica reggae legato alla tradizione ma la contempo contaminato in senso positivo dal pop. Quello rende il suo messaggio e la sua musica universale, apprezzabile da tutti. una vita per la musica, una carriera che comincia nel lontano 1986 e che ancora oggi cresce con la qualità delle sue produzioni e la sua fama. Chi ama il reggae non può amare Nasio. (O.P.) Pier Cortese Giovanni Allevi - due dischi per la BMG nell’arco di una quindicina mesi - è ormai un compositore e un interprete sicuro, delle sue mani abili e della sua genialità. Si sente rassicurato da una casa discografica enorme, che gli ha fatto un contratto ricco e una promozione internazionale importante. Ed è sicuramente in grande forma, nonostante il tour di più di un anno (o grazie a quello, come afferma lui). È sicuro, forse disincantato, ma possiede ancora quel coraggio di stupirsi che è il suo più grande pregio (per farvi un’idea leggete sul suo sito, se ancora non l’avete fatto, il celebre racconto di come ha incontrato Muti). Senza la voglia (e la tenacia) di stupirsi, non potrebbe far emergere, in maniera ancora più netta di No Concept, le sue influenze, bianche e afroamericane: Gershwin, Abdullah Ibrahim, Chick Corea, John Lewis, il pianismo classico europeo. Le fonti sono note eppure l’artista marchigiano sa creare ogni volta melodie polarizzanti e semplici, che si alimentano del suo approccio stupito e del conforto del pubblico. Per descrivere il suo piano solo si scomodano con naturalezza Jarrett, Nyman, Einaudi, tuttavia Allevi è diverso: più giovanile, elettrico, forse anche più teso, ma la sua musica ha un senso di condivisione sconosciuto agli altri e che lo rende così attuale e così inconsueto, in una parola: così pop. Gianpaolo Chiriacò Contraddizioni Universal Italian style / *** Souvenir e Prima che cambierà sono sicuramente due singoli azzeccati. Giravano e ronzavano (il primo da un paio d’anni) nelle radio. Suoni facili, voce calibrata e testo ironico nella migliore tradizione romana (tra Niccolò Fabi, Daniele Silvestri e Max Gazzè, mi verrebbe da dire). Adesso Pier Cortese - dopo anni di gavetta in compagnia dei conterranei Simone Cristicchi e Marco Fabi - fa il suo esordio sulla lunga distanza con questo Contraddizioni. Un cd non sempre brillante ma che denota una buona vena compositiva e interessanti intuizioni di interpretazione e di arrangiamento. Da segnalare Il basilico, Io pago, Contraddizioni e la battistiana Canzone silenziosa. Scipione Babaman Come un uragano The Saifam Group Ragga / **** Una ventata, anzi un uragano di novità. Lascia sbalorditi questa prova di Babaman, che dopo quasi 20 anni di militanza ha costruito forse la prova della maturità, o comunque quella che può portarlo alla ribalta. L’album è il frutto KeepCool del percorso recente della vita del MC di origini milanesi: un viaggio a Madrid nel 2004 ha infatti rappresentato una svolta fondamentale nella sua vita, ovvero la conversione al rastafarianesimo (per intenderci, la religione alla base della cultura giamaicana). E così ne risente anche la sua produzione sonora, che passa dal registro dell’hip-hop a quello del ragga. Ma non è solo una questione di sound, bensì di idee espresse. Questo Come un uragano può essere definito, senza ombra di dubbio, come un concept album religioso: costanti i riferimenti a Jah (Dio), l’unico che può giudicare (Forse mi giudichi), ma anche ai valori sottesi alla fede (Non è solo religione). Un inno alla pace, all’amore, alla felicità, ma anche un album che può far riflettere sulle grandi questioni politiche ed economiche della nostra società. La produzione di Bassi Maestro (che ha spinto i bottoni anche per Fabri Fibra) è una sicurezza ed è tutto sommato fedele ai classici standard del genere. Potenzialmente suggerito a tutti, perché può piacere a tutti, sia a chi lo ascolta superficialmente, dato che il suono è decisamente trascinante, sia a chi da un’occhiata ai testi: sarà costretto a riflettere. Dino “doonie” Amenduni Bandabardò Fuori Orario On the road Folk / **** Due cd al prezzo di uno, quattro inediti, pezzi riarrangiati, vecchi successi, esibizioni live. Fuori Orario è una ricca e conveniente antologia vivente dei tredici anni di carriera di uno dei gruppi più “on the road” della musica italiana. Un successo costruito nelle piazze di tutta Italia (e di mezza Europa) praticamente senza passaggi televisivi e con pochissime citazioni radiofoniche. La terra macinata sotto le ruote dei furgoni non muta il sound di questo gruppo degno della tradizione “combat folk” italiana. Errico “Erriquez” Greppi e compagni ci offrono ben 35 brani. Nel primo cd si parte con quattro inediti: Un uomo in mare, Filastrocca 2, Fuori Orario e Bobo Merenda (una cover di Enzo Jannacci). Si prosegue con 13 brani – nelle versioni originali – dei precedenti lavori. Il secondo disco è una bella sorpresa con i primi 8 brani tratti da un concerto acustico registrato al Forum Village di Roma (segnaliamo anche la presenza al tamburo a cornice del salentino Davide Conte) e con le interessanti versioni di Disegnata e Manifesto. Le ultime nove tracce sono recuperate in giro per l’Italia con in bella mostra l’intramontabile Beppeanna (in una versione “vesuviana” cantata praticamente solo dal pubblico). Nulla di eclatante e poche novità per un cd dedicato agli appassionati, ai fan incalliti e a tutti i nuovi adepti che 17 sicuramente avranno incrociato la Banda in giro per le piazze e si saranno invaghiti di testi “politicamente scorretti” e di musiche orecchiabili... che sono poi la forza dell’impegnata canzone d’autore della Bandabardò. Gazza Cisco La lunga notte Mescal Soft folk / *** “Per il pubblico i Modena erano diventati solo una scusa per divertirsi in piazza, pogare, ubriacarsi e fare casino. Spesso anche i contenuti erano diventati degli slogan, che facevano sì alzare il pugno ma spesso passavano solo superficialmente”, spiega così Cisco la fine del rapporto con i Modena City Ramblers. Adesso, dopo quattordici anni in giro con il gruppo, il cantante è diventato più adulto e ha deciso di fare da solo. La lunga notte è un cd di quattordici brani che, perlopiù, si discostano dagli abituali suoni dei Modena. Cisco, affiancato da ospiti come Don Gallo, Massimo Giuntini (altro ex MCR), Massimo Ghiacci e Francesco Moneti (ancora nei Modena), Ginevra Di Marco, Riccardo Tesi e dallo scrittore Pino Cacucci, propone infatti un lavoro molto più intimo e cantautoriale. Poco spazio ai balli e alle sparate “populiste” seppur con testi sempre importanti in bilico tra impegno sociale e dolore umano, tra amore e solitudine. E la fine dell’amore nel brano di apertura. “Insomma hai deciso e fatto i bagagli / E non credo che ci vedremo mai più / Hai sempre saputo badare a te stessa / Perciò i consigli li tengo per me” suona come un addio ad una donna ma anche come un malinconico abbandono dei modena e del combat folk... per un più rassicurante soft folk. Non tutto il lavoro è ben riuscito ma, nonostante l’età e l’esperienza, siamo all’esordio. Gazza Diam’s Dans ma bulle Capitol Hip-hop ***1/2 Dopo il trionfo di Brut de femme che le ha regalato meritatamente il premio di album hip-hop francese del 2004, Diam’s torna con un nuovo lavoro trainato per ora dal singolo di lancio La boulette. Un disco ragionato, forse meno sincero del precedente ma dal sicuro successo, perché la Missy Elliott magrebina sa bene cosa serve per creare un disco attraente e il giusto mix di testi e melodie. Ed ecco pezzi di protesta e immigrazione (Ma France a moi, Feuille blanche), ma anche dolci ballate (Car tu portes mon nom) che la rendono un’artista trasversale e ascoltata da un pubblico vasto ed eterogeneo. Il terreno più battuto rimane ovviamente quello di una Francia divisa che vive quotidianamente il conflitto interno nato dal disagio delle banlieu. In coda ad un pezzo anche una parte live in cui la rapper si scaglia contro il leader del partito nazionalista francese Jean-Marie Le Pen. In sintesi un album completo che mantiene la necessaria dose di cattiveria ed impegno sociale, ma che non rinuncia a pezzi dal sapore puramente commerciale che non fanno che mantenere Diam’s in alto in classifica. Il disco della maturità quindi, che forse non piacerà a chi ama il rap duro, ma indubbiamente anche il disco della consacrazione che fa intendere che tutto sommato il meglio deve ancora venire. Papa Ciro Stefano Miele Glocalizm Vol. 1 “Samples, traditionals e folk!!” Mòglocal/Animamundi Remixes / **** Buon lavoro discografico quello del dj/ producer napoletano Stefano Miele, già conosciuto con il nome di Madox nel circuito della musica breakbeat europea, che dopo la collaborazione con Nidi d’Arac si inoltra nei territori della musica popolare salentina, campana e pugliese. Il disco, che contiene dodici tracce più una bonus track feat. Caparezza, spazia tra le melodie delle varie tradizioni musicali del Sud Italia, remixandole ma non stravolgendole, ospitando alcuni tra i migliori interpreti della musica popolare meridionale come: Ghetonia, Marcello Colasurdo, Avleddha, Arakne Mediterranea e Rosapaeda. La produzione è di buon livello e gli innesti elettronici si notano ma non sono invasivi; sembra non esserci un brano musicale predominante, ma l’intero cd scorre piacevolmente. Registrato a più riprese in vari studi del sud Italia (nel Salento a Lecce, Insintesi Studio), il disco mescola le percussioni del tamburello con ritmiche provenienti dall’Hip-Hop e dal Dub, come in Tammuriata nera o in Auelì, lasciando grande spazio agli arrangiamenti di chitarra classica e violino. La distribuzione del disco è affidata alla interessante label salentina Animamundi che già da vari anni promuove musica popolare dimostrando, come in questo caso, attenzione alle nuove realizzazioni della world music nostrana. Il mosaico della nuova musica etnica, non sempre di buon livello, questa volta si arricchisce di un tassello interessante, evidenziando come, con un pizzico di consapevolezza, sia possibile arrivare ad ottenere buoni risultati. Dub _ Side KeepCool Il sOlE nOn sORgE a EsT PERcHE’ lO DicE la gEnTE. E’ un assOluTO! David Thomas è un personaggio noto per il suo carattere brusco, diretto e senza peli della lingua, a volte addirittura oltre il limite della comune, ipocrita, buona educazione. Ma se si considera che questo atteggiamento appartiene ad un uomo che ha dedicato un’intera esistenza a fare musica in modo serio, concreto e professionale, non c’è da meravigliarsi che, dopo aver incontrato troppo spesso gente superficiale che ama non la musica ma solo quello che ci sta attorno, le sue posizioni e i suoi giudizi si siano un po’ “irrigiditi” (e conditi di una non celata autostima). Da anni porta avanti due progetti distinti, quello solista (in compagnia dei Two pale boys) e quello a quanto pare immortale dei Pere Ubu, che per l’appunto tornano oggi con un nuovo album, Why I Hate Woman, da poco arrivato anche in Italia. Abbiamo colto l’occasione per fare un po’ il punto della situazione con lui. Sono più di 30 anni ormai che ti dedichi alla musica, come ti senti oggi? Mi fanno male i piedi. So che in gioventù sei stato giornalista musicale con lo pseudonimo di Crocus Behemoth, e che ora però addirittura preferisci evitarli i giornalisti e le loro fastidiose domande. La cosa dipende da questioni personali e/o da un qualche atteggiamento della critica musicale moderna che non apprezzi? Io non evito i giornalisti, sono i giornalisti che evitano me e le mie fastidiose risposte! Io non ho problemi con i giornalisti, non so come ti sia venuta in mente questa idea. Tutto quello che io ho detto a riguardo è che: la maggior parte dei giornalisti non sono tanto bravi nel loro lavoro come lo sono io nel mio; la maggior parte dei giornalisti non ha una solida conoscenza di base della storia e dell’evoluzione della musica rock. Sapresti confutare una di queste due affermazioni? Leggi riviste musicali? Quali reputi valide? Certo, leggo le riviste. Non che sto davanti al giornalaio col fiato sosspeso pronto a metter le mani sulle nuove uscite, ma ne leggo un bel po’. E tutte sono valide fin quanto si tratta di pagare i giornalisti per scrivere delle opinioni. Io preferirei che fossero pagati per essere intuitivi e analitici, ma molta musica, si sa, non necessita di analisi, ma solo di opinioni. La colpa non è certo mia. Di chi è? Di solito si dice che gli artisti che durano a lungo non riusciranno mai ad eguagliare i dischi del loro primo periodo. quasi sempre è effettivamente così. Quando oggi scrivi le tue canzoni avverti questa sensazione, il pericolo cioè di non essere all’altezza del tuo pesante passato? Non mi piace guardare indietro, non sono un nostalgico. Il passato è chiuso ermeticamente. Non è una minaccia. Non mi riguarda. Niente che si applica agli altri è applicabile a me. Io faccio quello che voglio. Prendi i Pere Ubu: sarebbe impossibile comprenderli senza partire dal principio. Noi siamo una hard groove rock band del Midwest, che segue la tradizione degli MC5 e Stooges. Tom Herman diceva che la parte migliore di una chitarra è quella che richiede il minor movimento delle dita. Se non sei capace di farla suonare selvaggiamente anche con una sola corda, allora è meglio che cambi mestiere. I Rocket from the tombs furono e sono ancora una esperienza di rock brutale. Quando si sciolsero, ero determinato a trovare un altro modo per portare avanti quell’esperienza. L’ho detto per decenni: i Pere Ubu furono fondati proprio a partire da questo concetto, l’abilità di produrre un rock dal groove brutale. Questa era la base da cui sono partite tutte le nostre avventure sonore. Ma siccome avevamo dimostrato che eravamo capaci di farlo, non serviva ribadirlo in ogni nuovo album. La nostra missione è/era andare oltre quel punto di partenza. I Rocket from the tombs, la tua prima band, avevano un nome che si ispirava ai b-movie fanta-horror. Ma questo interesse non è mai stato più così evidente nei tuoi successivi progetti. Ti piace ancora guardare questi vecchi film? No, non guardo più quella roba. Li vedevo decenni fa. Ne ho fatto il punto definitivamente tempo fa. Guarda su http://www.ubuprojex.net/ archives/mayhem.html In tutti questi anni hai avuto modo di incontrare e collaborare con un numero infinito di musicisti. Quali sono quelli che più hai sentito vicino e che in qualche Discografia Pere Ubu 30 seconds over Tokyo/ Heart of darkness (ep, 1975) Modern dance (1978) Datapanik in the year zero (anthology, 1978) Dub housing (1978) New picnic time (1979) The art of walking (1980) 390 degrees of simulated stereo, Ubu live vol. 1 (1981) Song of the bailing man (1982) Terminal tower: an archival collection (1985) The tenement years (1988) Cloudland (1989) Worlds in collision (1991) Story of my life (1993) Ray gun suitcase (1995) Harpen singles (1995) Beach boys see dee plus (1995) Folly of youth see dee plus (1995) KeepCool modo hanno influenzato il tuo percorso artistico? Io sono l’influenzatore, non l’influenzato. Circa un anno fa Mayo Thompson è apparso magicamente qui nel sud italia con i suoi riformati Red krayola. Per lui, nonostante si tratti di uno dei più grandi personaggi della storia della musica americana, il suo unico vero momento di visibilità fu proprio il periodo passato con te nei primi anni ‘80. In che rapporti siete oggi? Abbiamo continuato a vederci molto spesso, anche se ora sono un po’ di anni che non ci incontriamo. So che diffidi molto delle sovraproduzioni, che preferisci lasciare il suono al naturale, così come viene registrato, non torturarlo (tanto da definire il tuo metodo “ipernaturalistico”), ma d’altra parte, fai largo uso di una serie di particolari microfoni dai nomi bizzari. di che si tratta? Non si tratta di microfoni. Sono degli speaker adattati per essere usati come microfoni. I nomi che gli abbiamo dato rispecchiano la loro nuova funzione, sono strani solo perchè non sai che cosa fanno. Mi piace registrare il suono in range di frequenza rigidamente definiti. In tal modo l’equalizzazione rimane stampata su tape. Verrai in Italia per promuovere il disco? Si, saremo domenica 8 ottobre al Centro Stabile Cultura di San Vito di Leguzzano (Vicenza). Ho letto da qualche parte che la tua massima ambizione è diventare il più grande cantante mai esistito. Ma questo dipenderà anche da chi saranno quelli che ti giudicheranno: credi che ciò sarà possibile durante la tua vita o bisognerà aspettare che tu muoia perché qualcuno ti riconosca come tale? Beh, la mia ambizione non è diventare il più famoso cantante di tutti i tempi. Non è questo quello che ho detto. Se fosse stato davvero questo il mio obiettivo avrei impostato la mia carriera in tutt’altra maniera. Essere il migliore, questa è la mia ambizione, e questa non è determinata dalle altre persone. È qualcosa di assoluto. Il sole non sorge a est perchè lo dice la gente. È un assoluto! Davide Rufini Datapanik in the year zero (5 cd, anthology, 1996) Pennsylvania (1998) Apocalypse now (live, 1999) The Shape of Things (2000) St Arkansas (2002) Why I Hate Women (2006) Discografia David Thomas The sound of the sand (1981) Winter comes home (live, 1983) Variations on a theme (1983) More places forever (1985) Monster walks the winter lake (1986) Blame the messenger (1987) Erewhon (1996) Mirror man (1999) Bay city (2000) Surf’s Up! (2001) 18 Monkeys on a Dead Man’s Chest (2004) Pere Ubu Modern Dance Cooking Vinyl/ Silverline records Dischi grandi come monumenti, documenti indelebili che racchiudono le chiavi di volta della storia del rock. sono testimonianze di un passato importantissimo che spiegano il presente e anticipano il futuro. Questo senza particolari esagerazioni rappresenta un disco come Modern Dance dei Pere Ubu. Era il 1978 quando questo uscì per segnare il solco di una strada che si diramerà nella new wave, nel garage, nel rock nella musica concreta. Pere Ubu è un personaggio di Ubu Roi opera teatrale di Alfred Jarry. E come nel teatro anche in questo disco l’assurdo, l’accostamento epilettico di elementi diventa opera d’arte e canzone. Destrutturando la classica formula rock Modern Dance conia nuovi codici musicali. Riascoltarlo oggi, ripubblicato in formato Cd dvd (doppia facciata) fa un certo effetto. Quasi fanno ridere alcuni sperimentalismi contemporanei, molto di quello che abbiamo ascoltato in questi ultimi vent’anni sembra improvvisamente più chiaro, il rumore, l’ambiente tutto entra in questi brani. Niente etichette, niente “post” niente “no” e qualcos’altro, questo disco è tutto e niente questo disco è la rottura e la continuità. (O.P.) Pere Ubu Why I hate women Glitterhouse records/ Venus Non devi avere paura di ripeterti se quello che fai è assolutamente unico. Sembra essere questo il motto dei Pere Ubu che arrivati al loro quindicesimo album sembrano non accusare gli anni e non sentire la necessità di imboccare nuove strade. Forse perché di strade non ne hanno mai avute veramente o forse perché Pere Ubu è semplicemente una creatura e questa creatura parla questa lingua. Fedeli a quella schizofrenia musicale che proprio loro hanno canonizzato, capitanati dalla figura ingombrante e geniale di David Thomas i Pere Ubu riescono a tessere trame stranianti a tratti sciamaniche e poi ancora isteriche, assurde. Sono violenti e diretti, compressi in un suono che solo i Pere Ubu hanno. Le geometrie precise di basso e batteria sono tela bianca per una chitarra che improvvisa naif e acida e per una voce che può evocare la claustrofobia e la follia. C’è l’avant rock, la wave, il blues più marcio che potete immaginare, tutto in un impasto sonoro da cui emergono canzoni come la bellissima e tiratissima Caroleen. Molti si sono ispirati ai nostri e ascoltarli oggi serve forse a non dimenticarlo. Bello perdersi nel noise ipnotico di Love song, nell’incipit tribale di Mona. I Pere Ubu sono tornati, anzi, forse non ci hanno mai lasciato. (O.P.) KeepCool Moltheni alla Toilette Anticipato da un convincente singolo, L’Età Migliore (contenuto in un ep di tre tracce inviato alle radio prima dell’estate), viene pubblicato in questi giorni il nuovo disco di Moltheni, Toilette Memoria (la Tempesta). Il sequel di Spendore Terrore, dunque, non si è fatto attendere molto e ci ha riconsegnato un autore in ottima forma, capace di canzoni ispirate e, quel che più conta, personali. Canzoni decisamente più mature, nelle quali songwriter marchigiano, coadiuvato da un’ottima band e da diversi ospiti (tra cui l’ingombrante Franco Battiato), recupera un approccio più positivo senza per questo perdere quella innegabile tendenza al psichedelico che aveva contraddistinto i lavori precedenti. Moltheni, ti chiedo di introdurre il tuo nuovo lavoro. Dalle sonorità mi sembra che Toilette Memoria si inserisca coerentemente nel filone inaugurato dal disco precedente che, se vogliamo, è uno dei momenti cruciali della tua carriera. Sicuramente. Splendore Terrore è stato un disco molto singolare per quello che posso chiamare la mia storia, il mio percorso, perché si è sviluppato nell’arco di più di due anni ed è stato un disco molto difficile rispetto alle cose che avevo fino a quel momento realizzato. Toilette Memoria si rifà al suo predecessore ma ha uno sguardo più aperto, e non mancano ballate più immediate, senza che vengano meno i pezzi più dilatati e ipnotici. Toilette Memoria è una prosecuzione, ma se vogliamo è più solare del precedente. Il titolo Splendore Terrore descriveva appieno il suo contenuto. Toilette Memoria invece è quasi imperscrutabile. Che cosa vuoi dire con questo titolo? Semplicemente è legato ad un aneddoto che ho vissuto personalmente l’anno scorso. È un ricordo che avevo in testa durante le registrazioni e che mi è sembrato suonasse bene. Da quello che ho letto questo lavoro dovrebbe avere una promozione efficace, non a caso avete da poco terminato il videoclip de L’Età Migliore. Ti piace questo aspetto del tuo lavoro? Mi piace tutto ciò che riguarda la parte iniziale, l’idea, la programmazione, lo sviluppo del progetto, e mi piace la parte finale. Quello che c’è in mezzo lo detesto vivacemente. Per una serie di casualità ma anche per eventi piuttosto difficili, hai pubblicato dischi con diverse etichette passando così in rassegna alcune situazioni molto diverse tra loro, sia in ambito indipendenti e che in quello major. Che opinione ti sei fatto? Per me lavorare con le major è una cosa ormai impossibile, anche eticamente intendo. Fa davvero schifo il loro mondo. E fa ancora più schifo quando si relaziona alla musica italiana. Il lavoro delle major da noi è davvero scadente. Chiudiamo quindi subito il discorso major. Per quanto riguarda le indipendenti io credo che qualcosa stia cambiando ma non è semplice e credo che nella maggior parte dei casi le label lavorino male. Il poco che raccolgono è frutto di questo lavoro mal svolto. Quei pochi soldi che girano in questo ambito credo non vengano gestiti al meglio. Io mi considero anche fortunato, nel senso che la mia etichetta, la Tempesta Dischi (quella dei Tre Allegri Ragazzi Morti, ndr) è da considerarsi un’isola felice. In generale chi ritiene che la situazione delle etichette indipendenti in Italia sia buona ha una percezione sbagliata della realtà. Qualche tempo fa hai pubblicato un live stampato solo in vinile. Come mai questa scelta? Avevamo voglia di pubblicare un disco, un 33 giri. Abbiamo utilizzato registrazioni non particolarmente cristalline, una sorta di bootleg, e quindi l’abbiamo fatto in totale leggerezza. Il disco non è distribuito ed è stato stampato da un nostro amico di Mantova, questo per farti capire che l’abbiamo fatto senza porci tante domande. Poi, il problema in sé non è tanto il vinile, quanto il fatto che sono ormai pochissimi quelli che hanno un giradischi in casa. Sei un grande ascoltatore di musica. In molte tue interviste hai spesso ribadito di aver passato una lunga parte della tua vita ad ascoltare dischi. Adesso? Quali sono i dischi che stai ascoltando? Ho riscoperto Rufus Wainwright che secondo me è un grande cantautore, dalle doti vocali non comuni, e che apprezzo anche come compositore. E poi molto folk: Will Oldham, Hope Sandoval, Vetiver, Devendra Banhart… ma non ho degli autori preferiti. Vado per periodi, e quando trovo il disco giusto, lo ascolto a ripetizione. Quello che credo è questi ascolti non mi condizionano quando compongo. Quindi ritieni che autori del nuovo folk americano come quelli che mi hai citato non abbiano influenzato un lavoro scarno e ossuto come Splendore Terrore? Ma no, credo di no. Io mi lascio ispirare dagli stati d’animo. A volte quello che ascolto, in determinati periodi, può concorrere a calarmi in un romanticismo che poi, impercettibilmente, può affiorare nella scrittura. Questo può accadere e probabilmente è accaduto anche con Toilette Memoria, ma dire che mi influenzano non credo sia corretto. Ilario Galati KeepCool Giardini Disco Pax Musica indipendente made in Emilia Non è un errore, non sono impazzita (questo è da vedere direte voi), Giardini Disco Pax è una liason cacciata fuori da Max (cantante - non cantante pardon solo voce degli Offlaga Disco Pax) a fine concerto, quando sul palco di Giovinazzo erano in otto, ognuno a uno strumento, Offlaga e Giardini insieme a proporre una versione noise di Iggy Pop, un’esaltante I wanna be your dog. Incontriamo Jukka Reverberi dei Giardini di Mirò e di seguito Max Collini del collettivo neosensibilista Offlaga Disco Pax nel backstage del Giovinazzo Rock Festival, nel postconcerto della prima delle tre serate in programmazione. Entrambi altamente soddisfatti della situazione, entrambi reduci dalla data del Soundlabs festival a Roseto, il giorno prima. Tornate in Puglia a due anni dalla data in Salento. Cosa è cambiato da allora? Jukka – GdM - Il primo cambiamento, quello più evidente, è che non c’è più Alessandro (Raina ndr) alla voce. Al suo posto, cantiamo io e Corrado (Nuccini ndr) che si occupa anche dei testi che canta. Per il resto i GdM rimangono gli stessi, come rimangono fondamentalmente uguali anche i suoni, gli arpeggi. A questo proposito, ci spieghi come nascono i vostri pezzi? Come sono nati Punk not diet (uscito per la Homesleep nell’ormai lontano 2003) e Hits for broken hearts and asses (uscito soltanto per l’etichetta tedesca 2-nd rec). Come nasce North Atlantic Treaty of Love, l’ep ultimo nato? I nostri pezzi non nascono dall’improvvisazione, anzi d’improvvisato c’è molto poco. Abbiamo sempre in mente la struttura della canzone. Nascono gli intrecci di chitarre, la parte melodica a cui io sono maggiormente interessato. Poi ci sono i testi di Corrado che ad esempio è influenzato dai suoi molteplici ascolti. Un pezzo nel nuovo disco sarà cantato da Glen Johnson dei Piano Magic che per attitudine ci e’ molto vicino. Anche Jonathan dei Settlefish ha aiutato e collaborato nella scrittura di alcuni testi. In ultima fase ho scritto anche io a mia volta una parte vocale ed è stato divertente e molto spontaneo. Qual è la vostra filosofia e l’approccio che avete alla musica? Fate altro nella vita? Ciò che abbiamo sempre fatto, e speriamo di continuare a fare, è mantenere la nostra libertà e indipendenza. Per tale motivo siamo e saremo proprietari dei master e non prendiamo né prenderemo soldi dall’etichetta per questo. Non siamo mai stati obbligati o indirizzati nella scelta del nostro sound. Facciamo ciò che ci piace fare, non subiamo pressioni. E sì, nella vita facciamo altro. Non tanto altro io, che sono pigro…se non consideriamo il lavoro che è condizione obbligatoria per noi tutti. Ultima, ovvia, domanda. A quando il prossimo lavoro? Uscirà sempre per la Homesleep? Il prossimo disco uscirà a gennaio per Homesleep, se tutto rimane così come è chiudiamo un ciclo di tre dischi. Max, di nuovo in Puglia. Sempre e solo vicino a Bari, però. Max – ODP - Eh già, la scorsa volta siamo stati allo Zenzero. Bell’esperienza, ancora più bella questa sera. Un grande e caloroso pubblico (nonostante il tempo capriccioso aggiungo io: piove a tratti e soprattutto c’è un terribile umido che si appiccica addosso e amplifica la mia laringite sino ad azzerare - nel vero senso della parola - la mia voce). È vero, non siamo mai scesi più giù di Bari e ci piacerebbe molto venire nel Salento. Anzi, trovateci una data! Ti vedo stanco e provato. In cosa siete impegnati in questo periodo? Che progetti avete per il futuro? Stanco provato ma felice. È il quarto concerto in cinque giorni ma va benissimo così e ti ripeto che è stata una serata fantastica. Adesso continuiamo il nostro tour, ne avremo fino a ottobre. In programma, l’uscita per l’Unhip di Socialismo Tascabile in vinile. Ci parli di questa performance con i GdM? È stato un fortuito e fortunatissimo (per il pubblico presente) caso vedervi suonare insieme (da qui i già citati Giardini Disco Pax) o state portando avanti una vera e propria collaborazione? Ieri sera sul palco di Roseto è stata la prima volta che abbiamo tentato ed eseguito il pezzo di Iggy Pop, e l’abbiamo scelto solo ed esclusivamente perché era facile. Chiunque può intonare I wanna be your doooooog! Ma in realtà Jukka ed Enrico (Fontanelli, “basso, moog prodigy, casiotone, basi, premeditazioni grafiche, pensiero debole” come si legge nel booklet da loro stessi lanciato durante il concerto, insieme alle chewin gum alla cannella ndr) vengono dalla stessa città (I Love Cavriago si legge sulla maglietta di Jukka ndr). Burro dei Giardini ha suonato la batteria per noi anche nel disco in Enver e Cinnamon, come avete visto oggi. Max, i tuoi racconti sono tratti da storie vere? Le cose che scrivi sono così tristi, crude, forti anche nella realtà? Se l’ultimo pezzo fosse durato un po’ di più il pubblico sarebbe scoppiato in lacrime. Barbara, l’ultimo pezzo che abbiamo fatto, un pezzo nuovo, sì, è vera. E anche le altre storie che racconto (perché Max non è cantante lo sottolinea sempre ndr) sono cose che mi sono accadute realmente. E fanno male. Davvero. Valentina col supporto e soprattutto la voce di Gabriele e Giuseppe KeepCool SalTO nEll’InDiE NicOTinE REc Continua il nostro viaggio alla scoperta dell’underground musicale italiano. Questo mese ospiti della nostra rubrica dedicata alle etichette indipendenti italiane sono i ragazzi della Nicotine rec che produce e promuove il rock and roll un po’ ovunque. Perché abbiamo bisogno della Nicotine? Per quali tipo di dipendenze è consigliata? Non so da quali tipi però, spero che diventiate dipendenti dalla Nicotine rec. Cosa e chi c’è dietro la Nicotine? Dietro la nicotine ci sono Gianfranco, Alberto, Cristina. Cosa? Tanta passione, molto sbattimento e grandi soddisfazioni e bello sapere che ci sono tante persone nel mondo che conoscono i nostri artisti, una novità sarà la creazione di una sublabel della nicotine, si chiamerà Black Hellvis e guarderà con un occhio di riguardo i talenti nostrani e non solo. Ci racconti un po’ di storia? Da dove siete partiti, dove siete arrivati e dove volete andare? Tutto iniziò circa 6 anni fa (autunno del ‘99) l’idea nacque da Alberto, Massimo e Roberto con l’intento di produrre il 7” di una band della nostra città i Los Activos (ora sciolti) ma per problemi legati ad alcuni componenti della band in questione l’uscita fu rinviata, comunque era ormai nata l’idea di una indie. Il passo successivo fu la creazione di un web site (www.nicotinerecords. com primavera del 2000) nei mesi successivi le prime pubblicazioni dei 7” dei Most Unusual Sound (Street Stalker)e dei Thee Psychotones (Introducing thee Psychotones) con una risposta molto positiva sia della stampa nazionale che internazionale. Per quanto riguarda i primi un esplosivo debutto fra GaragePunk e Blues merito dell’esperienza dei membri (2 di loro ex membri dei Two Bo’s Maniacs, pionieri del lo-fi sound in Italia, collaborazioni con Oblivians e un album prodotto dal guru Tim Kerr, Poison 13, Monkeywrench) e il bassista che fa anche parte della storica band Sick Rose. Per quanto riguarda i Thee Psychotones - già al secondo singolo – si trattava di una chicca di garagepunk sixty e Detroit sound. Poi uscirono il 7” split fra i punkrockers Los Activos e le Brigate Rozze (le Brigate ormai scioltasi band romana acclamata nel circuita Hardcore) e il cd dei Mutzhi Mambo. La band canta in madre lingua ma con un suono molto particolare, un mix fra Cramps, Buscaglione, Psychobilly e Swing. Il resto è storia. Quali chicche ha in serbo il vostro catalogo? Beh direi tutte……. ecco alcuni nomi The Wild Weekend, Bad News, Stabilisers (A.Crockford ex J.Taylor Quartet, The Prisoners), Dee Jaywalker (chitarista della band di Marky Ramone and the Speedkings), Human Tanga, Fleshtones (storica garage band Newyorchese), Model Citizen, Gaza Strippers, Popzillas. Il resto lo potete acquistare e ascoltare sul nostro sito. Quali le novità, quali le anticipazioni? Innanzitutto ci sono i Brain Eaters. Una esplosiva band parigina che propone una miscela di punk, garage, surf, rockabilly. Poi segnalo i Slapstick, un giovane quintetto al suo album di debutto. Il loro è un punkr’n’r sulla scia dei mitici Gaza Strippers Rock and roll will never die, oppure annaspiamo? Noi ci proviamo a non morire mai, nella vita bisogna provarci e portare avanti le proprie convinzioni Cosa non produce la nicotine ma piace alla Nicotine, dieci dischi di sempre che bisogna avere assolutamente. Beatles: Sgt.Pepper’s Lonely Hearts Club Band Led Zeppelin: 1,2,3,4 Ramones: Leave Home Dream Syndicate: omonimo,the days of wine and roses,medice show Rolling Stones: Stiky Fingers Bach: tutto James Brown: Papa’s got a brand new bag David Bowie:The Rise and Fall of Ziggy Stardust and The spiders from mars Mark Lanegan: Here Come The Weird Chill Stooges:omonimo E un mucchio di altri dal pop al Jazz,dal Metal al Blues……..insomma la musica ci piace Dove possiamo trovare i dischi della nicotine? Il catalogo della nicotine lo si trova sul nostro website alla pagina produzioni indirizzo sito www.nicotinerecords.com vendiamo online e ci appoggiamo per pagamenti sicuri a Paypal, debbo dire purtroppo che usufruiscono di questo servizio solo persone provenienti dall’estero spero che anche gli utenti Italiani prendano in considerazione questa opportunità di acquisto visto che i cd arrivano direttamente alla vostra abitazione con un notevole risparmio di tempo e denaro (consiglio a tutti di fare carta di credito ricaricabile tipo paypost e sicura e la carichi solo quando devi acquistare e non hai spese di contocorrente), nei prossimi mesi sarà on line il nuovo sito con annesso negozio virtuale dove comprare sia dischi della nicotine che di altre etichette. Per entrare in contatto con noi (siamo quasi pronti con il nuovo website ove ci sarà un form per contattarci) per ora si può usufruire del nostro indirizzo cartaceo che è Nicotine Records C.P.16515057 Tortona (AL) o lasciare un messaggio su nostro guestbook o su nostra pagina myspace http://www.myspace.com/ nicotinerecords inoltre è possibile scaricare 2 mp3 per ogni produzione e videoclip in wmv o ascoltare alcune songs su myspace. Riepilogo indirizzi: www.nicotinerecords.com http://www.myspace.com/ nicotinerecords http://www.blackhellvis.com/ nostra sublabel ciao a tutti Osvaldo Piliego Coolibrì Narrativa, Noir, Giallo, Italiana, Sperimentale 23 la letteratura secondo coolcub Tutto in una notte Tony Parsons Barbera editore **** Se mai avessi potuto scegliere sarei sicuramente nato quello stesso anno, o giù di lì. E se avessi potuto scegliere un lavoro di sicuro avrei fatto quello dei protagonisti di questo libro, se poi proprio potessi anche scegliere una città... beh Londra sarebbe perfetta. Elementi che compongono Tutto in una notte di Tony Parsons. È il 1977, anno nodale per la storia della musica, tre giornalisti musicali vivono nell’arco di una notte l’esperienza che cambierà loro la vita in una Londra che vive uno dei suoi anni più intensi. È la notte in cui il mondo del rock saluta per sempre il suo re Elvis, una notte in cui tutta la musica sembra sfilare nelle vite dei protagonisti. Tre personalità musicali e umane differenti, che messe una accanto all’altra sono capaci di delineare in maniera vivida e accurata il panorama di quel periodo. C’è il folk, i nostalgici dei Beatles, il punk, il glam. Ci sono i mod, gli operai e lo star system. Come in tutte le storie che si rispettino c’è l’amore, anche qui molteplice e unico allo stesso tempo. C’è innanzitutto l’amore per la musica (l’autore prima di dedicarsi alla narrativa ha lavorato per New musical express), la passione, la ricerca e la paura del nuovo. È un libro in cui le pagine trasudano il legame che autore e personaggi hanno con il rock che come una bussola guida le loro vite, le rende speciali. Sembrano quasi distanti dal mondo, lontani dalla quotidianità, dalle cose normali. Sono ragazzi persi tra i dischi e rintanati nei locali fumosi. Ragazzi che sognano di parlare con i loro miti, che vivono di miti. Ma l’amore non è solo musa ma è anche donna. Ad ogni personaggio maschile del libro corrisponde una donna che farà irruzione e rivoluzione. Le donne rappresentano la chiave di volta per la vita dei tre. Tutto questo accade in una sola notte. Le ore passano veloci come veloci scorrono le pagine. Cambi di scena repentini offrono scorci intermittenti delle storie di tre che si separano per poi incontrarsi, allontanarsi di nuovo e alla fine ricongiungersi. Una bella avventura, di quelle positive, una di quelle storie che ti prendono, in cui un po’ ti immedesimi. Tutto sembra affidato al caso, anche la scrittura immediata come fosse cronaca, e invece non è così. Niente è lì per caso e te ne accorgi quando ritrovi tutti i pezzi magicamente al loro posto. Un regalo ideale da fare a chi ama la musica ma anche a chi non capisce quanto sia importante per voi. Osvaldo Coolibrì 24 La figliola che si fidanzò con un racconto Rocco Brindisi Empirìa Stanze, malinconie, amori, disamori, allegrezze, spaventi di Dio, fatazioni di mani, culi, angeli ed espressioni, metafore e aggettivi sorprendenti fanno la meraviglia de La figliola che si fidanzò con un racconto. L’autore è Rocco Brindisi, maestro di scuola lucano che dei lucani porta la fierezza e la sapienza, l’umiltà densa di un mondo magico custodito con dedizione ed intatto nonostante i clamori e le bastonate del tempo. Silenzio che parla dagli occhi, strumento e tramite della sua scrittura, come quelli di Anna, “occhi lucenti, a crepamore”. Uno scrittore popolare che mischia le narrazioni e le fa diventare visioni, “uno scombinamento di cuore” e d’orizzonte. Un incedere affabulante, il suo, da incantatore e colpi di poesia in “un mucchio di pagine cantate”, per una trance narrativa che pare nascere da un affidamento ad un dio animale, un puro accogliere voci che costruisce storie evocando “un mondo che non sta ne in cielo ne in terra”. Un dettato magico che mischia peli, carne, umori, passioni e, “rigo dopo rigo le parole deviano dagli usi comuni, e i verbi, i sostantivi, gli aggettivi, la loro combinazione in figure fanno deragliare tutte le nostre consuetudini, riportandoci da un lato come in un sogno alle origini della verbalizzazione e spingendoci dall’altro in avanti, oltre la nostra modernità estenuata, tra esseri umani, angeli, fantasmi, libri, film che germogliano tutti da un unico giardino delle delizie”. Noi, leggendo, dobbiamo imparare a stargli appresso, inseguirlo nella sua realtà, altra, diversa, da quella esausta del nostro malato tempo senza più stupore, senza l’oh! che sgrana gli occhi e apre la bocca e ci fa piccini nell’ascoltar fiabe, nel palpito d’amore, nel volgerci al “pieno di compassione” per timore del “brutto fatto”. Quando ci accorgeremo che il racconto sarà finito cambieremo faccia, ci faremo seri, ansiosi, come se lì attorno fosse comparso qualcuno che si fosse ingelosito del nostro tornare indietro nel tempo, quando la sorpresa era il pane del nostro crescere, del nostro confermarci al mondo. Mauro Marino Impronte di pioggia Christian Mascheroni L’Ambaradan Christian Mascheroni è un autore di programmi televisivi. Lavora per Mediaset. Programmi quali Popstar, Solaris e Appuntamento con la storia portano la sua firma. Impronte di Pioggia, edito dalla casa editrice torinese L’Ambaradan è il suo primo romanzo. Ci troviamo di fronte ad un romanzo che, pur presentando le pecche e le ingenuità tipiche di un esordio, legate soprattutto ad un insufficiente lavoro di editing, è dominato da un’intensità davvero straziante. La storia ha come protagonista Pioggia, un bambino di nove anni cresciuto troppo in fretta, che assiste impotente all’irreversibile crisi del matrimonio dei suoi genitori, Eléna e Raul. Eléna è una giovane donna, dotata di grande sensualità, legatissima al figlio, autodistruttiva, forte e fragile al tempo stesso, consunta da un amore totalizzante per un marito poco presente, sempre troppo ubriaco, traditore incallito. La storia si snoda seguendo il punto di vista di Pioggia, strenuo difensore dell’integrità psichica della madre, la cui solitudine e il cui sbandamento vengono alleviati grazie al dialogo costante con un gatto e un canarino prodotti dalla sua fervida immaginazione. Inutile dire che la storia, nel finale, subisce un’accelerazione verso i toni del tragico. Senza svelare troppo. Durante la lettura più volte mi è capitato di pensare che questo romanzo in realtà poteva benissimo essere utilizzato come soggetto per un lungometraggio. Anzi, vi dirò di più. A mio parere il ruolo di Eléna potrebbe essere interpretato da Valeria Golino. Mentre leggevo le pagine dedicate alla vita emotivamente al collasso di Eléna si palesava innanzi a me il volto di Valeria Golino. Ma questo è un mio problema. Rossano Astremo Ritorni e altre storie Massimo Barone Ilisso Massimo Barone beve una vodka tutta d’un fiato. Massimo Barone fuma un sacco di sigarette. Massimo Barone ascolta Satie, e si sente come Paperino quando Paperino è incazzato nero. Massimo Barone racconta delle storie che ti lasciano senza fiato. Tre righe per dire quello che si trova nella raccolta di racconti Ritorni e altre storie, di questo scrittore romano, classe 1942, classe da vendere, sia per il suo aplomb d’altri tempi, sia per la sua scrittura colta e lucida, pulita come una lastra di marmo, sottile come una lama che arriva dritta dove deve arrivare. E la scrittura di Massimo Barone arriva al cuore passando per il cervello, organo che tra i due sicuramente lui predilige. Uomo dalla raffinata intelligenza e dall’ironia puntuale, riesce a narrare storie di nostalgia e rimpianto, storie struggenti che non diventano mai lagnose, proprio grazie a quell’ironia, che puntuale arriva a tirar su il tono, quando il racconto rischia di provocare una lacrima. Come in Ulisse e Ermes, sicuramente il mio racconto preferito della raccolta, che ripercorre, nel bene e nel male, alcuni dei punti cardine, delle chiavi di volta, della generazione che in un certo senso ha cambiato il mondo, cioè la generazione del ’68, tra grandi bevute, grandi ideali e viaggi all’altro capo del mondo in cerca di eroina a prezzi bassi. Dario Goffredo Disturbi del sistema binario Valerio Magrelli Einaudi Disturbi del sistema binario segna una sensibile evoluzione all’interno Coolibrì del percorso poetico della scrittore romano Valerio Magrelli. Nella raccolta è presente una forte opposizione tra la prima parte, aperta alle più disparate sollecitazioni proveniente dalla cronaca, e la seconda, tutta volta a rappresentare situazioni di vita domestica. A ciò si aggiunge una terza parte, nella quale Magrelli prova a comprendere la banalità del Male tramite un celebre test percettivo basato sull’ambiguità dell’immagine (L’individuo anatra-lepre). Parlo di sensibile evoluzione, nonostante la presenza della solita razionalità e geometria del suo far versi, che lo contraddistingue sin dall’indimenticabile esordio del 1980, “Ora serrata retinae”. C’è, però, in quest’ultimo lavoro, un’attenzione più pressante nei confronti della sfera privata, della vita familiare, e, in particolar modo, dei propri figli. Un Magrelli più intimista e meno cervellotico. Non a caso, nell’unica occasione nella quale ho avuto modo di dialogare con lui, ciò che mi ha sorpreso maggiormente è stato scoprire l’uomo Magrelli attraverso il suo racconto di aneddoti aventi come protagonisti i propri figli. Ecco un assaggio della raccolta: “È immagine di poesia, la figura / paterna che si nutre di me, / la tenia che divora da dentro la mia vita? / Immagine di poesia è la figura / di mio figlio, che beve proteso / verso il rubinetto alzandosi / su un piede, mentre l’altra gamba, / prodigio della statica, / distesa oscilla in aria, contrappeso / magico per bilanciare la sete. / Avessi anch’io la sua grazia / nell’equilibrare la fame / di chi dentro di me / si sporge e mi dilania!”. Magrelli ha dato nuovamente alle stampe una raccolta di grande impatto emotivo. Uno dei più grandi poeti italiani viventi. Della sua generazione come lui solo Milo De Angelis. Rossano Astremo Senza polvere senza peso Mariangela Gualtieri Einaudi Dopo la raccolta del 2003 Fuoco centrale, ecco un nuovo lavoro in versi per Mariangela Gualtieri. Senza polvere senza peso, questo è il titolo del libro che per la prima volta raccoglie versi scritti non per il teatro, ma nel quale emergono i tratti distintivi della sua poetica, continua registrazione rapsodica e, a tratti, 25 delirante, della sua emotività tagliente, del suo flusso emotivo corrosivo, della sua coscienza pura, verginale, volta a cogliere le limpide corrispondenze tra l’essenza dei suoi stati d’animo e il mondo che attorno le si agita. Ciò che emerge, nei versi della Gualtieri, è un totale salto in avanti rispetto ad una concezione della poesia ben ordinata nel suo pacchetto metrico e stilistico e un assoluto lasciarsi andare della parola che diviene strumento profondo di analisi, potente meccanismo terapeutico, straziante e sublime terreno sul quale poter spargere i semi dello stato sorgivo del proprio essere. Forse, rispetto ai lavori precedenti, messi in scena dal Teatro Valdoca, emerge una tensione positiva, un filo rosso di gioia, che si concretizza nei versi d’amore per figure familiari. Una su tutte, la poesia dedicata a Cesare Ronconi, compagno di vita e regista del Teatro Valdoca: “Ho la parola amore per te / la lavo ogni mattina dal salmastro / la impasto col mio grano / la essicco dal suo molle / scortico tutto il rosa / e sono io la tua sposa marina / mio cuore capitano”. Rossano Astremo Icaro la seconda edizione, la precedente data 1987 a cura del Circolo Ghetonìa di Calimera: un caso editoriale che esaurì in pochi giorni le copie stampate. Il libro è narrativamente intenso, mischia vicende seguendo la vita di due personaggi chiave, Pippì e Rocco, che crescono traversando gli anni poveri della dittatura e della guerra sino al 1945. Due parti e due diversi movimenti di racconto. Il primo attento ad una descrizione del “piccolo mondo antico” di Calimera, col suo dialetto-lingua, le credenze, la morale, la durezza della quotidianeità di un paese che vive profonde modificazioni e trasalimenti. Il secondo apre l’orizzonte, verso la città. Lecce appare, méta di traversate in bicicletta, con le sue strade e un tormento borghese che tenta spazi di agibilità, che cerca ricchezza, affermazione, ribaltando antichi timori e soggezioni. Ntoni, il padre di Pippi è campione di scaltrezza. Affascinatore e profittatore, mercante di carbone che si fa padrone. Una cronaca capace di costruire il quadro di un epoca rimasta oscura a molti di un Salento inedito e vero, rimasto segreto, familiare, nei racconti ascoltati nell’infanzia. Una vicenda cruda che ci aiuta nei primi passi verso la messa a punto di un nuovo catalogo del romanzo salentino Mauro Marino Della fotografia trasgressiva Pino Bertelli Il sole e il sale, romanzo griko- Nda Press Dopo Cinema salentino Rocco Aprile I libri di Icaro - narrazioni Rocco Aprile è un signore gentile con una parlata fine, che seduce. È uno storico, di quelli utili ai territori perché capaci di dare lucidità e certezze a chi li abita, andando a cercare i fili delle storie e della Storia. Della Grecìa è uno dei padri nobili, autore di saggi chiarificanti e suggestivi. Il sole e il sale è il suo primo romanzo, quella di dell’eresia Pino Bertelli ci regala una nuova pubblicazione targata Nda Press. L’autore è una figura di spicco del neos i tua zi oni s m o italiano e come tale non poteva non rendere omaggio a Diane Arbus la fotografa della trasgressione, degli ultimi, degli imperfetti, dei Freaks. L’obbiettivo della Arbus colpisce e lascia il segno, scatti a volte imperfetti che fanno rabbrividire e pensare. Le immagini di devianti e fenomeni da baraccone, che Diane immortalava, non pongono l’accento 26 sulla loro pelle, sulla loro presunta sofferenza, sulla loro infelicità quanto, piuttosto sull’indifferenza e sull’autonomia. Per dirla con parole sue “quelli che nascono mostri sono l’aristocrazia del mondo dell’emarginazione... quasi tutti attraversano la vita temendo le esperienze traumatiche, i mostri sono nati insieme al loro trauma”. La Arbus mette in luce ciò che la società nasconde, non la sofferenza di un incidente ma la normalità nella mostruosità. Il suo genio ha rotto con tutte le scuole, le prassi o narcisismi della scrittura fotografica. Ha mostrato che più un fotografo è lo “stile” delle sue fotografie e più sarà universale. Il 27 luglio del 1971, Diane Arbus si dà la morte. Nel suo diario, aperto sul ventisei luglio lascia queste parole: l’ultima cena. Il genio ha inizio sempre col dolore. Simone Rollo Una generazione piena di complessi -Miti e meteore del beat italiano Claudio Pescetelli Editrice Zona Una chicca per gli appassionati del beat di casa nostra, delle gonne optical, dei primi allucinogeni e dei party in cantina. Un faticoso lavoro di catalogazione di tutti i gruppi più o meno conosciuti che hanno prodotto almeno un 45 giri nel periodo compreso tra il 1964 ed il 1970, l’unico discrimine che ha segnato questo simpatico abbecedario di meteore è che le sonorità siano beat. Sono anni particolari per l’Italia, la televisione ancora non è in tutte le case, i ritmi delle canzoni sono melodici e convenzionali, sono gli stessi anni in cui stanno per esplodere fenomeni come i Beatles ed i Rolling Stones. Nella cattolica Italia il fenomeno non può esplodere così come nel Regno Unito ed è così che in perfetto stile di casa nostra nasce la “Messa Beat” che fungerà da trampolino per molti gruppi emergenti. Gruppi come i Cavernicoli, mitico complesso, elevato a culto grazie al loro unico 45 giri che li raffigura nudi con pelli di animali o come Toto & i Tati ovvero primo gruppo di Toto Cutugno. Un libro che può accompagnare gli appassionati del vinile nei propri acquisti da collezione nei mercatini delle città o sulle aste di e-bay. Simone Rollo Polis. Dialogo di sociologia urbana Franco Fuksas Manni Ferrarotti/Massimiliano Cinquantasei pagine di dialogo e una trentina di immagini per parlare del rapporto tra l’uomo e lo spazio urbano, per discutere della città e del ruolo che essa deve avere in questo secolo. I due protagonisti sono il sociologo Franco Ferrarotti e l’architetto Massimiliano Fuksas che intavolano un interessante scambio di opinioni che passa dal ruolo dell’architetto alla democrazia, dalla xenofobia agli incidenti scoppiati nelle periferie francesi. I due mettono a disposizione del lettore i loro punti di vista e i loro differenti approcci della società e ci consegnano un libro che è un ottimo spunto per lanciarsi in riflessioni più approfondite. (pila) Echi Perduti Joe R. Lansdale Fanucci La fortuna che da alcuni anni a questa parte sta accompagnando in Italia le uscite di Joe R. Lansdale è pari soltanto al calo qualitativo registrato da molti estimatori dello scrittore texano. Ad una produzione elefantiaca (tra romanzi, racconti, sceneggiature, il nostro può competere tranquillamente con Stephen King) non corrisponde in effetti un adeguato numero di capolavori, o almeno di opere apprezzabili in toto. Pure, Lansdale non è un bluff: La Notte del Drive-in (Einaudi), Fiamma Fredda (Il Giallo Mondadori) e la raccolta Maneggiare con cura (Fanucci) rappresentano le massime vette di un narratore di razza che da noi ha trovato in Niccolò Ammaniti il suo testimonial più rilevante. Spiace tuttavia notare quanto i due scrittori abbiano più o meno consapevolmente scelto di adagiarsi in tempi recenti su proposte “soft” dopo aver incontrato il favore del grande pubblico: storie che hanno come protagonisti bambini o adolescenti, freno a mano tirato all’approssimarsi di passaggi radicali, urticanti, figli di quella furia anarcoide che abitava i primi lavori dell’uno e dell’altro. Non fa eccezione Echi Perduti, romanzo giocato sul dono/ maledizione soprannaturale di Henry, un ragazzo in grado di rivivere scene di violenza realmente accadute in passato. Lansdale gioca apertamente sul terreno del King de La Zona morta e perde puntualmente fiato quando tiene duro sul tema del fanciullo dalla vita difficile a causa della sua diversità. Interessante? Sì, se appartenete alla schiera di ziette che in libreria chiedono brividi ben cotti senza troppo sangue né situazioni sconvenienti ad ogni giro di pagina. Sensazioni edulcorate, mediamente forti, insomma, sulla scia di Io non ho paura dell’Ammaniti nazionale. Un appello: torna, Niccolò, alle devastazioni di Fango. E torna anche tu, mio caro Joe, all’America spietata di malati di mente della porta accanto, agli adolescenti spudorati che vanno al cinema per un horror e una palpata alle tette della Zoccola Numero Uno della scuola. Per farla finita con il politicamente corretto. Per riportare il discorso sul nero e lasciare alle ziette la Mazzantini e Faletti. Nino G. D’Attis Coolibrì LE sTORiE s InTERvisTa a CR Classe ’74, nato a Casola Valsenio, in provincia di Ravenna, Cristiano Cavina è stato barista, pizzaiolo e chitarrista prima di entrare nella Scuola Holden di Alessandro Baricco, dove è stato compagno di banco di Pietro Grossi (fortunato autore di Pugni). Vincitore di diversi concorsi letterari, il suo racconto Il babbo Natale di Viale Neri arriva prima viene inserito (siamo nel 2002) nell’antologia Il quarto re magio, edita dalla Marcos y Marcos. Con la stessa casa editrice ha poi pubblicato Alla grande e Nel paese di Tolintesàc. Il 2 novembre arriverà nelle librerie la sua ultima fatica Un’ultima stagione da esordienti, una galoppata lungo un anno di campionato giovanile, un ultimo anno da esordienti, tra monti e valli della Romagna. Dalla preparazione alla prima trasferta, dai mugugni dei professori alle vanterie da sciupafemmine negli spogliatoi, al glorioso crescendo del finale, con un “gol impossibile” che segna il destino di un’indimenticabile finalissima contro il temibile Castelguelfo. Cavina è una delle giovani voci italiane che ha davvero qualcosa da dire, da raccontare, per usare un verbo che ama tanto. Non a caso poche settimane fa è stato protagonista di Scritture Giovani, Coolibrì 27 sOnO la mia sTORia RisTianO Cavina un progetto ideato cinque anni fa dal Festivaletteratura di Mantova che punta a promuovere giovani scrittori europei. Ogni anno ne vengono scelti cinque, dall’Italia, la Norvegia, la Spagna, la Germania e l’Inghilterra, chiamati a confrontarsi in forma di racconto breve con un tema, quest’anno Casablanca (lo scorso anno l’Altrove, per esempio). Il tuo ultimo libro Nel paese di Tolintesàc è la storia di una famiglia che hai definito “sgangherata”. Famiglia è sinonimo di origini, e delle origini fanno parte il dialetto, le storie popolari, la cultura popolare che ci portiamo dietro, dentro. Quanto sono importanti questi elementi nel tuo scritto? Il romanzo è tutto un divagare sulla famiglia, sulla vita e sulle storie dei personaggi che popolano il mio libro. E in parte (ma in modo più leggero) sulle storie dell’Italia. Secondo me bisogna scrivere delle cose che si conoscono e una delle cose che sai meglio è come vive la tua famiglia. Io ho pensato a questa storia il giorno in cui ho scoperto una cosa sulla mia famiglia di cui conoscevo già quasi tutto, pensavo: tranne chi era mio padre. Un giorno mia mamma e mio zio litigarono durante una cena di famiglia. E mia mamma al colmo dell’esasperazione disse a mio zio di confessarmi di quando lei era incinta e i miei nonni, i miei zii e gli altri parenti le offrirono 80.000 lire per abortire. Ed io ho pensato a questa cosa: è strano che una famiglia offra dei soldi per abortire me prima che nascessi. Dopo sono state le persone più amorevoli di questo mondo. Io sono cresciuto con i miei nonni. Pensando a questa grande ferocia subito e a questo grande amore poi, mi è venuta in mente questa storia: una famiglia sgangherata che sa essere tenera e spietata allo stesso tempo. Come le terre in cui viviamo, che sono bellissime e difficilissime e per me questo vale molto, perchè poi io scrivo, cerco di scrivere una mitologia del quotidiano. E tutto parte proprio da lì. Ci racconti l’aneddoto felliniano che ha dato il titolo al romanzo? Mentre scrivevo questo libro, che non aveva ancora titolo, iniziai a fare uno spettacolo su Fellini con degli amici musicisti, un gruppo che si chiama “Trio eccentrico” composto da flauto, fagotto e clarinetto. Avevano riarrangiato tutti i brani delle colonne sonore di Rota per Fellini e mi avevano chiesto per una serata in un circolo a Faenza di leggere tra un pezzo e l’altro qualcosa su Fellini. Io ho tirato giù delle interviste che aveva fatto... poi ci è scappata la cosa di mano e alla fine ci siamo ritrovati in tutta Italia a fare questo spettacolo, questo omaggio al grande regista. In particolare c’era un brano in cui Fellini raccontava di quando era alle superiori e odiava andare a scuola (il liceo classico a Rimini ai tempi della guerra in Abissinia negli anni ’30). Scoprì che il preside aveva paura dei fascisti locali e utilizzo questa debolezza per non studiare. Una volta si presentò al preside dicendo: “Dobbiamo assolutamente fermare le lezioni per festeggiare le nostre truppe che hanno conquistato la rocca di Vaffancul nel paese di Tolintesàc!” e il preside gli diede la bandiera. Fellini raccontava che festeggiò tutto il giorno liberando tutti gli altri studenti delle scuole per omaggiare la presa di Vaffancul nel paese di Tolintesàc. Io praticamente stavo scrivendo di questo paese. Tolintesàc in romagnolo è un modo per mandare a quel paese, però dopo che ti sono andate tutte male. La storia che raccontavo era un... Tolintesàc: una famiglia a cui ne vanno male dieci e una volta che gliene va bene una, si permettono di fare il gesto… dell’ombrello. E quello è rimasto il titolo. Hai detto di essere un musicista… mancato! Cosa pensi della contaminazione tra letteratura e musica? Penso a scrittori che collaborano con musicisti, Enrico Brizzi, Lello Voce... oppure musicisti che scrivono libri, Ligabue, Jovanotti, Guccini, Vecchioni... Non so. Ognuno fa quello che si sente e quello che uno si sente va bene. Molti possono permettersi di scrivere dei libri solo perchè sono dei musicisti. Perchè se quei libri li avessi scritti io e li avessi mandati per manoscritto ad un editore, non sarebbero stati pubblicati sicuramente. Sembra una cattiveria ma credo che sia così, soprattutto se penso alla trafila che hanno fatto gli scrittori normali: mandare i manoscritti e aspettare che ti rispondano dopo che li han letti… A proposito di musica e letteratura, mi viene in mente Boriv Vian, trombettista jazz, scrittore, ingegnere, pubblicato tra l’altro anche dalla tua stessa casa editrice, la Marcos y Marcos. In una delle sue poesie scrive: “Sono un poeta e vi cago sul naso”, che suona un po’ come Tolintesàc. Tu sei uno scrittore e... E non cago sul naso a nessuno. Lui è Boris Vian, ha scritto delle canzoni bellissime, storiche. Di Boris Vian ne nasce uno ogni pacco di anni, quindi non è il caso di andarlo a scomodare. Poi io non ho mai scritto poesie, ripeto, non sono in grado, penso di non avere la sensibilità adatta a scrivere poesie. Non sono neanche scrittore, penso di essere più un narratore, un racconta-storie. E non cago sul naso a nessuno. Poi, con tutto il rispetto, Tolintesàc suona meglio di “ti cago sul naso”! Bisognerebbe controllare la versione originale, in francese magari suona meglio. No, guarda che poi non è una sfida. Non è che quando scrivo voglio dimostrare qualcosa agli altri scrittori o ai lettori. Io scrivo perchè è un mio tic. Mi scappa di scrivere, mi piace e cerco di farlo bene. L’unica cosa, forse, è che lo faccio con una grande rabbia. Ma non devo dimostrare niente a chi legge o al mondo che ho intorno. Poi penso di non dover insegnare niente a nessuno. Non scrivo per tesi, non ho una mia visione del mondo che devo fare vedere altri. Io riporto delle storie per farle sopravvivere. Marta Mazza Coolibrì L’uniOnE FEcE la FORZa La nuOva musica DEgli EDiTORi RiuniTi Gli Editori Riuniti sono una delle case editrici più longeve d’Italia: nascono nel 1953 dalla fusione di due case editrici vicine al Partito comunista italiano (le Edizioni Rinascita e le Edizioni di Cultura Sociale, dirette da Roberto Bonchio, che resterà alla guida della nuova casa editrice per molti decenni). Nel corso di questi cinquanta anni è cresciuta e si è articolata in diverse collane. Dalla primavera del 2000 ha aperto anche una sezione dedicata alla musica. Ne abbiamo parlato con il direttore editoriale della collana rock Ezio Guaitamacchi. La collana ha varie sezioni o sottocollane, ce le illustri? Partiamo dalla considerazione di partenza. Trattando prevalentemente artisti o gruppi anglo/americani non ce la siamo sentita di dar vita a vere e proprie biografie (che avrebbero necessitato della conoscenza diretta dei personaggi e del contesto in cui la loro musica si è sviluppata). Abbiamo pensato che tutti noi avevamo conosciuto nel dettaglio questi artisti attraverso le loro opere e cioè i loro dischi. E così il disco rimane il “focus” di tutte le nostre produzioni: Pensieri & parole è una collana che analizza le opere di artisti internazionali con particolare attenzione ai testi nonché alle storie che si celano dietro ogni canzone. Ogni volume affronta (in ordine cronologico) tutta la discografia di un artista e la studia album per album, canzone per canzone. Un po’ sullo stile delle antologie scolastiche che analizzano le opere letterarie. Momenti rock è una collana che ripercorre in ordine cronologico la carriera di un artista. Per questa collana ho coniato il neologismo di bio-discografia perché, nuovamente, è il disco l’elemento centrale dell’analisi. Legends è una sorta di enciclopedia per singole voci che vuole presentare in modo completo ma agile le opere dei più importanti musicisti del 900. Dal jazz al rock, dalla world music alla musica italiana, dal blues al folk le grandi leggende della Musica rivivono in volumetti essenziali che ne presentano vita, opere e miracoli (artistici). Juke-box del millennio è una collana che presenta i 100 dischi ideali per capire vari generi musicali: rock, blues, jazz, canzone italiana, reggae, punk, hard & heavy, world music, classica. Un lavoro enciclopedico e completissimo: ogni scheda racconta il “making of” di 100 album epocali e consiglia (a pie di pagina) altri 3 album nella “medesima vena artistica”. Ci racconti in particolare la struttura di Legends? È un lavoro difficile e complesso che ha l’obiettivo ambizioso di colmare una lacuna nell’editoria musicale italiana. Sono 10 volumi (ciascuno avente come riferimento un titolo di una canzone relativa al genere musicale o al momento trattato) che raccontano 50 anni di Rock, dalle origini a oggi. Il tentativo è di raccontare il rock attraverso i momenti che hanno segnato i cambiamenti principali di questo genere musicale senza dimenticare il contesto socio/ culturale nel quale essi si svolgevano. La sezione pensieri e parole è dedicata all’analisi dei testi delle canzoni. Alcuni gruppi e artisti famosi sono analizzati come fossero poeti. Da dove viene questa idea? Da sempre, gli appassionati (specie quelli che masticano poco l’inglese) sono interessati ai messaggi che i loro artisti preferiti lanciano attraverso le loro canzoni. Questa curiosità non è stata placata dai testi riportati sui cd o nei vari siti internet. Questa collana approfondisce molto il significato delle canzoni e ne racconta anche storie, aneddoti e curiosità legate alla nascita. Molte le cose attualmente in catalogo, quali sorprese avete in serbo per questo inverno? A Natale esce un Almanacco del Rock – minuto per minuto, dal 1954 a oggi. Un volume bellissimo, illustrato, curato da Enzo Gentile. Poi, sempre per il periodo natalizio, usciranno un libro su George Harrison (Pensieri & Parole) a 5 anni dalla morte del Beatle quieto, uno sui redivivi Duran Duran e uno (bellissimo, con tanto di partiture e trucchi tecnici) sul leggendario Jimi Hendrix. Un parere sullo stato di salute dell’editoria italiana, è vero che non si legge più? Domanda troppo complessa a cui non sono in grado di rispondere su due piedi. Posso solo dire che (per ciò che riguarda la musica) noi facciamo un’editoria di nicchia, una sorta di “manualistica” per un pubblico di appassionati. E per questo tipo di hobby e passioni che rendono la vita più piacevole a chi le pratica, ci sarà sempre un mercato di riferimento. (O.P.) Be Cool il cinema secondo coolcub La stella che non c’è Gianni Amelio 01 Distribution **** Liberamente ispirato al romanzo La dismissione di Ermanno Rea, La stella che non c’è è il nuovo controverso lavoro di Gianni Amelio che sebbene lontano dagli standard abituali riesce a confezionare un film intenso e delicato che analizza temi a lui cari come il viaggio e l’incomunicabilità. Semplice l’intreccio in cui una delegazione cinese arriva in Italia per rilevare un impianto metallurgico in disuso. Vincenzo Buonavolontà, un manutentore a conoscenza di un guasto che potrebbe rivelarsi importante, vuole secondo coscienza scoprirne l’origine. Purtroppo riesce nel suo intento solo quando gli imprenditori hanno lasciato il paese con l’altoforno incriminato. Inizia così un lungo viaggio che lo porterà a scoprire una Cina nuova, fortemente diversa da come se l’era immaginata. E capita così che la stella del titolo assuma più significati e manchi un po’ dappertutto, nella vita del protagonista alla ricerca di qualcosa di impalpabile così come nell’immagine di un grande paese tanto impetuoso economicamente quanto fragile ed iniquo socialmente. Il film si muove su due binari diversi e contrapposti. Il primo riguarda un’ovvia analisi sociologica che mette in risalto le contraddizioni umane ed economiche di una Cina non democratica e cresciuta troppo in fretta, mentre il secondo è quello minimale che segue le vicende di un protagonista (un sempre bravo Sergio Castellitto) immerso in una realtà con cui non è possibile non scontrarsi a muso duro. A fianco di Vincenzo c’è Liu Hua, giovane ragazza poco più che ventenne che lo accompagna come interprete, ma che ben presto diventerà la chiave universale per comprendere non solo la lingua, ma anche e soprattutto quei dettagli che spesso sfuggono e che fanno di ogni cammino sconosciuto una conquista interiore. Detto questo il film ha qualche difetto strutturale che ne impedisce la completa e perfetta riuscita mancando di quel legante che tiene unite e che giustifica delle motivazioni così profonde e complesse, ma che tutto sommato mantiene inalterato il senso generale di un lavoro che appare ugualmente godibile. Amelio conferma quindi la sua straordinaria capacità di raccontare attraverso l’uso di tempi diluiti che sono parte della sua cifra e che danno alla narrazione un ritmo particolare che proprio per questo è una macchina delicata dove ogni ingranaggio deve essere al suo posto. La stella diventa così una rapida cometa, che abbaglia rapidamente per poi trascinare lenta la sua coda. Potrà morire in fretta ma chi è che non alzerebbe gli occhi per guardarla? C. Michele Pierri 30 Il nuOvO mOnDO Di EmanuElE CRialEsE Dopo il successo di Respiro che ne ha lanciato la carriera a livello internazionale, il quarantenne Emanuele Crialese mantiene le promesse e si segnala definitivamente come una delle realtà più importanti del cinema europeo conquistando a Venezia il Leone d’argento con Nuovomondo. Il film è il racconto di un viaggio che agli inizi del ‘900 porta la famiglia siciliana dei Mancuso in America nella speranza di una vita migliore. Ma il sogno avrà vita breve perché il tanto agognato viaggio si rivela ben presto diverso da come lo avevano immaginato. Fra onde e disperazione il lavoro di Crialese rappresenta il documento finora più “fedele” di quella peregrinazione che ha visto nel corso del ventesimo secolo protagonisti milioni di italiani sparsi ora nel mondo. Ad accogliergli si la Statua della libertà, ma prima ancora Ellis Island, detta “l’isola delle lacrime”, dove gli emigranti venivano tenuti in una umiliante quarantena fino ad appurarne l’idoneità a convivere col popolo americano. Il regista dipinge un quadro reale e commovente di una storia come tante che nel suo finale allegorico trova una degna conclusione che rappresenta finemente il sogno di chi abbandonava la propria patria per un futuro misterioso. Nel cast Vincenzo Amato (nei panni del capofamiglia Salvatore), sempre presente finora nei film di Crialese e Charlotte Gainsbourg. Partiamo da una considerazione che riguarda la sua esperienza personale. Prima di parlare di emigranti lo è stato lei a sua volta, dopo essere partito proprio negli Stati Uniti per studiare cinema. Come ha vissuto il ritorno in patria e perché dopo aver esordito positivamente negli Usa con Once we were strangers (primo film italiano ad essere selezionato al Sundance Festival) ha sentito il bisogno di ritornare? Ho sempre nutrito una grande passione per il cinema e dopo essermi fatto una cultura teorica vedendo tanti film ho deciso di averne anche una tecnica. Ho provato ad entrare nella Scuola Nazionale di Cinema di Roma ma sono stato scartato. A 26 anni sentivo il bisogno di confrontarmi con il mezzo tecnico e la scuola che ho frequentato a New York me ne dava la possibilità. È stata una esperienza eccezionale che mi ha dato l’occasione di confrontarmi con altre culture. Fatto questo ho deciso di tornare in Italia perché sentivo di avere col mio Paese un conto mai chiuso e poi di tornare negli Stati Uniti c’è sempre tempo. Da Respiro a Nuovomondo il salto è triplo. Me ne racconti la genesi? In realtà Nuovomondo è un’idea nata e scritta prima di Respiro. Il film è nato da una visita al museo di Ellis Island. Gli sguardi degli immigrati puntavano straniti l’obiettivo e mi hanno influenzato. Dopo la mia esperienza americana, tornato in Italia ho scritto Nuovomondo. Ma i produttori non erano d’accordo, consideravano l’idea troppo dispendiosa per un quasi esordiente e mi dissero chiaramente di cambiare registro. Scrissi Respiro e accantonai il progetto. Almeno momentaneamente. In Nuovomondo così come in Respiro si coglie il contrasto tra una parte onirica ed audace e l’elemento reale, forse anche realista con un ampio uso del dialetto. Come mai questa scelta apparentemente contrastante che è parte della tua cifra? La risposta è più semplice di quel che appare. In realtà quando scrivo un film questo è l’ultimo dei miei pensieri, penso a raccontare una storia nella maniera che mi sembra più adatta. Chiaramente è inutile negare che in parte è il mio stile, in parte dopo il successo di Respiro, che pure aveva questa componente, ho recepito che il pubblico apprezzava quel modo di raccontare che quindi risultava vincente. Il film tutto sommato sembra essere diverso da altre pellicole che prima di questa hanno tentato di raccontare un passato tanto commovente. Qual è stata la tua scelta stilistica e quanto è stato difficile trovarne una che potesse essere “originale”? Ho avuto dei riferimenti come America America di Elia Kazan ma poi me ne sono staccato. Più che pensare a quello che mi piaceva sapevo bene quello che non mi piaceva. Faccio un esempio. Dopo aver visto Titanic, con quelle inquadrature che da fuori dipingevano il naufragio, io sapevo di non voler dare quella visione del mare, ma piuttosto una visione che rendesse quello che provavano i protagonisti. Essi infatti vedono il mare dall’interno, come un turbinio che li avvolge e che li tiene in balia. È bastato solo cambiare occhio per cambiare completamente prospettiva. Il resto l’ha fatto la storia. Il tuo film sembra anche contenere, non so se volontariamente, un interrogativo politico e sociale. Credi che gli italiani Be Cool LA MUSICA DEL MONDO NUOVO ARRIVA DAL SALENTO La colonna sonora del Nuovomondo di Emanuele Crialese parla salentino. L’autore è infatti Antonio Castrignanò, tamburellista e cantante di tradizione protagonista di numerose edizioni della Notte della Taranta. Il cd Nuovomondo Soundtrack contiene 13 tracce, due celebri canzoni della grande Nina Simone e brani, aree, frammenti e cantate, composte da Castrignanò, brani originali e alcuni tradizionali riarrangiati. Tra i titoli: Corri, Trainieri, Beddha, una particolarissima Kali nifta che segna una delle scene cruciali del film, ma anche una pizzica originale e strumentale Respiri di pizzica, e ancora Luce, Manamu, Vienna, Membrane. “Arrangiamenti molto abbiano dimenticato cosa vuol dire essere emigranti? C’è un dato di fatto, inconfutabile, cioè che gli italiani siano il popolo che maggiormente è emigrato nella storia dell’umanità, nell’ordine dei venti milioni di persone. Attraverso il lavoro abbiamo trasmesso un messaggio che è quello della ricerca di una vita migliore. A questo punto non so dire davvero se lo abbiano dimenticato, ma sono certo che dobbiamo riflettere su quello che ci è accaduto, per capire come accogliere chi arriva oggi sulle nostre sponde. Una curiosità locale. La colonna sonora è firmata dal salentino Antonio Castrignanò (vedi in alto). Come sei arrivato a questa scelta e come sei venuto in contatto con lui e con il Salento? Chiaramente prima di decidere quali Be Cool Il profumo Tom Tykwer Medusa 31 e misteriose di L.A. Confidential e regala al pubblico un intenso noir interpretato da nomi del calibro di Josh Hartnett, Scarlett Johansson, Hilary Swank, Aaron Eckhart. Un cast d’eccezione per un film che si segnala come una delle migliori opere del regista italoamericano. Da non perdere. L’Orchestra di Piazza Vittorio Agostino Ferrente radicali - ha spiegato il tamburellista - che riconducono ad un’epoca che non esiste, con una matrice marcatamente salentina che, penso, sia una forte conquista della nostra musica, un’operazione rilevante perché inserita in un contesto importante, al di fuori di alcuni stereotipi. Il mio compito è stato ed è, da musicista, quello di evidenziare il vero senso della tradizione musicale, che racconta quello che erano gli altri, la loro vita”. Arie e canti per un lavoro apprezzato da subito dalla produzione del film e, soprattutto, dal regista, che ha scelto così di raccontare le sue vicende di meridione ed emigrazione, di viaggio, nostalgia e speranze e di narrarle con un’anima sonora salentina. (da.qua.) musiche utilizzare mi sono informato su quali fossero quelle meno inflazionate e più adatte al mio lavoro. Mi fu detto da esperti che le musiche della tradizione popolare siciliana e salentina facevano al caso mio. Arrivato nel Salento ho avuto modo di incontrare un etnomusicologo, Luigi Chiriatti, che mi ha invitato a pranzo. È lì che ho conosciuto Antonio che mi ha subito contagiato con la sua passione. Dopo, nonostante le sue riluttanze, sono riuscito anche a convincerlo ad essere nel film nel ruolo di comparsa. C. Michele Pierri Le riduzioni e gli adattamenti di romanzi per il cinema sono sempre materia rischiosa per tutti i registi. Quando poi il libro in esame è un best seller del calibro del Profumo di Patrick Suskind e un romanzo che in molti hanno amato l’impresa è ancor più rischiosa. Pur se nella definizione e nello svolgimento il Profumo è un thriller, a ben scavare si scopre che è molto di più. Il libro è pervaso di simbolismi che rimandano continuamente ad altro, un altro, percepibile sottilmente, come un odore appunto. Il protagonista stesso Grenouille è metafora di uno stato, di una non esistenza che nel libro è resa dal fatto che egli non ha un suo odore, ma che in generale rappresenta gli invisibili, i perdenti. Contrappasso a questa condizione è il dono che Grenouille ha, quello di poter percepire e classificare qualsiasi odore lo circondi. Questo naso assoluto è la possibilità di riscatto che la natura ha offerto a lui. Un personaggio complesso quello di Grenouille che lascia la morte alle spalle ovunque si trovi a passare (prima frutto della fatalità poi delle sue mani) che compensa la mancanza di un amore che non ha mai avuto uccidendo l’amore e rubandone l’essenza. Essenza che diventa, dopo una serie di omicidi profumo capace di conquistare il mondo. Questo in sintesi. La trasposizione cinematografica è potente, crudele, molto aderente e suggestiva. È con la suggestione, l’allusione che il film risolve la mancanza dei particolari, il gioco di primissimi piani, il rimando istantaneo alla percezione dell’odore. Associare a una storia ambientata nel 1700 una tecnica moderna (il regista è lo stesso del famoso Lola Corre) è una mossa vincente e il film coinvolge ed entusiasma. Uno splendido Dustin Hoffman nel ruolo del profumiere Baldini è la ciliegina sulla torta. Un tripudio orgiastico magistrale negli ultimi minuti e un finale che chi ha letto il libro aspetta e chi non ha letto... scoprirà. Osvaldo The black Dahlia Brian De Palma Tratto dall’omonimo bestseller di James Ellroy, The Black Dahlia è il racconto della morte di una ex prostituta ora aspirante attrice, altrimenti nota come Dalia Nera. Il film, ambientato nella Los Angeles degli anni ’40, riprende le atmosfere cupe Questo intrigante documentario musicale racconta la genesi dell’Orchestra di Piazza Vittorio, nata da un’iniziativa di Mario Tronco, tastierista degli Avion Travel e del regista Agostino Ferrente. L’orchestra ha la particolarità di raggruppare elementi di svariate etnie che popolano il quartiere Esquilino, il più multietnico di Roma. Tutto qui il senso del progetto che vuole dare dimostrazione di come sia possibile una reale integrazione tesa a rendere le nostre città un luogo di confronto e scambio culturale. Anche nella quotidiana vita di quartiere. Snakes on a plane David R. Ellis Arriva anche in Italia il film campione di incassi studiato e sviluppato per la prima volta nella Rete. La sceneggiatura è stata infatti scritta in collaborazione con il popolo di internet che ha di volta in volta proposto e dato istruzioni sull’intreccio e i colpi di scena. Su di un volo che sorvola l’Oceano Pacifico, un agente dell’F.B.I. sta scortando uno scomodo testimone oculare di un omicidio. Durante il tragitto però, qualcuno con l’intento di uccidere il testimone, libera dei serpenti velenosi. Flynn oltre a finire il suo lavoro dovrà salvare la vita dell’equipaggio. Nel cast il divo cult di Pulp Fiction, Samuel L. Jackson. Baciami piccina Roberto Cimpanelli Nato da un’idea di Sergio Citti e sceneggiato da Furio Scarpelli, Baciami Piccina è la seconda prova dietro la macchina da presa per Roberto Cimpanelli, che racconta l’Italia fascista attraverso le vicende di un brigadiere e di un truffatore (nell’ordine Neri Marcorè e Vincenzo Salemme) le cui vite si incontrano e scontrano nel settembre del ’43 nel giorno dell’armistizio. Ma un momento così importante e decisivo nella storia del paese non potrà che scombinare i piani di chi li aveva programmati. Ne esce fuori una commedia agrodolce che ricorda i film di una volta e che tenta di mettere ordine sul come eravamo. The Queen Stephen Frears Successo di pubblico e critica per questo film presentato in concorso all’ultimo Festival di Venezia. La storia è quella della crisi interna scatenata nel Regno Unito dalla morte di un personaggio amatissimo come Lady Diana. La famiglia e la Regina Elisabetta II in testa si trova così a dover fronteggiare un pericoloso malcontento che rischia di degenerare e portare la monarchia al collasso. Ad affiancarla il leader laburista Tony Blair e tutti i personaggi più significativi del momento. Protagonista femminile Helen Mirren, premiata sul Lido con la Coppa Volpi come migliore attrice. I mmagina la musica Blue lines - Massive Attack- 1991 Blood sugar sexi magik - Red hot chili peppers - 1991 CoolClub.it C 34 Definitely Maybe - Oasis - 1994 Nevermind Nirvana - 1991 Crooked rain Pavement - 1994 Dookie Greenday - 1994 Post -Bjork - 1995 c O P E R T in E D a c E nsu R a La storia della musica internazionale è disseminata di episodi di censura. E non parliamo solo di quella ai danni di testi o di atteggiamenti sul palco (pensiamo alle recenti polemiche della chiesa nei confronti della crocifissione sul palco di Madonna) ma quella ai danni delle copertine. Insomma quando si offende il comune senso del pudore – in questo caso visivo – qualcuno interviene. E non è un problema dei regimi totalitari (anche Stalin e Hitler modificavano le foto a OccHiO al DETTagliO: nElla vERsiOnE cEnsuRaTa i mama's E PaPa's nOn POssOnO FaRE la PiPi' scopo propagandistico) o coperto con delle scritte. dell’italietta degli anni ’50 e Non curanti del risultato i ’60 nella quale le ballerine censuratori nella versione in televisione non potevano successiva rimossero anche mostrare le cosce oppure la povera vasca, stringendo i giornalisti politici non con un primo piano sul potevano fare riferimento ai gruppo. “membri” del parlamento ma Dai water alle nudità. della società statunitense Nel più recente For più avanzata e democratica the Beauty of Wynona del mondo - che si è resa pubblicato dal musicista colpevole di episodi tanto siamO la cOPPia Piu' BElla DEl mOnDO e produttore Daniel Lanois divertenti quanto nel 1993 la scritta American sconcertanti. edition copre i seni di una Vittime di una congiura (veramente ragazza nell’artwork realizzato da Jeri esilarante) sono stati ad esempio i Heiden. Ma gli americani dimostrano Mama’s e papas con il loro album anche di non gradire il seno maschile così if you can believe your eyes John Mellencamp nel suo Dance Naked and ears. Sulla copertina della si vede coprire un petto (neanche villoso) prima edizione, uscita nel 1966, il con una vistosa X rossa su sfondo nero. quartetto è immortalato dentro Ancora più controversa è la storia una vasca da bagno con un cesso della copertina di Electric Ladyland accanto (come in ogni bagno considerato da molti il capolavoro del che si rispetti). Il water venne grande Jimi Hendrix. La prima versione ritenuto altamente offensivo e ospita in copertina una foto di donne nella seconda edizione venne nude realizzata da Linda Eastman (che CoolClub.it The idealcrash - Deus - 1999 Fragile - Nine inch nails - 1999 Neon golden - The notwist - 2001 Amnesiac Radiohead - 2001 Big Brother&The Holding Company Cheap Thrills Columbia Mancava un giorno all’uscita di questo disco quando la Columbia rifiutò come copertina la foto in cui i Big Brother posavano a letto seminudi. Così Janis Joplin ordinò al fumettista alternativo Robert Crumb di lavorare, nel corso di una sola notte, a un fumetto che rappresentasse i componenti del gruppo e ogni singolo pezzo della tracklist. La più irresistibile è la vignetta che illustra Piece of my heart: una fettina di carne a forma di cuore servita a un ciccione che si lecca i baffi ansioso di mangiarla. Quest’album ha un suono unico perché l’addetto alla produzione, convinto che tra i Big Brother ci fosse coesione solo se suonavano dal vivo, ebbe il colpo di genio di improvvisare con delle pedane un palcoscenico in studio e inserì tra le incisioni dei finti rumori di pubblico cosicché l’ascoltatore, credendo che fosse un disco diverrà la compagna di Paul McCartney). La censura si abbatte come una mannaia e muta la copertina da una affascinante coacervo di morbide nudità ad una più posata foto con l’eccentrico chitarrista e i suoi musicisti. Anni dopo lo scabroso scatto verrà riabilitato. Nel 1991 il secondo album del gruppo Tin Machine composto da David Bowie, dall’ex Ultravox Reeves Gabrels e dai fratelli Sales è al centro di una curiosa sottrazione. In Europa la copertina rappresenta un’illustrazione, realizzata da Edward Bell, con quattro statue. Dall’altra parte dell’Oceano le statue hanno gli attributi coperti. Da un particolare (più o meno piccolo) alla totalità. Copertina interamente modificata per I Jane’s addiction. In Ritual de lo Habitual l’audace cantante Perry Farrell era a letto con 2 donne e faceva intravedere il proprio pene. Disco vEDO nOn vEDO 35 ( ) - Sigur ros - 2002 Immagina la musica A ghost is born - Wilco - 2004 Waiting for the siren’s call - New order - 2005 live, avrebbe chiuso un occhio sulle imperfezioni tecniche. Difficile parlare di Janis Joplin senza scivolare nei luoghi comuni. Ce l’hanno venduta come un’icona della controcultura: fricchettona, facile al sesso, tossica, alcolizzata e bisessuale. Certo, era anche questo, ma soprattutto, come lei stessa ammise nell’autografa Turtle Blues, era una ragazzina fragile che si fingeva dura mentre nessuno s’accorgeva che non lo era per niente. Chiude Cheap Thrills l’unico brano realmente inciso dal vivo, una cover di Ball&Chain che Janis trasforma in un testo di protesta contro l’ingiustizia della vita. Non è possibile che l’amore e la vita siano come una palla al piede grida al suo amante e al pubblico, che per lei erano la stessa cosa, prima di voltare le spalle alla folla. Non sappiamo che farcene delle foto in bianco e nero in cui la Rosa del Texas indossa piume e occhialoni, né possiamo lasciarci infinocchiare da Hollywood che per guadagnare due pidocchi vuole portare la sua vita sullo schermo. La vera immagine di questa donna straordinaria e sfortunata è nella vignetta che illustra Ball&Chain e che, non a caso, domina il centro della copertina: Janis, trascinando una palla di piombo legata alla caviglia, percorre la sua brevissima e sofferente strada verso la felicità, prima di scontrarsi con un destino bastardissimo. E poiché i capelli le cadono sul volto coprendolo completamente, non sapremo mai se lei sta piangendo o se continua a sorridere nonostante tutto. Lorenzo ritirato e copertina modificata con una candida busta bianca con il titolo. Non poteva mancare alla lista dei censurati anche John Lennon che su Two vergins appare come mamma l’ha fatto in compagnia della compagna Yoko Ono. Mai censurato ufficialmente, il disco crea comunque numerosi problemi alla coppia e porta al ritiro di circa 30000 copie la cEnsuRa cOlPiscE li' DOvE nOn BaTTE il sOl all’aeroporto di Newark e addirittura alla chiusura di un negozio reo di aver ospitato in vetrina lo scandaloso una delle foto del mosaico ritrae Adam oggetto musicale. Lennon era già stato Clayton completamente nudo in una al centro di un altro caso con i Beatles. foto “artistica” di Anton Corbijn. Negli Usa Nel 1966 Yesterday and Today ospita in la foto ha un oggetto in più: una bellissima copertina una foto di Robert Witaker foglia di fico (immaginate dove). che ritrae i fab four vestiti di bianco con Chiudiamo questa (parziale) ricognizione pezzi di carne macellata e bambole nel meraviglioso mondo della censura rotte. L’immagine della copertina rifatta (senza aver considerato quella preventiva ritrae i Beatles completamente ripuliti e della quale purtroppo non resta traccia) impomatati. con l’italiano d’esportazione Lucio Battisti. Da un mito all’altro. Nel 1968 anche Anch’egli infatti ne è stato vittima. In i Rolling Stones incapparono in Argentina la compilation dei suoi successi problemi di moralismi. L’originaria De Italia con amor era confezionata con copertina, l’immagine di un muro la copertina di Amore e non amore. Qui all’interno di un bagno ricoperto di Battisti era fotografato seduto su di un graffiti, del loro ottavo lavoro Beggars prato con una donna nuda sul fondo. Lì banquet fu cestinata. Riapparirà solo la donna aveva misteriosamente un paio nella riedizione del 1984. di mutandoni neri. Non sfuggono alla cesoia della (P.U. e P.L.) censura statunitense neanche gli irlandesi U2. Nel 1992 nel lato interno del libretto del cd di Achtung Baby, a P P un T am E n T i CoolClub.it C 36 Musica venerdì 6 / Dopolavoro ferroviario al Mind the gap di Nardò (Le) venerdì 6 / Dixinitaly meet Lino Patruno a Castro (Le) venerdì 6 / Danilo Rea, Enzo Pietropaoli e Fabrizio Sferra a Poggiardo (Le) sabato 7 / Frida X + Enrico Brizzi alla Saletta della Cultura (Le) sabato 7 / Fabio Treves a Specchia (Le) sabato 7 / Francesco Baccini a San Cassiano (Le) sabato 7 / Daniele Sepe a Gagliano del Capo (Le) sabato 7 / Toni Esposito a Corsano (Le) sabato 7 / Almamegretta a Taurisano (Le) sabato 7 / Mario Rosini e i Salento Cantu a Tiggiano (Le) sabato 7 / Patrizia Conte a Sanarica (Le) sabato 7 / Francesco Cafiso ad Andrano (Le) sabato 7 / Aida Cooper & Nite Life a Ruffano (Le) domenica 8 / Franco D’Andrea e Tiziana Ghiglioni a Santa Cesarea Terme (Le) domenica 8 / Nino Bonocore a Patù (Le) giovedì 12 / Radiodervish a La Feltrinelli di Bari venerdì 13 / Blu cianfano al Mind the gap di Nardò (Le) sabato 14 / Daniele Sepe a Cutrofiano (Le) domenica 15 / Radiodervish a Otranto (Le) domenica 15 / Tullio De Piscopo a Miggiano (Le) domenica 15 / Eugenio Bennato a Racale (Le) martedì 17 / Gregory Darling al Bohemien Jazz Cafè di Bari da martedì 17 ottobre a domenica 19 novembre / Eurotribu a Milano La quinta edizione del Festival delle nuove espressioni culturali in arrivo da Austria, Francia, Germania, Regno Unito, Spagna e Svizzera si svolgerà a Milano, dal 17 ottobre al 19 novembre. Eurotribu è è organizzata da AICEM e Ponderosa Music & Art in collaborazione con il Settore Cultura della Provincia di Milano e con il Settore Cultura, Spettacolo e Turismo del Comune di Milano. Durante i giorni del Festival, infatti, Milano diventerà il centro d incontro tra i diversi paesi di un Europa geografica senza vincoli e senza confini. La musica è il profondo legame che unirà Stati diversi in un unico evento. Tra gli ospiti Ludovico Einaudi (martedì 17 ottobre all’Alcatraz), The Dining Rooms (martedì 24 Ottobre al Tunnel), Stereototal (lunedì 30 Ottobre all’Alcatraz) e molti altri. Info www.ponderosa.it venerdì 20 / Rocking fingers al Mind the gap di Nardò (Le) sabato 21 / D ‘n’ B con dj Leleprox dei Micro platform e Dj Delroy dei Golpe Mov all’Istanbul Cafè di Squinzano (Le) venerdì 27 / White Queen al Mind the gap di Nardò (Le) sabato 28/ Il corridoio al Teatro Kismet di Bari sabato 28 / Leo Tenneriello alla Saletta della Cultura di Novoli (Le) sabato 28 / Coolclub party all’Istanbul Cafè di Squinzano (Le) sabato 28 / An evening Elettro-Paik serata elettronica con artisti pugliesi e non ai Cantieri Koreja di Lecce. Inoltre sino al 22 Novembre personale di Arti Visive di Giuseppe Scarciglia. martedì 31 / Halloween party al Palazzo Baronale di Novoli (Le) martedì 31 / Festival di Sanscemo 2006 a Erchie (Br) giovedì 2 novembre / Melomane all’Istanbul Café di Squinzano (Le) Riprendono all’Istanbul Cafè di Squinzano gli appuntamenti con i live curati da Coolclub. Sul palco gli Statunitensi Melomane. Da un compromesso d’amore tra pop barocco, punk, colonne sonore cinematografiche e composizioni orchestrali nascono a Brooklyn i Melomane, un concentrato di strumentisti riuniti in una sfida sonica alla ricerca del giusto equilibrio fra esplorazione emozionale e critica politica al vitriolo. “Queste canzoni combinano l’accessibilitá garage con un’ingenuitá tale da destabilizzare ogni CoolClub.it ascoltatore intelligente dimostrando ai musicisti e alla musica quanto possa viaggiar lontano una band…” (All Music Guide). Info www.coolclub.it Teatro e lettura da martedì 3 a domenica 8 ottobre / Gran Bazar al Fondo Verri di Lecce Quest’ anno Gran Bazar si ispira alla sua forma originaria, torna a casa, al Fondo Verri, con un edizione tutta di riflessione. Una edizione di transito che non smette il sogno di un evento sui libri e la lettura che sia veramente un dono alla città e ai lettori. Tra gi ospiti Goffredo Fofi, Tetti Minafra, Luciano Pagano, Maurizio Nocera. Venerdì 6 presso il Cinema Elio di Calimera Antonio Errico ed Eliana Forcignanò presenteranno Il sole e il sale romanzo griko salentino di Rocco Aprile (i libri di Icaro). Info su fondoverri.splinder. com mercoledì 4 e giovedì 5 / Il libro di Ester ai Cantieri Koreja di Lecce Eugenio Barba il 29 ottobre compie 70 anni. La Regione Puglia e il Teatro Pubblico Pugliese gli rendono omaggio ospitandolo in Puglia con l’Odin Teatret per 10 giorni. Dal 4 al 14 Ottobre: spettacoli, spettacoli dimostrazione, seminari pratici e Incontri. Info www.teatropubblicopugliese.it venerdì 6 e sabato 7 / Sale ai Cantieri Koreja di Lecce martedì 10 / Ivan Raganato a Porto Cesareo (Le) mercoledì 11 / Giardini di plastica al Teatro Fondazione Filograna di Casarano (Le) giovedì 12 e venerdì 13 / Le grandi città sotto la luna ai Cantieri Koreja di Lecce Un concerto dell’Odin Teatret nello spirito di Bertolt Brecht. La luna osserva e scavalca le grandi città che ardono sotto di lei, dalle metropoli europee a quelle dell’Asia Minore; da Hiroshima a Halle; dalla Cina imperiale all’Alabama. La voce della luna è beffarda o attonita, indifferente o dolorosa, fredda o incandescente. La sua misericordia ignora malinconia e consolazione. Ingresso 10 euro (ridotto 7) Info www.teatrokoreja.com. da giovedì 12 a sabato 14 / Aldo Giovanni e Giacomo a Bari venerdì 13 / Flavio Bucci ad Alezio (Le) www. sudsoudfestival.it dal 27 al 4 / Il Calapranzi di Harold Pinter ai 37 Cantieri Koreja di Lecce Ancora una nuova tappa di studio per l’ultima produzione di Koreja Il Calapranzi di Harold Pinter. A portare in scena il lucidissimo testo del premio nobel saranno Angela De Gaetano, Maria Rosaria Ponzetta, Fabrizio Pugliese, Fabrizio Saccomanno per la regia di Salvatore Tramacere, scene e luci Luca Ruzza e Lucio Diana. Lo spettacolo, a posti limitati resterà in cartellone dal 27 ottobre sino al 4 novembre, si consiglia la prenotazione (info 0832.242000, www. teatrokoreja.com) mercoledì 1 novembre / The history of ronald, the clown from Mcdonald’s del piccolo teatro “Dusko Radovic” ai Cantieri Koreja di Lecce venerdì 3 / Olah vince and earth wheel and sky concert ai Cantieri Koreja di Lecce Nuova scuola teatrale a Calimera La Scuola Biennale L’Attore sul Palco di Somnia Theatri nasce dall’esigenza di piantare radici teatrali in questo terreno salentino, che si offre così fertile a chi ha la volontà di accudire semi da far crescere e maturare. La Scuola si rivolge a tutti, sia a chi vuole cimentarsi con questo mestiere per poi praticarlo, sia a chi lo vuole fare per sperimentarsi e arricchirsi. È richiesta solo una partecipazione attiva e l’aver compiuto i 18 anni di età. I docenti di quest’anno saranno: per il primo anno (corso di base) Federico De Giorgi, attore e direttore artistico di Somnia Theatri e Sabrina Chiarelli, attrice formatasi presso l’Accademia Teatrale Permis de Conduire di Roma; per il secondo anno (corso avanzato) la direzione sarà affidata all’attore-regista Renato Grilli. Sono previsti inoltre laboratori intensivi di completamento con cadenza mensile che riguarderanno l’espressione vocale e corporea diretti dall’attrice Silvia Lodi. L’integrazione e la specializzazione sarà curata in appositi stage da diversi artisti tra i quali Mariano Dammacco, Roberto Corradino, Salvatore Della Villa. Le lezioni inizieranno con una SETTIMANA DI PROVA GRATUITA il 30 ottobre 2006 e termineranno a giugno 2007 con una messinscena finale. Info ed iscrizioni: tel. 380/526 8 526 328/60 15 767; [email protected]. La redazione di CoolClub.it non è responsabile di eventuali variazioni o annullamenti. Gli altri appuntamenti su www.coolclub.it Per segnalazioni: [email protected] FUM ETTO CoolClub.it “The Boondocks”: GOD BLESS AMERICA Ryley: “Huey, voglio saperne di più sulla faida tra 50 Cent e The Game. Qual è il programma che guardi sempre?” Huey: “Quale programma?” Riley: “Dai quello palloso con i bianchi che parlano di quel che succede nel mondo…” Huey: “Telegiornale?” Ryley: “Quello, non l’hanno cancellato spero!?!” Può un fumetto di successo, pubblicato da centinaia di quotidiani USA, ledere la sensibilità di un popolo al punto da essere chiuso sbrigativamente? E, soprattutto, possono il dolore e la paura scaturiti dalla tragedia dell’11 settembre 2001, dare il diritto di censurare le voci e le opinioni “scomode” marchiandole come sovversive? Questo è stato il fato di The Boondocks, striscia nata dalla matita del giovane fumettista afro americano Aaron Mcgruder nel 1999 ed apparso sulle pagine di illustri giornali come il Washington Post ed il Los Angeles Time. Il motivo dell’interruzione della serie risiede negli stessi elementi che ne hanno sancito al popolarità ed il successo: The Bondocks è assolutamente “politicamente scorretto” verso la politica e la società americana ed i censori “patriottici” temevano le parole che Mcgruder avrebbe avuto riguardo l’11settembre. Fortunatamente la serie è stata ripresa nel 2003, divenendo anche un cartone animato prodotto dalla major Sony. Protagonista del fumetto è la famiglia Freeman, composta dal nonno paterno e i due giovanissimi nipoti Huey e Riley. Huey è ossessionato dal “grande complotto” dei bianchi ai danni dei “fratelli neri”, mentre il fratellino minore Riley sta crescendo nel mito dei gangstarapper e della violenza, quale chiave della scalata sociale. Entrambi danno filo da torcere all’anziano tutore, la cui unica aspirazione è di godersi l’esiguo spicchio di “american way of life” che spetta ad un cittadino di ceto medio. Mcgruder deride impietosamente i clichè sugli afroamericani (il radical arrabbiato, il violento figlio del ghetto, il “quasi” integrato) nei quali essi sembrano rispecchiarsi realmente. Ne è più tenero verso il resto di una nazione colpevole di aver ceduto all’assurdità di un presidente raccomandato ed imbecille (Bush) ed alla sua amministrazione di corrotti e meschini. Attraverso Huey, precoce fustigatore dei costumi, l’autore ironizza sulla “zitella” Condoleeza Rice (in una gag strepitosa, Huey e l’amico Cesar cercano un uomo per lei, conviti che ciò porterà la apce nel mondo), su Dick Cheney, su John Kerry ed i democratici (troppo deboli ed impauriti dal calo dei consensi, per combatter il governo con una convincente opposizione), sulla litigiosa coppia “tossica” Bobby Brown- Whitney Houston, sull’ex nero ed ex pop star Michael Jackson e tanti altri personaggi pubblici. Tuttavia, il politicizzato Huey è suggestionato quanto il resto della strampalata famiglia dalla TV, che forgia la sua mente ed amplifica le paranoie: allarmato dai tg sull’aviaria, ne è così ossessionato da costringere suo nonno a sostituire il tacchino del giorno del Ringraziamento. Con un’insalata. Mentre il teppistello Ryley guarda con ammirazione alle controverse star dell’hip hop “black”, cresciute nei ghetti tra crack, pistole e la passione morbosa per le auto lussuose, ed il nonno prova licenziose emozioni nel guardare il topless di Janet Jackson in una diretta televisiva di qualche anno fa. La storia dei comics ci ha spesso deliziato con bambini pensanti; ma nei Bondocks non vi è traccia delle profondità esistenziali e struggenti dei “peanuts” di Schultz, né della determinazione rivoluzionaria dell’incavolata Mafalda di Quino. Lo sguardo spento ed accigliato di Huey è privo di fiducia in un futuro che consegnerà lui ad un’esistenza “conforme” ed il fratellino Ryley alle patrie galere. In ciò risiede la carica sovversiva dei Boondocks: nel mostrare al lettore il presente in tutta la sua contraddittoria amenità, senza abbellirlo in una cornice di false speranze. L’utopia che avvolgeva i bei personaggi di Schultz e Quino è scomparsa, ed ha ceduto il passo all’incazzatura “nera” di Huey Freeman. The Bondocks è giunto in Italia grazie alla casa editrice Arcana, la quale ha recentemente proposto una versione aggiornata con le ultime strips nel volume Nemico Pubblico N°2. Buona lettura. Roberto Cesano 38