Atti del convegno “Sicilia e Dieta Mediterranea” Palermo 26 novembre 2006 OESAAS Osservatorio sull’Economia del Sistema AgroAlimentare della Sicilia R E G I O N E S I C I L I AN A ASSESSORATO AGRICOLTURA E FORESTE CORERA S CONSORZIO REGIONALE PER LA RICERCA APPLICATA E LA SPERIMENTAZIONE Atti del convegno “Sicilia e Dieta Mediterranea” Palermo 26 novembre 2006 OESAAS Osservatorio sull’Economia del Sistema AgroAlimentare della Sicilia Indice 1. Apertur a dei la vor i 9 Prof. Giuseppe Silvestri Magnifico Rettore dell’Università degli Studi di Palermo 11 Prof. Antonino Bacarella Presidente del CORERAS 13 Prof. Salvatore Tudisca Preside della Facoltà di Agraria 14 2. S ic i li a e D ie t a M e d it e r ra n e a : i n tr od u zi one al te ma Prof. Antonino Bacarella 17 3. Di et a M edi t erra nea: parl a u n pi on i ere Prof. Flaminio Fidanza 25 4. Tradizioni alimentari e dieta mediterranea nel mondo antico 41 Pesca, produzione e consumo del pesce e delle relative salse in Magna Grecia ed in Sicilia Dott. Fabrizio Mollo 5. Sicilia e dieta m editerranea Prof. Fausto Cantarelli 55 6. L e ca r a t te ri s ti ch e del l a Di et a M edi t er r a nea I ta l i a na di Riferimento ed i suoi effetti salutari Prof. Antonino De Lorenzo 91 7. L a d i e t a m e d i t e r r a n e a n e l l ’ e r a p o s t - ge n o m i c a Prof.ssa Laura Di Renzo 101 8. D i e t a m e d it e r r a n e a : c om e d i f e n d e r l a e c o m e a p p l i c a r l a Prof.ssa Adalberta Alberti 107 9. Gli alim enti cardine de lla dieta me dite rranea Prof. Santo Giammanco Prof. Maurizio La Guardia 117 10. Dieta mediterranea e tumori Prof. Nicola Gebbia 147 11. A n t ic a s a g g e z z a c o n ta d i n a e r e a lt à m o d e r n a : il vino rosso di sicilia ed i suoi benefici effetti sulla salute Prof. Domenico Campisi Prof. Gino Avellone 171 12. Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea Prof. Salvatore Chiricosta 191 13. Cibo e turismo la “dieta mediterranea” come “risorsa turistica” Dott.ssa Maria Sabrina Leone 237 14. La d ieta medit er ra nea nella politi ca d i sv ilu ppo d e ll ’ a g r i c ol t u r a r e g io n a l e Prof. Giovanni La Via 251 Saluti finali Prof. Antonino Bacarella 261 1 Apertura dei lavori Apertura dei lavori Prof. Giuseppe Silvestri Magnifico Rettore dell’Università degli Studi di Palermo Il saluto, è un saluto veramente affettuoso per gli amici che sono qui con noi oggi, ai quali dò il benvenuto, agli ospiti, ai relatori di questo convegno. Un saluto a Giovanni La Via che è stato con noi tante volte, come collega della Facoltà di Agraria dell’Università di Catania, e che oggi è qui nella sua nuova veste di rappresentante dell’istituzione più importante della nostra regione, che è il governo della Regione stessa. E come rappresentante del governo gli dò il benvenuto ed un ringraziamento, perché non ci è mai mancata, come mondo universitario e non soltanto come amici e colleghi, l’attenzione del governo della Regione in ambiti vitali, non soltanto per l’Università ma per la vita pubblica della regione stessa. Quindi, tramite te ringrazio veramente il Governo della Regione presente ma anche i governi precedenti perché abbiamo sempre avuto ottimi rapporti di collaborazione e, dove era necessario, anche aiuto per la soluzione di problemi che si andavano evidenziando. Il tema di oggi “Sicilia e dieta mediterranea” è un tema attualissimo. Si parla di dieta mediterranea in tutto il mondo, se ne parla negli Stati Uniti, se ne parla in Giappone, adesso se ne comincerà a parlare anche in Cina perché già c’è attenzione da parte di quell’importante settore commerciale. E per noi, che siamo un po’ la patria del meridione d’Italia, la Sicilia, la tipizzazione delle nostre coltivazioni, la sedimentazione storica di ciò che si coltiva e che si fa nella nostra regione, le metodologie di trattamento tradizionali dei prodotti agricoli sono sicuramente punti di riferimento sui quali contare per un’ulteriore implementazione, perché non ci si deve mai fermare sul risultato che si è raggiunto, bisogna sempre lavorare per migliorare soprattutto la nostra presenza sui mercati. Ricordavo poco fa al Prof. Bacarella, ma Giovanni La Via lo sa meglio di me, proprio qui a Palermo ci sarà un centro di competenza per l’agro-alimentare della nostra regione. E questo centro di competenza vorremmo impegnarlo insieme al Governo regionale e, ovviamente, agli amici del CORERAS e dei Consorzi che sono attivi e che nascono dalle nostre Università nelle Facoltà di Agraria di Palermo e Catania e nella Facoltà di Medicina Veterinaria di Messina. La dieta mediterranea non garantisce di per sé perfette condizioni di salute, va usata con sapienza, va usata con saggezza. Io, per esempio, ero un grande mangiatore di pane e pasta e stavo diventando un 11 Apertura dei lavori obeso mediterraneo; quindi bisogna stare attenti a fare una proposta dietetica che utilizzi gli strumenti della dieta mediterranea in modo virtuoso. Adesso, come vedete, sono dimagrito e posso parlarne con sufficiente serenità. Però c’è un problema, e qui veramente parlo all’uomo di Governo che è presente e non al collega. C’è un problema che riguarda la nostra capacità di essere realmente al centro del Mediterraneo per fare delle proposte che siano non soltanto culturalmente apprezzabili, ma anche economicamente valide. Questo aspetto è assolutamente prioritario e deve essere preso non soltanto in considerazione, ma affrontato e risolto dal Governo in termini propositivi forti. Faccio solo un esempio. Io venerdì sono stato a Tripoli per un incontro – i produttori libici sono molto interessati ad una collaborazione con noi per lo sviluppo di attività agricole e di coltivazioni molto simili alle nostre, la Libia e la Sicilia hanno un ambiente complessivamente molto simile – e per andare a Tripoli sono andato a Roma, e mi è andata bene, perché di solito si va a Malpensa per andare poi a Tripoli, si fa Palermo-Malpensa, Malpensa-Tripoli. Per tornare, siccome ieri era domenica e volevo essere qui stamattina, non c’erano voli diretti con Malpensa o con Roma, e allora ho dovuto fare Tripoli-Zurigo, Zurigo-Roma, Roma-Palermo. Vi cito questo episodio non per dirvi quanto ho dovuto viaggiare ieri, ma per dirvi che quando si dice che la Sicilia è al centro del Mediterraneo non è vero. Il centro del Mediterraneo è a Fiumicino e a Malpensa perché è da lì che si parte per andare in giro per il mondo. La Sicilia ha bisogno di essere una presenza forte sul Mediterraneo, se non la si fa resteremo sempre dipendenti da altri soggetti, i quali da Francoforte, da Milano, da Roma, da Zurigo, ecc., si mettono in aereo e vanno dove gli pare nel Mediterraneo. Quelli sono i centri del Mediterraneo, anche se sono a Dusseldorf o a Francoforte perché è da lì che parte. Cito Bill Clinton che una volta disse “Volete promuovere un territorio? Metteteci un’Università e un aeroporto”. Università e aeroporto insieme perché l’Università fornisce un supporto allo sviluppo del territorio, l’aeroporto mette quello sviluppo in contatto col resto del mondo. Questo è un punto che io sottolineo ancora una volta – lo dissi un’altra volta presente il Presidente Cuffaro – lo risottolineo perché se non si sblocca la situazione dei trasporti non diventeremo mai protagonisti. Non mi interessa un aeroporto a Palermo, mi interessa un aeroporto in Sicilia che si possa raggiungere rapidamente. Ma sto andando fuori tema, l’odierno convegno non è 12 Apertura dei lavori un convegno sui trasporti, però se non si parla anche di trasporti non si riesce a sbloccare la situazione delle nostre produzioni agricole, anche perché uno dei nostri obiettivi non è quello della grande produzione, ma è la produzione di nicchia, una produzione che dia valore aggiunto forte sul piano commerciale proprio perché ha una tipicità specifica, ma ha anche una sedimentazione culturale e tradizionale forte che è fortemente legata alla sua storia, al suo vissuto, ad una partecipazione della collettività che è cultura prima che alimentazione. E di questo credo che oggi parlerete, cioè più cultura che alimentazione perché è di questo che noi siamo portatori forti in questa regione, ma siamo portatori forti anche in Europa e nel mondo. Quindi complimenti, complimenti al CORERAS che ancora una volta organizza una manifestazione scientifica dai risvolti applicativi di grande importanza. Complimenti e ringraziamenti a tutti i presenti, ai giovani che sono presenti. Guardate ragazzi che il tema di questo convegno riguarda anche voi, non solo per quello che mangiate, ma per quello che insieme riusciremo a fare nel nostro contesto regionale. La sfida che si è proposta è drammatica; il 2010 (l’avvio dell’aera di libero scambio nel Mediterraneo) incombe, la speranza è che dal 2010 si passi al 2015 (già se ne comincia a parlare) perché non siamo solo noi preoccupati, c’è tutta Europa e la sponda nord del Mediterraneo che è preoccupata di ciò che succederà. Perché siamo fortemente sbilanciati per quanto riguarda i costi di produzione, i costi della manodopera, la conservazione ambientale, ecc.; questo sbilanciamento ci crea grandissime difficoltà operative ed economiche. Speriamo che le cose si possano aggiustare e si possano gestire; studi come questi affrontatinell’odierno convegno servono proprio a questo. Grazie per la vostra attenzione. Prof. Antonino Bacarella Presidente del CORERAS Grazie, Magnifico, per i riconoscimenti ma l’Università di Palermo è socia del CORERAS e quindi è questo che ci dà la carica. Passo la parola al Preside, Prof. Salvatore Tudisca, per porgere il saluto a questo nostro convegno. 13 Apertura dei lavori Prof. Salvatore Tudisca Preside della Facoltà di Agraria di Palermo Ringrazio il Prof. Bacarella per avermi invitato a porgere il saluto mio personale e della Facoltà di Agraria, che in questo momento rappresento. Quando il Prof. Bacarella mi parlò di questo convegno, ricordo che eravamo a fine ottobre, e andavamo a Torino ad una importante manifestazione internazionale per il settore agro-alimentare -“Il salone del gusto e Terra Madre”- organizzata e voluta da Carlo Petrini, padre di Slow-Food. Intanto, ero interessato dall’argomento e poi l’elenco dei relatori era di notevole spessore. Si trattava e si tratta, comunque, di un tema che la Facoltà di Agraria ha messo ai primi posti, in questo momento di revisione della propria offerta formativa, legata ad una fase di transizione e modificazione delle classi didattiche, come da alcuni decreti ministeriali. Il tema della dieta, insieme al tema della sicurezza alimentare, ed a quelli della sostenibilità delle produzioni, costituiscono, del resto, problemi ed obbiettivi alla cui soluzione la Facoltà di Agraria dà, da tempo, un contributo non indifferente nel quadro e nella prospettiva del miglioramento dell’agricoltura regionale e delle sue produzioni. Mi ricordai, parlando con il Prof. Bacarella, di un incontro avuto all’inizio di gennaio, (in occasione della stesura del programma del terzo ciclo dei seminari intitolati a Gianpietro Ballatore) con Carlo Petrini per invitarlo ad inaugurare il ciclo dei seminari. In occasione di quell’incontro romano Carlo Petrini mi racconto un episodio, importante della sua vita, da cui scaturiscono molte delle sue iniziative nel campo dell’enogastronomia. L’episodio viene anche riportato nel libro “Buono, pulito e giusto”. Voglio ricordarlo oggi in occasione di questo convegno, perché credo sia attinente ai temi che vengono dibattuti. Scrive il Petrini. Un giorno del 1996 si trovava, come di consueto, a viaggiare lungo la statale che collega Cuneo ad Asti (una strada che gli permette di raggiungere Bra, la cittadina di provincia dove abita e dove, pure, ha sede il Movimento Internazionale di Slow-Food. Quel giorno gli venne il desiderio di riassaggiare un vecchio piatto, che da molti anni non assaporava: una peperonata che un suo amico ristoratore cucinava in modo sublime e che gli ritornava nella memoria con grande piacere richiamando sapori antichi. Fatta una piccola deviazione andò a trovare questo suo amico ristoratore, dove consumò con suo sommo disappunto, una 14 Apertura dei lavori peperonata tremenda del tutto insapore. Non capiva il perché e chiese spiegazioni al suo amico. L’amico ristoratore gli spiegò che non utilizzava più la stessa materia prima i peperono quadrati d’Asti con cui faceva quella peperonata in passato, e che riecheggiava nella sua memoria gustosaolfattiva ma importavano i peperoni dall’Olanda, perché meno costosi, coltivati in maniera intensiva, da una varietà ibrida un risultato ottimo alla vista, con i colori sgargianti, ma drammaticamente insapore. Carlo Petrini prese atto di questo fatto, che la favolosa peperonata era sparita e si rimise in macchina per Bra. Lungo il tragitto incontrò un contadino che lavorava in una di quelle serre dove si coltivavano i peperoni quadrati d’Asti e gli chiese cosa coltivassero al loro posto. Il contadino interpellato rispose che ormai coltivavano dei bulbi di tulipano, che poi spedivano in Olanda per farli fiorire. In quel momento Carlo Petrini comprese il paradosso dell’agroindustria, che si combinava con la globalizzazione: peperoni che valicavano confini, attraversavano monti, in cambio di tulipani. Cioè, due prodotti tipici e caratteristici di due zone particolari, che venivano coltivati a mille chilometri di distanza l’uno dall’altro, in territori che non erano i loro, a stravolgere due consuetudini agricole consolidate. Petrini intuì che era necessario fare qualche cosa per questa nostra agricoltura, che bisognava porre con forza l’accento sulla conservazione della tipicità dei nostri prodotti. Quel giorno segna la nascita dell’ecogastronomia; perché per Petrini non basta parlare di agricoltura sostenibile e di biodiversità, ma dobbiamo conservare quelle che sono le tradizioni locali, la cultura gastronomica locale, i prodotti che hanno dato sicuramente significato e alla nostra agricoltura e alla cultura e alla storia dei nostri luoghi. Concetti che si trovano nel il manifesto di Slow-Food, che poi lui ha diffuso in tutto il mondo e per il quale ha avuto sicuramente grossi riconoscimenti. Slow-Food oggi è una realtà importante e significativa non solo in ambito nazionale ma anche in scala mondiale. Tornando al convegno odierno, sulla “Dieta mediterranea”, esso costituisce uno dei grossi meriti che va riconosciuto al CORERAS e al suo Presidente il Prof. Bacarella. Fra tutti i Consorzi di ricerca, il CORERAS è quello che, (questa è una mia idea personale) in questi ultimi anni, ha lavorato meglio e in modo più incisivo, come testimoniano i numerosi convegni e volumi, delle ricerche che sono state effettuate nel corso degli ultimi anni. 15 Apertura dei lavori Parlando, infine, di dieta, sicuramente dobbiamo dire che il cibo può e dovrebbe essere un piacere al quale – come dice il Prof. Fausto Cantarelli – tutti abbiamo diritto. Ma se l’atto di nutrirsi, come ci dice Carlo Petrini, è anzitutto un atto agricolo -il che significa scegliere cibi di buona qualità prodotti con tecniche di coltivazione e criteri che salvaguardino l’ambiente, che proteggano la biodiversità e valorizzino un’agricoltura ecosostenibile, esso è anche un atto gastronomico che deve essere legato, come dice lo stesso Petrini, a tre criteri essenziali: buono, giusto e pulito. Cioè, nel momento in cui noi riusciremo a realizzare queste condizioni, sicuramente avremo fatto e compiuto un atto di grande rilevanza per la produzione dei beni primari, per l’agricoltura, per l’enogastronomia, per tutto ciò che sta a monte e a valle del processo agricolo. E vorrei chiudere con pensiero che mi ero appuntato. Noi abbiamo fame di cambiamenti, ma spesso questi convegni -belli e importanti- sono fine a se stessi. Oggi in questo luogo abbiamo la Politica (il Presidente della Regione), il massimo esponente dell’Ateneo (il Rettore), Presidenti di Consorzi di Ricerca, abbiamo autorevoli esponenti del mondo dell’Università, della cultura e della gastronomia; importanti relatori fra cui Fausto Cantarelli, che da anni lavora per propagandare e sviluppare una nuova cultura gastronomica nel nostro paese; però, … come si può dare seguito ai dibattiti? Spesso ci compiaciamo delle buone e belle relazioni e qui finisce tutto senza dare un seguito. Nel nostro piccolo la Facoltà d’Agraria ha attivato un gruppo di lavoro al fine di ideare nuovi corsi di laurea, che abbiano anche a che fare col cibo, con la dieta, con la salubrità, con la sicurezza alimentare, con la tracciabilità, tutto quello che oggi va di moda ed è fondamentale per la vita di tutti: ma non basta, perché i corsi di laurea hanno i tempi che hanno. Venendo qua osservavo che non sarebbe peregrino pensare ad un Master pluridisciplinare interfacoltà ad esempio la Facoltà d’Agraria, la Facoltà di Medicina, coinvolgendo anche molte altre professionalità (operatori del turismo, analisti, chimici, etc.) che non si limiti ad un anno, ma che abbia una vita di tre, quattro o cinque anni. Spesso il limite dei nostri Master è che dopo un anno chiudono per mancanza di finanziamenti. Noi avevamo attivato -siamo stati fra i primi nell’Ateneo- un Master sull’agricoltura biologica, finanziato dalla Provincia che ha dato buoni risultati, ma dopo un anno l’abbiamo chiuso perché non avevamo più finanziamenti della Provincia. Probabilmente i Consorzi, ed in specie il CORERAS, hanno una maggiore disponibilità finanziari rispetto alle Facoltà, possono veicolare e trainare dei Master sui problemi che oggi si dibattono. Formando faremo sicuramente un buon servizio alla nostra Regione. Grazie. 16 2 Sicilia e Dieta Mediterranea: introduzione al tema Antonino Bacarella Presidente del CORERAS Sicilia e Dieta Mediterranea: introduzione al tema Le motivazioni che hanno indotto il CORERAS ad organizzare l’odierno convegno su Sicilia e Dieta Mediterranea hanno origine da diversi fenomeni e fatti. I fenomeni fanno riferimento alle grandi trasformazioni in essere da almeno un decennio a questa parte nelle società dei paesi ad economia avanzata e recentemente anche in quelle di alcuni grandi paesi in accelerato processo di sviluppo. Tra le grandi trasformazioni si può a pieno titolo annoverare quella riguardante il complesso sistema alimentare. Numerose sono le cause e le spinte alla trasformazione di questo sistema: la sempre più ampia apertura dei mercati e delle economie a nuove aree geoeconomiche e geopolitiche;la crescente mobilità delle persone per turismo, lavoro, affari, studio, ecc.; i sempre più dinamici cambiamenti nel comportamento dei consumatori riguardo alle abitudini alimentari, ai modelli di consumo, al modo salutistico, etico e culturale dell’approccio all’alimento; la sempre più sentita esigenza di salvaguardia e tutela dell’ambiente e delle risorse naturali e genetiche, dalla quale trae origine il perseguimento dello sviluppo economico e sociale sostenibile; la aumentata attenzione delle politiche agricole, forestali, ambientali verso il miglioramento della qualità della vita umana e territoriale sia da parte dei paesi industrializzati che di quelli in via di sviluppo, come appunto ha dimostrato il recente evento “Terra Madre”, incontro internazionale tra le comunità del cibo (con la partecipazione ufficiale di 150 paesi), a latere del Salone del Gusto di Torino, organizzato dall’associazione Slow Food. I fatti fanno riferimento alla ormai lunga, seppur indiretta, collaborazione di studio fra chi vi parla e Fausto Cantarelli, che ha indotto nel tempo Cantarelli a frequentare la Sicilia per studi e convegni ed a dare alle stampe tre specifici lavori: Dal mito alla Storia: il pecorino siciliano; Il primo laboratorio alimentare di Europa; La primogenitura storica della Sicilia alimentare. L’occasione più recente è stata la presentazione dell’ultimo suo lavoro: I tempi alimentari del mediterraneo: cultura ed economia nella storia alimentare dell’uomo, fatta da chi vi parla ed organizzata dal CORERAS ad Ispica (Ragusa) nel marzo scorso, con la partecipazione dell’Assessore Regionale all’Agricoltura e Foreste, pro tempore, On.le Innocenzo Leontini. Il filone di studio e culturale di Cantarelli sull’agroalimentare ha un 19 Sicilia e Dieta Mediterranea: introduzione al tema approccio ed una elaborazione profondamente diversi da quelli seguiti dal CORERAS, ma convergenti verso un unico obiettivo, che gli economisti agrari ed agroalimentari in gran parte perseguono con la propria opera ed il proprio pensiero: lo sviluppo economico e sociale sostenibile. Il CORERAS infatti, con i suoi studi e le sue ricerche, per statuto, ha come finalità, nel quadro degli indirizzi determinati dall’Assessore Regionale per l’Agricoltura e le Foreste, lo sviluppo e l’ammodernamento strutturale ed organizzativo dei sistemi agroalimentare, agroindustriale, agroambientale della Sicilia. E pertanto è impegnato ad esaltare e valorizzare il ricco patrimonio genetico, naturale, ambientale, storico, tipico, tradizionale della Sicilia agroalimentare sia con studi economici che con sperimentazioni agronomiche, nella sua azienda agricola Don Pietro, ricadente in quel di Ragusa, nei pressi di Comiso. Riguardo a queste ultime piace evidenziare quella sullo zafferano, quale riscoperta di na specie che veniva coltivata in Sicilia già in epoca greco-romana, probabilmente portata in Sicilia dai soliti Fenici nel loro peregrinare commerciale nel bacino del Mediterraneo. Nei pochi anni trascorsi (sette) dalla sua costituzione il CORERAS ha prodotto oltre 60 lavori; gli studi specifici sul tema agroalimentare contano ben 12 titoli a stampa su 30 della sua produzione editoriale, fra i quali piace citare per significatività di conoscenza e di proposta i seguenti: Quale agricoltura per la Sicilia; Agroalimentare e flussi turistici in Sicilia; Le imprese agroalimentari marketing oriented in Sicilia; Prodotti tipici della Regione Siciliana; Prodotti agricoli di qualità e Turismo in Sicilia; La qualità certificata nel sistema agroalimentare siciliano. Fra le motivazioni che hanno indotto il CORERAS ad organizzare l’odierno convegno ve ne è una che fa da cornice al nostro discorrere: la politica agricola ed agroalimentare perseguita, seppur con molte contraddizioni e ritardi, dal Governo Regionale e dall’Assessorato Agricoltura e Foreste, nell’ambito della più complessa politica nazionale ed europea, mirata allo sviluppo economico e sociale sostenibile, attraverso la valorizzazione tecnica ed economica delle produzioni agricole tipiche e di qualità e della cultura enogastronomia del territorio, anche con una impegnata (finanziariamente) politica promozionale e comunicazionale nei principali e ricchi mercati dei paesi ad economia avanzata ed in quelli ad accelerato processo di sviluppo economico. 20 Sicilia e Dieta Mediterranea: introduzione al tema Con Cantarelli si è ravvisata la opportunità di dare un ulteriore contributo allo sviluppo economico e sociale sostenibile della Sicilia, utilizzando una risorsa concettuale rappresentata dalla cosiddetta Dieta Mediterranea, che contiene in sé, attraverso le produzioni agricole ed agroalimentari che la caratterizzano: cultura, storia, letteratura, archeologia, civiltà, filosofia, stile di vita, salute, paesaggio, ecc., e che è capace di vivacizzare ed attrarre attività extragricole, costituite primariamente dalle diverse tipologie di turismo, quale segno di un nuovo modo d’essere e di vita della persona umana, in qualsiasi latitudine e longitudine abbia domicilio. Come appunto dimostrano l’evoluzione finora e le previsioni dei flussi turistici, che nel 2010 dovrebbero coinvolgere un miliardo di persone ed interessare in parte rilevante l’area mediterranea. Per dare significato politico, economico, culturale e salutistico alla Dieta Mediterranea, secondo l’obiettivo dello sviluppo sostenibile, si sono coinvolti nella partecipazione di questo convegno studiosi appartenenti a diversi settori scientifico-disciplinari e soprattutto, uno dei protagonisti, il Prof. Flaminio Fidanza, che hanno individuato nella Dieta Mediterranea, o più esattamente nei prodotti agricoli che concorrono alla sua composizione, tutto l’aspetto che muove primariamente il consumatore nel moderno approccio al cibo e all’alimento: quello cosciente nutrizionistico-salutistico e quello culturale del modo di vivere o dello stile di vita. Il Prof. Flaminio Fidanza ha partecipato alla pianificazione dello Studio Cooperativo Internazionale di Epidemiologia della Cardiopatia Coronarica, meglio noto come Studio dei sette Paesi, coordinato da Ancel Keys, ed ha condotto l’inchiesta di epidemiologia prospettiva delle malattie coronariche nel paese di Nicotera (in Calabria) nel 1960, individuando nelle abitudini alimentari e nello stile di vita della popolazione di questo paese un ruolo preventivo nelle patologie cronico-degenerative. La dieta di Nicotera è stata così scelta come: Dieta Italiana di Riferimento. In questa dieta prevalgono cerali, legumi, pesce, olio vergine di oliva, verdure, frutta, con abbondanza di erbe spontanee eduli, aglio, cipolla, peperoncino, erbe aromatiche (rosmarino, prezzemolo, basilico) e quale bevanda alcolica moderate quantità di vino, specialmente rosso. In questa dieta limitato è il consumo di latte, formaggi, carni e grassi di origine animale. 21 Sicilia e Dieta Mediterranea: introduzione al tema Nella Dieta Mediterranea c’è dunque la descrizione fedele della produzione agricola siciliana che come tale, può diventare una risorsa strategica di marketing nella comunicazione e nella promozione dell’enogastronomia siciliana sul mercato internazionale, o per meglio dire sui segmenti di mercato a reddito medio-alto dei paesi ad economia avanzata , e nella comunicazione e promozione del territorio siciliano nel turismo internazionale. A dimostrazione della speculare corrispondenza della Dieta Mediterranea alla agricoltura siciliana basta il riferimento alla composizione produttiva della superficie agricola utilizzata che è costituita: • nella superficie in asciutto dell’ampia area interna, dal seminativo (dove si coltivano cereali- frumento duro essenzialmente-, leguminose da granella, ortaggi invernali), dalla frutta secca (mandorlo, nocciolo, pistacchio), dall’olivo e dalla vite, • nella superficie irrigua, ricadente prevalentemente nella fascia costiera, dagli agrumi, dagli ortaggi, dalla frutta fresca, dall’olivo e dalla vite. Gli allevamenti di bovini ed ovicaprini vengono effettuati allo stato brado o semibrado nei pascoli naturali, nel seminativo a riposo o foraggicolo (leguminose da foraggio ed erbai di cereali e leguminose da foraggio) e nei boschi; l’allevamento industriale stabulo di bovini, raramente di suini, viene tuttora poco praticato e solo in alcune zone dell’isola. Le erbe spontanee eduli ed aromatiche si trovano disseminate in tutto il territorio siciliano e specialmente nelle aree interne di collina e montagna. La piccola pesca si esercita diffusamente nei numerosi piccoli porti dell’area costiera, mentre la pesca d’altura viene effettuata con motopescherecci nella quindicina di porti ubicati nei grossi centri abitati lungo la costa dell’isola. A spiegare l’importanza salutistica e culturale della Dieta Mediterranea e dei prodotti che la compongono sono, quali relatori del convegno: studiosi e ricercatori nella scienza dell’alimentazione e della nutrizione, i Proff. Adalberta Alberti, Antonino De Lorenzo, Laura Di Renzo, nella medicina interna, i Proff. Domenico Campisi e Gino Avellone, della fisiologia umana i Proff. Santo Giammanco e Maurizio La Guardia, della medicina oncologica, il Prof. Nicola Gebbia. Gli aspetti culturali ed originari della dieta mediterranea saranno trattati dall’archeologo-letterato Fabrizio Mollo. Gli aspetti merceologici dell’olio d’oliva, alimento caratterizzante 22 Sicilia e Dieta Mediterranea: introduzione al tema della dieta Mediterranea, saranno trattati dal Prof. Salvatore Chiricosta. Il Prof. Fausto Cantarelli affronterà il tema, ormai a lui assai familiare, sull’interesse e sull’opportunità per la Sicilia ed il suo sviluppo economico della Dieta Mediterranea, mentre la Prof.ssa Sabrina Leone evidenzierà il legame, oggi sempre più pregnante, fra cibo e turismo, nell’ambito del quale la Dieta Mediterranea può rappresentare una risorsa non solo per lo sviluppo dell’agricoltura, ma anche del territorio e dunque del sistema economico dell’isola. A tutti i relatori va il mio personale ringraziamento e quello del CORERAS. Dalla caratterizzazione scientifica e professionale dei relatori, tutti di fama nazionale e molti di essi anche di fama internazionale, e dagli stessi titoli delle relazioni si può evincere con chiarezza che la tematica del convegno viene dibattuta con approccio interdisciplinare, mirato allo sviluppo economico e sociale sostenibile. La convinzione scientifica dell’utilità salutistica della Dieta Mediterranea ha indotto i Proff. De Lorenzo, Fidanza, Alberti, Di Renzo, Cantarelli a costituire l’Associazione INDIM (Istituto Nazionale per La Dieta Mediterranea e la Nutrigenomica) che ha sede legale a Reggio Calabria e sede amministrativa a Roma. Il Prof. De Lorenzo è il Presidente, il Prof. Fidanza è Presidente onorario e consigliere. Il CORERAS condividendo pienamente gli scopi dell’Associazione ha deliberato di chiederne l’ammissione come socio ordinario e partecipare a pieno titolo alle iniziative ed agli studi che l’Associazione proporrà e realizzerà. L’adesione di organismi regionali all’INDIM potrebbe essere una buona opportunità per la Sicilia per comunicare la ricchezza della sua agricoltura, della sua storia, della sua cultura. I diversi aspetti che saranno affrontati nelle relazioni ed i diversi spunti di lavoro che emergeranno, consentiranno alla politica di meglio indirizzare le strategie di intervento pubblico mirate: alla evoluzione della catena del valore del sistema agroalimentare, attraverso la crescita numerica e dimensionale delle imprese orientate al marketing, a valorizzare il territorio nel suo insieme di produzione alimentare e di patrimonio storico, culturale ed ambientale, utilizzando, nelle strategie di marketing promozionale e comunicazionale, la leva salutistica e nutrizionistica dei prodotti agroalimentari, specialmente in un mondo affetto da numerose malattie cardiocircolatorie e sempre più da quelle derivanti dalla obesità, e 23 Sicilia e Dieta Mediterranea: introduzione al tema la leva culturale ed immaginifica dell’enogastronomia e del territorio, specialmente in un mondo sempre più curioso di conoscenza di popoli, di siti storici, di risorse naturali. L’Assessore Regionale all’Agricoltura ed alle Foreste Prof. Giovanni La Via, illustre economista agrario della Facoltà di Agraria dell’Università di Catania, e dunque collega mio e di Cantarelli, spero possa ricevere da questo convegno ulteriori spunti per la elaborazione mirata della sua condivisa politica sull’agroalimentare siciliano. Sentiremo nelle sue considerazioni politiche ed economiche finali in che modo e quanto le riflessioni corali su una tematica sempre più attuale possano incidere nel processo di accelerazione dello sviluppo economico e sociale sostenibile della Sicilia. L’amico e collega Giovanni sa che nella ricerca economica lavoriamo con la stessa convinzione metodologica e con la stessa passione. L’area economico-agraria di Palermo e Catania infatti ha sempre lavorato in piena sintonia e tutte le ricerche finora condotte hanno avuto come obiettivo la conoscenza e la crescita del sistema agroalimentare regionale nelle sue molteplici espressioni. L’Assessore La Via sa per istituzione che il CORERAS, consorzio regionale, opera statutariamente seguendo le sue direttive sia nella sede di Palermo che in quella di Catania, e pertanto può contare sul patrimonio di conoscenza prodotto in aggiunta a quello che ci proviene dall’essere università. Come Presidente ringrazio l’Assessore per l’attenzione che rivolge al CORERAS, come peraltro i suoi precedessori; il che spinge il CORERAS a far sempre meglio. Lo ringrazio anche personalmente per il pizzico di attenzione in più, rispetto a ieri, che rivolge al CORERAS, perché è servito a restituire serenità al lavoro ed all’impegno dei giovani ricercatori del Consorzio. Ringrazio tutti per la partecipazione. Ringrazio il Magnifico Rettore Prof. Giuseppe Silvestri, socio per l’Università di Palermo, come peraltro le Università di Catania e Messina, del CORERAS, per l’attenzione costante che ci rivolge, e ringrazio il mio Preside Prof. Salvatore Tudisca, anch’egli economista agrario ed amico, per la sintonia d’impegno della Facoltà e del CORERAS. Ed adesso iniziamo i lavori sulla Dieta Mediterranea. 24 3 Dieta Mediterranea: parla un pioniere Flaminio Fidanza Presidente onorario dell’Istituto Nazionale per la Dieta Mediterranea e la Nutrigenomica Dieta Mediterranea: parla un pioniere Due premesse sono indispensabili: la definizione di Dieta Mediterranea di Riferimento (DMR) e la presentazione dell’Indice di Adeguatezza Mediterraneo (IAM). La Dieta Mediterranea di Riferimento è un regime di vita, nella classica accezione ippocratica, nel quale prevalgono alcuni gruppi di alimenti consumati prevalentemente dai componenti le classi lavoratrici dei paesi mediterranei intorno alla metà del secolo scorso. Questi gruppi di alimenti sono : cereali, legumi, ortaggi, frutta fresca e secca, olio vergine di oliva, prodotti della pesca, e come bevande alcoliche vino. L’idonea combinazione qualitativa e quantitativa di questi alimenti permette di prevenire le inadeguatezze nutrizionali per eccesso e per difetto e fornisce nutrienti e componenti alimentari dotati di elevati effetti protettivi grazie alla loro proprietà antiossidante. L’Indice di Adeguatezza Mediterraneo è stato da noi elaborato per valutare in modo obiettivo quanto una dieta liberamente scelta si avvicini o si allontani da una dieta mediterranea presa come riferimento (1). L’Indice di Adeguatezza Mediterraneo (IAM) si ottiene dividendo il percento dell’energia fornita dagli alimenti che caratterizzano una dieta mediterranea salutare (cereali, patate, legumi, ortaggi, frutta fresca e secca, prodotti della pesca, olio vergine di oliva, vino) per il percento dell’energia fornita da alimenti pur mediterranei, ma che non debbono prevalere in questo tipo di dieta (carne, latte, formaggi, uova, grassi di origine animale e margarine, dolci, bevande zuccherine). Lo IAM si può anche calcolare utilizzando il peso in grammi degli alimenti sopra indicati. Il valore in tal caso sarà differente per la diversa densità energetica di alcuni alimenti e delle bevande. I valori dello IAM possono andare dallo 0 per una dieta a base di soli alimenti non mediterranei ad oltre 100 per una dieta strettamente vegetariana. I valori più comunemente da noi riscontrati vanno da 0,6 per le due coorti del Seven Countries Study (SCS) finlandesi a 14,6 per la coorte SCS di Tanushimaru in Giappone. Come dieta mediterranea di riferimento abbiamo scelto quella rilevata in tre stagioni del 1960 nelle famiglie di Nicotera, un centro rurale della Calabria in provincia di Catanzaro. Nicotera era la terza area rurale Italiana esaminata come studio pilota nell’ambito dello Studio dei Sette Paesi. Per la scarsezza di fondi e per la similarità con le due aree rurali della Grecia (Creta e Corfù),non si è dato corso al riesame negli anni successivi. 27 Dieta Mediterranea: parla un pioniere Nelle tabelle 1 e 2 è riportata la media del consumo giornaliero di alimenti per le quattro classi di età dei maschi e delle femmine di Nicotera esaminati nel 1960, Come già riportato in precedenti lavori i cereali erano molto bene rappresentati e così pure i vegetali, i legumi ed il pescato. L’olio vergine di oliva era l’unico olio consumato. Il pane , in genere bigio, era preparato con farina di grano macinato a pietra nei 18 mulini disponibili a quell’epoca a Nicotera. Diffuso era il consumo di erbe selvatiche crude o cotte, particolarmente ricche di antiossidanti ed acidi grassi omega-3 (Tabelle 1 e 2). Tab. 1 - Media del consumo giornaliero di alimenti (g) dei maschi di Nicotera. (1960, media di tre stagioni) Tutti gli adulti delle 35 famiglie esaminate svolgevano una attività fisica moderata ed in alcuni casi essa era per gli uomini anche pesante. Dall’indagine clinica condotta nel 1957 la prevalenza di infarto del miocardio è risultata bassissima (solo 4 casi sui 578 uomini esaminati, di 45-64 anni di età). L’ipertensione, il soprappeso ed il diabete erano poco comuni (2). 28 Dieta Mediterranea: parla un pioniere Tab. 2 - Media del consumo giornaliero di alimenti (g) delle femmine di Nicotera. (1960, media di tre stagioni) Il ruolo salutare della dieta mediterranea è stato messo in evidenza dai nostri studi sui rapporti tra dieta e colesterolemia e dal nostro Studio Cooperativo Internazionale della Cardiopatia Coronarica, meglio noto come Seven Countries Study (SCS = Studio dei Sette Paesi). Nel febbraio 1952 insieme ad Ancel Keys abbiamo preso in esame i rapporti tra dieta e colesterolemia. I vigili del fuoco napoletani presentavano una colesterolemia più bassa rispetto ai colleghi del Minnesota (USA). Ciò era da imputare al minor contenuto di grassi nella dieta (20% dell’energia totale nei napoletani contro il 40% dell’energia totale negli americani), (3). Nella figura 1 è riportato l’andamento con l’età dei valori medi della colesterolemia dei vigili del fuoco di Napoli e del Minnesota. I vigili napoletani oltre a valori sempre più bassi, dopo il trentacinquesimo anno presentavano livelli praticamente stabili. Dal 1958 al 1965 abbiamo esaminato i seguenti sei gruppi di cittadini napoletani : operai leggeri (OP-LE), industriali e professionisti (PRO), uscieri dell’Università (US-UN), scalpellini (SCAL), disoccupati (DIS) ed impiegati comunali (IM-CO) (4). 29 Dieta Mediterranea: parla un pioniere Fig. 1 - Andamento con l’età della media della colesterolemia dei vigili del fuoco di Napoli e del Minnesota. Per ogni area i valori sono espressi come percento della media all’età di 35 anni. Il rilevamento dei consumi alimentari degli operai leggeri è stato eseguito con la tecnica del ricordo delle precedenti 48 ore. Per gli industriali e professionisti, gli uscieri dell’Università e gli scalpellini si è adoperata la tecnica della pesata individuale protratta per una settimana. Per i disoccupati è stata utilizzata la tecnica del ricordo delle precedenti 48 ore, associata al rilevamento delle abitudini alimentari relative ad un periodo di tempo più lungo. Per gli impiegati comunali si è adoperata la tecnica del diario alimentare per una settimana (Tabella 3). Il consumo di latte è trascurabile negli scalpellini, scarso negli operai leggeri e nei disoccupati, discreto negli altri gruppi. I formaggi abbondano nelle diete degli impiegati comunali e dei disoccupati, scarseggiano invece in quelle degli operai leggeri. La carne è consumata scarsamente da parte degli operai leggeri e discretamente da parte degli uscieri dell’Università e degli scalpellini. Le uova assenti nella dieta dei disoccupati, sono presenti in quantità modesta in quelle degli scalpellini e degli operai leggeri ed in quantità apprezzabile in quella degli altri gruppi. Il pesce è consumato con una relativa uniformità nella maggioranza dei gruppi. 30 Dieta Mediterranea: parla un pioniere Tab. 3 - Percento dell’energia dei vari alimenti nella dieta di alcuni gruppi di napoletani. (Valori medi pro die e pro capite) Nella dieta dei disoccupati i grassi di condimento e gli oli sono presenti in quantità ridotta, mentre sono decisamente abbondanti in quella degli operai leggeri. I cereali sono consumati largamente da parte degli scalpellini ed in quantità ridotta da parte degli industriali e professionisti. I legumi abbondano nelle diete dei disoccupati, degli scalpellini e degli operai leggeri e scarseggiano in quella degli uscieri dell’Università. I vegetali sono presenti in quantità ridotta nella dieta dei disoccupati, mentre abbondano in quella degli industriali e dei professionisti. Per la frutta i consumi più bassi si riscontrano nella dieta degli scalpellini; valori intermedi si osservano nelle diete degli uscieri dell’Università e degli operai leggeri. Le bevande alcoliche abbondano nelle diete degli scalpellini e dei disoccupati, mentre sono presenti in quantità ridotta nella dieta degli industriali e dei professionisti. La dieta meno mediterranea è naturalmente quella degli industriali e professionisti (IAM = 1,5), quella simile alla DMR Italiana è risultata quella degli operai leggeri (IAM = 7,5). Dopo una riunione di esperti internazionali nel marzo 1954 presso 31 Dieta Mediterranea: parla un pioniere Tab. 4 - Corti rurali europee l’Istituto di Fisiologia Umana a Napoli,coordinata da Ancel Keys e dall’autore, abbiamo dato corso nell’autunno 1957 allo studio pilota del SCS a Nicotera in Calabria e a Creta in Grecia. Dal 1958 lo studio è stato esteso a sedici coorti di uomini di 40-59 anni di età residenti in centri abitati in Finlandia, Giappone, Grecia,Italia,ex Jugoslavia,Olanda e Stati Uniti d’America. Da questo studio è emerso che per quanto riguarda le nove coorti rurali europee,quelle mediterranee (Creta e Corfù in Grecia, Crevalcore e Montegiorgio in Italia, e Dalmazia nella ex Jugoslavia), presentavano al quindicesimo anno di riesame un tasso di mortalità per cardiopatia coronarica metà rispetto a quello delle quattro coorti non mediterranee (Finlandia orientale ed occidentale, Slavonia e Velika Krsna nella ex Jugoslavia), (5). Le diete dei due gruppi erano ben diverse.Nelle cinque coorti mediterranee erano maggiormente presenti olio di oliva,cereali,frutta,ortaggi e vino,mentre in quelle finlandesi e della ex Jugoslavia settentrionale carne, uova, formaggi, sostanze grasse di origine animale e margarine e le bevan32 Dieta Mediterranea: parla un pioniere Tab. 5 - Valori medi degli alimenti consumati dai 1536 uomini di 45-65 anni di Crevalcore e Montegiorgio de alcoliche erano birra e superalcolici consumate in genere fuori pasto. Nelle due coorti rurali italiane di Crevalcore in Emilia e Montegiorgio nelle Marche è stato valutato dopo 20 anni il tasso di mortalità per varie cause, in rapporto alla dieta consumata nel 1965. I 1536 soggetti sono stati classificati, utilizzando la tecnica dell’analisi K-cluster, in 4 gruppi a seconda della densità dei nutrienti delle loro diete, prendendo in considerazione le proteine totali, gli acidi grassi saturi, monoinsaturi e polinsaturi, i carboidrati totali e l’alcol, espressi come percento dell’energia totale (6). Nella tabella 5 sono riportati i valori medi degli alimenti consumati dai 1536 uomini di 45-65 anni di età di Crevalcore e Montegiorgio. IL cluster 1 è caratterizzato da un elevato consumo di alcol (1/3 dell’energia totale), mentre i valori degli altri alimenti sono tra i più bassi. Il cluster 2 presenta i più elevati consumi di oli di semi e conseguentemente di acidi grassi polinsaturi, mentre più bassi sono i consumi di insaccati, prodotti della pesca, ortaggi grassi ed uova. Il consumo di vino non è elevato. Per il cluster 3 il consumo di olio di oliva è tra i più elevati. Il cluster 33 Dieta Mediterranea: parla un pioniere 4 mostra il massimo consumo di alimenti ricchi in carboidrati e di ortaggi; il consumo di olio di oliva è basso e così pure quello delle uova, grassi e vino. E’ quest’ultima le dieta tipica delle classi lavoratrici italiane negli anni cinquanta. Nella tabella 6 è riportata la percentuale dei tassi di mortalità standardizzati per l’età in ogni cluster per le diverse cause di morte al riesame del venticinquesimo anno dei 1536 uomini di Crevalcore e Montegiorgio. Tab. 6 - Percentuali dei tassi di mortalita’, standardizzati per l’eta’ in ogni cluster per le diverse cause di morte al riesame del ventesimo anno La mortalità più elevata per cardiopatia coronarica è per i cluster 1 e 4, mentre per l’ictus cerebrale è per i cluster 1 e 3. La mortalità più bassa per cancro si osserva nei cluster 2 e 4. la mortalità per cirrosi epatica è una caratteristica quasi esclusiva del cluster 1, al quale appartengono i gran bevitori di vino. Di conseguenza il gruppo più protetto per quanto riguarda la cardiopatia coronarica è quello che presenta il più elevato consumo di acidi grassi polinsaturi. Nel complesso i gruppi più protetti per le altre cause di morte risultano quelli con un elevato consumo di carboidrati e di olio di oliva. Le due coorti italiane SCS di Crevalcore (in provincia di Bologna) e Montegiorgio (nelle Marche in provincia di Ascoli Piceno) sono state riesaminate ogni cinque o dieci anni sino al trentunesimo anno. La dieta di tutti questi uomini è stata seguita utilizzando il metodo sella storia dietetica dal 1965 al 1991. 34 Dieta Mediterranea: parla un pioniere Nella tabella 7 è riportata la distribuzione in percentili dello IAM della loro dieta, insieme a quella degli uomini esaminati a Nicotera nel 1960 (7). A Crevalcore nel 1965 solo un modesto numero di uomini consumava una dieta mediterranea. Nel 1991 questo numero si è ulteriormente ridotto. I figli ed i nipoti degli uomini esaminati longitudinalmente mostravano consumi con le stesse caratteristiche degli anziani. A Montegiorgio nel 1965 circa il 25% degli uomini consumava una dieta mediterranea , ma nel 1991 questa percentuale è significativamente diminuita. Per i figli ed i nipoti degli uomini esaminati longitudinalmente i valori erano vicini a quelli dei corrispondenti individui di Crevalcore. Dopo 26 anni, pur tenendo conto dell’influenza dell’invecchiamento di questi individui nei riguardi dei consumi alimentari, si è osservata in particolare a Montegiorgio una netta modificazione delle scelte alimentari con un avvicinamento dei consumi a quelli degli uomini di Crevalcore. Quindi per i soggetti di Montegirogio si à verificato un marcato allontanamento dalla DMR. La mortalità per cardiopatia coronarica presentava un andamento conseguente. Tab. 7 - Distribuzione dei percentili dello IAM della dieta degli uomini delle coorti rurali italiane del Seven Countries Study 35 Dieta Mediterranea: parla un pioniere Nel 1999 abbiamo dato corso al rilevamento dei consumi alimentari di 49 famiglie residenti nel comune di Pollica (Salerno) già esaminate nel 1967;tale rilevamento includeva anche i nuovi famigliari (figli e nipoti). Dopo 32 anni i giovani di 20-39 anni di Pollica si sono allontanati dalla tradizionale dieta mediterranea.Per le donne oltre i 40 anni questo allontanamento è meno accentuato e per gli uomini oltre i 40 anni molto modesto (Tabelle 8 e 9). Tab. 8 - Distribuzione dei percentili dello I.A.M. Delle diete degli uomini di Pollica (Cilento – Italia) Tab. 9 - Distribuzione dei percentili dello I.A.M. delle diete delle donne di Pollica (Cilento – Italia) 36 Dieta Mediterranea: parla un pioniere Nel 1999 il Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano (Provincia di Salerno) ha dato corso al rilevamento delle abitudini alimentari di campioni di famiglie residenti in sette comunità montane.La media dello IAM per le 228 famiglie esaminate è risultata di 2,2, vicina a quella dei giovani di Pollica esaminati nello stesso anno. Anche la dieta dei soggetti di Nicotera esaminati nel 1960, considerata come dieta mediterranea di riferimento italiana, ha subito profonde modificazioni qualitative nel tempo. Per gli uomini nel 2002 il consumo di cereali e legumi è visibilmente diminuito. Aumentati invece sono i consumi di frutta, formaggi e latte. I dolciumi prima assenti sono ora presenti. Per le donne la situazione è quasi simile a quella degli uomini, maggiore è il consumo di latte, formaggi e dolciumi (Tabella 10).Di conseguenza nel 2002,cioè dopo 42 anni, lo IAM della dieta dei figli e dei nipoti dei capifamiglia esaminati nel 1960 è 3,5 per gli uomini e 2,6 per le donne. Tab. 10 - Media del consumo giornaliero di alimenti (g) dei soggetti di Nicota esaminati nel 2002 37 Dieta Mediterranea: parla un pioniere Fig. 2. - Correlazione del logaritmo naturale del MAI delle diete delle 16 coorti del Seven Countries Study (ln MAI, dopo esclusione della birra e dei superalcolici) con il tasso di mortalità per cardiopatia coronarica al 25° anno di riesame I simboli sono: US-ferrovieri USA; EF-Finlandia orientale; WF-Finlandia occidentale; ZU-Zutphen,Olanda; CR-Crevalcore,Italia; MO-Montegiorgio,Italia; RR-Ferrovieri ,Roma,Italia; D-Dalmazia,Croazia-ex Jugoslavia; SL-Slavonia, ex Jugoslavia; VK-Velika Krsna,Serbia-ex Jugoslavia; ZR-Zrenjanin, Serbia-ex Jugoslavia; BEBelgrado, Serbia-ex Jugoslavia; KT-Creta, Grecia; CO-Corfù, Grecia; TA-Tanushimaru, Giappone; U. Per le 16 coorti dello Studio dei Sette Paesi abbiamo correlato lo IAM delle diete dei campioni di uomini esaminati all’inizio dello studio con il tasso di mortalità per cardiopatia coronarica al 25° anno di riesame(8). Dalla figura 2 possono essere identificati tre gruppi di coorti: il gruppo delle coorti di destra con il più elevato valore di MAI ed il più basso tasso di mortalità per cardiopatia coronarica che include le quattro coorti mediterranee e le due giapponesi; il gruppo delle coorti di sinistra con il più basso valore del MAI ed il più elevato tasso di mortalità che include le coorti dell’Europa settentrionale e degli Stati Uniti d’America; il gruppo delle coorti di centro che comprende le coorti dell’Europa centrale e dell’Italia settentrionale. Da quanto sin qui esposto si può ritenere che lo Studio dei Sette Paesi (SCS) rappresenta uno dei più importanti studi ecologici in quanto è stato il primo a mostrare una significativa relazione tra abitudini alimentari di popolazioni molto differenti tra loro e la rispettiva incidenza e mortalità per cardiopatia coronarica. E la dieta mediterranea non solo assume un indiscutibile ruolo preventivo della cardiopatia coronarica, ma anche di molte altre malattie cronico degenerative come evidenziato da altri autori. 38 Dieta Mediterranea: parla un pioniere Bibliografia 1) ALBERTI-FIDANZA A, FIDANZA F, CHIUCHIÙ MP, VERDUCCI G, FRUTTINI D. Dietary studies on two rural Italian population groups of the Seven Countries Study. 3. Trend of food and nutrient intake from 1960 to 1991. Eur J Clin Nutr 1999;53:854860. 2) FIDANZA F. LA DIETA DI NICOTERA NEL 1960. Dieta Mediterranea Italiana di Riferimento. In De Lorenzo A, Fidanza F. Dieta Mediterranea Italiana di Riferimento, EMSI, Roma,2006 pp.25-34. 3) KEYS A, FIDANZA F, SCARDI V, BERGAMI G. The trend of serum-cholesterol levels with age. The Lancet, 1952, August 2, p.209. 4) FIDANZA F, FIDANZA-ALBERTI A. Cento anni di storia dei consumi alimentari a Napoli. Quaderni Nutrizione 1971;31:189-219. 5) KEYS A, MENOTTI A, KARVONEN MJ, et al. The diet and 15year death rate in the Seven Countries Study. Am J Epidemiol 1986;124:903-915. 6) FARCHI G, MARIOTTI S, MENOTTI A, FIDANZA F. Diet and 20-y mortality in two rural poplation groups of middle-aged men in Italy. Am J Clin Nutr.1989;50:1095-1103. 7) ALBERTI-FIDANZA A, FIDANZA F. Mediterranean Adequacy Index of Italian diets. Public Health Nutrition 2004;7:937-941. 8) FIDANZA F, ALBERTI A, LANTI M, MENOTTI A. Nutr Metab Cardiovasc Dis 2004;14:254-258. 39 4 Tradizioni alimentari e dieta mediterranea nel mondo antico Pesca, produzione e consumo del pesce e delle relative salse in Magna Grecia ed in Sicilia Fabrizio Mollo Università degli Studi di Messina Tradizioni alimentari e dieta mediterranea nel mondo antico Gli studi di scienze dell’alimentazione, la tradizione letteraria e la documentazione archeologica in Magna Grecia e Sicilia restituiscono un quadro molto particolareggiato della tradizione culinaria e delle abitudini alimentari nel mondo antico in Italia meridionale. Le fonti, ad esempio, non omettono di citare la ricchezza di risorse provenienti da territori fertili come quello di Metaponto e, soprattutto, di Sibari (la pece, il legname, la carne degli allevamenti, soprattutto la caro porcina, per la quale sappiamo che si pagavano alti dazi1) città che era ricordata per la tryphé, la mollezza dei suoi costumi e per l’uso smodato di vino (proveniente addirittura dagli acquedotti alla città)2; a Roma, poi, era proverbiale la produzione su larga scala dei cereali e del grano in Sicilia, vero e proprio granaio dell’urbs3. In Magna Grecia e Sicilia è, dunque, riconoscibile quella che a posteriori definiremmo una tradizione alimentare e culinaria assolutamente di primo piano nel panorama del mondo antico. Alla base di questo sistema c’è ciò che il prof. Cantarelli ha definito il “miracolo alimentare mediterraneo”, il portato di un modello culturale dominante che ha veicolato abitudini ed usi alimentari dalla Magna Grecia e dalla Sicilia in tutte le aree del Mediterraneo, dapprima attraverso la cultura greca e magno-greca, poi attraverso l’espansione del dominio romano4. La dieta mediterranea, quale combinazione di tutti i prodotti vegetali, olio e vino, con pane e modiche quantità di carne e formaggio, in aggiunta al pesce, rappresenta per la Magna Grecia e per la Sicilia uno dei pilastri della propria cultura, essendo tali prodotti consumi compatibili con le capacità di produzione locale5. 1 2 3 4 5 Importanti indicazioni provengono in generale dalla Mostra AA.Vv., L’uomo e gli animali: un rapporto senza tempo, in “Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Soprintendenza Archeologica della Calabria. IV Settimana della Cultura. 15-21 aprile 2002”, R. AGOSTINO (a cura di), Reggio C. 2002. Per quanto riguarda l’uso e l’allevamento nel mondo antico cfr. per tutti F. MASPERO, Bestiario antico. Gli animalisimbolo ed il loro significato nell’immaginario dei popoli antichi, Asti 1997. In generale cfr. E. BEVAN, Representation of Animals in Sanctuaries of Artemis and other olympian Deities, Oxford 1986; A. HOUGHTON, Animals in Archaeology, London 1972, D. KREKOUKIAS, Gli animali nella mitologia popolare degli antichi Greci, Romani, Bizantini, Firenze 1970; J. PRIEUR, Les animaux sacrés dans l’antiquité, art et religion du monde mediterranée, Rennes 1988. S. COLLIN-BOUFFIER, La cuisine des Grecs d’Occident, symbole d’une vie de tryphé?, in Paysage et alimentation dans le mond grec. Les innovations du premier millénaire av. J.C., Pallas, Revue d’études antiques, 52, 2000, pp. 195-208 Per un quadro dell’alimentazione a Roma cfr. A. DOSI, SCHNELL, A tavola coi romani antichi, Roma 1984; AA. VV., L’alimentazione nel mondo antico. I Romani, Roma 1987. F. CANTARELLI, I tempi alimentari del Mediterraneo. Cultura ed economia nella storia alimentare dell’uomo, Milano 2005, passim. R. AGOSTINO-R. SCHENAL PILEGGI (a cura di), Le pratiche alimentari nella Calabria antica. Un percorso archeologico tra quotidianità e ritualità, Catalogo della mostra, Reggio Calabra 20042005. G. RACE, La cucina del mondo classico, Napoli 1999, passim. 43 Tradizioni alimentari e dieta mediterranea nel mondo antico Al centro di quest’alimentazione, che rappresenta a tutti gli effetti la prima affermazione della dieta mediterranea, ci sono due importanti prodotti principali, ovvero l’olio ed il vino, distribuiti in grande abbondanza in tutto il territorio dell’Italia meridionale e della Sicilia, come testimoniano i contenitori per eccellenza deputati alla commercializzazione di essi, ovvero le anfore da trasporto, di produzione campana, calabrese e siciliana. Il primo rappresenta il principale condimento sulla tavola dei Greci, degli Indigeni e dei Romani; il secondo non solo la bevanda per eccellenza del pasto, ma anche il principale attore del rituale del simposio greco e del banchetto, carico delle sue valenze religiose e misteriche ricollegabili al culto di Dioniso-Bacco6. Altro alimento particolarmente apprezzato sulle antiche tavole magno-greche e siceliote è il pesce, prodotto per il quale possediamo ampie attestazioni relativamente alla pesca, al consumo, alla produzione e commercializzazione sia attraverso le fonti letterarie (libri, ricette) sia attraverso le fonti iconografiche (ceramica figurata) sia, soprattutto, attraverso la documentazione archeologica, ricca di testimonianze di contenitori ceramici atti alla preparazione di pasti a base di pesce, di strumenti di pesca e di aree per la sua produzione e lavorazione7. Mosaico con scene di pesca dalla Villa del Casale di Piazza Armerina 6 7 44 M.C. AMOURETTI, Le pain et l’huile dans la Grèce antique. De l’araire au moulin, Paris 1986 ; M.C. AMOURETTI-J.P. BRUN, La production du vin et de l’huile en Méditerranée orientale, Symposium international. Aix-Toulon 1991, B.C. H. Sup XXVI, EFA, 1993, pp. 463-476; M.C. AMOURETTI, La viticulture antique méditerranéenne et ses rapports avec la vinification, in El vi a l’Antiguitat. II colloqui internacional d’arquéologia romana, Badalona 1998, pp. 15-28. In ultimo cfr. F. Mollo, Wine consumption and the symposium ritual in native-Enotrio world: some examples from the gulf of Policastro and Tortora (CS) area, in N. Russo (a cura di), Il vino tra cultura, economia e scienza: Il caso Calabria, “Atti del Convegno di Nocera Terinese (CZ) 30 marzo-1 aprile 2006”, c.s. Per il pesce cfr. soprattutto J. MC PHEE-A.D. TRENDALL, Greek Red-figured Fish-plates, 14. Beiheft AntK, Basel 1987 e A. DONATI-P. PASINI, Pesca e pescatori nell’antichità, 1997. Tradizioni alimentari e dieta mediterranea nel mondo antico La pesca e le attività marinare erano tra le più importanti nel mondo antico e le buone quantità di pesce che ne derivavano erano consumate fresche oppure sottoposte a processi di lavorazione che ne permettevano sia la conservazione sia il trasporto come conserva (tarichos, salsamentum) sia come salsa da condimento (garum, liquamen, allec, muria). Il pesce aveva un ruolo primario nell’alimentazione greca e magnogreca tanto che, per esempio, a Sibari erano esentati dalle tasse i pescatori ed i venditori di anguille; sempre a Sibari si ricordi una tradizione che vuole nel VI sec. a.C. Smindiride di Sibari alla corte del tiranno di Sicione Clistene con circa mille cuochi al seguito: si tratta sicuramente di un topos letterario, legato alla fama di Sibari come realtà opulenta e smodata ma che, comunque, conferma l’esistenza di una tradizione culinaria molto forte nell’antica Calabria, sebbene legata alla tradizionale mollezza della città fondata soprattutto sulla quantità e sulla sofisticatezza dei cibi consumati, piuttosto che sulla qualità dei prodotti8. La particolarità di tale notizia sta nel fatto che Smindiride pare avesse portato con sé anche bravi pescatori, specializzati nella pesca marina e fluviale. La pesca veniva condotta con sistemi abbastanza semplici e tradizionali, non dissimile da quelli della tradizione odierna: quello più comune era sicuramente quello con ami innescati, come sembrerebbe dimostrare il rinvenimento consueto nei contesti archeologici costieri di ami da pesca in grandi quantità; si usavano anche le reti, in genere fatte con fibre vegetali (lino), intrecciate a costituire un unico panno di rete rettangolare (la sagena), appesantito in basso da numerosi pesi fittili di forma circolare, sino a toccare il fondo o anche disposti a mezz’acqua. Per la cattura dei pesci di taglia media si usavano arpioni e tridenti; nella pesca del pesce spada si poneva una rete in mare a formare un semicerchio e si colpivano i pesci a colpi di arpione. Il pesce siciliano, soprattutto, era molto apprezzato sulle mense antiche9. Molto prelibate erano le murene di Capo Peloro, il gamberone imperiale di Catania, le conchiglie di Tindari e del Peloro, le sardelle di Lipari e, soprattutto, il pesce spada ed il tonno10. 8 9 10 S. COLLIN-BOUFFIER, La cuisine des Grecs d’Occident, symbole d’une vie de tryphé?, in Paysage et alimentation dans le mond grec. Les innovations du premier millénaire av. J.C., Pallas, Revue d’études antiques, 52, 2000, pp. 195-208, in ptc. p. 198. Si cfr. Archestrato, Hedypatheia, passim; Epicarmo, Comicorum Graecorum Fragmenta, citato, in Ath., Deipnosophistae, XIII, 518. G. PURPURA, Pesca e stabilimenti antichi per la lavorazione del pesce in Sicilia: S. Vito (Trapani), Cala Minnola (Levanzo), in Sicilia Archeologica XV, 1982, 48, pp. 45-60, con tutte le attestazioni dalle fonti antiche. 45 Tradizioni alimentari e dieta mediterranea nel mondo antico Per questi ultimi, in particolare, disponiamo di una fonte, Eliano11, che ci parla sia della pesca sia dell’utilizzo di apposite tonnare12. Altre fonti antiche, in particolare Ateneo, ci forniscono notizie sull’esistenza di tali tonnare a Pachino e, soprattutto, lungo la costa nordoccidentale, in particolare a Tindari, Cefalù e Cetaria (S. Vito lo Capo?13), oltre che a Solunto, come le monete ivi coniate nel V sec. a.C. ci testimoniano abbastanza chiaramente14. Particolarmente interessanti risultano essere proprio la conservazione e la salagione del tonno, distinte per il grado della salatura, le modalità di presentazione e per l’utilizzo di diverse parti del pesce stesso. Il salato, ad esempio, poteva essere consumato così come era, oppure dissalato in acqua dolce o di mare, conservato in fette, a pezzi triangolari, quadrangolari o cubici15. Di un certo interesse anche la cattura del tonno, descritta dalle fonti16, che avveniva in vari modi e soprattutto con l’avvistamento a terra da parte di vedette issate su posti di guardia; i tonni, stretti in grandi reti oppure dalle barche affiancate, venivano uccisi con fiocina e bastone e trascinati sulle imbarcazioni sino a riva17. Il pescato in genere veniva venduto direttamente al mercato ed ai banchi, come ci ricorda la splendida iconografia del cratere del Museo Mandralisca di Cefalù, proveniente dalla necropoli di Lipari, oppure veniva allevato nelle peschiere per essere poi appositamente lavorato, soprattutto nel Cratere periodo romano. a figure rosse. Gli impianti per la lavorazione del pesce Cefalù-Museo Mandralisca e per la conservazione delle eccedenze più 11 12 13 14 15 16 17 46 Strab., Geographia, I, 2, 24. Eliano, De natura animalium, XV, 5 6; Ath., Deipnosophistae, V, 44. G. PURPURA, Pesca e stabilimenti antichi per la lavorazione del pesce in Sicilia: S. Vito (Trapani), Cala Minnola (Levanzo), in Sicilia Archeologica XV, 1982, 48, pp. 45-60. G. PURPURA, Pesca e stabilimenti antichi per la lavorazione del pesce in Sicilia: S. Vito (Trapani), Cala Minnola (Levanzo), in Sicilia Archeologica XV, 1982, 48, pp. 45-60. I filetti di tonno salati e seccati erano detti da Pl. (Naturalis Historia, IX, 48) melàndrya. Arist., De Animalium Historia, VIII, 12ss.; Esch., Persiane, 424; Eliano, De natura animalium, IX, 42; XV, 5; Fil., Imagines, I, 12; Op., Halieutica, IV, 504ss. La descrizione sembra essere molto simile a quella della moderna mattanza, con reti fisse e percorsi obbligati verso la « camera della morte ». Tradizioni alimentari e dieta mediterranea nel mondo antico semplici prevedevano una serie di vasche disposte su di un unico allineamento, ma a quote diverse, con una serie di accorgimenti tecnici (tagli e cavi per paratie e setti murari) atti a creare vivai per l’allevamento di pesci e per produrre salse e conserve di pesce stesso. Il lusso e l’avidità dei guadagni furono alla base del grande interesse che gli aristocratici mostrarono per il commercio del pesce, le cui peschiere, sul litorale laziale, nel golfo di Napoli e sulle coste della Penisola Iberica rappresentavano monumenti veramente esclusivi18. Si tratta di impianti intesi in genere come una manifestazione di lusso smodato, molto costoso ed alla moda, condiviso da pochi privilegiati appartenenti alle classi superiori. L’investimento rendeva tanto bene che, per fare qualche esempio, la famiglia dei Licinii aveva al suo interno membri che si fregiavano del soprannome “Murena” dal nome del pesce carnivoro; dalla pregiata orata prendeva nome Sergio Orata, il primo ad intraprendere la mitilicultura nel lago di Lucrino, nei pressi di Baia: di esso scrissero Varrone19, Valerio Massimo20, Plinio il Vecchio21, Columella22 e Macrobio23; peschiere avevano anche l’oratore Licinio Crasso e Lucio e Marco Lucullo, soprattutto di murene, ingrassate con pesce pescato in mare aperto o, in alcuni casi, dando loro in pasto gli schiavi ribelli o disobbedienti24. Per i vivai di Roma si facevano venire murene fin dallo Stretto di Messina e dalla Spagna; quelle che provenivano da Reggio e Messina erano chiamate plotai dai Greci e flutae dai Latini perché, nuotando in superficie, erano arse dal sole e non riuscivano ad incurvarsi per immergersi in profondità e, per questo motivo, più facilmente catturate. In Sicilia, addirittura, le murene si prendevano con le mani, perché erano tanto grosse che galleggiavano25. Asinio Celere, console suffectus nel 38 d.C., acquistò una triglia per il prezzo di settemila sesterzi26. Le triglie erano tra i pesci più ricercati e 18 19 20 21 22 23 24 25 26 X. LOFON, Piscinae et pisciculture dans le bassin occidental de la Méditerranée, JRA, 11, 1998, pp. 573-582. Varr., De re rustica, 1, 3. Val. Mass., Factorum et dictorum memorabilium libri, IX, 1, 1. Pl., Naturalis Historia, IX, 79. Col., De Re Rustica libri XII, VIII, 16, 5. Macr., Conviviorum primi diei Saturnaliorum libri VII, III, 15, 1. Sen., De ira, III, 40, 2; Id., De clementia, I, 18, 2; Pl., Naturalis Historia, IX, 23, 39. Pap., Logistoricon, fr. 55 Bolisani. Pl., Naturalis Historia, IX, 67. 47 Tradizioni alimentari e dieta mediterranea nel mondo antico rinomati, celebrate dal racconto di Plinio il Vecchio al pari della terribile murena e dei principali pesci, tra cui quelli senza lisca, le seppie ed i calamari, i polipi. Il IX libro della Naturalis Historia di Plinio il Vecchio è dedicato proprio ai pesci, tonni (18), sgombri (19), lo scaro (29), le triglie ed il sarago (30), murene (39), molluschi (44), seppie, calamari, polipi (4548), crostacei (50-52), aragoste (50), una delle regine dell’universo alimentare, cucinata con una moltitudine di ricette, accanto ai frutti di mare. Mosaico in opus vermiculatum con pesci. Pompei-Casa del Fauno Il liberto Giulio Optato, comandante della flotta di Miseno sotto Claudio nel 52 d.C., introdusse il pesce scaro dalle coste dell’Egeo, a mezzo di vivai artificiali allestiti sulle triremi27 e disseminando il novellame lungo la costa tra Ostia e Miseno, vietandone per cinque anni la pesca. Tale pesce risultava particolarmente indicato per la preparazione del garum. La maggior parte delle peschiere veniva costruita nelle ville marine, ma nelle ville di campagna, a Pompei ad esempio, non mancavano piccole vasche dove si allevavano aragoste ed altri pesci pregiati. Il pesce da alimento popolare conquistò col tempo i palati più raffi27 48 Pl., Naturalis Historia, IX, 62. Tradizioni alimentari e dieta mediterranea nel mondo antico nati nel mondo greco, magno-greco e romano, diventando prodotto prelibato, da gustare più che da mangiare. E sul consumo del pesce abbiamo numerosi dati iconografici oltre che tante fonti letterarie. Molta apprezzata, tra ques’ultime, l’opera di Archestrato di Gela, che già nel IV sec. a.C. scrisse un trattato in esametri, l’Hedypatheia, ovvero il piacere del gusto. Il libro disserta sul pesce, ne illustra qualità e modi di preparazione, con particolare attenzione a crostacei, molluschi e pesci molto rinomati, ed ai mercati dove si poteva comprare tale pesce. Le ricette utilizzano come condimento il formaggio, di capra o di pecora, caldo e filante, da mettere sul pesce arrosto. Una fonte altrettanto antica, quale quella di Ateneo di Naucrati, ci fa apprezzare il consumo del pesce, con particolare attenzione proprio alla Sicilia28. Particolarmente rinomato il tonno, il cui consumo è molto diffuso in Sicilia29 e le cui conserve magno-greche e siceliote erano conosciute e rinomate: Ath., Deipnosophistae, 34 (…) Nella sacra e magnifica Samo vedrai pescare il tonno, quello di grandi dimensioni, che chiamano qui Orcino (orkys) mentre altri lo chiamano Ceto (Ketos). A qualunque prezzo compralo subito…Lo trovi in esemplari ottimi anche a Bisanzio e Caristo; ma nella gloriosa isola di Sicilia, trovi tonni superiori a questi. Difatti i tonni, che nutrono la costa di Cefalù e Tindari sono tra i migliori. Se però un giorno ti recherai a Ippona (Vibo Valentia), città illustre d’Italia, presso i Bruttii, circondati dalle acque, ne troverai i migliori, né vi sono altri che possono contendere loro la palma del primato. Quelli che arrivano dalle nostra parti si sono smarriti provenendo da questo paese, dopo aver superato lunghe distanze attraverso mari profondi e tempestosi. Li catturiamo così quando non sono più buoni, perché ci vengono tutti fuori stagione. Del tonno è molto apprezzato l’ipogastro o basso ventre… 28 29 Ath., Deipnosophistae. Tra le altre cfr. anche Her., Historiae, I, 2, 62. 49 Mosaico in opus vermiculatum con pesci. Pompei-Casa del Fauno Di un certo interesse anche Ath., Deipnosophistae, 3, frr. 116 f-117 a che riporta menzione specifica della salagione e dell’immissione in appositi contenitori dei tonni, forse le anfore Dressel 21/22, come dimostrato per l’impianto produttivo di Alcamo M.na. Particolarmente interessante anche la notizia relativa alle anguille, molto conosciute, soprattutto quelle dello Stretto: Ath., Deipnosophistae, 8 (…) Lodo ogni tipo di anguille, ma quelle che si prendono a Reggio, nello stretto di mare, sono tutt’altra cosa. Tu, messinese, sei avvantaggiato nei confronti degli altri mortali, perché puoi mangiare di questo cibo soave. (…) Ottimamente le anguille si possono cuocere, e mangiare, dentro foglie di bietola bianca. Lo Stretto di Scilla vede e nutre nelle sue acque, che bagnano l’Italia boschiva, il latos. Questo pesce è presente anche nel Nilo. O ancora l’astaco: Ath., Deipnosophistae, 24 Si fa un gran parlare, tra gli sciocchi, dell’astaco per proporlo al confronto con l’aragosta. È tutto un discorso diverso. (…). Compra l’astaco dalle mani lunghe, che son tentacoli pesanti, e i piedi invece minuscoli per muoversi lentamente a terra. Il maggior numero e i migliori di questi pesci si trovano a Lipari, molti si pescano anche nell’Ellesponto. Soprattutto il pesce azzurro diventò la base del garum, salsa usata al posto del sale, costosissima e non facile a reperirsi. La salsa era composta da pesci piccoli, non eviscerati, aringhe, sgombri a pezzetti, ricciole, pesce azzurro (soprattutto spatole), completi di interiora e teste. Si aggiungevano erbe aromatiche (condimenta) e sale in quantità pari alla metà del pesce. Tale proporzione evitava il deperimento del pesce durante il processo di fermentazione. Il liquido che ne derivava si raccoglieva in fondo alle vasche man mano che si depositava e serviva a condire le pietanze, a insaporire e a comporre ricette. Fu introdotto dai Greci, ma soltanto con i romani, in Spagna ed in Italia divenne famoso: la muria di Malaga ed il garum hispanuum, delicia deliciarum, soprattutto quello di Cartagena. 50 Mosaico in opus vermiculatum con pesci. Pompei-Casa del Fauno Quello spagnolo nasceva con l’aggiunta del tonno (aimàtion), pesce rosso, e con l’aggiunta di numerose spezie, prodotto dalle genti cartaginesi e spagnole anche in epoca tarda, quando venivano usati soprattutto contenitori, anfore, di produzione africana. In Italia molto spesso il garum arrivava grezzo e veniva poi lavorato in appositi stabilimenti, dove veniva inscatolato ed imbottigliato30. Apicio lo usava al posto del sale e lo dolcificava con il miele, oppure lo inaspriva con aceto, lo arricchiva di erbe finissime a condire la cacciagione. Si poteva usare anche per lenire le bruciature, come depurativo e disintossicante, curativo di otite, artrite e dolori muscolari. Il liquamen era il fiore del garum, ottenuto facendo filtrare il liquido attraverso un panno di canapa e lino. L’allec era il rimasuglio del garum, imperfetto e non filtrato, un intruglio di pesci residuati dopo la macerazione e la scolatura. Esso veniva usato in cucina anche se il sapore era sciapito ed il valore mediocre. Volgare leggenda che il garum fosse una poltiglia di pesci deteriorati, in realtà era un eccellente intingolo, con ingredienti altamente proteici e con grande contenuto di omega-3. Esso veniva conservato nelle anfore, sigillate e chiuse da tappi di sughero e pece a riempire gli interstizi. Ad Apicio si devono numerose altre ricette di pesce: innanzi tutto l’utilizzo del garum e la creazione di polpette di mare fatte con gamberi, gamberoni, calamari e granchi, fritture di triglie, sogliole, dentici ed orate, tortini di acciughe, aragoste arrosto e lesse, seppie e calamari farciti ed in tegame, polipi in tegame, ostriche, conchiglie, ricci di mare, datteri, salse 30 Per il garum e le salse di pesce cfr. MONOD, GRIMAL, Sûr la veritable nature du garum, REA 54, 1952, pp. 27ss.; BALIF, Un estudio sovre el garum, AEA 26, 1953, pp. 183ss.; C. JARDIN, Garum et sauces de poisson de l’antiquitè, Rivista di Studi Liguri, 1-4, 1961, pp. 70-96 ; M. PONSICH, Garum et industries antiques de salaisons dans la Méditerranée Occidentale, Paris 1965; A. FOUCHER, Note sûr l’industrie et le commerce des salsamenta et garum, Actes du 93e Congrès National des societès savantes. Tours 1968, Paris 1970, pp. 17ss.; R. ETIENNE, A propos du «garum sociorum», Latomus 29, 1970, pp. 297ss.; M. PONSICH, Aceite de oliva y salazones de pescado. Factores geo-econòmicos de Betica y Tingitania, Madrid 1988 ; J.C. EDMONDSON, Le garum en Lusitanie urbaine et rurale: hiérarchies de demande et de production, in Les villes in Lusitanie romaine, Paris CNRS 1990, pp. 123-147; J. MARTINEZ MANGATO, Las tecnicas de pesca an la Antiguedad y su implicacion economica en al abastecimiento de las industrias de salazon, Cursos de Prehistoria y Aqueologia Universidad Autonoma de Madrid 19, 1992 ; P. TROUSSET, La pêche et ses techniques sur les cotês de l’Afrique, in Méditerranée Antique. Pêche, navigation, commerce, Congrès national des sociétés historiques et scientifiques, Paris, CTHS, 1998. Per alcune riflessioni sulla pesca nell’antichità nel Mediterraneo ed in particolare in Calabria cfr. L. DE ROSE, I tesori del mare. L’arte alieutica nel Mediterraneo antico, in G.P. GIVIGLIANO (a cura di), In Calabria…Riflessi di una storia “minore” al centro del Mediterraneo, Napoli 2006, pp. 39-68. 51 Mosaico in opus vermiculatum con pesci. Pompei-Casa del Fauno per pesci lessati ed arrosto di vario genere, tra cui triglie, murene, palamiti, pesci persico31. Per concludere questa carrellata, sembra interessante segnalare un altro aspetto della cultura relativa al consumo del pesce, quello che emerge osservando l’iconografia delle ceramiche figurate, ovvero tutta la tradizione relativa alle rappresentazioni di pesci sui tipici piatti da portata per il consumo di produzione greca ed italica, siceliota, lucana, apula e paestana32. Si tratta di una produzione molto diffusa in ambito magnogreco, soprattutto lungo il versante costiero tirrenico, attestata prevalentemente in contesto funerario e legata inscindibilmente al consumo del pesce. I piatti da pesce presentano una tipica forma con orlo ricurvo ed incavoomphalos per contenere il condimento al centro della vasca; nel mondo greco sicuramente hanno una lunga tradizione, presenti in Attica già alla fine del V sec. a.C. Gli studi di Trendall e Mc Phee hanno evidenziato una larga diffusione di questo manufatto anche nella Magna Grecia e nella Sicilia, già nel corso del IV sec. a.C., secondo una linea di produzione che imita strettamente i prodotti attici, che sarebbe iniziata in Sicilia e poi si sarebbe diffusa in Campania, a Paestum, in particolare con le officine di Asteas e Python, ed in Puglia. Questa particolare classe di manufatti tende a rappresentare i pesci maggiormente presenti sulle tavole magno-greche e siciliane tra IV e III sec. a.C.: in particolare saraghi, triglie, sogliole, polipi, seppie, orate, dentici, cernie, spigole, ombrine, scorfani e pesci di scoglio, come si può vedere sia per il cosiddetto Gruppo di Morgantina sia per l’Agrigento Pyxis Group, i due principali ateliers produttivi della Sicilia33. 31 32 33 52 Per quanto concerne l’opera di Apicio cfr. APICIO, L’arte culinaria, G. CORAZZALI (a cura di), Bompiani, Milano; APICIO, De re coquinaria, C. VESCO (a cura di), Scipioni, Roma; APICIO, La cucina dell’antica Roma, C. VESCO (a cura di), Newton 1994. Per la tradizione iconografica relativa al pesce nel mondo antico cfr. J. MC PHEE-A.D. TRENDALL, Greek Red-figured Fish-plates, 14. Beiheft AntK, Basel 1987; A. D. TRENDALL, Fish-plates and Other South Italian Vases in private Collections in Sorengo e Curiglia (Ticino), NAC, 17, 1988, pp. 141-157; N. KUNISCH, Griechische Fishteller. Natur und Bild, Berlin 1989; J. MC PHEE-A.D. TRENDALL, Addenda to greek Red-figured Fish-plates, in Antike Kunts 33, 1990, fieft I, pp. 31-51; A. D. TRENDALL, New South Italian Fish-plates in Sorengo e Curiglia (Ticino), NAC, 21, 1992, pp. 105-109; L. BERNABÒ BREA-M. CAVALIER, La ceramica figurata della Sicilia e della Magna Grecia nella Lipàra del IV sec. a.C., Milano-Muggiò 1997; C. ZINDEL, Meeresleben und Jenseitsfhart. Die fischteller der sammlung Florence Gottet, Zürich 1998. Per i pesci e le relative specie cfr. A. DAVIDSON, Mediterranean Seafood, 1972 e J. DELORME-C. ROUX, Guide illustré de la faune aquatique dans l’art grec, Mosaico in opus vermiculatum con pesci. Pompei-Casa del Fauno Si tratta, anche in questo caso, di una rappresentazione artistica e di gusto pittorico che rappresenta la vera identità culturale delle popolazioni magno-greche e siceliote, legate al consumo del pesce ed alla tradizione alimentare della dieta mediterranea. Piatti da pesce di produzione siceliota 53 5 Sicilia e dieta mediterranea Fausto Cantarelli Ordinario di economia agroalimentare nell’Università di Parma Presidente dell’Accademia Alimentare Italiana e Presidente della Società Italiana di Scienze Alimentari e Gastronomiche Sicilia e dieta mediterranea 1. Premessa Il biologo americano Ancel Keys mezzo secolo fa ha offerto nuove opportunità alla Sicilia e al territorio della Magna Grecia, dichiarando, dopo lunghe ricerche, che questi territori hanno costituito il supporto ideale della vita dell’uomo e lo hanno reso migliore, una sorta di paradiso terrestre a garanzia della sua salute e della sua longevità; a seguito di questa constatazione è sorto, nella primavera dell’anno scorso, in accordo con la Regione Calabria l’“Istituto Nazionale per la Dieta Mediterranea” con sede a Reggio Calabria, che, per iniziativa del Coreras, oggi presentiamo in questa sede prestigiosa. I primordi del fenomeno risalgono a ottomila anni fa circa, quando, per la prima volta, in Sicilia sono stati moltiplicati i semi e si sono riprodotti gli animali, appena arrivati dal Medio Oriente (Mezzaluna Fertile), dove erano stati domesticati da duemila anni circa. Queste materie prime alimentari, nuove per l’Occidente (tranne quelle del maiale), sono entrate in produzione e nel consumo in Sicilia, dove vivevano gli Elimi d’origine Troiana, i Sicani di stirpe ligure e i Siculi arrivati dalla Penisola e dove hanno dato corpo a quella che lo stesso Ancel Keys, molto più tardi, ha definito “dieta mediterranea”, la nuova espressione territoriale delle abitudini alimentari dell’isola, in sostituzione delle risorse cacciate, pescate e raccolte in precedenza. Essere stata la prima destinataria, insieme alla Calabria, di vegetali e animali di origine medio-orientale e averli potuti inserire nei primi processi agricolo-zootecnici hanno costituito due opportunità straordinarie per l’isola e i suoi abitanti tanto da provocare una forte spinta qualitativa che ha fatto arrivare gli alimenti e la cucina locale, attorno al IV secolo a.C. ai vertici della qualità nel mondo allora conosciuto e tale sarebbe rimasta se la potenza di Roma non avesse tarpato le ali al sogno siciliano, al termine della seconda guerra punica, riducendo l’isola a propria provincia. La seconda occasione straordinaria, vissuta dall’isola e dai suoi abitanti, è l’arrivo dei Greci, che, non essendo in grado di coprire il fabbisogno alimentare, aumentato a seguito dei successi artistico-culturali, ha lasciato che ciò avvenisse senza potere contare su possibili aumenti di offerta interna, ma riferendosi a maggiori importazioni. Sono state le favorevoli condizioni ambientali dell’isola più grande del Mediterraneo, naturale spartiacque da quando l’uomo ha cominciato 57 Sicilia e dieta mediterranea a navigare, a fare distribuire i suoi alimenti sui litorali del bacino, avendo potenziato molto presto la produttività primaria dell’isola con il favore del clima e delle specificità del territorio, indipendentemente dalla domanda locale. L’osservazione è valida tanto per le produzioni vegetali quanto per quelle di origine animale che, in Sicilia, provenivano da luoghi diversi, dall’incolto la prima e dalle aree più fertili la seconda, ritrovandosi poi a fare parte insieme del ricco patrimonio di alimenti di qualità, che ancora oggi è presente in gran parte dell’isola, dove sta cercando una corretta valorizzazione commerciale di cui non ha mai beneficiato in passato. 2. I l c o nt e st o Nella Sicilia e nella Magna Grecia si trova ancora oggi questo ricco patrimonio di antiche ricchezze e di antiche culture che oggi stanno tornando in auge per la fortuna di questo territorio. Mai c’è stata tanta certezza nel mondo come in questo periodo. Il momento è certamente favorevole. Nonostante che il problema alimentare non sia esclusivo né prevalente, almeno in questa parte del mondo, i consumi stanno invertendo le tendenze degli ultimi due secoli, sia pure con diversa intensità nei diversi luoghi; a Seattle, si sono verificate le ultime reazioni dei consumatori rivolte a rivalutare, tra l’altro, anche le antiche tradizioni alimentari di stampo locale e a rifiutare gli alimenti standardizzati dei grandi gruppi internazionali che difettano di sapore, di odore, di colore. La conferma più evidente del nuovo atteggiamento è riscontrabile negli alimenti tipici che non sono mai stati tanto in auge come oggi, nonostante che qualche decennio prima gran parte degli economisti ne avessero decretato la scomparsa per l’incapacità di competere in un mercato tendente alla globalizzazione. La mancanza di prospettive dipendeva essenzialmente dal basso volume di offerta di questi prodotti che, non consentendo di sostenere gli oneri della comunicazione, portava gli alimenti al mercato senza che avessero le carte in regola per potersi assicurare la preferenza dei consumatori. Gli obiettivi perseguiti nell’Ottocento e nel Novecento sono stati quantitativi e hanno rinunciato alla qualità in favore della domanda proveniente da una popolazione in forte aumento (5,5 miliardi l’aumento dei consumatori in due secoli). 58 Sicilia e dieta mediterranea Oggi le cose sono cambiate; le variazioni non erano previste da parte dell’uomo il quale ha rinunciato a seguire la strada percorsa negli ultimi due secoli perché non gli garantiva né la salute né la gioia di vivere, ma solo il profitto. Da questa insoddisfazione al recupero delle tradizioni e della cultura alimentari il passo è stato breve; così facendo si sono recuperate le antiche scelte, quelle che erano state suggerite dall’istinto e che la cultura accumulata successivamente dall’uomo aveva ampiamente confermato e valorizzato. È stato l’istinto, in particolare quello delle donne, a selezionare le piante da coltivare, i frutti da consumare e gli animali da allevare, riscontrandone gli effetti benefici sugli uomini e sulla salute dei figli. Quando è subentrata la razionalità, è stata utile per introdurre nuovi arrivi, compresi i prodotti giunti in Europa dopo la scoperta dell’America, come il pomodoro, la patata, il mais e tanti altri, il cui uso non ha però sovvertito le abitudini precedenti, ma le ha solo integrate, mantenendo il carattere fondamentale della “dieta mediterranea” che è quello di rispettare i principi originari dell’uomo biologico, riservandogli prodotti prevalentemente vegetali, l’olio vergine di oliva e il vino. Questi consumi nell’area mediterranea si sono imposti spontaneamente e oggi trovano aperte molte altre strade verso il resto del mondo. La novità di allora, oggi ampiamente riconosciuta, ha riportato a galla la storia alimentare dell’uomo, mettendone in luce la culla più antica e le scelte più significative che si trovano in Sicilia, in Grecia e nella Magna Grecia, dove sono state fatte le prime scelte sulla base dei nuovi vegetali e dei prodotti di origine animale importati dalla Mezzaluna Fertile ed elaborati in loco, dove sono stati ricavati i primi prodotti tipici, con lo scopo di rendere conservabili alimenti facilmente deperibili. Gli stessi consumi, sia pure integrati con i nuovi alimenti come gli agrumi e quelli arrivati dopo la scoperta dell’America, sono presenti tuttora nell’area mediterranea e, in parte, anche in aree celtiche, che sono state invase dall’olio vergine d’oliva, dai prodotti ortofrutticoli e dal vino; questi prodotti hanno invaso la Pianura Padana e sono andati anche oltre (la vite è arrivata fino alla valle del Reno, modificando anche i consumi di popolazioni non mediterranee; idem per l’olio vergine di oliva). La recente riscoperta della cultura e delle tradizioni antiche ci ha suggerito il termine di “Umanesimo di ritorno”, con il quale, senza scomodare i corsi e i ricorsi storici di Gian Battista Vico, abbiano ritenuto che l’uomo fosse stato rimesso al centro del mondo, rivalutandone il ruolo e l’in59 Sicilia e dieta mediterranea telligenza; ne è conseguenza diretta la riscoperta di un sistema storico-culturale antico, fatto di piccole imprese, che sta dimostrando di essere una risorsa di grande portata, essendo coerente con la qualità alimentare. La piccola impresa ha i requisiti per essere riproposta, in contrapposizione alla grande, per l’elasticità di gestione e la più alta qualità nei prodotti, che è la vera forza che garantisce la continuità produttiva. Tutt’altra è la realtà della grande impresa internazionale, la cui produzione è standardizzata e la gestione molto più rigida Nello scenario sommariamente descritto, si stanno verificando dei fenomeni straordinari, il più importante dei quali consiste nella stagnazione della domanda che si è verificata da alcuni anni nei paesi ad economia avanzata, quali gli Usa e l’Europa centrosettentrionale. Le cause vanno ricercate nella caduta del tasso di aumento della popolazione, che non è stato compensato dal prolungamento dell’età degli anziani i quali, come è noto, incidono poco sulla domanda. Il fenomeno anticipa l’inizio della regressione della popolazione che è prevista nel 2010 per l’Italia e nel 2050 per il mondo. Il fenomeno è in netta contrapposizione con le tendenze degli ultimi due secoli da noi già citate, per cui lo slancio economico che aveva caratterizzato quel periodo è destinato a soccombere e a trasformarsi in ulteriore flessione di domanda che metterà in difficoltà specialmente le grandi imprese per i motivi indicati. Vi sono altri ostacoli da considerare come la forte competitività del sud-est asiatico, il cui costo del lavoro è circa un venticinquesimo di quello italiano. Un altro fenomeno ormai consolidato nel mondo, che può essere molto utile per l’economia del Paese, è l’espansione accelerata del turismo internazionale. Tutte queste opportunità rientrano nel marketing territoriale, il cui riferimento fondamentale sta nella specificità di queste terre rispetto a quelle di altre aree; in campo alimentare è specifica la cosiddetta “dieta mediterranea”, intesa anche sommariamente come preminente consumo di prodotti vegetali e uso esclusivo di olio vergine di oliva come condimento, in contrapposizione alla cosiddetta “dieta celtica” che utilizza prevalentemente prodotti di origine animale e il burro come condimento. Sono note altre differenze, non altrettanto importanti e significative. Questo principio esclude il rilievo, che è stato avanzato più volte da più parti circa l’esistenza di più “diete mediterranee”, specifiche per singoli territori (spagnola, cretese, cipriota ecc.). 60 Sicilia e dieta mediterranea 3. I prodromi del sistema agroalimentare siciliano La Sicilia oggi si distingue, all’interno del bacino del Mediterraneo, per la varietà dei microambienti, per le risorse biogenetiche, per la qualità organolettica degli alimenti e per le specificità produttive, espressioni di una biodiversità che raramente trova riscontro altrove; oggi, inoltre, cominciano ad apparire le prime forme di collaborazione tra uomini e tra imprese e a sorgere nuove società di giovani che entrano nel comparto alimentare per realizzare momenti di concertazione e concentrazione orizzontale e verticale dell’offerta con effetti positivi che potranno tradursi nella valorizzazione dell’immagine dell’isola e nell’aumento dei profitti dei produttori. In queste condizioni, è il territorio ad avere bisogno di maggiore progettualità e di mostrare una particolare sensibilità per i temi alimentari emergenti e fornire agli operatori degli strumenti idonei al loro progredire. Con la rivalutazione della qualità, il territorio può beneficiare, in prospettiva, di ricadute di valore aggiunto e di occupazione in quello che è da considerare il primo giacimento alimentare per importanza del Belpaese con produzioni in parte esclusive e in parte comuni ad altri territori, ottenute con la sapienza della tradizione locale e con la modernità dei nuovi operatori. Il mosaico produttivo costituisce, inoltre, uno straordinario elemento di attrazione, come il laboratorio che ha saputo dare un ruolo preminente alla cultura alimentare locale, migliorando prodotti e immagine del luogo che li produce. Non dimentichiamo che la Sicilia è depositaria di grandi valori storici, che accreditano una particolare immagine di cui è testimone la tradizione popolare che da anni sta aspettando di essere meglio conosciuta e più apprezzata. Quando, nell’VIII secolo a.C., è cominciato il massiccio arrivo dei Greci, già allora hanno trovato che l’agricoltura e la pastorizia prospere per opera specialmente di Sicani e Siculi1. La coltivazione più importante, quasi un simbolo per l’isola, è sempre stata quella del grano la cui qualità, in Sicilia, riceveva riconoscimenti da diversi luoghi tanto che i Greci e i Romani non hanno commesso errori, quando hanno confermato la valenza di questa produzione locale. Lo scenario siciliano, in quel periodo, oltre 1 I nomi delle due popolazioni derivano da “sica” e “sicula” che indicano rispettivamente la falce e il mietitore. 61 Sicilia e dieta mediterranea al grano si completava con pendici boscose e coste ricoperte da ulivi, viti e mandorli; le colture ortive erano ancora limitate. I coloni greci, che erano molto attivi, hanno finito con il fondere la propria civiltà con quella dell’isola, dando origine a una terza civiltà, molto avanzata, divenuta ben presto il punto di riferimento per tutti i popoli del Mediterraneo. Altro imponente contributo è venuto più tardi dagli Arabi, la cui civiltà era molto avanti, i quali hanno perfezionato le tecniche agrarie in diversi comparti produttivi, specie occupandosi di irrigazione, facendo rifiorire l’economia dell’isola grazie anche all’intensificarsi delle attività commerciali. Altro ruolo importante lo hanno avuto la coltivazione del banano, del riso, del lino, della canna da zucchero e del cotone. Con l’arrivo dei Normanni, più tardi, l’agricoltura ha vissuto, invece, un momento involutivo con l’estensivazione delle coltivazioni in contrasto con l’intensità produttiva precedente; il nuovo sistema ha finito con ridurre la superficie delle colture arboree e degli ortaggi con forti ripercussioni sull’occupazione e sui redditi locali. Il contesto attuale, alla fine del secondo millennio, prevede che le produzioni tipiche, anche quelle cosiddette di nicchia, alcune delle quali già riconosciute dall’Ue con la Dop e l’Igp (Pecorino Siciliano, Ragusano, vari Oli extravergine di oliva, Arancia Rossa, Cappero di Pantelleria, Ficodindia dell’Etna, Pomodoro di pachino, Uva da tavola di Canicattì e di Mazzarrone) ed altre in attesa di riconoscimento, rappresentino il punto di forza su cui costruire un nuovo sistema, qualificandolo con la certificazione di qualità in ogni fase della produzione e trasformazione delle materie prime. Negli ultimi due secoli, l’Ottocento e il Novecento, la maggiore preoccupazione dell’uomo è stata rivolta ovunque al massimo profitto, approfittando della caduta del rischio economico delle imprese e anche della sottovalutazione dell’etica; oggi, nel tentativo di rimettere un po’ d’ordine, preferiamo fare riferimento alle nuove politiche agroalimentari, alimentari e ambientali anziché affidarci alla vecchia politica agraria, che ha qualche responsabilità nell’avere provocato le preesistenti forzature produttive, che la società umana sembra essere finalmente sul punto di abbandonare per puntare sul benessere in senso lato, attraverso la sicurezza alimentare, la maggiore longevità della gente e il recupero dei valori etici. 62 Sicilia e dieta mediterranea Nei tempi più recenti sono ricomparsi, come altrettante rivelazioni, il rischio economico delle imprese e la nuova apertura alla storia e alla cultura; anche le agricolture integrate, biologiche, biodinamiche ecc. sono state ampiamente rivalutate con un primo recupero della salubrità degli alimenti, con la riduzione delle contaminazioni del cibo e dell’ambiente, con la rinuncia a furbizie e inganni e, infine, con il ripristino di situazioni molto simili a quelle storiche. Quanto alla produzione alimentare, nell’ultimo dopo guerra, ha aumentato i mezzi tecnici di sintesi chimica, gli interventi genetici per migliorare la produttività e i pesticidi per consentire agli alimenti di sfamare l’intera popolazione; tutto questo ha portato a un peggioramento della situazione ambientale, provocato anche e specialmente dalla selezione dei ceppi delle specie patogene che, aumentando la resistenza ai pesticidi, hanno avuto bisogno di dosi crescenti di antiparassitari sempre più potenti e dannosi. Durante gli ultimi due secoli di caccia ostinata al profitto, i sistemi alimentari e ambientali hanno rischiato il tracollo, come si deduce dalla lettura del Millenium Ecosystem Assesment, una sorta di documento con l’imponente monitoraggio dell’ecosistema, svolto tra il 2001 e il 2005 da 1.365 tra scienziati ed esperti per conto dell’Onu. L’enorme lavoro, presentato nelle principali capitali del mondo nel marzo del 2005, fa pensare a una sorta di tardivo ravvedimento dell’umanità che, finalmente, si preoccupa di chiarire le condizioni dell’ecosistema e del sistema agroalimentare che, nell’ultimo mezzo secolo, hanno subito cambiamenti ancora più rapidi ed estesi, coinvolgendo anche l’Italia, ormai entrata nel novero dei paesi più avanzati con danni superiori a quelli dell’intera storia dell’umanità. Di fronte all’aggravarsi dei rischi provocati dallo sviluppo intensivo degli ultimi due secoli, una piccola parte dell’umanità aveva sentito il dovere di reagire per tempo, correndo ai ripari con l’intento di tenere sotto controllo la situazione e garantire la compatibilità delle azioni dell’uomo con la sua stessa esistenza e con quella degli altri organismi viventi, mentre la parte di gran lunga preminente non reagiva. Oggi, per fortuna, parchi e boschi hanno aumentato in Italia e in Sicilia le rispettive superfici (l’1% in più ogni anno negli ultimi vent’anni in Italia), l’agricoltura biologica nazionale ha raggiunto il primato in Europa, i rifiuti riciclati, previa raccolta differenziata, sono più che triplicati, l’inquinamento 63 Sicilia e dieta mediterranea nelle aree urbane sta scendendo, mentre la spese dello Stato a favore dell’ambiente ha raggiunto i sette miliardi di euro. Il grafico della pagina seguente chiarisce che, nonostante i due secoli di agribusiness, l’80% circa dei consumi alimentari dei cinque continenti è rimasto legato alla tradizione e che l’agribusiness, nonostante il successo di due secoli e la forte spinta demografica, ha fatto molta strada soltanto nei paesi che più di altri ne hanno saputo trarre vantaggio, a cominciare dagli Usa, per finire al Canada, al Giappone e ad alcuni paesi del centro-nord europeo, senza riuscire ad eliminare la concorrenza, che oggi sta rialzando la testa e recuperando spazi. Le vicende alimentari dalle origini a oggi sono riassunte in questo grafico. Fig. 1 - I comportamenti alimentari dell’uomo nella storia Fonte: nostre stime L’attuale modello di consumo ha ancora alti contenuti energetici per la forte incidenza delle calorie di origine animale, aumentate specialmente nel nord d’Italia, e per l’utilizzo dell’energia meccanica che, insieme, hanno fatto decollare i costi sociali per il confezionamento dei prodotti alimentari, per l’incorporazione e l’aggiunta di servizi, per l’espansione della ristorazione commerciale e per la sostituzione del lavoro domestico femminile con il lavoro extra moenia; infine, il modello di consumo è spesso considerato insoddisfacente sul piano nutrizionale e qualitativo, specie se confrontato con i criteri che hanno ispirato la “dieta mediterranea”. 64 Sicilia e dieta mediterranea La sazietà alimentare rende il cibo meno attraente per cui l’uomo, quando si nutre, tende a tenere in maggiore conto la salute e la qualità, scegliendo i prodotti più sicuri, preferibilmente quelli biologici, che hanno raggiunto successi produttivi e di consumo impensabili, con riconoscimenti ufficiali giunti da ogni parte. Se è vero che la fase di intensa crescita della produzione biologica è arrivata al capolinea, come confermerebbero le ultime rilevazioni statistiche, - di fronte al calo dei consumi di ortofrutta, vi sono aumenti nella drogheria e nei latticini – è vero anche che, nel 2005, vi è stato un aumento complessivo del consumo del 4,5%. Con l’evoluzione della società, anche in Sicilia si è fatta più pressante la ricerca di garanzie per la propria salute da parte dei consumatori, oggi ritenuta a rischio per ciò che si mangia, per il poco movimento, per il lavoro svolto spesso in luoghi chiusi con emissioni nocive ecc. Il tempo del profitto ad ogni costo, sostenuto dal forte e continuo incremento demografico nel terzo millennio, sta perdendo molto dello smalto del tempo passato e ha allentato la presa, come dimostrano le difficoltà emergenti nella gestione dei più importanti gruppi dell’industria internazionale e i sempre più numerosi e convinti riferimenti a motivi estranei, come la storia, la cultura, l’arte, i monumenti ecc. di piccole aree, e al modo di renderli attivi nel tempo libero, che è la conquista più recente e importante dell’uomo moderno. Si stanno così aprendo nuove prospettive favorevoli alle aree più ricche di qualità alimentare e ambientale, storia, cultura, paesaggio e specialmente delle risorse che hanno contribuito a far nascere la più antica cultura alimentare e sono arrivate a produrre cibi e gastronomie d’autore. La Sicilia e le regioni del sud della Penisola, dove è nata e si è consolidata la prima civiltà alimentare dell’Occidente, hanno ancora molto da dire e da fare in proposito; se leggessimo le aspirazioni dell’uomo in questi termini, come sta imparando a fare il consumatore, il ricco patrimonio della Sicilia non permetterebbe di escludere nulla, neppure le prospettive più favorevoli, compresa l’accelerazione dello sviluppo economico nelle località più impegnate, quando l’uomo fosse riuscito a valorizzare pienamente le ricche risorse storico-culturali e paesaggistiche dell’isola, la qualità alimentare e gastronomica della tradizione e la qualità della vita dell’uomo e degli animali. Arrivati al terzo millennio, di fronte al nuovo rapporto dell’uomo con il cibo e di fronte al peggioramento della situazione ambientale, aumenta 65 Sicilia e dieta mediterranea il numero dei consumatori siciliani scontenti dell’andazzo generale, i quali, con una determinazione mai vista prima, si dimostrano decisi a dare fiducia alle antiche prassi e alla qualità esistenziale, cominciando a rinunciare alle forzature di ogni tipo e genere e agli eccessi nella protezione dei prodotti, per assicurare maggiore salubrità e qualità alimentari e ambientali al cibo; sono riflessioni che hanno coinvolto anche la produzione biologica, che è diventata la via più apprezzata per disporre di alimenti sicuri e puliti; questa scelta, che ha le sue timide radici all’inizio dell’Ottocento, in corrispondenza con l’avvio dell’agribusiness, ha segnato un percorso, che oggi è seguito anche dalle normative comunitaria e nazionale, che lo contrappongono ai processi produttivi convenzionali. Con il nuovo approccio sta ricomparendo all’orizzonte anche l’etica, la scienza dei doveri, come l’ha definita Aristotele, con il compito di gestire con cognizione di causa i nuovi obiettivi che l’uomo intende perseguire, senza intaccare la libertà di ognuno e senza affossare le responsabilità di tutti; così l’etica non è solo responsabilità verso se stessi, ma diventa anche solidarietà verso gli altri, l’intera comunità e le generazioni future. È compito dell’etica prendere le mosse dai fenomeni per arrivare ai doveri e alla tutela dei valori su cui fondare la convivenza civile, come lo è il modo di rapportarsi alla natura, cioè a tutto ciò che è destinato a nascere2. Nell’affrontare il rapporto tra umanità e ambiente, spetta all’etica assumere la responsabilità del ricomporre gli equilibri biologici, salvaguardando le risorse materiali che rischiano di essere compromesse continuamente da uno sviluppo sconsiderato della tecnica, nel convincimento che la natura è un bene prezioso con funzioni ben precise, indipendentemente dalla presenza dell’uomo, e che l’ambiente non ne implica necessariamente la sola presenza, ma anche un rapporto corretto con tutti gli altri organismi viventi. Su questi concetti si reggono le teorie del biocentrismo e dell’antropomorfismo, dove il primo si fa carico di un diritto utile all’uomo, alla natura e all’ambiente, mentre il secondo contempla le regole del vivere civile che sono scritte dall’uomo per sé stesso, per cui la disciplina non sempre tutela l’ambiente, riconoscendone le esigenze. Dal biocentrismo tuttavia emergono anche i diritti altrui, animali, 2 66 Natura significa “ciò che sta per nascere”, cioè che nasce e vive, cioè la vita. Natura, infatti, proviene da natura, participio futuro del verbo nascor ed indica la vita nel momento in cui sta per manifestarsi e lo fa. Sicilia e dieta mediterranea piante, obiettori di coscienza, biodiversità, generazioni future ecc., di cui spesso l’uomo si dimentica. È la connessione tra uomo, natura e ambiente a generare il diritto dell’ambiente, le cui esigenze non sono solo quelle umane, ma anche i diritti della natura stessa, considerata nell’insieme dei suoi rapporti e delle sue manifestazioni. 4. Il ruolo della Sicilia nella storia alimentare italiana Il ruolo rivestito dalla Sicilia nella cultura alimentare italiana è di tutta evidenza; si è affermato quando è nato il sistema agroalimentare dell’isola con le nuove produzioni medio-orientali riprodotte in loco. Meraviglia che la conoscenza di una realtà storica così evidente abbia potuto sfuggire all’attenzione del mondo e della cultura se non altro per le implicazioni positive che si porta dietro, che avrebbero consentito di presentare un’immagine dell’isola più fedele e prestigiosa con effetti utili di grande portata. L’unica spiegazione plausibile può essere la volontà degli storici di fare decollare la civiltà occidentale dalle società greca e romana, assegnando loro tutti i meriti senza riferimento alcuno a tutto ciò che è avvenuto prima, quando, invece, i prodromi hanno avuto un grande significato sotto il profilo della cultura alimentare. Sono tre i motivi che hanno assegnato alla Sicilia un ruolo dominante che, nei tempi successivi, l’hanno fatta salire nella graduatoria dei migliori sistemi agroalimentari occidentali: il precoce arrivo nell’isola dei vegetali e degli animali, da poco domesticati in Medio-Oriente rispetto ad altri territori; la colonizzazione fenicia e greca, con i flussi demografici, i successivi scambi commerciali che hanno trasferito all’isola culture antiche e capitali che hanno arricchito i produttori con la vendita alla Grecia di forti quantità di cereali e di altri beni alimentari, permettendo all’isola di raggiungere rapidamente la maggiore agiatezza. Il contesto favorevole ha permesso alla Sicilia di fare salire rapidamente la cucina agli alti livelli, che nessuna altra area del Mediterraneo è riuscita a raggiungere in quel tempo; la promozione, infine, è arrivata alla “dolce vita”, che ha condiviso questo prestigioso traguardo con poche altre città mediterranee. Il contesto del tempo antico è stato elaborato sulla base dei modelli alimentari siciliani, nati e consolidati sulle coste, specie nella parte sud orientale dell’isola, dove si sono via via consolidate le più alte espressioni 67 Sicilia e dieta mediterranea di civiltà non solo alimentare e di benessere del tempo. Dai successi raggiunti dalla cultura siciliana è dipeso l’alto grado di benessere dell’isola che non coincide con l’arrivo della neonata agricoltura medio-orientale nell’isola ottomila anni fa, ma arriva con settemila anni di ritardo, quando, con la fondazione delle colonie greche, gli autoctoni, Siculi, Sicani ed Elimi, si sono accorti di possedere alte potenzialità produttive per la fertilità delle pianure litoranee e per la densità della popolazione, e ampie potenzialità commerciali che la domanda della Grecia e di altre popolazioni mediorientali rendevano in concreto. Lo storico Diodoro, nato nella Sicilia centrale ad Agirio (primo secolo a.C.), presenta la migliore sintesi della situazione presente nell’isola nel IV secolo a.C.: “All’isola, che è stata chiamata Trinacria per la sua forma, Sicania dai Sicani e, infine, Sicilia dai Siculi, che vi erano arrivati dalla Penisola, risale il primato delle tradizioni mediterranee”; inoltre, Tucidide, che è vissuto quattrocento anni prima di Diodoro, considera i Sicani e gli Elimi le popolazioni più antiche: i primi, ritenuti autoctoni, sarebbero arrivati prima della guerra di Troia, mentre gli Elimi li avrebbero seguiti dopo la distruzione della città. Gli ultimi arrivati, i Siculi, cacciati dalla Penisola italica dagli Opici nella metà del XIII secolo a.C., hanno trovato nell’isola i Sicani, che erano la popolazione più antica, e gli Elimi, abitatori di un’area ristretta a ovest, tra Segesta ed Erice, e più tardi, nella seconda metà del IX secolo a.C., hanno incontrato anche i Fenici, che hanno occupato, prima della fondazione di Cartagine, alcune alture vicino alla costa occidentale e le isole più vicine per commerciare con i Siculi. Poi sono arrivati i Fenici e i Greci, nell’ottavo secolo a.C., sorprendendo i Siculi nella parte orientale, i Sicani nella parte occidentale e gli Elimi in una piccola area nord-occidentale. Ancora prima erano arrivati alla spicciolata marinai e commercianti tardo-micenei e greci, che avevano stabilito i primi timidi commerci occasionali con gli indigeni della costa; ancora più tardi sono arrivati i primi emigranti, sempre alla spicciolata, che, per ristrettezze alimentari o difficoltà politiche, cercavano un nuovo luogo dove ricostruire la loro esistenza. Infine, prima delle colonie, si sono costituiti alcuni emporium che erano luoghi di incontro che facilitavano i commerci. È ai Siciliani autoctoni che si deve, grazie alle risorse dell’isola, la prima e più significativa svolta della produzione alimentare italiana, pro68 Sicilia e dieta mediterranea vocata dalle nuove coltivazioni e dei nuovi allevamenti e dalla cucina che ha elaborato le nuove materie prime mediorientali per farne cibi, che fossero la risultante della valenza delle materie prime e della grande abilità dei cuochi. Grazie alla precocità delle attività agricole e all’abbondanza e qualità dei prodotti, di cui non mancano ampie testimonianze, la Sicilia è diventata, insieme con altre zone costiere particolarmente fertili del Mezzogiorno d’Italia (la Grecia non brillava per la produzione agricola a causa della poca terra di pianura), il primo e più importante laboratorio alimentare che ha dovuto farsi carico della conservazione degli alimenti, resa necessaria per la loro naturale deperibilità; il problema è stato affrontato e risolto a livello familiare, dove le nuove materie prime sono state elaborate per la produzione di alimenti tipici stagionati (vino, olio, formaggio e salumi). Oggi la Sicilia è nota nel mondo per questi suoi alimenti più antichi e per la tradizione alimentare che li accompagna, di cui possiede il più ricco, vario e prestigioso patrimonio regionale, dovuto alla creatività di tante famiglie dell’epoca e alla successiva selezione storica di ciò che avevano prodotto. La collocazione geografica della Sicilia è stata determinante per il successo, insieme alle correnti marine e alla presenza e disponibilità degli autoctoni, che risiedevano lungo le coste, dove erano ubicati i principali centri abitati e maggiore era la fertilità del suolo, mentre, nelle aree interne, la densità degli abitanti si attenuava e l’agricoltura diventava estensiva. Era una Sicilia, in quel tempo, che doveva apparire agli occhi dei suoi abitanti e degli ospiti come una specie di paradiso terrestre per il lussureggiamento della vegetazione e per la varietà e la sapidità dei frutti della terra, non diversamente da come appare anche a noi oggi tutte le volte che abbiamo la fortuna di tornarvi. Deve essere stato proprio il lussureggiamento della vegetazione, quella dell’epoca naturalmente, a rendere frequente l’arrivo dei Mesopotamici e, più tardi, dei Micenei, dei Fenici e dei Greci. In precedenza Siculi, Sicani ed Elimi non avevano mostrato alcun interesse per la navigazione, almeno fino ai tempi storici, quando hanno assunto la denominazione di Sicelioti. Concludendo, possiamo chiarire che i Siciliani sono rimasti sostanzialmente dei vegetariani, come lo erano stati i loro avi fin dalle origini, e questo è stato possibile per la presenza tutto l’anno di prodotti vegetali 69 Sicilia e dieta mediterranea allo stato fresco grazie al clima favorevole; quindi, la maggiore parte dell’apporto calorico delle popolazioni dell’isola proveniva dal mondo vegetale, che non ha lasciato tracce archeologiche significative. Quanto agli alimenti che andavano per la maggiore in Sicilia, al primo posto troviamo i derivati dei cereali a cominciare dai diversi tipi di pane, per arrivare al cous cous, e ai legumi e, infine, a quelli di origine animale, formaggi, salumi e carni fresche ovicaprine e suine. La preferenza per il grano e altri cereali è dipesa dalle proprietà nutritive, che rendono alcuni cereali, come il grano, idonei a sostituire anche carne e pesce, che erano più costosi e difficili da reperire. Con queste vicende alle spalle, l’isola può essere considerata, a buon diritto, anche per la dimensione territoriale, il primo e più importante intermediario che ha agevolato il consolidarsi di un nuovo sistema produzione-consumo alimentari, nella fase di passaggio dell’agricoltura dal Medio Oriente all’Europa; il posizionamento ambientale delle zone costiere siciliane e delle altre piccole isole era privilegiato e, quindi, particolarmente adatto ad essere raggiunto; nonostante l’isola presentasse le condizioni locali più adatte all’allevamento, la sua fortuna alimentare è legata essenzialmente ai cereali e, in particolare, al grano, che, oltre a contenere carboidrati e proteine, godeva di un alto indice di conservabilità anche rispetto allo stesso prodotto ottenuto altrove. I semi, una volta raccolti, venivano sistemati in pozzetti scavati per terra e rivestiti di argilla all’interno delle capanne per garantirne la conservazione; con l’invenzione della ceramica la conservazione dei cereali è stata ulteriormente facilitata per la possibilità di contenere e di trattare gli alimenti, facilitando il passaggio dai prodotti freschi e dai semi abbrustoliti alla preparazione di cibi a base di farina. 5. La dieta mediterranea Rispetto ai consumi iniziali del primo ominide siciliano, che era vegetariano e tale è rimasto per lungo tempo, prima di diventare onnivoro, le principali varianti, comparse nel corso della storia, non potevano fare altro che cercare altri alimenti in altri territori, specialmente dall’Oriente per diverse vie, compresi quelli arrivati più tardi in Occidente a seguito della scoperta dell’America; inoltre, a partire dagli anni Cinquanta del secolo 70 Sicilia e dieta mediterranea scorso, i Siciliani hanno cominciato, a seguito del nuovo benessere raggiunto, a consumare più carne. Nel prendere atto del divenire della situazione alimentare nell’isola e nel Mezzogiorno d’Italia, il biologo americano Ancel Keys ha svolto, con inizio nel 1957, approfondite ricerche sulle malattie metaboliche in Calabria, a Nicotera, più tardi in Grecia, a Creta, ed estese infine nel 1958-61 a Finlandia, Giappone, ex-Iugoslavia, Olanda e Usa. In proposito desideriamo precisare, a scanso di equivoci, che riteniamo l’uso del termine dieta improprio, perché il termine corretto dovrebbe essere costume o abitudine alimentare, la cui stabilità dipende da quella dell’uomo sul territorio e dai rapporti che ha instaurato con la produzione. Le ricerche condotte a Nicotera, le cui abitudini alimentari sono simili a quelle dell’isola (in proposito i Siculi erano Calabresi trapiantati in Sicilia)… Secondo queste logiche, si impone anche l’analisi comparativa tra costume mediterraneo e quello dell’Italia centro-settentrionale, che sono notoriamente molto diversi: il primo si è distinto sostanzialmente all’origine per avere mantenuto il prevalente consumo di prodotti vegetali consumati, con l’olio d’oliva, mentre il secondo si avvaleva, secondo il costume dei nomadi, del prevalente consumo di prodotti d’origine animale con lo strutto e il burro come condimenti. Partendo da questi presupposti, le ricerche del Keys e della sua équipe, proseguite per quasi mezzo secolo, ci hanno informati che i primi uomini delle terre mediterranee, più per istinto che per conoscenze acquisite, avevano visto giusto quando hanno scelto le materie prime medioorientali per coprire le proprie esigenze nutrizionali, vista la conferma ottenuta con le successive verifiche scientifiche; secondo le ricerche citate, i decessi per cardiopatia coronarica sono risultati novecentosettantotto ogni diecimila persone nelle terre mediterranee contro i millenovecentoquarantasette degli altri territori (Finlandia, Slovenia e Velika Krsna nella ex Iugoslavia). Senza addentrarci ulteriormente nei risultati di queste ricerche, che sono assai complesse, ma avvalendoci di quanto ha scritto e ci ha personalmente illustrato lo stesso Flaminio Fidanza, collaboratore di Ancel Keys, e del parere di altri uomini della scienza medica, ne abbiamo registrato alcune conclusioni, secondo le quali l’alimentazione più salubre, oggi ancora più di ieri, la si troverebbe nel complesso degli alimenti tipicamen71 Sicilia e dieta mediterranea te mediterranei, olio d’oliva, ortofrutta, cereali, legumi e pesce anche per questi motivi singolarmente presi: • olio vergine d’oliva perché contiene diverse sostanze antiossidanti (tirosolo e idrossitirosolo) e loro derivati idrolizzabili, tocoferoli, ‚carotene, lignani; • frutta, verdure, pane scuro, pasta, cereali integrali, legumi secchi perché provocano diversi effetti fisiologici (in particolare mettono a disposizione composti fenolici con spiccata azione antiossidante); pesce, perché apporta acidi grassi Omega3. La prevalenza di questi alimenti nel costume alimentare mediterraneo fa si che la loro associazione e l’integrazione con altri vegetali riduca il rischio delle malattie cosiddette da benessere. Sulla base dei risultati delle ricerche di Keys e collaboratori e del nuovo orientamento dei consumi è stato completato il concetto di “dieta mediterranea”, con il termine di “riferimento”, con il quale si intende precisare che gli alimenti indicati devono essere ripartiti durante la giornata con particolari criteri per ottimizzarne gli effetti. Gli stessi ricercatori hanno messo a punto anche l’indice di adeguatezza mediterranea (Iam), che corrisponde al rapporto tra la percentuale di alimenti mediterranei (cereali, legumi secchi e freschi, ortaggi, frutta, pesce, olio d’oliva e di semi e vino) e gli altri alimenti consumati (latte, formaggi, carni, uova, grassi animali e margarine, bevande zuccherine, dolciumi, zucchero). La tradizione alimentare della gente mediterranea è frutto dell’incontro, in Sicilia, in modo più fedele di quanto non sia avvenuto altrove, delle culture alimentari di Oriente e Occidente, con l’integrazione di risorse locali, in un connubio che si è collocato alla radice dell’intera civiltà occidentale. Tutto ha avuto inizio con l’arrivo in Sicilia dei cereali e dei legumi e degli animali (pecore, capre, bovini, cani e suini), appena domesticati nella Mezzaluna Fertile; una volta arrivati in Sicilia, i semi vegetali e i riproduttori animali, dove erano del tutto sconosciuti, eccetto il suino, che è autoctono anche in Occidente, insieme con le prime tecniche agronomiche e di allevamento, hanno avuto origine i nuovi processi produttivi e il nuovo costume alimentare, sulla base di scelte ancora del tutto istintive; neppure la lunga e qualche volta travagliata evoluzione dei tempi successivi è riuscita a mettere da parte l’imprinting iniziale e il frutto dell’ingegno e dell’abilità dell’uomo, con i quali ha prodotto, lavorato e trasfor72 Sicilia e dieta mediterranea mato le materie prime agricole e quelle di origine animale, avvalendosi del prezioso apporto del sale mediterraneo a garanzia della conservazione, intervenuto anch’esso a condizionare il costume alimentare di queste terre; con il sale e la stagionatura è nata la tipicità mediterranea, che ancora oggi esprime, in Italia, varietà e pregi particolari, spesso superiori a quelli presenti in ogni altra parte del mondo. Dall’antica Magna Grecia e dalla Sicilia quella che continuiamo a chiamare impropriamente “dieta mediterranea” ha mantenuto solo qualche rapporto del tutto marginale con il costume alimentare delle genti padane e del centro Italia, dove i Celti usavano altre preparazioni e altri alimenti; da questi rapporti, più tardi, i territori continentali hanno ricevuto anche l’ortofrutta, in sostituzione parziale dei prodotti di origine animale, l’olio vergine di oliva, che ha sostituito lo strutto e, in parte, anche il burro e il vino che ha preso il posto della birra quasi ovunque. La continuità tutta mediterranea del consumo di alimenti tradizionali non è fatto straordinario in sé, visto che circa il 75% della popolazione mondiale rimane legata alle proprie tradizioni, nonostante l’arrivo dell’agribusiness e la diffusione degli alimenti standardizzati dell’America del nord, del Giappone e nell’Europa centro-settentrionale; gli altri paesi del mondo ne sono stati coinvolti in misura marginale, per non più del 10% circa (crackers, patate fritte, hamburger, Coca cola, popcorn, salse varie ecc.) per circa un miliardo di consumatori equivalenti su un complesso mondiale di 6,4 miliardi. Fig. 2 - Popolazione mondiale per aree alimentari Fonte: nostre stime 73 Sicilia e dieta mediterranea Nonostante tutto, la cultura dell’agribusiness non demorde e, in alcuni paesi, come gli Usa, lo stato non ha ancora rinunciato al profitto, ottenibile continuando a perseguire i propri obiettivi e a insistere nel volere percorrere e fare percorrere al mondo intero la strada degli Ogm, escogitata per poter proseguire nell’aumento demografico e dei consumi, nonostante i non pochi problemi che creerebbe a carico dell’ambiente, oltre a quelli già esistenti. Anche questa insistenza ha contribuito a provocare l’attuale reazione a favore di quello che abbiamo chiamato l’”Umanesimo di ritorno” con recupero e accentuazione del ruolo della cultura riferita alla qualità della vita e alla qualità alimentare e al corredo di storia e cultura, a cui l’uomo sta aprendo nuovi spazi e nuovi mercati nel localismo economico-sociale-culturale all’interno di una globalizzazione che, pur restando tale, per alcuni prodotti, più riferibili alle commodities che agli alimenti, non riesce ad esprimere molta efficacia. Nella contrapposizione di J. Rifkin tra sogno americano e sogno europeo non potrà non rendersi disponibile nel tempo un più ampio spazio per il Vecchio Continente, che si sta aprendo, come sostiene l’economista americano, nel localismo economico che è destinato a diventare il “top” nel promuovere qualità della vita e qualità alimentare; tutto questo all’interno dell’Ue, che sta crescendo di dimensione e presto avrà la nuova costituzione, che prevede, fra l’altro, di riconoscere ai principi della Carta dei diritti fondamentali un valore superiore a quello delle legislazioni dei singoli stati membri, confermando il rispetto per la dignità umana e per il diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza, comprendendo anche il campo alimentare. Arrivati ai tempi a noi prossimi, dobbiamo riconoscere che l’alimentazione italiana ha sempre espresso due modi di essere ben distinti fin dalle origini, che permangono tutt’ora, nonostante la comune origine medio-orientale che risale molto indietro nel tempo, quando la neonata agricoltura, diecimila anni fa circa, in Medio-Oriente (Mezzaluna Fertile), ha cominciato ad ampliare il proprio campo di azione sotto la spinta del gap tecnologico tra Medio-Oriente e Occidente e dell’aumento della popolazione. L’ampliamento dell’area sottesa è avvenuto per mare, raggiungendo la Sicilia e il sud della Penisola italica, dove gli alimenti importati si sono sostituiti ai preesistenti, mantenendosi fino ad oggi, salvo qualche modesta variante. Altri orientali, e sono i più, si sono spostati per terra, imboccando 74 Sicilia e dieta mediterranea altre strade, come il corridoio danubiano e vie alternative, fino ad arrivare al mare del nord con qualche migliaio d’anni di ritardo, da dove la nuova cultura alimentare è ridiscesa per irradiarsi in tutta l’area non mediterranea del continente, compresa l’Italia centrosettentrionale; questi sono i Celti che, con una miriade di piccole tribù, hanno dato origine alla popolazione che i Romani hanno chiamato Galli, senza che raggiungessero mai la compattezza di una nazione. Costoro, non potendo coltivare la terra in quanto nomadi, hanno vissuto per alcune migliaia di anni, abituandosi ad attingere gli alimenti dal bestiame che seguiva la tribù negli spostamenti e ad avvalersi dei prodotti agricoli, previo baratto con le popolazioni incontrate. In questo modo, è comparsa e si è consolidata la seconda faccia della medaglia alimentare italiana, quella dell’Italia centro-settentrionale, caratterizzata dal prevalente consumo di prodotti di origine animale, dallo strutto e dal burro utilizzati come condimento e dalla birra come bevanda, mentre l’originaria alimentazione della Mezzaluna Fertile, trasferita in Sicilia e nel sud della Penisola italica, rimaneva sempre quella medio-orientale con prevalenti alimenti vegetali, olio vergine d’oliva per condimento e vino per bevanda. Rispetto a questa prima “dieta mediterranea”, rimasta sempre molto vicina al vegetarismo, la “dieta continentale” è stata più esposta e ha accolto nel tempo alcune correzioni non di poco conto per esigenze di adattamento e arrivo di alimenti da terre lontane, compresi quelli arrivati dopo la scoperta delle Americhe. L’integrazione principale però è quella più recente che ha introdotto alimenti tradizionali, per rispondere al crescente interesse per la tutela della salute, che ha fatto preferire a taluni “toccasana” della “dieta mediterranea”, inseriti nel consumo abituale continentale. Si tratta, innanzitutto, dell’olio vergine di oliva, che ormai ha invaso l’intero territorio nazionale e viene prodotto fino ai piedi delle Alpi con un successo che va oltre e sta coinvolgendo l’intero pianeta, seguito dall’ortofrutta che, dalla Val d’Adige alla Romagna e a parte dell’Emilia, del territorio di Cuneo, della Versilia ecc., occupa crescenti spazi produttivi e di consumo, e, infine, dal vino che ha sostituito quasi ovunque nel mondo la birra. L’inserimento nella “dieta continentale” dei nuovi alimenti, scelti tra i più protettivi della “dieta mediterranea”, ne ha aumentato il grado di salubrità, senza nulla togliere ai prodotti tipici di origine animale che, numerosi e straordinari, sono rimasti prevalenti e sono sempre molto 75 Sicilia e dieta mediterranea apprezzati, perché più vari di quelli dell’area mediterranea, essendo numerose le specie animali, diversi i tagli della carne e possibile l’uso di aromi e spezie; ci riferiamo anche ai numerosi salumi e formaggi che, insieme ai vini e agli oli vergini di oliva italiani, costituiscono il più ricco patrimonio di prodotti tipici di alta qualità del mondo. La presa di coscienza che ha provocato questi benefici arricchimenti è stata suggerita dagli studi del biologo americano Ancel Keys, la cui indagine ha il merito di avere aperto nuovi orizzonti, chiarendo che i consumi alimentari delle terre mediterranee, scelti fin dai tempi più antichi più per istinto che per conoscenze acquisite, sono risultati i più appropriati, come ha dimostrato la successiva verifica scientifica; infatti, secondo le ricerche, i decessi per cardiopatia coronaria, ad esempio, sono risultati meno della metà nelle terre mediterranee rispetto a quelli di altri territori (Finlandia, Slovenia e Velika Krsna nella ex Iugoslavia). Senza addentrarci ulteriormente nei risultati di queste ricerche, che sono assai complessi, ma confortati da quanto ha scritto e ci ha personalmente illustrato lo stesso Flaminio Fidanza, che vi ha partecipato attivamente, e dal parere di altri uomini di scienza, siamo arrivati a condividere la conclusione che considera l’alimentazione mediterranea la più salubre tra quelle attuali e la più capace di prolungare la longevità dell’uomo, grazie alla protezione di olio vergine d’oliva, ortofrutta, cereali, legumi e pesce per i seguenti motivi: • olio vergine d’oliva contiene diverse sostanze antiossidanti (tirosolo e idrossitirosolo) e loro derivati idrolizzabili, tocoferoli, ‚-carotene, lignani; • frutta, verdure, pane scuro, pasta, cereali integrali, legumi secchi perché provocano diversi effetti fisiologici (in particolare mettono a disposizione composti fenolici con spiccata azione antiossidante); pesce, perché apporta acidi grassi Omega3. La Sicilia è una terra fortunata perché possiede il più ricco, vario e pregiato patrimonio di prodotti tipici, equamente distribuiti tra le province, di cui citiamo il Pecorino Siciliano, probabilmente il primo formaggio europeo, l’olio, il vino, e la salumeria. La cultura alimentare oggi emergente agisce sul mercato che si trova in una fase delicata a causa del ristagno della domanda, che prosegue ormai da più di un lustro con intensità maggiori nelle aree ad economia più avanzata, e quindi, anche nell’area non mediterranea; ultimamente la popola76 Sicilia e dieta mediterranea zione, pur continuando ad aumentare, ha assunto ritmi molto più blandi di quelli del passato, a causa delle nascite, che erano troppo poche per fare lievitare la domanda, mentre la maggiore longevità dell’uomo ha fatto aumentare la popolazione, senza che i consumi ne risentissero. Sulla scorta di questa analisi e in previsione di ulteriori flessioni demografiche, le prospettive dei paesi più sviluppati non sono favorevoli e richiedono di correre ai ripari. Per la Sicilia esiste una doppia scappatoia: la prima si avvale dell’alta qualità gastronomica e passa attraverso il marketing territoriale, facendo leva sulla “dieta mediterranea”, sulla storia e sulle fonti della cultura alimentare mediterranea, che costituisce la prima delle due facce della stessa medaglia nazionale; la seconda riguarda il turismo internazionale. Ambedue le attività vanno perseguite prontamente. La valorizzazione dei prodotti alimentari siciliani e delle altre risorse dell’isola oggi è opera del marketing territoriale, la cui immagine molto efficace si rifà ai prodromi del momento alimentare occidentale, potendo spiegare molte cose su come è avvenuto, sui tempi, sugli effetti ecc. La Sicilia si avvantaggia per essere un’isola grande e per trovarsi in posizione strategica con un’evoluzione multiculturale ad opera di più etnie, ognuna delle quali ha lasciato il proprio contributo al suo arricchimento. 6. R u o l o d e l l a c u l t u r a a l i m e n t a r e s i c i l i a n a In un contesto attivo nell’antichità, come quello siciliano, ricco di potenzialità inespresse, è possibile conquistare all’isola nuove posizioni di mercato, ricostruendo “diete” e vicende storiche, seguendo la logica vichiana e facendo chiarezza sugli albori della cultura alimentare siciliana e occidentale e sui successivi sviluppi che sono noti a pochi a causa dell’insegnamento ufficiale che ha lasciato nel buio preistoria e protostoria. Solo da poco tempo, segnatamente dopo l’ultimo conflitto mondiale, si è cominciato a prendere in considerazione anche quanto è avvenuto prima, facendo emergere così anche le vicende iniziali dell’alimentazione occidentale e facendo conoscere i benefici di antiche scelte istintive, che spesso si sono perpetuate nella “dieta mediterranea”. Questa dieta, rivalutata mezzo secolo fa, considera che il migliore modo di alimentarsi è quello 77 Sicilia e dieta mediterranea delle origini, quando la Sicilia e le altre isole mediterranee hanno beneficiato di una sorta di parziale resistenza alle malattie più gravi e dell’allungamento della vita. Nell’ Italia centro-settentrionale, invece, come nell’Europa continentale, vige un’altra “dieta” alimentare, che abbiamo chiamato continentale o celtica, diversa dalla prima e di più ampia diffusione, in buona parte assimilabile a quella dell’Europa non mediterranea, retaggio delle popolazioni celtiche (i Galli per i Romani, i Galati per i Greci), che avevano dovuto adattare il loro modo di alimentarsi in lunghi periodi trascorsi viaggiando. La stessa dieta originaria della Mezzaluna Fertile la ritroviamo anche oggi nell’isola mediterranea più grande, integrata dalle successive acquisizioni che hanno riguardato, inizialmente, olivo e agrumi, e, più tardi, altri alimenti compresi quelli numerosi, arrivati dopo la scoperta delle Americhe. Nonostante il numero e l’importanza delle nuove acquisizioni, queste non hanno mai influito più di tanto sulle abitudini alimentari originarie, decretando la continuità dei consumi originari, nonostante la biodiversità diffusa, giustificata dal clima locale che, consentendo la disponibilità di prodotti vegetali freschi tutto l’anno, ne ha fatto il presupposto principale della dieta, che è stata completata con poche carni ovicaprine, prodotte con la transumanza, pesce e formaggio. Mentre, in passato, per i motivi esposti, non si era mai parlato specificamente dei particolari consumi alimentari delle popolazioni in aree mediterranee, da qualche tempo l’argomento è uscito enfatizzato dalle scoperte di Ancel Keys, il quale ha ottenuto dei risultati che attestano la valenza delle abitudini alimentari di queste popolazioni. Non tutti sono d’accordo su questo tipo di analisi, a cominciare da Piero Camporesi, che poggia le sue teorie su una specie di minimo comune denominatore che sarebbe risultato più a favore delle carni che dei vegetali. Noi, al contrario, riteniamo che solo l’analisi delle vicende storiche può spiegare i traguardi raggiunti; la realtà è che chi ne esce premiato è il consumo dei vegetali tant’è che oggi è in ripresa in tutto il mondo, come stanno aumentando anche i vegetariani di tutti i tipi. Concludendo, quando oggi confermiamo la distinzione dei consumi alimentari delle due aree citate, dobbiamo tenere presente che la differenza originaria è stata attenuata nel tempo in conseguenza degli aggiustamenti richiesti dalle esigenze salutistiche dell’uomo, mentre è rimasto nettamente superiore il livello gastronomico della seconda “dieta”. Per78 Sicilia e dieta mediterranea tanto la distinzione oggi ha finalità più culturali e gratificanti che salutari e risulta utile per fare finalmente un po’ di cultura alimentare anche nel Belpaese e spiegare ai connazionali e agli ospiti stranieri le ragioni per le quali il territorio siciliano possiede ancora una biodiversità diffusa che fa sì che non si possa parlare di una cucina dell’isola, ma di una moltitudine di cucine tutte diverse nei microambienti. 7. La strategia dei tempi nuovi Nel momento attuale è evidente che la Sicilia e il suo versante alimentare debbano giocare le loro carte sul tavolo della qualità, che è il riferimento più recente della biodiversità, traendo la maggiore utilità possibile dalle piccole e medie imprese, oltre che da quelle grandi, che non sono molte, ma di maggiore utilità. Per risolvere le contraddizioni tra globale e locale, i percorsi possono essere i seguenti: • accrescere ovunque si produca cibo la spinta in direzione della qualità e della riorganizzazione commerciale della produzione e della ristorazione in chiave culturale, facendone un esempio per il resto dell’Italia e del mondo; • spingere i produttori, grandi e piccoli, a collaborare, specialmente sviluppando più costumi alimentari e distinti per territorio, nel rispetto della specificità mediterranea e nella prospettiva di espansione del turismo internazionale. Se la Sicilia non sviluppasse nel prossimo futuro la spinta al cambiamento o fosse troppo lenta nel farlo, le difficoltà moltiplicherebbero i paradossi del passato, quelli ancora presenti, che rallentano i ritmi evolutivi con l’aggravamento delle attività commerciali, specie quelle riferite ai prodotti più prestigiosi. Quanto è avvenuto in passato con i paradossi citati, che sono tuttora presenti, rende inutili i tentativi di mantenere attiva la domanda e di retribuire i produttori con prezzi adeguati al sacrificio richiesto per produrre. Non c’è da illudersi; il futuro degli alimenti, anche di quelli di più alta qualità, se venisse lasciato alla mercé delle parole, anziché affidarlo ad azioni di marketing concretamente utili, risulterebbe poco o niente soddisfacente; così ogni scelta, se rimanesse soltanto vincolata all’empirismo del passato, non farebbe che procrastinare lo stato di crisi sine die. 79 Sicilia e dieta mediterranea Oggi, nell’attuale contesto e con la concorrenza acuta provocata dalla domanda stagnante, il mercato sta dimostrando chiaramente che vi sono difficoltà a riconoscere e valorizzare la storia, l’empirismo e il pregio sic et simpliciter, ma di avere bisogno di immagini accattivanti e di certificazioni convincenti; occorrono nuove strade, che, come avviene per ogni bene economico, siano coerenti con politiche mirate ed efficaci e con interventi di tutela seri ed utili, specie se si vuole che siano attivati nuovi percorsi e venga sollecitato ogni singolo territorio ad evolvere e a rinnovare, se del caso, le proprie performance, a garanzia del futuro delle giovani generazioni; le sole varianti da accettare sono quelle che contribuiscono a razionalizzare e a modernizzare il sistema. Non più ideologia, ma solo pragmatismo. Le scelte del futuro localismo verrebbero così esaltate, dando vita a un’epoca di sicuro successo, i cui prodromi sono già visibili, nonostante la globalizzazione, ma ancora incompleti, per non essere riusciti a formulare strategie specifiche e a coinvolgere l’opinione pubblica, residenti e temporaneamente residenti all’interno del territorio, valorizzando al meglio il complesso delle risorse, specie di quelle legate al tempo libero, che è il nuovo asso nella manica che da solo può dare vita a un nuovo localismo, più ricco e completo, nel quale, oltre ai paesaggi, sono presenti storia, monumenti, cultura, arte, sport, caccia, pesca, i passatempo degli animatori turistici ecc.; dall’organizzazione di un sano e significativo tempo libero uscirà condizionato il futuro di molti territori italiani, nonostante il blocco demografico e la futura flessione di giovani, che saranno però sostituiti da temporanee, continue migrazioni interne. Particolare interesse riveste, nel nuovo corso, il turismo internazionale che, avendo recuperato la preminente vocazione culturale durante la sua crescita, sta rimettendo in gioco le città della provincia italiana e di altre aree rimaste in ombra, nonostante la dovizia di gioielli architettonici, di opere d’arte, di testimonianze storiche, di paesaggi prestigiosi, oltre che di alimenti tipici e tradizionali di pregio e di gastronomie d’autore. La tendenza è stata confermata dalla accresciuta presenza di visitatori nei musei, nelle pinacoteche, nei parchi archeologici, nelle città d’arte ecc.; vi è poi una recente ricerca, presentata al Bit di Milano, secondo la quale, accanto alla conferma delle grandi città d’arte, si ritrova spesso la presenza di città minori che sono diventate i nuovi centri di attrazione turistica; è già accaduto con il “Festival della mente” a Sarzana, a Carpi con il 80 Sicilia e dieta mediterranea “Festival della filosofia”, a Ferrara con il raduno di acrobati, giocolieri e saltimbanchi, a Parma con il “Festival Verdi” e con il “Festival di letteratura per ragazzi”, a Mantova con il “Festivaletteratura” e con il “Mantovamusicafestival” ecc. Nel 2005 i flussi turistici internazionali hanno coinvolto complessivamente 808 milioni di persone, di cui 37 milioni sono venute in Italia. Con queste dimensioni, l’attività è diventata ormai la più grossa industria del mondo e, come tale, merita grande attenzione per la sua capacità di portare nuovi capitali e di mantenere la domanda alimentare o addirittura di aumentarla, superando i tempi della stagnazione e della regressione. 8. Alcune conclusioni La Sicilia si è presentata all’appuntamento del terzo millennio con la primogenitura alimentare in Occidente, con il prestigio di una storia molto articolata e complessa e con una cultura del comparto straordinaria, da cui discende un patrimonio ricco e vario di prodotti tipici e tradizionali di alta qualità e di gastronomie d’autore che nessun altro territorio al mondo possiede in uguale misura, senza che sia mai riuscita a valorizzare pienamente le molte risorse che possiede. Oggi le prospettive sono diventate più favorevoli a causa dei nuovi obiettivi qualitativi della domanda a cui è affidato il compito di valorizzare i prodotti aziendali nel territorio e con il territorio sostiene alla geografia, alla storia e al paesaggio, agli alimenti e alla cucina e, infine, alle nuove prospettive del turismo che, all’interno del bacino del Mediterraneo, posseggono nuove fruibilità. La competitività alimentare delle imprese mediterranee nel passato è stata quasi sempre bassa o molto bassa a causa della polverizzazione dell’offerta e della scarsa disponibilità a dare vita ad aggregazioni culturali per aumentare il potere contrattuale dei produttori. Negli scenari più recenti, sono migliorate le opportunità, quando è caduta l’antica conflittualità tra piccola e grande industria alimentare da parte dei produttori più importanti che hanno capito l’inutilità di contrastare i deboli prodotti tipici, quando dalla contrapposizione non arrivavano effetti utili. Con la fine della conflittualità storica è diventato più facile ricorrere all’integrazione per cercare di recuperare la leadership di un tempo, ormai vecchia di due millenni e mezzo attraverso il revival della qualità trascorsa, che ha toccato i vertici globali nella protostoria. 81 Sicilia e dieta mediterranea L’Italia di oggi si ritrova con due facce alimentari, molto vicino alla natura, quella mediterranea, e una frutto di adattamenti che, essendo stata corretta, può permettersi ugualmente di arricchire e valorizzare la propria cultura storica, reinventando delle cose, purché coerenti con la qualità alimentare, per puntare ai vertici, quelli del Rinascimento. La rivalutazione qualitativa di carattere storico, se condotta in modo pacifico, dalle due realtà territoriali, specie qui, in Sicilia, dove sopravvivono i prodromi dell’agricoltura occidentale, può essere molto utile e significativa tanto da potere rappresentare la nuova immagine del territorio, potenziando in tal modo la competitività del luogo sui mercati interno ed internazionale attraverso un’azione culturale, come hanno fatto i Francesi, abbinando i vini alle portate, inventando l’esistenza di Dom Perignon ecc. La debolezza che presentano le piccole imprese agroalimentari e alimentari di fronte al mercato richiede di modificare l’approccio fare entrare in gioco le ricche risorse dell’isola nella quantità massima possibile. In campo nazionale sono state delimitate o si stanno delimitando numerose aree-parco per conservare l’ambiente e per promuovere il territorio e le aziende attraverso il territorio per riceverne un maggiore potere contrattuale attraverso l’insieme delle risorse che, nel caso della Sicilia, sono notevoli. Questo tipo di approccio è ormai consolidato per le riserve naturali, ma oggi si sta allargando anche ad altri settori e comparti, come è avvenuto, ad esempio, nei Parchi delle acque, dell’aria (sull’Appennino, tra Arezzo e L’Aquila), della pace ecc. che fanno riferimento ad aree intercomunali, distretti o bioregioni particolari, o ad altre aggregazioni di comuni per accumulare un’immagine nuova e complessiva delle risorse dei microambienti (le terre verdiane in provincia di Parma ne sono un esempio, un altro esempio è Mozartland, in Austria). Sulla base di questi nuovi orientamenti, fra l’altro condivisi, noi, ad esempio, abbiamo proposto di attivare a Parma il Parco Storico dell’Alta Cucina Rinascimentale, con il quale vorremmo calare sulla città e sulle quattro province coinvolte (Cremona, Mantova, Piacenza e Reggio Emilia) un’immagine che dia voce al territorio e sia capace di sviluppare nuove strategie per mantenere in crescita la domanda di beni alimentari e non, nonostante l’attuale stagnazione e le prospettive di inversione di tendenza e per far leva sull’attrattività dell’insieme, costituito da ricchi patrimoni locali, storici, artistici, culturali, monumentali, alimentari ecc. e sull’orgoglio della popolazione per il proprio passato che oggi può dare ulteriori soddisfazioni, realizzando una 82 Sicilia e dieta mediterranea o più idee-progetto per attrarre il turismo interno e internazionale e per dare una maggiore spinta contrattuale alle produzioni locali. Riflettendo su ciò che sta avvenendo, non è difficile rendersi conto che la stessa teoria neoclassica dell’economia è rimasta per troppo tempo al palo, senza mai aggiornare il paradigma che, dopo quasi due secoli, si presenta debole e incapace di spinte innovative di fronte alle emergenze che scorrono continuamente davanti agli occhi di tutti e non possono essere abbandonate a se stesse. Le attività delle imprese alimentari grandi e piccole si sono dipanate per molto tempo – quasi due secoli - con straordinaria facilità, comodità e utilità, in conseguenza della continua e forte crescita demografica che rendeva accettabile anche l’inerzia, non essendo necessario procurarsi una nuova domanda né nuovi prodotti; bastavano e avanzavano tipicità e tradizione. Oggi le vicende alimentari sono cambiate profondamente e hanno mutato la loro condizione mercantile, privilegiando la qualità e solo quella, per cui l’uomo sente il bisogno di rivedere i principi e le applicazioni dell’economia neoclassica, adeguando la teoria, con l’aiuto della ricerca scientifica, ai cambiamenti in essere e individuando nuovi modelli in sostituzione di quelli obsoleti perché non più competitivi. Nel contesto attuale, in assenza di innovazioni, i beni alimentari storici si sono ridotti a ricevere prezzi inadeguati per qualità e costi, mentre si è visto che scattano gli effetti utili, quando i produttori apportano dei miglioramenti, come è avvenuto per il Culatello di Zibello che oggi si preferisce produrlo partendo dalle cosce posteriori del suino nero romagnolo che permette di raggiungere un prezzo maggiorato rispetto a quello del prodotto precedente; si può uscire dalle difficoltà solo migliorando e innovando con intelligenza le singole filiere e l’intero sistema, appoggiando le tecniche alla ricerca scientifica, per arrivare all’adozione di nuovi assetti commerciali e all’uso di nuovo metodologie promozionali, che siano funzionali e coerenti con la qualità dei prodotti, con l’attuale stato della conoscenza e con le finalità economiche. Non è tutto qui; poiché l’Italia oggi ha mostrato di avere raggiunto il punto più alto della crisi per molti prodotti tipici e, poiché la crisi ha assunto caratteri strutturali, e, quindi, continuativi nel tempo, il problema non è più quello di attendere il tempo della ripresa, ma di eliminare le cause che hanno provocato la debacle. Se volessimo adeguare i prodotti tipici e tradizionali delle piccole e medie imprese alle nuove esigenze del 83 Sicilia e dieta mediterranea mercato, dovremmo cambiare l’approccio, ponendoli sotto l’ombrello protettivo di un’unica immagine agroalimentare del prodotto italiano, da fare emergere, con un unico intervento di marketing territoriale; è uno degli obiettivi che stiamo caldeggiando da diverso tempo dalle pagine dei “Rapporti sullo stato dell’agroalimentare in Italia”, come futuro approccio per rilanciare con maggiori dignità ed efficacia ogni prodotto e ogni area produttiva nel mercato moderno. Se è vero che le piccole imprese, pur essendo portatrici di qualità e tipicità, continueranno a incontrare delle difficoltà a reggere la concorrenza sui mercati e ad attrarre i consumatori e tanto meno i visitatori internazionali, la causa va ricercata in un’inerzia persistente che ha congelato da tempo la realtà dei prodotti tipici e tradizionali, che, invece, avrebbero dovuto rimanere flessibili nella forma e nella sostanza, per garantirne l’apprezzamento. Dovendo superare l’inerzia, evitando le ipocrisie, serve una nuova immagine della Sicilia, previa intesa dei produttori grandi e piccoli, per esaltarne la biodiversità e l’alta qualità che apparirebbe, questa volta, in forma univoca, col supporto di un’organizzazione capace di espandere l’export; è il principio che abbiamo richiamato più volte, ritenendo necessario fare nuove proposte per andare incontro al turismo internazionale, di cui si cominciano a sentire i primi effetti e come da un paio di anni circa ha cominciato a fare anche il grande capitale interno con la cordata Ifil, Marcegaglia, Banca Intesa, a cui di recente si è aggregata anche Pirelli Real Estate alla pari con gli altri partner. La nuova società “Turismo e immobiliare”, che ha acquistato il 49% del capitale sociale di Sviluppo Italia Turismo, che diventerà il 65% entro il 2009, è diventata proprietaria di sette comprensori localizzati in Puglia (Otranto), Calabria (Sibari-Simari Crichi), Campania (Acropoli), Basilicata (Pisticci) e Sicilia (Sciacca) e di due villaggi, uno sito nel comprensorio di Alimini e l’altro (Villaggio Floriana) nel comprensorio di Sieri Crichi, entrambi gestiti da Alpitour (Gruppo Ifil); fanno capo a Sit inoltre numerose imprese che gestiscono villaggi turistici e strutture alberghiere in Puglia, Calabria, Basilicata, Sicilia e Sardegna. L’operazione, che è esogena, consente di fare decollare il primo e più importante operatore pubblico-privato del Paese nell’attività turistica mediterranea, che è in forte espansione, facendo entrare l’Italia fra i primi concorrenti del mondo. Questa iniziativa va dunque intesa come la prima risposta effettiva alla necessità di dotare il territorio di operatori adeguati per scala e competitivi sul mercato, di destagionalizzare l’offerta, di indi84 Sicilia e dieta mediterranea viduare nuovi flussi turistici e di predisporre i conseguenti circuiti specifici. È il grande capitale interno che finalmente si sta aprendo all’area più povera di iniziative, ma più ricca di storia antica, in coerenza con l’”Umanesimo di ritorno”, facendo leva sulla dovizia delle proprie risorse storico-culturali, sulla biodiversità e sulla rivalutazione della qualità alimentare che qui ha mantenuto le sue radici più salde. Non va trascurato tuttavia il pericolo che il modello di investimento turistico in Sicilia si avvalga soltanto dei villaggi, che tendono, per loro natura, a chiudersi in se stessi, evitando i rapporti con la popolazione locale, trasformandosi così in piccole isole sviluppate all’interno di un territorio sottosviluppato. Occorre quindi che contemporaneamente decollino anche iniziative dal basso fatte dagli operatori locali che si organizzano per sviluppare il turismo internazionale. Ricordiamo, inoltre, che lo sviluppo del turismo internazionale richiede il miglioramento delle infrastrutture e dei servizi e l’aumento della ricettività in catene di grandi alberghi che sono gli unici compatibili con il turismo internazionale. Nel nuovo contesto, sta venendo avanti anche l’utilità di mettere in gioco il business alimentare italiano ancora prima di quello delle imprese, a cominciare dalle città di provincia e dai territori di produzione delle materie prime e degli alimenti più noti, distretti o bioregioni, fino a scendere ai comuni. Nella “riprogettazione“ dell’assetto terziario, alla Sicilia potrebbero spettare compiti di apripista, per avanzare analisi e proposte, come abbiamo sempre cercato di suggerire con questa e altre iniziative, nonostante il basso ascolto e le censure che le città di provincia non mancano di esercitare. Anche il presente Convegno costituisce un contributo nella direzione di una più moderna ed efficace identità dell’isola, che va costruita, come quella di altri territori, con un pragmatismo che guardi al futuro senza dimenticare il passato. L’Italia, come gli altri Paesi dell’Ue, si trova oggi di fronte, dopo tanto tempo, a una nuova sfida che, facendo leva sulle risorse interne, intende sostenere la concorrenza dei paesi leader dell’economia, come Usa e Giappone, e dei paesi emergenti, come Cina e India, che, in passato, si erano retti sull’alto impiego di manodopera, mentre ora stanno accumulando e investendo capitali e conoscenze. Se oggi l’Ue supera con poco più del 20% della produzione globale il 19% di Cina e India, si prevede che, 85 Sicilia e dieta mediterranea nel 2015, tali incidenze assumeranno rispettivamente i valori del 17% per l’Europa e del 27% per i due paesi asiatici. È una prospettiva che appesantisce con nuove difficoltà l’economia dei paesi più sviluppati che dovranno aumentare la loro competitività collegiale e individuale, utilizzando tecnologie, sinergie e innovazioni, compresa la “dieta mediterranea” e quella “continentale”. Anche l’Italia sarà chiamata a portare avanti i propri saperi attraverso i propri prodotti e le proprie tecnologie, indipendentemente dai confini geografici, amministrativi, settoriali, pubblici e privati. Tutto ciò comporta la necessità del rinnovamento, che mostri capacità di fare ricerca e innovazione; non è sufficiente che il Paese riesca a produrre tecnologie avanzate, se non è in grado poi di utilizzarle pienamente; così la sfida di oggi, se vuole privilegiare la creatività, non può fare a meno della ricerca, né di velocizzare l’informazione e la comunicazione né di valorizzare ogni risorsa del territorio, tra cui prevalgono le eccellenze alimentari insieme a storia, cultura, arte e tradizione, che sono le stesse risorse che avevano raggiunto, nell’Italia mediterranea, il vertice mondiale nel periodo dal VII al III secolo a.C., una civiltà che è stata all’avanguardia con la migliore produzione alimentare del mondo e che ancora oggi possiede qualità inimitabili, che l’Italia non è riuscita a collocare sui mercati internazionali a prezzi adeguati. Queste risorse, che, nel passato, hanno dimostrato di non essere sufficienti per risollevare l’economia di un territorio o di un Paese, oggi si ripresentano con maggiori chances, specialmente nei territori più ricchi di cultura e tradizione e dove sono maggiormente presenti le aspettative dell’opinione pubblica; la risposta può essere l’esistenza e il funzionamento di uno o più parchi o distretti o bioregioni, in analogia a quanto l’uomo ha fatto per conservare e valorizzare natura e ambiente; il modello, questa volta, è nuovo e predisposto per esternare, in base creativa, le espressioni migliori di una biodiversità storico-culturale ed ambientale ad ampio raggio, più presente nella culla della civiltà occidentale che altrove, tanto da potere mettere a punto nuovi modelli riguardanti tempo e spazio. La prospettiva prevede il recupero di cultura e tradizioni da offrire attraverso una nuova immagine del territorio al turismo, interpretandone l’attività e l’armonia in modo e in misura coerente con il coacervo delle risorse da impiegare, senza rinnegare mai il passato, ma aggiornandolo e rinvigorendolo nelle strategie, oggi carenti, quando non sono assenti del tutto. È un salto di qualità che il nuovo modello può far fare alla cultura d’impresa, all’eco86 Sicilia e dieta mediterranea nomia del territorio, alle istituzioni e alla società degli uomini; per affrontare in modo deciso e preciso tale compito può essere assolto dalle Fiere siciliane. Alcuni mesi fa abbiamo partecipato alla costituzione dell’”Istituto Nazionale per la Dieta Mediterranea e la Nutrigenomica” che, avvalendosi della fortunata scoperta del biologo americano Ancel Keys, permette di condividere l’eccezionalità di un momento storico che è diventato occasione di marketing territoriale per il turismo internazionale e quello interno che sono in espansione. Se venisse costituito analogo istituto, questa volta dedicato alla “dieta continentale” e i due istituti agissero insieme, avremmo l’opportunità di riflettere e fare riflettere sulle origini della civiltà alimentare dell’Occidente e valorizzare ancora di più e meglio la nostra antica cultura tipica, facendola entrare con successo nei mercati moderni grazie a una nuova immagine, superando in tal modo il confine ravvicinato di una concorrenza che è sempre più agguerrita. 87 Sicilia e dieta mediterranea Bibliografia • • • • • • • • • • • • • • • • 88 A.A.V.V. 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Evidenze scientifiche molto significative vengono dagli studi effettuati nei Paesi del bacino Mediterraneo, dove vari aspetti della Dieta Mediterranea sono apparsi assai favorevoli nel prevenire il rischio di rischio oncologico in termini più generali, così come delle malattie cardiovascolari. I risultati emersi dagli studi condotti nel 1960 a Nicotera,(l’area rurale pilota del Seven Countries Study), costituiscono un patrimonio scientifico di grande pregio. Tali studi, coordinati dal Prof. Flaminio Fidanza, hanno evidenziato quanto le abitudini alimentari e lo stile di vita della popolazione adulta di Nicotera di allora erano tali da assumere un ruolo preventivo nei riguardi di varie patologie. La dieta di Nicotera degli anni ’60 è stata perciò scelta come Dieta Mediterranea Italiana di Riferimento. In essa prevalevano cereali, legumi, pesce, olio vergine d’oliva, verdure, frutta, mentre era limitato il consumo di latte, formaggi, carni e grassi di origine animale. Abbondavano le spezie, erbe selvatiche ed erbe aromatiche con spiccate proprietà salutari. Come bevande alcoliche erano consumate moderate quantità di vino, prevalentemente rosso. L’attività fisica era svolta in modo soddisfacente. Nella seconda metà del secolo scorso la società italiana è passata da una tipologia prevalentemente agro-famigliare ad una prevalentemente industriale-collettiva. Le modificazioni indotte nello stile di vita sono state notevoli, con un forte impatto sul comportamento nutrizionale. L’apporto di energia giornaliero ha superato di circa 400 kcal il livello raccomandato in gran parte per l’aumentato consumo di grassi, carni e alimenti dolci. Gli alimenti di origine animale hanno subito un incremento di consumo notevole, specialmente le carni e tra queste in particolare la carne bovina per la quale si è registrato un aumento costante, con una flessione solo negli ultimi anni. Anche il consumo di carne suina, di pollame e di carne di coniglio ha raggiunto un sensibile incremento. Per i prodotti della pesca si osserva pure un consumo più elevato, mentre è diminuito quello dei prodotti della pesca conservati. Per quanto riguarda gli alimenti di origine vegetale i consumi sono aumentati moderatamente per il frumento e sono diminuiti per i cereali minori e per il riso. I legumi secchi e alcuni ortaggi (patate, cavoli e cavolfiori) hanno mostrato un incremento iniziale al quale ha fatto seguito una inversione di tendenza. Per tutti gli 93 Le caratteristiche della Dieta Mediterranea Italiana di Riferimento ed i suoi effetti salutari altri ortaggi si è verificato inizialmente un costante aumento dei consumi seguito da una contrazione nell’ultimo periodo che ha riguardato mele, pere, pesche e uva. Per tutta l’altra frutta, e in particolare per gli agrumi e frutta d’importazione, si è registrata una costante ascesa nei consumi. I grassi da condimento si sono stabilizzati negli anni più recenti, dopo la forte crescita nel consumo nel ventennio ’52-’72; in questo periodo si è avuto un aumento soprattutto per gli oli di semi, mentre incrementi più modesti sono stati registrati per l’olio d’oliva e ancora meno marcati per i grassi animali (burro, lardo, strutto). Per quanto riguarda le bevande alcoliche il consumo di vino, dopo un moderato aumento iniziale, è diminuito decisamente negli ultimi anni. In forte e costante crescita è il consumo di birra e di super-alcolici. L’attività fisica sia lavorativa, sia ricreativa si è ridotta drasticamente. Tutte queste modificazioni unite all’inquinamento ambientale e allo stress, che lo stile di vita attuale comporta, rappresentano fattori di rischio per varie malattie cronico-degenerative. Tra il 1960 ed il 1996 a Nicotera, secondo quanto emerso in uno studio comparativo, il consumo di lipidi espresso come percento dell’energia è aumentato dal 23 al 43,6 per cento, mentre il consumo di carboidrati è sceso dal 64 al 44,2 per cento. L’apporto di proteine è rimasto costante mentre è aumentata la quota proteica derivante dalle carni. L’energia totale della dieta è aumentata del 20% e ciò in associazione ad una ridotta attività fisica. L’Indice di Adeguatezza Mediterranea di 7,2 nel 1960 è sceso nel 1996 per gli uomini a 2,2 e per le donne a 2,7. La dieta mediterranea di riferimento italiana si può quindi definire come una dieta moderata in cui alcuni alimenti caratteristici dell’area mediterranea, occupano sapientemente un posto preminente nel rispetto dell’adeguatezza energetica, sia come apporto sia come dispendio Innanzitutto va messo in evidenza l’appropriato bilancio tra apporto e dispendio energetico e ciò vale per tutte le età. I rapporti tra i macronutrienti energetici rispondono a quelli riconosciuti come adeguati, cioè 1215% dell’energia totale da proteine, 25-30% da lipidi e la restante quota da carboidrati. L’energia da alcol etilico, fornito principalmente dal consumo di vino durante i pasti rientra nei valori accettabili: per l’uomo 2-3 bicchieri al giorno e per la donna 1-2 bicchieri. Definito il valore della Dite Mediterranea di riferimento, è necessario introdurre il concetto di “qualità” nutrizionale, intendendo l’insieme delle proprietà e delle caratteristiche di un prodotto che conferiscono ad esso 94 Le caratteristiche della Dieta Mediterranea Italiana di Riferimento ed i suoi effetti salutari le capacità di soddisfare varie esigenze. Nel settore alimentare la definizione di “qualità” fa riferimento ai requisiti specifici delle derrate alimentari. Il “Codex Alimentarius” è un insieme di norme, stilate da apposite commissioni istituite dalla FAO, che hanno valore a livello del commercio mondiale e che rappresentano delle “raccomandazioni” piuttosto che dei veri e propri decreti legislativi. Tuttavia, le norme, pur prendendo in considerazione le derrate alimentari ritenute fondamentali a risolvere i problemi nutrizionali di alcuni paesi o i prodotti più interessanti del mercato mondiale, definiscono criteri di classificazione degli alimenti e di igiene degli stessi. In Italia l’organo preposto alla vigilanza di queste norme è il Ministero dell’Agricoltura che conformemente alle norme suddette e a quelle ulteriormente erogate dalla CEE prevede per ogni alimento messo in commercio le seguenti norme: descrizione e presentazione del prodotto, composizione chimica (% limite di H2O), definizione dei difetti, contaminanti e aspetti igienici, etichettatura. Dal punto di vista puramente igienico-sanitario-commerciale, le norme suddette, rispondono sufficientemente all’esigenza di conoscere il prodotto in termini qualitativi e quantitativi, tuttavia, dal punto di vista nutrizionale, nessuna informazione specifica viene data. D’altro canto, per gli stessi nutrizionisti sussiste l’esigenza di classificare gli alimenti secondo proprietà più attinenti ai principi nutritivi, in termini di macro e micro nutrienti, alla loro tipologia e alla bio-disponibilità di questi ultimi. Allora, sulla base delle quantità definite dalle analisi bromatologiche di ogni singolo alimento e delle sostanze che lo compongono, si possono utilizzare degli indici capaci di definire la “qualità nutrizionale” di ciascun alimento, all’occorrenza, dell’intera dieta. D’altra parte non va dimenticata la complessità di fornire diete bilanciate secondo il modello mediterraneo e personalizzate secondo i fabbisogni calorici individuali. Comporre diete che presentino la variabilità alimentare necessaria a fornire i nutrienti e la fibra nelle opportune dosi a soddisfare il dispendio energetico non è affatto facile! Ancora meno facile risulterà definire diete equilibrate per soggetti patologici dove la stessa dieta è da considerarsi un “atto medico”, spesso da associare alla terapia farmacologica. Allora ben vengano gli indici nutrizionali in quanto capaci di caratterizzare e sintetizzare i principi salutistici e nutrizionali di ciascuna dieta. Di seguito viene riportato un elenco degli indici nutrizionali: L’Indice di Qualità Nutrizionale (INQ). Tale indice rappresenta il rapporto tra 95 Le caratteristiche della Dieta Mediterranea Italiana di Riferimento ed i suoi effetti salutari la percentuale di copertura del fabbisogno di nutrienti e la percentuale di copertura del fabbisogno calorico per la porzione di alimento considerato. L’INQ è una misura delle qualità nutrizionali dei singoli macronutrienti o dei micronutruienti contenuti nella pietanza rispetto ai valori standardizzati e di riferimento di una dieta bilanciata con importo calorico medio di 2400 kcalorie (Larn). Esisteranno quindi tanti Indici di Qualità Nutrizionale quanti sono le classi di macro e micronutrienti (INQprotidi, INQglucidi, ecc.) e ciò per ciascun alimento, per ciascuna pietanza o per l’intera dieta. I valori maggiori di 1 indicano che l’alimento preso in esame è una buona fonte del nutriente considerato, mentre valori inferiori ad 1 indicano che l’alimento non contiene una quantità adeguata del nutriente dato. Si potrà quindi integrare la quota mancante di nutriente mediante l’assunzione di altri prodotti alimentari ricchi del nutriente in questione, in modo da ottenere una cosiddetta “razione bilanciata”. Il Rapporto tra Protidi (V/A). Come già detto, una Dieta Mediterranea prevede una percentuale di protidi totali che può variare dal 10 al 15%, mentre l’apporto dei protidi vegetali deve essere doppio rispetto all’apporto dei protidi di origine animale. Il rapporto V/A dovrà attestarsi intorno a 2. L’Indice Glicemico (IG). Oltre ai protidi è possibile caratterizzare anche la classe dei glucidi presenti in una particolare dieta e verificare se essa è composta da circa il 60% di tale specie. Gli alimenti più ricchi in glucidi o carboidrati sono il pane, la pasta, il riso e i dolci in generale. È possibile distinguere tra carboidrati semplici e carboidrati complessi ed il loro indice nutrizionale è rappresentato dall’indice glicemico (IG). Questo indice non è altro che il rapporto espresso in percentuale tra l’incremento della risposta glicemica post-prandiale di un certo alimento e quella che si ha da un alimento standard (pane bianco) che è consumato in quantità isoglucidica e che viene preso come riferimento. In pratica ciò che più interessa è la capacità che ha un alimento di innalzare il livello di glucosio nel sangue in un certo periodo di tempo, e sono già disponibili tabelle dove alcuni alimenti vengono classificati per range di IG, ossia per velocità di assorbimento. I rapporti tra acidi grassi. I grassi alimentari rappresentano un utile magazzino energetico e la Dieta Mediterranea ne prescrive una percentuale del 30%. Tuttavia se assunti in grandi quantità e in maniera continuata i grassi possono essere causa di malattie cronico-degenerative. La qualità 96 Le caratteristiche della Dieta Mediterranea Italiana di Riferimento ed i suoi effetti salutari nutrizionale dei lipidi contenuti nei vari cibi è strettamente connessa alla loro composizione in acidi grassi a diverso grado di insaturazione. È ormai risaputo che esiste una forte correlazione tra il numero dei doppi legami negli acidi grassi e l’aumento del rischio cardio-vascolare. Su questa base, i nutrizionisti hanno elaborato due semplici criteri di valutazione: • IL RAPPORTO TRA GRASSI MONOINSATURI/SATURI (M/S) - Una dieta mediterranea ha generalmente un rapporto tra la quantità in grammi di acidi monoinsaturi rispetto a quelli saturi che dovrebbe essere uguale o maggiore di 2 al fine di presentare acidi meno condizionanti la colesterolemia. • IL RAPPORTO TRA GRASSI POLINSATURI/SATURI (P/S) - Analogamente al rapporto precedente, una dieta mediterranea ha generalmente un rapporto tra la quantità in grammi di acidi polinsaturi rispetto a quelli saturi, che potrebbe variare da 0.4 a 1. Proprio perché gli acidi grassi hanno effetti differenti sul nostro organismo, i nutrizionisti trovano utile differenziare più accuratamente la tipologia degli acidi grassi. Gli acidi a lunga catena, come ad esempio l’acido stearico e l’acido palmitico hanno un effetto trombogenico maggiore degli acidi a catena corta risultando ulteriore causa di rischio cardiovascolare. Viceversa, acidi corti, come l’acido oleico, si dimostrano meno trombogenici e pertanto vengono preferiti ai grassi a catena lunga. Al fine, quindi, di controllare tali aspetti, è stato introdotto, dapprima: • L’INDICE DI ATEROGENICITÀ (IA) - L’IA prende in considerazione i grassi monoinsaturi e distingue anche tra differenti tipi di acidi grassi nel calcolare il potenziale aterogenico della dieta. E di seguito: • L’INDICE DI TROMBOGENICITÀ (IT) - L’ IT attribuisce differente peso ai diversi acidi grassi w-3 e w-6 in accordo con il loro potere antitrombogenico e include anche acidi grassi monoinsaturi. L’ipercolesterolemia, quale possibile causa di malattie cronico-degenerative, può essere controllata mediante due parametri: il Colesterolo Esogeno, ossia il colesterolo introdotto con i vari alimenti; il Colesterolo Endogeno, ossia il colesterolo prodotto naturalmente dall’organismo e di norma visto nella sua forma ossidata. Ovviamente, il colesterolo totale all’interno dell’organismo si somma e può portarsi a livelli di rischio. Pertanto, sia nelle condizioni fisiologiche, tanto più 97 Le caratteristiche della Dieta Mediterranea Italiana di Riferimento ed i suoi effetti salutari • nelle condizioni patologiche, dovrà essere tenuto sotto controllo l’apporto di colesterolo proveniente dalla dieta. A tal fine alcuni ricercatori americani individuano nel Cholesterol Saturated-Fat Index (CSI) un indice aderente ai valori metabolici. CHOLESTEROL/SATURATED FAT INDEX (CSI) - Il CSI viene usato per comparare differenti cibi e ricette e per valutare l’introito giornaliero di grassi. Esso esprime la qualità lipidica degli alimenti o dei menù e fornisce nel contempo un valido indicatore per l’individuazione del rischio aterogenico. Il valore del CSI viene espresso in scala da 1 a 1000. Il potenziale aterogenico del cibo si riferisce al colesterolo e ai grassi saturi in esso contenuti; minore è questo indice, più basse sono le probabilità di incidenza di malattie cardiovascolari. Come è stato riportato si assiste oggi in Italia ad un deciso allontanamento dalla tradizionale Dieta Mediterranea di riferimento italiana. E’ indispensabile una profonda inversione di tendenza. Le malattie croniche sono nella maggior parte dei casi prevedibili, come dimostrano i numerosi studi epidemiologico-nutrizionali finora svolti. L’età, il sesso e la suscettibilità genetica non sono modificabili, ma possono esserlo molti fattori di rischio associati all’età ed al sesso. Tali fattori di rischio comprendono fattori comportamentali, come abitudini alimentari inadeguate, scarsa attività fisica, abitudine al fumo; fattori biologici, come dislipidemie, ipertensione arteriosa, sovrappeso, obesità, iperinsulinemia e fattori socio-economici, culturali e ambientali. Quanto sapientemente fanno osservare Iossa e Mancini, di seguito integralmente riportato, costituisce motivo di profonda riflessione per l’intera società a tutti i livelli: “recentemente si è tentato di stimare il rischio attribuibile a fattori dietetici sia per la patologia oncologica che per quella metabolico-vascolare. La riduzione dei grassi di origine animale e l’aumento dei vegetali nella dieta può ridurre l’incidenza dei tumori del colon e della mammella rispettivamente del 50% e del 27%, con un’efficacia reale di circa il 75% rispetto a quella teorica. Una sostanziale riduzione della prevalenza di obesità nelle donne in postmenopausa, comporta un ulteriore 12% di riduzione del tumore mammario. Inoltre, riducendo l’obesità nelle donne, si potrebbe anche ottenere una diminuzione del 30% dell’incidenza di tumori dell’endometrio. Se al miglioramento delle abitudini alimentari si accompagna l’abolizione del fumo di sigaretta, si 98 Le caratteristiche della Dieta Mediterranea Italiana di Riferimento ed i suoi effetti salutari potrebbe ottenere una riduzione di circa l’80% dei tumori polmonari, del 60% dei tumori vescicali, del 50% di quelli pancreatici. Un ridotto consumo di alcol associato all’abolizione del fumo di sigaretta, potrebbe addirittura produrre una diminuzione di circa il 90% dei tumori orofaringei e delle vie aeree superiori. Per quanto riguarda le malattie cardiovascolari, se gli uomini e le donne italiane tra i 20 ed i 59 anni, in maggioranza abituati ad alti consumi di grassi saturi e bassi consumi di mono e polinsaturi, modificassero le loro abitudini orientandosi verso la tradizionale alimentazione mediterranea, si potrebbe conseguire in 25 anni una riduzione della mortalità cardiovascolare di circa il 18% (20% in meno di mortalità coronarica e 12% in meno di mortalità da ictus cerebrale). La diminuzione di soli 3g del consumo quotidiano di sale, comporterebbe una riduzione del 5% della mortalità cardiovascolare”. 99 7 La dieta mediterranea nell’era post-genomica Laura Di Renzo Biologa molecolare Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” e dirigente di Ricerca dell’Istituto Nazionale per la Dieta Mediterranea e la Nutrigenomica La dieta mediterranea nell’era post-genomica Il successo del progetto Genoma Umano e gli ormai affinati strumenti della Biologia Molecolare hanno condotto la Nutrizione Umana e la Medicina in generale in una nuova era di ricerca e di applicazione clinica, assistendo nel campo della biologia molecolare ad una rivoluzione che potremmo definire “Copernicana” con al centro le basi molecolari nella organizzazione di una nuova disciplina: la Nutrizione Molecolare. Fino ad oggi farmaci e cure sono stati prescritti seguendo una “fortuita casualità”. Da oggi in poi affinché si possa cambiare qualcosa nella prevenzione, diagnosi e terapia delle malattie bisognerà partire dai fondamenti della malattia stessa, dalla reale profonda conoscenza, e quindi, dai meccanismi fisiologici che ne sono alla base, già prima che se ne manifestino i sintomi, che se ne manifesti l’insorgenza. Le interazioni che sussistono fra geni-proteine e nutrienti sono ormai quasi del tutto prossime ad essere chiarite: le nuove discipline, Nutrigenetica, Nutrigenomica, Metabolomica e le discipline associate, Epigenetica e Proteomica, saranno materia di intensi studi nel prossimo futuro in quanto in queste risiede la speranza di trasformare realmente le potenzialità di un nutriente rendendolo capace di giocare il ruolo di primo elemento nella prevenzione e cura delle malattie, con particolare riguardo alle patologie cronico-degenerative, tumorali e dismetaboliche. L’integrazione fra queste nuove discipline porterà ad un enorme sviluppo delle conoscenze sulla Nutrizione, senza dimenticare il parallelo sviluppo delle tecnologie, le biotecnologie, di supporto. L’obiettivo innanzitutto è quello di scoprire come può esacerbarsi una malattia a partire da una predisposizione genetica individuale, per poi andare oltre ed arrivare alle interrelazioni gene - proteina, gene - nutriente e quindi gene - metabolica, ed infine capire come l’accumulo (o la carenza) di taluni metaboliti possa portare all’estrinsecarsi della condizione patologica definibile come malattia . Il futuro sarà nella capacità di prevenzione dell’evento patologico, partendo dalla possibilità di dare i nutrienti e così i medicinali non più su mere basi empiriche, ma sulla profonda conoscenza dell’individuo, a partire dallo studio della sua struttura molecolare, ovvero da ciò che realmente lo differenzia dal resto: cibo e farmaci non più rimedi di una situazione di dissesto biofisico ormai instauratasi, bensì essi stessi facenti parte di un discorso globale di profilassi della malattia. 103 La dieta mediterranea nell’era post-genomica Quanto esposto dovrà portare a risultati che potremo così riassumere: a) La necessità di esplorare il ruolo ed il meccanismo d’azione dei nutrienti; b) Stabilire valori precisi, quantitativi, di fabbisogno di nutrienti e interpretare le basi molecolari e cellulari delle variazioni individuali del fabbisogno stesso; c) Capire, con maggiore accuratezza, la natura delle interazioni genotipo - ambiente, focalizzando l’attenzione sulle relazioni intercorrenti fra malattia cronico - degenerativa e anamnesi nutrizionale; d) Ottimizzare la produzione del cibo, in particolar modo il suo contenuto in nutrienti ad elevato valore biologico, per determinati contesti sociali individuabili geneticamente, etnicamente, economicamente e culturalmente . Un nutriente come potrebbe essere definito? Di sicuro a questa domanda un paio di decenni fa si poteva rispondere molto più facilmente, mentre ora ha assunto diverse sfumature che lo caratterizzano, a cominciare dall’essere un’entità complessa, “un costituente perfettamente caratterizzato (chimicamente, fisicamente e fisiologicamente) di una dieta, che può servire come fornitore di energia in termini di calorie, o come substrato, o come precursore per la sintesi di macromolecole, o di altri composti per la normale differenziazione, crescita, rinnovo, riparo difesa e/o mantenimento della cellula, o ancora come una molecola segnale, un cofattore, un determinante della normale struttura molecolare e/o un promotore dell’integrità della cellula e dell’organismo”. Da questo si evince l’innumerevole quantità di azioni e funzioni che può svolgere un nutriente a cominciare dall’essere catalizzatore per determinate reazioni e giocare il ruolo di cofattore, dallo svolgere ed eseguire sequenze di istruzioni partecipando come molecola segnale, dal fornire substrati per macromolecole con una straordinaria varietà di funzioni, quali acidi nucleici, aminoacidi per le proteine, dall’alterare la struttura molecolare e promuovere l’assemblaggio di altre strutture cellulari. Dallo studio dei geni, tramite la Genomica e la Genetica, integrate dal supporto fondamentale delle Nanotecnologie, della Bioinformatica e correlate alla Proteomica ed alla Metabolomica, potremo sicuramente avere più nozioni su queste interrelazioni cellula-ambiente e quindi, organismo-nutriente . 104 La dieta mediterranea nell’era post-genomica Tutti ciò andrà ad influenzare in maniera determinante il fenotipo, che risulterà dalla somma di tutte le caratteristiche funzionali correlate con lo stato di salute, ovvero “le caratteristiche fisiche e biochimiche osservabili di un organismo”. Il genotipo, da cui dipenderà in primo luogo il fenotipo, lo andiamo a descrivere come la sequenza genetica di un organismo, mentre l’ambiente sarà la somma di tutte le variabili esterne, integrando conseguentemente la dieta, lo stile di vita, nonché ogni organismo coesistente. Le variazioni individuali saranno frutto delle differenze biologiche nel corredo genetico di ogni persona, nell’ambiente in cui si troveranno a vivere e nella memoria metabolica accumulata. Le direzioni che verranno prese tengono tutte in considerazione il fatto che ogni passaggio è influenzato, anzi è dipendente, dalle componenti bioattive degli alimenti, e si rivolgono verso lo studio dell’origine della memoria cellulare, il DNA, tramite la Nutrigenetica, continuando con il trascritto, l’mRNA e quindi la Nutrigenomica, non tralasciando le modificazioni pre-trascrizionali che può subire il DNA (metilazioni, il metiloma, acetilazioni, in particolar modo) dunque l’Epigenetica per arrivare alle proteine, alla stabilità dell’mRNA, e quindi al metaboloma con la Metabolomica andando a considerare le strutture enzimatiche, le modificazioni subite da una proteina quali fosforilazioni, tiolazioni, glicosilazioni post-traduzionali. Ogni studio andrà effettuato senza scordare l’importanza di fornire una dieta che comunque tenga conto dell’RDA (Recommended Dietary Allowance), riducendo l’introito calorico giornaliero e mantenendolo a livelli stabiliti geneticamente e dettati dallo stile di vita di ciascuno. E’ proprio in questa ottica della nuova frontiera della Nutrizione Umana che ben si inserisce la possibilità di seguire una dieta basata sui dettami della Dieta Mediterranea, quale strumento di prevenzione primaria, di malattie cronico degenerative, per migliorare la qualità di vita. Le raccomandazioni basate sulla Dieta Mediterranea dovrebbero portare a un aumento del consumo di frutta e verdura e di pesce e a modificare la qualità dei grassi e degli oli, così come la quantità di zuccheri e di amido. Il consumo preferenziale di frutta, verdura, pesce così come l’attività fisica e un’assunzione di alcool bassa o moderata, rappresentano condizioni per le quali esistono evidenze scientifiche convincenti a favore di un loro effetto nel ridurre il rischio per malattie cardiovascolari (CVD). 105 La dieta mediterranea nell’era post-genomica Sostituendo gli acidi grassi saturi sia con gli acidi grassi monoinsaturi sia con gli acidi grassi poliinsaturi n-6, n-3 (PUFA), si ottiene una riduzione del colesterolo plasmatico totale e lipoproteine a bassa densità (LDL). Gli effetti biologici dei PUFA n-3 sono ad ampio spettro, poiché agiscono a livello di lipidi e lipoproteine, pressione arteriosa, funzione cardiaca, compliance arteriosa, funzione endoteliale, reattività vascolare e elettrofisiologia cardiaca, inoltre esplicano effetti antiaggreganti e antinfiammatori. Le fibre alimentari, una miscela eterogenea di polisaccaridi e lignina non digeribili, riducono il colesterolo totale e le LDL. La relazione fra folati e CVD è stata esplorata soprattutto considerando gli effetti sull’omocisteina, che può essa stessa rappresentare un fattore di rischio indipendente per la malattia coronarica e probabilmente anche per l’ictus. L’acido folico è necessario per la metilazione dell’omocisteina a metionina. Ridotti livelli plasmatici di folati sono stati significativamente associati con elevati livelli plasmatici di omocisteina ed è stato dimostrato che una supplementazione di folati determina una riduzione di questi livelli . I flavonoidi sono composti polifenolici che si trovano in numerosi alimenti di origine vegetale, come the, cipolle e mele. Dati ottenuti da molti studi prospettici documentano un’associazione inversa fra flavonoidi della dieta e malattia coronarica . Lo scopo è dunque quello di poter avere diete realmente personalizzate adatte alle differenze individuali, seguendo la Dieta Mediterranea di riferimento. La dieta sarà momento fondamentale della vita di una persona in quanto le componenti bioattive degli alimenti, scelti tra tutti quelli di produzione locale mediterranei, freschi e secondo la stagionalità, tra il pescato delle nostre coste e gli allevamenti di animali locali per la produzione di carne e derivati, saranno strumento medico nella lotta alle malattie ed avvicineranno la funzione del nutriente a quella di un farmaco, anzi, faranno sì che gli alimenti divengano essi stessi farmaci. Inizierà così l’era della Nutraceutica. 106 8 Dieta mediterranea: come difenderla e come applicarla Adalberta Alberti Vice Presidente dell’Istituto Nazionale per la Dieta Mediterranea e la Nutrigenomica Dieta mediterranea: come difenderla e come applicarla Jacopo Bartolomeo Beccari,lo scopritore del glutine,vissuto nella prima metà del 1700, così si esprimeva nei riguardi del modo di alimentarsi dell’uomo: Quid aliud sumus nisi id unde alimur? Questa sentenza va interpretata nel senso che lo stato del nostro organismo non è altro che l’effetto biologico delle nostre abitudini alimentari . Dopo circa trecento anni ci permettiamo di estendere il significato delle parole “unde alimur” al nostro comportamento nutrizionale o dieta. Per “dieta” (dal greco diaita),si intende il regime di vita in rapporto al processo nutritivo, quindi la quantità e la qualità degli alimenti “consumati abitualmente e tutte le consuetudini collegate alla introduzione del cibo ed alla sua utilizzazione. L’insieme degli alimenti che l’uomo liberamente sceglie o crede di scegliere,che trova per la sopravvivenza o che gli viene prescritto nella dietetica fisiologica o terapeutica costituisce il punto in cui due categorie di fattori convergono e nello stesso tempo si intersecano determinandone l’effetto biologico: da una parte fattori di natura digestiva, assorbitiva, ormonale, nervosa, dall’altra fattori legati alla ripartizione dei pasti durante la giornata, alle modalità di preparazione e di assunzione degli alimenti, all’entità del dispendio energetico, alle condizioni ambientali (1). La nostra dieta, anche quando esiste una sufficiente disponibilità di alimenti, può non coincidere con le nostre reali esigenze nutrizionali. dalle quali essa purtroppo se ne allontana spesso e notevolmente. Eppure siamo dotati di raffinati sistemi di controllo che regolano l’introduzione di cibo e la percezione della sazietà. Tali sistemi, pur normalmente funzionanti,sono sopraffatti da fattori interferenti molto forti di carattere emotivo-simbolico,sociale,psicologico. (gli animali allo stato selvaggio, il cui comportamento nutrizionale è governato da impulsi esclusivamente istintuali, non sono afflitti da obesità. Non così avviene per gli animali addomesticati o domestici , vittime di un’offerta di cibo che esula dalle loro fisiologiche necessità). Tali fattori portano alla adozione di abitudini alimentari e stili di vita che costituiscono fattori di rischio per gravi malattie cronico-degenerative, come cardiovasculopatie, diabete, neoplasie. Prendiamo in esame la situazione italiana. Oggi gli errori più comuni della dieta degli italiani sono i seguenti: • Eccessivo apporto di energia. • Squilibrio nella ripartizione dell’energia tra i nutrienti energetici • Eccessivi consumi di grassi saturi, carni, dolci, alcol etilico 109 Dieta mediterranea: come difenderla e come applicarla • Modesti consumi di verdura, frutta, prodotti della pesca, legumi secchi, cereali integrali. • Prima colazione omessa o troppo scarsa. • Ridotta attività fisica La dieta attuale è quindi lontana dalla “Dieta Mediterranea di Riferimento”, un tipo di dieta in cui prevale la moderazione e che è associata ad uno stato di salute soddisfacente (2). Ma gli italiani non si sono comportati sempre così dal punto di vista nutrizionale,anche se l’Italia per tradizione dovrebbe essere la terra della dieta mediterranea da seguire. A questo punto è importante ricordare che non tutta la cucina tradizionale italiana riflette la tipica dieta mediterranea italiana con caratteristiche salutari. Così abbiamo ricette ricche, come tortellini al ragù, lasagna al forno, sartù di riso, pappardelle al sugo di lepre, una volta riservate ad occasioni particolari, il cui effetto gustativo purtroppo raggiunge livelli altissimi e ricette più semplici che erano consumate abitualmente, come minestroni, pasta e legumi, pasta con prodotti della pesca, pasta e broccoli, il cui importante significato: nutrizionale ben si associa ad una notevole gratificazione sensoriale. Prendiamo brevemente in esame quanto è avvenuto dal punto di vista nutrizionale nella società italiana dopo la Seconda Guerra Mondiale. Il miglioramento dello stile di vita, grazie alle rivendicazioni sociali, ha avuto importanti ripercussioni sul comportamento nutrizionale. La dieta dei lavoratori agricoli, dei pescatori, degli operai, delle fasce, cioè che rappresentavano la maggior parte della popolazione, si modificò migliorandosi progressivamente, sostanzialmente per un aumentato consumo di alimenti di origine animale e per una riduzione del dispendio energetico giornaliero. Nel contesto di queste modificazioni la dieta per un certo periodo di tempo mantenne molti degli aspetti positivi precedenti fino a raggiungere una fase di massimo miglioramento con i più adeguati aggiustamenti coincidenti con le caratteristiche della salutare Dieta Mediterranea e con un più basso rischio di mortalità e di morbilità per patologie cronico degenerative su base nutrizionale. Ma all’acme del miglioramento ha fatto seguito l’inizio di un processo inverso con graduale aumento dell’abituale apporto totale di energia della dieta, eccessivo consumo di carni e derivati del latte e riduzione di alimenti di origine vegetale. Il dispendio energetico non ha compensato 110 Dieta mediterranea: come difenderla e come applicarla l’apporto di energia della dieta e l’organismo ha manifestato le sue risposte negative. Tutto ciò non ha riguardato soltanto gli adulti. Fin dall’età evolutiva, a livelli anche molto precoci, si sono osservate analoghe tendenze. I consumi alimentari e lo stile di vita dei giovani sono diventati decisamente meno salutari rispetto a quelli dei loro genitori e dei loro nonni,come abbiamo rilevato dalle nostre indagini epidemiologiche (3). La salutare dieta mediterranea va quindi difesa seriamente. Esistono valide ragioni scientifiche per tale difesa: • Rapporto ottimale tra i nutrienti energetici. • I carboidrati sono rappresentati prevalentemente da amido, fornito in gran parte da frumento e in quantità più moderata da legumi secchi, mentre la quota di saccaroso è notevolmente al di sotto della quantità tollerata dagli esperti. • La quota lipidica è ripartita tra acidi grassi saturi, mono e poliinsaturi in modo da rispettare i valori suggeriti, intorno al 7,5 % dell’energia da saturi, 7,5% da poliinsaturi e 15% da monoinsaturi. • La presenza di prodotti della pesca e dell’olio d’oliva assicura l’apporto di acidi grassi essenziali (in particolare omega 3) e di acido oleico. Gli acidi grassi omega 3, come è noto, svolgono un’azione marcata di prevenzione e controllo non solo nei riguardi delle malattie cardiovascolari, ma anche di varie altre patologie come cancro, artrite reumatoide, psoriasi, cataratta. Da studi molto recenti (giugno 2006) emerge che una maggior adesione alla Dieta Mediterranea è associata ad una riduzione del rischio di morbo di Alzheimer. L’abbondanza di frutta e verdura assicura minerali e vitamine e nell’ambito di quest’ultime vitamine antiossidanti, inoltre offre composti fenolici con spiccata azione antiossidante (presenti anche nell’olio extravergine d’oliva e nel vino rosso) e fibra. Perché oggi il problema degli antiossidanti è tanto preoccupante? Perché la dieta attuale non offre in quantità adeguate gli alimenti portatori di sostanze antiossidanti e inoltre perché nell’epoca in cui viviamo il rischio di aggressioni ossidanti da parte dell’ambiente che ci circonda è più alto rispetto ad una volta; basti pensare al fumo di sigaretta, ai lipidi ossidati della dieta; all’esposizione a pro-ossidanti, come ozono dello smog, biossido d’azoto, alle radiazioni ionizzanti. 111 Dieta mediterranea: come difenderla e come applicarla E’ importante assicurare al nostro organismo, fin dalla più tenera età, già dalla vita intrauterina, la giusta disponibilità di componenti antiossidanti. Da una nostra recente ricerca su gestanti in condizioni fisiologiche è emerso che la capacità totale plasmatica antiossidante diminuisce con il progredire della gravidanza e raggiunge il valore più basso al parto, che la diminuzione dal secondo al terzo trimestre è significativa e che esiste una correlazione positiva tra valori della madre al terzo trimestre e al parto e valori del funicolo ombelicale del rispettivo neonato (4). Fig. 1 - Valori dell’ORAC del sangue di donne durante la gravidanza ed al parto e del cordone ombelicale dei rispettivi neonati V ORAC (mmol trolox ep.) 5.7 5.5 * 5.3 5.1 4.9 * 4.7 4.5 First trimester Second trimester Third trimester Delivery Umbilical cord * p> 0.05 rispetto al primo, secondo e terzo trimestre A breve distanza di tempo è stato svolto uno studio il cui scopo era quello di valutare la capacità antiossidante del colostro, latte di transizione e latte maturo prelevato da donne in condizioni fisiologiche. Per il colostro e latte di transizione, i cui valori sono risultati leggermente più elevati del latte maturo, si osserva una correlazione positiva con l’apporto delle provitamine e vitamine antiossidanti da parte della madre durante la gravidanza, mentre l’apporto di tali nutrienti durante il periodo del colostro e latte di transizione erano correlati rispettivamente con i valori della capacità antiossidante del latte di transizione e latte maturo (5). Questi risultati suggeriscono uno stretta relazione tra apporto di antiossidanti durante la gravidanza e l’allattamento e la capacità antiossidante 112 Dieta mediterranea: come difenderla e come applicarla del latte di donna. Inoltre essi indicano che gli alimenti con elevato contenuto di antiossidanti (frutta e verdura) dovrebbero essere generosamente consumati durante la gravidanza e l’allattamento per consentire un soddisfacente stato antiossidante della gestante e della nutrice e di riflesso una capacità antiossidante altrettanto soddisfacente del latte secreto. Ancora una volta si ha conferma dell’utilità dell’adozione di una salutare dieta mediterranea La migliore via da perseguire per difenderla ed applicarla è l’attuazione di mirati interventi di nutrizione applicata, specifici per fasce differenti della popolazione: età evolutiva, genitori, anziani, gestanti, etc .E’ necessario che la gente riceva messaggi scientificamente corretti e che le modalità utilizzate siano adeguate ai tempi che viviamo. E’ difficile far cambiare le abitudini alimentari e lo stile di vita, far capire che anche piccole modificazioni (senza mai frustrare l’aspetto gustativo) possono migliorare notevolmente lo stato di nutrizione e di salute . Gli interventi di nutrizione applicata devono essere pianificati e svolti da equipes di esperti con la collaborazione di operatori che hanno seguito seri corsi di formazione ad hoc. E’ insomma necessario un notevole rigore scientifico e grande impegno. Non si creda che è sufficiente una conferenza o un rapido ed occasionale messaggio televisivo o la diffusione di opuscoli noiosi e scritti a caratteri minuti. Occorre un lavoro massiccio e continuo che preveda la valutazione dell’efficacia degli interventi. Che cosa si fa in Italia al riguardo? Poco e il poco è malfatto. I responsabili della salute pubblica devono sapere che esiste una scienza: “l’Educazione Nutrizionale”, che purtroppo è calpestata, violata da improvvisatori, i quali, con grande disinvoltura, senza alcuna preparazione in materia, danno consigli nutrizionali attraverso i mass media alla gente, allarmata e disorientata per quanto avviene oggi nel settore alimentare in Italia e nel mondo. Il problema è complesso. Un utile mezzo da adottare a livello di popolazione per stimolare alla riflessione sull’importanza della salutare Dieta Mediterranea è la diffusione continua ed insistente di messaggi elaborati su base scientifica sia dal punto di vista nutrizionale che di comunicazione. La famosa Piramide Alimentare, nata negli Stati Uniti svariati anni fa e diffusa ampiamente, non ha sortito effetti soddisfacenti. Le informazioni sono complicate e offerte in modo impositivo per cui l’applicazione diventa difficile. 113 Dieta mediterranea: come difenderla e come applicarla Fig. 2 - Tempio della Dieta Mediterranea Salutare Un esempio di nuovo approccio di guida nutrizionale a livello di popolazione è il “TEMPIO DELLA DIETA MEDITERRANEA SALUTARE”, proposto per l’adulto e presentato in occasione del Convegno Internazionale sulle Diete Mediterranee Europee (organizzato dal Prof. A. De Lorenzo presso l’Università di Roma Tor Vergata nel gennaio 2003,(6). Nel TEMPIO gli alimenti sono indicati con parole anziché con disegni, onde evitare l’eventuale influenza sulla soggettiva interpretazione del messaggio. Il messaggio è presentato in modo non impositivo, semplice e chiaro. Nei primi due gradini alla base del Tempio (crepidoma) sono riportate due regole fondamentali di comportamento: “stile di vita più salutare possibile” e”dispendio energetico della stessa entità dell’apporto energetico”. Il terzo gradino è riservato in gran parte all’olio vergine d’oliva,condimento di base della Dieta Mediterranea Italiana di Riferimento, ed in piccola parte al vino (rosso). Nelle colonne esterne, più grandi delle centrali, sono indicati con caratteri di differente grandezza, in rapporto alle differenti quantità da consumare, alcuni alimenti caratterizzanti la nostra Dieta Mediterranea di Riferimento. Le due colonne centrali sono riservate ai legumi e al pesce, e ciò ne fa intuire facilmente l’importanza. Nelle 114 Dieta mediterranea: come difenderla e come applicarla metope, situate in alto sotto al timpano, sono indicati gli alimenti non caratterizzanti la nostra Dieta Mediterranea di Riferimento. Lo spazio riservato a ciascuno di essi è molto minore rispetto allo spazio dove sono riportati gli alimenti caratterizzanti. Nel timpano sovrasta la parola” Moderazione” ad indicare l’importanza di non cadere in una dieta sbilanciata per difetto o per eccesso. 115 Dieta mediterranea: come difenderla e come applicarla Bibliografia 1) ALBERTI A. Nutrizione applicata. Idelson-Gnocchi, Napoli , 2002. 2) ALBERTI A. Do we need more adequate quality control indices for the Referencee Mediterranean Diet. Diab Nutr Metab.2001;14:179180. 3) ALBERTI-FIDANZA A, FIDANZA F, CHIUCHIÙ MP, VERDUCCI G, FRUTTINI D. Dietary studies on two rural Italian population groups of the SevenCountries Study. 3.Trend of food and nutrient intake from 1960 to 1991. Eur J Clin Nutr 1999;53:854-860. 4) ALBERTI-FIDANZA A, DI RENZO GC, BURINI G, ANTONELLI G, PERRIELO G. Diet during pregnancy and total antioxidant capacity in maternal and umbilical cord blood.J Mater Neo Med. 2002;12:59-63. 5) ALBERTI-FIDANZA A, BURINI G, PERRIELLO G. Total antoxidant capacity of colostrum, and transitional and mature human milk. J Mater Neo Med. 2002;11:275-279. 6) FIDANZA F, ALBERTI A. The Healthy Italian Medietranean Diet Temple Food Guide. NutritionToday.2005;40:71-77. 116 9 Gli alimenti cardine della dieta mediterranea Santo Giammanco Direttore dell’Istituto di Fisiologia e Nutrizione Umana Università degli Studi di Palermo Maurizio La Guardia Ricercatore Istituto di Fisiologia e Nutrizione Umana Università degli Studi di Palermo Gli alimenti cardine della dieta mediterranea Gli effetti benefici dell’alimentazione mediterranea, basata sul consumo di olio di oliva, pane, ortaggi e frutta, ed arricchita dal consumo di vino, erano noti fin dai tempi della Scuola Medica Salernitana (XI-XIII secolo). Grazie agli studi di Ancel Keys, l’alimentazione mediterranea ha ricevuto, nella seconda metà del secolo scorso, la consacrazione scientifica come fonte di benessere. Infatti, i suoi studi, ai quali ne sono seguiti molti altri, hanno dimostrato una minor incidenza di patologie quali aterosclerosi, malattie cardiovascolari e tumori nell’area del Mediterraneo, rispetto al Nord Europa ed agli Stati Uniti. Questa minore incidenza sembra essere dovuta alla dieta mediterranea i cui alimenti cardine sono cereali, legumi, frutta, ortaggi, pesce, vino e olio di oliva (Ferro-Luzzi e Branca, 1995). Oggi, questi alimenti sono considerati la base dell’alimentazione umana (figure 1 e 2). Fig. 1 - “Piramide alimentare” diffusa dall’U.S. Department of Agriculture . U.S. Department of Health and Human Services Gr a ssi , O li , Dol ci USARE CON PARSIMONIA Latte, Yogurt e formaggi 2-3 PORTATE Carne, Pollame, Pesce, Fagioli secchi Uove e noccioline 2-3 PORTATE Vegetali 3-5 PORTATE Frutta 2-4 PORTATE Pane, Cereali, Riso e Pasts 6-11 PORTATE Leggenda Grassi naturali ed aggiunti Zuccheri aggiunti Questi simboli mostrano i grasi e gli zuccheri aggiunti nei cibi 119 Gli alimenti cardine della dieta mediterranea Fig. 2 - “Piramide alimentare” diffusa dall’U.S. Department of Agriculture. U.S. Department of Health and Human Services 1. Ce re ali Secondo le Linee Guida per una sana alimentazione Italiana, più della metà (60%) delle calorie giornaliere deve provenire da carboidrati. Di questo 60%, il 75% (quindi il 45% del totale) deve provenire da amido. Inoltre, è opportuno assumere ogni giorno circa 30 g di fibra alimentare. La base della nostra alimentazione deve essere dunque rappresentata da alimenti che contengono amido e fibra;: cereali e derivati, legumi, patate. Tradizionalmente, i cereali più utilizzati in Italia sono rappresentati dal frumento e dai suoi derivati classici, il pane e la pasta. Il pane presenta una proporzione in proteine e carboidrati che riflette grosso modo la proporzione della distribuzione raccomandata dalle Linee Guida (figura 3). A causa del ridotto contenuto lipidico non è possibile considerarlo, di per sé, un alimento ben equilibrato; tuttavia, proprio per questa caratteristica, ben si presta ad equilibrare alimenti che contengono grassi. 120 Gli alimenti cardine della dieta mediterranea Fig. 3 - Confronto tra le percentuali di assunzione di nu-trienti energetici suggerite dalle Linee Guida per una sana alimentazione ed il loro relativo contenuto percentuale nel pane Nelle parti “cruscali” della cariosside del frumento sono presenti buone quantità di vitamine, sali minerali e di “fibra alimentare”, nei cereali rappresentata prevalentemente dalla cellulosa, importante per la regolazione della motilità intestinale e, quindi per la prevenzione di patologia quali stipsi, diverticolosi e carcinoma del colon. Se la cariosside non viene utilizzata integralmente, nella farina sarà ridotto il contenuto in cellulosa, vitamine e sali minerali, con conseguente riduzione del valore nutrizionale del pane (Fidanza e Liguori, 1984). Con una normale assunzione di pane integrale, si copre una buona percentuale dei Livelli di Assunzione Raccomandati di numerosi nutrienti: fibra, ferro, acido folico, vitamine B1, B6, PP (figura 4) (La Guardia e Giammanco, 2005). Fig. 4 - Percentuale del Livello di Assunzione Raccomandato di nutriente coperto con gr. 200 (gr. 100 per il bambino) di pane integrale 121 Gli alimenti cardine della dieta mediterranea Anche la pasta scondita di per sé non è un alimento equilibrato; mancano infatti quasi completamente i lipidi ed inoltre il valore biologico delle proteine è limitato. La pasta comunque viene sempre consumata cotta e in combinazione con altri alimenti. Una delle più comuni integrazioni è quella rappresentata dal condimento che prevede solitamente prodotti vegetali (olio d’oliva, pomodoro) e formaggio tipo grana. Così, non solo si eleva sensibilmente il valore qualitativo e quantitativo delle proteine, ma si ha una ripartizione dell’apporto calorico del tutto confrontabile con quello che una dieta equilibrata dovrebbe possedere (figura 5). Inoltre, in questo modo, viene soddisfatta una buona percentuale dei Livelli di Assunzione Raccomandati di alcuni nutrienti (sali minerali e vitamina A: figura 6) (La Guardia e Giammanco, 2005). Fig. 5 - Percentuali di assunzione di nutrienti energetici suggerite dalle Linee Guida per una corretta alimen-tazione e loro relative quantità (g) nella pasta cruda, nella pasta cotta, nella pasta cotta condita con salsa di pomodoro, olio e grana 2. Legumi Si tratta di alimenti poveri in grassi (eccetto la soia e le arachidi), ricchi in proteine, amido e fibra alimentare. Per tale caratteristica sono considerati anch’essi “equilibratori della razione alimentare”. La fibra alimentare presente nei legumi è rappresentata prevalentemente dalla lignina e dalla pectina, piuttosto che dalla cellulosa; pertanto, essa è molto importante per l’insorgenza della sensazione di sazietà, piut122 Gli alimenti cardine della dieta mediterranea Fig. 6 - Percentuale del Livello di Assunzione Raccomandato di nutriente coperto con g 300 (g 200 per il bambino) di pasta cotta e condita con olio, salsa di pomodoro e grana tosto che per l’aumento della motilità intestinale. Una porzione di legumi secchi assicura la copertura di quasi il 100% della quantità di assunzione raccomandata di fibra (La Guardia e Giammanco, 2005). 3. Frutta e Ortaggi Gli effetti benefici di frutta e ortaggi sono legati non solo alla presenza di fibra alimentare, sali minerali e vitamine, ma anche diversi composti ad attività antiossidante “phytochemical substances”. Studi epidemiologici hanno dimostrato una correlazione inversa tra assunzione di tali composti, malattie cardiovascolari e tumori (Willett e Trichopoulos, 1996; Howard e Kritchevsky, 1997; La Vecchia, et al, 2001). Ad esempio, negli agrumi questi composti sono rappresentati soprattutto da oltre 60 tipi diversi di flavonoidi (flavoni, flavanoni, flavonoli e antociani) (Horowitz e Gentili, 1977). I più abbondanti sono i FLAVANONI, sia non glicosilati (NARINGENINA ed ESPERETINA), sia glicosilati (NEOESPERIDOSIDI, più abbondanti nell’arancia amara e nel bergamotto: naringina, neoesperidina, neoeriocitrina; RUTINOSIDI, più abbondanti nel limone: esperidina, narirutina, didimina) (Macheix, et al, 1990; Gionfriddo, et al, 1996; Di Majo, et al, 2005). Ciascuno di questi composti presenta una sua propria capacità antiossidante, strettamente legata alla struttura chimica (coniugazione con il neoesperidosio, numero e posizione dei gruppi idrossilici, O-metilazione, O-glicosilazione: Di Majo, et al, 2005). 123 Gli alimenti cardine della dieta mediterranea 4. Pesce Un’osservazione epidemiologica degli anni ’70 evidenziò che popolazioni della Groenlandia avevano una ridotta incidenza di mortalità per infarto del miocardio, rispetto ad altre popolazioni europee, nonostante una alimentazione caratterizzata da un elevato consumo di grassi e di colesterolo e da un basso consumo di ortaggi e frutta (“Paradosso degli Eschimesi”: Bang, et al, 1971). L’effetto protettivo venne messo in relazione con la presenza di acidi grassi della serie w-3 (acido eicosapentaenoico: EPA; acido docosaesaenoico: DHA) (Dyerberg e Bang, 1979). Inizialmente si suppose che tale effetto fosse legato alla loro attività antiaggregante piastrinica, ma quando si osservò che i soggetti che utilizzavano abitualmente pesce due volte a settimana non erano protetti dal primo infarto (Ascherio, et al, 1995; Guallar, et al, 1995), ma avevano una riduzione della mortalità postinfartule da aritmie ventricolari postischemiche (Albert, et al, 1998), si comprese che questi acidi grassi dovevano svolgere altre attività. Oggi gli acidi grassi w-3 sono considerati ipotrigliceridemizzanti (Eritsland, et al, 1995; Connor e Connor, 1997; Harris, 1997) e antiaritmici (Kang e Leaf, 1996; Connor e Connor, 1997; Simopoulos, 1997). Infatti, la morte cardiaca improvvisa è spesso causata da aritmie ventricolari maggiori in pazienti con malattia cardiovascolare nota, anche se può verificarsi anche nei soggetti sani. Recentemente, è stato osservato che una ridotta variabilità della frequenza cardiaca tra la notte ed il giorno (la frequenza cardiaca si riduce normalmente durante il sonno) è indice di una eccessiva sensibilità del cuore ai fattori che ne influenzano l’eccitamento. La riduzione della variabilità della frequenza cardiaca (HRV) è associata ad un aumento della mortalità nei pazienti postinfartuati (Copie, et al, 1996; Bauer, et al, 2006). Gli acidi grassi w-3 possono aumentare la variabilità della frequenza cardiaca determinando così un innalzamento della soglia di fibrillazione ventricolare che si traduce in un effetto di protezione nei confronti del miocardio contro aritmie ventricolari (Christensen, et al, 1996; Villa, et al, 2002; Christensen, 2003). 5. Olio d’oliva L’olio di oliva è la principale fonte di grasso della dieta mediterranea ed è costituito da una fazione saponificabile (95%-99%) e da una frazione non saponificabile (0,4%-5%). La frazione saponificabile è costituita 124 Gli alimenti cardine della dieta mediterranea da trigliceridi, acidi grassi saturi, mono- e polinsaturi; la frazione non saponificabile dell’olio extra vergine di oliva è costituito principalmente da tocoferoli e polifenoli. L’acido grasso maggiormente rappresentato è l’acido oleico (6580%), acido grasso monoinsaturo a 18 atomi di carbonio, w-9. Un maggior consumo di acidi grassi monoinsaturi, anziché polinsaturi, riduce il rischio di aterosclerosi, in quanto le lipoproteine circolanti sono meno sensibili alla perossidazione (Reaven, et al, 1991; Bonanome, et al, 1992; Moreno e Mitjavila, 2003). Inoltre, l’acido oleico riduce i livelli di colesterolo e di colesterolo LDL, senza ridurre quelli di colesterolo HDL; anche il contenuto in colesterolo delle small-LDL è ridotto (Mattson e Grundy, 1985; Grundy, 1986; Mensink e Katan, 1989; Thomsen, et al, 1999; Archer, et al, 2003). Al contrario, gli acidi grassi polinsaturi, pur riducendo il livelli di colesterolo totale, riducono i livelli di colesterolo HDL (Shepherd, et al, 1978; Vega, et al, 1982; Jackson, et al, 1984; de Bruin, et al, 1993). Pertanto, la sostituzione dell’acido linoleico nella dieta con acido oleico riduce i livelli di LDL e aumenta quelli di HDL (Madigan, et al, 2005) e un apporto nella dieta (di circa il 15% delle calorie totali) di acido oleico diminuisce i livelli plasmatici di colesterolo-LDL e incrementa quelli di colesterolo-HDL (Reaven, et al, 1993). Tuttavia, gli effetti dell’olio d’oliva non possono essere ascritti semplicemente alla composizione in acidi grassi. Tali effetti sono collegabili anche alla presenza di sostanze ad attività antiossidante, identificate nei composti fenolici (Mancini e Rubba, 2000). La classe dei fenoli include numerose sostanze, tra cui composti fenolici semplici come l’acido vanillico, l’acido gallico, l’acido cumarico, l’acido caffeico, il tirosolo e l’idrossitirosolo e composti più complessi come i SECOIRIDOIDI (oleuropeina e ligstroside), e i LIGNANI (1-acetossipinoresinolo e pinoresinolo) (Vasquez Roncero, 1978; Tsimidou, et al, 1996; Tripoli, et al, 2005). La quantità di queste sostanze dipende da numerosi fattori: cultivar, condizioni pedo-climatiche, sistemi di coltivazione, grado di maturazione, tipo di terreno, etc). L’oleuropeina è un estere dell’idrossitirosolo con lo scheletro oleosidico comune ai glucosidi secoiridoidi delle Oleaceae. Impartisce all’olio quel suo caratteristico gusto piccante e amaro, e possiede una spiccata proprietà antiossidante, dimostratasi superiore a quella della vitamina E (Visioli, et al, 1998; Owen, et al, 2000a; Keceli e Gordon, 2001). La loro capacità antiossidante è associata alla capacità di neutralizzare i lipoperossidi, con formazione di composti più stabili (Visioli & Galli, 125 Gli alimenti cardine della dieta mediterranea 1998); inoltre, sono in grado di chelare ioni metallici, evitando il loro coinvolgimento nella reazione di Fenton, dalla quale si generano radicali idrossilici (Halliwell e Gutterige, 1990; Halliwell et al, 1995). L’olio extravergine d’oliva, grazie all’alto rapporto tra acidi grassi monoinsaturi e acidi grassi saturi, alle vitamine, ai flavonoidi fenolici e ai polifenoli, gioca un ruolo importante nella prevenzione di alcuni tumori in particolare esplica un effetto preventivo sui tumori dell’endometrio e delle ovaie, della mammella, della prostata, del colon-retto (Hertog, et al, 1995; Willett e Trichopoulos, 1996; World Cancer Fund and American Institute for Cancer Prevention, 1997; Trichopoulou, et al, 2000; Owen, et al, 2000b). A tal proposito, studi in vitro hanno evidenziato che i polifenoli dell’olio di oliva possiedono un effetto citotossico su linee cellulari tumorali, probabilmente per induzione dell’apoptosi, e che sono in grado di indurre differenziazione. Inoltre, la presenza di idrossitirosolo riduce, in vitro, gli effetti biochimici dei perossinitriti, come la deaminazione dell’adenina e della guanina in alcune linee cellulari (Deiana, et al, 1999). Infine, i lignani hanno anche attività antiestrogenica ed inibiscono la proliferazione indotta da estrogeni di cellule umane di carcinoma mammario (Mousavi e Adlercreutz, 1992). Numerosi studi epidemiologici hanno messo in evidenza che il consumo di olio extravergine di oliva ha un’efficacia preventiva nei confronti dell’aterosclerosi e delle patologie cardiovascolari (Hertog, et al, 1995; Trichopoulou, et al, 1999). Gli studi in vitro hanno evidenziato che i polifenoli dell’olio extravergine di oliva sono capaci di inibire l’ossidazione delle LDL (Scaccini, et al, 1992; Visioli, et al, 1995 e 2000; Rice-Evans, et al, 1996; Wiseman, et al, 1996; Cao, et al, 1997; Masella, et al, 1999; Moreno e Mitjavila, 2003; Nicolosi, et al, 2004), di diminuire i livelli plasmatici del complesso LDL-colesterolo ed incrementare quelli di HDL-colesterolo (Reaven, et al, 1993a), di inibire l’aggregazione piastrinica (Srivastava e Awasthi, 1983; Sato, et al, 1987; Kwon, et al, 1991; Petroni, et al, 1995; de La Puerta, et al, 2000) e l’attività della lipossigenasi (Kohyama, et al, 1997; de la Puerta, et al, 1999; Martinez-Dominguez, et al, 2001), di inibire la produzione di radicali liberi sia attraverso un meccanismo di chelazione che attraverso un’azione antiossidante di tipo diretta (Halliwell e Gutterige, 1990; Halliwell, et al, 1995; Visioli e Galli, 1998b; Tripoli, et al, 2005). In collaborazione con l’Agenzia delle Dogane di Palermo, abbiamo 126 Gli alimenti cardine della dieta mediterranea eseguito un confronto del contenuto in composti fenolici in campioni di olio proveniente dalla cultivar Nocellara del Belice di due annate diverse (2003-04 e 2004-05) e da una cultivar cretese (Koroneiki) del 2004-05, considerate le notevoli analogie morfologiche, climatiche, di coltivazione e di metodologia di raccolta delle olive. Il contenuto in acido oleico è maggiore nella cultivar cretese, anche se la differenza è debolmente significativa (figura 7). Anche il contenuto in tocoferoli tende ad essere maggiore nella Koroneiki (figura 8); pertanto, si può ragionevolmente supporre che sia maggiore la sua capacità antiossidante totale. Fig. 7 - Percentuale di acido oleico in oli provenienti da olive Nocellara del Belice (annate 2003-2004 e 2004-2005 e Koroneiki (annata 2004-2005) Fig. 8 - Contenuto in tocoferoli (espressi in mg/kg di alfa-tocoferolo) in oli provenienti daolive Nocellara del Belice (annate 2003-2004 e 2004-2005) e Koroneiki (annata 2004-2005) Figure 8 e 9 - Da: Composizione dell’olio d’oliva. Confronto tra oli ottenuti da cultivar del bacino Mediterraneo: Nocellara del Belice (Sicilia) e Koroneiki (Creta). Tesi di Laurea Specialistica in Farmacia di Monica Konstantulaki 127 Gli alimenti cardine della dieta mediterranea Fig. 8 - Contenuto in polifenoli (espressi in mg/kg di acido caffeico) in oli provenienti daolive Nocellara del Belice (annate 2003-2004 e 2004-2005) e Koroneiki (annata 2004-2005) Da: Composizione dell’olio d’oliva. Confronto tra oli ottenuti da cultivar del bacino Mediterraneo: Nocellara del Belice (Sicilia) e Koroneiki (Creta). Tesi di Laurea Specialistica in Farmacia di Monica Konstantulaki Per quanto riguarda il contenuto in polifenoli, le differenze nella composizione degli oli del 2003-2004 e del 2004-2005 sottolineano l’importanza dell’annata. Infatti, il contenuto in polifenoli nelle due diverse cultivar della stessa annata è molto simile, ed è inferiore a quello della Nocellara del Belice del 2003-04 (figura 9). Questo è spiegabile considerando che entrambe le cultivar hanno subito, nel 2004-2005, l’infestazione della mosca olearia. I polifenoli sono sostanze che le piante utilizzano come difesa nei confronti dei parassiti; pertanto, le piante infestate ne mostrano un contenuto minore. Mentre la maggior parte degli studi condotti sulle linee tumorali hanno sottolineato l’importanza di queste sostanze nella prevenzione del cancro, pochi sono gli studi sulle loro potenzialità nella terapia dei tumori. Alcuni recenti studi da noi condotti hanno valutato l’effetto di queste molecole su linee cellulari tumorali che acquisiscono una resistenza alle terapie convenzionali (multi drug resistance: MDR); tale resistenza si manifesta dopo pochi cicli di terapia ed è considerata la principale causa di fallimento della terapia nei pazienti affetti da cancro. Abbiamo valutato la sensibilità di cellule della leucemia promielocitica HL60 nelle varianti sensibile e resistente alle antracicline con fenotipo di tipo MDR ad una miscela di polifenoli (estratto crudo) contenuti ed estratti dall’olio extravergine “Moraiolo”. È stato scelto l’estratto crudo piuttosto che le singole molecole, per rappresentare meglio la miscela 128 Gli alimenti cardine della dieta mediterranea polifenolica assunta con la dieta e per sfruttare un’eventuale azione sinergica di questi composti (figure 10, 11, 12, 13: Crescimanno, et al, 2006). La variante sensibile ha mostrato una buona sensibilità alla miscela di polifenoli così come è stato descritto da altri Autori (Della Ragione, et al, 2000; Fabiani, et al, 2002; Gill, et al, 2005). La variante resistente ha mostrato di essere sensibile all’effetto dell’estratto grezzo quasi come la variante sensibile (figura 10), mostrando così che l’uso di questi polifenoli è in grado di abbattere una grossa quota di resistenza che si oppone all’efficacia di un trattamento convenzionale con doxorubicina, antraciclina verso la quale la stessa linea cellulare mostra una resistenza pari a 27 volte. Poiché è stato riportato che uno dei meccanismi che stanno alla base dell’effetto antiproliferativo di questi composti è mediata dall’induzione dell’apoptosi (Fabiani, et al, 2002), la buona sensibilità delle due varianti cellulari ci ha indotto a verificare se la minore sensibilità della variante resistente all’estratto grezzo fosse dovuta ad un resistenza all’apoptosi. Altri Autori hanno indicato che l’idrossitirosolo, polifenolo contenuto nell’olio extravergine di oliva, agisce inducendo apoptosi nel 65% di cellule trattate con una dose pari a 100 µM dopo 24 ore di esposizione e che Fig. 10 - Effetto dell’estratto grezzo sulla crescita di cellule di leucemia HL60/S e HL60/R esposte per 48 ore. I risultati sono la media di quattro esperimenti indipendenti 129 Gli alimenti cardine della dieta mediterranea l’induzione dell’apoptosi sembrerebbe essere mediata da un aumentato rilascio di citocromo c (Della Ragione, et al, 2000). I risultati sperimentali da noi ottenuti indicano che l’estratto grezzo è particolarmente attivo nell’induzione dell’apoptosi sulla variante resistente (figure 11 e 12) dove la doxorubicina ed altri farmaci antitumorali o non sono in grado di indurre apoptosi o la inducono in percentuali molto basse e a dosi che sono particolarmente tossiche. Fig. 11/12 - Effetto dell’estratto grezzo sull’induzione dell’apoptosi in cellule HL60/S e HL60/R esposte per 24 ore. I dati si riferiscono a tre esperimenti indipendenti 130 Gli alimenti cardine della dieta mediterranea È da puntualizzare che alcune cellule di leucemia HL60 resistenti mantengono un meccanismo residuo di resistenza all’induzione dell’apoptosi dopo esposizione all’estratto grezzo. Tuttavia, in queste cellule si osserva una induzione della differenziazione. Infatti i risultati ottenuti negli esperimenti di differenziazione indicano che il composto grezzo è capace di indurre differenziazione monocitica sia nella variante sensibile che nella variante resistente (figura 13). Fig. 13 - Le cellule HL-60 S ed R esposte per 4 giorni all’estratto crudo mostrano una MORFOLO-GIA MONOCITARIA distinguibile da quella blastica delle linee cellulari non trattate A: controllo HL60/S B: controllo HL60/R C: differenziazione monocitaria delle cellule HL60/S dopo 4 giorni di esposizione all’estratto crudo D: differenziazione monocitaria delle cellule HL60/R dopo 4 giorni di esposizione all’estratto crudo 131 Gli alimenti cardine della dieta mediterranea 6. Vino L’interesse per gli effetti benefici del consumo di moderate quantità di vino nasce anche in questo caso da un’osservazione epidemiologica. In Francia, la prevalenza di patologie legate all’aterosclerosi è minore rispetto a quella di altri Paesi che hanno pari livelli di consumo di grassi con acidi grassi saturi e colesterolo (“Paradosso francese”: Renaud e De Lorgeril, 1992). Dapprima l’effetto protettivo venne attribuito all’alcol, ma poiché tale effetto non si osservava nei gruppi di popolazione che assumevano abitualmente bevande alcoliche diverse dal vino (Gronbaek et al, 1995; Jepson, et al, 1995; Ticca, 1995; Ghiselli, et al, 1998; Wollin e Jones, 2001), mentre si osservava in seguito a somministrazione di estratti dealcolati di vino ad animali da laboratorio (Serafini, et al, 1998), si comprese che era legato alla presenza di componenti “minori”, i composti fenolici (Landrault, et al, 2001). Le sostanze ad attività antiossidante nel vino si classificano in flavonoi di (FLAVANOLI: miricetina, quercetine, canferolo, ramnetina, isoramnetina; FLAVAN-3-OLI: epicatechine, catechina, leucoantociani; ANTOCIANINE) e n o n f l a v o n o i d i (DERIVATI DELL’ACIDO BENZOICO: acidi gallico, protocatecuico, vanillico, siringico; DERIVATI DELL’ACIDO IDROS SICINNAMMICO: acidi caffeico, ferulico, p-cumarico; STILBENI: resveratrolo, piceatannolo) (Minussi, et al, 2003). Anche in questo caso, la quantità di queste sostanze dipende da fattori molto diversi. È fondamentale il tipo di vinificazione; infatti, poiché molti composti fenolici sono presenti nella buccia dell’acino, e poiché la vinificazione “in rosso” non prevede l’allontanamento delle bucce prima della fermentazione, la quantità dei composti fenolici nei vini rossi è maggiore (Bravo, 1998). Oltre che la tecnica di vinificazione, vi sono diversi altri fattori che influiscono sulla quantità di polifenoli del vino. Ad esempio, anche le modalità di conservazione possono avere un loro ruolo. In collaborazione con l’Institut Universitaire de la Vigne et du Vin “Jules Guyot”, Université de Bourgogne, (Dr. David Chassagne), abbiamo osservato che il contenuto in resveratrolo e malvidina si riduce se il vino viene conservato in botti di legno; infatti, parallelamente alla riduzione del contenuto di questi polifenoli, si assiste ad un aumento della loro presenza nel legno delle botti (figure 14, 15, 16, 17). 132 Gli alimenti cardine della dieta mediterranea Fig. 14 - Cinetica di decadimento della concentrazione di malvidina-3-Oglucoside dopo 35 giorni di contatto con il legno di rovere Fig. 15 - Cinetica di assorbimento della malvidina-3-O-glucoside da parte del legno di rovere dopo 35 giorni di contatto 133 Gli alimenti cardine della dieta mediterranea Fig. 16 - Cinetica di decadimento della concentrazione di resveratrolo dopo 35 giorni di contatto con il legno di rovere Fig. 17 - Cinetica di assorbimento del resveratrolo dopo 35 giorni di contatto con il legno di rovere 134 Gli alimenti cardine della dieta mediterranea Tuttavia, non è detto che la capacità antiossidante di un vino sia legata alla quantità assoluta in composti fenolici. Infatti, nei nostri laboratori abbiamo riscontrato che non esiste alcuna relazione tra il contenuto in polifenoli dei vini rossi e la loro capacità antiossidante (figura 18). Evidentemente, la capacità antiossidante totale dipende anche da altri fattori, come potrebbe essere il grado di aggregazione delle molecole polifenoliche nel vino (Di Majo, et al, 2006). Infine, in collaborazione con il Centre d’Oenologie, della Facoltà di Farmacia di Montpellier (Prof. P.L. Teissedre), abbiamo valutato, nei ratti, l’effetto correttivo delle molecole fenoliche più rappresentative sugli effetti metabolici associati alla sindrome metabolica indotta da fruttosio. L’acido gallico si è dimostrato il più efficace nel ridurre la pressione arte- Fig. 18 - Confronto tra contenuto il polifenoli totali e capacità antiossidante di vini rossi provenienti da diverse cultivar siciliane 135 Gli alimenti cardine della dieta mediterranea riosa (figura 19); l’indice HOMA (Homeostatic Model Assessment: Glucosio Plasmatico * Insulina del siero / 22,5) di insulinoresistenza è stato corretto da acido gallico e delfinidina (figura 20); la produzione di anione superossido e la sovraespressione delle subunità “p22phox” e “gp01phox” della NADPH ossidasi (parametri di valutazione dello stress ossidativo) da acido gallico, delfinidina, catechina e resveratrolo (figure 21 e 22). Nessun effetto abbiamo riscontrato su glicemia, insulinemia, assetto lipidico, indice di massa cardiaca, livelli degli Advanced Oxidative Protein Products (prodotti di ossidazione degli aminoacidi solforati ed aromatici delle proteine, considerati marcatori protidici dello stress ossidativo, responsabili della formazione di dimeri della tirosina). Fig. 19 - Valori di pressione arteriosa negli animali a fine trattamento Fig. 20- Valori dell’indice HOMA di insulino-resistenza negli animali a fine trattamento F= lotto alimentato con fruttosio; FC= lotto alimentato con fruttosio e catechina; FAG= lotto alimentato con fruttosio e acido gallico; FR= lotto alimentato con fruttosio e resvera-trolo; FD= lotto alimentato con fruttosio e delfinidina; FMél= lotto alimentato con fruttosio e miscela al 25% di catechina, acido gallico, delfinidina e resveratrolo 136 Gli alimenti cardine della dieta mediterranea Fig. 21 - Valutazione della produzione cardiaca di anione superossido negli animali a fine trattamento Fig. 22 - Valutazione della sovraespressione delle subunità “p22phox” e “gp01phox” della NADPH ossidasi negli animali a fine trattamento 7. Conclusioni L’opinione, basata soprattutto sui dati epidemiologici, secondo la quale la Dieta mediterranea è utile nella prevenzione di diverse patologie degenerative, è ormai diffusa e considerata scientificamente valida. Oggi è tuttavia indispensabile proseguire nella ricerca, sia al fine di identificare i componenti chimici responsabili degli effetti benefici presenti nei diversi alimenti tipici della Dieta mediterranea, sia per determinarne il meccanismo d’azione. 137 Gli alimenti cardine della dieta mediterranea Bibliografia • • • • • • • • • 138 ALBERT CM, HENNEKENS CH, O’DONNELL CJ, AJANI UA, CAREY VJ, WILLETT WC, RUSKIN JN, MANSON JE. Fish consumption and risk of sudden cardiac death. JAMA., 279 (1): 23-8, 1998. ARCHER WR, LAMARCHE B, ST-PIERRE AC, MAUGER JF, DERIAZ O, LANDRY N, CORNEAU L, DESPRES JP, BERGERON J, COUTURE P, BERGERON N. 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Washington, DC: World Cancer Research Fund and American Institute for Cancer Prevention, 1997. 10 Dieta mediterranea e tumori Nicola Gebbia Primario dell’U.O. Complessa di Oncologia Medica del Policlinico Universitario di Palermo Dieta mediterranea e tumori Approfitto dei momenti di approntamento informatico per ringraziare Nino Bacarella, un caro amico che mi ha voluto coinvolgere. Naturalmente delle cose che dico in buona parte avrete magari già sentito parlare questa mattina, ma forse dette dal punto di vista del medico qualche differenza ci può essere. Una decina di giorni fa sono stato invitato a fare un seminario sui prodotti tipici dell’alimentazione mediterranea presso la Facoltà di Agraria e ho scelto di dare il titolo: “Rapporto tra alimentazione e malattie neoplastiche: dall’aneddotica ai dati scientifici”. Perché se è pur vero che i tumori rappresentano 1/4 in assoluto delle morti che colpiscono i nostri paesi industrializzati – cioè una persona su quattro muore di tumore – è anche vero che il tipo di alimentazione rappresenta indubbiamente la causa di circa 1/3 dei tumori, che è poi la stessa percentuale di tumori che si ritiene siano causati dal fumo del tabacco. I dati che vedete (Fig.1) sono drammatici, perché ci dicono che in realtà il 60-70% dei tumori ce lo causiamo noi stessi attraverso una cattiva alimentazione o attraverso l’uso del tabacco. Quando si parla di alimentazione e di cancro ci troviamo di fronte ad un problema che ha due facce, vale a dire una specie di Giano nel quale da un lato bisogna prendere in considerazione il fatto che alcune sostanze Fig. 1 Willett W.C.,(2001), Cancer Epidemiol. Biomarkers Prev. 10, 3. 149 Dieta mediterranea e tumori che introduciamo con la dieta possono avere un effetto protettivo, mentre altre sostanze invece possono causare il cancro. Sappiamo infatti che alcune sostanze presenti negli alimenti sono sicuramente cancerogene e dobbiamo cercare di evitarle. Tra esse le prime che vengono in mente sono naturalmente i contaminanti, (Fig.2) ma attenzione, non tutti gli inquinanti sono cancerogeni, e questo elenco (Fig.3) individua quelli che sicuramente lo sono. E’ però interessante vedere, per così dire, l’altra faccia della medaglia, vale a dire ciò che è presente nel cibo e che invece ha un Fig. 2 Fig. 3 150 Dieta mediterranea e tumori effetto protettivo. L’effetto di protezione viene accreditato con molta facilità, direi in maniera decisamente eccessiva per la voglia di promuovere un determinato alimento. Ma, come già detto, se vogliamo passare dall’aneddotica ai fatti concreti scientificamente provati, solo alcune cose sono accertate, per esempio è assolutamente certo che le fibre funzionino in senso protettivo; ma altre cose che si dicono su agrumi, uve, e così via per un’infinita serie di alimenti, sono spesso ancora da convalidare scientificamente. Non è infatti sufficiente ipotizzare un qualche meccanismo d’azione in laboratorio per accreditare, a questo ipotetico meccanismo d’azione, un effetto protettivo che vediamo epidemiologicamente nelle nostre popolazioni. Le cose sono molto più complicate ed è necessario, per comprenderle, delineare come si valutano scientificamente i rapporti tra epidemiologia del cancro ed alimentazione. Guardiamo la situazione a livello europeo (Fig.4). Quelli che vedete in rosso sono i tassi per centomila di mortalità per uomo e per donna. Il triste record della maggiore mortalità per cancro appartiene alla Francia per gli uomini, alla Danimarca per le donne, mentre la Grecia ha l’invidiabile primato di essere il posto dove meno si muore di cancro. Fig. 4 151 Dieta mediterranea e tumori L’Italia, come vedete, è collocata in una situazione intermedia ma, come è rilevabile da questi altri dati (Fig.5) presenta nelle sue regioni situazioni estremamente diverse. Nel grafico vengono mostrate insieme le mortalità per tumori, in rosso, o per malattie del sistema circolatorio, in giallo-arancio, e vedete come dal Nord verso il Sud si ha una grossa progressiva riduzione della mortalità per tumori, delineando quindi scenari estremamente diversi. Cosa si fa quando si vuole fare un rapporto scientificamente corretto fra alimentazione e tumori? Dobbiamo naturalmente identificare i composti cancerogeni presenti nei cibi caratteristici di una certa alimentazione, ma anche quelli che hanno un’azione protettiva. Dobbiamo poi identificare i meccanismi con cui essi esplicano queste loro azioni, per giungere infine al punto finale d’arrivo che è quello della messa a punto di diete in cui vengono utilizzate queste conoscenze. Fig. 5 152 Dieta mediterranea e tumori I tumori nascono con una progressione che ormai conosciamo (Fig.6). C’è un danno iniziale nel DNA da parte di sostanze che sono di solito dei mutageni. Caratteristico agente mutageno sono le radiazioni, per esempio. Questo primo danno viene fissato successivamente, in una fase che viene detta di promozione, da sostanze che in gran parte di per sé non sarebbero cancerogene, non sono cioè direttamente in grado di danneggiare il DNA. Poi c’è la fase di progressione che dura circa un anno in cui questa crescita neoplastica dà origine ad un franco tumore maligno. Fig. 6 Ci sono due cose importanti da ricordare nel campo della prevenzione dei tumori. La prima è che l’oncogenesi – quello che vi ho appena descritto – è un processo multifasico, con molti punti d’attacco sui quali si può intervenire, la seconda è che l’oncogenesi dura molto a lungo e quindi c’è anche un largo lasso di tempo durante il quale si può intervenire. Vi prego di notare come la tempistica della cancerogenesi sia veramente complessa (Fig.7). Guardiamo il colon, per esempio, in cui il passaggio da mucosa normale ad adenoma prende sino a 20 anni di tempo, dall’adenoma al cancro ci arriviamo in altri 5-20 anni. Non sempre vediamo queste fasi di pre-cancerosi, perché, per esempio, a livello del polmone, e sappiamo bene quanto sia diffuso il cancro polmonare, non abbiamo la possibilità di rilevarle. Queste differenze dipendono anche dalle nostre possibilità di esaminare, dal punto di vista morfologico e del campiona153 Dieta mediterranea e tumori Fig. 7 Da: O’Shaughnessy et Al., Clin Can Res 2002 mento, il tessuto nel quale il tumore si presenta. Noi sappiamo che il cibo influenza largamente l’incidenza dei tumori. Prendiamo l’esempio del colon retto perché è uno di quei tumori in cui ovviamente il rapporto tra cibo e insorgenza delle neoplasie è più stretto. È possibile fare studi di livello scientifico per la prevenzione a livello del colon retto, che pigliamo come modello ideale? Senz’altro sì, per vari motivi. Conosciamo molto bene la sequenza di eventi genetici che portano al cancro, vi è un’ampia finestra temporale nella quale intervenire, possiamo agevolmente e facilmente ripetere il controllo sull’organo target, c’è una popolazione a rischio ben identificata; possiamo anche identificare le persone che hanno, per caratteristiche genetiche ereditarie un’elevatissima probabilità di ammalare, soggetti che devono essere esclusi da tutte queste sperimentazioni perchè confonderebbero le casistiche. Infine c’è l’adenoma come end-point surrogato (Fig.8). Tutto ciò necessita di qualche spiegazione. E allora cominciamo col dire che noi sappiamo ormai esattamente, in quello che è il passaggio dal154 Dieta mediterranea e tumori Fig. 8 l’epitelio normale sino al carcinoma colorettale, quali sono le alterazioni genetiche che si accompagnano alle tappe di questa marcia verso il cancro (Fig.9). Abbiamo anche la possibilità, con le colonscopie, di andare a ispezionare il colon delle persone che mettiamo sotto controllo epidemiologico. Come vedete l’aspetto istologico normale, quello dell’adenoma e quello del carcinoma sono quadri nettamente diversi, sicuramente rilevabili e distinguibili con facilità purchè ci sia un minimo di esperienza da parte dell’operatore (Fig.10). Un problema particolare è quello che nella popolazione generale la probabilità di sviluppare un carcinoma colorettale non è elevatissima, per cui se vogliamo fare un lavoro di prevenzione sul carcinoma dobbiamo prendere in considerazione almeno 10.000 persone e seguirle per 10 anni, il che significa un lavoro immenso. E non bisogna trascurare che una sperimentazione che ha bisogno di 10 anni di osservazione in realtà dura molto di più, perché dobbiamo sommare ai 10 anni di osservazione il tempo necessario ad arruolare le 10.000 persone in studio. 155 Dieta mediterranea e tumori Fig. 9 Ilyas M. Eur J Cancer 1999 Fig. 10 Needieman P. J Rheumatology 1997 156 Dieta mediterranea e tumori C’è modo di abbreviare anche considerevolmente i tempi delle nostre osservazioni, studiando non la prevenzione del cancro ma la prevenzione di quella formazione ancora benigna, l’adenoma, che in realtà è la prima tappa obbligatoria verso il cancro, anche se non tutti gli adenomi si trasformano poi in neoplasie maligne. Con questo stratagemma riusciamo ad avere dati di sicura affidabilità utilizzando un massimo di 3.000 pazienti, quindi riducendo al 30% il numero di soggetti da arruolare e con un follow-up estremamente più ridotto. L’adenoma è un ottimo end-point surrogato per valutare il rischio di cancro, in quanto i fattori di rischio e le alterazioni genetiche sono comuni: infatti, come già detto, la prima alterazione del processo che porta al cancro è la comparsa di un adenoma. C’è poi un dato sperimentale di grande rilievo: se con molta pazienza e costanza in una persona asportiamo tutti gli adenomi che si vanno eventualmente manifestando negli anni, questa persona non si ammalerà di cancro del colonretto. Un altro dato sperimentale comprovato è che tutto ciò che riesce a ridurre l’incidenza degli adenomi riduce anche l’incidenza del cancro. Quindi, come vedete, un sistema molto affidabile. Esistono numerosi studi fatti da Istituzioni del massimo livello mondiale, tra cui l’N.C.I. (National Cancer Institute) di Bethesda, in cui la comparsa di adenomi è stato utilizzata, dal punto di vista della prevenzione alimentare, per controllare che una certa dieta riducesse l’incidenza di cancro. La stessa metodologia è stata applicata a tanti altri importanti studi di prevenzione, come , per esempio, quello che è nato dall’osservazione che chi assumeva almeno in una certa quantità mensile aspirine o altri antinfiammatori aveva una consistente riduzione del numero di carcinomi. I greci sono spesso sotto osservazione perché, come detto, sono la popolazione mediterranea che in realtà ha conservato di più una dieta mediterranea vera e propria. Un recente grosso lavoro, 22.000 pazienti presi in considerazione, dimostra che effettivamente almeno in senso generico la dieta funziona, cioè riduce la mortalità; ma siccome sappiamo che la mortalità per 1/4 dipende dal cancro, tiriamo fuori la conclusione che probabilmente funziona anche nel senso della riduzione del tumore. Se questo risultato lo associamo al dato epidemiologico che nei greci l’incidenza di neoplasie è veramente molto più bassa che altrove, direi che il conto è presto fatto. Però alcuni studi sono stati ancora più completi e più focalizzati sul cancro. 157 Dieta mediterranea e tumori Lo studio EPIC, che è partito all’inizio degli anni novanta (Fig.11), studio immenso con mezzo milione di persone arruolate e seguite in maniera assolutamente completa (i paesi interessati sono quelli che vedete a colori nella carta geografica europea), ha permesso di dimostrare tantissime cose nel rapporto fra alimentazione e cancro. Per restare al solo carcinoma del colon (Fig.12), che è uno dei più importanti anche per la frequenza con cui questa malattia si presenta, in questo studio l’ipotesi che le fibre alimentari funzionano in senso protettivo ha ricevuto una conferma assoluta, non solo, ma si è anche potuto osservare che qualsiasi tipo di fibra in realtà funziona. Poi si è potuto anche dimostrare con assoluta certezza che il consumo di carni rosse è decisamente aggravativo della probabilità di contrarre il carcinoma colorettale, mentre il consumo di pesce ha un sicuro effetto preventivo. Questo, naturalmente, era qualche cosa che ci aspettavamo, perché sappiamo, questi nella figura 13 sono dati notissimi, che tutte le nazioni dove c’è un’alta incidenza di carcinoma colon rettale (in rosso) sono tutte nazioni ricche, ad alto consumo di carni vaccine; l’unica eccezione è l’Argentina, che non è certo una nazione ricca, specie in questi ultimi anni, ma che carni rosse ne consuma in abbondanza per il semplice motivo che le produce. Fig. 11 158 Dieta mediterranea e tumori Fig. 12 Fig. 13 159 Dieta mediterranea e tumori Ma passiamo ad altri studi. Tutti conosciamo il famoso paradosso francese, vale a dire dell’azione protettiva di una dieta non mediterranea, ma con l’unica similitudine del consumo di vino rosso. Il Resveratrolo contenuto in esso rimane il più importante indiziato per spiegare quest’azione protettiva, che dapprima è stato evidenziata per le malattie cardiovascolari, ma che in seguito ha dimostrato di estendersi anche ai tumori. Se vogliamo avere un’idea dell’interesse suscitato dal rapporto tra resveratrolo e cancro possiamo consultare su Internet il sito Medline, il più grosso archivio esistente per la produzione scientifica biomedica. Come vedete (Fig.14), da anni si assiste ad un incremento davvero esponenziale dei lavori, che testimonia il grande interesse attuale dell’argomento. Il resveratrolo e tante altre sostanze (più genericamente stilbeni) presenti nel vino sono delle fitoalessine, che sono ciò che sostituisce nelle piante il nostro sistema immunitario, che le piante non posseggono. Ma da che cosa viene la certezza che il resveratrolo, o è più esatto dire il vino rosso, prevenga il cancro? Da alcuni dati epidemiologici. Questo splendido lavoro, riassunto nella figura 15, è stato fatto su 30.000 statunitensi. Gli Stati Uniti si prestano molto bene a questi lavori perché è una delle Fig. 14 160 Dieta mediterranea e tumori poche nazioni nelle quali possiamo con facilità distinguere quella parte di popolazione che beve vino rosso, da quella che non lo beve, mentre da noi un po’ di vino rosso lo beviamo tutti. Da questi dati si vede che il Linfoma non-Hodgkin, che è fra l’altro considerato una neoplasia segno in genere di inquinamento o di esposizione ad agenti cancerogeni, ha un’incidenza pari a circa la metà nei soggetti che bevono abitualmente vino rosso. Ancora, da quest’altro lavoro riassunto nella figura 16, le donne che bevono vino rosso hanno un rischio di carcinoma ovarico che è di circa il 40% inferiore a quelle che non bevono vino rosso o assumono altre Fig. 15 Am J Epidemiol 2002;156:454-462 Fig. 16 Obstet Gynecol. 2003 Jun;101(6):1221-8 161 Dieta mediterranea e tumori bevande alcoliche. Il vino rosso protegge anche dall’insorgenza di carcinoma polmonare (Fig.17). Sto citando non dei “si dice”, ma degli studi epidemiologici di alta serietà. Addirittura quest’altro studio (Fig.18) è riuscito a calcolare che ogni bicchiere di vino rosso abitualmente consumato Fig. 17 Thorax. 2004 Nov;59(11):981-5 Fig. 18 Int J Cancer 2005;113:133-140 162 Dieta mediterranea e tumori ogni settimana, riduce del 6% la probabilità d’insorgenza del carcinoma prostatico. Anche per il carcinoma colon rettale c’è indubbiamente un’azione protettiva del vino rosso (Fig.19). Tutto questo ha smosso l’interesse di tantissimi ricercatori. Il Consorzio CORIBIA, che ho l’onore di presiedere, ha lavorato lungamente sul contenuto di stilbeni in differenti vini siciliani, con un’indagine molto impegnativa, in quanto non solo abbiamo valutato, per alcune centinaia di vitigni, il contenuto in stilbeni nel vino che se ne otteneva, ma abbiamo anche messo a punto delle schede per dare poi successive indicazioni ai nostri viticultori, perché potessero utilizzare opportune modalità di coltivazione per massimizzare il contenuto di resveratrolo. Questa tipologia di ricerca non è qualche cosa che abbiamo inventato noi, in questo momento negli Stati Uniti, dove vi è un grossissimo interesse verso questo tipo di vinificazione, vi sono addirittura in vendita – lo cito sempre perché è una cosa che mi ha molto colpito – delle attrezzature che non sono altro che una modifica dei lettini ad UV originariamente nati per abbronzarsi. In essi, invece che il soggetto umano, si mettono i grappoli da sottoporre poi a vinificazione, dato che l’esposizione agli UV è uno dei fattori che stimolano potentemente la produzione di stilbeni. Sembra incredibile, ma di Fig. 19 163 Dieta mediterranea e tumori certo non meraviglierà chi conosce il pragmatismo statunitense. Abbiamo anche scoperto che c’è un vecchio vitigno siciliano, il Perricone, in cui i contenuti di stilbeni sono da 5 a 6 volte superiori a quelli della media degli altri vitigni. Quindi una specie di piccolo stabilimento di produzione del resveratrolo e degli altri stilbeni. Abbiamo anche scoperto che nel vino siciliano – chissà perché solo nel vino siciliano, e non riusciamo a trovarlo altrove – c’è un altro stilbene, il piceatannolo, la cui presenza ha colpito particolarmente un oncologo come me, perché da circa 20 anni il piceatannolo viene indagato come agente sperimentale per il trattamento della leucemia. Come vedete dalla figura 20, questo primo lavoro, in cui si parla della possibilità di utilizzazione del piceatannolo è addirittura del 1984. Ma dopo tanti anni e dopo tanti dati di assoluta certezza del rapporto tra vino rosso e cancro, restano alcune cose importanti da chiarire. Il resveratrolo, che è lo stilbene che viene di solito accreditato per le più importanti funzioni anticancro, viene assorbito in quantità sufficiente? I primi dati sembrano dire che l’assorbimento è davvero minimale. Bisogna però dire che le tecniche di farmacocinetica, di dosaggio, che solitamente utilizziamo sono tarate per i farmaci di comune impiego, dei quali non facciamo un uso per 20 anni, che è il periodo per cui bisogna assumere il resveratrolo perché si abbia un’azione protettiva. Quindi, è probabile che bisognerebbe andare a cercare nei tessuti se il resveratrolo si deposita nelle cellule che poi vengono protette successivamente dal cancro. Poi, ad agire è il resveratrolo o un suo metabolita, o altri stilbeni che sono presenti nel vino rosso? Bisogna lavorarci sopra. Fig. 20 J Nat Prod. 1984 Mar-Apr;47(2):347-52 164 Dieta mediterranea e tumori Infine, qual è il meccanismo biologico dell’azione protettiva del resveratrolo o degli altri stilbeni? E’ possibile vedere dal comunicato stampa di questa Agenzia (Fig.21) come questi problemi abbiano suscitato tanto interesse che americani e inglesi si sono consorziati insieme per studiare qual è l’assorbimento del resveratrolo e qual è il suo assorbimento quando non viene preso in veicolo alcolico. Queste ricerche trovano la loro ragione di essere in una moda che si va diffondendo oltreoceano: in questo momento negli Stati Uniti sono in vendita come integratori alimentari una larga messe di prodotti che contengono resveratrolo in pastiglie (Fig.22) e non sappiamo se di questi qualche cosa si assorbe o meno. Come avrete notato da alcune etichette, la moda, come abitualmente succede, si va diffondendo anche in Italia. Il resveratrolo (e molti altri stilbeni similari) ha un numero enorme di attività biologiche, cioè è quella che di solito viene chiamata una struttura privilegiata, vale a dire una struttura chimica naturale che ha la capacità di interagire con un gran numero di sistemi biologici. Parecchie delle interazioni riscontrate per il Resveratrolo interessano sistemi cui viene accreditata un’azione preventiva sul cancro: fra questi l’induzione dell’apoptosi è quello che viene di solito indicato come il più probabile dei meccanismi messi in moto dal resveratrolo che porta a protezione del cancro. In pratica nelle nostre cellule – è un fatto che si sa da alcuni anni – Fig. 21 165 Dieta mediterranea e tumori Fig. 22 esiste un meccanismo di autodistruzione che fa sì che quando le cellule vengono lese oltre un certo limite di danneggiamento che l’organismo giudica antieconomico riparare, si procede alla distruzione della cellula. E’ suggestivo dire che questo sistema non è altro che la rottamazione applicata alle nostre cellule. Questo tipo di meccanismo è estremamente importante perché, per fare un esempio, quando c’è un’infezione virale o un danneggiamento del DNA che può essere il preludio del cancro, molte delle cellule vengono distrutte grazie a questo meccanismo, con il risultato che viene bloccata l’infezione virale o la progressione verso il cancro. E questo, fra l’altro, ci fornisce un dato interessante, cioè quello di vedere come una molecola funzioni allo stesso modo nelle cellule delle piante e nelle nostre cellule. Il meccanismo è assolutamente identico, la cellula della pianta va in apoptosi perché è stata infettata da virus, come fa la nostra cellula. Ed è un meccanismo immunologico che, per così dire, apparenta le nostre cellule e quelle delle piante. Questa che vediamo nella figura 23 è una sche166 Dieta mediterranea e tumori matica descrizione dell’apoptosi che è, fra l’altro, di gran lunga il modo più comune in cui muore una cellula. Normalmente cioè o una cellula la distruggiamo molto rapidamente con qualche mezzo fisico, oppure muore per apoptosi. Fra l’altro è un meccanismo estremamente interessante – nella figura sono elencati alcuni lavori che abbiamo fatto nel nostro gruppo – perché si è potuto osservare che questa induzione dell’apoptosi riesce a bloccare un meccanismo di resistenza molto importante e molto comune nei confronti delle sostanze antitumorali. Molti tumori diventano resistenti al trattamento delle sostanze antitumorali perché perdono la capacità di fare apoptosi, ma con queste molecole possiamo restaurare il meccanismo riportando alla sensibilità le cellule. Questo meccanismo di ripristino è già arrivato alla sperimentazione in campo umano. Confesso che l’argomento ci ha molto affascinati, tanto che ci siamo messi con i chimici farmaceutici a modificare la molecola del piceatanno- Fig. 23 167 Dieta mediterranea e tumori lo e del resveratrolo, ottenendo dei composti nei quali questa attività era 50-100 volte più attiva e sembra invitante per l’impiego umano. Le Fig.24 e 25 riportano le ricerche più significative fatte dal CORIBIA. Fig. 24 Fig. 25 168 Dieta mediterranea e tumori Ma andiamo alle conclusioni. I rapporti tra alimentazioni e patologie neoplastiche esistono sicuramente, ma è necessario capire esattamente che cosa, nell’enorme varietà di sostanze contenute in un cibo sia responsabile dell’effetto inducente o protettivo in senso oncologico. Poi, naturalmente, si consideri che tutto ciò non è facile da calcolare su una popolazione umana che cambia con rapidità le proprie abitudini di vita, specie quelle alimentari, e cambia anche l’ambiente nel quale viviamo: tutta questo è e quindi una ricerca che deve essere integrata in maniera olistica in tutto quello che è il nostro stile di vita. E naturalmente, ancora, al giorno d’oggi, quando abbiamo ormai acquisito grande capacità di valutare le caratteristiche genetiche che ci differenziano l’uno dall’altro, è da valutare il ruolo giocato dalla costituzione genetica di ciascuno di noi, modificando il modo in cui metabolizziamo i farmaci, gli alimenti o quant’altro con cui veniamo in contatto. Io spero che le raccomandazioni alimentari, che finora sono state fatte su una base fortemente empirica, possano finalmente passare nell’ambito delle raccomandazioni in cui vi è una solidissima base scientifica. 169 11 Antica saggezza contadina e realtà moderna: il vino rosso di sicilia ed i suoi benefici effetti sulla salute Domenico Campisi Gino Avellone Proff. Associati di Medicina Interna Dipartimento Biomedico di Medicina Interna e Specialistica - Università di Palermo Antica saggezza contadina e realtà moderna: il vino rosso di sicilia ed i suoi benefici effetti sulla salute 1. Antica saggezza contadina: trentamila anni di storia La data della scoperta della vinificazione è così remota che è impossibile arrivare a conoscerla con esattezza. Si ritiene possa essere avvenuta nel periodo neolitico, iniziato circa 30.000 anni fa. I ritrovamenti di cumoli di vinaccie nei pressi di insediamenti preistorici risalenti a quell’epoca fanno supporre questa allocazione cronologica. Ritrovamenti fossili risalenti a più di tre milioni di anni, di varietà di vite selvatica, nel bacino del Mediterraneo fanno pensare ad epoche più antiche. Si ritiene comunque che la viticoltura sia nata in Mesopotamia, nell’antica Persia, dove sono stati rinvenuti orci di terracotta datati 7000 anni prima di Cristo e contenenti tracce di vino. Nelle più svariate tradizioni il vino si colloca, sin dal suo primo apparire come bevanda dagli effetti ambivalenti, punto di giunzione dell’uomo con il sacro, “sacer et terribilis”. Se per Aristofane: “Quando gli uomini bevono, allora sì che diventano ricchi, riescono negli affari, vincono la cause, sono felici e aiutano gli amici”, persino per lo stoico Seneca “l’ubbriachezza eccita e porta alla luce tutti i vizi, togliendo quel senso di pudore che costituisce un freno agli istinti cattivi”. Per i Sumeri, la vite ed il vino erano simboli di immortalità. Nella Bibbia la vigna viene citata più di 500 volte ed il vino è sempre associato alla gioia di vivere, come, ad esempio, si riscontra nell’episodio delle nozze di Cana e nel Cantico dei Cantici, nel poco posteriore Talmud, sacro gli Ebrei, “non c’è gioia senza vino”. Le prime pozioni medicinali a base di vino furono allestite dai medici di Babilonia e successivamente passaro a far parte dei trattameni curativi dei medici dell’Egitto dei Faraoni: risultati discutibili per contenere la calvizie, più efficaci per purificare l’acqua e per il processo di mummificazione. Nel 460 a.C. con Ippocrate, la medicina inizia il cammino di liberazione dalla magia e dalla stregoneria, che l’avrebbe portata attraverso i secoli a diventare la scienza riconosciuta e articolata che è oggi. In alcuni scritti Ippocrate consigliava il vino per combattere la febbre, come diuretico, come antisettico, di aiuto alle convalescenze. Nella cultura medica etrusca, il vino era ampiamente utilizzato, insieme al cavolo, sia come impiastro da apporre sulle ferite, sulle tumefazioni e le lussazioni, oltre che in caso di ascessi, per favorirne l’apertura con fuo173 Antica saggezza contadina e realtà moderna: il vino rosso di sicilia ed i suoi benefici effetti sulla salute riuscita del liquido infetto. Galeno, nel suo “De Rimediis”, dedicava un lungo capitolo alla terapia con ricette a base di vino. A Roma il vino diventa popolare come cultura e come bevanda ed è utilizzato come disinfettatte. Plinio spiega le proprietà anestetiche del vino attribuendone l’azione dell’aceto sul carbonato di calcio, con formazione di acido carbonico, dalle leggere proprietà anestetiche locali. Racconta dell’utilizzo di briciole di pane imbevute di vino aromatizzato, come svezzamento per i bambini di un anno e mezzo. Plinio consigliava pure l’utilizzo del piombo per addolcire le uve aspre ed immature; un metodo caratteristico dell’antica Roma, che si sarebbe scoperto velenoso a seguito delle ricerche del medico seicentesco Eberhard Gockel di Ulm. In una Epistola San Paolo ammonisce Timoteo a smettere di bere acqua ed a ricorrere al vino “perché curerà lo stomaco e gli altri mali”. Nel Medioevo i medici della scuola di Bologna, erano convinti che una fasciatura imbevuta di vino portasse alla cicatrizzazione ed alla guarigione della ferita. Nel 1600 il vino veniva utilizzato per curare la melanconia, il tremore di cuore, la rogna, la lebbra; per liberare il paziente dai vermi intestinali si usava il vino alla borragine ed alla melissa; mentre per la tisi e la febbre quartana il vino al rosmarino. Piranelli , medico del 1611, nel trattato “della natura dei cibi e del bere” raccomanda il vino bianco per purgare le vene dagli umori corrotti. Si racconta che Luigi XIV immergesse la propria gamba ingangrenita in una vasca piena di vino aromatizzato per alleviare il dolore. La pastorizzazione, oggi pratica corrente, fu scoperta da Luigi Pasteur studiando i vini ed i loro inacidimenti, per incarico di Luigi Napoleone, preoccupato per il deterioramento dei suoi vini. Pasteur evidenziò che il vino in provetta tappata bloccava la proliferazione dei batteri, mentre quello aperto all’aria ne favoriva la proliferazione, ed inoltre che il vino riscaldato a 60 gradi distruggeva il 99% dei batteri. Il medico Costantino Africano di scuola salernitana nel suo “De flore dietorum” afferma che: il vino ,moderatamente bevuto, conforta ed aumenta il calore corporeo naturale, espelle la bile gialla col sudore e le urine, riscaldando ed inumidendo la bile nera, ammorbidisce le membra irrigidite, indurite e secche per la fatica e l’eccessiva stanchezza; toglie la spossatezza e ridona le forze ai malati, ingrassa i corpi, rinforza l’energia e l’appetito. 174 Antica saggezza contadina e realtà moderna: il vino rosso di sicilia ed i suoi benefici effetti sulla salute A metà degli anni del 1700, un medico diventato famoso nato a Graz, in Austria, Leopold Auenbrugger, imparando a stimare la quantità di vino contenuta nelle botti picchettando con le nocche sulle doghe della bottega paterna , utilizzò lo stesso metodo per esaminare gli organi interni del corpo umano (addome e torace) elaborando così un metodo di diagnosi chiamato “percussione”, ancora oggi adottato: semeiotica fisica. E’ possibile dire che la saggezza popolare conserva il frutto della sua millenaria esperienza nel sostenere che “buon vino fa buon sangue”, che “il vino è il latte dei vecchi”, che “il vino allunga la vita”, oggi infatti, grazie alle recenti scoperte nel campo della scienza biochimica, possiamo affermare che non vi nulla di più veritiero. Recentemente, si sono cominciate ad individuare con accurate analisi le 650 sostanze presenti nel vino, valutandone le caratteristiche nutrizionali ed evidenziandone le attività di tipo farmacologico. Si sono verificate importanti funzioni di stimolante del metabolismo e supporto alla digestione (per la presenza di acido tartarico, malico e citrico), di attività antisettica esercitata dai tannini presenti nel vino su numerose specie batteriche, e quella ansiolitica ed antistress promossa da piccole quantità di vino durante il pasto (per la presenza nel vino del mesoinositolo); inoltre è stata documentata un’azione diuretica per la presenza di potassio e magnesio (confermando l’indicazione di Ippocrate che consigliava il vino nella idropsia) Inoltre la rilevante azione antiossidante ritarda l’invecchiamento tissutale, ed ha una azione cardioprotettiva. Serge Renaud (Università di Tolosa) e Curt Ellison (Università di Boston) documentarono che l’uso moderato di vino in soggetti sani può ridurre di oltre il 25% il rischio di cardiopatie,evidenziando il cosiddetto “paradosso francese”: i francesi pur seguendo una dieta alimentare favorente le cardiopatie e l’infarto, poiché la accompagnavano con piccole dosi di vino ai pasti, registravano un basso numero di cardiopatie rispetto al campione di soggetti americani esaminato. I dati di questa ricerca ebbero una diffusione non solo in ambiente scientifico ma anche a livello mass-mediatico, giacchè furono pubblicizzati nel 1991 dal programma televisivo “Sixty Minutes”, negli Stati Uniti, determinando l’immediato svuotamento degli scaffali dei supermercati delle scorte di vino. Numerose sono le ricerche e sperimentazioni, presenti nella lettera175 Antica saggezza contadina e realtà moderna: il vino rosso di sicilia ed i suoi benefici effetti sulla salute tura medica, i cui risultati confermano l’effetto positivo del vino sull’apparato circolatorio e soprattutto l’abbassamento delle lipoproteine LDL ed il potenziamento dell’attività antiaggregante. Desiro concludere questa parte di relazione ricordando che Eubulus, intorno al 375 a.C., in una summa si saggezza popolare greca, in fatto di vino, scriveva: “Tre tazze io preparo per gli uomini temperati, una per la salute, che essi vuotano per prima, la seconda per l’amore ed il piacere, la terza per il sonno. Quando questa tazza è vuota, gli ospiti saggi vanno a casa. La quarta appartiene alla violenza”. 2. R e a l t à m o d e r n a : i l v i n o r o s s o d i s i c i l i a e d i s u o i e f f e t t i s u l l a s a l u t e Il Vino è la bevanda alcolica che non solo rappresenta da secoli, nella cultura mediterranea, un importante completamento del pasto, ma giuoca un ruolo importante (insieme all’impiego dell’olio di oliva e all’ampio uso di vegetali) negli effetti protettivi della dieta mediterranea sulle malattie cardiovascolari. Infatti la complessa relazione che lega il consumo di bevande alcoliche e la salute si è arricchita negli ultimi anni di aspetti per certi versi inattesi. Studi recenti oltre a confermare gli effetti negativi di consumi elevati di bevante alcoliche, hanno dimostrato come il consumo quotidiano ma moderato di questa bevanda possa ridurre l’incidenza delle malattie coronariche e, più in generale, cardiovascolari. Uno degli impulsi maggiori per lo studio scientifico del vino è stata la messa in evidenza del cosiddetto “Paradosso francese”. Le evidenze cliniche, che scaturiscono dagli studi epidemiologici sulla cardiopatia ischemica e sulle abitudini alimentari, hanno messo in luce una correlazione diretta tra assunzione di acidi grassi saturi con la dieta e incidenza di cardiopatia ischemica, che presenta un trend decrescente dai paesi del Nord Europa a quelli che si affacciano sul mar Mediterraneo. Tuttavia è stata rilevata un’anomalia in questo trend, poiché in Francia, nonostante la presenza di elevate quote di grassi saturi nella dieta, esiste una bassa incidenza di cardiopatia ischemica che sembra essere correlata all’assunzione di alcol e in particolare di vino rosso. Nell’ambito del vino, quello rosso sembra infatti avere maggiori effetti protettivi, in quanto in esso sono contenute sostanze antiossidanti che vengono liberate dalle bucce degli acini e dai semi, che come è noto 176 Antica saggezza contadina e realtà moderna: il vino rosso di sicilia ed i suoi benefici effetti sulla salute nella vinificazione in bianco vengono separate immediatamente dal mosto che è lasciato fermentare senza le parti solide dell’uva. L’analisi chimica svolta sui vini ha consentito di identificare alcune sostanze ritenute responsabili di questo effetto protettivo: i polifenoli in particolare e tra questi la epicatechina e la quercetina e minore misura il trans-resveratrolo perchè contenuto in quantità poco significative e comunque limitata rispetto ai due precedenti. Sulla base di questi elementi e considerando la qualità dei vini e dei vitigni della Sicilia10, ipotizziamo che anche i nostri vini rossi possano svolgere un ruolo protettivo nella prevenzione delle malattie cardiovascolari. I meccanismi protettivi sarebbero indipendenti dall’effetto di quote equivalenti di alcool contenute nel vino ma riconducibili alle caratteristiche del vitigno e al contenuto di polifenoli le cui concentrazioni dipendono molto dalla tecnica di vinificazione (flavonoidi, trans-resveratrolo e tannini polimerici). Per questo motivo prenderemo in considerazione l’effetto sui principali fattori di rischio cardiovascolari indotto dall’ assunzione di circa 250 ml al giorno suddiviso nei due pasti principali di due tipi di vino rosso Siciliani (Nero d’Avola o Etna Torrepalino). Sono stati arruolati 48 soggetti sani di entrambi i sessi, di età compresa tra i 35 e 65 anni, non bevitori o bevitori occasionali di modeste quantità di vino rosso afferenti al Centro delle Dislipidemie e del Rischio trombotico della Clinica Medica dell’Università di Palermo. Sono stati esclusi dallo studio i soggetti dediti ad attività sportiva di tipo agonistico, obesi (BMI >30) e con abitudini alimentari errate (squilibrate nei nutrienti). Questa valutazione è stata svolta mediante intervista alimentare eseguita da dietisti e dalla scomposizione in nutrienti delle abitudini alimentari mediante diario settimanale. Sono stati esclusi inoltre dallo studio tutti i pazienti affetti da malattie cardiovascolari, da gravi forme di patologie epatiche o renali, da alterazioni del metabolismo glucidico o lipidico (colesterolo >250 mg %, trigliceridi >200 mg%), soggetti affetti da patologie croniche in terapia con antiaggreganti-coagulanti, ipolipidemizzanti, cortisonici, donne in trattamento con estroprogestinici, soggetti iperomocisteinemici, forti fumatori, soggetti con carenza di vitamina B12 e/o folati, soggetti forti bevitori di bevande alcoliche. In accordo con la dichiarazione di Helsinki, tutti i soggetti, dopo essere stati informati delle finalità dello studio, hanno dato il loro consenso a parteciparvi. I soggetti arruolati, dopo essere stati sottoposti ad un esame clinico e 177 Antica saggezza contadina e realtà moderna: il vino rosso di sicilia ed i suoi benefici effetti sulla salute strumentale (pressione arteriosa, E.C.G. basale e sotto sforzo, ecocolordoppler carotideo e degli arti inferiori), sono stati suddivisi in due gruppi, destinati a ricevere con un disegno in cross-over, due diversi tipi di vino rosso siciliano (Nero d’Avola-Rallo 1999 o Etna Torrepalino-Rosso Solicchiata 1999) dall’Ente di Sviluppo Agricolo della Regione Sicilia (ESA). Il gruppo A (n=24) è stato suddiviso in due sottogruppi: A1 (n=12) a cui è stato chiesto di assumere regolarmente per 4 settimane 250 ml di vino rosso Nero d’Avola suddiviso ai pasti principali e per le successive 4 settimane di tornare ai loro abituali consumi di vino (cioè sono tornati a non bere o bere vino solo in maniera occasionale) e A2 (n=12) a cui è stato chiesto per 4 settimane di conservare i loro abituali consumi di vino (cioè hanno continuato a non bere o bere vino solo in maniera occasionale) e per le successive 4 settimane di assumere regolarmente 250 ml di vino rosso Nero d’Avola suddiviso ai pasti principali. Parimenti il gruppo B (n=24) è stato suddiviso in due sottogruppi: B1 (n=12) a cui è stato chiesto di assumere regolarmente per 4 settimane 250 ml di vino rosso Etna Torrepalino suddiviso ai pasti principali e per le successive 4 settimane di tornare ai loro abituali consumi di vino (cioè sono tornati a non bere o bere vino solo in maniera occasionale) e B2 (n=12) a cui è stato chiestoo per 4 settimane di conservare i loro abituali consumi di vino (cioè hanno continuato a non bere o bere vino solo in maniera occasionale) e per le successive 4 settimane di assumere regolarmente 250 ml di vino rosso Etna Torrepalino suddiviso ai pasti principali. In tutti i soggetti arruolati sono stati determinati diversi parametri di laboratorio l’assetto metabolico lipidico, coagulativo e fibrinolitici, parametri dell’infimmazione eil potere antiossidante del plasma. Le caratteristiche dei vini sono riportate in Tab. I. Gli effetti sui parametri metabolici dei vini Nero D’Avola e Etna Torrepalino sono riportati nelle Tab. II e III rispettivamente. . Nel Gruppo A (Tab. II) l’aggiunta alla dieta di vino Nero D’Avola determina sia nel sottogruppo A1 (al tempo + 4 settimane) che nel sottogruppo A2 (al tempo + 8 settimane) un aumento statisticamente significativo dei livelli di HDL (p <0.01) e Apolipoproteina A1 (p <0.05). Non è stata messa in evidenza nessuna variazione significativa degli altri parametri, tranne per il rapporto LDL/HDL, in cui si evidenza una riduzione significativa (p <0.05) sia nel sottogruppo A1 (al tempo + 4 settimane) che nel sottogruppo A2 (al tempo + 8 settimane). 178 Tab. 1 - Caratteristiche dei vini Antica saggezza contadina e realtà moderna: il vino rosso di sicilia ed i suoi benefici effetti sulla salute 179 Tab. 2 - Modificazioni dei parametri metabolici indotte dalla somministrazione del vino Nero D’Avola Antica saggezza contadina e realtà moderna: il vino rosso di sicilia ed i suoi benefici effetti sulla salute 180 Antica saggezza contadina e realtà moderna: il vino rosso di sicilia ed i suoi benefici effetti sulla salute Nel Gruppo B (Tab. III) l’aggiunta alla dieta di vino Etna Torrepalino determina sia nel sottogruppo B1 (al tempo + 4 settimane) che nel sottogruppo B2 (al tempo + 8 settimane) un aumento statisticamente significativo dei livelli di HDL (p <0.01). Non è stata messa in evidenza nessuna variazione significativa degli altri parametri, tranne per il rapporto LDL/HDL, in cui si evidenza una riduzione significativa (p <0.05) sia nel sottogruppo B1 (al tempo + 4 settimane) che nel sottogruppo B2 (al tempo + 8 settimane). Gli effetti sui parametri coagulativi-fibrinolitici, infiammatori e antiossidanti dei vini Nero D’Avola e Etna Torrepalino sono riportati nelle Tab. IV e V. Nel Gruppo A (Tab. IV) l’aggiunta alla dieta di vino Nero D’Avola determina sia nel sottogruppo A1 (al tempo + 4 settimane) che nel sottogruppo A2 (al tempo + 8 settimane) una riduzione significativa dei livelli di Fibrinogeno (p < 0.01), Fattore VII (p <0.01), PCR (p <0.005) e degli anticorpi anti LDL-ossidate (p < 0.05) e un aumento significativo dei livelli di t-PA (p <0.005), PAI (p <0.005) e del potere antiossidante plasmatico totale (p <0.005). Non è stata messa in evidenza nessuna variazione significativa dei livelli di D-D. Nel Gruppo B (Tab. V) l’aggiunta alla dieta di vino Etna Torrepalino determina sia nel sottogruppo B1 (al tempo + 4 settimane) che nel sottogruppo B2 (al tempo + 8 settimane) una riduzione significativa dei livelli di Fibrinogeno (p <0.005), Fattore VII (p <0.05), PCR (p <0.05) e degli anticorpi anti LDL-ossidate (p < 0,05) e un aumento significativo dei livelli di t-PA (p <0.005), PAI (p <0.005) e del potere antiossidante plasmatico totale (p <0.005). Non è stata messa in evidenza nessuna variazione significativa dei livelli di D-D. Durante lo studio (dati non mostrati) in entrambi i gruppi non sono state evidenziate variazione del peso corporeo, della pressione arteriosa e della dieta, che è risultata equilibrata in tutte le fasi dello studio (glucidi 55%, lipidi 30%, protidi 15%) (tranne un incremento delle calorie totali (+7%) durante l’assunzione regolare di vino). Studi recenti hanno messo in evidenza una ridotta mortalità cardiovascolare tra i soggetti che consumano moderate dosi quotidiane di alcool rispetto ai soggetti astemi, sia tra i pazienti con storia pregressa di malattia coronarica sia tra i soggetti senza storia di malattia. Nello stesso studio la valutazione della mortalità per tutte le cause ha messo in eviden181 Tab. 3 - Modicazioni dei parametri metabolici indotte dalla somministrazionedel vino Etna Torrepalino Antica saggezza contadina e realtà moderna: il vino rosso di sicilia ed i suoi benefici effetti sulla salute 182 Tab. 4 - Modificazioni dei parametri coagulativi-fibrinolitici, infiammatori e antiossidanti indotte dalla somministrazione del vino Nero D’Avola Antica saggezza contadina e realtà moderna: il vino rosso di sicilia ed i suoi benefici effetti sulla salute 183 Tab. 4 - Modificazioni dei parametri coagulativi-fibrinolitici, infiammatori e antiossidanti indotte dalla somministrazione del vino Nero D’Avola Antica saggezza contadina e realtà moderna: il vino rosso di sicilia ed i suoi benefici effetti sulla salute 184 Antica saggezza contadina e realtà moderna: il vino rosso di sicilia ed i suoi benefici effetti sulla salute za una correlazione, tra consumo di alcool ed eventi, non di tipo continuo ma con una forma ad “U”, con un minimo di mortalità per consumi moderati di alcool, attorno a un drink al giorno. Albert ha inoltre osservato una riduzione del rischio di morte improvvisa correlato al consumo di alcool con un andamento, anche in questo caso, ad “U”. L’incidenza di morte improvvisa è risultata, infatti, elevata nei soggetti astemi, tende a diminuire nei consumatori di un drink al giorno circa e torna ad aumentare per i consumatori di 2 o più drink al giorno. Diversi studi recenti hanno inoltre evidenziato, valutando in maniera separata i consumatori di vino, birra e liquori, che la riduzione di rischio di sviluppare un infarto o un ictus è inferiore di circa il 50% tra i consumatori regolari di qualunque tipo di bevanda alcolica. Alcuni effetti benefici di un consumo moderato di alcool nella prevenzione della CHD sono suffragati da evidenza scientifica. E’ noto da tempo infatti come esista una correlazione diretta tra consumo di alcool ed il valore del colesterolo legato alla frazione delle lipoproteine antiaterogene, le HDL. La correlazione tra i due parametri è sostanzialmente di tipo lineare, passando dai soggetti astemi ai consumatori di forti quantità di bevande alcoliche (più di 6 drinks al giorno). Anche i livelli di Apo A1, la principale Apolipoproteina delle HDL, rispondono favorevolmente all’assunzione quotidiana di alcool. I risultati del nostro studio sulle frazioni lipoproteiche sono in linea con i dati della letteratura. Entrambi i vini in esame mostrano infatti di determinare un aumento significativo dei livelli di HDL-Colesterolo e una riduzione non significativa dei livelli di colesterolemia totale e LDL-Colesterolo. Ne risulta una riduzione significativa del rapporto LDL-C/HDL-C, che è un importante marker di rischio cardiovascolare. Solo l’aggiunta alla dieta di vino Nero D’Avola determina invece un aumento statisticamente significativo dei livelli di Apolipoproteina A1. L’alcool non influenza solamente alcuni parametri lipidici, ma anche alcuni meccanismi della coagulazione e della trombosi. Sul versante coagulativo, nel nostro studio entrambi i vini nostrano una riduzione dei livelli di fibrinogeno e fattore VII, che sono oggi considerati marker di rischio cardiovascolare. Per quanto riguarda il fibrinogeno, che rappresenta un fattore di rischio indipendente di malattie cardiovascolari, Mennen ha dimostrato infatti una correlazione inversa nelle donne tra consumo di alcool e livelli di fibrinogeno, mentre nei soggetti di sesso maschile la cor185 Antica saggezza contadina e realtà moderna: il vino rosso di sicilia ed i suoi benefici effetti sulla salute relazione assume una chiara conformazione ad “U”, cioè con un minimo di fibrinogenemia che si osserva tra i 20 e i 60 grammi di consumo di alcool, che sono quelli per il quali è massima la protezione cardiovascolare. L’alcool, a dosi moderate, è in grado di influenzare favorevolmente anche l’aggregazione piastrinica, svolgendo una azione “aspirino simile”. A dosi elevate tuttavia, l’alcool svolge una azione pro-trombotica. Infatti l’escrezione urinaria di trombossano aumenta significativamente dopo una assunzione di notevole quantità serale di alcool. Questo studio sembra fornire una possibile spiegazione della riduzione degli eventi cardiovascolari indotta dal moderato consumo di alcool. E’ da notare inoltre che differenze significative sull’aggregazione piastrinica sono state evidenziate tra il vino rosso e bianco, con una risposta minore all’induttore collageno in soggetti in trattamento con vino rosso, probabilmente a causa del contenuto differente dei polifenoli presenti nei due tipi di vini. Sul versante fibrinolitico, è noto che il vino abbia una azione positiva, determinando un aumento delle concentrazioni dell’attivatore tissutale del plasminogeno (t-PA). Nel lavoro di Ridker, esiste una correlazione lineare tra i livelli di t-PA e il consumo di alcool. Infatti. passando dai consumatori giornalieri di qualunque bevanda alcolica ai consumatori settimanali o mensili, e quindi ai soggetti astemi, la concentrazione di t-PA si riduce del 30%, determinando una maggiore tendenza alla stabilizzazione del trombo e quindi alla trombosi. Nel nostro studio entrambi i vini mostrano un aumento sia di t-PA che di PAI. Tuttavia, poiché l’aumento del t-PA (+80.8 % e 74.9% dopo l’assunzione rispettivamente dei vini Nero D’Avola e Etna Torrepalino) è molto più marcata dell’aumento del PAI (+51.6 % e 59.5% rispettivamente), ne risulta una attivazione globale della fibrinolisi. Ciò viene confermato dalla riduzione significativa dei livelli di fibrinogeno e dall’aumento (anche se non significativo) dei livelli di D-dimero. Accanto alle proprietà dell’etanolo è opinione corrente che il ruolo protettivo del vino sia in gran parte ascrivibile alla sua componente non alcolica, cioè ai composti fenolici non vitaminici a documentata azione antiossidante. In numerosi studi in vitro, è stato dimostrato che i composti fenolici del vino sono in grado di modulare la resistenza all’ossidazione di LDL umane ed è opinione corrente che la modifica ossidativa delle LDL rappresenta una delle basi patogenetiche dell’aterosclerosi. In vivo, nello studio di Cartron l’effetto protettivo del vino rosso, del vino bian186 Antica saggezza contadina e realtà moderna: il vino rosso di sicilia ed i suoi benefici effetti sulla salute co e dello Champagne francesi sembra legato alle modifiche dei parametri lipidici, ma non alle caratteristiche antiossidanti plasmatiche che non presentano variazioni significative sia dopo assunzione di una singola dose, che dopo una somministrazione a lungo termine (3 settimane). In contrasto con questi risultati, nel nostro studio dopo 4 settimane di assunzione regolare di vino rosso abbiamo riscontrato una riduzione degli anticorpi anti LDL-ossidate e un incremento della capacità ossidativa globale. Questo significativo risultato, ottenuto con entrambi i vini siciliani (ricchi di polifenoli), sembra dimostrarne un ruolo protettivo sui meccanismi patogenetici dell’aterosclerosi. E’ da sottolineare infine, che entrambi i vini mostrano una riduzione della PCR che, tra markers della infiammazione, viene oggi considerata un fattore di rischio indipendente per lo sviluppo di eventi aterotrombotici. Infatti da diversi anni si identifica l’infiammazione come un momento cruciale nello sviluppo e nella progressione dei processi arteriosclerotici, poiché oltre a favorire lo sviluppo della placca, potrebbe determinarne la rottura. Ed è ben noto che la rottura della placca rappresenta il momento chiave nello sviluppo della sindrome coronarica acuta. In conclusione, anche se lo studio è stato condotto a breve termine e la numerosità non è elevata, i nostri risultati mostrano un effetto positivo di entrambi i vini rossi siciliani presi in considerazione su numerosi fattori di rischio cardiovascolari, suggerendo che l’uso moderato di vino rosso deve essere incoraggiato nella popolazione adulta (senza patologie epatiche o nelle quali l’alcool non risulta controindicato) come parte integrante della dieta mediterranea. La ricerca è stata finanziata dall’Ente di Sviluppo Agricolo della Regione Sicilia (ESA) a seguito di atto di Convenzione con l’Università di Palermo - Istituto di Clinica Medica Repertorio n° 17 del 09.11.2000 187 Antica saggezza contadina e realtà moderna: il vino rosso di sicilia ed i suoi benefici effetti sulla salute Bibliografia • • • • • • • • • • • 188 AVELLONE G, DI GARBO V, ABRUZZESE G, ET AL. Crossover study on effects of Mediterranean diet in two randomly selected population samples. 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All’interno del genere Olea vi sono ben 35 specie; la più importante delle quali è, certamente, l’Olea Europeae che è divisa in due sottospecie, delle quali una, la O. europeae sativa, è quella coltivata, mentre l’altra, l’O. europeae sylvestris, è il tipo selvatico. L’olivo coltivato è un albero sempreverde ad accrescimento lento che può raggiungere grandi dimensioni, anche se, in coltura, si cerca di contenerne lo sviluppo per aumentarne la produttività (1, 2). 2. Valorizzazione nutrizionale dell’olio di oliva Dal punto di vista nutrizionale la valorizzazione dell’olio di oliva prende avvio dagli interessanti studi condotti, per la prima volta, intorno agli anni ’50, dal nutrizionista americano Dott. Ancel Keys che, nel portare avanti ricerche sulla prevenzione delle malattie cardiovascolari, aveva osservato come le popolazioni del bacino del Mediterraneo fossero meno esposti a problemi cardiocoronarici proprio perché la loro dieta era, a prima vista, povera di grassi (3). Prendendo le mosse da quelle osservazioni e sulla base delle prime evidenze epidemiologiche e sperimentali, le quali mettevano in risalto la stretta relazione tra contenuto lipidico della dieta e malattie cardiovascolari, il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti (USDA), nel 1992, elaborò una guida destinata ad orientare la popolazione ad operare delle scelte dietetiche in grado di mantenere un buono stato di salute e di ridurre il rischio di malattie croniche. La guida divenne nota come “La piramide alimentare”, in quanto i cibi da preferire occupavano la base della piramide, dato che se ne potevano consumare più porzioni al giorno, mentre quelli da adoperare con maggio193 Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea re moderazione erano, via via, disposti verso l’apice (Figura 1). Ed in effetti: • In cima si trovano zuccheri, dolci, oli e grassi, ossia alimenti da consumare con parsimonia; • Più in basso vi sono carne, pesce, pollame, uova, legumi, latte, formaggi, yogurt e frutta secca, il cui consumo quotidiano consigliato è di 2-3 porzioni; • Al centro sono collocati ortaggi, frutta e verdura, il cui consumo è di 3-5 porzioni al giorno; • Alla base vi sono pane, cereali, pasta, riso, il cui consumo deve essere abbondante, ossia da 6 a 11 porzioni al giorno. Questo tipo di piramide sostanzialmente raccomandava alla gente di evitare i grassi ma di preferire abbondanti quantità di alimenti ricchi in carboidrati come pane, cereali, riso e pasta. Nacque così lo slogan “I grassi fanno male” che portò direttamente al corollario “i carboidrati fanno bene”. Fig 1 - La piramide alimentare proposta dal Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti nel 1992 194 Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea Per questo motivo, per un periodo di tempo, i grassi, in generale e, tra questi, anche gli oli vegetali, furono “demonizzati”. Ben presto, però, ci si rese conto che quella piramide, in realtà, era una guida ingannevole. Se, infatti, lo scopo era quello di ridurre il consumo dei grassi, che fanno innalzare i livelli di colesterolo, bisogna, però, ammettere che non tutti i grassi sono nocivi né che tutti i carboidrati complessi giovano alla salute. Infatti, nelle aree geografiche dove si fa largo uso di grassi nella dieta come, per esempio, nella Finlandia Orientale, il tasso di malattie cardiache è molto più alto rispetto a quelle aree dove prevale il consumo di olio di oliva, come nell’Isola di Creta (Figura 2). Fig 2 - Il confronto tra diete differenti di Paesi, appartenenti ad aree geografiche diverse, mette in risalto come la Dieta Mediterranea, basata sull’uso quotidiano dell’olio di oliva, sia la più vantaggiosa per il controllo delle malattie cardiache Qui, benché la quota lipidica costituisca il 40% dell’apporto calorico giornaliero, l’incidenza delle malattie cardiache è più bassa persino di quella riscontrata in Giappone, dove il contenuto totale di grassi non copre più del 10% della dieta. 195 Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea Recenti progressi scientifici, in tema di nutrizione, hanno portato ad una sostanziale revisione della prima piramide alimentare, soppiantata da una nuova piramide proposta, dodici anni più tardi, nel 2004, sempre negli USA, sulla base degli studi condotti da due autorevoli epidemiologi e dietologi americani W.C.Willet e M.J. Stamper, della Harward Medical School of Public Health (4). Loro hanno potuto dimostrare che un alto apporto di carboidrati raffinati come il pane bianco ed il riso brillato può avere un effetto devastante sui livelli di glucosio e di insulina nell’organismo. E, pertanto, hanno proposto una nuova piramide che incoraggia, ponendoli proprio alla base, tanto il consumo di cereali integrali quanto quello di grassi salutari, come gli oli vegetali, ricchi di acidi grassi mono e polinsaturi, ma sconsiglia categoricamente l’uso di carboidrati raffinati (inclusi il pane bianco, il riso e la pasta prodotta con farina non integrale), di grassi saturi ( contenuti in burro, strutto, lardo, panna) nonché di patate, zucchero, dolci e carne rossa (Figura 3). Fig 3 - La nuova piramide alimentare proposta da W.C.Willet e M.J. Stamper 196 Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea La nuova piramide è integrata da uno zoccolo inferiore che sottolinea l’esigenza di svolgere un regolare e giornaliero esercizio fisico e presenta, come suggerimento esterno, l’indicazione ad un moderato consumo di alcool, preferibilmente vino rosso, e ad una supplementazione vitaminica, oltre che il controllo periodico del peso ed un moderato consumo totale di calorie. Il modello di alimentazione proposto da questa seconda piramide si avvicina molto alla “Dieta mediterranea” che si ricollega alle secolari abitudini alimentari dei popoli del bacino del Mediterraneo ed è caratterizzata da una abbondanza di alimenti di origine vegetale provenienti da cereali, legumi, frutta, ortaggi, da alimenti prevalentemente di origine marina quali il pesce e da un tipo di grasso, molto diffuso, come l’olio di oliva. Questa dieta contiene pochi acidi grassi saturi, è ricca di carboidrati complessi e fibre, ha un elevato contenuto di acidi grassi monoinsaturi che derivano essenzialmente dall’assunzione dell’olio di oliva. Gli stessi pane e pasta, che rappresentano gli alimenti fondamentali di questa dieta, rispondono a questi requisiti se ottenuti con farine integrali che apportano un consistente quantitativo di fibre in grado di soddisfare il senso di fame, influenzare l’assorbimento dei principi nutritivi, diminuire il tempo di transito intestinale e ridurre il rischio di malattie come la diverticolite e la sindrome del colon irritabile. La disponibilità, poi, nel bacino del Mediterraneo, di molte piante aromatiche quali rosmarino, origano, salvia, basilico, cappero, prezzemolo, menta, aglio e cipolla, permette di arricchire le varie pietanze di sapori gradevoli che stimolano fisiologicamente la secrezione dei succhi digestivi e contribuiscono a ridurre al minimo necessario la quantità di condimenti (5). In Italia, già dal 2002, l’illustre nutrizionista Prof. F. Fidanza, con lo scopo di rendere più chiaro ed immediato il messaggio nutrizionale, ha proposto, al posto delle piramidi, il “Tempio della Dieta Mediterranea salutare” (Figura 4). Esso è formato da tre gradini di base, il crepidoma, nei quali sono riportati, nei primi due, le regole fondamentali di comportamento, ossia “ lo stile di di vita più salutare possibile” ed “il dispendio energetico della stessa entità dell’apporto energetico”; gran parte del terzo gradino è riservato all’olio vergine di oliva, a voler sottolineare che esso rappresenta l’alimento basilare della Dieta Mediterranea. Accanto a questo, sempre nello stesso gradino, una modica quantità di vino rosso. 197 Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea Più sopra, campeggiano due grandi colonne esterne, nelle quali sono indicati, con caratteri di differente grandezza, in rapporto alle diverse quantità da consumare, alcuni alimenti caratterizzanti la Dieta Mediterranea salutare. In particolare, in una colonna trovano collocazione pane integrale, cereali ed, in minor misura, patate, mentre nell’altra, verdura fresca, frutta di stagione ed, in porzioni ridotte, frutta secca (noci, mandorle, nocciole). Nelle due colonnine centrali spiccano rispettivamente le scritte “legumi” e “pesce” e ciò ne fa subito intuire l’importanza. Fig 4 - Il tempio della Dieta Mediterranea salutare Nelle metope, situate in alto, sotto il timpano, sono indicati gli alimenti non caratterizzanti la Dieta Mediterranea salutare ed esattamente: latte e derivati, carni, uova, grassi, dolciumi e zucchero. Questi sono sovrastati dalla scritta “Moderazione”, riportata nel timpano, a voler rimarcare l’importanza di non cadere in una dieta sbilanciata o per difetto o per eccesso.(6) 198 Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea Con la dieta Mediterranea, è possibile raggiungere, pur con l’ingestione di una soddisfacente quantità di alimenti a valore calorico limitato, un certo senso di sazietà, riuscendo a contrastare l’obesità. Fibre solubili, come quelle presenti in molti legumi, possono aiutare a ridurre il colesterolo nel sangue. I cereali integrali, inoltre, sono altamente protettivi nei confronti del tumore del colon, del seno, dell’endometrio e della prostata. Si raccomanda un limitato consumo di prodotti caseari, come latte intero, panna e formaggio, di carne, principalmente di quella rossa, e carni insaccate, di uova e cibi salati, affumicati o contenenti nitrati. In termini di grassi da condimento bisogna prediligere l’olio vergine di oliva, anche per le fritture, con la raccomandazione, comunque, di non esagerare con i consumi e di evitare le alte temperature ed i lunghi tempi di cottura. Va posta, inoltre, attenzione nel limitare al massimo l’uso di cibi preconfezionati, come i prodotti da bar, pasticcerie e rosticcerie (cornetti, brioche, pizzette, piadine, ecc.), che sono un pericoloso veicolo di elevate quantità di grassi saturi. La dieta deve, inoltre, assicurare un adeguato apporto di sali minerali e vitamine, mediante l’assunzione abbondante di frutta e verdura. La salubrità di un siffatto tipo di alimentazione è ampiamente documentata (7). Fig 5 - Ripartizione consigliata di principi nutritivi per una dieta equilibrata Più recenti progressi scientifici, in tema di fisiologia della nutrizione, indicano che, per godere di un ottimale stato di salute e vivere in benessere, è necessario che i principi nutritivi presenti nella nostra dieta provengano in ragione del 65% da alimenti di natura glucidica, del 25% di natura lipidica e del 10% di natura proteica (Figura 5). La parte preponderante della quota lipidica dovrà provenire da oli vegetali e, preferibilmente, da oli di oliva (8). 199 Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea 3. Denominazioni commerciali degli oli di oliva Come è noto l’olio di oliva rappresenta, per tradizione alimentare e legame col territorio, uno dei prodotti fondamentali dell’agricoltura ed indiscusso protagonista della “Dieta Mediterranea”. Fig 6 - Schema di lavorazione delle olive per ottenere le principali categorie di oli Esso è prodotto dalla spremitura a freddo delle olive semplicemente lavate e sottoposte a processi meccanici di molitura e gramolatura, seguiti da altri procedimenti fisici, comprendenti la decantazione, la centrifugazione e la filtrazione (Figura 6). Il termine “olio di oliva” è usato in maniera generica per definire tutti gli oli derivanti dalla lavorazione delle olive; in realtà questo termine racchiude una gamma di prodotti diversi per qualità e caratteristiche. Infatti, gli oli del commercio, conformemente a quanto disposto dal regolamento della C.E., debbono riportare, già dal 1° Novembre 2003, in funzione della categoria di appartenenza, le seguenti denominazioni (9): 200 Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea • • • • Olio extravergine di oliva, di gusto “assolutamente perfetto”, con acidità, espressa in acido oleico, inferiore o uguale allo 0,8%, ottenuto dal frutto dell’olivo solo mediante mezzi meccanici o fisici e senza subire alcun trattamento diverso dal lavaggio, dalla decantazione, dalla centrifugazione e dalla filtrazione; Olio vergine di oliva, di gusto “perfetto”, con acidità inferiore o uguale al 2%, ottenuto sempre col solo utilizzo di mezzi meccanici o fisici; Olio di oliva composto da una miscela di oli di oliva rettificati, ossia vergini lampanti (con acidità iniziale > 2%) che hanno subito un processo di raffinazione, con oli vergini d’oliva, diversi da quello lampante, ed avente acidità finale inferiore o uguale all’1,5%. Non è previsto un contenuto minimo di oli vergini da addizionare; Olio di sansa di oliva composto da una miscela di oli di sansa rettificati con oli vergini d’oliva, diversi da quello lampante, ed avente acidità finale inferiore o uguale all’1,5%; anche in questo caso non è previsto un contenuto minimo di oli vergini da addizionare. Gli oli vergini ed extra-vergini di oliva, quando siano in possesso di particolari requisiti derivanti da fattori naturali, dalle modalità di produzione e di lavorazione, possono ottenere il riconoscimento della Denominazione di origine controllata (DOC). Il marchio DOP (Denominazione di Origine Protetta) identifica la denominazione di un prodotto strettamente correlato alla zona di produzione garantendo la zona di origine di un olio extra-vergine. Questo marchio garantisce che tutti i procedimenti di produzione sono stati effettuati nell’ambiente geografico del luogo di origine. La DOP tutela, quindi, la tipicità del prodotto essendo conferito solo agli oli extra-vergini di oliva prodotti nel pieno rispetto della tradizione della propria zona d’origine(10). Prodotti DOP (Denominazione d’Origine Protetta) 201 Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea Molti sono gli oli extra vergini di oliva italiani che hanno ottenuto questa denominazione ( Val di Mazara, Valli Trapanesi , Monti Iblei, Monte Etna, Bruzio, Lametia, Sabina, Cilento, Alto Crotonese, Aprutino Pescarese, ecc.). Il Marchio IGP (Indicazione Geografica Protetta) viene assegnato quando il legame col territorio è presente in almeno uno degli stadi di produzione, della trasformazione o dell’elaborazione del prodotto che gode di una certa fama ( ad esempio l’olio extravergine di oliva Toscano) (11). Prodotti IGP (Indicazione Geografica Tipica) Infine la denominazione “Biologico” viene assegnata all’olio vergine di oliva prodotto da piante coltivate senza l’uso di diserbanti, pesticidi, fertilizzanti sintetici. Per questi tipi di oli è previsto esclusivamente l’impiego di tecniche di coltivazione ed allevamento rispettose dell’ambiente; per rendere fertili i terreni si utilizzano concimi organici e minerali naturali, mentre per difendere le coltivazioni dai parassiti si adottano prodotti e tecniche che non hanno alcun impatto sull’ambiente(12). Prodotti Agricoltura Biologica 202 Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea 4. Composizione chimica dell’olio di oliva I componenti dell’olio di oliva possono essere suddivisi in due frazioni: n una prevalente, gliceridica, saponificabile, che ne rappresenta dal 95 al 99,5% ; n una minoritaria, non gliceridica e, quindi, insaponificabile compresa tra lo 0,5 ed il 5%. La frazione gliceridica, derivante dalla combinazione di glicerina con gli acidi grassi, è composta, principalmente, da: • trigliceridi (96,4-95,8%); • digliceridi (2,0-3,0%); • una bassissima concentrazione di acidi grassi liberi. I trigliceridi, oltre ad essere un’importante fonte di energia per l’organismo, forniscono, infatti, 9 Cal./g , hanno molteplici prerogative, quali ad esempio: • apportare acidi grassi e, soprattutto, quelli cosiddetti “essenziali”; • favorire l’assorbimento delle vitamine liposolubili; • svolgere azione plastica nella strutturazione delle membrane cellulari; • manifestare un’azione funzionale come precursori delle prostaglandine; • possedere un’azione protettiva nei confronti della colesterolemia. Una caratteristica peculiare che accomuna tutti gli acidi grassi di origine naturale è che essi: • sono sempre formati da un numero pari di atomi di carbonio; • se, polinsaturi, presentano doppi legami non coniugati (i dieni ed i trieni si trovano solo negli oli che hanno subito un processo di rettificazione); • hanno un’isomeria del doppio legame CIS e mai TRANS (questi ultimi si trovano soli nei grassi idrogenati); • le posizioni 1 e 3 della glicerina sono, di preferenza, esterificate con acidi grassi saturi; • l’acido oleico e linolenico si distribuiscono equamente in tutte le posizioni del trigliceride; • l’acido linoleico prevale nella posizione 2 della molecola della glicerina (13). 203 Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea Gli acidi grassi saturi sono termicamente molto stabili ma si accumulano facilmente nel nostro organismo, viceversa gli acidi grassi polinsaturi possiedono interessanti qualità biologiche ma la presenza di legami insaturi li rende anche più facilmente attaccabili dall’ossigeno (Figura 7). Il fenomeno ossidativo procede con una velocità proporzionale al numero dei doppi legami esistenti ed è contrastato dalla natura e dalla concentrazione delle sostanze antiossidanti. Fig 7 - Andamento della stabilità termica, dell’ossidabilità, della capacità di accumulo nell’organismo degli acidi grassi saturi, monoinsaturi e polinsaturi, in funzi ne dei livelli di insaturazione crescente (—) o decrescente (—) Gli acidi grassi monoinsaturi riescono a coniugare i vantaggi di entrambi; infatti, sono dotati di buona stabilità termica, fruiscono di ottime proprietà biologiche ma non sono facilmente esposti all’evento ossidativo. L’equilibrata composizione in acidi grassi dell’olio di oliva con un grado di insaturazione non troppo elevato, rispetto a tutti gli altri oli e grassi, e la contemporanea presenza di numerose sostanze anti-ossidanti, come la vitamina E ed i polifenoli, consentono a questo alimento di far coesistere i vantaggi di una particolare stabilità con quelli di un migliore metabolismo e, quindi, di una migliore digeribilità (Tabella I). L’olio di oliva è caratterizzato, nella frazione saponificabile (Figura 8), da una netta prevalenza, intorno al 70-75%, di acido oleico (18:1, n-9), 204 Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea un acido grasso monoinsaturo; una minore percentuale di acidi grassi saturi , come il palmitico (16:0) e lo stearico (18:0), complessivamente intorno al 17%, ed una quota ottimale di acidi grassi polinsaturi, quali il linoleico (18:2, n-6) (8%) ed il linolenico (18:3, n-3) (0,9%), che rappresenta la quantità necessaria e sufficiente per mantenere l’omeostasi nell’organismo (14). Tab. 1 Composizione in acidi grassi dei principali oli e grassi (Fonte - Dati Unaprol) Fig. 8 Composizione percentuale acidica della frazione saponificabile degli oli 205 Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea Nella frazione insaponificabile dell’olio di oliva si annoverano alcoli, steroli, idrocarburi e composti con una forte attività antiossidante come polifenoli e tocoferoli (Figura 9). Tutte queste sostanze conferiscono all’olio di oliva caratteristiche proprietà organolettiche quali il profumo (fruttato, mela, carciofo, mandorla, pinolo, erba, foglia, ecc.) e il gusto tipico (amaro, piccante), nonché proprietà biologiche particolari. Alcune di queste sostanze (alcoli, steroli, idrocarburi) rappresentano anche, dal punto di vista analitico, dei marker, ossia delle sostanze guida, per svelare la presenza di eventuali frodi (15). Fig. 9 Composizione percentuale della frazione insaponificabile degli oli di oliva Se non subentrano azioni chimico-fisiche che alterino il prodotto, la composizione chimica dell’olio può essere influenzata da numerosi fattori (Figura 10), quali: • La varietà delle olive ed il loro grado di maturazione; • Le condizioni ambientali e climatiche; • Le tecniche di allevamento delle piante; • Le procedure di raccolta, stoccaggio e trasporto del prodotto; • I procedimenti di lavorazione del frutto; • Le modalità ed i tempi di conservazione dell’olio. Mentre la frazione gliceridica è pressocchè uguale in quasi tutti gli oli di oliva, salvo alcune variazioni quantitative, i costituenti minori presentano differenze qualitative e quantitative, a volte rilevanti, che influenzano le caratteristiche organolettiche, nutrizionali, dietetiche e merceologiche. 206 Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea Fig. 10 Fattori che influenzano la composizione chimica e le caratteristiche qualitative dell’olio di oliva (14) 5. L’importanza nutrizionale degli acidi grassi dell’olio di oliva Gli studi sui rapporti esistenti tra alimentazione ed incidenza di malattie cardiovascolari e tumori hanno messo in evidenza il ruolo fondamentale della dieta quale possibile concausa nell’insorgenza di tali processi morbosi. In Europa la mortalità per tumore al polmone ed al seno e per malattie cardiovascolari è considerevolmente più bassa in quei Paesi dove si consuma, soprattutto, olio di oliva come grasso alimentare (Italia, Grecia e Spagna), rispetto ai Paesi del Nord Europa o degli Stati Uniti dove tale consumo è basso (16). Tuttavia, recenti ricerche epidemiologiche hanno dimostrato che, pure in Italia, il 35% di tutti i tumori diagnosticati ed il 40% circa di malattie cardiovascolari sono legati ad abitudini alimentari squilibrate ed errate (17). Fino a poco tempo fa i grassi e gli oli di origine vegetale erano considerati ininfluenti per quanto riguarda il rischio oncogeno. Tuttavia, analisi recenti suggeriscono la possibilità che l’olio di oliva produca un effetto protettivo nei confronti di alcuni tipi di neoplasia ed, in particolare, del tumore alla mammella. Le proprietà nutrizionali dell’olio di oliva sono determinate dalle sue caratteristiche di composizione acidica mirabilmente equilibrate e la sua 207 Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea utilizzazione, come principale fonte di grassi alimentari, nell’ambito dei limiti raccomandati di assunzione della quota lipidica, gioca un ruolo importante nel fornire una protezione dietetica alla salute dei consumatori di tutte le età. Per i bambini, per il grande apporto di acido oleico presente anche nel latte materno; per gli sportivi, perché rappresenta un’insostituibile fonte di energia prontamente digeribile e, nell’età senile, in quanto limita la perdita di calcio dalle ossa. La fama dell’olio di oliva, come prodotto mediterraneo con potenziali benefici per la salute, ha, ormai, varcato i confini delle malattie cardiovascolari ed oncologiche per arrivare ad essere studiato, persino, come rimedio o prevenzione in molte altre condizioni. Si vanno facendo, infatti, sempre più numerosi gli studi che dimostrano effetti favorevoli dovuti al consumo di olio di oliva nei confronti dell’ipertensione, del diabete, dell’obesità, dell’ulcera gastro-duodenale, della calcolosi biliare, dell’artrite reumatoide, fino ad arrivare ai deficit cognitivi cerebrali. Già nel lontano 1886 era stato notato che l’aggiunta di olio di oliva nei pasti inibisce la secrezione di acido gastrico (18). Studi successivi hanno confermato i risultati di questa pioneristica ricerca mediante sperimentazioni effettuate prima sui cani (19), dopo sui ratti (20) ed, ultimamente, sull’uomo (21, 22). L’olio di oliva esplica, anche, un’azione positiva sul tono e sull’attività della cistifellea, poiché ha proprietà colagoghe e colecistocinetiche, che sono responsabili della motilità e dello svuotamento della cistifellea. Esiste, infatti, una correlazione inversa tra consumo di grassi vegetali e l’incidenza di calcoli biliari. Dalle ricerche condotte in questo campo è emerso il ruolo opposto degli acidi grassi saturi e degli acidi grassi insaturi: i primi stimolano la formazione di calcoli biliari, mentre i secondi la riducono (23,24). L’uso regolare dell’olio di oliva pare che riesca ad esplicare un’azione positiva nel ridurre, al di là, ovviamente, della predisposizione genetica, il rischio di insorgenza del diabete mellito (insulino-dipendente). La resistenza periferica all’insulina è un fenomeno dovuto alla riduzione dell’attività dei recettori insulinici localizzati nelle membrane cellulari che comporta un innalzamento della glicemia e della insulinemia. L’iperinsulinemia determina, a sua volta, a livello epatico, un aumento della sintesi degli acidi grassi e del colesterolo e, quindi, una loro maggiore incorporazione nelle membrane cellulari che tendono, pertanto, ad irrigidirsi ulteriormente (aterosclerosi). In tale ottica, le misure dietetiche adottate non sono importanti solo 208 Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea per la prevenzione del diabete, ma costituiscono anche la base della terapia di tale patologia. Infatti, la riduzione del consumo di acidi grassi saturi e la loro sostituzione con acidi grassi monoinsaturi (acido oleico), derivanti anche dall’impiego di olio di oliva, costituisce una misura di fondamentale necessità, dal momento che i pazienti diabetici sono notevolmente soggetti all’aterosclerosi. Recenti indagini hanno, ulteriormente, confermato che tanto il controllo glicemico quanto i profili lipoproteici traggono vantaggio da una dieta ricca di acidi grassi monoinsaturi (25). Nel corso degli anni, si sono moltiplicati gli studi epidemiologici che hanno messo in risalto le conseguenze benefiche del consumo di olio di oliva ed, in particolare, l’effetto preventivo, dell’acido oleico sui tumori dell’endometrio e delle ovaie (26, 27), della mammella (28), della prostata (29) e del colon-retto (30). L’olio di oliva potrebbe divenire un prezioso alleato per combattere il cancro al seno. È la nuova prospettiva terapeutica offerta dai risultati degli esperimenti di Javier Menendez della Northwestern University Feinberg School of Medicine di Chicago che hanno svelato il meccanismo dell’azione anticancro dell’olio. Gli esperti hanno studiato l’effetto dell’acido oleico su cellule malate coltivate in laboratorio. L’acido oleico ha effetto contro le cellule tumorali perché riduce del 46% l’attività del gene Her-2/neu, un oncogene che è rovinosamente iperattivo in un caso su cinque di carcinoma mammario e la cui iperattività è legata a tumori con prognosi più delicata. Ciò spiega il minor rischio per questa neoplasia tipico delle donne dei Paesi mediterranei, come dimostrato in passato con numerose indagini epidemiologiche su campioni di popolazione femminile. I ricercatori, arrivati per primi a queste spiegazioni biochimiche, adesso puntano a sviluppare nuove indagini epidemiologiche per vedere se le donne malate che usano l’olio extra-vergine a tavola rispondono meglio alle terapie oncologiche. In un secondo tempo, si potrà anche pensare di inserire le molecole di base dell’olio come adiuvanti delle terapie stesse. Acido oleico 209 Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea Inoltre, i ricercatori si sono accorti che l’acido oleico può, anche, migliorare l’efficacia del trattamento col farmaco trastuzumab (“herceptin”), un anticorpo monoclonale che riconosce e lega, intrappolandola, la proteina prodotta proprio dal gene Her-2/neu e che consente di prolungare la vita di molti pazienti con un tumore al seno. E se ciò non bastasse si è visto che l’acido oleico stimola l’attività di un gene oncosoppressore, ovvero un freno naturale della crescita del tumore, che serve a produrre la proteina p27Kip1. Questa molecola è, a sua volta, importante perché impedisce alla paziente di diventare resistente alla erceptina. In un secondo momento i ricercatori, con test su animali da laboratorio, potranno sviluppare le premesse per l’aggiunta di acido oleico nelle terapie farmacologiche contro il cancro al seno, per rendere le terapie stesse più efficaci e per ridurre il rischio di resistenza farmacologica (31). Inoltre, studi biochimici e clinici condotti da numerosi studiosi americani ed europei su diverse popolazioni hanno dimostrato che, una dieta con un alto contenuto in grassi saturi, comune in molti Paesi dell’Europa Occidentale e Settentrionale, eleva il colesterolo LDL; al di là del ruolo aterogeno, i grassi saturi peggiorano il “catabolic rate” del colesterolo e favoriscono l’insorgenza dell’ipertensione, la tendenza alla trombosi, nonché una moltiplicazione cellulare che caratterizza la lesione arteriosa. Viceversa, una dieta ricca di carboidrati complessi e fibre ed in cui la fonte di grassi sia principalmente costituita da acidi grassi monoinsaturi, come si ha nella dieta Mediterranea, riduce il livello di colesterolo LDL. Viene, generalmente, accettata la teoria secondo la quale l’aumento dei livelli di lipoproteine a bassa densità (LDL) abbia un ruolo eziologico nell’insorgenza dell’arteriosclerosi e delle patologie ad essa associate (ischemia, infarto, ictus). È stato provato, in particolare, che la quantità e la composizione degli acidi grassi saturi assunti con la dieta, con il consumo di grassi di origine animale (burro, strutto, lardo, panna, ecc.), proprio perché più facilmente immagazzinati dalle cellule, ma più difficilmente smaltiti, concorrono a far aumentare la quantità di queste lipoproteine all’interno della parete arteriosa. Com’è noto queste lipoproteine sono particelle sferiche composte da grassi e proteine e formate da un monostrato esterno contenente la proteina denominata “apolipoproteina B”, detta Apo B, disposta attorno ad un nucleo centrale contenente trigliceridi e/o esteri del colesterolo (grassi non polari). Una particella di queste lipoproteine contiene circa 210 Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea 3600 acidi grassi, di cui almeno la metà è di tipo polinsaturo. Orbene, si è potuto constatare che dette lipoproteine sono, praticamente, innocue allo stato “originario” ma rappresentano un vero pericolo qualora vengono alterate da un processo di ossidazione. È molto probabile che l’ossidazione di queste lipoproteine si verifichi a livello della parete arteriosa, piuttosto che nel circolo ematico, quando vengono intrappolate nell’intima e sottoposte a modificazioni di tipo ossidativo. I macrofagi, cellule che si formano quando i monociti, provenienti dal circolo, passano attraverso la parete dell’arteria, fagocitano avidamente queste LDL contribuendo alla loro trasformazione in cellule schiumose. L’accumulo di queste, nell’intima, determina la formazione di strie lipidiche. Queste, con un meccanismo simile a quello delle formazioni delle cicatrici, vengono gradualmente convertite in placche fibrose. Tali placche, man mano che si ingrandiscono, restringono il lume dei vasi, impedendo il normale flusso ematico, e causano la maggior parte degli eventi clinicamente rilevabili (Figura 11). Fig. 11 Ostruzione arteriale dovuta alla progressiva crescita della placca fibrosa ateromatosa Se ciò avviene a carico delle coronarie può portare a ischemia miocardica e infarto, se, invece, si verifica nei vasi che portano il sangue al cervello si può arrivare all’ictus (32). Il processo ossidativo si pensa possa essere inibito dalla presenza nel plasma di antiossidanti (come le vitamine C ed E) e che si verifichi solo quando queste difese sono scarse e, soprattutto, se c’è carenza di ·-tocoferolo (33). È stato provato che la graduale sostituzione dei grassi saturi alimentari con grassi monoinsaturi, come si verifica con l’assunzione quotidiana 211 Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea di olio di oliva, riduce i livelli di LDL, diminuendo, quindi, la quantità di queste particelle nella parete dell’arteria e, di conseguenza, la quantità e la composizione delle lipoproteine disponibili per l’ossidazione. Inoltre, grazie al contenuto in Vitamina E e composti fenolici, dotati di potente azione antiossidante, l’olio di oliva offre un’ulteriore valida protezione all’ossidazione delle LDL. Ciò favorisce la riduzione delle concentrazioni di colesterolo totale e LDL senza ridurre i livelli di HDL, migliorando cosi il profilo lipidico ed aiutando a prevenire l’iperlipidemia. Questa sostanziale differenza tra i due tipi di alimentazione, malgrado le similitudini tra i classici fattori di rischio per le patologie cardiocircolatorie, è stata associata ad un più basso pericolo di insorgenza delle patologie stesse (34-40). L’olio di oliva potrebbe esplicare, proprio grazie ad un elevato contenuto di acido oleico ed alla contemporanea presenza di sostanze antiossidanti, un ruolo protettivo nei confronti di patologie neurodegenerative come l’Alzheimer ed il Parkinson (41-43). È stato dimostrato, tramite uno studio epidemiologico condotto su una popolazione anziana del Sud Italia, che elevati introiti di acidi grassi monoinsaturi proteggono dal declino cognitivo correlato all’età. Infatti, nel corso dell’indagine, svolta su un gruppo di 704 soggetti pugliesi di età compresa tra i 65 e gli 84 anni, seguiti, nel tempo, per 9 anni presso il Comune di Casamassima, è stato possibile valutare il ruolo delle abitudini alimentari sulla mortalità ed, in particolare, l’azione di una dieta ad alto contenuto di acidi grassi mono e polinsaturi. I soggetti esaminati assumevano una tipica dieta Mediterranea di cui i grassi rappresentavano il 29% (17,6% monoinsaturi, 3% polinsaturi e 8,4% saturi) degli introiti energetici totali. L’olio extra vergine di oliva rappresentava l’85% del consumo totale di grassi. I risultati dello studio hanno messo in evidenza che gli acidi grassi monoinsaturi si associano ad una ridotta mortalità per tutte le cause. In particolare 15 g/die di acidi grassi monoinsaturi si associano ad una riduzione del 20% di mortalità della popolazione ultrasessantacinquenne (44). L’olio extra vergine d’oliva diventa, quindi, un vero e proprio “elisir di lunga vita” perché, grazie all’importante patrimonio di sostanze dotate di elevata azione antiossidante, previene e combatte molte malattie croniche che si manifestano con l’avanzare degli anni. Queste relazioni favorevoli non sono, però, ancora conclusive ed 212 Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea occorrerà del tempo prima che si consolidino i risultati raggiunti che, al momento, rimangono soltanto come ipotesi suggestive. Ma l’olio vergine di oliva non è solo acido oleico. Acido linoleico (c9, c12 - 18:2) Anche l’acido linoleico, il cui contenuto è circa l’8%, pare che riesca a svolgere azioni molto interessanti soprattutto nel caso di malattie autoimmuni. In tali malattie la risposta immunitaria di tipo 1 è caratterizzata da una iperproduzione di interleuchina 1 (IL-1), interleuchina 2 (IL-2), interferone –gamma (IFN-gamma) e di Tumor Necrosis Factor-alfa (TNF-alfa). Questo meccanismo è alla base di alcune malattie come psoriasi, alopecia, artrite reumatoide, malattia di Crohn, sclerosi multipla, diabete mellito insulino-dipendente, uveite. L’acido linoleico riuscirebbe ad inibire tale meccanismo portando alla soppressione della risposta immunitaria di tipo 1 (45). Tale acido, assieme al linolenico, vengono, inoltre, definiti acidi grassi essenziali perché non possono essere sintetizzati dall’organismo e debbono necessariamente venire introdotti con la dieta, pena il manifestarsi di carenze. Esiste un’abbondante documentazione sperimentale, epidemiologica e clinica sui danni nello sviluppo cerebrale e psichico in caso di carenze di acidi grassi polinsaturi essenziali; tali condizioni, peraltro, sembrano rare nel Mondo Occidentale ed in Italia e sono facilmente corrette con l’allattamento al seno, con l’uso successivo o sostitutivo delle più comuni formulazioni alimentari pediatriche in commercio e con la dieta usualmente suggerita in fase di svezzamento. Il problema della carenza, in questo settore, sembra sostanzialmente confinato, oggi, ad alcuni Paesi in via di sviluppo. Gli acidi grassi polinsaturi essenziali, essendo, come già ricordato, 213 Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea precursori di fattori protettivi quali le prostaglandine nonché di altri eicosanoidi, sostanze ormono-simili, come i trombossani, i leucotrieni, ecc., risultano particolarmente importanti, dal punto di vista biologico, perchè svolgono le seguenti funzioni: • influenzano l’aggregazione piastrinica; • controllano la vasodilatazione e la vasocostrizione delle arterie coronariche; • sovrintendono alla regolazione della pressione del sangue. Sembra, tuttavia, chiaro che gli effetti benefici dell’olio di oliva siano dovuti, almeno per quel che riguarda i suoi componenti principali, all’equilibrio tra acidi grassi saturi, monoinsaturi e polinsaturi, nonché tra questi ultimi e gli agenti antiossidanti. In particolare, i saturi non dovrebbero superare il 10% della quota calorica totale per il rischio di rallentare il metabolismo del colesterolo e provocare la rigidità delle membrane biologiche, ma lo stesso livello non dovrebbe essere superato dai polinsaturi per il rischio delle perossidazioni biologiche. Alcuni Autori ritengono, oggi, preferibile un rapporto tra acidi grassi saturi, monoinsaturi e polinsaturi rispettivamente di 6:14:10 con un’ulteriore suddivisione, tra i polinsaturi, di 8:2 tra la serie w-6 e la serie w-3 (46). 6. Importanza nutrizionale dei componenti minori dell’olio di oliva Come già detto, i componenti minori dell’olio di oliva sono costituiti, in ordine decrescente di concentrazione, da idrocarburi saturi ed insaturi, alcoli alifatici superiori, alcoli di-triterpenici, comprendendo tra questi anche gli steroli ed i metil-steroli, polifenoli, pigmenti colorati (Carotenoidi e Clorofille) e vitamine liposolubili. Gli idrocarburi sono composti esclusivamente da carbonio ed idrogeno e costituiscono, in media, circa il 50-60% del contenuto totale dell’insaponificabile di un olio di oliva. Il principale idrocarburo è lo squalene, presente in quantità comprese tra 125-800 mg/100 g di olio; esso è un triterpene polinsaturo, intermedio della biosintesi del colesterolo, dei fitosteroli e di tutti gli ormoni steroidei, con azione fisiologica nel ricambio umano (crescita). 214 Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea Squalene Alcune evidenze sperimentali fanno avanzare l’ipotesi che l’elevato contenuto di squalene nell’olio di oliva sia il principale fattore dell’effetto di riduzione del rischio del cancro della mammella e del pancreas. Sembra che detta sostanza svolga, anche, un’attività chemiopreventiva, per quanto riguarda la formazione di tumori del colon. Inoltre, lo squalene è utilizzato, in campo medico/terapeutico, per nutrire la pelle, per alleviare il dolore e l’infiammazione delle articolazioni, per la difesa contro virus comuni, per mantenere sani i sistemi scheletrico e circolatorio, come potenziante delle masse muscolari, al posto della creatina, per la terapia della cartilagine ricostruita dopo interventi di chirurgia (47). Gli alcoli alifatici costituiscono il 20-35% della frazione non saponificabile dell’olio. Sono molecole generalmente molto volatili che, evaporando a basse temperature, contribuiscono, assieme ad aldeidi , chetoni ed eteri, a caratterizzare il tipico profumo emanato dagli oli vergini di oliva. Si percepiscono olfattivamente in quantità esigue dell’ordine dei Ìg/kg. Alcoli triterpenici possono essere presenti sia liberi che esterificati con acidi grassi. Di particolare interesse sono il cicloartenolo, il metil-cicloartenolo, il citrostadienolo, ecc. che agiscono favorendo l’eliminazione di colesterolo in seguito ad un aumento della secrezione di acidi biliari (15). Citrostadienolo 215 Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea Gli steroli, denominati anche fitosteroli, sono alcoli ciclici monovalenti insaturi presenti negli oli, sia in forma libera che esterificata con acidi grassi. Sono stati identificati nell’olio extravergine di oliva più di 40 steroli in quantità compresa tra 113-265 mg/100 g; di questi oltre il 90% è rappresentato dal b-sitosterolo; valori più bassi sono indicativi della presenza di sostanze grasse di origine diversa (oli di semi). Studi sperimentali ed epidemiologici hanno dimostrato che una dieta ricca in fitosteroli offre una buona protezione verso i tumori del colonretto e della prostata. Numerose sono le ipotesi per quanto riguarda il meccanismo d’azione di queste molecole verso la proliferazione delle cellule tumorali. In particolare, l’azione del‚ sitosterolo sulle cellule neoplastiche si manifesterebbe mediante un aumento dell’apoptosi, cioè della morte programmata delle cellule. Infine, recentemente, è stata evidenziata una funzione di stimolo da parte del‚ sitosterolo sulle funzioni del sistema immunitario anche se, ancora, non è noto il meccanismo d’azione. L’importanza degli steroli vegetali sta, anche, nel fatto che studi clinici hanno dimostrato un loro effetto ipocolesterolemizzante, legato alla loro capacità di ridurre l’assorbimento intestinale del colesterolo. Ciò si spiega mediante un meccanismo che si basa sulla loro somiglianza strutturale con il colesterolo. b - sitosterolo colesterolo Gli steroli, infatti, si sostituiscono al colesterolo nelle particelle che permettono l’assorbimento dei grassi nell’intestino in modo tale che quest’ultimo non venga assorbito e, pertanto, non potendo arrivare nel flusso ematico viene eliminato dall’organismo attraverso le feci. 216 Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea Il risultato finale consiste in una sensibile riduzione della coleterolemia (8-14%) ottenibile in seguito all’assunzione di alimenti arricchiti in steroli vegetali (almeno 1,6-2 g/die). La capacità di inibire l’assorbimento intestinale di colesterolo LDL, senza alterare la concentrazione di colesterolo HDL, si traduce anche in un’azione protettiva verso le malattie cardiovascolari (48). I polifenoli sono composti chimici aromatici, dotati di nuclei fenolici legati a gruppi radicalici di varia natura, che contribuiscono a conferire all’olio il caratteristico aroma fruttato ed il gusto piccante-amaro. Essi rappresentano, pertanto, un’insieme di composti eterogenei tra cui si possono riconoscere le sei diverse classi molecolari indicate nella Tabella II. Gli oli extraverginei di oliva contengono mediamente una concentra- Tab. 2 Composti fenolici dell’olio di oliva 217 Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea zione di polifenoli compresa tra 150-300 mg/kg. Secondo alcuni Autori le classi preponderanti della frazione fenolica degli oli vergini di oliva sono i secoiridoidi ed i lignani (70-95%) negli oli appena prodotti, mentre è stato osservato un aumento delle altre classi durante la conservazione; ciò, probabilmente, è dovuto a processi idrolitici che si verificano a carico dei primi. La frazione fenolica dell’olio vergine di oliva rappresenta quella maggiormente protettiva nei confronti dei processi ossidativi. Però non tutti i composti hanno evidenziato la stessa attività antiossidante. Ciò è importante alla luce dell’ampio numero di molecole identificate nell’olio vergine di oliva (49). Tra i diversi composti è stata individuata una maggiore attività antiossidante per quelli dotati di due ossidrili in posizione orto, in virtù di una maggiore capacità di delocalizzazione della forma radicalica, grazie al meccanismo illustrato in Figura 11. In pratica, i composti fenolici tendono a cedere idrogeno al substrato da ridurre formando, dapprima, un legame idrogeno intramolecolare ed ossidandosi, successivamente, a composti ortochinonici. Essi contribuiscono alla rigenerazione della Vitamina E e sono in grado di chelare gli ioni ferro capaci, a loro volta, di iniziare e propagare la perossidazione lipidica. La capacità antiossidante dei composti fenolici è legata, quindi, alla loro attività come “radical scavanger” (50). Fig. 11 Attività antiossidante dei composti fenolici dell’olio di oliva legata alla loro capacità di “radical scavanger” (LOO=radicale di un acido grasso, LOOH=acido grasso) 218 Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea In questo senso i due composti più importanti sono l’oleoeuropeina e l’idrossitirosolo, caratterizzati entrambi da una struttura catecolica (orto-difenoli). Pertanto, grazie a questi composti, di cui l’olio vergine di oliva è l’unico, tra i grassi vegetali, a esserne ricco, la qualità ed il valore biologico dell’olio stesso sono meglio preservati nel tempo. Queste sostanze antiossidanti manifestano una duplice azione protettiva, non solo nei confronti dell’olio ma anche sull’uomo che se ne nutre. La loro ampia gamma di attività biologiche, attribuibile alla loro natura chimica, è dovuta al fatto che sono molecole amfifiliche ossia, in parte, liofile, con conseguente azione antiossidante lipidica, paragonabile a quella posseduta anche dai Tocoferoli (Vitamina E) ed, in parte, idrofile, cioè con possibilità di interazione con gli enzimi, al pari della capacità antiossidante mostrata dalla Vitamina C (51). Oltre alla già ricordata attività nei confronti delle lipoproteine LDL, i polifenoli hanno dimostrato di poter svolgere varie altre importanti azioni biologiche, come ad esempio: • provocare l’inibizione di cellule coinvolte in processi fisiopatologici quali le piastrine, responsabili di processi trombotici, e i leucociti, coinvolti in processi infiammatori; • modulare enzimi che regolano funzioni cellulari; infatti, viene aumentata la sintesi dell’ossido nitrico (NO), potente vasodilatatore, capace di produrre nell’Uomo un abbassamento della pressione arteriosa sia sistolica che diastolica (52); • essere in grado di bloccare i radicali liberi, evitando la loro azione ossidante su macromolecole biologiche (danneggiamento dell’elica del DNA, di strutture protidiche e lipidiche) che provoca delle alterazioni spesso coinvolte nella genesi dei tumori. I radicali liberi sono atomi o molecole (anione superossido O2-, idrossile OH-, diossido di azoto NO2, ossido nitrico NO-, idrogeno H-, ossigeno O+, ossigeno singoletto O2+,ecc.) che contengono un solo elettrone spaiato nell’orbitale più periferico. Questa caratteristica conferisce loro una elevata reattività legata alla necessità, per raggiungere un livello energetico più stabile, di cedere o di assumere un elettrone da altre molecole con le quali vengono a contatto, molecole che, a loro volta, diventano instabili, innescando così un meccanismo di “instabilità a catena”. 219 Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea La serie di reazioni che ne scaturisce può durare da una frazione di secondo ad alcune ore e può essere ridimensionata o arrestata dalla presenza di vari agenti antiossidanti. Le reazioni radicaliche sono ubiquitarie negli organismi viventi e i radicali liberi si possono formare da fattori endogeni o esogeni all’organismo umano (Figura 12), come ad esempio, composti organici, metaboliti, alimenti, fattori ambientali, ecc.(53). Fig. 12 Serie di reazioni, provocate da fattori endogeni ed esogeni all’organismo umano, scatenanti la formazione di radicali liberi che provocano il danneggiamento del DNA Se sono in quantità minima, i radicali liberi aiutano il sistema immunitario nell’eliminazione dei germi e nella difesa dai batteri; ma quando se ne formano in grandi quantità, producono una molteplicità di danni irreparabili (figura 13). L’azione distruttiva è indirizzata, soprattutto, sulle cellule, in particolare sui lipidi che sono i costituenti principali delle membrane cellulari (lipoperossidazione) (Figura 14), sugli zuccheri, sulle proteine, sugli enzimi e, specialmente, sul DNA, dove vengono alterate le informazioni genetiche. L’azione continua dei radicali liberi si evidenzia, in modo più accen220 Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea tuato, nel precoce invecchiamento delle cellule e nell’insorgere di varie patologie gravi come le malattie dell’apparato cardiovascolare, diabete, sclerosi multipla, artrite reumatoide, neoplasie, enfisema polmonare, cataratta, morbo di Parkinson e Alzheimer, dermatiti, ecc.. Fig. 13 Danni indotti dall’azione dei radicali liberi Fig. 14 Danno prodotto dai radicali liberi sulle membrane cellulari. A sinistra una rappresentazione di una membrana non danneggiata, a destra quella di una membrana danneggiata che ha perso fluidità e funzionalità 221 Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea L’organismo umano si difende naturalmente dai radicali liberi producendo degli antiossidanti endogeni , ossia degli enzimi citoplasmatici o mitocondriali, come la superossidodismutasi (SOD, zinco dipendente), la catalasi (CAT) e la glutation-perossidasi (GSAPX, selenio dipendente). Durante il metabolismo cellulare, i radicali liberi prodotti vengono trasformati, per azione della SOD in acqua ossigenata, ancora tossica e dannosa per le strutture cellulari. A sua volta, però, l’acqua ossigenata viene ridotta, dalla CAT e dalla GSAPX, in ossigeno ed acqua che vengono escreti dall’organismo tramite le urine, il sudore e la respirazione. Superata, però, una certa soglia di radicali liberi è necessario un apporto esterno di antiossidanti. I principali sono i polifenoli, i bioflavonoidi, alcune vitamine (A, C, E) ed alcuni micronutrienti ed enzimi (Selenio, Rame, Zinco, glutatione, coenzima Q10, melatonina, ecc.). Gli agenti antiossidanti possono agire singolarmente o interagire, proteggendosi a vicenda nel momento in cui vengono ossidati. Va tenuto presente che ciascun antiossidante ha un campo di azione limitato ad uno o due radicali liberi. Pertanto, solo un’alimentazione completa ed equilibrata può garantire un’efficace azione antiossidante. Per assicurarsi un sufficiente apporto giornaliero di antiossidanti gli esperti consigliano un’alimentazione equilibrata ed un consumo giornaliero di almeno 5-6 etti di frutta di stagione e verdura fresca ( due etti di frutta e tre etti di verdura) (54). I radicali liberi vengono bloccati, oltre che dai suddetti enzimi, da meccanismi di difesa che coinvolgono polifenoli, Vitamina E, vitamina C, il‚ b-carotene, ecc. Tra i composti fenolici quelli più studiati sono stati l’oleuropeina e l’idrossitirosolo. L’oleoeuropeina è un principio amaro di struttura‚ b-glucosidica che possiede, tra l’altro, un’attività blandamente ipoglicemizzante. Infatti, nelle persone affette da questa patologia agisce migliorando la tolleranza al glucosio, facendo abbassare i livelli di glucosio a digiuno e riducendo i picchi di risposta glicemica. Altri effetti attribuibili all’oleuropeina sono l’inibizione dell’aggregazione piastrinica ed il potenziamento della protezione cellulare e dell’organismo intero attraverso la risposta mediata dai macrofagi. Questo effetto si integra armoniosamente con l’azione antimicrobica contro virus, batteri, lieviti, funghi, muffe ed altri parassiti (55). All’oleouropeina è stata 222 Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea riconosciuta, da alcuni ricercatori, una capacità antitumorale con azione in diverse fasi del processo cancerogeno (56). Spesso, durante il ciclo di lavorazione, l’oleouropeina si idrolizza scindendosi in glucosio, acido elenoico ed in 3,4-diidrossifeniletanolo (3,4-DHPEA) o idrossitirosolo. oleuropeina Acido elenoico idrossitirosolo Quest’ultimo è un composto interessante in quanto esplica un’azione antiherpes, ipotensiva, antiaggregante piastrinica ed, in vitro, effetti antitumorali, inibendo la proliferazione sia sulle linee cellulari di leucemia promielocitica che dell’adenocarcinoma del colon (57). Recentemente è stata scoperta una notevole attività farmacologica in un derivato dell’oleuropeina aglicone, responsabile del sapore pungente che si avverte in gola quando si gusta dell’olio extravergine di oliva, che è stato denominato “Oleocantale”. Il nome sta ad indicare che si tratta di un composto aldeidico (“ale”), che deriva dall’olio di oliva (“oleo”) e che ha un sapore pungente (“canth”) (58). Struttura dell’oleocantale (a sinistra) e dell’ibuprofene (a destra) 223 Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea Per verificare che veramente l’oleocantale fosse responsabile del sapore pungente del condimento gli scienziati hanno testato diverse qualità d’olio di oliva verificando che maggiore era il contenuto di oleocantale in ciascuna, più forte diventava il gusto pungente dell’olio. Tale sensazione era simile a quella determinata dall’assunzione di un farmaco antinfiammatorio quale l’ibuprofene. Partendo da questa considerazione e ricostruendo in laboratorio la forma sintetica della molecola si è potuto constatare che essa manifestava la stessa azione inibente e dose dipendente sulle ciclossigenasi 1 e 2 (COX-1 e COX-2), ossia nei confronti dei medesimi bersagli dell’ibuprofene. Il meccanismo d’azione, tuttora allo studio, pare sia da collegarsi al fatto che detti enzimi danno luogo alla produzione di prostaglandine PGE2, dotate di spiccata azione pro-infiammatoria e che, pertanto, inibendo i primi si spegne anche l’effetto dolorifico prodotto dalle seconde. Pertanto l’azione dell’oleocantale dovrebbe essere del tutto simile a quello manifestato dai farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) con l’inibizione, come detto prima, delle COX-1 e COX-2, ed, a livello del sistema nervoso centrale, delle COX-3, e il conseguente blocco della cascata che dall’acido arachidonico porta alle PGE2. Tale riscontro indurrebbe ad ipotizzare che il consumo costante di olio vergine di oliva e, quindi, di oleocantale, possa svolgere un’azione preventiva su alcune patologie infiammatorie. Anche se la quantità di oleocantale presente in 50 g di olio extravergine di oliva corrisponde alla decima parte della dose raccomandata per un adulto per ottenere un effetto terapeutico simil-ibuprofene sul dolore (59), si deve rilevare, tuttavia, che dosi inferiori ai 100 mg/die di aspirina, inizialmente ritenute non terapeutiche, sono risultate efficaci, se assunte per un lungo periodo di tempo. Anche a bassi dosaggi si è potuto riscontrare, infatti, un’azione come antiaggregante piastrinica nella prevenzione di alcune patologie cardiovascolari ed una riduzione del rischio di insorgenza di varie neoplasie (63% per i tumori del colon, 39% per quelli del seno, 36% per quelli del polmone, 39% per quelli della prostata, 73% per quelli dell’esofago, 62% per quelli dello stomaco e 47% per quelli delle ovaie) (60). Vi è, ancora, da segnalare che ,tra le sostanze ad attività anticancerogena, sono da tenere in notevole considerazione i lignani, composti fenolici presenti anche nel nocciolo dell’oliva e che, spesso, nel corso della frangitura delle olive passano nell’olio. 224 Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea I II III Lignani: 1-acetoxipineresinolo (I), pinoresinolo (II) e idrossipinoresinolo (III) È stato, infatti, dimostrato che essi inibiscono la crescita di diversi tipi di tumori: cutanei, mammari, del colon, polmonari (61). Negli animali la somministrazione di semi di lino, notevole fonte di lignani, previene l’insorgenza di carcinoma mammario (62,63). Il meccanismo proposto per spiegare come i lignani agiscano nel bloccare la carcinogenesi include l’attività antivirale ed antiossidante propria di questi composti. Inoltre, le similitudini strutturali con l’estradiolo e l’antiestrogeno sintetico tamoxifene, inducono a ritenere che i lignani possano agire, almeno in parte, anche come antiestrogeni. Essi, infatti, sono in grado di inibire la sintesi di estradiolo nella placenta e nel tessuto adiposo, la proliferazione indotta da estrogeni di cellule umane di carcinoma mammario, nonché di aumentare i livelli di Sex Hormone-Binding Globulin (SHBG: proteina plasmatica vettrice degli steroidi sessuali), con conseguente riduzione dei livelli liberi, biologicamente attivi, di estrogeni (64). Secondo ricerche svolte presso l’Istituto Superiore di Sanità i polifenoli, e, precisamente, l’acido protocatechico e l’oleuropeina, sono in grado di funzionare non solo come antiossidanti in senso stretto, ma anche di stimolare, attraverso un effetto diretto sul DNA, la produzione di enzimi antiossidanti cellulari endogeni, rafforzando, in tal modo, le difese interne proprie dell’organismo nei confronti dei fenomeni ossidativi (65). 225 Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea I pigmenti colorati che si trovano nell’olio di oliva sono i Carotenoidi e le clorofille. I primi sono formati, in maniera preponderante, da b-carotene (da 0,5 a 10 mg/kg) e minoritaria da luteina e xantofille, e conferiscono all’olio la caratteristica colorazione gialla; le seconde, contenute nell’olio nella quantità massima di 2,5 mg/kg, sono costituite da Clorofilla A e B e da feofitina A e B ed impartiscono all’olio una colorazione verde, più intensa per le olive poco mature. Anche il b-carotene può essere considerato un “quencher” dell’ossigeno singoletto che è, in vivo, una delle forme più reattive dell’ossigeno. Inoltre, il‚ b-carotene viene definito pro-vitamina A in quanto, ad opera dell’enzima carotenasi, presente nel fegato, si trasforma in Vitamina A. Questa esplica un’azione specifica nel processo della visione, impedisce la secchezza delle mucose ed è necessaria per il mantenimento dell’integrità della pelle, di cui ne promuove la crescita e ne rallenta l’invecchiamento. I bisogni nutrizionali di Vitamina A per un individuo adulto sono valutati in 600-700 µg/die (66). Le clorofille ed i loro derivati (feofitine e feoforbidi) sono pigmenti presenti nell’olio vergine di oliva che, in presenza di luce, mostrano attività pro-ossidante: possono, infatti, catalizzare la fotossidazione. Il meccanismo di reazione è basato sul trasferimento di energia dalla luce ai pigmenti indicati. Questi composti, così attivati, possono reagire direttamente con gli acidi grassi formando radicali che vanno a promuovere l’autossidazione. Le clorofille eccitate possono anche reagire con l’ossigeno tripletto trasformandolo in ossigeno singoletto; questo è in grado di ossidare gli acidi grassi insaturi formando idroperossidi. La fotossidazione è, pertanto, un fenomeno degradativo la cui conseguenza diretta è la progressiva scolorazione dell’olio extravergine di oliva con viraggio del colore dal verde al giallo paglierino molto tenue. Le clorofille, invece, in assenza di luce si comportano da antiossidanti insieme con i polifenoli (67). Il termine Vitamina E viene usato per indicare sia i tocoferoli che i tocotrienoli. I Tocoferoli sono contenuti nell’olio in quantità comprese tra 5 e 300 mg/kg (ppm) e si distinguono, inoltre, nelle forme a, b, g e d. Di queste, la forma biologicamente più attiva è quella “a” considerata, perciò, la vera Vitamina E, mentre le altre, pur possedendo, in vitro, 226 Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea Alcune forme diverse di Vitamina E in funzione della differente posizione dei sostituenti metilici un’ottima attività antiossidante, agiscono limitatamente in vivo essendo scarsamente assorbite dall’intestino e rapidamente eliminate dall’organismo. Nell’olio vergine di oliva i tocoferoli presenti sono tutti nella forma · ed in concentrazioni comprese tra 150-300 mg/kg, mentre negli oli di semi, ad eccezione del girasole, sono presenti prevalentemente nelle forme g e d. Le forme b, g e d non superano, nel loro insieme, il 10% del contenuto di a-tocoferolo (68). Secondo la Food and Drug Administration (FDA) il livello di assunzione di Vitamina E dovrebbe corrispondere a 8 mg/die, per gli uomini, ed a 10 mg/die, per le donne, ma tale fabbisogno aumenta con l’apporto di acidi grassi polinsaturi fino al 200%. Deve essere anche considerato che i tocoferoli naturali non sono molto stabili e, spesso, si verificano negli alimenti perdite, anche rilevanti, col magazzinaggio e con le cotture. Sembra, quindi, dubbio che l’apporto di vitamina E con l’alimentazione sia sempre sufficiente a compensare i bisogni dell’organismo ed è, perciò, possibile che si possa verificare il caso che non venga rispettato in vivo un adeguato rapporto tra mg di atocoferolo / g di acidi grassi polinsaturi (E/PUFA) con conseguente rischio 227 Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea perossidativo. Come si può notare nella tabella III, l’olio extravergine di oliva presenta un rapporto Vitamina E/PUFA più elevato anche dell’olio di germe di grano, riconosciuto come principale fonte di detta vitamina ma che pre- Tab. 3 Rapporto tra contenuto in vitamina E e in acidi grassi polinsaturi (PUFA) di oli e grassi senta anche una notevole quantità di acidi grassi polinsaturi. Sotto questo punto di vista l’olio di oliva si presenta in una situazione di privilegio per il non elevato contenuto in acidi grassi polinsaturi, per la presenza di una buona quantità di Tocoferolo nella forma ·, nonché per una serie di acidi fenolici e di fenoli dotati di attività antiossidanti. L’insieme di queste ultime sostanze determina un fenomeno di esaltazione della stabilizzazione contro l’ossidazione e ciò spiega come mai l’olio di oliva sia una delle sostanze grasse che meglio resiste ai fenomeni ossidativi sia a temperatura ambiente che nei trattamenti a caldo come le fritture. La Vitamina E protegge dall’ossidazione le strutture lipidiche, salvaguarda le membrane biologiche e difende dai radicali liberi che si formano nelle cellule. I processi tecnici di lavorazione, specie la raffinazione dell’olio, riducono inevitabilmente la quantità di questa sostanza con perdite nelle acque di vegetazione durante l’estrazione. 228 Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea Alcuni studi epidemiologici hanno dimostrato che dosi elevate di vitamina E, assunte regolarmente per un periodo di almeno due anni, riducono significativamente il rischio di malattie cardiocoronariche (31-65 %). Questi dati non hanno trovato, tuttora, riscontro in esperimenti a breve termine con dosaggi inferiori. Per adesso è stato completato solo lo studio denominato Cambridge Heart Antioxidant Study (CHAOS). I risultati di questa indagine in doppio cieco, controllata con placebo, su 2000 pazienti con patologia cardiocoronarica documentata, hanno indicato che l’assunzione di vitamina E ad alte dosi può ridurre significativamente l’incidenza di eventi cardiaci non fatali ma non ha alcun impatto sulla mortalità globale (33). Bisogna, infine, ricordare che l’olio extravergine di oliva contiene, anche, significativi livelli di Vitamina D che pare riesca a migliorare l’assorbimento intestinale del calcio ed a svolgere, conseguentemente, una buona attività contro la decalcificazione ossea negli anziani. Si conoscono parecchi composti con attività vitaminica D; ma i più importanti sono: • vitamina D2 o ergocalciferolo, unicamente di origine esogena; • vitamina D3 o colecalciferolo, di origine sia esogena che endogena, quest’ultima proveniente dall’irradiazione con raggi U.V. del 7-deidrocolesterolo presente nella pelle. Il fabbisogno di Vitamina D, nell’adulto, varia da 0 a 15 µg/die (69). 7. Conclusioni Da quanto fin qui detto si evince che l’olio vergine di oliva è l’unico olio che viene ottenuto per estrazione a freddo da un frutto con soli mezzi meccanici e può essere consumato non raffinato; esso non è solo una delizia per il palato ma rappresenta un alimento insostituibile nella dieta Mediterranea. Ricco in giusta misura di acidi grassi insaturi, con una elevata percentuale di acido oleico ed un ottimale rapporto tra acido oleico e linoleico, così come richiesto dalla moderna dietologia, l’olio vergine di oliva contiene una miriade di costituenti minori, ma non per questo meno importanti, che esplicano, come si è detto, svariate ed importantissime azioni protettive, soprattutto antiossidanti, nei confronti del nostro organismo. Nessuno, però, ad oggi, consiglia l’uso di supplementi od estratti di 229 Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea olio vergine di oliva in sostituzione del consumo nella sua forma naturale, forse perché sostanze non ancora note o la giusta miscela di composti già noti potrebbe essere il segreto delle sue meravigliose virtù salutari. Tanto che definire l’olio vergine di oliva semplicemente un “condimento” può apparire sicuramente riduttivo dato che le sue proprietà nutrizionali ed i suoi effetti benefici vanno ben al di là di quelli attribuibili ai singoli componenti che lo caratterizzano. Si può, pertanto, a ragione affermare che l’olio extravergine di oliva rappresenti un naturale “functional food”, ovvero un “nutraceutico”, benevolmente offertoci dalla Natura per porre il nostro organismo al riparo dalle continue offese cui la nostra frenetica vita, quotidianamente, lo espone. Nel 1997, in una riunione promossa dalla Comunità Europea, a Roma, presso il CNR, specialisti europei hanno concordato che vi è una forte evidenza che la Dieta Mediterranea, con l’olio vergine di oliva quale principale fonte di grassi, gioca un ruolo chiave nella prevenzione di fattori di rischio cardiovascolare quali dislipemie, ipertensione, diabete ed obesità e, di conseguenza, nella prevenzione primaria e secondaria della cardiopatia coronaria. Inoltre, ci sono evidenze che suggeriscono un possibile ruolo preventivo dell’olio di oliva nei confronti di alcuni tipi di neoplasia ed, in particolare, del tumore alla mammella. Non meraviglia, pertanto, la decisione della Lilt (Lega italiana per la lotta contro i tumori) di scegliere proprio l’olio extra-vergine di oliva come prodotto simbolo per la prevenzione e la lotta contro i tumori. Per tutti i suoi innumerevoli pregi nutrizionali e salutari, l’olio extra vergine di oliva ha ottenuto, recentemente, uno dei più importanti riconoscimenti internazionali, direttamente dalla Food and Drug AdministraQualified Health Claim”. Grazie a questo riconoscimention (FDA), il “Q to, l’olio extravergine di oliva ed i prodotti alimentari che lo contengono possono beneficiare in etichetta della seguente dizione: “Limited and not conclusive scientific evidence suggest that eating about 2 tablespoon (23 grammi, circa 3-5 cucchiai al giorno) of olive oil daily may reduce the risck of coronary heart disease” . Da millenni protagonista nella tavola mediterranea l’olio di oliva è un utile presidio per il contenimento di svariate tipologie di malattie per cui si rende necessaria una corretta informazione rivolta sia ai produttori, al fine di migliorare la qualità del loro prodotto, sia ai consumatori che non dovrebbero mai smettere di considerarlo come un alimento di notevole importanza, sicuramente un alleato prezioso per la loro salute. 230 Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea Bibliografia 1) FABBRI A., PEDRAZZINI M. Incontro tecnico-scientifico: “l ritorno dell’olivo nel Parmense”, Salsomaggiore Terme (PR), 27/05/2000; 2) GUARINI T. La qualità dell’olio di oliva vergine- Imbottigliamento, Novembre 2005, pag.87; 3) DUSIO A. La dieta dell’olio - Imbottigliamento, Maggio 2005 pag.52; 4) WILLETT W.C., STAMPFER M.J.- La nuova piramide, Le scienzeFebbraio 2003 pag.414; 5) PACE V. 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Oggi con questo convegno, un’altra occasione per diffonderne nuovamente gli importanti risultati, affiancandomi ad altri relatori che oggi hanno parlato di dieta mediterranea affrontandone gli aspetti di valenza salutistica ed eno-gastromica (penso alla cucina mediterranea e al suo successo nutrizionale e dietologico), lasciando a me lo spazio per soffermarmi sulla valenza economica e di marketing ovvero su come la dieta mediterranea possa considerarsi una “risorsa turistica”. Ovviamente mi riferisco alla visione di dieta mediterranea sia come opportunità di sviluppo economico, sia di promozione dei territori e dei prodotti locali attraverso gli stimoli dati alla crescita della qualità, alla difesa della cultura locale, ecc.. Il mio intervento si propone quindi di svelare i forti rapporti tra cucina mediterranea, prodotti agricoli di qualità e turismo, ma anche di stimolare, laddove mi sarà possibile, data la sede, il Palazzo della “politica”, ed in presenza dell’Assessore, una nuova azione regionale con piani, strategie ed iniziative di co-marketing fra agricoltura e turismo. L’unica, a mio avviso, finalizzata a raggiungere importanti risultati di sviluppo economico attraverso la valorizzazione delle risorse enogastronomiche locali. Questa nella slide la struttura del mio intervento ovvero n il rapporto turismo e cibo, soffermandomi su • il legame economico ed i fattori determinanti • il mercato turistico e la cucina mediterranea • il cibo risorsa turistica (offerta) n Un breve focus sulla realtà siciliana n Alcune proposte operative Sulle relazioni economiche tra mondo agricolo e mondo turistico, e reciproci vantaggi, si può sinteticamente fare riferimento in primo luogo alla valenza economica che la domanda turistica rappresenta per il comparto agricolo, costituendo un atto di consumo AGGIUNTIVO che si 239 Cibo e turismo la “dieta mediterranea” come “risorsa turistica” manifesta direttamente nei luoghi di produzione. Anche per il comparto turistico, l’agricoltura se espressa attraverso produzione di qualità ed offerta eno-gastronomica, rappresenta una fortissima leva economica e di marketing. Per meglio comprendere tale affermazione occorre aprire una parentesi sulle caratteristiche della domanda e dell’offerta “turistica”. Nel primo caso ci si riferisce ai rapporti che il turista può nutrire nei riguardi della dieta mediterranea e dei prodotti agricoli di qualità. Nella ricerca Coreras già citata, abbiamo avuto modo di delineare tre tipologie di turista, l’indifferente, il sensibile, ed il vero “enoturista o turista enogastronomico” a secondo del grado di importanza attribuito che lo stesso turista attribuisce al prodotto agricolo e/o alla cucina locale per la scelta della destinazione di vacanza. La stima dei numeri e della valenza economica dei sensibili e degli eno-turisti, sono naturalmente difficili da effettuare, anche se autorevoli fonti rivelano che nel 2004, in Italia, quasi 2 dei circa 87 miliardi di consumi turistici complessivi, italiani e stranieri, siano stati spesi nel settore agricolo, mentre il valore aggiunto che i consumi turistici hanno attivato direttamente nel comparto, è stato valutato pari a 1.383 milioni di euro, oltre 4.000 milioni di euro se si considerano anche i consumi turistici di tipo indiretto. Passando a considerare il mercato turistico europeo, l’eno-gastronomia è risultata all’8º posto nei criteri di scelta delle destinazioni di vacanza e l’Italia, paese principe della dieta mediterranea, al primo posto in Europa per notorietà della cucina tra i vacanzieri europei. Ancora più significativo il dato derivato da un sondaggio Doxa molto recente (2006), secondo cui l’associazione di idee “gastronomia-prodotti locali” è la prima che viene fatta dagli stranieri quando si parla di vacanze nel Sud Italia. Uno sguardo, infine, alle proposte dei Tour Operator stranieri con offerta Italia, rivela che il 13,1% dei Tour Operator europei e ben il 69% dei Tour Operator USA con destinazione Italia inseriscono nei loro pacchetti proposte eno-gastronomiche. L’analisi del mercato turistico in Italia svela che sono oltre 14 milioni i turisti eno-gastronomici in Italia, di cui più della metà stranieri. Tra gli italiani, che ammontano a 5.436.000, l’11% consuma prodotti tipici locali. Nel 2005 sono stati 408 mila i vacanzieri che hanno scelto la destinazione di vacanza per motivi eno-gastronomici, ben il 20,7% in più rispetto al 2004. 240 Cibo e turismo la “dieta mediterranea” come “risorsa turistica” Un ruolo di fondamentale importanza nell’ambito del turismo enogastronomico viene rivestito dal vino. Nelle sole Strade del Vino, sono 4 milioni gli enoturisti e la spesa turistica è risultata pari a circa 2 miliardi di ?. Si tratta si un mercato in crescita esponenziale, il cui trend di sviluppo nei prossimi 5 anni si prevede che sia pari al 100%. I vini italiani rappresentano un forte attrattore soprattutto per gli stranieri. Nel 2006, gli enoturisti stranieri in Italia provengono soprattutto dai paesi dell’area germanica, in particolare Germania (33%) e Austria (12%), anche se nell’ultimo anno sono diminuiti. Sono aumentati, invece, gli enoturisti americani, ma anche i francesi e i giapponesi. D’altra parte, l’offerta eno-gastronomica italiana appare piuttosto ricca e attrattiva, con 112 Strade del Vino e dei prodotti tipici, circa 200 presidi Slow Food e numerosissime Associazioni Città del Vino, dell’Olio, del Castagno, del Pane, del Miele, delle Ciliegie, etc. Passando ad analizzare il contesto regionale siciliano, sono molto interessanti i dati relativi all’indagine sulla notorietà della Marca Sicilia sia in Italia che all’estero, che rivelano un ruolo importante di cucina e prodotti agricoli locali. Come evidenziato dai grafici nelle slides, l’indagine rivela si una Sicilia conosciuta e ricordata soprattutto come “luogo di vacanza” e di “arte e cultura”, ma che inizia a veicolare anche all’estero immagini importanti legate alla “buona cucina”, al “vino” e alla “qualità dei prodotti”, che conquistano insieme il quarto posto con il 6,4% di preferenze. Maggiore il successo registrato sul mercato interno nazionale, dove la Marca Sicilia mostra una notorietà ancora più forte, e dove la cucina, insieme con i vini e i dolci, ottiene quasi il 15% delle preferenze. Va aggiunto, infine, che tra le regioni italiane la Sicilia è risultata al 3º posto come luogo preferito dagli italiani per cucina e vino, dopo Toscana ed Emilia-Romagna. Anche l’offerta eno-gastronomica siciliana appare ricca e variegata, con 45 Comuni siciliani che fanno parte dell’Associazione Città del Vino, 13 Strade del Vino, ben 29 presidi Slow Food, 1 Club di Prodotto Enogastronomia, oltre 200 sagre nei 390 comuni dell’Isola. A fronte di tale variegata offerta di tipo turistico, il comparto agro-alimentare siciliano può vantare un mercato di riferimento potenziale molto ampio. Il mercato obiettivo o target per il comparto è infatti rappresentato dagli oltre 4 milioni gli arrivi turistici registrati nell’Isola. Secondo la nostra indagine sul campo realizzata per il Coreras nel 241 Cibo e turismo la “dieta mediterranea” come “risorsa turistica” 2003, attraverso interviste ad un campione di oltre 1.000 turisti sull’Isola, il turismo enogastronomico pesa ben il 12% sull’intera domanda turistica regionale, ovvero 12 turisti su 100, sono stati influenzati da motivazioni eno-gastronomiche per la scelta di vacanza nell’Isola. Interessantissime, le stime di tipo economico derivanti dalla stessa indagine: si è stimato che nel solo anno 2003, siano stati spesi oltre 100 milioni di euro per prodotti agricoli di qualità e che la spesa media del vacanziere-tipo in Sicilia, per i soli prodotti agricoli di qualità, appena 15 del totale paniere regionale, sia stata pari a 20 euro. Per meglio chiarire il valore dei risultati riporto alcuni dati sul Marsala, uno dei prodotti più noti, consumati ed acquistati dai turisti nell’Isola: 11 euro la spesa media, per oltre 350 mila acquirenti, per un totale fatturato annuo stimato di quasi 4 milioni di euro, pari, a detta degli esperti di settore, a circa il 10% del totale fatturato del Marsala nello stesso anno. Sfido con questi numeri a non parlare di turismo come opportunità economica per il comparto agricolo ed agro-alimentare siciliano, se si pensa poi che tali risultati giungono in assenza di qualsiasi iniziativa di marketing mirata sul target di riferimento !!!! E che non vi sia alcuna politica di marketing in atto per raggiungere il target è venuto fuori anche dalle altre ricerche di marketing portate avanti all’interno della stessa indagine. Non contenti di sondare il mercato, si è infatti indagato presso quelli che sono stati ritenuti i canali di vendita delle produzioni agricole regionali sul mercato turistico, ovvero il settore del Food and Beverage, ristorazione e hotellerie, nonché gli esercizi commerciali di vendita delle produzioni alimentari, localizzati nelle principali località e zone turistiche dell’Isola (Taormina, Agrigento, Palermo e Siracusa). Abbiamo scoperto così che le migliori vetrine dei prodotti agricoli di qualità, seppure con molti punti neri, sono soprattutto gli esercizi del F&B; ma si tratta soprattutto dei vini del paniere che godono una presenza media elevata soprattutto nei menù e/o carta dei vini e più raramente negli spazi espositivi e ancor meno all’interno dei depliant. Sicuramente peggiore la capacità media di comunicare e presentarsi dei prodotti regionali nei tradizionali canali di vendita commerciali. Come rivela la tabella, solo 4 tra formaggi e vini sono presenti in più della metà degli esercizi commerciali visitati. A ciò si aggiunge che sono solo pochissimi a vantare una buona visibilità e capacità attrattiva, in termini di presentazione e/o packaging. 242 Cibo e turismo la “dieta mediterranea” come “risorsa turistica” Ma a ribadire comunque le forti opportunità di marketing per i prodotti di qualità della dieta mediterranea nella regione, altre informazioni raccolte sulla notorietà degli stessi sia a livello regionale che dai turisti nell’Isola. Nell’anno dell’indagine, nei principali quotidiani nazionali, come il Corriere della Sera e Repubblica, per citarne alcuni, sono state rilevate una media di 6 citazioni mensili per un totale di oltre 200 riferimenti, tra articoli, trafiletti o semplici citazioni. Anche i turisti in Sicilia, italiani e stranieri, conoscono le nostre produzioni, con una netta prevalenza per i prodotti così detti “immagine” come il ficodindia ed il Marsala per gli stranieri. Tra i prodotti più consumati durante il proprio soggiorno prevalgono invece quelli da cucina, quali pecorino siciliano ed i pomodorini di Pachino, mentre tra gli acquisti a cui non rinuncia quasi un turista su 2 in Sicilia, prevalgono i vini con il primato, che ho già citato, del Marsala, preferito soprattutto negli acquisti degli stranieri. Alla luce di tali dati, giungo alla conclusione del mio intervento, tenendo fede all’impegno preso con il prof. Bagarella, ovvero di produrre in questa sede e alla presenza di esperti ed autorità di settore, alcune proposte operative per una reale valorizzazione della dieta mediterranea e del relativo comparto agro-alimentare di riferimento . Ne ho individuate due: 1. costituire al più presto una task force che veda insieme esperti agricoli a fianco di esperti di marketing turistico. Si tratta di uno strumento di azione, in realtà come l’Irlanda già attive da decenni; 2. predisporre un organico piano strategico di interventi, con la definizione e la realizzazione di ricerche di marketing continue, ma anche di azioni operative di “aggressione” del mercato. Rispetto alle ricerche, mi riferisco alla possibilità di rendere permanenti le indagini prima illustrate. Ideale potrebbe essere in tal senso l’istituzione di un osservatorio permanente, magari presso lo stesso Coreras. Ma le ricerche non bastano se non sono seguite da una divulgazione mirata presso i produttori e da precise azioni di assistenza tecnica finalizzate alla creazioni di reti di promozione e alla formulazione di adeguate campagne di comunicazione e marketing diretto. Mi auguro pertanto, ancora una volta, che questo incontro sia da stimolo per l’attuazione di tali orientamenti, e che presto si possano trasformare le parole in fatti concreti in favore dello sviluppo economico della nostra regione. 243 Cibo e turismo la “dieta mediterranea” come “risorsa turistica” 244 Cibo e turismo la “dieta mediterranea” come “risorsa turistica” 245 Cibo e turismo la “dieta mediterranea” come “risorsa turistica” 246 Cibo e turismo la “dieta mediterranea” come “risorsa turistica” 247 Cibo e turismo la “dieta mediterranea” come “risorsa turistica” 248 Cibo e turismo la “dieta mediterranea” come “risorsa turistica” 249 Cibo e turismo la “dieta mediterranea” come “risorsa turistica” 250 14 La dieta mediterranea nella politica di sviluppo dell’agricoltura regionale Giovanni La Via Assessore Regionale Agricoltura e Foreste La dieta mediterranea nella politica di sviluppo dell’agricoltura regionale La giornata odierna, come del resto tutte le iniziative convegnistiche promosse dal CORERAS, costituisce l’occasione per anticipare temi di grande interesse portandoli all’attenzione di un pubblico vasto. Già in passato, infatti, le ricerche svolte dal CORERAS, attinenti allo sviluppo rurale ed alle imprese marketing oriented, avevano di fatto precorso dibattiti che poi sono divenuti centrali anche nell’agenda politica. Un ringraziamento va, quindi, al CORERAS per il tema scelto che offre la possibilità attraverso un approccio multidisciplinare di acquisire una serie di elementi d’indubbia utilità per l’azione politica. La dieta mediterranea è sicuramente uno strumento straordinario di valorizzazione dei nostri prodotti isolani. L’efficacia e le potenzialità di tale inevitabile connubio emerge in tutta la sua evidenza in quei casi in cui constatiamo lacune nell’attività di comunicazione con riferimento ai singoli prodotti, assolutamente colmabili se facessimo un più marcato riferimento alla dieta mediterranea. In realtà, sempre più nelle nostre azioni di comunicazione, e, soprattutto in quelle sostenute dalle risorse pubbliche, abbiamo difficoltà a promuovere singoli prodotti in quanto le iniziative della Regione verrebbero a turbare le regole sulla concorrenza, quella cioè esistente sui mercati tra produttori di paesi diversi. Ci è sempre più difficile sostenere, in termini di comunicazione, un singolo prodotto. È evidente che invece comunicare le caratteristiche di una dieta in termini di azioni che tendono a prevenire effetti negativi sulla salute dei consumatori, è qualcosa che oggi possiamo fare e possiamo indirettamente utilizzare come strumento di supporto alle produzioni agro-alimentari e tipiche della Sicilia. Per fare ciò, bisogna definire una strategia per la competizione dei nostri prodotti sui mercati, ma preliminarmente occorre chiaramente individuare lo scenario competitivo unitamente alle problematiche ed alle prospettive che esso pone. Oggi lo scenario competitivo internazionale è caratterizzato dalla presenza di una molteplicità di produttori che, operando in aree nelle quali il costo dei fattori produttivi è sensibilmente più basso, si affacciano sul mercato con prezzi dei prodotti ovviamente improponibili per nostri livelli di redditività aziendale. La competizione, così come più volte evidenziato, basata sul prezzo non è una competizione nemmeno lontanamente sostenibile per i nostri produttori 253 La dieta mediterranea nella politica di sviluppo dell’agricoltura regionale È una competizione che ci vede perdenti in partenza, sia per le ridotte dimensioni economiche delle nostre strutture produttive, sia per i costi dei fattori produttivi che nel nostro territorio sono sensibilmente più alti rispetto a quelli di altre aree produttive. Ed oggi, nella prospettiva di un ulteriore allargamento dei mercati, in realtà già in buona parte avvenuto, operiamo per i prodotti agro-alimentari in un mercato libero senza barriere alla circolazione delle merci. E’ evidente che questa prospettiva competitiva è ancor meno allettante, e d’altro canto non è proponibile viste le regole internazionali del commercio, vista la possibilità unica che hanno questi paesi in via di sviluppo di affacciarsi al mercato vendendo gli unici prodotti che realizzano, i prodotti agricoli appunto; non riuscendo, dunque, in alcun modo a frenare questa spinta alla libera circolazione delle merci. Quindi, dobbiamo trovare modelli competitivi nuovi, dobbiamo pensare a come rendere possibile la sopravvivenza, da un lato e dall’altro lato, lo sviluppo del sistema agro-alimentare siciliano. Su questo oggi sono emerse una mole di indicazioni utili così come in altre iniziative; penso, ad esempio, a quella organizzata dal CORERAS sulle imprese marketing oriented, nell’ambito della quale sono stati posti spunti interessanti, a dimostrazione del fatto che la ricerca, la buona ricerca è un utile strumento per la messa a punto e lo sviluppo di politiche di intervento per il sistema agro-alimentare. È evidente che una strategia che sia di valorizzazione ed al contempo di supporto del nostro sistema agro-alimentare deve fondarsi sulla possibilità di differenziare i nostri prodotti rispetto a quelli della concorrenza. E qui abbiamo uno strumento di differenziazione di grande valenza, così come dimostrano le ricerche iniziate su Nicotera e continuate in questo quarantennio. Sussistono ormai risultati scientifici provati e reiterati in contesti diversi che evidenziano come la dieta mediterranea, così come oggi abbiamo avuto modo di analizzarla nelle sue diverse articolazioni, costituisca un importante elemento al fine di prevenire l’insorgenza di malattie dalla forte rilevanza sociale. Abbiamo la necessità di riflettere su tale tema, ma soprattutto forte è la necessità di utilizzare queste informazioni come elementi per l’elaborazione di una politica di marketing e di valorizzazione dei nostri prodotti e del nostro territorio. Verso tali obiettivi possiamo agire attraverso vari strumenti. In alcuni casi abbiamo già avviato delle azioni, ancora in corso, 254 La dieta mediterranea nella politica di sviluppo dell’agricoltura regionale in altri casi invece stiamo ancora predisponendo le più opportune linee d’intervento. La Regione Siciliana, tramite l’Assessorato per Agricoltura e le Foreste, ha già da diversi anni in atto un programma di educazione alimentare che si sviluppa attraverso le scuole, elementari e medie, con interventi espletati all’interno dei percorsi formativi e volti in prevalenza all’informazione delle caratteristiche che possiedono i prodotti tipici della dieta mediterranea. Questo è un percorso che è stato avviato e probabilmente poteva essere migliorato. Qualcuno parlava prima della necessità di una formazione dei formatori, e in tale ambito ritengo che bisogna certamente integrare quanto abbiamo fatto sino adesso, per migliorare non solo la capacità di comunicazione ma anche, e soprattutto, alcuni contenuti specifici del messaggio che viene trasferito. Abbiamo poi avviato alcune attività di promozione istituzionale dei prodotti, in quanto quelle finora svolte si sono rilevate episodiche, non sistemiche e slegate da una strategia univoca. I risultati della debolezza della nostra comunicazione istituzionale ci viene non sono certo favorevoli ove si consideri ad esempio, alcuni slogan provenienti da imprese industriali che nell’ultimo periodo ci informano che, in termini di alcuni nutrienti, alcuni prodotti messi in commercio dall’industria forniscono più elementi vitaminici e minerali rispetto a quelli di 26 arance messe insieme! È evidente che ogniqualvolta vediamo quel messaggio, subiamo un ulteriore oltraggio alla nostra incapacità di comunicare le caratteristiche dei nostri prodotti. E su questo abbiamo cominciato un percorso cercando di mettere insieme soggetti istituzionali, imprenditori, ricerca, soggetti ed enti operanti sul territorio, pur con le difficoltà riscontrabili in tale ambito. Così come sa il Prof. Bacarella, abbiamo voluto iniziare un’attività di comunicazione istituzionale con riferimento all’ ”Arancia Rossa di Sicilia IGP”, perché pensavamo che si prestasse bene come modello di comunicazione di un prodotto che pur possedendo caratteristiche peculiari in termini di antiossidanti, in termini di nutrienti, ecc., risulta ancora scarsamente valorizzato. E rispetto a questo abbiamo cercato di mettere insieme tutti i soggetti che operano sul territorio dell’arancia rossa: 3 Province, 38 Comuni, 3 Camere di commercio, gli imprenditori agrumicoli ed il 255 La dieta mediterranea nella politica di sviluppo dell’agricoltura regionale Consorzio di tutela, certi della disponibilità nei loro bilanci, in termini di enti pubblici, di cospicue risorse sul capitolo della promozione. Da un’analisi più puntuale, da una verifica della destinazione di queste risorse, ci siamo resi conto che queste risorse venivano ad essere utilizzate per alcune iniziative sul piano locale (squadra di calcio e spettacoli di piazza) che non ad un’effettiva e reale promozione istituzionale del prodotto. Quindi, abbiamo stipulato e realizzato un protocollo d’intesa tra tutte le amministrazioni pubbliche, il Consorzio di tutela, la Regione Siciliana, per realizzare un’iniziativa unica di comunicazione istituzionale. Abbiamo affrontato le difficoltà di tutti gli enti locali che sono estremamente restii a spogliarsi delle proprie risorse per realizzare azioni di comunicazione sulle caratteristiche dei prodotti, deviando purtroppo da un percorso di vera e propria comunicazione istituzionale sui mercati dove poi il prodotto deve essere venduto e valorizzato. Ma anche su questo insisteremo, perché dobbiamo cambiare anche la cultura delle amministrazioni. Deve necessariamente maturare la consapevolezza che non potranno più continuare ad attivare iniziative con supporti pubblici, quando non risultano in grado di realizzare azioni sinergiche con coloro che stanno accanto. E ciò che abbiamo visto prima, con riferimento al marketing turistico e al livello di conoscenza che i consumatori hanno dei singoli prodotti, mi stimolava qualche altra riflessione dalla quale, evidentemente, possono derivare linee di azione politica. Nell’elenco dei prodotti conosciuti, sia a livello nazionale che internazionale, ritrovavamo agli ultimi posti sempre gli oli, non perché gli oli – tanto cari al nostro Prof. Chiricosta – siano scarsamente conosciuti, ma perché l’abbinamento olio-territorio viene fatto rispetto a comprensori che evidentemente al di fuori del territorio siciliano sono scarsamente noti. Pensate che negli Stati Uniti o in Giappone abbiano conoscenza di dove siano le colline ennesi o le colline nissene, dov’è la val di Mazara o dove sono i monti Iblei? È evidente che queste denominazioni al di fuori del nostro territorio regionale perdono una valenza di riferimento territoriale. Risulta, quindi, necessario ridare a questi un abbinamento al territorio che in questo modo decisamente non è efficace quando, invece, i prodotti che sono noti sono quelli riferiti all’intero territorio regionale. Quando si parla del vino siciliano o di altri prodotti agroalimentari isolani, la Sicilia è evidentemente nota, e anche se molto spesso alla parola 256 La dieta mediterranea nella politica di sviluppo dell’agricoltura regionale “siciliani” ci abbinano qualche altra cosa di meno piacevole, sicuramente conoscono la localizzazione territoriale della Sicilia, e questo è un elemento certamente sfruttabile in un’ottica di marketing. Allora, per l’olio, perché al posto di tante DOP non un IGP dell’olio d’oliva siciliano? Perché per tanti altri prodotti dove cerchiamo di fare la DOP col Comune del luogo di produzione, non la facciamo invece relativa al territorio più ampio? Non esiste un violetto di Ramacca e un violetto di Niscemi, esiste un violetto siciliano – per parlare di carciofi –, ma se cambio ambito e faccio riferimento ad altre produzioni il discorso cambia di poco. Citando, ancora, i ficodindia, esistono differenze significative tra quello di San Cono e quello di Belpasso? Tra quello di S. Margherita Belice e quello della Sicilia orientale? Certamente non si tratta di differenze sostanziali. Quindi, è evidente che i pochi strumenti per dare notorietà e origine territoriale ai nostri prodotti li possiamo individuare nell’elemento che li unisce e che è dato dall’estrema notorietà della Sicilia. D’altro canto, anche l’esperienza del vino ci ha insegnato che le DOC, che si chiamino Faro o Eloro, hanno avuto scarso rilievo. Cosa ha avuto invece importanza in termini esterni se non l’IGT della Sicilia, caro Prof. Bacarella? È evidente che il riferimento al territorio regionale è un riferimento che dobbiamo utilizzare. E oggi vi ringrazio perché ci avete fornito alcune indicazioni cardine per impostare politiche di valorizzazione dei prodotti. Su questo evidentemente ci studieremo con il Prof. Bacarella che, anche per altri aspetti, è un anticipatore dei tempi in quanto oggi più volte avete parlato di specie eduli minori, e penso alla ricerca che già da diversi anni il CORERAS ha messo in campo sulle piante aromatiche eduli spontanee in Sicilia, appunto per venire incontro a quello che, in varie riprese, oggi è emerso. Il CORERAS su questo tema ha, infatti, una ricerca, così come ha provato e sta provando a mettere in coltivazione alcune specie spontanee di asparago, ecc. È evidente che disponiamo di una ricerca buona dalla quale dobbiamo trarre gli elementi significativi per portarli all’interno delle iniziative di promozione e valorizzazione dei prodotti tipici del nostro territorio. E oggi sicuramente, nell’ambito della giornata, sono maturate riflessioni per azioni di comunicazione, partendo dal presupposto che nelle aree ricche e 257 La dieta mediterranea nella politica di sviluppo dell’agricoltura regionale nei paesi contraddistinti da un elevato reddito pro-capite, la disponibilità a spendere per prodotti che hanno una finalità salutistica è crescente. I consumatori ricchi hanno già perfettamente appagato le loro esigenze e cercano nel prodotto alcuni effetti collaterali benefici che la dieta mediterranea è in grado di dare. Quindi, tutti i nostri prodotti presenti nel tempio, che il Prof. Fidanza ci ha illustrato alla fine, sono tutti prodotti che ben si prestano ad essere valorizzati. Mi avvio a concludere il mio intervento con un invito a coloro che operano nel campo della ricerca, a fare tutto il possibile per trasferire all’esterno i risultati della ricerca e a non lasciarli giacere all’interno di pregevolissime riviste o in ottimi volumi, dimenticando magari che proprio quei i risultati possono essere invece utili ai soggetti pubblici - tra l’altro spesso finanziatori delle ricerche - ma soprattutto a imprese e territori che hanno la necessità di avere un supporto di attività di ricerca per poter aumentare la propria capacità competitiva. Ciò al fine soprattutto, di trovare reddito e occupazione per attività che altrimenti verrebbero ad essere travolte in un mercato sempre più ampio nel quale la differenziazione di prodotto, diviene strumento per competere, e la ricerca in tal senso deve e può tradursi in concrete azioni per i nostri territori, i nostri imprenditori, i nostri prodotti. 258 Saluti finali Qualcuno dice “è un economista agrario”, non può essere diversamente, ha una visione sistemica delle cose. La complessità del sistema viene visto con ottiche molto ampie dagli economisti. Io vi ringrazio, perché questa è stata una giornata molto produttiva e spero che ci sia un seguito attraverso l’Istituto per la dieta mediterranea e nutrigenomica a cui il CORERAS partecipa e, spero abbastanza presto, anche l’Assessorato agricoltura per continuare questa attività di promozione della Sicilia agro-alimentare ai fini dello sviluppo sostenibile. Vi ringrazio veramente tutti quanti. Prof. Antonino Bacarella Presidente CORERAS Finito di stampare nel dicembre 2007 Publisicula Industria Grafica Editoriale - Palermo Tel. 091.6883828 - Fax 091.6883829 www.publisiculasrl.it - [email protected] ISBN 978-88-95376-16-5