Sicilia e Dieta Mediterranea

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Atti del convegno
“Sicilia e Dieta Mediterranea”
Palermo 26 novembre 2006
OESAAS
Osservatorio sull’Economia del Sistema AgroAlimentare della Sicilia
R E G I O N E S I C I L I AN A
ASSESSORATO AGRICOLTURA E FORESTE
CORERA S
CONSORZIO REGIONALE PER LA RICERCA
APPLICATA E LA SPERIMENTAZIONE
Atti del convegno
“Sicilia e Dieta Mediterranea”
Palermo 26 novembre 2006
OESAAS
Osservatorio sull’Economia del Sistema AgroAlimentare della Sicilia
Indice
1.
Apertur a dei la vor i
9
Prof. Giuseppe Silvestri
Magnifico Rettore dell’Università degli Studi di Palermo
11
Prof. Antonino Bacarella
Presidente del CORERAS
13
Prof. Salvatore Tudisca
Preside della Facoltà di Agraria
14
2.
S ic i li a e D ie t a M e d it e r ra n e a : i n tr od u zi one al te ma
Prof. Antonino Bacarella
17
3.
Di et a M edi t erra nea: parl a u n pi on i ere
Prof. Flaminio Fidanza
25
4.
Tradizioni alimentari e dieta mediterranea nel mondo antico 41
Pesca, produzione e consumo del pesce e delle relative salse
in Magna Grecia ed in Sicilia
Dott. Fabrizio Mollo
5.
Sicilia e dieta m editerranea
Prof. Fausto Cantarelli
55
6.
L e ca r a t te ri s ti ch e del l a Di et a M edi t er r a nea I ta l i a na
di Riferimento ed i suoi effetti salutari
Prof. Antonino De Lorenzo
91
7.
L a d i e t a m e d i t e r r a n e a n e l l ’ e r a p o s t - ge n o m i c a
Prof.ssa Laura Di Renzo
101
8.
D i e t a m e d it e r r a n e a : c om e d i f e n d e r l a e c o m e a p p l i c a r l a
Prof.ssa Adalberta Alberti
107
9.
Gli alim enti cardine de lla dieta me dite rranea
Prof. Santo Giammanco
Prof. Maurizio La Guardia
117
10.
Dieta mediterranea e tumori
Prof. Nicola Gebbia
147
11.
A n t ic a s a g g e z z a c o n ta d i n a e r e a lt à m o d e r n a :
il vino rosso di sicilia ed i suoi benefici effetti sulla salute
Prof. Domenico Campisi
Prof. Gino Avellone
171
12.
Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea
Prof. Salvatore Chiricosta
191
13.
Cibo e turismo la “dieta mediterranea”
come “risorsa turistica”
Dott.ssa Maria Sabrina Leone
237
14.
La d ieta medit er ra nea nella politi ca d i sv ilu ppo
d e ll ’ a g r i c ol t u r a r e g io n a l e
Prof. Giovanni La Via
251
Saluti finali
Prof. Antonino Bacarella
261
1
Apertura dei lavori
Apertura dei lavori
Prof. Giuseppe Silvestri
Magnifico Rettore dell’Università degli Studi di Palermo
Il saluto, è un saluto veramente affettuoso per gli amici che sono qui
con noi oggi, ai quali dò il benvenuto, agli ospiti, ai relatori di questo convegno. Un saluto a Giovanni La Via che è stato con noi tante volte, come
collega della Facoltà di Agraria dell’Università di Catania, e che oggi è qui
nella sua nuova veste di rappresentante dell’istituzione più importante
della nostra regione, che è il governo della Regione stessa. E come rappresentante del governo gli dò il benvenuto ed un ringraziamento, perché
non ci è mai mancata, come mondo universitario e non soltanto come
amici e colleghi, l’attenzione del governo della Regione in ambiti vitali,
non soltanto per l’Università ma per la vita pubblica della regione stessa.
Quindi, tramite te ringrazio veramente il Governo della Regione presente ma anche i governi precedenti perché abbiamo sempre avuto ottimi rapporti di collaborazione e, dove era necessario, anche aiuto per la soluzione di problemi che si andavano evidenziando.
Il tema di oggi “Sicilia e dieta mediterranea” è un tema attualissimo.
Si parla di dieta mediterranea in tutto il mondo, se ne parla negli Stati
Uniti, se ne parla in Giappone, adesso se ne comincerà a parlare anche in
Cina perché già c’è attenzione da parte di quell’importante settore commerciale. E per noi, che siamo un po’ la patria del meridione d’Italia, la
Sicilia, la tipizzazione delle nostre coltivazioni, la sedimentazione storica
di ciò che si coltiva e che si fa nella nostra regione, le metodologie di trattamento tradizionali dei prodotti agricoli sono sicuramente punti di riferimento sui quali contare per un’ulteriore implementazione, perché non ci
si deve mai fermare sul risultato che si è raggiunto, bisogna sempre lavorare per migliorare soprattutto la nostra presenza sui mercati. Ricordavo
poco fa al Prof. Bacarella, ma Giovanni La Via lo sa meglio di me, proprio
qui a Palermo ci sarà un centro di competenza per l’agro-alimentare della
nostra regione. E questo centro di competenza vorremmo impegnarlo
insieme al Governo regionale e, ovviamente, agli amici del CORERAS e
dei Consorzi che sono attivi e che nascono dalle nostre Università nelle
Facoltà di Agraria di Palermo e Catania e nella Facoltà di Medicina Veterinaria di Messina. La dieta mediterranea non garantisce di per sé perfette
condizioni di salute, va usata con sapienza, va usata con saggezza. Io, per
esempio, ero un grande mangiatore di pane e pasta e stavo diventando un
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Apertura dei lavori
obeso mediterraneo; quindi bisogna stare attenti a fare una proposta dietetica che utilizzi gli strumenti della dieta mediterranea in modo virtuoso.
Adesso, come vedete, sono dimagrito e posso parlarne con sufficiente
serenità.
Però c’è un problema, e qui veramente parlo all’uomo di Governo che
è presente e non al collega. C’è un problema che riguarda la nostra capacità di essere realmente al centro del Mediterraneo per fare delle proposte
che siano non soltanto culturalmente apprezzabili, ma anche economicamente valide. Questo aspetto è assolutamente prioritario e deve essere
preso non soltanto in considerazione, ma affrontato e risolto dal Governo in termini propositivi forti. Faccio solo un esempio. Io venerdì sono
stato a Tripoli per un incontro – i produttori libici sono molto interessati
ad una collaborazione con noi per lo sviluppo di attività agricole e di coltivazioni molto simili alle nostre, la Libia e la Sicilia hanno un ambiente
complessivamente molto simile – e per andare a Tripoli sono andato a
Roma, e mi è andata bene, perché di solito si va a Malpensa per andare poi
a Tripoli, si fa Palermo-Malpensa, Malpensa-Tripoli. Per tornare, siccome
ieri era domenica e volevo essere qui stamattina, non c’erano voli diretti
con Malpensa o con Roma, e allora ho dovuto fare Tripoli-Zurigo, Zurigo-Roma, Roma-Palermo. Vi cito questo episodio non per dirvi quanto ho
dovuto viaggiare ieri, ma per dirvi che quando si dice che la Sicilia è al centro del Mediterraneo non è vero. Il centro del Mediterraneo è a Fiumicino e a Malpensa perché è da lì che si parte per andare in giro per il mondo.
La Sicilia ha bisogno di essere una presenza forte sul Mediterraneo, se non
la si fa resteremo sempre dipendenti da altri soggetti, i quali da Francoforte, da Milano, da Roma, da Zurigo, ecc., si mettono in aereo e vanno dove
gli pare nel Mediterraneo. Quelli sono i centri del Mediterraneo, anche se
sono a Dusseldorf o a Francoforte perché è da lì che parte. Cito Bill Clinton che una volta disse “Volete promuovere un territorio? Metteteci
un’Università e un aeroporto”. Università e aeroporto insieme perché
l’Università fornisce un supporto allo sviluppo del territorio, l’aeroporto
mette quello sviluppo in contatto col resto del mondo. Questo è un punto
che io sottolineo ancora una volta – lo dissi un’altra volta presente il Presidente Cuffaro – lo risottolineo perché se non si sblocca la situazione dei
trasporti non diventeremo mai protagonisti. Non mi interessa un aeroporto a Palermo, mi interessa un aeroporto in Sicilia che si possa raggiungere rapidamente. Ma sto andando fuori tema, l’odierno convegno non è
12
Apertura dei lavori
un convegno sui trasporti, però se non si parla anche di trasporti non si
riesce a sbloccare la situazione delle nostre produzioni agricole, anche
perché uno dei nostri obiettivi non è quello della grande produzione, ma
è la produzione di nicchia, una produzione che dia valore aggiunto forte
sul piano commerciale proprio perché ha una tipicità specifica, ma ha
anche una sedimentazione culturale e tradizionale forte che è fortemente
legata alla sua storia, al suo vissuto, ad una partecipazione della collettività che è cultura prima che alimentazione. E di questo credo che oggi parlerete, cioè più cultura che alimentazione perché è di questo che noi siamo
portatori forti in questa regione, ma siamo portatori forti anche in Europa e nel mondo.
Quindi complimenti, complimenti al CORERAS che ancora una
volta organizza una manifestazione scientifica dai risvolti applicativi di
grande importanza. Complimenti e ringraziamenti a tutti i presenti, ai
giovani che sono presenti. Guardate ragazzi che il tema di questo convegno riguarda anche voi, non solo per quello che mangiate, ma per quello
che insieme riusciremo a fare nel nostro contesto regionale. La sfida che
si è proposta è drammatica; il 2010 (l’avvio dell’aera di libero scambio nel
Mediterraneo) incombe, la speranza è che dal 2010 si passi al 2015 (già se
ne comincia a parlare) perché non siamo solo noi preoccupati, c’è tutta
Europa e la sponda nord del Mediterraneo che è preoccupata di ciò che
succederà. Perché siamo fortemente sbilanciati per quanto riguarda i costi
di produzione, i costi della manodopera, la conservazione ambientale,
ecc.; questo sbilanciamento ci crea grandissime difficoltà operative ed
economiche. Speriamo che le cose si possano aggiustare e si possano gestire; studi come questi affrontatinell’odierno convegno servono proprio a
questo. Grazie per la vostra attenzione.
Prof. Antonino Bacarella
Presidente del CORERAS
Grazie, Magnifico, per i riconoscimenti ma l’Università di Palermo è
socia del CORERAS e quindi è questo che ci dà la carica. Passo la parola
al Preside, Prof. Salvatore Tudisca, per porgere il saluto a questo nostro
convegno.
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Apertura dei lavori
Prof. Salvatore Tudisca
Preside della Facoltà di Agraria di Palermo
Ringrazio il Prof. Bacarella per avermi invitato a porgere il saluto mio
personale e della Facoltà di Agraria, che in questo momento rappresento.
Quando il Prof. Bacarella mi parlò di questo convegno, ricordo che eravamo a fine ottobre, e andavamo a Torino ad una importante manifestazione internazionale per il settore agro-alimentare -“Il salone del gusto e
Terra Madre”- organizzata e voluta da Carlo Petrini, padre di Slow-Food.
Intanto, ero interessato dall’argomento e poi l’elenco dei relatori era di
notevole spessore. Si trattava e si tratta, comunque, di un tema che la
Facoltà di Agraria ha messo ai primi posti, in questo momento di revisione della propria offerta formativa, legata ad una fase di transizione e modificazione delle classi didattiche, come da alcuni decreti ministeriali. Il
tema della dieta, insieme al tema della sicurezza alimentare, ed a quelli
della sostenibilità delle produzioni, costituiscono, del resto, problemi ed
obbiettivi alla cui soluzione la Facoltà di Agraria dà, da tempo, un contributo non indifferente nel quadro e nella prospettiva del miglioramento
dell’agricoltura regionale e delle sue produzioni.
Mi ricordai, parlando con il Prof. Bacarella, di un incontro avuto
all’inizio di gennaio, (in occasione della stesura del programma del terzo
ciclo dei seminari intitolati a Gianpietro Ballatore) con Carlo Petrini per
invitarlo ad inaugurare il ciclo dei seminari.
In occasione di quell’incontro romano Carlo Petrini mi racconto un
episodio, importante della sua vita, da cui scaturiscono molte delle sue iniziative nel campo dell’enogastronomia. L’episodio viene anche riportato
nel libro “Buono, pulito e giusto”.
Voglio ricordarlo oggi in occasione di questo convegno, perché credo
sia attinente ai temi che vengono dibattuti.
Scrive il Petrini. Un giorno del 1996 si trovava, come di consueto, a
viaggiare lungo la statale che collega Cuneo ad Asti (una strada che gli
permette di raggiungere Bra, la cittadina di provincia dove abita e dove,
pure, ha sede il Movimento Internazionale di Slow-Food. Quel giorno gli
venne il desiderio di riassaggiare un vecchio piatto, che da molti anni non
assaporava: una peperonata che un suo amico ristoratore cucinava in
modo sublime e che gli ritornava nella memoria con grande piacere richiamando sapori antichi. Fatta una piccola deviazione andò a trovare questo
suo amico ristoratore, dove consumò con suo sommo disappunto, una
14
Apertura dei lavori
peperonata tremenda del tutto insapore. Non capiva il perché e chiese
spiegazioni al suo amico. L’amico ristoratore gli spiegò che non utilizzava
più la stessa materia prima i peperono quadrati d’Asti con cui faceva quella peperonata in passato, e che riecheggiava nella sua memoria gustosaolfattiva ma importavano i peperoni dall’Olanda, perché meno costosi,
coltivati in maniera intensiva, da una varietà ibrida un risultato ottimo alla
vista, con i colori sgargianti, ma drammaticamente insapore.
Carlo Petrini prese atto di questo fatto, che la favolosa peperonata era
sparita e si rimise in macchina per Bra. Lungo il tragitto incontrò un contadino che lavorava in una di quelle serre dove si coltivavano i peperoni
quadrati d’Asti e gli chiese cosa coltivassero al loro posto. Il contadino
interpellato rispose che ormai coltivavano dei bulbi di tulipano, che poi
spedivano in Olanda per farli fiorire.
In quel momento Carlo Petrini comprese il paradosso dell’agroindustria, che si combinava con la globalizzazione: peperoni che valicavano
confini, attraversavano monti, in cambio di tulipani. Cioè, due prodotti
tipici e caratteristici di due zone particolari, che venivano coltivati a mille
chilometri di distanza l’uno dall’altro, in territori che non erano i loro, a
stravolgere due consuetudini agricole consolidate.
Petrini intuì che era necessario fare qualche cosa per questa nostra
agricoltura, che bisognava porre con forza l’accento sulla conservazione
della tipicità dei nostri prodotti. Quel giorno segna la nascita dell’ecogastronomia; perché per Petrini non basta parlare di agricoltura sostenibile e di biodiversità, ma dobbiamo conservare quelle che sono le tradizioni
locali, la cultura gastronomica locale, i prodotti che hanno dato sicuramente significato e alla nostra agricoltura e alla cultura e alla storia dei
nostri luoghi.
Concetti che si trovano nel il manifesto di Slow-Food, che poi lui ha
diffuso in tutto il mondo e per il quale ha avuto sicuramente grossi riconoscimenti. Slow-Food oggi è una realtà importante e significativa non
solo in ambito nazionale ma anche in scala mondiale.
Tornando al convegno odierno, sulla “Dieta mediterranea”, esso
costituisce uno dei grossi meriti che va riconosciuto al CORERAS e al
suo Presidente il Prof. Bacarella. Fra tutti i Consorzi di ricerca, il CORERAS è quello che, (questa è una mia idea personale) in questi ultimi anni,
ha lavorato meglio e in modo più incisivo, come testimoniano i numerosi
convegni e volumi, delle ricerche che sono state effettuate nel corso degli
ultimi anni.
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Apertura dei lavori
Parlando, infine, di dieta, sicuramente dobbiamo dire che il cibo può
e dovrebbe essere un piacere al quale – come dice il Prof. Fausto Cantarelli – tutti abbiamo diritto. Ma se l’atto di nutrirsi, come ci dice Carlo
Petrini, è anzitutto un atto agricolo -il che significa scegliere cibi di buona
qualità prodotti con tecniche di coltivazione e criteri che salvaguardino
l’ambiente, che proteggano la biodiversità e valorizzino un’agricoltura
ecosostenibile, esso è anche un atto gastronomico che deve essere legato,
come dice lo stesso Petrini, a tre criteri essenziali: buono, giusto e pulito.
Cioè, nel momento in cui noi riusciremo a realizzare queste condizioni,
sicuramente avremo fatto e compiuto un atto di grande rilevanza per la
produzione dei beni primari, per l’agricoltura, per l’enogastronomia, per
tutto ciò che sta a monte e a valle del processo agricolo.
E vorrei chiudere con pensiero che mi ero appuntato. Noi abbiamo
fame di cambiamenti, ma spesso questi convegni -belli e importanti- sono
fine a se stessi. Oggi in questo luogo abbiamo la Politica (il Presidente
della Regione), il massimo esponente dell’Ateneo (il Rettore), Presidenti
di Consorzi di Ricerca, abbiamo autorevoli esponenti del mondo dell’Università, della cultura e della gastronomia; importanti relatori fra cui
Fausto Cantarelli, che da anni lavora per propagandare e sviluppare una
nuova cultura gastronomica nel nostro paese; però, … come si può dare
seguito ai dibattiti? Spesso ci compiaciamo delle buone e belle relazioni e
qui finisce tutto senza dare un seguito. Nel nostro piccolo la Facoltà
d’Agraria ha attivato un gruppo di lavoro al fine di ideare nuovi corsi di
laurea, che abbiano anche a che fare col cibo, con la dieta, con la salubrità, con la sicurezza alimentare, con la tracciabilità, tutto quello che oggi va
di moda ed è fondamentale per la vita di tutti: ma non basta, perché i corsi
di laurea hanno i tempi che hanno. Venendo qua osservavo che non sarebbe peregrino pensare ad un Master pluridisciplinare interfacoltà ad esempio la Facoltà d’Agraria, la Facoltà di Medicina, coinvolgendo anche molte
altre professionalità (operatori del turismo, analisti, chimici, etc.) che non
si limiti ad un anno, ma che abbia una vita di tre, quattro o cinque anni.
Spesso il limite dei nostri Master è che dopo un anno chiudono per mancanza di finanziamenti. Noi avevamo attivato -siamo stati fra i primi nell’Ateneo- un Master sull’agricoltura biologica, finanziato dalla Provincia
che ha dato buoni risultati, ma dopo un anno l’abbiamo chiuso perché non
avevamo più finanziamenti della Provincia. Probabilmente i Consorzi, ed
in specie il CORERAS, hanno una maggiore disponibilità finanziari
rispetto alle Facoltà, possono veicolare e trainare dei Master sui problemi
che oggi si dibattono. Formando faremo sicuramente un buon servizio
alla nostra Regione. Grazie.
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Sicilia e Dieta Mediterranea:
introduzione al tema
Antonino Bacarella
Presidente del CORERAS
Sicilia e Dieta Mediterranea: introduzione al tema
Le motivazioni che hanno indotto il CORERAS ad organizzare
l’odierno convegno su Sicilia e Dieta Mediterranea hanno origine da diversi fenomeni e fatti.
I fenomeni fanno riferimento alle grandi trasformazioni in essere da
almeno un decennio a questa parte nelle società dei paesi ad economia
avanzata e recentemente anche in quelle di alcuni grandi paesi in accelerato processo di sviluppo.
Tra le grandi trasformazioni si può a pieno titolo annoverare quella
riguardante il complesso sistema alimentare.
Numerose sono le cause e le spinte alla trasformazione di questo
sistema: la sempre più ampia apertura dei mercati e delle economie a
nuove aree geoeconomiche e geopolitiche;la crescente mobilità delle persone per turismo, lavoro, affari, studio, ecc.; i sempre più dinamici cambiamenti nel comportamento dei consumatori riguardo alle abitudini alimentari, ai modelli di consumo, al modo salutistico, etico e culturale dell’approccio all’alimento; la sempre più sentita esigenza di salvaguardia e
tutela dell’ambiente e delle risorse naturali e genetiche, dalla quale trae
origine il perseguimento dello sviluppo economico e sociale sostenibile; la
aumentata attenzione delle politiche agricole, forestali, ambientali verso il
miglioramento della qualità della vita umana e territoriale sia da parte dei
paesi industrializzati che di quelli in via di sviluppo, come appunto ha
dimostrato il recente evento “Terra Madre”, incontro internazionale tra le
comunità del cibo (con la partecipazione ufficiale di 150 paesi), a latere del
Salone del Gusto di Torino, organizzato dall’associazione Slow Food.
I fatti fanno riferimento alla ormai lunga, seppur indiretta, collaborazione di studio fra chi vi parla e Fausto Cantarelli, che ha indotto nel
tempo Cantarelli a frequentare la Sicilia per studi e convegni ed a dare alle
stampe tre specifici lavori: Dal mito alla Storia: il pecorino siciliano; Il
primo laboratorio alimentare di Europa; La primogenitura storica della
Sicilia alimentare.
L’occasione più recente è stata la presentazione dell’ultimo suo lavoro: I tempi alimentari del mediterraneo: cultura ed economia nella storia
alimentare dell’uomo, fatta da chi vi parla ed organizzata dal CORERAS
ad Ispica (Ragusa) nel marzo scorso, con la partecipazione dell’Assessore
Regionale all’Agricoltura e Foreste, pro tempore, On.le Innocenzo Leontini.
Il filone di studio e culturale di Cantarelli sull’agroalimentare ha un
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Sicilia e Dieta Mediterranea: introduzione al tema
approccio ed una elaborazione profondamente diversi da quelli seguiti dal
CORERAS, ma convergenti verso un unico obiettivo, che gli economisti
agrari ed agroalimentari in gran parte perseguono con la propria opera ed
il proprio pensiero: lo sviluppo economico e sociale sostenibile.
Il CORERAS infatti, con i suoi studi e le sue ricerche, per statuto, ha
come finalità, nel quadro degli indirizzi determinati dall’Assessore Regionale per l’Agricoltura e le Foreste, lo sviluppo e l’ammodernamento strutturale ed organizzativo dei sistemi agroalimentare, agroindustriale, agroambientale della Sicilia.
E pertanto è impegnato ad esaltare e valorizzare il ricco patrimonio
genetico, naturale, ambientale, storico, tipico, tradizionale della Sicilia
agroalimentare sia con studi economici che con sperimentazioni agronomiche, nella sua azienda agricola Don Pietro, ricadente in quel di Ragusa,
nei pressi di Comiso.
Riguardo a queste ultime piace evidenziare quella sullo zafferano,
quale riscoperta di na specie che veniva coltivata in Sicilia già in epoca
greco-romana, probabilmente portata in Sicilia dai soliti Fenici nel loro
peregrinare commerciale nel bacino del Mediterraneo.
Nei pochi anni trascorsi (sette) dalla sua costituzione il CORERAS
ha prodotto oltre 60 lavori; gli studi specifici sul tema agroalimentare contano ben 12 titoli a stampa su 30 della sua produzione editoriale, fra i quali
piace citare per significatività di conoscenza e di proposta i seguenti:
Quale agricoltura per la Sicilia; Agroalimentare e flussi turistici in Sicilia;
Le imprese agroalimentari marketing oriented in Sicilia; Prodotti tipici
della Regione Siciliana; Prodotti agricoli di qualità e Turismo in Sicilia; La
qualità certificata nel sistema agroalimentare siciliano.
Fra le motivazioni che hanno indotto il CORERAS ad organizzare
l’odierno convegno ve ne è una che fa da cornice al nostro discorrere: la
politica agricola ed agroalimentare perseguita, seppur con molte contraddizioni e ritardi, dal Governo Regionale e dall’Assessorato Agricoltura e
Foreste, nell’ambito della più complessa politica nazionale ed europea,
mirata allo sviluppo economico e sociale sostenibile, attraverso la valorizzazione tecnica ed economica delle produzioni agricole tipiche e di qualità e della cultura enogastronomia del territorio, anche con una impegnata
(finanziariamente) politica promozionale e comunicazionale nei principali e ricchi mercati dei paesi ad economia avanzata ed in quelli ad accelerato processo di sviluppo economico.
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Sicilia e Dieta Mediterranea: introduzione al tema
Con Cantarelli si è ravvisata la opportunità di dare un ulteriore contributo allo sviluppo economico e sociale sostenibile della Sicilia, utilizzando una risorsa concettuale rappresentata dalla cosiddetta Dieta Mediterranea, che contiene in sé, attraverso le produzioni agricole ed agroalimentari che la caratterizzano: cultura, storia, letteratura, archeologia,
civiltà, filosofia, stile di vita, salute, paesaggio, ecc., e che è capace di vivacizzare ed attrarre attività extragricole, costituite primariamente dalle
diverse tipologie di turismo, quale segno di un nuovo modo d’essere e di
vita della persona umana, in qualsiasi latitudine e longitudine abbia domicilio.
Come appunto dimostrano l’evoluzione finora e le previsioni dei
flussi turistici, che nel 2010 dovrebbero coinvolgere un miliardo di persone ed interessare in parte rilevante l’area mediterranea.
Per dare significato politico, economico, culturale e salutistico alla
Dieta Mediterranea, secondo l’obiettivo dello sviluppo sostenibile, si sono
coinvolti nella partecipazione di questo convegno studiosi appartenenti a
diversi settori scientifico-disciplinari e soprattutto, uno dei protagonisti,
il Prof. Flaminio Fidanza, che hanno individuato nella Dieta Mediterranea,
o più esattamente nei prodotti agricoli che concorrono alla sua composizione, tutto l’aspetto che muove primariamente il consumatore nel
moderno approccio al cibo e all’alimento: quello cosciente nutrizionistico-salutistico e quello culturale del modo di vivere o dello stile di vita.
Il Prof. Flaminio Fidanza ha partecipato alla pianificazione dello Studio Cooperativo Internazionale di Epidemiologia della Cardiopatia Coronarica, meglio noto come Studio dei sette Paesi, coordinato da Ancel
Keys, ed ha condotto l’inchiesta di epidemiologia prospettiva delle malattie coronariche nel paese di Nicotera (in Calabria) nel 1960, individuando
nelle abitudini alimentari e nello stile di vita della popolazione di questo
paese un ruolo preventivo nelle patologie cronico-degenerative.
La dieta di Nicotera è stata così scelta come: Dieta Italiana di Riferimento.
In questa dieta prevalgono cerali, legumi, pesce, olio vergine di oliva,
verdure, frutta, con abbondanza di erbe spontanee eduli, aglio, cipolla,
peperoncino, erbe aromatiche (rosmarino, prezzemolo, basilico) e quale
bevanda alcolica moderate quantità di vino, specialmente rosso.
In questa dieta limitato è il consumo di latte, formaggi, carni e grassi
di origine animale.
21
Sicilia e Dieta Mediterranea: introduzione al tema
Nella Dieta Mediterranea c’è dunque la descrizione fedele della produzione agricola siciliana che come tale, può diventare una risorsa strategica di marketing nella comunicazione e nella promozione dell’enogastronomia siciliana sul mercato internazionale, o per meglio dire sui segmenti di mercato a reddito medio-alto dei paesi ad economia avanzata , e nella
comunicazione e promozione del territorio siciliano nel turismo internazionale.
A dimostrazione della speculare corrispondenza della Dieta Mediterranea alla agricoltura siciliana basta il riferimento alla composizione produttiva della superficie agricola utilizzata che è costituita:
• nella superficie in asciutto dell’ampia area interna, dal seminativo
(dove si coltivano cereali- frumento duro essenzialmente-, leguminose da granella, ortaggi invernali), dalla frutta secca (mandorlo, nocciolo, pistacchio), dall’olivo e dalla vite,
• nella superficie irrigua, ricadente prevalentemente nella fascia costiera, dagli agrumi, dagli ortaggi, dalla frutta fresca, dall’olivo e dalla vite.
Gli allevamenti di bovini ed ovicaprini vengono effettuati allo stato
brado o semibrado nei pascoli naturali, nel seminativo a riposo o foraggicolo (leguminose da foraggio ed erbai di cereali e leguminose da foraggio)
e nei boschi; l’allevamento industriale stabulo di bovini, raramente di
suini, viene tuttora poco praticato e solo in alcune zone dell’isola.
Le erbe spontanee eduli ed aromatiche si trovano disseminate in tutto
il territorio siciliano e specialmente nelle aree interne di collina e montagna.
La piccola pesca si esercita diffusamente nei numerosi piccoli porti
dell’area costiera, mentre la pesca d’altura viene effettuata con motopescherecci nella quindicina di porti ubicati nei grossi centri abitati lungo la
costa dell’isola.
A spiegare l’importanza salutistica e culturale della Dieta Mediterranea e dei prodotti che la compongono sono, quali relatori del convegno:
studiosi e ricercatori nella scienza dell’alimentazione e della nutrizione, i
Proff. Adalberta Alberti, Antonino De Lorenzo, Laura Di Renzo, nella
medicina interna, i Proff. Domenico Campisi e Gino Avellone, della fisiologia umana i Proff. Santo Giammanco e Maurizio La Guardia, della medicina oncologica, il Prof. Nicola Gebbia.
Gli aspetti culturali ed originari della dieta mediterranea saranno trattati dall’archeologo-letterato Fabrizio Mollo.
Gli aspetti merceologici dell’olio d’oliva, alimento caratterizzante
22
Sicilia e Dieta Mediterranea: introduzione al tema
della dieta Mediterranea, saranno trattati dal Prof. Salvatore Chiricosta.
Il Prof. Fausto Cantarelli affronterà il tema, ormai a lui assai familiare, sull’interesse e sull’opportunità per la Sicilia ed il suo sviluppo economico della Dieta Mediterranea, mentre la Prof.ssa Sabrina Leone evidenzierà il legame, oggi sempre più pregnante, fra cibo e turismo, nell’ambito del quale la Dieta Mediterranea può rappresentare una risorsa non solo
per lo sviluppo dell’agricoltura, ma anche del territorio e dunque del sistema economico dell’isola.
A tutti i relatori va il mio personale ringraziamento e quello del
CORERAS.
Dalla caratterizzazione scientifica e professionale dei relatori, tutti di
fama nazionale e molti di essi anche di fama internazionale, e dagli stessi
titoli delle relazioni si può evincere con chiarezza che la tematica del convegno viene dibattuta con approccio interdisciplinare, mirato allo sviluppo economico e sociale sostenibile.
La convinzione scientifica dell’utilità salutistica della Dieta Mediterranea ha indotto i Proff. De Lorenzo, Fidanza, Alberti, Di Renzo, Cantarelli a costituire l’Associazione INDIM (Istituto Nazionale per La Dieta
Mediterranea e la Nutrigenomica) che ha sede legale a Reggio Calabria e
sede amministrativa a Roma. Il Prof. De Lorenzo è il Presidente, il Prof.
Fidanza è Presidente onorario e consigliere.
Il CORERAS condividendo pienamente gli scopi dell’Associazione
ha deliberato di chiederne l’ammissione come socio ordinario e partecipare a pieno titolo alle iniziative ed agli studi che l’Associazione proporrà e
realizzerà.
L’adesione di organismi regionali all’INDIM potrebbe essere una
buona opportunità per la Sicilia per comunicare la ricchezza della sua agricoltura, della sua storia, della sua cultura.
I diversi aspetti che saranno affrontati nelle relazioni ed i diversi
spunti di lavoro che emergeranno, consentiranno alla politica di meglio
indirizzare le strategie di intervento pubblico mirate: alla evoluzione della
catena del valore del sistema agroalimentare, attraverso la crescita numerica e dimensionale delle imprese orientate al marketing, a valorizzare il
territorio nel suo insieme di produzione alimentare e di patrimonio storico, culturale ed ambientale, utilizzando, nelle strategie di marketing promozionale e comunicazionale, la leva salutistica e nutrizionistica dei prodotti agroalimentari, specialmente in un mondo affetto da numerose
malattie cardiocircolatorie e sempre più da quelle derivanti dalla obesità, e
23
Sicilia e Dieta Mediterranea: introduzione al tema
la leva culturale ed immaginifica dell’enogastronomia e del territorio, specialmente in un mondo sempre più curioso di conoscenza di popoli, di siti
storici, di risorse naturali.
L’Assessore Regionale all’Agricoltura ed alle Foreste Prof. Giovanni
La Via, illustre economista agrario della Facoltà di Agraria dell’Università
di Catania, e dunque collega mio e di Cantarelli, spero possa ricevere da
questo convegno ulteriori spunti per la elaborazione mirata della sua condivisa politica sull’agroalimentare siciliano.
Sentiremo nelle sue considerazioni politiche ed economiche finali in
che modo e quanto le riflessioni corali su una tematica sempre più attuale possano incidere nel processo di accelerazione dello sviluppo economico e sociale sostenibile della Sicilia.
L’amico e collega Giovanni sa che nella ricerca economica lavoriamo
con la stessa convinzione metodologica e con la stessa passione. L’area
economico-agraria di Palermo e Catania infatti ha sempre lavorato in
piena sintonia e tutte le ricerche finora condotte hanno avuto come obiettivo la conoscenza e la crescita del sistema agroalimentare regionale nelle
sue molteplici espressioni.
L’Assessore La Via sa per istituzione che il CORERAS, consorzio
regionale, opera statutariamente seguendo le sue direttive sia nella sede di
Palermo che in quella di Catania, e pertanto può contare sul patrimonio di
conoscenza prodotto in aggiunta a quello che ci proviene dall’essere università.
Come Presidente ringrazio l’Assessore per l’attenzione che rivolge al
CORERAS, come peraltro i suoi precedessori; il che spinge il CORERAS
a far sempre meglio.
Lo ringrazio anche personalmente per il pizzico di attenzione in più,
rispetto a ieri, che rivolge al CORERAS, perché è servito a restituire serenità al lavoro ed all’impegno dei giovani ricercatori del Consorzio.
Ringrazio tutti per la partecipazione. Ringrazio il Magnifico Rettore
Prof. Giuseppe Silvestri, socio per l’Università di Palermo, come peraltro
le Università di Catania e Messina, del CORERAS, per l’attenzione
costante che ci rivolge, e ringrazio il mio Preside Prof. Salvatore Tudisca,
anch’egli economista agrario ed amico, per la sintonia d’impegno della
Facoltà e del CORERAS.
Ed adesso iniziamo i lavori sulla Dieta Mediterranea.
24
3
Dieta Mediterranea:
parla un pioniere
Flaminio Fidanza
Presidente onorario dell’Istituto Nazionale
per la Dieta Mediterranea e la Nutrigenomica
Dieta Mediterranea: parla un pioniere
Due premesse sono indispensabili: la definizione di Dieta Mediterranea di Riferimento (DMR) e la presentazione dell’Indice di Adeguatezza
Mediterraneo (IAM).
La Dieta Mediterranea di Riferimento è un regime di vita, nella classica accezione ippocratica, nel quale prevalgono alcuni gruppi di alimenti
consumati prevalentemente dai componenti le classi lavoratrici dei paesi
mediterranei intorno alla metà del secolo scorso. Questi gruppi di alimenti sono : cereali, legumi, ortaggi, frutta fresca e secca, olio vergine di oliva,
prodotti della pesca, e come bevande alcoliche vino.
L’idonea combinazione qualitativa e quantitativa di questi alimenti
permette di prevenire le inadeguatezze nutrizionali per eccesso e per
difetto e fornisce nutrienti e componenti alimentari dotati di elevati effetti protettivi grazie alla loro proprietà antiossidante.
L’Indice di Adeguatezza Mediterraneo è stato da noi elaborato per
valutare in modo obiettivo quanto una dieta liberamente scelta si avvicini
o si allontani da una dieta mediterranea presa come riferimento (1).
L’Indice di Adeguatezza Mediterraneo (IAM) si ottiene dividendo il
percento dell’energia fornita dagli alimenti che caratterizzano una dieta
mediterranea salutare (cereali, patate, legumi, ortaggi, frutta fresca e secca,
prodotti della pesca, olio vergine di oliva, vino) per il percento dell’energia fornita da alimenti pur mediterranei, ma che non debbono prevalere in
questo tipo di dieta (carne, latte, formaggi, uova, grassi di origine animale e margarine, dolci, bevande zuccherine). Lo IAM si può anche calcolare utilizzando il peso in grammi degli alimenti sopra indicati. Il valore in
tal caso sarà differente per la diversa densità energetica di alcuni alimenti
e delle bevande. I valori dello IAM possono andare dallo 0 per una dieta a
base di soli alimenti non mediterranei ad oltre 100 per una dieta strettamente vegetariana. I valori più comunemente da noi riscontrati vanno da
0,6 per le due coorti del Seven Countries Study (SCS) finlandesi a 14,6
per la coorte SCS di Tanushimaru in Giappone.
Come dieta mediterranea di riferimento abbiamo scelto quella rilevata in tre stagioni del 1960 nelle famiglie di Nicotera, un centro rurale della
Calabria in provincia di Catanzaro.
Nicotera era la terza area rurale Italiana esaminata come studio pilota nell’ambito dello Studio dei Sette Paesi. Per la scarsezza di fondi e per
la similarità con le due aree rurali della Grecia (Creta e Corfù),non si è
dato corso al riesame negli anni successivi.
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Dieta Mediterranea: parla un pioniere
Nelle tabelle 1 e 2 è riportata la media del consumo giornaliero di alimenti per le quattro classi di età dei maschi e delle femmine di Nicotera
esaminati nel 1960, Come già riportato in precedenti lavori i cereali erano
molto bene rappresentati e così pure i vegetali, i legumi ed il pescato.
L’olio vergine di oliva era l’unico olio consumato. Il pane , in genere bigio,
era preparato con farina di grano macinato a pietra nei 18 mulini disponibili a quell’epoca a Nicotera. Diffuso era il consumo di erbe selvatiche
crude o cotte, particolarmente ricche di antiossidanti ed acidi grassi
omega-3 (Tabelle 1 e 2).
Tab. 1 - Media del consumo giornaliero di alimenti (g) dei maschi di Nicotera. (1960, media di tre stagioni)
Tutti gli adulti delle 35 famiglie esaminate svolgevano una attività fisica moderata ed in alcuni casi essa era per gli uomini anche pesante.
Dall’indagine clinica condotta nel 1957 la prevalenza di infarto del
miocardio è risultata bassissima (solo 4 casi sui 578 uomini esaminati, di
45-64 anni di età). L’ipertensione, il soprappeso ed il diabete erano poco
comuni (2).
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Dieta Mediterranea: parla un pioniere
Tab. 2 - Media del consumo giornaliero di alimenti (g) delle femmine di
Nicotera. (1960, media di tre stagioni)
Il ruolo salutare della dieta mediterranea è stato messo in evidenza
dai nostri studi sui rapporti tra dieta e colesterolemia e dal nostro Studio
Cooperativo Internazionale della Cardiopatia Coronarica, meglio noto
come Seven Countries Study (SCS = Studio dei Sette Paesi).
Nel febbraio 1952 insieme ad Ancel Keys abbiamo preso in esame i
rapporti tra dieta e colesterolemia. I vigili del fuoco napoletani presentavano una colesterolemia più bassa rispetto ai colleghi del Minnesota
(USA). Ciò era da imputare al minor contenuto di grassi nella dieta (20%
dell’energia totale nei napoletani contro il 40% dell’energia totale negli
americani), (3).
Nella figura 1 è riportato l’andamento con l’età dei valori medi della
colesterolemia dei vigili del fuoco di Napoli e del Minnesota. I vigili
napoletani oltre a valori sempre più bassi, dopo il trentacinquesimo anno
presentavano livelli praticamente stabili.
Dal 1958 al 1965 abbiamo esaminato i seguenti sei gruppi di cittadini napoletani : operai leggeri (OP-LE), industriali e professionisti (PRO),
uscieri dell’Università (US-UN), scalpellini (SCAL), disoccupati (DIS)
ed impiegati comunali (IM-CO) (4).
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Dieta Mediterranea: parla un pioniere
Fig. 1 - Andamento con l’età della media della colesterolemia dei vigili del
fuoco di Napoli e del Minnesota. Per ogni area i valori sono espressi come
percento della media all’età di 35 anni.
Il rilevamento dei consumi alimentari degli operai leggeri è stato eseguito con la tecnica del ricordo delle precedenti 48 ore. Per gli industriali e professionisti, gli uscieri dell’Università e gli scalpellini si è adoperata
la tecnica della pesata individuale protratta per una settimana. Per i disoccupati è stata utilizzata la tecnica del ricordo delle precedenti 48 ore, associata al rilevamento delle abitudini alimentari relative ad un periodo di
tempo più lungo. Per gli impiegati comunali si è adoperata la tecnica del
diario alimentare per una settimana (Tabella 3).
Il consumo di latte è trascurabile negli scalpellini, scarso negli operai
leggeri e nei disoccupati, discreto negli altri gruppi. I formaggi abbondano nelle diete degli impiegati comunali e dei disoccupati, scarseggiano
invece in quelle degli operai leggeri. La carne è consumata scarsamente da
parte degli operai leggeri e discretamente da parte degli uscieri dell’Università e degli scalpellini. Le uova assenti nella dieta dei disoccupati, sono
presenti in quantità modesta in quelle degli scalpellini e degli operai leggeri ed in quantità apprezzabile in quella degli altri gruppi. Il pesce è consumato con una relativa uniformità nella maggioranza dei gruppi.
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Dieta Mediterranea: parla un pioniere
Tab. 3 - Percento dell’energia dei vari alimenti nella dieta di alcuni gruppi
di napoletani. (Valori medi pro die e pro capite)
Nella dieta dei disoccupati i grassi di condimento e gli oli sono presenti in quantità ridotta, mentre sono decisamente abbondanti in quella
degli operai leggeri. I cereali sono consumati largamente da parte degli
scalpellini ed in quantità ridotta da parte degli industriali e professionisti.
I legumi abbondano nelle diete dei disoccupati, degli scalpellini e degli
operai leggeri e scarseggiano in quella degli uscieri dell’Università. I vegetali sono presenti in quantità ridotta nella dieta dei disoccupati, mentre
abbondano in quella degli industriali e dei professionisti. Per la frutta i
consumi più bassi si riscontrano nella dieta degli scalpellini; valori intermedi si osservano nelle diete degli uscieri dell’Università e degli operai
leggeri. Le bevande alcoliche abbondano nelle diete degli scalpellini e dei
disoccupati, mentre sono presenti in quantità ridotta nella dieta degli
industriali e dei professionisti.
La dieta meno mediterranea è naturalmente quella degli industriali e
professionisti (IAM = 1,5), quella simile alla DMR Italiana è risultata
quella degli operai leggeri (IAM = 7,5).
Dopo una riunione di esperti internazionali nel marzo 1954 presso
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Dieta Mediterranea: parla un pioniere
Tab. 4 - Corti rurali europee
l’Istituto di Fisiologia Umana a Napoli,coordinata da Ancel Keys e dall’autore, abbiamo dato corso nell’autunno 1957 allo studio pilota del SCS
a Nicotera in Calabria e a Creta in Grecia. Dal 1958 lo studio è stato esteso a sedici coorti di uomini di 40-59 anni di età residenti in centri abitati
in Finlandia, Giappone, Grecia,Italia,ex Jugoslavia,Olanda e Stati Uniti
d’America.
Da questo studio è emerso che per quanto riguarda le nove coorti
rurali europee,quelle mediterranee (Creta e Corfù in Grecia, Crevalcore e
Montegiorgio in Italia, e Dalmazia nella ex Jugoslavia), presentavano al
quindicesimo anno di riesame un tasso di mortalità per cardiopatia coronarica metà rispetto a quello delle quattro coorti non mediterranee (Finlandia orientale ed occidentale, Slavonia e Velika Krsna nella ex Jugoslavia), (5).
Le diete dei due gruppi erano ben diverse.Nelle cinque coorti mediterranee erano maggiormente presenti olio di oliva,cereali,frutta,ortaggi e
vino,mentre in quelle finlandesi e della ex Jugoslavia settentrionale carne,
uova, formaggi, sostanze grasse di origine animale e margarine e le bevan32
Dieta Mediterranea: parla un pioniere
Tab. 5 - Valori medi degli alimenti consumati dai 1536 uomini di 45-65 anni
di Crevalcore e Montegiorgio
de alcoliche erano birra e superalcolici consumate in genere fuori pasto.
Nelle due coorti rurali italiane di Crevalcore in Emilia e Montegiorgio nelle Marche è stato valutato dopo 20 anni il tasso di mortalità per
varie cause, in rapporto alla dieta consumata nel 1965. I 1536 soggetti
sono stati classificati, utilizzando la tecnica dell’analisi K-cluster, in 4
gruppi a seconda della densità dei nutrienti delle loro diete, prendendo in
considerazione le proteine totali, gli acidi grassi saturi, monoinsaturi e
polinsaturi, i carboidrati totali e l’alcol, espressi come percento dell’energia totale (6).
Nella tabella 5 sono riportati i valori medi degli alimenti consumati
dai 1536 uomini di 45-65 anni di età di Crevalcore e Montegiorgio.
IL cluster 1 è caratterizzato da un elevato consumo di alcol (1/3 dell’energia totale), mentre i valori degli altri alimenti sono tra i più bassi. Il
cluster 2 presenta i più elevati consumi di oli di semi e conseguentemente
di acidi grassi polinsaturi, mentre più bassi sono i consumi di insaccati,
prodotti della pesca, ortaggi grassi ed uova. Il consumo di vino non è elevato. Per il cluster 3 il consumo di olio di oliva è tra i più elevati. Il cluster
33
Dieta Mediterranea: parla un pioniere
4 mostra il massimo consumo di alimenti ricchi in carboidrati e di ortaggi; il consumo di olio di oliva è basso e così pure quello delle uova, grassi
e vino. E’ quest’ultima le dieta tipica delle classi lavoratrici italiane negli
anni cinquanta.
Nella tabella 6 è riportata la percentuale dei tassi di mortalità standardizzati per l’età in ogni cluster per le diverse cause di morte al riesame
del venticinquesimo anno dei 1536 uomini di Crevalcore e Montegiorgio.
Tab. 6 - Percentuali dei tassi di mortalita’, standardizzati per l’eta’ in ogni
cluster per le diverse cause di morte al riesame del ventesimo anno
La mortalità più elevata per cardiopatia coronarica è per i cluster 1 e
4, mentre per l’ictus cerebrale è per i cluster 1 e 3. La mortalità più bassa
per cancro si osserva nei cluster 2 e 4. la mortalità per cirrosi epatica è una
caratteristica quasi esclusiva del cluster 1, al quale appartengono i gran
bevitori di vino.
Di conseguenza il gruppo più protetto per quanto riguarda la cardiopatia coronarica è quello che presenta il più elevato consumo di acidi grassi polinsaturi. Nel complesso i gruppi più protetti per le altre cause di morte
risultano quelli con un elevato consumo di carboidrati e di olio di oliva.
Le due coorti italiane SCS di Crevalcore (in provincia di Bologna) e
Montegiorgio (nelle Marche in provincia di Ascoli Piceno) sono state riesaminate ogni cinque o dieci anni sino al trentunesimo anno.
La dieta di tutti questi uomini è stata seguita utilizzando il metodo
sella storia dietetica dal 1965 al 1991.
34
Dieta Mediterranea: parla un pioniere
Nella tabella 7 è riportata la distribuzione in percentili dello IAM
della loro dieta, insieme a quella degli uomini esaminati a Nicotera nel
1960 (7).
A Crevalcore nel 1965 solo un modesto numero di uomini consumava una dieta mediterranea. Nel 1991 questo numero si è ulteriormente
ridotto. I figli ed i nipoti degli uomini esaminati longitudinalmente
mostravano consumi con le stesse caratteristiche degli anziani.
A Montegiorgio nel 1965 circa il 25% degli uomini consumava una
dieta mediterranea , ma nel 1991 questa percentuale è significativamente
diminuita. Per i figli ed i nipoti degli uomini esaminati longitudinalmente
i valori erano vicini a quelli dei corrispondenti individui di Crevalcore.
Dopo 26 anni, pur tenendo conto dell’influenza dell’invecchiamento
di questi individui nei riguardi dei consumi alimentari, si è osservata in
particolare a Montegiorgio una netta modificazione delle scelte alimentari con un avvicinamento dei consumi a quelli degli uomini di Crevalcore.
Quindi per i soggetti di Montegirogio si à verificato un marcato allontanamento dalla DMR. La mortalità per cardiopatia coronarica presentava
un andamento conseguente.
Tab. 7 - Distribuzione dei percentili dello IAM della dieta degli uomini delle
coorti rurali italiane del Seven Countries Study
35
Dieta Mediterranea: parla un pioniere
Nel 1999 abbiamo dato corso al rilevamento dei consumi alimentari
di 49 famiglie residenti nel comune di Pollica (Salerno) già esaminate nel
1967;tale rilevamento includeva anche i nuovi famigliari (figli e nipoti).
Dopo 32 anni i giovani di 20-39 anni di Pollica si sono allontanati dalla tradizionale dieta mediterranea.Per le donne oltre i 40 anni questo allontanamento è meno accentuato e per gli uomini oltre i 40 anni molto modesto
(Tabelle 8 e 9).
Tab. 8 - Distribuzione dei percentili dello I.A.M. Delle diete degli uomini di
Pollica (Cilento – Italia)
Tab. 9 - Distribuzione dei percentili dello I.A.M. delle diete delle donne di
Pollica (Cilento – Italia)
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Dieta Mediterranea: parla un pioniere
Nel 1999 il Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano (Provincia
di Salerno) ha dato corso al rilevamento delle abitudini alimentari di campioni di famiglie residenti in sette comunità montane.La media dello IAM
per le 228 famiglie esaminate è risultata di 2,2, vicina a quella dei giovani
di Pollica esaminati nello stesso anno.
Anche la dieta dei soggetti di Nicotera esaminati nel 1960, considerata come dieta mediterranea di riferimento italiana, ha subito profonde
modificazioni qualitative nel tempo. Per gli uomini nel 2002 il consumo di
cereali e legumi è visibilmente diminuito. Aumentati invece sono i consumi di frutta, formaggi e latte. I dolciumi prima assenti sono ora presenti.
Per le donne la situazione è quasi simile a quella degli uomini, maggiore è
il consumo di latte, formaggi e dolciumi (Tabella 10).Di conseguenza nel
2002,cioè dopo 42 anni, lo IAM della dieta dei figli e dei nipoti dei capifamiglia esaminati nel 1960 è 3,5 per gli uomini e 2,6 per le donne.
Tab. 10 - Media del consumo giornaliero di alimenti (g) dei soggetti di Nicota esaminati nel 2002
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Dieta Mediterranea: parla un pioniere
Fig. 2. - Correlazione del logaritmo naturale del MAI delle diete delle 16
coorti del Seven Countries Study (ln MAI, dopo esclusione della birra e dei
superalcolici) con il tasso di mortalità per cardiopatia coronarica al 25° anno
di riesame
I simboli sono: US-ferrovieri USA; EF-Finlandia orientale; WF-Finlandia occidentale; ZU-Zutphen,Olanda;
CR-Crevalcore,Italia; MO-Montegiorgio,Italia; RR-Ferrovieri ,Roma,Italia; D-Dalmazia,Croazia-ex Jugoslavia; SL-Slavonia, ex Jugoslavia; VK-Velika Krsna,Serbia-ex Jugoslavia; ZR-Zrenjanin, Serbia-ex Jugoslavia; BEBelgrado, Serbia-ex Jugoslavia; KT-Creta, Grecia; CO-Corfù, Grecia; TA-Tanushimaru, Giappone; U.
Per le 16 coorti dello Studio dei Sette Paesi abbiamo correlato lo IAM
delle diete dei campioni di uomini esaminati all’inizio dello studio con il
tasso di mortalità per cardiopatia coronarica al 25° anno di riesame(8).
Dalla figura 2 possono essere identificati tre gruppi di coorti: il gruppo delle coorti di destra con il più elevato valore di MAI ed il più basso
tasso di mortalità per cardiopatia coronarica che include le quattro coorti
mediterranee e le due giapponesi; il gruppo delle coorti di sinistra con il
più basso valore del MAI ed il più elevato tasso di mortalità che include le
coorti dell’Europa settentrionale e degli Stati Uniti d’America; il gruppo
delle coorti di centro che comprende le coorti dell’Europa centrale e dell’Italia settentrionale.
Da quanto sin qui esposto si può ritenere che lo Studio dei Sette Paesi
(SCS) rappresenta uno dei più importanti studi ecologici in quanto è stato
il primo a mostrare una significativa relazione tra abitudini alimentari di
popolazioni molto differenti tra loro e la rispettiva incidenza e mortalità
per cardiopatia coronarica. E la dieta mediterranea non solo assume un
indiscutibile ruolo preventivo della cardiopatia coronarica, ma anche di
molte altre malattie cronico degenerative come evidenziato da altri autori.
38
Dieta Mediterranea: parla un pioniere
Bibliografia
1) ALBERTI-FIDANZA A, FIDANZA F, CHIUCHIÙ MP, VERDUCCI G, FRUTTINI D. Dietary studies on two rural Italian
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and nutrient intake from 1960 to 1991. Eur J Clin Nutr 1999;53:854860.
2) FIDANZA F. LA DIETA DI NICOTERA NEL 1960. Dieta Mediterranea Italiana di Riferimento. In De Lorenzo A, Fidanza F. Dieta
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3) KEYS A, FIDANZA F, SCARDI V, BERGAMI G. The trend of
serum-cholesterol levels with age. The Lancet, 1952, August 2, p.209.
4) FIDANZA F, FIDANZA-ALBERTI A. Cento anni di storia dei
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8) FIDANZA F, ALBERTI A, LANTI M, MENOTTI A. Nutr Metab
Cardiovasc Dis 2004;14:254-258.
39
4
Tradizioni alimentari
e dieta mediterranea
nel mondo antico
Pesca, produzione e consumo
del pesce e delle relative salse
in Magna Grecia ed in Sicilia
Fabrizio Mollo
Università degli Studi di Messina
Tradizioni alimentari e dieta mediterranea nel mondo antico
Gli studi di scienze dell’alimentazione, la tradizione letteraria e la
documentazione archeologica in Magna Grecia e Sicilia restituiscono un
quadro molto particolareggiato della tradizione culinaria e delle abitudini
alimentari nel mondo antico in Italia meridionale.
Le fonti, ad esempio, non omettono di citare la ricchezza di risorse
provenienti da territori fertili come quello di Metaponto e, soprattutto, di
Sibari (la pece, il legname, la carne degli allevamenti, soprattutto la caro
porcina, per la quale sappiamo che si pagavano alti dazi1) città che era
ricordata per la tryphé, la mollezza dei suoi costumi e per l’uso smodato di
vino (proveniente addirittura dagli acquedotti alla città)2; a Roma, poi, era
proverbiale la produzione su larga scala dei cereali e del grano in Sicilia,
vero e proprio granaio dell’urbs3.
In Magna Grecia e Sicilia è, dunque, riconoscibile quella che a posteriori definiremmo una tradizione alimentare e culinaria assolutamente di
primo piano nel panorama del mondo antico.
Alla base di questo sistema c’è ciò che il prof. Cantarelli ha definito il
“miracolo alimentare mediterraneo”, il portato di un modello culturale
dominante che ha veicolato abitudini ed usi alimentari dalla Magna Grecia
e dalla Sicilia in tutte le aree del Mediterraneo, dapprima attraverso la cultura greca e magno-greca, poi attraverso l’espansione del dominio romano4. La dieta mediterranea, quale combinazione di tutti i prodotti vegetali, olio e vino, con pane e modiche quantità di carne e formaggio, in
aggiunta al pesce, rappresenta per la Magna Grecia e per la Sicilia uno dei
pilastri della propria cultura, essendo tali prodotti consumi compatibili
con le capacità di produzione locale5.
1
2
3
4
5
Importanti indicazioni provengono in generale dalla Mostra AA.Vv., L’uomo e gli animali: un rapporto
senza tempo, in “Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Soprintendenza Archeologica della Calabria.
IV Settimana della Cultura. 15-21 aprile 2002”, R. AGOSTINO (a cura di), Reggio C. 2002. Per quanto
riguarda l’uso e l’allevamento nel mondo antico cfr. per tutti F. MASPERO, Bestiario antico. Gli animalisimbolo ed il loro significato nell’immaginario dei popoli antichi, Asti 1997. In generale cfr. E. BEVAN, Representation of Animals in Sanctuaries of Artemis and other olympian Deities, Oxford 1986; A. HOUGHTON,
Animals in Archaeology, London 1972, D. KREKOUKIAS, Gli animali nella mitologia popolare degli antichi
Greci, Romani, Bizantini, Firenze 1970; J. PRIEUR, Les animaux sacrés dans l’antiquité, art et religion du
monde mediterranée, Rennes 1988.
S. COLLIN-BOUFFIER, La cuisine des Grecs d’Occident, symbole d’une vie de tryphé?, in Paysage et alimentation dans le mond grec. Les innovations du premier millénaire av. J.C., Pallas, Revue d’études antiques,
52, 2000, pp. 195-208
Per un quadro dell’alimentazione a Roma cfr. A. DOSI, SCHNELL, A tavola coi romani antichi, Roma 1984;
AA. VV., L’alimentazione nel mondo antico. I Romani, Roma 1987.
F. CANTARELLI, I tempi alimentari del Mediterraneo. Cultura ed economia nella storia alimentare dell’uomo,
Milano 2005, passim. R. AGOSTINO-R. SCHENAL PILEGGI (a cura di), Le pratiche alimentari nella Calabria
antica. Un percorso archeologico tra quotidianità e ritualità, Catalogo della mostra, Reggio Calabra 20042005.
G. RACE, La cucina del mondo classico, Napoli 1999, passim.
43
Tradizioni alimentari e dieta mediterranea nel mondo antico
Al centro di quest’alimentazione, che rappresenta a tutti gli effetti la
prima affermazione della dieta mediterranea, ci sono due importanti prodotti principali, ovvero l’olio ed il vino, distribuiti in grande abbondanza
in tutto il territorio dell’Italia meridionale e della Sicilia, come testimoniano i contenitori per eccellenza deputati alla commercializzazione di essi,
ovvero le anfore da trasporto, di produzione campana, calabrese e siciliana. Il primo rappresenta il principale condimento sulla tavola dei Greci,
degli Indigeni e dei Romani; il secondo non solo la bevanda per eccellenza del pasto, ma anche il principale attore del rituale del simposio greco e
del banchetto, carico delle sue valenze religiose e misteriche ricollegabili
al culto di Dioniso-Bacco6.
Altro alimento particolarmente apprezzato sulle antiche tavole
magno-greche e siceliote è il pesce, prodotto per il quale possediamo
ampie attestazioni relativamente alla pesca, al consumo, alla produzione e
commercializzazione sia attraverso le fonti letterarie (libri, ricette) sia
attraverso le fonti iconografiche (ceramica figurata) sia, soprattutto, attraverso la documentazione archeologica, ricca di testimonianze di contenitori ceramici atti alla preparazione di pasti a base di pesce, di strumenti di
pesca e di aree per la sua produzione e lavorazione7.
Mosaico con scene di pesca dalla Villa del Casale di Piazza Armerina
6
7
44
M.C. AMOURETTI, Le pain et l’huile dans la Grèce antique. De l’araire au moulin, Paris 1986 ; M.C. AMOURETTI-J.P. BRUN, La production du vin et de l’huile en Méditerranée orientale, Symposium international.
Aix-Toulon 1991, B.C. H. Sup XXVI, EFA, 1993, pp. 463-476; M.C. AMOURETTI, La viticulture antique
méditerranéenne et ses rapports avec la vinification, in El vi a l’Antiguitat. II colloqui internacional d’arquéologia romana, Badalona 1998, pp. 15-28. In ultimo cfr. F. Mollo, Wine consumption and the symposium
ritual in native-Enotrio world: some examples from the gulf of Policastro and Tortora (CS) area, in N. Russo
(a cura di), Il vino tra cultura, economia e scienza: Il caso Calabria, “Atti del Convegno di Nocera Terinese (CZ) 30 marzo-1 aprile 2006”, c.s.
Per il pesce cfr. soprattutto J. MC PHEE-A.D. TRENDALL, Greek Red-figured Fish-plates, 14. Beiheft AntK,
Basel 1987 e A. DONATI-P. PASINI, Pesca e pescatori nell’antichità, 1997.
Tradizioni alimentari e dieta mediterranea nel mondo antico
La pesca e le attività marinare erano tra le più importanti nel mondo
antico e le buone quantità di pesce che ne derivavano erano consumate
fresche oppure sottoposte a processi di lavorazione che ne permettevano
sia la conservazione sia il trasporto come conserva (tarichos, salsamentum)
sia come salsa da condimento (garum, liquamen, allec, muria).
Il pesce aveva un ruolo primario nell’alimentazione greca e magnogreca tanto che, per esempio, a Sibari erano esentati dalle tasse i pescatori ed i venditori di anguille; sempre a Sibari si ricordi una tradizione che
vuole nel VI sec. a.C. Smindiride di Sibari alla corte del tiranno di Sicione
Clistene con circa mille cuochi al seguito: si tratta sicuramente di un topos
letterario, legato alla fama di Sibari come realtà opulenta e smodata ma
che, comunque, conferma l’esistenza di una tradizione culinaria molto
forte nell’antica Calabria, sebbene legata alla tradizionale mollezza della
città fondata soprattutto sulla quantità e sulla sofisticatezza dei cibi consumati, piuttosto che sulla qualità dei prodotti8. La particolarità di tale
notizia sta nel fatto che Smindiride pare avesse portato con sé anche bravi
pescatori, specializzati nella pesca marina e fluviale.
La pesca veniva condotta con sistemi abbastanza semplici e tradizionali, non dissimile da quelli della tradizione odierna: quello più comune
era sicuramente quello con ami innescati, come sembrerebbe dimostrare il
rinvenimento consueto nei contesti archeologici costieri di ami da pesca
in grandi quantità; si usavano anche le reti, in genere fatte con fibre vegetali (lino), intrecciate a costituire un unico panno di rete rettangolare (la
sagena), appesantito in basso da numerosi pesi fittili di forma circolare,
sino a toccare il fondo o anche disposti a mezz’acqua.
Per la cattura dei pesci di taglia media si usavano arpioni e tridenti;
nella pesca del pesce spada si poneva una rete in mare a formare un semicerchio e si colpivano i pesci a colpi di arpione.
Il pesce siciliano, soprattutto, era molto apprezzato sulle mense antiche9. Molto prelibate erano le murene di Capo Peloro, il gamberone imperiale di Catania, le conchiglie di Tindari e del Peloro, le sardelle di Lipari
e, soprattutto, il pesce spada ed il tonno10.
8
9
10
S. COLLIN-BOUFFIER, La cuisine des Grecs d’Occident, symbole d’une vie de tryphé?, in Paysage et alimentation dans le mond grec. Les innovations du premier millénaire av. J.C., Pallas, Revue d’études antiques,
52, 2000, pp. 195-208, in ptc. p. 198.
Si cfr. Archestrato, Hedypatheia, passim; Epicarmo, Comicorum Graecorum Fragmenta, citato, in Ath.,
Deipnosophistae, XIII, 518.
G. PURPURA, Pesca e stabilimenti antichi per la lavorazione del pesce in Sicilia: S. Vito (Trapani), Cala Minnola (Levanzo), in Sicilia Archeologica XV, 1982, 48, pp. 45-60, con tutte le attestazioni dalle fonti antiche.
45
Tradizioni alimentari e dieta mediterranea nel mondo antico
Per questi ultimi, in particolare, disponiamo di una fonte, Eliano11,
che ci parla sia della pesca sia dell’utilizzo di apposite tonnare12.
Altre fonti antiche, in particolare Ateneo, ci forniscono notizie sull’esistenza di tali tonnare a Pachino e, soprattutto, lungo la costa nordoccidentale, in particolare a Tindari, Cefalù e Cetaria (S. Vito lo Capo?13),
oltre che a Solunto, come le monete ivi coniate nel V sec. a.C. ci testimoniano abbastanza chiaramente14.
Particolarmente interessanti risultano essere proprio la conservazione e la salagione del tonno, distinte per il grado della salatura, le modalità
di presentazione e per l’utilizzo di diverse parti del pesce stesso. Il salato,
ad esempio, poteva essere consumato così come era, oppure dissalato in
acqua dolce o di mare, conservato in fette, a pezzi triangolari, quadrangolari o cubici15.
Di un certo interesse anche la cattura del tonno, descritta dalle
fonti16, che avveniva in vari modi e soprattutto con l’avvistamento a terra
da parte di vedette issate su posti di guardia; i tonni, stretti in grandi reti
oppure dalle barche affiancate, venivano uccisi con fiocina e bastone e trascinati sulle imbarcazioni sino a riva17.
Il pescato in genere veniva venduto
direttamente al mercato ed ai banchi, come
ci ricorda la splendida iconografia del cratere del Museo Mandralisca di Cefalù, proveniente dalla necropoli di Lipari, oppure veniva allevato nelle peschiere per essere poi
appositamente lavorato, soprattutto nel
Cratere
periodo romano.
a figure rosse.
Gli impianti per la lavorazione del pesce
Cefalù-Museo
Mandralisca
e per la conservazione delle eccedenze più
11
12
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14
15
16
17
46
Strab., Geographia, I, 2, 24.
Eliano, De natura animalium, XV, 5 6; Ath., Deipnosophistae, V, 44.
G. PURPURA, Pesca e stabilimenti antichi per la lavorazione del pesce in Sicilia: S. Vito (Trapani), Cala Minnola (Levanzo), in Sicilia Archeologica XV, 1982, 48, pp. 45-60.
G. PURPURA, Pesca e stabilimenti antichi per la lavorazione del pesce in Sicilia: S. Vito (Trapani), Cala Minnola (Levanzo), in Sicilia Archeologica XV, 1982, 48, pp. 45-60.
I filetti di tonno salati e seccati erano detti da Pl. (Naturalis Historia, IX, 48) melàndrya.
Arist., De Animalium Historia, VIII, 12ss.; Esch., Persiane, 424; Eliano, De natura animalium, IX, 42; XV,
5; Fil., Imagines, I, 12; Op., Halieutica, IV, 504ss.
La descrizione sembra essere molto simile a quella della moderna mattanza, con reti fisse e percorsi obbligati verso la « camera della morte ».
Tradizioni alimentari e dieta mediterranea nel mondo antico
semplici prevedevano una serie di vasche disposte su di un unico allineamento, ma a quote diverse, con una serie di accorgimenti tecnici (tagli e
cavi per paratie e setti murari) atti a creare vivai per l’allevamento di pesci
e per produrre salse e conserve di pesce stesso.
Il lusso e l’avidità dei guadagni furono alla base del grande interesse
che gli aristocratici mostrarono per il commercio del pesce, le cui peschiere, sul litorale laziale, nel golfo di Napoli e sulle coste della Penisola Iberica rappresentavano monumenti veramente esclusivi18. Si tratta di
impianti intesi in genere come una manifestazione di lusso smodato,
molto costoso ed alla moda, condiviso da pochi privilegiati appartenenti
alle classi superiori.
L’investimento rendeva tanto bene che, per fare qualche esempio, la
famiglia dei Licinii aveva al suo interno membri che si fregiavano del
soprannome “Murena” dal nome del pesce carnivoro; dalla pregiata orata
prendeva nome Sergio Orata, il primo ad intraprendere la mitilicultura nel
lago di Lucrino, nei pressi di Baia: di esso scrissero Varrone19, Valerio Massimo20, Plinio il Vecchio21, Columella22 e Macrobio23; peschiere avevano
anche l’oratore Licinio Crasso e Lucio e Marco Lucullo, soprattutto di
murene, ingrassate con pesce pescato in mare aperto o, in alcuni casi,
dando loro in pasto gli schiavi ribelli o disobbedienti24.
Per i vivai di Roma si facevano venire murene fin dallo Stretto di Messina e dalla Spagna; quelle che provenivano da Reggio e Messina erano
chiamate plotai dai Greci e flutae dai Latini perché, nuotando in superficie, erano arse dal sole e non riuscivano ad incurvarsi per immergersi in
profondità e, per questo motivo, più facilmente catturate. In Sicilia, addirittura, le murene si prendevano con le mani, perché erano tanto grosse
che galleggiavano25.
Asinio Celere, console suffectus nel 38 d.C., acquistò una triglia per il
prezzo di settemila sesterzi26. Le triglie erano tra i pesci più ricercati e
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26
X. LOFON, Piscinae et pisciculture dans le bassin occidental de la Méditerranée, JRA, 11, 1998, pp. 573-582.
Varr., De re rustica, 1, 3.
Val. Mass., Factorum et dictorum memorabilium libri, IX, 1, 1.
Pl., Naturalis Historia, IX, 79.
Col., De Re Rustica libri XII, VIII, 16, 5.
Macr., Conviviorum primi diei Saturnaliorum libri VII, III, 15, 1.
Sen., De ira, III, 40, 2; Id., De clementia, I, 18, 2; Pl., Naturalis Historia, IX, 23, 39.
Pap., Logistoricon, fr. 55 Bolisani.
Pl., Naturalis Historia, IX, 67.
47
Tradizioni alimentari e dieta mediterranea nel mondo antico
rinomati, celebrate dal racconto di Plinio il Vecchio al pari della terribile
murena e dei principali pesci, tra cui quelli senza lisca, le seppie ed i calamari, i polipi. Il IX libro della Naturalis Historia di Plinio il Vecchio è dedicato proprio ai pesci, tonni (18), sgombri (19), lo scaro (29), le triglie ed
il sarago (30), murene (39), molluschi (44), seppie, calamari, polipi (4548), crostacei (50-52), aragoste (50), una delle regine dell’universo alimentare, cucinata con una moltitudine di ricette, accanto ai frutti di mare.
Mosaico in opus vermiculatum con pesci. Pompei-Casa del Fauno
Il liberto Giulio Optato, comandante della flotta di Miseno sotto
Claudio nel 52 d.C., introdusse il pesce scaro dalle coste dell’Egeo, a
mezzo di vivai artificiali allestiti sulle triremi27 e disseminando il novellame lungo la costa tra Ostia e Miseno, vietandone per cinque anni la pesca.
Tale pesce risultava particolarmente indicato per la preparazione del
garum.
La maggior parte delle peschiere veniva costruita nelle ville marine,
ma nelle ville di campagna, a Pompei ad esempio, non mancavano piccole
vasche dove si allevavano aragoste ed altri pesci pregiati.
Il pesce da alimento popolare conquistò col tempo i palati più raffi27
48
Pl., Naturalis Historia, IX, 62.
Tradizioni alimentari e dieta mediterranea nel mondo antico
nati nel mondo greco, magno-greco e romano, diventando prodotto prelibato, da gustare più che da mangiare.
E sul consumo del pesce abbiamo numerosi dati iconografici oltre
che tante fonti letterarie. Molta apprezzata, tra ques’ultime, l’opera di
Archestrato di Gela, che già nel IV sec. a.C. scrisse un trattato in esametri, l’Hedypatheia, ovvero il piacere del gusto.
Il libro disserta sul pesce, ne illustra qualità e modi di preparazione,
con particolare attenzione a crostacei, molluschi e pesci molto rinomati,
ed ai mercati dove si poteva comprare tale pesce. Le ricette utilizzano
come condimento il formaggio, di capra o di pecora, caldo e filante, da
mettere sul pesce arrosto.
Una fonte altrettanto antica, quale quella di Ateneo di Naucrati, ci fa
apprezzare il consumo del pesce, con particolare attenzione proprio alla
Sicilia28.
Particolarmente rinomato il tonno, il cui consumo è molto diffuso in
Sicilia29 e le cui conserve magno-greche e siceliote erano conosciute e
rinomate:
Ath., Deipnosophistae, 34
(…) Nella sacra e magnifica Samo vedrai pescare il tonno,
quello di grandi dimensioni, che chiamano qui Orcino
(orkys) mentre altri lo chiamano Ceto (Ketos). A qualunque prezzo compralo subito…Lo trovi in esemplari ottimi
anche a Bisanzio e Caristo; ma nella gloriosa isola di Sicilia, trovi tonni superiori a questi. Difatti i tonni, che nutrono la costa di Cefalù e Tindari sono tra i migliori. Se però
un giorno ti recherai a Ippona (Vibo Valentia), città illustre d’Italia, presso i Bruttii, circondati dalle acque, ne troverai i migliori, né vi sono altri che possono contendere
loro la palma del primato. Quelli che arrivano dalle nostra
parti si sono smarriti provenendo da questo paese, dopo
aver superato lunghe distanze attraverso mari profondi e
tempestosi. Li catturiamo così quando non sono più buoni,
perché ci vengono tutti fuori stagione. Del tonno è molto
apprezzato l’ipogastro o basso ventre…
28
29
Ath., Deipnosophistae.
Tra le altre cfr. anche Her., Historiae, I, 2, 62.
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Mosaico in opus vermiculatum con pesci. Pompei-Casa del Fauno
Di un certo interesse anche Ath., Deipnosophistae, 3, frr. 116 f-117 a
che riporta menzione specifica della salagione e dell’immissione in appositi contenitori dei tonni, forse le anfore Dressel 21/22, come dimostrato
per l’impianto produttivo di Alcamo M.na.
Particolarmente interessante anche la notizia relativa alle anguille,
molto conosciute, soprattutto quelle dello Stretto:
Ath., Deipnosophistae, 8
(…) Lodo ogni tipo di anguille, ma quelle che si prendono
a Reggio, nello stretto di mare, sono tutt’altra cosa. Tu, messinese, sei avvantaggiato nei confronti degli altri mortali,
perché puoi mangiare di questo cibo soave. (…) Ottimamente le anguille si possono cuocere, e mangiare, dentro
foglie di bietola bianca. Lo Stretto di Scilla vede e nutre
nelle sue acque, che bagnano l’Italia boschiva, il latos.
Questo pesce è presente anche nel Nilo.
O ancora l’astaco:
Ath., Deipnosophistae, 24
Si fa un gran parlare, tra gli sciocchi, dell’astaco per proporlo al confronto con l’aragosta. È tutto un discorso diverso.
(…). Compra l’astaco dalle mani lunghe, che son tentacoli pesanti, e i piedi invece minuscoli per muoversi lentamente a terra. Il maggior numero e i migliori di questi pesci
si trovano a Lipari, molti si pescano anche nell’Ellesponto.
Soprattutto il pesce azzurro diventò la base del garum, salsa usata al
posto del sale, costosissima e non facile a reperirsi. La salsa era composta
da pesci piccoli, non eviscerati, aringhe, sgombri a pezzetti, ricciole, pesce
azzurro (soprattutto spatole), completi di interiora e teste. Si aggiungevano erbe aromatiche (condimenta) e sale in quantità pari alla metà del
pesce.
Tale proporzione evitava il deperimento del pesce durante il processo
di fermentazione. Il liquido che ne derivava si raccoglieva in fondo alle
vasche man mano che si depositava e serviva a condire le pietanze, a insaporire e a comporre ricette. Fu introdotto dai Greci, ma soltanto con i
romani, in Spagna ed in Italia divenne famoso: la muria di Malaga ed il
garum hispanuum, delicia deliciarum, soprattutto quello di Cartagena.
50
Mosaico in opus vermiculatum con pesci. Pompei-Casa del Fauno
Quello spagnolo nasceva con l’aggiunta del tonno (aimàtion), pesce
rosso, e con l’aggiunta di numerose spezie, prodotto dalle genti cartaginesi e spagnole anche in epoca tarda, quando venivano usati soprattutto contenitori, anfore, di produzione africana. In Italia molto spesso il garum
arrivava grezzo e veniva poi lavorato in appositi stabilimenti, dove veniva
inscatolato ed imbottigliato30.
Apicio lo usava al posto del sale e lo dolcificava con il miele, oppure
lo inaspriva con aceto, lo arricchiva di erbe finissime a condire la cacciagione. Si poteva usare anche per lenire le bruciature, come depurativo e
disintossicante, curativo di otite, artrite e dolori muscolari.
Il liquamen era il fiore del garum, ottenuto facendo filtrare il liquido
attraverso un panno di canapa e lino. L’allec era il rimasuglio del garum,
imperfetto e non filtrato, un intruglio di pesci residuati dopo la macerazione e la scolatura. Esso veniva usato in cucina anche se il sapore era sciapito ed il valore mediocre. Volgare leggenda che il garum fosse una poltiglia di pesci deteriorati, in realtà era un eccellente intingolo, con ingredienti altamente proteici e con grande contenuto di omega-3. Esso veniva
conservato nelle anfore, sigillate e chiuse da tappi di sughero e pece a
riempire gli interstizi.
Ad Apicio si devono numerose altre ricette di pesce: innanzi tutto
l’utilizzo del garum e la creazione di polpette di mare fatte con gamberi,
gamberoni, calamari e granchi, fritture di triglie, sogliole, dentici ed orate,
tortini di acciughe, aragoste arrosto e lesse, seppie e calamari farciti ed in
tegame, polipi in tegame, ostriche, conchiglie, ricci di mare, datteri, salse
30
Per il garum e le salse di pesce cfr. MONOD, GRIMAL, Sûr la veritable nature du garum, REA 54, 1952, pp.
27ss.; BALIF, Un estudio sovre el garum, AEA 26, 1953, pp. 183ss.; C. JARDIN, Garum et sauces de poisson
de l’antiquitè, Rivista di Studi Liguri, 1-4, 1961, pp. 70-96 ; M. PONSICH, Garum et industries antiques de
salaisons dans la Méditerranée Occidentale, Paris 1965; A. FOUCHER, Note sûr l’industrie et le commerce des
salsamenta et garum, Actes du 93e Congrès National des societès savantes. Tours 1968, Paris 1970, pp.
17ss.; R. ETIENNE, A propos du «garum sociorum», Latomus 29, 1970, pp. 297ss.; M. PONSICH, Aceite de
oliva y salazones de pescado. Factores geo-econòmicos de Betica y Tingitania, Madrid 1988 ; J.C. EDMONDSON, Le garum en Lusitanie urbaine et rurale: hiérarchies de demande et de production, in Les villes in Lusitanie romaine, Paris CNRS 1990, pp. 123-147; J. MARTINEZ MANGATO, Las tecnicas de pesca an la Antiguedad y su implicacion economica en al abastecimiento de las industrias de salazon, Cursos de Prehistoria y
Aqueologia Universidad Autonoma de Madrid 19, 1992 ; P. TROUSSET, La pêche et ses techniques sur les
cotês de l’Afrique, in Méditerranée Antique. Pêche, navigation, commerce, Congrès national des sociétés
historiques et scientifiques, Paris, CTHS, 1998. Per alcune riflessioni sulla pesca nell’antichità nel Mediterraneo ed in particolare in Calabria cfr. L. DE ROSE, I tesori del mare. L’arte alieutica nel Mediterraneo
antico, in G.P. GIVIGLIANO (a cura di), In Calabria…Riflessi di una storia “minore” al centro del Mediterraneo, Napoli 2006, pp. 39-68.
51
Mosaico in opus vermiculatum con pesci. Pompei-Casa del Fauno
per pesci lessati ed arrosto di vario genere, tra cui triglie, murene, palamiti, pesci persico31.
Per concludere questa carrellata, sembra interessante segnalare un
altro aspetto della cultura relativa al consumo del pesce, quello che emerge osservando l’iconografia delle ceramiche figurate, ovvero tutta la tradizione relativa alle rappresentazioni di pesci sui tipici piatti da portata per
il consumo di produzione greca ed italica, siceliota, lucana, apula e paestana32.
Si tratta di una produzione molto diffusa in ambito magnogreco,
soprattutto lungo il versante costiero tirrenico, attestata prevalentemente
in contesto funerario e legata inscindibilmente al consumo del pesce. I
piatti da pesce presentano una tipica forma con orlo ricurvo ed incavoomphalos per contenere il condimento al centro della vasca; nel mondo
greco sicuramente hanno una lunga tradizione, presenti in Attica già alla
fine del V sec. a.C.
Gli studi di Trendall e Mc Phee hanno evidenziato una larga diffusione di questo manufatto anche nella Magna Grecia e nella Sicilia, già nel
corso del IV sec. a.C., secondo una linea di produzione che imita strettamente i prodotti attici, che sarebbe iniziata in Sicilia e poi si sarebbe diffusa in Campania, a Paestum, in particolare con le officine di Asteas e
Python, ed in Puglia.
Questa particolare classe di manufatti tende a rappresentare i pesci
maggiormente presenti sulle tavole magno-greche e siciliane tra IV e III
sec. a.C.: in particolare saraghi, triglie, sogliole, polipi, seppie, orate, dentici, cernie, spigole, ombrine, scorfani e pesci di scoglio, come si può vedere sia per il cosiddetto Gruppo di Morgantina sia per l’Agrigento Pyxis
Group, i due principali ateliers produttivi della Sicilia33.
31
32
33
52
Per quanto concerne l’opera di Apicio cfr. APICIO, L’arte culinaria, G. CORAZZALI (a cura di), Bompiani,
Milano; APICIO, De re coquinaria, C. VESCO (a cura di), Scipioni, Roma; APICIO, La cucina dell’antica
Roma, C. VESCO (a cura di), Newton 1994.
Per la tradizione iconografica relativa al pesce nel mondo antico cfr. J. MC PHEE-A.D. TRENDALL, Greek
Red-figured Fish-plates, 14. Beiheft AntK, Basel 1987; A. D. TRENDALL, Fish-plates and Other South Italian
Vases in private Collections in Sorengo e Curiglia (Ticino), NAC, 17, 1988, pp. 141-157; N. KUNISCH, Griechische Fishteller. Natur und Bild, Berlin 1989; J. MC PHEE-A.D. TRENDALL, Addenda to greek Red-figured
Fish-plates, in Antike Kunts 33, 1990, fieft I, pp. 31-51; A. D. TRENDALL, New South Italian Fish-plates in
Sorengo e Curiglia (Ticino), NAC, 21, 1992, pp. 105-109; L. BERNABÒ BREA-M. CAVALIER, La ceramica
figurata della Sicilia e della Magna Grecia nella Lipàra del IV sec. a.C., Milano-Muggiò 1997; C. ZINDEL,
Meeresleben und Jenseitsfhart. Die fischteller der sammlung Florence Gottet, Zürich 1998.
Per i pesci e le relative specie cfr. A. DAVIDSON, Mediterranean Seafood, 1972 e J. DELORME-C. ROUX,
Guide illustré de la faune aquatique dans l’art grec,
Mosaico in opus vermiculatum con pesci. Pompei-Casa del Fauno
Si tratta, anche in questo caso, di una rappresentazione artistica e di
gusto pittorico che rappresenta la vera identità culturale delle popolazioni magno-greche e siceliote, legate al consumo del pesce ed alla tradizione alimentare della dieta mediterranea.
Piatti da pesce di produzione siceliota
53
5
Sicilia
e dieta mediterranea
Fausto Cantarelli
Ordinario di economia agroalimentare
nell’Università di Parma
Presidente dell’Accademia Alimentare Italiana
e Presidente della Società Italiana
di Scienze Alimentari e Gastronomiche
Sicilia e dieta mediterranea
1. Premessa
Il biologo americano Ancel Keys mezzo secolo fa ha offerto nuove
opportunità alla Sicilia e al territorio della Magna Grecia, dichiarando,
dopo lunghe ricerche, che questi territori hanno costituito il supporto
ideale della vita dell’uomo e lo hanno reso migliore, una sorta di paradiso
terrestre a garanzia della sua salute e della sua longevità; a seguito di questa constatazione è sorto, nella primavera dell’anno scorso, in accordo con
la Regione Calabria l’“Istituto Nazionale per la Dieta Mediterranea” con
sede a Reggio Calabria, che, per iniziativa del Coreras, oggi presentiamo
in questa sede prestigiosa.
I primordi del fenomeno risalgono a ottomila anni fa circa, quando,
per la prima volta, in Sicilia sono stati moltiplicati i semi e si sono riprodotti gli animali, appena arrivati dal Medio Oriente (Mezzaluna Fertile),
dove erano stati domesticati da duemila anni circa. Queste materie prime
alimentari, nuove per l’Occidente (tranne quelle del maiale), sono entrate
in produzione e nel consumo in Sicilia, dove vivevano gli Elimi d’origine
Troiana, i Sicani di stirpe ligure e i Siculi arrivati dalla Penisola e dove
hanno dato corpo a quella che lo stesso Ancel Keys, molto più tardi, ha
definito “dieta mediterranea”, la nuova espressione territoriale delle abitudini alimentari dell’isola, in sostituzione delle risorse cacciate, pescate e
raccolte in precedenza.
Essere stata la prima destinataria, insieme alla Calabria, di vegetali e
animali di origine medio-orientale e averli potuti inserire nei primi processi agricolo-zootecnici hanno costituito due opportunità straordinarie per
l’isola e i suoi abitanti tanto da provocare una forte spinta qualitativa che
ha fatto arrivare gli alimenti e la cucina locale, attorno al IV secolo a.C. ai
vertici della qualità nel mondo allora conosciuto e tale sarebbe rimasta se
la potenza di Roma non avesse tarpato le ali al sogno siciliano, al termine
della seconda guerra punica, riducendo l’isola a propria provincia.
La seconda occasione straordinaria, vissuta dall’isola e dai suoi abitanti, è l’arrivo dei Greci, che, non essendo in grado di coprire il fabbisogno
alimentare, aumentato a seguito dei successi artistico-culturali, ha lasciato
che ciò avvenisse senza potere contare su possibili aumenti di offerta
interna, ma riferendosi a maggiori importazioni.
Sono state le favorevoli condizioni ambientali dell’isola più grande
del Mediterraneo, naturale spartiacque da quando l’uomo ha cominciato
57
Sicilia e dieta mediterranea
a navigare, a fare distribuire i suoi alimenti sui litorali del bacino, avendo
potenziato molto presto la produttività primaria dell’isola con il favore del
clima e delle specificità del territorio, indipendentemente dalla domanda
locale. L’osservazione è valida tanto per le produzioni vegetali quanto per
quelle di origine animale che, in Sicilia, provenivano da luoghi diversi, dall’incolto la prima e dalle aree più fertili la seconda, ritrovandosi poi a fare
parte insieme del ricco patrimonio di alimenti di qualità, che ancora oggi
è presente in gran parte dell’isola, dove sta cercando una corretta valorizzazione commerciale di cui non ha mai beneficiato in passato.
2. I l c o nt e st o
Nella Sicilia e nella Magna Grecia si trova ancora oggi questo ricco
patrimonio di antiche ricchezze e di antiche culture che oggi stanno tornando in auge per la fortuna di questo territorio.
Mai c’è stata tanta certezza nel mondo come in questo periodo. Il
momento è certamente favorevole. Nonostante che il problema alimentare non sia esclusivo né prevalente, almeno in questa parte del mondo, i
consumi stanno invertendo le tendenze degli ultimi due secoli, sia pure
con diversa intensità nei diversi luoghi; a Seattle, si sono verificate le ultime reazioni dei consumatori rivolte a rivalutare, tra l’altro, anche le antiche tradizioni alimentari di stampo locale e a rifiutare gli alimenti standardizzati dei grandi gruppi internazionali che difettano di sapore, di odore,
di colore. La conferma più evidente del nuovo atteggiamento è riscontrabile negli alimenti tipici che non sono mai stati tanto in auge come oggi,
nonostante che qualche decennio prima gran parte degli economisti ne
avessero decretato la scomparsa per l’incapacità di competere in un mercato tendente alla globalizzazione. La mancanza di prospettive dipendeva
essenzialmente dal basso volume di offerta di questi prodotti che, non
consentendo di sostenere gli oneri della comunicazione, portava gli alimenti al mercato senza che avessero le carte in regola per potersi assicurare la preferenza dei consumatori.
Gli obiettivi perseguiti nell’Ottocento e nel Novecento sono stati
quantitativi e hanno rinunciato alla qualità in favore della domanda proveniente da una popolazione in forte aumento (5,5 miliardi l’aumento dei
consumatori in due secoli).
58
Sicilia e dieta mediterranea
Oggi le cose sono cambiate; le variazioni non erano previste da parte
dell’uomo il quale ha rinunciato a seguire la strada percorsa negli ultimi
due secoli perché non gli garantiva né la salute né la gioia di vivere, ma solo
il profitto. Da questa insoddisfazione al recupero delle tradizioni e della
cultura alimentari il passo è stato breve; così facendo si sono recuperate le
antiche scelte, quelle che erano state suggerite dall’istinto e che la cultura
accumulata successivamente dall’uomo aveva ampiamente confermato e
valorizzato. È stato l’istinto, in particolare quello delle donne, a selezionare le piante da coltivare, i frutti da consumare e gli animali da allevare,
riscontrandone gli effetti benefici sugli uomini e sulla salute dei figli.
Quando è subentrata la razionalità, è stata utile per introdurre nuovi arrivi, compresi i prodotti giunti in Europa dopo la scoperta dell’America,
come il pomodoro, la patata, il mais e tanti altri, il cui uso non ha però
sovvertito le abitudini precedenti, ma le ha solo integrate, mantenendo il
carattere fondamentale della “dieta mediterranea” che è quello di rispettare i principi originari dell’uomo biologico, riservandogli prodotti prevalentemente vegetali, l’olio vergine di oliva e il vino. Questi consumi nell’area mediterranea si sono imposti spontaneamente e oggi trovano aperte molte altre strade verso il resto del mondo.
La novità di allora, oggi ampiamente riconosciuta, ha riportato a galla
la storia alimentare dell’uomo, mettendone in luce la culla più antica e le
scelte più significative che si trovano in Sicilia, in Grecia e nella Magna
Grecia, dove sono state fatte le prime scelte sulla base dei nuovi vegetali e
dei prodotti di origine animale importati dalla Mezzaluna Fertile ed elaborati in loco, dove sono stati ricavati i primi prodotti tipici, con lo scopo di
rendere conservabili alimenti facilmente deperibili. Gli stessi consumi, sia
pure integrati con i nuovi alimenti come gli agrumi e quelli arrivati dopo
la scoperta dell’America, sono presenti tuttora nell’area mediterranea e, in
parte, anche in aree celtiche, che sono state invase dall’olio vergine d’oliva, dai prodotti ortofrutticoli e dal vino; questi prodotti hanno invaso la
Pianura Padana e sono andati anche oltre (la vite è arrivata fino alla valle
del Reno, modificando anche i consumi di popolazioni non mediterranee;
idem per l’olio vergine di oliva).
La recente riscoperta della cultura e delle tradizioni antiche ci ha suggerito il termine di “Umanesimo di ritorno”, con il quale, senza scomodare i corsi e i ricorsi storici di Gian Battista Vico, abbiano ritenuto che l’uomo fosse stato rimesso al centro del mondo, rivalutandone il ruolo e l’in59
Sicilia e dieta mediterranea
telligenza; ne è conseguenza diretta la riscoperta di un sistema storico-culturale antico, fatto di piccole imprese, che sta dimostrando di essere una
risorsa di grande portata, essendo coerente con la qualità alimentare. La
piccola impresa ha i requisiti per essere riproposta, in contrapposizione
alla grande, per l’elasticità di gestione e la più alta qualità nei prodotti, che
è la vera forza che garantisce la continuità produttiva. Tutt’altra è la realtà
della grande impresa internazionale, la cui produzione è standardizzata e
la gestione molto più rigida
Nello scenario sommariamente descritto, si stanno verificando dei
fenomeni straordinari, il più importante dei quali consiste nella stagnazione della domanda che si è verificata da alcuni anni nei paesi ad economia
avanzata, quali gli Usa e l’Europa centrosettentrionale. Le cause vanno
ricercate nella caduta del tasso di aumento della popolazione, che non è
stato compensato dal prolungamento dell’età degli anziani i quali, come è
noto, incidono poco sulla domanda. Il fenomeno anticipa l’inizio della
regressione della popolazione che è prevista nel 2010 per l’Italia e nel 2050
per il mondo. Il fenomeno è in netta contrapposizione con le tendenze
degli ultimi due secoli da noi già citate, per cui lo slancio economico che
aveva caratterizzato quel periodo è destinato a soccombere e a trasformarsi in ulteriore flessione di domanda che metterà in difficoltà specialmente
le grandi imprese per i motivi indicati. Vi sono altri ostacoli da considerare come la forte competitività del sud-est asiatico, il cui costo del lavoro è
circa un venticinquesimo di quello italiano.
Un altro fenomeno ormai consolidato nel mondo, che può essere
molto utile per l’economia del Paese, è l’espansione accelerata del turismo
internazionale. Tutte queste opportunità rientrano nel marketing territoriale, il cui riferimento fondamentale sta nella specificità di queste terre
rispetto a quelle di altre aree; in campo alimentare è specifica la cosiddetta “dieta mediterranea”, intesa anche sommariamente come preminente
consumo di prodotti vegetali e uso esclusivo di olio vergine di oliva come
condimento, in contrapposizione alla cosiddetta “dieta celtica” che utilizza prevalentemente prodotti di origine animale e il burro come condimento. Sono note altre differenze, non altrettanto importanti e significative.
Questo principio esclude il rilievo, che è stato avanzato più volte da
più parti circa l’esistenza di più “diete mediterranee”, specifiche per singoli territori (spagnola, cretese, cipriota ecc.).
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Sicilia e dieta mediterranea
3. I prodromi del sistema agroalimentare siciliano
La Sicilia oggi si distingue, all’interno del bacino del Mediterraneo,
per la varietà dei microambienti, per le risorse biogenetiche, per la qualità
organolettica degli alimenti e per le specificità produttive, espressioni di
una biodiversità che raramente trova riscontro altrove; oggi, inoltre,
cominciano ad apparire le prime forme di collaborazione tra uomini e tra
imprese e a sorgere nuove società di giovani che entrano nel comparto alimentare per realizzare momenti di concertazione e concentrazione orizzontale e verticale dell’offerta con effetti positivi che potranno tradursi
nella valorizzazione dell’immagine dell’isola e nell’aumento dei profitti
dei produttori. In queste condizioni, è il territorio ad avere bisogno di
maggiore progettualità e di mostrare una particolare sensibilità per i temi
alimentari emergenti e fornire agli operatori degli strumenti idonei al loro
progredire.
Con la rivalutazione della qualità, il territorio può beneficiare, in prospettiva, di ricadute di valore aggiunto e di occupazione in quello che è da
considerare il primo giacimento alimentare per importanza del Belpaese
con produzioni in parte esclusive e in parte comuni ad altri territori, ottenute con la sapienza della tradizione locale e con la modernità dei nuovi
operatori. Il mosaico produttivo costituisce, inoltre, uno straordinario
elemento di attrazione, come il laboratorio che ha saputo dare un ruolo
preminente alla cultura alimentare locale, migliorando prodotti e immagine del luogo che li produce. Non dimentichiamo che la Sicilia è depositaria di grandi valori storici, che accreditano una particolare immagine di cui
è testimone la tradizione popolare che da anni sta aspettando di essere
meglio conosciuta e più apprezzata.
Quando, nell’VIII secolo a.C., è cominciato il massiccio arrivo dei
Greci, già allora hanno trovato che l’agricoltura e la pastorizia prospere
per opera specialmente di Sicani e Siculi1. La coltivazione più importante,
quasi un simbolo per l’isola, è sempre stata quella del grano la cui qualità,
in Sicilia, riceveva riconoscimenti da diversi luoghi tanto che i Greci e i
Romani non hanno commesso errori, quando hanno confermato la valenza di questa produzione locale. Lo scenario siciliano, in quel periodo, oltre
1
I nomi delle due popolazioni derivano da “sica” e “sicula” che indicano rispettivamente la falce e il mietitore.
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al grano si completava con pendici boscose e coste ricoperte da ulivi, viti
e mandorli; le colture ortive erano ancora limitate.
I coloni greci, che erano molto attivi, hanno finito con il fondere la
propria civiltà con quella dell’isola, dando origine a una terza civiltà,
molto avanzata, divenuta ben presto il punto di riferimento per tutti i
popoli del Mediterraneo.
Altro imponente contributo è venuto più tardi dagli Arabi, la cui
civiltà era molto avanti, i quali hanno perfezionato le tecniche agrarie in
diversi comparti produttivi, specie occupandosi di irrigazione, facendo
rifiorire l’economia dell’isola grazie anche all’intensificarsi delle attività
commerciali. Altro ruolo importante lo hanno avuto la coltivazione del
banano, del riso, del lino, della canna da zucchero e del cotone.
Con l’arrivo dei Normanni, più tardi, l’agricoltura ha vissuto, invece,
un momento involutivo con l’estensivazione delle coltivazioni in contrasto con l’intensità produttiva precedente; il nuovo sistema ha finito con
ridurre la superficie delle colture arboree e degli ortaggi con forti ripercussioni sull’occupazione e sui redditi locali.
Il contesto attuale, alla fine del secondo millennio, prevede che le
produzioni tipiche, anche quelle cosiddette di nicchia, alcune delle quali
già riconosciute dall’Ue con la Dop e l’Igp (Pecorino Siciliano, Ragusano,
vari Oli extravergine di oliva, Arancia Rossa, Cappero di Pantelleria, Ficodindia dell’Etna, Pomodoro di pachino, Uva da tavola di Canicattì e di
Mazzarrone) ed altre in attesa di riconoscimento, rappresentino il punto
di forza su cui costruire un nuovo sistema, qualificandolo con la certificazione di qualità in ogni fase della produzione e trasformazione delle materie prime.
Negli ultimi due secoli, l’Ottocento e il Novecento, la maggiore preoccupazione dell’uomo è stata rivolta ovunque al massimo profitto,
approfittando della caduta del rischio economico delle imprese e anche
della sottovalutazione dell’etica; oggi, nel tentativo di rimettere un po’
d’ordine, preferiamo fare riferimento alle nuove politiche agroalimentari,
alimentari e ambientali anziché affidarci alla vecchia politica agraria, che
ha qualche responsabilità nell’avere provocato le preesistenti forzature
produttive, che la società umana sembra essere finalmente sul punto di
abbandonare per puntare sul benessere in senso lato, attraverso la sicurezza alimentare, la maggiore longevità della gente e il recupero dei valori
etici.
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Sicilia e dieta mediterranea
Nei tempi più recenti sono ricomparsi, come altrettante rivelazioni, il
rischio economico delle imprese e la nuova apertura alla storia e alla cultura; anche le agricolture integrate, biologiche, biodinamiche ecc. sono
state ampiamente rivalutate con un primo recupero della salubrità degli
alimenti, con la riduzione delle contaminazioni del cibo e dell’ambiente,
con la rinuncia a furbizie e inganni e, infine, con il ripristino di situazioni
molto simili a quelle storiche.
Quanto alla produzione alimentare, nell’ultimo dopo guerra, ha
aumentato i mezzi tecnici di sintesi chimica, gli interventi genetici per
migliorare la produttività e i pesticidi per consentire agli alimenti di sfamare l’intera popolazione; tutto questo ha portato a un peggioramento
della situazione ambientale, provocato anche e specialmente dalla selezione dei ceppi delle specie patogene che, aumentando la resistenza ai pesticidi, hanno avuto bisogno di dosi crescenti di antiparassitari sempre più
potenti e dannosi.
Durante gli ultimi due secoli di caccia ostinata al profitto, i sistemi
alimentari e ambientali hanno rischiato il tracollo, come si deduce dalla
lettura del Millenium Ecosystem Assesment, una sorta di documento con
l’imponente monitoraggio dell’ecosistema, svolto tra il 2001 e il 2005 da
1.365 tra scienziati ed esperti per conto dell’Onu. L’enorme lavoro, presentato nelle principali capitali del mondo nel marzo del 2005, fa pensare
a una sorta di tardivo ravvedimento dell’umanità che, finalmente, si preoccupa di chiarire le condizioni dell’ecosistema e del sistema agroalimentare che, nell’ultimo mezzo secolo, hanno subito cambiamenti ancora più
rapidi ed estesi, coinvolgendo anche l’Italia, ormai entrata nel novero dei
paesi più avanzati con danni superiori a quelli dell’intera storia dell’umanità.
Di fronte all’aggravarsi dei rischi provocati dallo sviluppo intensivo
degli ultimi due secoli, una piccola parte dell’umanità aveva sentito il
dovere di reagire per tempo, correndo ai ripari con l’intento di tenere
sotto controllo la situazione e garantire la compatibilità delle azioni dell’uomo con la sua stessa esistenza e con quella degli altri organismi viventi, mentre la parte di gran lunga preminente non reagiva. Oggi, per fortuna, parchi e boschi hanno aumentato in Italia e in Sicilia le rispettive
superfici (l’1% in più ogni anno negli ultimi vent’anni in Italia), l’agricoltura biologica nazionale ha raggiunto il primato in Europa, i rifiuti riciclati, previa raccolta differenziata, sono più che triplicati, l’inquinamento
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Sicilia e dieta mediterranea
nelle aree urbane sta scendendo, mentre la spese dello Stato a favore dell’ambiente ha raggiunto i sette miliardi di euro.
Il grafico della pagina seguente chiarisce che, nonostante i due secoli
di agribusiness, l’80% circa dei consumi alimentari dei cinque continenti è
rimasto legato alla tradizione e che l’agribusiness, nonostante il successo di
due secoli e la forte spinta demografica, ha fatto molta strada soltanto nei
paesi che più di altri ne hanno saputo trarre vantaggio, a cominciare dagli
Usa, per finire al Canada, al Giappone e ad alcuni paesi del centro-nord
europeo, senza riuscire ad eliminare la concorrenza, che oggi sta rialzando la testa e recuperando spazi. Le vicende alimentari dalle origini a oggi
sono riassunte in questo grafico.
Fig. 1 - I comportamenti alimentari dell’uomo nella storia
Fonte: nostre stime
L’attuale modello di consumo ha ancora alti contenuti energetici per
la forte incidenza delle calorie di origine animale, aumentate specialmente nel nord d’Italia, e per l’utilizzo dell’energia meccanica che, insieme,
hanno fatto decollare i costi sociali per il confezionamento dei prodotti
alimentari, per l’incorporazione e l’aggiunta di servizi, per l’espansione
della ristorazione commerciale e per la sostituzione del lavoro domestico
femminile con il lavoro extra moenia; infine, il modello di consumo è spesso considerato insoddisfacente sul piano nutrizionale e qualitativo, specie
se confrontato con i criteri che hanno ispirato la “dieta mediterranea”.
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Sicilia e dieta mediterranea
La sazietà alimentare rende il cibo meno attraente per cui l’uomo,
quando si nutre, tende a tenere in maggiore conto la salute e la qualità,
scegliendo i prodotti più sicuri, preferibilmente quelli biologici, che
hanno raggiunto successi produttivi e di consumo impensabili, con riconoscimenti ufficiali giunti da ogni parte. Se è vero che la fase di intensa
crescita della produzione biologica è arrivata al capolinea, come confermerebbero le ultime rilevazioni statistiche, - di fronte al calo dei consumi di
ortofrutta, vi sono aumenti nella drogheria e nei latticini – è vero anche
che, nel 2005, vi è stato un aumento complessivo del consumo del 4,5%.
Con l’evoluzione della società, anche in Sicilia si è fatta più pressante
la ricerca di garanzie per la propria salute da parte dei consumatori, oggi
ritenuta a rischio per ciò che si mangia, per il poco movimento, per il lavoro svolto spesso in luoghi chiusi con emissioni nocive ecc.
Il tempo del profitto ad ogni costo, sostenuto dal forte e continuo
incremento demografico nel terzo millennio, sta perdendo molto dello
smalto del tempo passato e ha allentato la presa, come dimostrano le difficoltà emergenti nella gestione dei più importanti gruppi dell’industria
internazionale e i sempre più numerosi e convinti riferimenti a motivi
estranei, come la storia, la cultura, l’arte, i monumenti ecc. di piccole aree,
e al modo di renderli attivi nel tempo libero, che è la conquista più recente e importante dell’uomo moderno.
Si stanno così aprendo nuove prospettive favorevoli alle aree più ricche di qualità alimentare e ambientale, storia, cultura, paesaggio e specialmente delle risorse che hanno contribuito a far nascere la più antica cultura alimentare e sono arrivate a produrre cibi e gastronomie d’autore.
La Sicilia e le regioni del sud della Penisola, dove è nata e si è consolidata la prima civiltà alimentare dell’Occidente, hanno ancora molto da
dire e da fare in proposito; se leggessimo le aspirazioni dell’uomo in questi termini, come sta imparando a fare il consumatore, il ricco patrimonio
della Sicilia non permetterebbe di escludere nulla, neppure le prospettive
più favorevoli, compresa l’accelerazione dello sviluppo economico nelle
località più impegnate, quando l’uomo fosse riuscito a valorizzare pienamente le ricche risorse storico-culturali e paesaggistiche dell’isola, la qualità alimentare e gastronomica della tradizione e la qualità della vita dell’uomo e degli animali.
Arrivati al terzo millennio, di fronte al nuovo rapporto dell’uomo con
il cibo e di fronte al peggioramento della situazione ambientale, aumenta
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il numero dei consumatori siciliani scontenti dell’andazzo generale, i
quali, con una determinazione mai vista prima, si dimostrano decisi a dare
fiducia alle antiche prassi e alla qualità esistenziale, cominciando a rinunciare alle forzature di ogni tipo e genere e agli eccessi nella protezione dei
prodotti, per assicurare maggiore salubrità e qualità alimentari e ambientali al cibo; sono riflessioni che hanno coinvolto anche la produzione biologica, che è diventata la via più apprezzata per disporre di alimenti sicuri
e puliti; questa scelta, che ha le sue timide radici all’inizio dell’Ottocento,
in corrispondenza con l’avvio dell’agribusiness, ha segnato un percorso,
che oggi è seguito anche dalle normative comunitaria e nazionale, che lo
contrappongono ai processi produttivi convenzionali.
Con il nuovo approccio sta ricomparendo all’orizzonte anche l’etica,
la scienza dei doveri, come l’ha definita Aristotele, con il compito di gestire con cognizione di causa i nuovi obiettivi che l’uomo intende perseguire, senza intaccare la libertà di ognuno e senza affossare le responsabilità
di tutti; così l’etica non è solo responsabilità verso se stessi, ma diventa
anche solidarietà verso gli altri, l’intera comunità e le generazioni future.
È compito dell’etica prendere le mosse dai fenomeni per arrivare ai
doveri e alla tutela dei valori su cui fondare la convivenza civile, come lo è
il modo di rapportarsi alla natura, cioè a tutto ciò che è destinato a nascere2.
Nell’affrontare il rapporto tra umanità e ambiente, spetta all’etica
assumere la responsabilità del ricomporre gli equilibri biologici, salvaguardando le risorse materiali che rischiano di essere compromesse continuamente da uno sviluppo sconsiderato della tecnica, nel convincimento che
la natura è un bene prezioso con funzioni ben precise, indipendentemente dalla presenza dell’uomo, e che l’ambiente non ne implica necessariamente la sola presenza, ma anche un rapporto corretto con tutti gli altri
organismi viventi. Su questi concetti si reggono le teorie del biocentrismo
e dell’antropomorfismo, dove il primo si fa carico di un diritto utile all’uomo, alla natura e all’ambiente, mentre il secondo contempla le regole del
vivere civile che sono scritte dall’uomo per sé stesso, per cui la disciplina
non sempre tutela l’ambiente, riconoscendone le esigenze.
Dal biocentrismo tuttavia emergono anche i diritti altrui, animali,
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Natura significa “ciò che sta per nascere”, cioè che nasce e vive, cioè la vita. Natura, infatti, proviene da
natura, participio futuro del verbo nascor ed indica la vita nel momento in cui sta per manifestarsi e lo fa.
Sicilia e dieta mediterranea
piante, obiettori di coscienza, biodiversità, generazioni future ecc., di cui
spesso l’uomo si dimentica. È la connessione tra uomo, natura e ambiente a generare il diritto dell’ambiente, le cui esigenze non sono solo quelle
umane, ma anche i diritti della natura stessa, considerata nell’insieme dei
suoi rapporti e delle sue manifestazioni.
4. Il ruolo della Sicilia nella storia alimentare italiana
Il ruolo rivestito dalla Sicilia nella cultura alimentare italiana è di tutta
evidenza; si è affermato quando è nato il sistema agroalimentare dell’isola
con le nuove produzioni medio-orientali riprodotte in loco. Meraviglia
che la conoscenza di una realtà storica così evidente abbia potuto sfuggire all’attenzione del mondo e della cultura se non altro per le implicazioni positive che si porta dietro, che avrebbero consentito di presentare
un’immagine dell’isola più fedele e prestigiosa con effetti utili di grande
portata. L’unica spiegazione plausibile può essere la volontà degli storici di
fare decollare la civiltà occidentale dalle società greca e romana, assegnando loro tutti i meriti senza riferimento alcuno a tutto ciò che è avvenuto
prima, quando, invece, i prodromi hanno avuto un grande significato
sotto il profilo della cultura alimentare.
Sono tre i motivi che hanno assegnato alla Sicilia un ruolo dominante che, nei tempi successivi, l’hanno fatta salire nella graduatoria dei
migliori sistemi agroalimentari occidentali: il precoce arrivo nell’isola dei
vegetali e degli animali, da poco domesticati in Medio-Oriente rispetto ad
altri territori; la colonizzazione fenicia e greca, con i flussi demografici, i
successivi scambi commerciali che hanno trasferito all’isola culture antiche e capitali che hanno arricchito i produttori con la vendita alla Grecia
di forti quantità di cereali e di altri beni alimentari, permettendo all’isola
di raggiungere rapidamente la maggiore agiatezza. Il contesto favorevole
ha permesso alla Sicilia di fare salire rapidamente la cucina agli alti livelli,
che nessuna altra area del Mediterraneo è riuscita a raggiungere in quel
tempo; la promozione, infine, è arrivata alla “dolce vita”, che ha condiviso questo prestigioso traguardo con poche altre città mediterranee.
Il contesto del tempo antico è stato elaborato sulla base dei modelli
alimentari siciliani, nati e consolidati sulle coste, specie nella parte sud
orientale dell’isola, dove si sono via via consolidate le più alte espressioni
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Sicilia e dieta mediterranea
di civiltà non solo alimentare e di benessere del tempo.
Dai successi raggiunti dalla cultura siciliana è dipeso l’alto grado di
benessere dell’isola che non coincide con l’arrivo della neonata agricoltura medio-orientale nell’isola ottomila anni fa, ma arriva con settemila anni
di ritardo, quando, con la fondazione delle colonie greche, gli autoctoni,
Siculi, Sicani ed Elimi, si sono accorti di possedere alte potenzialità produttive per la fertilità delle pianure litoranee e per la densità della popolazione, e ampie potenzialità commerciali che la domanda della Grecia e di
altre popolazioni mediorientali rendevano in concreto. Lo storico Diodoro, nato nella Sicilia centrale ad Agirio (primo secolo a.C.), presenta la
migliore sintesi della situazione presente nell’isola nel IV secolo a.C.:
“All’isola, che è stata chiamata Trinacria per la sua forma, Sicania dai Sicani e, infine, Sicilia dai Siculi, che vi erano arrivati dalla Penisola, risale il
primato delle tradizioni mediterranee”; inoltre, Tucidide, che è vissuto
quattrocento anni prima di Diodoro, considera i Sicani e gli Elimi le popolazioni più antiche: i primi, ritenuti autoctoni, sarebbero arrivati prima
della guerra di Troia, mentre gli Elimi li avrebbero seguiti dopo la distruzione della città.
Gli ultimi arrivati, i Siculi, cacciati dalla Penisola italica dagli Opici
nella metà del XIII secolo a.C., hanno trovato nell’isola i Sicani, che erano
la popolazione più antica, e gli Elimi, abitatori di un’area ristretta a ovest,
tra Segesta ed Erice, e più tardi, nella seconda metà del IX secolo a.C.,
hanno incontrato anche i Fenici, che hanno occupato, prima della fondazione di Cartagine, alcune alture vicino alla costa occidentale e le isole più
vicine per commerciare con i Siculi.
Poi sono arrivati i Fenici e i Greci, nell’ottavo secolo a.C., sorprendendo i Siculi nella parte orientale, i Sicani nella parte occidentale e gli
Elimi in una piccola area nord-occidentale.
Ancora prima erano arrivati alla spicciolata marinai e commercianti
tardo-micenei e greci, che avevano stabilito i primi timidi commerci occasionali con gli indigeni della costa; ancora più tardi sono arrivati i primi
emigranti, sempre alla spicciolata, che, per ristrettezze alimentari o difficoltà politiche, cercavano un nuovo luogo dove ricostruire la loro esistenza. Infine, prima delle colonie, si sono costituiti alcuni emporium che
erano luoghi di incontro che facilitavano i commerci.
È ai Siciliani autoctoni che si deve, grazie alle risorse dell’isola, la
prima e più significativa svolta della produzione alimentare italiana, pro68
Sicilia e dieta mediterranea
vocata dalle nuove coltivazioni e dei nuovi allevamenti e dalla cucina che
ha elaborato le nuove materie prime mediorientali per farne cibi, che fossero la risultante della valenza delle materie prime e della grande abilità dei
cuochi.
Grazie alla precocità delle attività agricole e all’abbondanza e qualità
dei prodotti, di cui non mancano ampie testimonianze, la Sicilia è diventata, insieme con altre zone costiere particolarmente fertili del Mezzogiorno d’Italia (la Grecia non brillava per la produzione agricola a causa
della poca terra di pianura), il primo e più importante laboratorio alimentare che ha dovuto farsi carico della conservazione degli alimenti, resa
necessaria per la loro naturale deperibilità; il problema è stato affrontato
e risolto a livello familiare, dove le nuove materie prime sono state elaborate per la produzione di alimenti tipici stagionati (vino, olio, formaggio e
salumi).
Oggi la Sicilia è nota nel mondo per questi suoi alimenti più antichi e
per la tradizione alimentare che li accompagna, di cui possiede il più ricco,
vario e prestigioso patrimonio regionale, dovuto alla creatività di tante
famiglie dell’epoca e alla successiva selezione storica di ciò che avevano
prodotto.
La collocazione geografica della Sicilia è stata determinante per il successo, insieme alle correnti marine e alla presenza e disponibilità degli
autoctoni, che risiedevano lungo le coste, dove erano ubicati i principali
centri abitati e maggiore era la fertilità del suolo, mentre, nelle aree interne, la densità degli abitanti si attenuava e l’agricoltura diventava estensiva.
Era una Sicilia, in quel tempo, che doveva apparire agli occhi dei suoi abitanti e degli ospiti come una specie di paradiso terrestre per il lussureggiamento della vegetazione e per la varietà e la sapidità dei frutti della terra,
non diversamente da come appare anche a noi oggi tutte le volte che
abbiamo la fortuna di tornarvi. Deve essere stato proprio il lussureggiamento della vegetazione, quella dell’epoca naturalmente, a rendere frequente l’arrivo dei Mesopotamici e, più tardi, dei Micenei, dei Fenici e dei
Greci. In precedenza Siculi, Sicani ed Elimi non avevano mostrato alcun
interesse per la navigazione, almeno fino ai tempi storici, quando hanno
assunto la denominazione di Sicelioti.
Concludendo, possiamo chiarire che i Siciliani sono rimasti sostanzialmente dei vegetariani, come lo erano stati i loro avi fin dalle origini, e
questo è stato possibile per la presenza tutto l’anno di prodotti vegetali
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Sicilia e dieta mediterranea
allo stato fresco grazie al clima favorevole; quindi, la maggiore parte dell’apporto calorico delle popolazioni dell’isola proveniva dal mondo vegetale, che non ha lasciato tracce archeologiche significative.
Quanto agli alimenti che andavano per la maggiore in Sicilia, al primo
posto troviamo i derivati dei cereali a cominciare dai diversi tipi di pane,
per arrivare al cous cous, e ai legumi e, infine, a quelli di origine animale,
formaggi, salumi e carni fresche ovicaprine e suine. La preferenza per il
grano e altri cereali è dipesa dalle proprietà nutritive, che rendono alcuni
cereali, come il grano, idonei a sostituire anche carne e pesce, che erano
più costosi e difficili da reperire.
Con queste vicende alle spalle, l’isola può essere considerata, a buon
diritto, anche per la dimensione territoriale, il primo e più importante
intermediario che ha agevolato il consolidarsi di un nuovo sistema produzione-consumo alimentari, nella fase di passaggio dell’agricoltura dal
Medio Oriente all’Europa; il posizionamento ambientale delle zone
costiere siciliane e delle altre piccole isole era privilegiato e, quindi, particolarmente adatto ad essere raggiunto; nonostante l’isola presentasse le
condizioni locali più adatte all’allevamento, la sua fortuna alimentare è
legata essenzialmente ai cereali e, in particolare, al grano, che, oltre a contenere carboidrati e proteine, godeva di un alto indice di conservabilità
anche rispetto allo stesso prodotto ottenuto altrove. I semi, una volta raccolti, venivano sistemati in pozzetti scavati per terra e rivestiti di argilla
all’interno delle capanne per garantirne la conservazione; con l’invenzione della ceramica la conservazione dei cereali è stata ulteriormente facilitata per la possibilità di contenere e di trattare gli alimenti, facilitando il
passaggio dai prodotti freschi e dai semi abbrustoliti alla preparazione di
cibi a base di farina.
5. La dieta mediterranea
Rispetto ai consumi iniziali del primo ominide siciliano, che era vegetariano e tale è rimasto per lungo tempo, prima di diventare onnivoro, le
principali varianti, comparse nel corso della storia, non potevano fare altro
che cercare altri alimenti in altri territori, specialmente dall’Oriente per
diverse vie, compresi quelli arrivati più tardi in Occidente a seguito della
scoperta dell’America; inoltre, a partire dagli anni Cinquanta del secolo
70
Sicilia e dieta mediterranea
scorso, i Siciliani hanno cominciato, a seguito del nuovo benessere raggiunto, a consumare più carne. Nel prendere atto del divenire della situazione alimentare nell’isola e nel Mezzogiorno d’Italia, il biologo americano Ancel Keys ha svolto, con inizio nel 1957, approfondite ricerche sulle
malattie metaboliche in Calabria, a Nicotera, più tardi in Grecia, a Creta,
ed estese infine nel 1958-61 a Finlandia, Giappone, ex-Iugoslavia, Olanda
e Usa.
In proposito desideriamo precisare, a scanso di equivoci, che riteniamo l’uso del termine dieta improprio, perché il termine corretto dovrebbe essere costume o abitudine alimentare, la cui stabilità dipende da quella dell’uomo sul territorio e dai rapporti che ha instaurato con la produzione. Le ricerche condotte a Nicotera, le cui abitudini alimentari sono
simili a quelle dell’isola (in proposito i Siculi erano Calabresi trapiantati in
Sicilia)…
Secondo queste logiche, si impone anche l’analisi comparativa tra
costume mediterraneo e quello dell’Italia centro-settentrionale, che sono
notoriamente molto diversi: il primo si è distinto sostanzialmente all’origine per avere mantenuto il prevalente consumo di prodotti vegetali consumati, con l’olio d’oliva, mentre il secondo si avvaleva, secondo il costume dei nomadi, del prevalente consumo di prodotti d’origine animale con
lo strutto e il burro come condimenti.
Partendo da questi presupposti, le ricerche del Keys e della sua équipe, proseguite per quasi mezzo secolo, ci hanno informati che i primi
uomini delle terre mediterranee, più per istinto che per conoscenze acquisite, avevano visto giusto quando hanno scelto le materie prime medioorientali per coprire le proprie esigenze nutrizionali, vista la conferma
ottenuta con le successive verifiche scientifiche; secondo le ricerche citate, i decessi per cardiopatia coronarica sono risultati novecentosettantotto ogni diecimila persone nelle terre mediterranee contro i millenovecentoquarantasette degli altri territori (Finlandia, Slovenia e Velika Krsna
nella ex Iugoslavia).
Senza addentrarci ulteriormente nei risultati di queste ricerche, che
sono assai complesse, ma avvalendoci di quanto ha scritto e ci ha personalmente illustrato lo stesso Flaminio Fidanza, collaboratore di Ancel
Keys, e del parere di altri uomini della scienza medica, ne abbiamo registrato alcune conclusioni, secondo le quali l’alimentazione più salubre, oggi
ancora più di ieri, la si troverebbe nel complesso degli alimenti tipicamen71
Sicilia e dieta mediterranea
te mediterranei, olio d’oliva, ortofrutta, cereali, legumi e pesce anche per
questi motivi singolarmente presi:
• olio vergine d’oliva perché contiene diverse sostanze antiossidanti
(tirosolo e idrossitirosolo) e loro derivati idrolizzabili, tocoferoli, ‚carotene, lignani;
• frutta, verdure, pane scuro, pasta, cereali integrali, legumi secchi perché provocano diversi effetti fisiologici (in particolare mettono a
disposizione composti fenolici con spiccata azione antiossidante);
pesce, perché apporta acidi grassi Omega3.
La prevalenza di questi alimenti nel costume alimentare mediterraneo
fa si che la loro associazione e l’integrazione con altri vegetali riduca il
rischio delle malattie cosiddette da benessere.
Sulla base dei risultati delle ricerche di Keys e collaboratori e del
nuovo orientamento dei consumi è stato completato il concetto di “dieta
mediterranea”, con il termine di “riferimento”, con il quale si intende precisare che gli alimenti indicati devono essere ripartiti durante la giornata
con particolari criteri per ottimizzarne gli effetti. Gli stessi ricercatori
hanno messo a punto anche l’indice di adeguatezza mediterranea (Iam),
che corrisponde al rapporto tra la percentuale di alimenti mediterranei
(cereali, legumi secchi e freschi, ortaggi, frutta, pesce, olio d’oliva e di
semi e vino) e gli altri alimenti consumati (latte, formaggi, carni, uova,
grassi animali e margarine, bevande zuccherine, dolciumi, zucchero).
La tradizione alimentare della gente mediterranea è frutto dell’incontro, in Sicilia, in modo più fedele di quanto non sia avvenuto altrove, delle
culture alimentari di Oriente e Occidente, con l’integrazione di risorse
locali, in un connubio che si è collocato alla radice dell’intera civiltà occidentale.
Tutto ha avuto inizio con l’arrivo in Sicilia dei cereali e dei legumi e
degli animali (pecore, capre, bovini, cani e suini), appena domesticati
nella Mezzaluna Fertile; una volta arrivati in Sicilia, i semi vegetali e i
riproduttori animali, dove erano del tutto sconosciuti, eccetto il suino,
che è autoctono anche in Occidente, insieme con le prime tecniche agronomiche e di allevamento, hanno avuto origine i nuovi processi produttivi e il nuovo costume alimentare, sulla base di scelte ancora del tutto istintive; neppure la lunga e qualche volta travagliata evoluzione dei tempi successivi è riuscita a mettere da parte l’imprinting iniziale e il frutto dell’ingegno e dell’abilità dell’uomo, con i quali ha prodotto, lavorato e trasfor72
Sicilia e dieta mediterranea
mato le materie prime agricole e quelle di origine animale, avvalendosi del
prezioso apporto del sale mediterraneo a garanzia della conservazione,
intervenuto anch’esso a condizionare il costume alimentare di queste
terre; con il sale e la stagionatura è nata la tipicità mediterranea, che ancora oggi esprime, in Italia, varietà e pregi particolari, spesso superiori a
quelli presenti in ogni altra parte del mondo.
Dall’antica Magna Grecia e dalla Sicilia quella che continuiamo a chiamare impropriamente “dieta mediterranea” ha mantenuto solo qualche
rapporto del tutto marginale con il costume alimentare delle genti padane
e del centro Italia, dove i Celti usavano altre preparazioni e altri alimenti;
da questi rapporti, più tardi, i territori continentali hanno ricevuto anche
l’ortofrutta, in sostituzione parziale dei prodotti di origine animale, l’olio
vergine di oliva, che ha sostituito lo strutto e, in parte, anche il burro e il
vino che ha preso il posto della birra quasi ovunque.
La continuità tutta mediterranea del consumo di alimenti tradizionali non è fatto straordinario in sé, visto che circa il 75% della popolazione
mondiale rimane legata alle proprie tradizioni, nonostante l’arrivo dell’agribusiness e la diffusione degli alimenti standardizzati dell’America del
nord, del Giappone e nell’Europa centro-settentrionale; gli altri paesi del
mondo ne sono stati coinvolti in misura marginale, per non più del 10%
circa (crackers, patate fritte, hamburger, Coca cola, popcorn, salse varie
ecc.) per circa un miliardo di consumatori equivalenti su un complesso
mondiale di 6,4 miliardi.
Fig. 2 - Popolazione mondiale per aree alimentari
Fonte: nostre stime
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Sicilia e dieta mediterranea
Nonostante tutto, la cultura dell’agribusiness non demorde e, in alcuni paesi, come gli Usa, lo stato non ha ancora rinunciato al profitto, ottenibile continuando a perseguire i propri obiettivi e a insistere nel volere
percorrere e fare percorrere al mondo intero la strada degli Ogm, escogitata per poter proseguire nell’aumento demografico e dei consumi, nonostante i non pochi problemi che creerebbe a carico dell’ambiente, oltre a
quelli già esistenti. Anche questa insistenza ha contribuito a provocare
l’attuale reazione a favore di quello che abbiamo chiamato l’”Umanesimo
di ritorno” con recupero e accentuazione del ruolo della cultura riferita
alla qualità della vita e alla qualità alimentare e al corredo di storia e cultura, a cui l’uomo sta aprendo nuovi spazi e nuovi mercati nel localismo economico-sociale-culturale all’interno di una globalizzazione che, pur
restando tale, per alcuni prodotti, più riferibili alle commodities che agli
alimenti, non riesce ad esprimere molta efficacia.
Nella contrapposizione di J. Rifkin tra sogno americano e sogno
europeo non potrà non rendersi disponibile nel tempo un più ampio spazio per il Vecchio Continente, che si sta aprendo, come sostiene l’economista americano, nel localismo economico che è destinato a diventare il
“top” nel promuovere qualità della vita e qualità alimentare; tutto questo
all’interno dell’Ue, che sta crescendo di dimensione e presto avrà la nuova
costituzione, che prevede, fra l’altro, di riconoscere ai principi della Carta
dei diritti fondamentali un valore superiore a quello delle legislazioni dei
singoli stati membri, confermando il rispetto per la dignità umana e per il
diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza, comprendendo anche il campo
alimentare.
Arrivati ai tempi a noi prossimi, dobbiamo riconoscere che l’alimentazione italiana ha sempre espresso due modi di essere ben distinti fin
dalle origini, che permangono tutt’ora, nonostante la comune origine
medio-orientale che risale molto indietro nel tempo, quando la neonata
agricoltura, diecimila anni fa circa, in Medio-Oriente (Mezzaluna Fertile),
ha cominciato ad ampliare il proprio campo di azione sotto la spinta del
gap tecnologico tra Medio-Oriente e Occidente e dell’aumento della
popolazione. L’ampliamento dell’area sottesa è avvenuto per mare, raggiungendo la Sicilia e il sud della Penisola italica, dove gli alimenti importati si sono sostituiti ai preesistenti, mantenendosi fino ad oggi, salvo
qualche modesta variante.
Altri orientali, e sono i più, si sono spostati per terra, imboccando
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Sicilia e dieta mediterranea
altre strade, come il corridoio danubiano e vie alternative, fino ad arrivare
al mare del nord con qualche migliaio d’anni di ritardo, da dove la nuova
cultura alimentare è ridiscesa per irradiarsi in tutta l’area non mediterranea del continente, compresa l’Italia centrosettentrionale; questi sono i
Celti che, con una miriade di piccole tribù, hanno dato origine alla popolazione che i Romani hanno chiamato Galli, senza che raggiungessero mai
la compattezza di una nazione. Costoro, non potendo coltivare la terra in
quanto nomadi, hanno vissuto per alcune migliaia di anni, abituandosi ad
attingere gli alimenti dal bestiame che seguiva la tribù negli spostamenti e
ad avvalersi dei prodotti agricoli, previo baratto con le popolazioni incontrate. In questo modo, è comparsa e si è consolidata la seconda faccia della
medaglia alimentare italiana, quella dell’Italia centro-settentrionale, caratterizzata dal prevalente consumo di prodotti di origine animale, dallo
strutto e dal burro utilizzati come condimento e dalla birra come bevanda, mentre l’originaria alimentazione della Mezzaluna Fertile, trasferita in
Sicilia e nel sud della Penisola italica, rimaneva sempre quella medio-orientale con prevalenti alimenti vegetali, olio vergine d’oliva per condimento e
vino per bevanda.
Rispetto a questa prima “dieta mediterranea”, rimasta sempre molto
vicina al vegetarismo, la “dieta continentale” è stata più esposta e ha accolto nel tempo alcune correzioni non di poco conto per esigenze di adattamento e arrivo di alimenti da terre lontane, compresi quelli arrivati dopo
la scoperta delle Americhe. L’integrazione principale però è quella più
recente che ha introdotto alimenti tradizionali, per rispondere al crescente interesse per la tutela della salute, che ha fatto preferire a taluni “toccasana” della “dieta mediterranea”, inseriti nel consumo abituale continentale. Si tratta, innanzitutto, dell’olio vergine di oliva, che ormai ha invaso
l’intero territorio nazionale e viene prodotto fino ai piedi delle Alpi con
un successo che va oltre e sta coinvolgendo l’intero pianeta, seguito dall’ortofrutta che, dalla Val d’Adige alla Romagna e a parte dell’Emilia, del
territorio di Cuneo, della Versilia ecc., occupa crescenti spazi produttivi e
di consumo, e, infine, dal vino che ha sostituito quasi ovunque nel mondo
la birra.
L’inserimento nella “dieta continentale” dei nuovi alimenti, scelti tra
i più protettivi della “dieta mediterranea”, ne ha aumentato il grado di
salubrità, senza nulla togliere ai prodotti tipici di origine animale che,
numerosi e straordinari, sono rimasti prevalenti e sono sempre molto
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Sicilia e dieta mediterranea
apprezzati, perché più vari di quelli dell’area mediterranea, essendo numerose le specie animali, diversi i tagli della carne e possibile l’uso di aromi e
spezie; ci riferiamo anche ai numerosi salumi e formaggi che, insieme ai
vini e agli oli vergini di oliva italiani, costituiscono il più ricco patrimonio
di prodotti tipici di alta qualità del mondo.
La presa di coscienza che ha provocato questi benefici arricchimenti
è stata suggerita dagli studi del biologo americano Ancel Keys, la cui indagine ha il merito di avere aperto nuovi orizzonti, chiarendo che i consumi
alimentari delle terre mediterranee, scelti fin dai tempi più antichi più per
istinto che per conoscenze acquisite, sono risultati i più appropriati, come
ha dimostrato la successiva verifica scientifica; infatti, secondo le ricerche,
i decessi per cardiopatia coronaria, ad esempio, sono risultati meno della
metà nelle terre mediterranee rispetto a quelli di altri territori (Finlandia,
Slovenia e Velika Krsna nella ex Iugoslavia).
Senza addentrarci ulteriormente nei risultati di queste ricerche, che
sono assai complessi, ma confortati da quanto ha scritto e ci ha personalmente illustrato lo stesso Flaminio Fidanza, che vi ha partecipato attivamente, e dal parere di altri uomini di scienza, siamo arrivati a condividere
la conclusione che considera l’alimentazione mediterranea la più salubre
tra quelle attuali e la più capace di prolungare la longevità dell’uomo, grazie alla protezione di olio vergine d’oliva, ortofrutta, cereali, legumi e
pesce per i seguenti motivi:
• olio vergine d’oliva contiene diverse sostanze antiossidanti (tirosolo
e idrossitirosolo) e loro derivati idrolizzabili, tocoferoli, ‚-carotene,
lignani;
• frutta, verdure, pane scuro, pasta, cereali integrali, legumi secchi perché provocano diversi effetti fisiologici (in particolare mettono a
disposizione composti fenolici con spiccata azione antiossidante);
pesce, perché apporta acidi grassi Omega3.
La Sicilia è una terra fortunata perché possiede il più ricco, vario e
pregiato patrimonio di prodotti tipici, equamente distribuiti tra le province, di cui citiamo il Pecorino Siciliano, probabilmente il primo formaggio
europeo, l’olio, il vino, e la salumeria.
La cultura alimentare oggi emergente agisce sul mercato che si trova
in una fase delicata a causa del ristagno della domanda, che prosegue ormai
da più di un lustro con intensità maggiori nelle aree ad economia più avanzata, e quindi, anche nell’area non mediterranea; ultimamente la popola76
Sicilia e dieta mediterranea
zione, pur continuando ad aumentare, ha assunto ritmi molto più blandi
di quelli del passato, a causa delle nascite, che erano troppo poche per fare
lievitare la domanda, mentre la maggiore longevità dell’uomo ha fatto
aumentare la popolazione, senza che i consumi ne risentissero.
Sulla scorta di questa analisi e in previsione di ulteriori flessioni
demografiche, le prospettive dei paesi più sviluppati non sono favorevoli
e richiedono di correre ai ripari.
Per la Sicilia esiste una doppia scappatoia: la prima si avvale dell’alta
qualità gastronomica e passa attraverso il marketing territoriale, facendo
leva sulla “dieta mediterranea”, sulla storia e sulle fonti della cultura alimentare mediterranea, che costituisce la prima delle due facce della stessa
medaglia nazionale; la seconda riguarda il turismo internazionale. Ambedue le attività vanno perseguite prontamente.
La valorizzazione dei prodotti alimentari siciliani e delle altre risorse
dell’isola oggi è opera del marketing territoriale, la cui immagine molto
efficace si rifà ai prodromi del momento alimentare occidentale, potendo
spiegare molte cose su come è avvenuto, sui tempi, sugli effetti ecc.
La Sicilia si avvantaggia per essere un’isola grande e per trovarsi in
posizione strategica con un’evoluzione multiculturale ad opera di più
etnie, ognuna delle quali ha lasciato il proprio contributo al suo arricchimento.
6. R u o l o d e l l a c u l t u r a a l i m e n t a r e s i c i l i a n a
In un contesto attivo nell’antichità, come quello siciliano, ricco di
potenzialità inespresse, è possibile conquistare all’isola nuove posizioni di
mercato, ricostruendo “diete” e vicende storiche, seguendo la logica
vichiana e facendo chiarezza sugli albori della cultura alimentare siciliana
e occidentale e sui successivi sviluppi che sono noti a pochi a causa dell’insegnamento ufficiale che ha lasciato nel buio preistoria e protostoria. Solo
da poco tempo, segnatamente dopo l’ultimo conflitto mondiale, si è
cominciato a prendere in considerazione anche quanto è avvenuto prima,
facendo emergere così anche le vicende iniziali dell’alimentazione occidentale e facendo conoscere i benefici di antiche scelte istintive, che spesso si sono perpetuate nella “dieta mediterranea”. Questa dieta, rivalutata
mezzo secolo fa, considera che il migliore modo di alimentarsi è quello
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Sicilia e dieta mediterranea
delle origini, quando la Sicilia e le altre isole mediterranee hanno beneficiato di una sorta di parziale resistenza alle malattie più gravi e dell’allungamento della vita. Nell’ Italia centro-settentrionale, invece, come nell’Europa continentale, vige un’altra “dieta” alimentare, che abbiamo chiamato continentale o celtica, diversa dalla prima e di più ampia diffusione,
in buona parte assimilabile a quella dell’Europa non mediterranea, retaggio delle popolazioni celtiche (i Galli per i Romani, i Galati per i Greci),
che avevano dovuto adattare il loro modo di alimentarsi in lunghi periodi
trascorsi viaggiando.
La stessa dieta originaria della Mezzaluna Fertile la ritroviamo anche
oggi nell’isola mediterranea più grande, integrata dalle successive acquisizioni che hanno riguardato, inizialmente, olivo e agrumi, e, più tardi, altri
alimenti compresi quelli numerosi, arrivati dopo la scoperta delle Americhe. Nonostante il numero e l’importanza delle nuove acquisizioni, queste non hanno mai influito più di tanto sulle abitudini alimentari originarie, decretando la continuità dei consumi originari, nonostante la biodiversità diffusa, giustificata dal clima locale che, consentendo la disponibilità di prodotti vegetali freschi tutto l’anno, ne ha fatto il presupposto
principale della dieta, che è stata completata con poche carni ovicaprine,
prodotte con la transumanza, pesce e formaggio.
Mentre, in passato, per i motivi esposti, non si era mai parlato specificamente dei particolari consumi alimentari delle popolazioni in aree
mediterranee, da qualche tempo l’argomento è uscito enfatizzato dalle
scoperte di Ancel Keys, il quale ha ottenuto dei risultati che attestano la
valenza delle abitudini alimentari di queste popolazioni. Non tutti sono
d’accordo su questo tipo di analisi, a cominciare da Piero Camporesi, che
poggia le sue teorie su una specie di minimo comune denominatore che
sarebbe risultato più a favore delle carni che dei vegetali. Noi, al contrario, riteniamo che solo l’analisi delle vicende storiche può spiegare i traguardi raggiunti; la realtà è che chi ne esce premiato è il consumo dei vegetali tant’è che oggi è in ripresa in tutto il mondo, come stanno aumentando anche i vegetariani di tutti i tipi.
Concludendo, quando oggi confermiamo la distinzione dei consumi
alimentari delle due aree citate, dobbiamo tenere presente che la differenza originaria è stata attenuata nel tempo in conseguenza degli aggiustamenti richiesti dalle esigenze salutistiche dell’uomo, mentre è rimasto
nettamente superiore il livello gastronomico della seconda “dieta”. Per78
Sicilia e dieta mediterranea
tanto la distinzione oggi ha finalità più culturali e gratificanti che salutari
e risulta utile per fare finalmente un po’ di cultura alimentare anche nel
Belpaese e spiegare ai connazionali e agli ospiti stranieri le ragioni per le
quali il territorio siciliano possiede ancora una biodiversità diffusa che fa
sì che non si possa parlare di una cucina dell’isola, ma di una moltitudine
di cucine tutte diverse nei microambienti.
7. La strategia dei tempi nuovi
Nel momento attuale è evidente che la Sicilia e il suo versante alimentare debbano giocare le loro carte sul tavolo della qualità, che è il riferimento più recente della biodiversità, traendo la maggiore utilità possibile
dalle piccole e medie imprese, oltre che da quelle grandi, che non sono
molte, ma di maggiore utilità. Per risolvere le contraddizioni tra globale e
locale, i percorsi possono essere i seguenti:
• accrescere ovunque si produca cibo la spinta in direzione della qualità e della riorganizzazione commerciale della produzione e della
ristorazione in chiave culturale, facendone un esempio per il resto
dell’Italia e del mondo;
• spingere i produttori, grandi e piccoli, a collaborare, specialmente sviluppando più costumi alimentari e distinti per territorio, nel rispetto
della specificità mediterranea e nella prospettiva di espansione del
turismo internazionale.
Se la Sicilia non sviluppasse nel prossimo futuro la spinta al cambiamento o fosse troppo lenta nel farlo, le difficoltà moltiplicherebbero i
paradossi del passato, quelli ancora presenti, che rallentano i ritmi evolutivi con l’aggravamento delle attività commerciali, specie quelle riferite ai
prodotti più prestigiosi. Quanto è avvenuto in passato con i paradossi
citati, che sono tuttora presenti, rende inutili i tentativi di mantenere attiva la domanda e di retribuire i produttori con prezzi adeguati al sacrificio
richiesto per produrre. Non c’è da illudersi; il futuro degli alimenti, anche
di quelli di più alta qualità, se venisse lasciato alla mercé delle parole, anziché affidarlo ad azioni di marketing concretamente utili, risulterebbe poco
o niente soddisfacente; così ogni scelta, se rimanesse soltanto vincolata
all’empirismo del passato, non farebbe che procrastinare lo stato di crisi
sine die.
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Sicilia e dieta mediterranea
Oggi, nell’attuale contesto e con la concorrenza acuta provocata dalla
domanda stagnante, il mercato sta dimostrando chiaramente che vi sono
difficoltà a riconoscere e valorizzare la storia, l’empirismo e il pregio sic
et simpliciter, ma di avere bisogno di immagini accattivanti e di certificazioni convincenti; occorrono nuove strade, che, come avviene per ogni
bene economico, siano coerenti con politiche mirate ed efficaci e con
interventi di tutela seri ed utili, specie se si vuole che siano attivati nuovi
percorsi e venga sollecitato ogni singolo territorio ad evolvere e a rinnovare, se del caso, le proprie performance, a garanzia del futuro delle giovani generazioni; le sole varianti da accettare sono quelle che contribuiscono a razionalizzare e a modernizzare il sistema. Non più ideologia, ma
solo pragmatismo.
Le scelte del futuro localismo verrebbero così esaltate, dando vita a
un’epoca di sicuro successo, i cui prodromi sono già visibili, nonostante la
globalizzazione, ma ancora incompleti, per non essere riusciti a formulare strategie specifiche e a coinvolgere l’opinione pubblica, residenti e temporaneamente residenti all’interno del territorio, valorizzando al meglio il
complesso delle risorse, specie di quelle legate al tempo libero, che è il
nuovo asso nella manica che da solo può dare vita a un nuovo localismo,
più ricco e completo, nel quale, oltre ai paesaggi, sono presenti storia,
monumenti, cultura, arte, sport, caccia, pesca, i passatempo degli animatori turistici ecc.; dall’organizzazione di un sano e significativo tempo
libero uscirà condizionato il futuro di molti territori italiani, nonostante
il blocco demografico e la futura flessione di giovani, che saranno però
sostituiti da temporanee, continue migrazioni interne.
Particolare interesse riveste, nel nuovo corso, il turismo internazionale che, avendo recuperato la preminente vocazione culturale durante la
sua crescita, sta rimettendo in gioco le città della provincia italiana e di
altre aree rimaste in ombra, nonostante la dovizia di gioielli architettonici, di opere d’arte, di testimonianze storiche, di paesaggi prestigiosi, oltre
che di alimenti tipici e tradizionali di pregio e di gastronomie d’autore. La
tendenza è stata confermata dalla accresciuta presenza di visitatori nei
musei, nelle pinacoteche, nei parchi archeologici, nelle città d’arte ecc.; vi
è poi una recente ricerca, presentata al Bit di Milano, secondo la quale,
accanto alla conferma delle grandi città d’arte, si ritrova spesso la presenza di città minori che sono diventate i nuovi centri di attrazione turistica; è già accaduto con il “Festival della mente” a Sarzana, a Carpi con il
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Sicilia e dieta mediterranea
“Festival della filosofia”, a Ferrara con il raduno di acrobati, giocolieri e
saltimbanchi, a Parma con il “Festival Verdi” e con il “Festival di letteratura per ragazzi”, a Mantova con il “Festivaletteratura” e con il “Mantovamusicafestival” ecc.
Nel 2005 i flussi turistici internazionali hanno coinvolto complessivamente 808 milioni di persone, di cui 37 milioni sono venute in Italia.
Con queste dimensioni, l’attività è diventata ormai la più grossa industria
del mondo e, come tale, merita grande attenzione per la sua capacità di
portare nuovi capitali e di mantenere la domanda alimentare o addirittura
di aumentarla, superando i tempi della stagnazione e della regressione.
8. Alcune conclusioni
La Sicilia si è presentata all’appuntamento del terzo millennio con la
primogenitura alimentare in Occidente, con il prestigio di una storia
molto articolata e complessa e con una cultura del comparto straordinaria, da cui discende un patrimonio ricco e vario di prodotti tipici e tradizionali di alta qualità e di gastronomie d’autore che nessun altro territorio
al mondo possiede in uguale misura, senza che sia mai riuscita a valorizzare pienamente le molte risorse che possiede. Oggi le prospettive sono
diventate più favorevoli a causa dei nuovi obiettivi qualitativi della domanda a cui è affidato il compito di valorizzare i prodotti aziendali nel territorio e con il territorio sostiene alla geografia, alla storia e al paesaggio, agli
alimenti e alla cucina e, infine, alle nuove prospettive del turismo che,
all’interno del bacino del Mediterraneo, posseggono nuove fruibilità.
La competitività alimentare delle imprese mediterranee nel passato è
stata quasi sempre bassa o molto bassa a causa della polverizzazione dell’offerta e della scarsa disponibilità a dare vita ad aggregazioni culturali per
aumentare il potere contrattuale dei produttori.
Negli scenari più recenti, sono migliorate le opportunità, quando è
caduta l’antica conflittualità tra piccola e grande industria alimentare da
parte dei produttori più importanti che hanno capito l’inutilità di contrastare i deboli prodotti tipici, quando dalla contrapposizione non arrivavano effetti utili. Con la fine della conflittualità storica è diventato più facile ricorrere all’integrazione per cercare di recuperare la leadership di un
tempo, ormai vecchia di due millenni e mezzo attraverso il revival della
qualità trascorsa, che ha toccato i vertici globali nella protostoria.
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Sicilia e dieta mediterranea
L’Italia di oggi si ritrova con due facce alimentari, molto vicino alla
natura, quella mediterranea, e una frutto di adattamenti che, essendo stata
corretta, può permettersi ugualmente di arricchire e valorizzare la propria
cultura storica, reinventando delle cose, purché coerenti con la qualità alimentare, per puntare ai vertici, quelli del Rinascimento. La rivalutazione
qualitativa di carattere storico, se condotta in modo pacifico, dalle due
realtà territoriali, specie qui, in Sicilia, dove sopravvivono i prodromi dell’agricoltura occidentale, può essere molto utile e significativa tanto da
potere rappresentare la nuova immagine del territorio, potenziando in tal
modo la competitività del luogo sui mercati interno ed internazionale
attraverso un’azione culturale, come hanno fatto i Francesi, abbinando i
vini alle portate, inventando l’esistenza di Dom Perignon ecc.
La debolezza che presentano le piccole imprese agroalimentari e alimentari di fronte al mercato richiede di modificare l’approccio fare entrare in gioco le ricche risorse dell’isola nella quantità massima possibile. In
campo nazionale sono state delimitate o si stanno delimitando numerose
aree-parco per conservare l’ambiente e per promuovere il territorio e le
aziende attraverso il territorio per riceverne un maggiore potere contrattuale attraverso l’insieme delle risorse che, nel caso della Sicilia, sono
notevoli. Questo tipo di approccio è ormai consolidato per le riserve naturali, ma oggi si sta allargando anche ad altri settori e comparti, come è
avvenuto, ad esempio, nei Parchi delle acque, dell’aria (sull’Appennino, tra
Arezzo e L’Aquila), della pace ecc. che fanno riferimento ad aree intercomunali, distretti o bioregioni particolari, o ad altre aggregazioni di comuni per accumulare un’immagine nuova e complessiva delle risorse dei
microambienti (le terre verdiane in provincia di Parma ne sono un esempio, un altro esempio è Mozartland, in Austria). Sulla base di questi nuovi
orientamenti, fra l’altro condivisi, noi, ad esempio, abbiamo proposto di
attivare a Parma il Parco Storico dell’Alta Cucina Rinascimentale, con il
quale vorremmo calare sulla città e sulle quattro province coinvolte (Cremona, Mantova, Piacenza e Reggio Emilia) un’immagine che dia voce al
territorio e sia capace di sviluppare nuove strategie per mantenere in crescita la domanda di beni alimentari e non, nonostante l’attuale stagnazione e le prospettive di inversione di tendenza e per far leva sull’attrattività
dell’insieme, costituito da ricchi patrimoni locali, storici, artistici, culturali, monumentali, alimentari ecc. e sull’orgoglio della popolazione per il
proprio passato che oggi può dare ulteriori soddisfazioni, realizzando una
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Sicilia e dieta mediterranea
o più idee-progetto per attrarre il turismo interno e internazionale e per
dare una maggiore spinta contrattuale alle produzioni locali.
Riflettendo su ciò che sta avvenendo, non è difficile rendersi conto
che la stessa teoria neoclassica dell’economia è rimasta per troppo tempo
al palo, senza mai aggiornare il paradigma che, dopo quasi due secoli, si
presenta debole e incapace di spinte innovative di fronte alle emergenze
che scorrono continuamente davanti agli occhi di tutti e non possono
essere abbandonate a se stesse. Le attività delle imprese alimentari grandi
e piccole si sono dipanate per molto tempo – quasi due secoli - con straordinaria facilità, comodità e utilità, in conseguenza della continua e forte
crescita demografica che rendeva accettabile anche l’inerzia, non essendo
necessario procurarsi una nuova domanda né nuovi prodotti; bastavano e
avanzavano tipicità e tradizione. Oggi le vicende alimentari sono cambiate profondamente e hanno mutato la loro condizione mercantile, privilegiando la qualità e solo quella, per cui l’uomo sente il bisogno di rivedere
i principi e le applicazioni dell’economia neoclassica, adeguando la teoria,
con l’aiuto della ricerca scientifica, ai cambiamenti in essere e individuando nuovi modelli in sostituzione di quelli obsoleti perché non più competitivi.
Nel contesto attuale, in assenza di innovazioni, i beni alimentari storici si sono ridotti a ricevere prezzi inadeguati per qualità e costi, mentre
si è visto che scattano gli effetti utili, quando i produttori apportano dei
miglioramenti, come è avvenuto per il Culatello di Zibello che oggi si preferisce produrlo partendo dalle cosce posteriori del suino nero romagnolo che permette di raggiungere un prezzo maggiorato rispetto a quello del
prodotto precedente; si può uscire dalle difficoltà solo migliorando e
innovando con intelligenza le singole filiere e l’intero sistema, appoggiando le tecniche alla ricerca scientifica, per arrivare all’adozione di nuovi
assetti commerciali e all’uso di nuovo metodologie promozionali, che
siano funzionali e coerenti con la qualità dei prodotti, con l’attuale stato
della conoscenza e con le finalità economiche.
Non è tutto qui; poiché l’Italia oggi ha mostrato di avere raggiunto il
punto più alto della crisi per molti prodotti tipici e, poiché la crisi ha
assunto caratteri strutturali, e, quindi, continuativi nel tempo, il problema
non è più quello di attendere il tempo della ripresa, ma di eliminare le
cause che hanno provocato la debacle. Se volessimo adeguare i prodotti
tipici e tradizionali delle piccole e medie imprese alle nuove esigenze del
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Sicilia e dieta mediterranea
mercato, dovremmo cambiare l’approccio, ponendoli sotto l’ombrello
protettivo di un’unica immagine agroalimentare del prodotto italiano, da
fare emergere, con un unico intervento di marketing territoriale; è uno
degli obiettivi che stiamo caldeggiando da diverso tempo dalle pagine dei
“Rapporti sullo stato dell’agroalimentare in Italia”, come futuro approccio per rilanciare con maggiori dignità ed efficacia ogni prodotto e ogni
area produttiva nel mercato moderno.
Se è vero che le piccole imprese, pur essendo portatrici di qualità e
tipicità, continueranno a incontrare delle difficoltà a reggere la concorrenza sui mercati e ad attrarre i consumatori e tanto meno i visitatori internazionali, la causa va ricercata in un’inerzia persistente che ha congelato
da tempo la realtà dei prodotti tipici e tradizionali, che, invece, avrebbero
dovuto rimanere flessibili nella forma e nella sostanza, per garantirne l’apprezzamento. Dovendo superare l’inerzia, evitando le ipocrisie, serve una
nuova immagine della Sicilia, previa intesa dei produttori grandi e piccoli,
per esaltarne la biodiversità e l’alta qualità che apparirebbe, questa volta,
in forma univoca, col supporto di un’organizzazione capace di espandere
l’export; è il principio che abbiamo richiamato più volte, ritenendo necessario fare nuove proposte per andare incontro al turismo internazionale,
di cui si cominciano a sentire i primi effetti e come da un paio di anni circa
ha cominciato a fare anche il grande capitale interno con la cordata Ifil,
Marcegaglia, Banca Intesa, a cui di recente si è aggregata anche Pirelli Real
Estate alla pari con gli altri partner. La nuova società “Turismo e immobiliare”, che ha acquistato il 49% del capitale sociale di Sviluppo Italia Turismo, che diventerà il 65% entro il 2009, è diventata proprietaria di sette
comprensori localizzati in Puglia (Otranto), Calabria (Sibari-Simari Crichi), Campania (Acropoli), Basilicata (Pisticci) e Sicilia (Sciacca) e di due
villaggi, uno sito nel comprensorio di Alimini e l’altro (Villaggio Floriana)
nel comprensorio di Sieri Crichi, entrambi gestiti da Alpitour (Gruppo
Ifil); fanno capo a Sit inoltre numerose imprese che gestiscono villaggi
turistici e strutture alberghiere in Puglia, Calabria, Basilicata, Sicilia e Sardegna. L’operazione, che è esogena, consente di fare decollare il primo e
più importante operatore pubblico-privato del Paese nell’attività turistica
mediterranea, che è in forte espansione, facendo entrare l’Italia fra i primi
concorrenti del mondo. Questa iniziativa va dunque intesa come la prima
risposta effettiva alla necessità di dotare il territorio di operatori adeguati
per scala e competitivi sul mercato, di destagionalizzare l’offerta, di indi84
Sicilia e dieta mediterranea
viduare nuovi flussi turistici e di predisporre i conseguenti circuiti specifici.
È il grande capitale interno che finalmente si sta aprendo all’area più
povera di iniziative, ma più ricca di storia antica, in coerenza con l’”Umanesimo di ritorno”, facendo leva sulla dovizia delle proprie risorse storico-culturali, sulla biodiversità e sulla rivalutazione della qualità alimentare che qui ha mantenuto le sue radici più salde. Non va trascurato tuttavia
il pericolo che il modello di investimento turistico in Sicilia si avvalga soltanto dei villaggi, che tendono, per loro natura, a chiudersi in se stessi, evitando i rapporti con la popolazione locale, trasformandosi così in piccole
isole sviluppate all’interno di un territorio sottosviluppato. Occorre quindi che contemporaneamente decollino anche iniziative dal basso fatte
dagli operatori locali che si organizzano per sviluppare il turismo internazionale. Ricordiamo, inoltre, che lo sviluppo del turismo internazionale
richiede il miglioramento delle infrastrutture e dei servizi e l’aumento
della ricettività in catene di grandi alberghi che sono gli unici compatibili
con il turismo internazionale.
Nel nuovo contesto, sta venendo avanti anche l’utilità di mettere in
gioco il business alimentare italiano ancora prima di quello delle imprese,
a cominciare dalle città di provincia e dai territori di produzione delle
materie prime e degli alimenti più noti, distretti o bioregioni, fino a scendere ai comuni.
Nella “riprogettazione“ dell’assetto terziario, alla Sicilia potrebbero
spettare compiti di apripista, per avanzare analisi e proposte, come abbiamo sempre cercato di suggerire con questa e altre iniziative, nonostante il
basso ascolto e le censure che le città di provincia non mancano di esercitare. Anche il presente Convegno costituisce un contributo nella direzione di una più moderna ed efficace identità dell’isola, che va costruita,
come quella di altri territori, con un pragmatismo che guardi al futuro
senza dimenticare il passato.
L’Italia, come gli altri Paesi dell’Ue, si trova oggi di fronte, dopo tanto
tempo, a una nuova sfida che, facendo leva sulle risorse interne, intende
sostenere la concorrenza dei paesi leader dell’economia, come Usa e
Giappone, e dei paesi emergenti, come Cina e India, che, in passato, si
erano retti sull’alto impiego di manodopera, mentre ora stanno accumulando e investendo capitali e conoscenze. Se oggi l’Ue supera con poco più
del 20% della produzione globale il 19% di Cina e India, si prevede che,
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Sicilia e dieta mediterranea
nel 2015, tali incidenze assumeranno rispettivamente i valori del 17% per
l’Europa e del 27% per i due paesi asiatici. È una prospettiva che appesantisce con nuove difficoltà l’economia dei paesi più sviluppati che dovranno aumentare la loro competitività collegiale e individuale, utilizzando
tecnologie, sinergie e innovazioni, compresa la “dieta mediterranea” e
quella “continentale”. Anche l’Italia sarà chiamata a portare avanti i propri
saperi attraverso i propri prodotti e le proprie tecnologie, indipendentemente dai confini geografici, amministrativi, settoriali, pubblici e privati.
Tutto ciò comporta la necessità del rinnovamento, che mostri capacità di fare ricerca e innovazione; non è sufficiente che il Paese riesca a produrre tecnologie avanzate, se non è in grado poi di utilizzarle pienamente; così la sfida di oggi, se vuole privilegiare la creatività, non può fare a
meno della ricerca, né di velocizzare l’informazione e la comunicazione né
di valorizzare ogni risorsa del territorio, tra cui prevalgono le eccellenze
alimentari insieme a storia, cultura, arte e tradizione, che sono le stesse
risorse che avevano raggiunto, nell’Italia mediterranea, il vertice mondiale nel periodo dal VII al III secolo a.C., una civiltà che è stata all’avanguardia con la migliore produzione alimentare del mondo e che ancora oggi
possiede qualità inimitabili, che l’Italia non è riuscita a collocare sui mercati internazionali a prezzi adeguati.
Queste risorse, che, nel passato, hanno dimostrato di non essere sufficienti per risollevare l’economia di un territorio o di un Paese, oggi si
ripresentano con maggiori chances, specialmente nei territori più ricchi di
cultura e tradizione e dove sono maggiormente presenti le aspettative dell’opinione pubblica; la risposta può essere l’esistenza e il funzionamento
di uno o più parchi o distretti o bioregioni, in analogia a quanto l’uomo ha
fatto per conservare e valorizzare natura e ambiente; il modello, questa
volta, è nuovo e predisposto per esternare, in base creativa, le espressioni
migliori di una biodiversità storico-culturale ed ambientale ad ampio raggio, più presente nella culla della civiltà occidentale che altrove, tanto da
potere mettere a punto nuovi modelli riguardanti tempo e spazio. La prospettiva prevede il recupero di cultura e tradizioni da offrire attraverso una
nuova immagine del territorio al turismo, interpretandone l’attività e l’armonia in modo e in misura coerente con il coacervo delle risorse da impiegare, senza rinnegare mai il passato, ma aggiornandolo e rinvigorendolo
nelle strategie, oggi carenti, quando non sono assenti del tutto. È un salto
di qualità che il nuovo modello può far fare alla cultura d’impresa, all’eco86
Sicilia e dieta mediterranea
nomia del territorio, alle istituzioni e alla società degli uomini; per affrontare in modo deciso e preciso tale compito può essere assolto dalle Fiere
siciliane.
Alcuni mesi fa abbiamo partecipato alla costituzione dell’”Istituto
Nazionale per la Dieta Mediterranea e la Nutrigenomica” che, avvalendosi della fortunata scoperta del biologo americano Ancel Keys, permette di
condividere l’eccezionalità di un momento storico che è diventato occasione di marketing territoriale per il turismo internazionale e quello interno che sono in espansione. Se venisse costituito analogo istituto, questa
volta dedicato alla “dieta continentale” e i due istituti agissero insieme,
avremmo l’opportunità di riflettere e fare riflettere sulle origini della civiltà alimentare dell’Occidente e valorizzare ancora di più e meglio la nostra
antica cultura tipica, facendola entrare con successo nei mercati moderni
grazie a una nuova immagine, superando in tal modo il confine ravvicinato di una concorrenza che è sempre più agguerrita.
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Bibliografia
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Le caratteristiche della
Dieta Mediterranea Italiana
di Riferimento ed i suoi
effetti salutari
Antonino De Lorenzo
Direttore della Scuola di Specializzazione
in Scienza dell’Alimentazione,
Azienda Ospedaliera Universitaria
Policlinico “Tor Vergata” ,
Presidente dell’Istituto Nazionale
per la Dieta Mediterranea e la Nutrigenomica
Le caratteristiche della Dieta Mediterranea Italiana di Riferimento ed i suoi effetti salutari
La ricerca epidemiologica e biologica condotta negli ultimi decenni
ha dimostrato precise correlazioni fra comportamenti alimentari e rischio
di patologie cronico degenerative. Evidenze scientifiche molto significative vengono dagli studi effettuati nei Paesi del bacino Mediterraneo, dove
vari aspetti della Dieta Mediterranea sono apparsi assai favorevoli nel prevenire il rischio di rischio oncologico in termini più generali, così come
delle malattie cardiovascolari.
I risultati emersi dagli studi condotti nel 1960 a Nicotera,(l’area rurale pilota del Seven Countries Study), costituiscono un patrimonio scientifico di grande pregio. Tali studi, coordinati dal Prof. Flaminio Fidanza,
hanno evidenziato quanto le abitudini alimentari e lo stile di vita della
popolazione adulta di Nicotera di allora erano tali da assumere un ruolo
preventivo nei riguardi di varie patologie. La dieta di Nicotera degli anni
’60 è stata perciò scelta come Dieta Mediterranea Italiana di Riferimento.
In essa prevalevano cereali, legumi, pesce, olio vergine d’oliva, verdure,
frutta, mentre era limitato il consumo di latte, formaggi, carni e grassi di
origine animale. Abbondavano le spezie, erbe selvatiche ed erbe aromatiche con spiccate proprietà salutari. Come bevande alcoliche erano consumate moderate quantità di vino, prevalentemente rosso. L’attività fisica
era svolta in modo soddisfacente.
Nella seconda metà del secolo scorso la società italiana è passata da
una tipologia prevalentemente agro-famigliare ad una prevalentemente
industriale-collettiva. Le modificazioni indotte nello stile di vita sono
state notevoli, con un forte impatto sul comportamento nutrizionale.
L’apporto di energia giornaliero ha superato di circa 400 kcal il livello raccomandato in gran parte per l’aumentato consumo di grassi, carni e alimenti dolci. Gli alimenti di origine animale hanno subito un incremento
di consumo notevole, specialmente le carni e tra queste in particolare la
carne bovina per la quale si è registrato un aumento costante, con una flessione solo negli ultimi anni. Anche il consumo di carne suina, di pollame
e di carne di coniglio ha raggiunto un sensibile incremento. Per i prodotti della pesca si osserva pure un consumo più elevato, mentre è diminuito
quello dei prodotti della pesca conservati. Per quanto riguarda gli alimenti di origine vegetale i consumi sono aumentati moderatamente per il frumento e sono diminuiti per i cereali minori e per il riso. I legumi secchi e
alcuni ortaggi (patate, cavoli e cavolfiori) hanno mostrato un incremento
iniziale al quale ha fatto seguito una inversione di tendenza. Per tutti gli
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Le caratteristiche della Dieta Mediterranea Italiana di Riferimento ed i suoi effetti salutari
altri ortaggi si è verificato inizialmente un costante aumento dei consumi
seguito da una contrazione nell’ultimo periodo che ha riguardato mele,
pere, pesche e uva. Per tutta l’altra frutta, e in particolare per gli agrumi e
frutta d’importazione, si è registrata una costante ascesa nei consumi. I
grassi da condimento si sono stabilizzati negli anni più recenti, dopo la
forte crescita nel consumo nel ventennio ’52-’72; in questo periodo si è
avuto un aumento soprattutto per gli oli di semi, mentre incrementi più
modesti sono stati registrati per l’olio d’oliva e ancora meno marcati per
i grassi animali (burro, lardo, strutto). Per quanto riguarda le bevande
alcoliche il consumo di vino, dopo un moderato aumento iniziale, è diminuito decisamente negli ultimi anni. In forte e costante crescita è il consumo di birra e di super-alcolici. L’attività fisica sia lavorativa, sia ricreativa si è ridotta drasticamente. Tutte queste modificazioni unite all’inquinamento ambientale e allo stress, che lo stile di vita attuale comporta, rappresentano fattori di rischio per varie malattie cronico-degenerative.
Tra il 1960 ed il 1996 a Nicotera, secondo quanto emerso in uno studio comparativo, il consumo di lipidi espresso come percento dell’energia
è aumentato dal 23 al 43,6 per cento, mentre il consumo di carboidrati è
sceso dal 64 al 44,2 per cento. L’apporto di proteine è rimasto costante
mentre è aumentata la quota proteica derivante dalle carni. L’energia totale della dieta è aumentata del 20% e ciò in associazione ad una ridotta attività fisica. L’Indice di Adeguatezza Mediterranea di 7,2 nel 1960 è sceso
nel 1996 per gli uomini a 2,2 e per le donne a 2,7.
La dieta mediterranea di riferimento italiana si può quindi definire
come una dieta moderata in cui alcuni alimenti caratteristici dell’area
mediterranea, occupano sapientemente un posto preminente nel rispetto
dell’adeguatezza energetica, sia come apporto sia come dispendio
Innanzitutto va messo in evidenza l’appropriato bilancio tra apporto
e dispendio energetico e ciò vale per tutte le età. I rapporti tra i macronutrienti energetici rispondono a quelli riconosciuti come adeguati, cioè 1215% dell’energia totale da proteine, 25-30% da lipidi e la restante quota da
carboidrati. L’energia da alcol etilico, fornito principalmente dal consumo
di vino durante i pasti rientra nei valori accettabili: per l’uomo 2-3 bicchieri al giorno e per la donna 1-2 bicchieri.
Definito il valore della Dite Mediterranea di riferimento, è necessario
introdurre il concetto di “qualità” nutrizionale, intendendo l’insieme delle
proprietà e delle caratteristiche di un prodotto che conferiscono ad esso
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Le caratteristiche della Dieta Mediterranea Italiana di Riferimento ed i suoi effetti salutari
le capacità di soddisfare varie esigenze. Nel settore alimentare la definizione di “qualità” fa riferimento ai requisiti specifici delle derrate alimentari.
Il “Codex Alimentarius” è un insieme di norme, stilate da apposite commissioni istituite dalla FAO, che hanno valore a livello del commercio
mondiale e che rappresentano delle “raccomandazioni” piuttosto che dei
veri e propri decreti legislativi. Tuttavia, le norme, pur prendendo in considerazione le derrate alimentari ritenute fondamentali a risolvere i problemi nutrizionali di alcuni paesi o i prodotti più interessanti del mercato
mondiale, definiscono criteri di classificazione degli alimenti e di igiene
degli stessi. In Italia l’organo preposto alla vigilanza di queste norme è il
Ministero dell’Agricoltura che conformemente alle norme suddette e a
quelle ulteriormente erogate dalla CEE prevede per ogni alimento messo
in commercio le seguenti norme: descrizione e presentazione del prodotto, composizione chimica (% limite di H2O), definizione dei difetti, contaminanti e aspetti igienici, etichettatura.
Dal punto di vista puramente igienico-sanitario-commerciale, le
norme suddette, rispondono sufficientemente all’esigenza di conoscere il
prodotto in termini qualitativi e quantitativi, tuttavia, dal punto di vista
nutrizionale, nessuna informazione specifica viene data. D’altro canto, per
gli stessi nutrizionisti sussiste l’esigenza di classificare gli alimenti secondo proprietà più attinenti ai principi nutritivi, in termini di macro e micro
nutrienti, alla loro tipologia e alla bio-disponibilità di questi ultimi. Allora, sulla base delle quantità definite dalle analisi bromatologiche di ogni
singolo alimento e delle sostanze che lo compongono, si possono utilizzare degli indici capaci di definire la “qualità nutrizionale” di ciascun alimento, all’occorrenza, dell’intera dieta. D’altra parte non va dimenticata
la complessità di fornire diete bilanciate secondo il modello mediterraneo
e personalizzate secondo i fabbisogni calorici individuali. Comporre diete
che presentino la variabilità alimentare necessaria a fornire i nutrienti e la
fibra nelle opportune dosi a soddisfare il dispendio energetico non è affatto facile! Ancora meno facile risulterà definire diete equilibrate per soggetti patologici dove la stessa dieta è da considerarsi un “atto medico”,
spesso da associare alla terapia farmacologica. Allora ben vengano gli indici nutrizionali in quanto capaci di caratterizzare e sintetizzare i principi
salutistici e nutrizionali di ciascuna dieta.
Di seguito viene riportato un elenco degli indici nutrizionali: L’Indice di Qualità Nutrizionale (INQ). Tale indice rappresenta il rapporto tra
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Le caratteristiche della Dieta Mediterranea Italiana di Riferimento ed i suoi effetti salutari
la percentuale di copertura del fabbisogno di nutrienti e la percentuale di
copertura del fabbisogno calorico per la porzione di alimento considerato. L’INQ è una misura delle qualità nutrizionali dei singoli macronutrienti o dei micronutruienti contenuti nella pietanza rispetto ai valori standardizzati e di riferimento di una dieta bilanciata con importo calorico medio
di 2400 kcalorie (Larn). Esisteranno quindi tanti Indici di Qualità Nutrizionale quanti sono le classi di macro e micronutrienti (INQprotidi,
INQglucidi, ecc.) e ciò per ciascun alimento, per ciascuna pietanza o per
l’intera dieta. I valori maggiori di 1 indicano che l’alimento preso in esame
è una buona fonte del nutriente considerato, mentre valori inferiori ad 1
indicano che l’alimento non contiene una quantità adeguata del nutriente
dato. Si potrà quindi integrare la quota mancante di nutriente mediante
l’assunzione di altri prodotti alimentari ricchi del nutriente in questione,
in modo da ottenere una cosiddetta “razione bilanciata”.
Il Rapporto tra Protidi (V/A). Come già detto, una Dieta Mediterranea prevede una percentuale di protidi totali che può variare dal 10 al 15%,
mentre l’apporto dei protidi vegetali deve essere doppio rispetto all’apporto dei protidi di origine animale. Il rapporto V/A dovrà attestarsi
intorno a 2.
L’Indice Glicemico (IG). Oltre ai protidi è possibile caratterizzare
anche la classe dei glucidi presenti in una particolare dieta e verificare se
essa è composta da circa il 60% di tale specie. Gli alimenti più ricchi in
glucidi o carboidrati sono il pane, la pasta, il riso e i dolci in generale. È
possibile distinguere tra carboidrati semplici e carboidrati complessi ed il
loro indice nutrizionale è rappresentato dall’indice glicemico (IG). Questo indice non è altro che il rapporto espresso in percentuale tra l’incremento della risposta glicemica post-prandiale di un certo alimento e quella che si ha da un alimento standard (pane bianco) che è consumato in
quantità isoglucidica e che viene preso come riferimento. In pratica ciò
che più interessa è la capacità che ha un alimento di innalzare il livello di
glucosio nel sangue in un certo periodo di tempo, e sono già disponibili
tabelle dove alcuni alimenti vengono classificati per range di IG, ossia per
velocità di assorbimento.
I rapporti tra acidi grassi. I grassi alimentari rappresentano un utile
magazzino energetico e la Dieta Mediterranea ne prescrive una percentuale del 30%. Tuttavia se assunti in grandi quantità e in maniera continuata
i grassi possono essere causa di malattie cronico-degenerative. La qualità
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Le caratteristiche della Dieta Mediterranea Italiana di Riferimento ed i suoi effetti salutari
nutrizionale dei lipidi contenuti nei vari cibi è strettamente connessa alla
loro composizione in acidi grassi a diverso grado di insaturazione. È ormai
risaputo che esiste una forte correlazione tra il numero dei doppi legami
negli acidi grassi e l’aumento del rischio cardio-vascolare. Su questa base,
i nutrizionisti hanno elaborato due semplici criteri di valutazione:
• IL RAPPORTO TRA GRASSI MONOINSATURI/SATURI (M/S) - Una dieta
mediterranea ha generalmente un rapporto tra la quantità in grammi
di acidi monoinsaturi rispetto a quelli saturi che dovrebbe essere
uguale o maggiore di 2 al fine di presentare acidi meno condizionanti la colesterolemia.
• IL RAPPORTO TRA GRASSI POLINSATURI/SATURI (P/S) - Analogamente
al rapporto precedente, una dieta mediterranea ha generalmente un
rapporto tra la quantità in grammi di acidi polinsaturi rispetto a quelli saturi, che potrebbe variare da 0.4 a 1. Proprio perché gli acidi grassi hanno effetti differenti sul nostro organismo, i nutrizionisti trovano utile differenziare più accuratamente la tipologia degli acidi grassi.
Gli acidi a lunga catena, come ad esempio l’acido stearico e l’acido
palmitico hanno un effetto trombogenico maggiore degli acidi a catena corta risultando ulteriore causa di rischio cardiovascolare. Viceversa, acidi corti, come l’acido oleico, si dimostrano meno trombogenici e pertanto vengono preferiti ai grassi a catena lunga.
Al fine, quindi, di controllare tali aspetti, è stato introdotto, dapprima:
• L’INDICE DI ATEROGENICITÀ (IA) - L’IA prende in considerazione i
grassi monoinsaturi e distingue anche tra differenti tipi di acidi grassi nel calcolare il potenziale aterogenico della dieta. E di seguito:
• L’INDICE DI TROMBOGENICITÀ (IT) - L’ IT attribuisce differente
peso ai diversi acidi grassi w-3 e w-6 in accordo con il loro potere
antitrombogenico e include anche acidi grassi monoinsaturi. L’ipercolesterolemia, quale possibile causa di malattie cronico-degenerative, può essere controllata mediante due parametri: il Colesterolo
Esogeno, ossia il colesterolo introdotto con i vari alimenti; il Colesterolo Endogeno, ossia il colesterolo prodotto naturalmente dall’organismo e di norma visto nella sua forma ossidata. Ovviamente, il
colesterolo totale all’interno dell’organismo si somma e può portarsi
a livelli di rischio. Pertanto, sia nelle condizioni fisiologiche, tanto più
97
Le caratteristiche della Dieta Mediterranea Italiana di Riferimento ed i suoi effetti salutari
•
nelle condizioni patologiche, dovrà essere tenuto sotto controllo
l’apporto di colesterolo proveniente dalla dieta. A tal fine alcuni ricercatori americani individuano nel Cholesterol Saturated-Fat Index
(CSI) un indice aderente ai valori metabolici.
CHOLESTEROL/SATURATED FAT INDEX (CSI) - Il CSI viene usato per
comparare differenti cibi e ricette e per valutare l’introito giornaliero
di grassi. Esso esprime la qualità lipidica degli alimenti o dei menù e
fornisce nel contempo un valido indicatore per l’individuazione del
rischio aterogenico. Il valore del CSI viene espresso in scala da 1 a
1000. Il potenziale aterogenico del cibo si riferisce al colesterolo e ai
grassi saturi in esso contenuti; minore è questo indice, più basse sono
le probabilità di incidenza di malattie cardiovascolari.
Come è stato riportato si assiste oggi in Italia ad un deciso allontanamento dalla tradizionale Dieta Mediterranea di riferimento italiana. E’
indispensabile una profonda inversione di tendenza. Le malattie croniche
sono nella maggior parte dei casi prevedibili, come dimostrano i numerosi studi epidemiologico-nutrizionali finora svolti. L’età, il sesso e la suscettibilità genetica non sono modificabili, ma possono esserlo molti fattori di
rischio associati all’età ed al sesso. Tali fattori di rischio comprendono fattori comportamentali, come abitudini alimentari inadeguate, scarsa attività fisica, abitudine al fumo; fattori biologici, come dislipidemie, ipertensione arteriosa, sovrappeso, obesità, iperinsulinemia e fattori socio-economici, culturali e ambientali.
Quanto sapientemente fanno osservare Iossa e Mancini, di seguito
integralmente riportato, costituisce motivo di profonda riflessione per
l’intera società a tutti i livelli: “recentemente si è tentato di stimare il
rischio attribuibile a fattori dietetici sia per la patologia oncologica che per
quella metabolico-vascolare. La riduzione dei grassi di origine animale e
l’aumento dei vegetali nella dieta può ridurre l’incidenza dei tumori del
colon e della mammella rispettivamente del 50% e del 27%, con un’efficacia reale di circa il 75% rispetto a quella teorica. Una sostanziale riduzione della prevalenza di obesità nelle donne in postmenopausa, comporta un
ulteriore 12% di riduzione del tumore mammario. Inoltre, riducendo
l’obesità nelle donne, si potrebbe anche ottenere una diminuzione del
30% dell’incidenza di tumori dell’endometrio. Se al miglioramento delle
abitudini alimentari si accompagna l’abolizione del fumo di sigaretta, si
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Le caratteristiche della Dieta Mediterranea Italiana di Riferimento ed i suoi effetti salutari
potrebbe ottenere una riduzione di circa l’80% dei tumori polmonari, del
60% dei tumori vescicali, del 50% di quelli pancreatici. Un ridotto consumo di alcol associato all’abolizione del fumo di sigaretta, potrebbe addirittura produrre una diminuzione di circa il 90% dei tumori orofaringei e
delle vie aeree superiori. Per quanto riguarda le malattie cardiovascolari, se
gli uomini e le donne italiane tra i 20 ed i 59 anni, in maggioranza abituati ad alti consumi di grassi saturi e bassi consumi di mono e polinsaturi,
modificassero le loro abitudini orientandosi verso la tradizionale alimentazione mediterranea, si potrebbe conseguire in 25 anni una riduzione
della mortalità cardiovascolare di circa il 18% (20% in meno di mortalità
coronarica e 12% in meno di mortalità da ictus cerebrale). La diminuzione di soli 3g del consumo quotidiano di sale, comporterebbe una riduzione del 5% della mortalità cardiovascolare”.
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La dieta mediterranea
nell’era post-genomica
Laura Di Renzo
Biologa molecolare
Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
e dirigente di Ricerca dell’Istituto Nazionale
per la Dieta Mediterranea e la Nutrigenomica
La dieta mediterranea nell’era post-genomica
Il successo del progetto Genoma Umano e gli ormai affinati strumenti della Biologia Molecolare hanno condotto la Nutrizione Umana e
la Medicina in generale in una nuova era di ricerca e di applicazione clinica, assistendo nel campo della biologia molecolare ad una rivoluzione che
potremmo definire “Copernicana” con al centro le basi molecolari nella
organizzazione di una nuova disciplina: la Nutrizione Molecolare. Fino ad
oggi farmaci e cure sono stati prescritti seguendo una “fortuita casualità”.
Da oggi in poi affinché si possa cambiare qualcosa nella prevenzione, diagnosi e terapia delle malattie bisognerà partire dai fondamenti della malattia stessa, dalla reale profonda conoscenza, e quindi, dai meccanismi fisiologici che ne sono alla base, già prima che se ne manifestino i sintomi, che
se ne manifesti l’insorgenza.
Le interazioni che sussistono fra geni-proteine e nutrienti sono ormai
quasi del tutto prossime ad essere chiarite: le nuove discipline, Nutrigenetica, Nutrigenomica, Metabolomica e le discipline associate, Epigenetica e
Proteomica, saranno materia di intensi studi nel prossimo futuro in quanto in queste risiede la speranza di trasformare realmente le potenzialità di
un nutriente rendendolo capace di giocare il ruolo di primo elemento nella
prevenzione e cura delle malattie, con particolare riguardo alle patologie
cronico-degenerative, tumorali e dismetaboliche.
L’integrazione fra queste nuove discipline porterà ad un enorme sviluppo delle conoscenze sulla Nutrizione, senza dimenticare il parallelo
sviluppo delle tecnologie, le biotecnologie, di supporto.
L’obiettivo innanzitutto è quello di scoprire come può esacerbarsi
una malattia a partire da una predisposizione genetica individuale, per poi
andare oltre ed arrivare alle interrelazioni gene - proteina, gene - nutriente e quindi gene - metabolica, ed infine capire come l’accumulo (o la
carenza) di taluni metaboliti possa portare all’estrinsecarsi della condizione patologica definibile come malattia .
Il futuro sarà nella capacità di prevenzione dell’evento patologico,
partendo dalla possibilità di dare i nutrienti e così i medicinali non più su
mere basi empiriche, ma sulla profonda conoscenza dell’individuo, a partire dallo studio della sua struttura molecolare, ovvero da ciò che realmente lo differenzia dal resto: cibo e farmaci non più rimedi di una situazione
di dissesto biofisico ormai instauratasi, bensì essi stessi facenti parte di un
discorso globale di profilassi della malattia.
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La dieta mediterranea nell’era post-genomica
Quanto esposto dovrà portare a risultati che potremo così riassumere:
a) La necessità di esplorare il ruolo ed il meccanismo d’azione dei
nutrienti;
b) Stabilire valori precisi, quantitativi, di fabbisogno di nutrienti e interpretare le basi molecolari e cellulari delle variazioni individuali del
fabbisogno stesso;
c) Capire, con maggiore accuratezza, la natura delle interazioni genotipo - ambiente, focalizzando l’attenzione sulle relazioni intercorrenti
fra malattia cronico - degenerativa e anamnesi nutrizionale; d) Ottimizzare la produzione del cibo, in particolar modo il suo contenuto
in nutrienti ad elevato valore biologico, per determinati contesti
sociali individuabili geneticamente, etnicamente, economicamente e
culturalmente .
Un nutriente come potrebbe essere definito? Di sicuro a questa
domanda un paio di decenni fa si poteva rispondere molto più facilmente,
mentre ora ha assunto diverse sfumature che lo caratterizzano, a cominciare dall’essere un’entità complessa, “un costituente perfettamente caratterizzato (chimicamente, fisicamente e fisiologicamente) di una dieta, che
può servire come fornitore di energia in termini di calorie, o come substrato, o come precursore per la sintesi di macromolecole, o di altri composti per la normale differenziazione, crescita, rinnovo, riparo difesa e/o
mantenimento della cellula, o ancora come una molecola segnale, un
cofattore, un determinante della normale struttura molecolare e/o un promotore dell’integrità della cellula e dell’organismo”. Da questo si evince
l’innumerevole quantità di azioni e funzioni che può svolgere un nutriente a cominciare dall’essere catalizzatore per determinate reazioni e giocare il ruolo di cofattore, dallo svolgere ed eseguire sequenze di istruzioni
partecipando come molecola segnale, dal fornire substrati per macromolecole con una straordinaria varietà di funzioni, quali acidi nucleici, aminoacidi per le proteine, dall’alterare la struttura molecolare e promuovere
l’assemblaggio di altre strutture cellulari.
Dallo studio dei geni, tramite la Genomica e la Genetica, integrate
dal supporto fondamentale delle Nanotecnologie, della Bioinformatica e
correlate alla Proteomica ed alla Metabolomica, potremo sicuramente
avere più nozioni su queste interrelazioni cellula-ambiente e quindi, organismo-nutriente .
104
La dieta mediterranea nell’era post-genomica
Tutti ciò andrà ad influenzare in maniera determinante il fenotipo,
che risulterà dalla somma di tutte le caratteristiche funzionali correlate
con lo stato di salute, ovvero “le caratteristiche fisiche e biochimiche
osservabili di un organismo”. Il genotipo, da cui dipenderà in primo luogo
il fenotipo, lo andiamo a descrivere come la sequenza genetica di un organismo, mentre l’ambiente sarà la somma di tutte le variabili esterne, integrando conseguentemente la dieta, lo stile di vita, nonché ogni organismo
coesistente. Le variazioni individuali saranno frutto delle differenze biologiche nel corredo genetico di ogni persona, nell’ambiente in cui si troveranno a vivere e nella memoria metabolica accumulata.
Le direzioni che verranno prese tengono tutte in considerazione il
fatto che ogni passaggio è influenzato, anzi è dipendente, dalle componenti bioattive degli alimenti, e si rivolgono verso lo studio dell’origine
della memoria cellulare, il DNA, tramite la Nutrigenetica, continuando
con il trascritto, l’mRNA e quindi la Nutrigenomica, non tralasciando le
modificazioni pre-trascrizionali che può subire il DNA (metilazioni, il
metiloma, acetilazioni, in particolar modo) dunque l’Epigenetica per arrivare alle proteine, alla stabilità dell’mRNA, e quindi al metaboloma con la
Metabolomica andando a considerare le strutture enzimatiche, le modificazioni subite da una proteina quali fosforilazioni, tiolazioni, glicosilazioni post-traduzionali.
Ogni studio andrà effettuato senza scordare l’importanza di fornire
una dieta che comunque tenga conto dell’RDA (Recommended Dietary
Allowance), riducendo l’introito calorico giornaliero e mantenendolo a
livelli stabiliti geneticamente e dettati dallo stile di vita di ciascuno.
E’ proprio in questa ottica della nuova frontiera della Nutrizione
Umana che ben si inserisce la possibilità di seguire una dieta basata sui
dettami della Dieta Mediterranea, quale strumento di prevenzione primaria, di malattie cronico degenerative, per migliorare la qualità di vita.
Le raccomandazioni basate sulla Dieta Mediterranea dovrebbero portare a un aumento del consumo di frutta e verdura e di pesce e a modificare la qualità dei grassi e degli oli, così come la quantità di zuccheri e di
amido.
Il consumo preferenziale di frutta, verdura, pesce così come l’attività fisica e un’assunzione di alcool bassa o moderata, rappresentano condizioni per le quali esistono evidenze scientifiche convincenti a favore di
un loro effetto nel ridurre il rischio per malattie cardiovascolari (CVD).
105
La dieta mediterranea nell’era post-genomica
Sostituendo gli acidi grassi saturi sia con gli acidi grassi monoinsaturi sia
con gli acidi grassi poliinsaturi n-6, n-3 (PUFA), si ottiene una riduzione
del colesterolo plasmatico totale e lipoproteine a bassa densità (LDL). Gli
effetti biologici dei PUFA n-3 sono ad ampio spettro, poiché agiscono a
livello di lipidi e lipoproteine, pressione arteriosa, funzione cardiaca, compliance arteriosa, funzione endoteliale, reattività vascolare e elettrofisiologia cardiaca, inoltre esplicano effetti antiaggreganti e antinfiammatori. Le
fibre alimentari, una miscela eterogenea di polisaccaridi e lignina non
digeribili, riducono il colesterolo totale e le LDL. La relazione fra folati e
CVD è stata esplorata soprattutto considerando gli effetti sull’omocisteina, che può essa stessa rappresentare un fattore di rischio indipendente
per la malattia coronarica e probabilmente anche per l’ictus. L’acido folico
è necessario per la metilazione dell’omocisteina a metionina. Ridotti livelli plasmatici di folati sono stati significativamente associati con elevati
livelli plasmatici di omocisteina ed è stato dimostrato che una supplementazione di folati determina una riduzione di questi livelli . I flavonoidi
sono composti polifenolici che si trovano in numerosi alimenti di origine
vegetale, come the, cipolle e mele. Dati ottenuti da molti studi prospettici documentano un’associazione inversa fra flavonoidi della dieta e malattia coronarica .
Lo scopo è dunque quello di poter avere diete realmente personalizzate adatte alle differenze individuali, seguendo la Dieta Mediterranea di
riferimento.
La dieta sarà momento fondamentale della vita di una persona in
quanto le componenti bioattive degli alimenti, scelti tra tutti quelli di produzione locale mediterranei, freschi e secondo la stagionalità, tra il pescato delle nostre coste e gli allevamenti di animali locali per la produzione di
carne e derivati, saranno strumento medico nella lotta alle malattie ed
avvicineranno la funzione del nutriente a quella di un farmaco, anzi, faranno sì che gli alimenti divengano essi stessi farmaci. Inizierà così l’era della
Nutraceutica.
106
8
Dieta mediterranea:
come difenderla
e come applicarla
Adalberta Alberti
Vice Presidente dell’Istituto Nazionale
per la Dieta Mediterranea e la Nutrigenomica
Dieta mediterranea: come difenderla e come applicarla
Jacopo Bartolomeo Beccari,lo scopritore del glutine,vissuto nella
prima metà del 1700, così si esprimeva nei riguardi del modo di alimentarsi dell’uomo: Quid aliud sumus nisi id unde alimur? Questa sentenza va
interpretata nel senso che lo stato del nostro organismo non è altro che
l’effetto biologico delle nostre abitudini alimentari . Dopo circa trecento
anni ci permettiamo di estendere il significato delle parole “unde alimur”
al nostro comportamento nutrizionale o dieta.
Per “dieta” (dal greco diaita),si intende il regime di vita in rapporto
al processo nutritivo, quindi la quantità e la qualità degli alimenti “consumati abitualmente e tutte le consuetudini collegate alla introduzione del
cibo ed alla sua utilizzazione.
L’insieme degli alimenti che l’uomo liberamente sceglie o crede di
scegliere,che trova per la sopravvivenza o che gli viene prescritto nella
dietetica fisiologica o terapeutica costituisce il punto in cui due categorie
di fattori convergono e nello stesso tempo si intersecano determinandone l’effetto biologico: da una parte fattori di natura digestiva, assorbitiva,
ormonale, nervosa, dall’altra fattori legati alla ripartizione dei pasti durante la giornata, alle modalità di preparazione e di assunzione degli alimenti, all’entità del dispendio energetico, alle condizioni ambientali (1).
La nostra dieta, anche quando esiste una sufficiente disponibilità di
alimenti, può non coincidere con le nostre reali esigenze nutrizionali.
dalle quali essa purtroppo se ne allontana spesso e notevolmente. Eppure
siamo dotati di raffinati sistemi di controllo che regolano l’introduzione
di cibo e la percezione della sazietà. Tali sistemi, pur normalmente funzionanti,sono sopraffatti da fattori interferenti molto forti di carattere emotivo-simbolico,sociale,psicologico. (gli animali allo stato selvaggio, il cui
comportamento nutrizionale è governato da impulsi esclusivamente istintuali, non sono afflitti da obesità. Non così avviene per gli animali addomesticati o domestici , vittime di un’offerta di cibo che esula dalle loro
fisiologiche necessità). Tali fattori portano alla adozione di abitudini alimentari e stili di vita che costituiscono fattori di rischio per gravi malattie
cronico-degenerative, come cardiovasculopatie, diabete, neoplasie.
Prendiamo in esame la situazione italiana.
Oggi gli errori più comuni della dieta degli italiani sono i seguenti:
• Eccessivo apporto di energia.
• Squilibrio nella ripartizione dell’energia tra i nutrienti energetici
• Eccessivi consumi di grassi saturi, carni, dolci, alcol etilico
109
Dieta mediterranea: come difenderla e come applicarla
•
Modesti consumi di verdura, frutta, prodotti della pesca, legumi secchi, cereali integrali.
• Prima colazione omessa o troppo scarsa.
• Ridotta attività fisica
La dieta attuale è quindi lontana dalla “Dieta Mediterranea di Riferimento”, un tipo di dieta in cui prevale la moderazione e che è associata ad
uno stato di salute soddisfacente (2).
Ma gli italiani non si sono comportati sempre così dal punto di vista
nutrizionale,anche se l’Italia per tradizione dovrebbe essere la terra della
dieta mediterranea da seguire.
A questo punto è importante ricordare che non tutta la cucina tradizionale italiana riflette la tipica dieta mediterranea italiana con caratteristiche salutari. Così abbiamo ricette ricche, come tortellini al ragù, lasagna
al forno, sartù di riso, pappardelle al sugo di lepre, una volta riservate ad
occasioni particolari, il cui effetto gustativo purtroppo raggiunge livelli
altissimi e ricette più semplici che erano consumate abitualmente, come
minestroni, pasta e legumi, pasta con prodotti della pesca, pasta e broccoli, il cui importante significato: nutrizionale ben si associa ad una notevole gratificazione sensoriale.
Prendiamo brevemente in esame quanto è avvenuto dal punto di vista
nutrizionale nella società italiana dopo la Seconda Guerra Mondiale. Il
miglioramento dello stile di vita, grazie alle rivendicazioni sociali, ha avuto
importanti ripercussioni sul comportamento nutrizionale.
La dieta dei lavoratori agricoli, dei pescatori, degli operai, delle fasce,
cioè che rappresentavano la maggior parte della popolazione, si modificò
migliorandosi progressivamente, sostanzialmente per un aumentato consumo di alimenti di origine animale e per una riduzione del dispendio
energetico giornaliero. Nel contesto di queste modificazioni la dieta per
un certo periodo di tempo mantenne molti degli aspetti positivi precedenti fino a raggiungere una fase di massimo miglioramento con i più adeguati aggiustamenti coincidenti con le caratteristiche della salutare Dieta
Mediterranea e con un più basso rischio di mortalità e di morbilità per
patologie cronico degenerative su base nutrizionale.
Ma all’acme del miglioramento ha fatto seguito l’inizio di un processo inverso con graduale aumento dell’abituale apporto totale di energia
della dieta, eccessivo consumo di carni e derivati del latte e riduzione di
alimenti di origine vegetale. Il dispendio energetico non ha compensato
110
Dieta mediterranea: come difenderla e come applicarla
l’apporto di energia della dieta e l’organismo ha manifestato le sue risposte negative.
Tutto ciò non ha riguardato soltanto gli adulti. Fin dall’età evolutiva,
a livelli anche molto precoci, si sono osservate analoghe tendenze.
I consumi alimentari e lo stile di vita dei giovani sono diventati decisamente meno salutari rispetto a quelli dei loro genitori e dei loro
nonni,come abbiamo rilevato dalle nostre indagini epidemiologiche (3).
La salutare dieta mediterranea va quindi difesa seriamente.
Esistono valide ragioni scientifiche per tale difesa:
• Rapporto ottimale tra i nutrienti energetici.
• I carboidrati sono rappresentati prevalentemente da amido, fornito in
gran parte da frumento e in quantità più moderata da legumi secchi,
mentre la quota di saccaroso è notevolmente al di sotto della quantità tollerata dagli esperti.
• La quota lipidica è ripartita tra acidi grassi saturi, mono e poliinsaturi in modo da rispettare i valori suggeriti, intorno al 7,5 % dell’energia da saturi, 7,5% da poliinsaturi e 15% da monoinsaturi.
• La presenza di prodotti della pesca e dell’olio d’oliva assicura l’apporto di acidi grassi essenziali (in particolare omega 3) e di acido oleico.
Gli acidi grassi omega 3, come è noto, svolgono un’azione marcata di
prevenzione e controllo non solo nei riguardi delle malattie cardiovascolari, ma anche di varie altre patologie come cancro, artrite reumatoide,
psoriasi, cataratta.
Da studi molto recenti (giugno 2006) emerge che una maggior adesione alla Dieta Mediterranea è associata ad una riduzione del rischio di
morbo di Alzheimer.
L’abbondanza di frutta e verdura assicura minerali e vitamine e nell’ambito di quest’ultime vitamine antiossidanti, inoltre offre composti
fenolici con spiccata azione antiossidante (presenti anche nell’olio extravergine d’oliva e nel vino rosso) e fibra.
Perché oggi il problema degli antiossidanti è tanto preoccupante?
Perché la dieta attuale non offre in quantità adeguate gli alimenti portatori di sostanze antiossidanti e inoltre perché nell’epoca in cui viviamo
il rischio di aggressioni ossidanti da parte dell’ambiente che ci circonda è
più alto rispetto ad una volta; basti pensare al fumo di sigaretta, ai lipidi
ossidati della dieta; all’esposizione a pro-ossidanti, come ozono dello
smog, biossido d’azoto, alle radiazioni ionizzanti.
111
Dieta mediterranea: come difenderla e come applicarla
E’ importante assicurare al nostro organismo, fin dalla più tenera età,
già dalla vita intrauterina, la giusta disponibilità di componenti antiossidanti.
Da una nostra recente ricerca su gestanti in condizioni fisiologiche è
emerso che la capacità totale plasmatica antiossidante diminuisce con il
progredire della gravidanza e raggiunge il valore più basso al parto, che la
diminuzione dal secondo al terzo trimestre è significativa e che esiste una
correlazione positiva tra valori della madre al terzo trimestre e al parto e
valori del funicolo ombelicale del rispettivo neonato (4).
Fig. 1 - Valori dell’ORAC del sangue di donne durante la gravidanza ed al
parto e del cordone ombelicale dei rispettivi neonati
V
ORAC (mmol trolox ep.)
5.7
5.5
*
5.3
5.1
4.9
*
4.7
4.5
First
trimester
Second
trimester
Third
trimester
Delivery
Umbilical
cord
* p> 0.05 rispetto al primo, secondo e terzo trimestre
A breve distanza di tempo è stato svolto uno studio il cui scopo era
quello di valutare la capacità antiossidante del colostro, latte di transizione e latte maturo prelevato da donne in condizioni fisiologiche. Per il
colostro e latte di transizione, i cui valori sono risultati leggermente più
elevati del latte maturo, si osserva una correlazione positiva con l’apporto
delle provitamine e vitamine antiossidanti da parte della madre durante
la gravidanza, mentre l’apporto di tali nutrienti durante il periodo del
colostro e latte di transizione erano correlati rispettivamente con i valori
della capacità antiossidante del latte di transizione e latte maturo (5).
Questi risultati suggeriscono uno stretta relazione tra apporto di antiossidanti durante la gravidanza e l’allattamento e la capacità antiossidante
112
Dieta mediterranea: come difenderla e come applicarla
del latte di donna. Inoltre essi indicano che gli alimenti con elevato contenuto di antiossidanti (frutta e verdura) dovrebbero essere generosamente consumati durante la gravidanza e l’allattamento per consentire un soddisfacente stato antiossidante della gestante e della nutrice e di riflesso
una capacità antiossidante altrettanto soddisfacente del latte secreto.
Ancora una volta si ha conferma dell’utilità dell’adozione di una salutare dieta mediterranea
La migliore via da perseguire per difenderla ed applicarla è l’attuazione di mirati interventi di nutrizione applicata, specifici per fasce differenti della popolazione: età evolutiva, genitori, anziani, gestanti, etc .E’
necessario che la gente riceva messaggi scientificamente corretti e che le
modalità utilizzate siano adeguate ai tempi che viviamo. E’ difficile far
cambiare le abitudini alimentari e lo stile di vita, far capire che anche piccole modificazioni (senza mai frustrare l’aspetto gustativo) possono
migliorare notevolmente lo stato di nutrizione e di salute .
Gli interventi di nutrizione applicata devono essere pianificati e svolti da equipes di esperti con la collaborazione di operatori che hanno seguito seri corsi di formazione ad hoc. E’ insomma necessario un notevole
rigore scientifico e grande impegno. Non si creda che è sufficiente una
conferenza o un rapido ed occasionale messaggio televisivo o la diffusione di opuscoli noiosi e scritti a caratteri minuti. Occorre un lavoro massiccio e continuo che preveda la valutazione dell’efficacia degli interventi.
Che cosa si fa in Italia al riguardo? Poco e il poco è malfatto.
I responsabili della salute pubblica devono sapere che esiste una
scienza: “l’Educazione Nutrizionale”, che purtroppo è calpestata, violata
da improvvisatori, i quali, con grande disinvoltura, senza alcuna preparazione in materia, danno consigli nutrizionali attraverso i mass media alla
gente, allarmata e disorientata per quanto avviene oggi nel settore alimentare in Italia e nel mondo.
Il problema è complesso.
Un utile mezzo da adottare a livello di popolazione per stimolare alla
riflessione sull’importanza della salutare Dieta Mediterranea è la diffusione continua ed insistente di messaggi elaborati su base scientifica sia dal
punto di vista nutrizionale che di comunicazione. La famosa Piramide Alimentare, nata negli Stati Uniti svariati anni fa e diffusa ampiamente, non
ha sortito effetti soddisfacenti. Le informazioni sono complicate e offerte in modo impositivo per cui l’applicazione diventa difficile.
113
Dieta mediterranea: come difenderla e come applicarla
Fig. 2 - Tempio della Dieta Mediterranea Salutare
Un esempio di nuovo approccio di guida nutrizionale a livello di
popolazione è il “TEMPIO DELLA DIETA MEDITERRANEA SALUTARE”, proposto per l’adulto e presentato in occasione del Convegno
Internazionale sulle Diete Mediterranee Europee (organizzato dal Prof.
A. De Lorenzo presso l’Università di Roma Tor Vergata nel gennaio
2003,(6).
Nel TEMPIO gli alimenti sono indicati con parole anziché con disegni, onde evitare l’eventuale influenza sulla soggettiva interpretazione del
messaggio. Il messaggio è presentato in modo non impositivo, semplice e
chiaro.
Nei primi due gradini alla base del Tempio (crepidoma) sono riportate due regole fondamentali di comportamento: “stile di vita più salutare
possibile” e”dispendio energetico della stessa entità dell’apporto energetico”. Il terzo gradino è riservato in gran parte all’olio vergine d’oliva,condimento di base della Dieta Mediterranea Italiana di Riferimento, ed in
piccola parte al vino (rosso). Nelle colonne esterne, più grandi delle centrali, sono indicati con caratteri di differente grandezza, in rapporto alle
differenti quantità da consumare, alcuni alimenti caratterizzanti la nostra
Dieta Mediterranea di Riferimento. Le due colonne centrali sono riservate ai legumi e al pesce, e ciò ne fa intuire facilmente l’importanza. Nelle
114
Dieta mediterranea: come difenderla e come applicarla
metope, situate in alto sotto al timpano, sono indicati gli alimenti non
caratterizzanti la nostra Dieta Mediterranea di Riferimento. Lo spazio
riservato a ciascuno di essi è molto minore rispetto allo spazio dove sono
riportati gli alimenti caratterizzanti.
Nel timpano sovrasta la parola” Moderazione” ad indicare l’importanza di non cadere in una dieta sbilanciata per difetto o per eccesso.
115
Dieta mediterranea: come difenderla e come applicarla
Bibliografia
1) ALBERTI A. Nutrizione applicata. Idelson-Gnocchi, Napoli , 2002.
2) ALBERTI A. Do we need more adequate quality control indices for
the Referencee Mediterranean Diet. Diab Nutr Metab.2001;14:179180.
3) ALBERTI-FIDANZA A, FIDANZA F, CHIUCHIÙ MP, VERDUCCI G, FRUTTINI D. Dietary studies on two rural Italian
population groups of the SevenCountries Study. 3.Trend of food and
nutrient intake from 1960 to 1991. Eur J Clin Nutr 1999;53:854-860.
4) ALBERTI-FIDANZA A, DI RENZO GC, BURINI G, ANTONELLI G, PERRIELO G. Diet during pregnancy and total antioxidant capacity in maternal and umbilical cord blood.J Mater Neo Med.
2002;12:59-63.
5) ALBERTI-FIDANZA A, BURINI G, PERRIELLO G. Total antoxidant capacity of colostrum, and transitional and mature human
milk. J Mater Neo Med. 2002;11:275-279.
6) FIDANZA F, ALBERTI A. The Healthy Italian Medietranean Diet
Temple Food Guide. NutritionToday.2005;40:71-77.
116
9
Gli alimenti cardine
della dieta mediterranea
Santo Giammanco
Direttore dell’Istituto di Fisiologia
e Nutrizione Umana
Università degli Studi di Palermo
Maurizio La Guardia
Ricercatore
Istituto di Fisiologia e Nutrizione Umana
Università degli Studi di Palermo
Gli alimenti cardine della dieta mediterranea
Gli effetti benefici dell’alimentazione mediterranea, basata sul consumo di olio di oliva, pane, ortaggi e frutta, ed arricchita dal consumo di
vino, erano noti fin dai tempi della Scuola Medica Salernitana (XI-XIII
secolo). Grazie agli studi di Ancel Keys, l’alimentazione mediterranea ha
ricevuto, nella seconda metà del secolo scorso, la consacrazione scientifica come fonte di benessere. Infatti, i suoi studi, ai quali ne sono seguiti
molti altri, hanno dimostrato una minor incidenza di patologie quali aterosclerosi, malattie cardiovascolari e tumori nell’area del Mediterraneo,
rispetto al Nord Europa ed agli Stati Uniti. Questa minore incidenza sembra essere dovuta alla dieta mediterranea i cui alimenti cardine sono cereali, legumi, frutta, ortaggi, pesce, vino e olio di oliva (Ferro-Luzzi e Branca, 1995).
Oggi, questi alimenti sono considerati la base dell’alimentazione
umana (figure 1 e 2).
Fig. 1 - “Piramide alimentare”
diffusa dall’U.S. Department
of Agriculture .
U.S. Department of Health
and Human Services
Gr a ssi , O li , Dol ci
USARE CON PARSIMONIA
Latte, Yogurt e formaggi
2-3 PORTATE
Carne, Pollame, Pesce, Fagioli secchi
Uove e noccioline
2-3 PORTATE
Vegetali
3-5 PORTATE
Frutta
2-4 PORTATE
Pane, Cereali,
Riso e Pasts
6-11 PORTATE
Leggenda
Grassi naturali ed aggiunti
Zuccheri aggiunti
Questi simboli mostrano i grasi e gli zuccheri aggiunti nei cibi
119
Gli alimenti cardine della dieta mediterranea
Fig. 2 - “Piramide alimentare” diffusa dall’U.S. Department of Agriculture.
U.S. Department of Health and Human Services
1. Ce re ali
Secondo le Linee Guida per una sana alimentazione Italiana, più della
metà (60%) delle calorie giornaliere deve provenire da carboidrati. Di
questo 60%, il 75% (quindi il 45% del totale) deve provenire da amido.
Inoltre, è opportuno assumere ogni giorno circa 30 g di fibra alimentare.
La base della nostra alimentazione deve essere dunque rappresentata da
alimenti che contengono amido e fibra;: cereali e derivati, legumi, patate.
Tradizionalmente, i cereali più utilizzati in Italia sono rappresentati
dal frumento e dai suoi derivati classici, il pane e la pasta.
Il pane presenta una proporzione in proteine e carboidrati che riflette grosso modo la proporzione della distribuzione raccomandata dalle
Linee Guida (figura 3). A causa del ridotto contenuto lipidico non è possibile considerarlo, di per sé, un alimento ben equilibrato; tuttavia, proprio per questa caratteristica, ben si presta ad equilibrare alimenti che contengono grassi.
120
Gli alimenti cardine della dieta mediterranea
Fig. 3 - Confronto tra le percentuali di assunzione di nu-trienti energetici
suggerite dalle Linee Guida per una sana alimentazione ed il loro relativo
contenuto percentuale nel pane
Nelle parti “cruscali” della cariosside del frumento sono presenti
buone quantità di vitamine, sali minerali e di “fibra alimentare”, nei cereali rappresentata prevalentemente dalla cellulosa, importante per la regolazione della motilità intestinale e, quindi per la prevenzione di patologia
quali stipsi, diverticolosi e carcinoma del colon. Se la cariosside non viene
utilizzata integralmente, nella farina sarà ridotto il contenuto in cellulosa,
vitamine e sali minerali, con conseguente riduzione del valore nutrizionale del pane (Fidanza e Liguori, 1984). Con una normale assunzione di pane
integrale, si copre una buona percentuale dei Livelli di Assunzione Raccomandati di numerosi nutrienti: fibra, ferro, acido folico, vitamine B1, B6, PP
(figura 4) (La Guardia e Giammanco, 2005).
Fig. 4 - Percentuale del Livello di Assunzione Raccomandato di nutriente
coperto con gr. 200 (gr. 100 per il bambino) di pane integrale
121
Gli alimenti cardine della dieta mediterranea
Anche la pasta scondita di per sé non è un alimento equilibrato; mancano infatti quasi completamente i lipidi ed inoltre il valore biologico delle
proteine è limitato. La pasta comunque viene sempre consumata cotta e in
combinazione con altri alimenti. Una delle più comuni integrazioni è
quella rappresentata dal condimento che prevede solitamente prodotti
vegetali (olio d’oliva, pomodoro) e formaggio tipo grana. Così, non solo
si eleva sensibilmente il valore qualitativo e quantitativo delle proteine, ma
si ha una ripartizione dell’apporto calorico del tutto confrontabile con
quello che una dieta equilibrata dovrebbe possedere (figura 5).
Inoltre, in questo modo, viene soddisfatta una buona percentuale dei
Livelli di Assunzione Raccomandati di alcuni nutrienti (sali minerali e
vitamina A: figura 6) (La Guardia e Giammanco, 2005).
Fig. 5 - Percentuali di assunzione di nutrienti energetici suggerite dalle Linee
Guida per una corretta alimen-tazione e loro relative quantità (g) nella pasta
cruda, nella pasta cotta, nella pasta cotta condita con salsa di pomodoro, olio
e grana
2. Legumi
Si tratta di alimenti poveri in grassi (eccetto la soia e le arachidi), ricchi in proteine, amido e fibra alimentare. Per tale caratteristica sono considerati anch’essi “equilibratori della razione alimentare”.
La fibra alimentare presente nei legumi è rappresentata prevalentemente dalla lignina e dalla pectina, piuttosto che dalla cellulosa; pertanto,
essa è molto importante per l’insorgenza della sensazione di sazietà, piut122
Gli alimenti cardine della dieta mediterranea
Fig. 6 - Percentuale del Livello di Assunzione Raccomandato di nutriente
coperto con g 300 (g 200 per il bambino) di pasta cotta e condita con olio,
salsa di pomodoro e grana
tosto che per l’aumento della motilità intestinale. Una porzione di legumi
secchi assicura la copertura di quasi il 100% della quantità di assunzione
raccomandata di fibra (La Guardia e Giammanco, 2005).
3. Frutta e Ortaggi
Gli effetti benefici di frutta e ortaggi sono legati non solo alla presenza di fibra alimentare, sali minerali e vitamine, ma anche diversi composti
ad attività antiossidante “phytochemical substances”. Studi epidemiologici
hanno dimostrato una correlazione inversa tra assunzione di tali composti, malattie cardiovascolari e tumori (Willett e Trichopoulos, 1996;
Howard e Kritchevsky, 1997; La Vecchia, et al, 2001).
Ad esempio, negli agrumi questi composti sono rappresentati soprattutto da oltre 60 tipi diversi di flavonoidi (flavoni, flavanoni, flavonoli e
antociani) (Horowitz e Gentili, 1977). I più abbondanti sono i FLAVANONI, sia non glicosilati (NARINGENINA ed ESPERETINA), sia glicosilati
(NEOESPERIDOSIDI, più abbondanti nell’arancia amara e nel bergamotto:
naringina, neoesperidina, neoeriocitrina; RUTINOSIDI, più abbondanti nel
limone: esperidina, narirutina, didimina) (Macheix, et al, 1990; Gionfriddo, et al, 1996; Di Majo, et al, 2005). Ciascuno di questi composti presenta una sua propria capacità antiossidante, strettamente legata alla struttura chimica (coniugazione con il neoesperidosio, numero e posizione dei
gruppi idrossilici, O-metilazione, O-glicosilazione: Di Majo, et al, 2005).
123
Gli alimenti cardine della dieta mediterranea
4. Pesce
Un’osservazione epidemiologica degli anni ’70 evidenziò che popolazioni della Groenlandia avevano una ridotta incidenza di mortalità per
infarto del miocardio, rispetto ad altre popolazioni europee, nonostante
una alimentazione caratterizzata da un elevato consumo di grassi e di colesterolo e da un basso consumo di ortaggi e frutta (“Paradosso degli Eschimesi”: Bang, et al, 1971).
L’effetto protettivo venne messo in relazione con la presenza di acidi
grassi della serie w-3 (acido eicosapentaenoico: EPA; acido docosaesaenoico: DHA) (Dyerberg e Bang, 1979). Inizialmente si suppose che tale
effetto fosse legato alla loro attività antiaggregante piastrinica, ma quando
si osservò che i soggetti che utilizzavano abitualmente pesce due volte a
settimana non erano protetti dal primo infarto (Ascherio, et al, 1995;
Guallar, et al, 1995), ma avevano una riduzione della mortalità postinfartule da aritmie ventricolari postischemiche (Albert, et al, 1998), si comprese che questi acidi grassi dovevano svolgere altre attività.
Oggi gli acidi grassi w-3 sono considerati ipotrigliceridemizzanti
(Eritsland, et al, 1995; Connor e Connor, 1997; Harris, 1997) e antiaritmici (Kang e Leaf, 1996; Connor e Connor, 1997; Simopoulos, 1997).
Infatti, la morte cardiaca improvvisa è spesso causata da aritmie ventricolari maggiori in pazienti con malattia cardiovascolare nota, anche se può
verificarsi anche nei soggetti sani.
Recentemente, è stato osservato che una ridotta variabilità della frequenza cardiaca tra la notte ed il giorno (la frequenza cardiaca si riduce
normalmente durante il sonno) è indice di una eccessiva sensibilità del
cuore ai fattori che ne influenzano l’eccitamento. La riduzione della variabilità della frequenza cardiaca (HRV) è associata ad un aumento della
mortalità nei pazienti postinfartuati (Copie, et al, 1996; Bauer, et al, 2006).
Gli acidi grassi w-3 possono aumentare la variabilità della frequenza
cardiaca determinando così un innalzamento della soglia di fibrillazione
ventricolare che si traduce in un effetto di protezione nei confronti del
miocardio contro aritmie ventricolari (Christensen, et al, 1996; Villa, et al,
2002; Christensen, 2003).
5. Olio d’oliva
L’olio di oliva è la principale fonte di grasso della dieta mediterranea
ed è costituito da una fazione saponificabile (95%-99%) e da una frazione non saponificabile (0,4%-5%). La frazione saponificabile è costituita
124
Gli alimenti cardine della dieta mediterranea
da trigliceridi, acidi grassi saturi, mono- e polinsaturi; la frazione non
saponificabile dell’olio extra vergine di oliva è costituito principalmente
da tocoferoli e polifenoli.
L’acido grasso maggiormente rappresentato è l’acido oleico (6580%), acido grasso monoinsaturo a 18 atomi di carbonio, w-9.
Un maggior consumo di acidi grassi monoinsaturi, anziché polinsaturi, riduce il rischio di aterosclerosi, in quanto le lipoproteine circolanti
sono meno sensibili alla perossidazione (Reaven, et al, 1991; Bonanome,
et al, 1992; Moreno e Mitjavila, 2003). Inoltre, l’acido oleico riduce i livelli di colesterolo e di colesterolo LDL, senza ridurre quelli di colesterolo
HDL; anche il contenuto in colesterolo delle small-LDL è ridotto (Mattson e Grundy, 1985; Grundy, 1986; Mensink e Katan, 1989; Thomsen, et
al, 1999; Archer, et al, 2003). Al contrario, gli acidi grassi polinsaturi, pur
riducendo il livelli di colesterolo totale, riducono i livelli di colesterolo
HDL (Shepherd, et al, 1978; Vega, et al, 1982; Jackson, et al, 1984; de
Bruin, et al, 1993). Pertanto, la sostituzione dell’acido linoleico nella dieta
con acido oleico riduce i livelli di LDL e aumenta quelli di HDL (Madigan, et al, 2005) e un apporto nella dieta (di circa il 15% delle calorie totali) di acido oleico diminuisce i livelli plasmatici di colesterolo-LDL e
incrementa quelli di colesterolo-HDL (Reaven, et al, 1993).
Tuttavia, gli effetti dell’olio d’oliva non possono essere ascritti semplicemente alla composizione in acidi grassi. Tali effetti sono collegabili
anche alla presenza di sostanze ad attività antiossidante, identificate nei
composti fenolici (Mancini e Rubba, 2000).
La classe dei fenoli include numerose sostanze, tra cui composti fenolici semplici come l’acido vanillico, l’acido gallico, l’acido cumarico, l’acido caffeico, il tirosolo e l’idrossitirosolo e composti più complessi come i
SECOIRIDOIDI (oleuropeina e ligstroside), e i LIGNANI (1-acetossipinoresinolo e pinoresinolo) (Vasquez Roncero, 1978; Tsimidou, et al, 1996; Tripoli, et al, 2005). La quantità di queste sostanze dipende da numerosi fattori: cultivar, condizioni pedo-climatiche, sistemi di coltivazione, grado di
maturazione, tipo di terreno, etc).
L’oleuropeina è un estere dell’idrossitirosolo con lo scheletro oleosidico comune ai glucosidi secoiridoidi delle Oleaceae. Impartisce all’olio
quel suo caratteristico gusto piccante e amaro, e possiede una spiccata
proprietà antiossidante, dimostratasi superiore a quella della vitamina E
(Visioli, et al, 1998; Owen, et al, 2000a; Keceli e Gordon, 2001).
La loro capacità antiossidante è associata alla capacità di neutralizzare i lipoperossidi, con formazione di composti più stabili (Visioli & Galli,
125
Gli alimenti cardine della dieta mediterranea
1998); inoltre, sono in grado di chelare ioni metallici, evitando il loro
coinvolgimento nella reazione di Fenton, dalla quale si generano radicali
idrossilici (Halliwell e Gutterige, 1990; Halliwell et al, 1995).
L’olio extravergine d’oliva, grazie all’alto rapporto tra acidi grassi
monoinsaturi e acidi grassi saturi, alle vitamine, ai flavonoidi fenolici e ai
polifenoli, gioca un ruolo importante nella prevenzione di alcuni tumori
in particolare esplica un effetto preventivo sui tumori dell’endometrio e
delle ovaie, della mammella, della prostata, del colon-retto (Hertog, et al,
1995; Willett e Trichopoulos, 1996; World Cancer Fund and American
Institute for Cancer Prevention, 1997; Trichopoulou, et al, 2000; Owen,
et al, 2000b). A tal proposito, studi in vitro hanno evidenziato che i polifenoli dell’olio di oliva possiedono un effetto citotossico su linee cellulari tumorali, probabilmente per induzione dell’apoptosi, e che sono in
grado di indurre differenziazione. Inoltre, la presenza di idrossitirosolo
riduce, in vitro, gli effetti biochimici dei perossinitriti, come la deaminazione dell’adenina e della guanina in alcune linee cellulari (Deiana, et al,
1999). Infine, i lignani hanno anche attività antiestrogenica ed inibiscono
la proliferazione indotta da estrogeni di cellule umane di carcinoma mammario (Mousavi e Adlercreutz, 1992).
Numerosi studi epidemiologici hanno messo in evidenza che il consumo di olio extravergine di oliva ha un’efficacia preventiva nei confronti
dell’aterosclerosi e delle patologie cardiovascolari (Hertog, et al, 1995;
Trichopoulou, et al, 1999). Gli studi in vitro hanno evidenziato che i polifenoli dell’olio extravergine di oliva sono capaci di inibire l’ossidazione
delle LDL (Scaccini, et al, 1992; Visioli, et al, 1995 e 2000; Rice-Evans, et
al, 1996; Wiseman, et al, 1996; Cao, et al, 1997; Masella, et al, 1999; Moreno e Mitjavila, 2003; Nicolosi, et al, 2004), di diminuire i livelli plasmatici del complesso LDL-colesterolo ed incrementare quelli di HDL-colesterolo (Reaven, et al, 1993a), di inibire l’aggregazione piastrinica (Srivastava e Awasthi, 1983; Sato, et al, 1987; Kwon, et al, 1991; Petroni, et al,
1995; de La Puerta, et al, 2000) e l’attività della lipossigenasi (Kohyama, et
al, 1997; de la Puerta, et al, 1999; Martinez-Dominguez, et al, 2001), di
inibire la produzione di radicali liberi sia attraverso un meccanismo di chelazione che attraverso un’azione antiossidante di tipo diretta (Halliwell e
Gutterige, 1990; Halliwell, et al, 1995; Visioli e Galli, 1998b; Tripoli, et al,
2005).
In collaborazione con l’Agenzia delle Dogane di Palermo, abbiamo
126
Gli alimenti cardine della dieta mediterranea
eseguito un confronto del contenuto in composti fenolici in campioni di
olio proveniente dalla cultivar Nocellara del Belice di due annate diverse
(2003-04 e 2004-05) e da una cultivar cretese (Koroneiki) del 2004-05,
considerate le notevoli analogie morfologiche, climatiche, di coltivazione
e di metodologia di raccolta delle olive.
Il contenuto in acido oleico è maggiore nella cultivar cretese, anche
se la differenza è debolmente significativa (figura 7). Anche il contenuto
in tocoferoli tende ad essere maggiore nella Koroneiki (figura 8); pertanto, si può ragionevolmente supporre che sia maggiore la sua capacità
antiossidante totale.
Fig. 7 - Percentuale di acido oleico in oli provenienti da olive Nocellara del
Belice (annate 2003-2004 e 2004-2005 e Koroneiki (annata 2004-2005)
Fig. 8 - Contenuto in tocoferoli (espressi in mg/kg di alfa-tocoferolo) in oli
provenienti daolive Nocellara del Belice (annate 2003-2004 e 2004-2005)
e Koroneiki (annata 2004-2005)
Figure 8 e 9 - Da: Composizione dell’olio d’oliva. Confronto tra oli ottenuti da cultivar del bacino Mediterraneo:
Nocellara del Belice (Sicilia) e Koroneiki (Creta). Tesi di Laurea Specialistica in Farmacia di Monica Konstantulaki
127
Gli alimenti cardine della dieta mediterranea
Fig. 8 - Contenuto in polifenoli (espressi in mg/kg di acido caffeico) in oli
provenienti daolive Nocellara del Belice (annate 2003-2004 e 2004-2005)
e Koroneiki (annata 2004-2005)
Da: Composizione dell’olio d’oliva. Confronto tra oli ottenuti da cultivar del bacino Mediterraneo: Nocellara del
Belice (Sicilia) e Koroneiki (Creta). Tesi di Laurea Specialistica in Farmacia di Monica Konstantulaki
Per quanto riguarda il contenuto in polifenoli, le differenze nella
composizione degli oli del 2003-2004 e del 2004-2005 sottolineano l’importanza dell’annata. Infatti, il contenuto in polifenoli nelle due diverse
cultivar della stessa annata è molto simile, ed è inferiore a quello della
Nocellara del Belice del 2003-04 (figura 9). Questo è spiegabile considerando che entrambe le cultivar hanno subito, nel 2004-2005, l’infestazione della mosca olearia. I polifenoli sono sostanze che le piante utilizzano
come difesa nei confronti dei parassiti; pertanto, le piante infestate ne
mostrano un contenuto minore.
Mentre la maggior parte degli studi condotti sulle linee tumorali
hanno sottolineato l’importanza di queste sostanze nella prevenzione del
cancro, pochi sono gli studi sulle loro potenzialità nella terapia dei tumori. Alcuni recenti studi da noi condotti hanno valutato l’effetto di queste
molecole su linee cellulari tumorali che acquisiscono una resistenza alle
terapie convenzionali (multi drug resistance: MDR); tale resistenza si
manifesta dopo pochi cicli di terapia ed è considerata la principale causa di
fallimento della terapia nei pazienti affetti da cancro.
Abbiamo valutato la sensibilità di cellule della leucemia promielocitica HL60 nelle varianti sensibile e resistente alle antracicline con fenotipo
di tipo MDR ad una miscela di polifenoli (estratto crudo) contenuti ed
estratti dall’olio extravergine “Moraiolo”. È stato scelto l’estratto crudo
piuttosto che le singole molecole, per rappresentare meglio la miscela
128
Gli alimenti cardine della dieta mediterranea
polifenolica assunta con la dieta e per sfruttare un’eventuale azione sinergica di questi composti (figure 10, 11, 12, 13: Crescimanno, et al, 2006).
La variante sensibile ha mostrato una buona sensibilità alla miscela di
polifenoli così come è stato descritto da altri Autori (Della Ragione, et al,
2000; Fabiani, et al, 2002; Gill, et al, 2005).
La variante resistente ha mostrato di essere sensibile all’effetto dell’estratto grezzo quasi come la variante sensibile (figura 10), mostrando
così che l’uso di questi polifenoli è in grado di abbattere una grossa quota
di resistenza che si oppone all’efficacia di un trattamento convenzionale
con doxorubicina, antraciclina verso la quale la stessa linea cellulare
mostra una resistenza pari a 27 volte.
Poiché è stato riportato che uno dei meccanismi che stanno alla base
dell’effetto antiproliferativo di questi composti è mediata dall’induzione
dell’apoptosi (Fabiani, et al, 2002), la buona sensibilità delle due varianti
cellulari ci ha indotto a verificare se la minore sensibilità della variante
resistente all’estratto grezzo fosse dovuta ad un resistenza all’apoptosi.
Altri Autori hanno indicato che l’idrossitirosolo, polifenolo contenuto
nell’olio extravergine di oliva, agisce inducendo apoptosi nel 65% di cellule trattate con una dose pari a 100 µM dopo 24 ore di esposizione e che
Fig. 10 - Effetto dell’estratto grezzo sulla crescita di cellule di leucemia
HL60/S e HL60/R esposte per 48 ore. I risultati sono la media di quattro
esperimenti indipendenti
129
Gli alimenti cardine della dieta mediterranea
l’induzione dell’apoptosi sembrerebbe essere mediata da un aumentato
rilascio di citocromo c (Della Ragione, et al, 2000).
I risultati sperimentali da noi ottenuti indicano che l’estratto grezzo
è particolarmente attivo nell’induzione dell’apoptosi sulla variante resistente (figure 11 e 12) dove la doxorubicina ed altri farmaci antitumorali
o non sono in grado di indurre apoptosi o la inducono in percentuali
molto basse e a dosi che sono particolarmente tossiche.
Fig. 11/12 - Effetto dell’estratto grezzo sull’induzione dell’apoptosi in cellule
HL60/S e HL60/R esposte per 24 ore. I dati si riferiscono a tre esperimenti
indipendenti
130
Gli alimenti cardine della dieta mediterranea
È da puntualizzare che alcune cellule di leucemia HL60 resistenti
mantengono un meccanismo residuo di resistenza all’induzione dell’apoptosi dopo esposizione all’estratto grezzo. Tuttavia, in queste cellule si
osserva una induzione della differenziazione. Infatti i risultati ottenuti
negli esperimenti di differenziazione indicano che il composto grezzo è
capace di indurre differenziazione monocitica sia nella variante sensibile
che nella variante resistente (figura 13).
Fig. 13 - Le cellule HL-60 S ed R esposte per 4 giorni all’estratto crudo
mostrano una MORFOLO-GIA MONOCITARIA distinguibile da quella
blastica delle linee cellulari non trattate
A: controllo HL60/S
B: controllo HL60/R
C: differenziazione monocitaria delle cellule HL60/S dopo 4 giorni di esposizione all’estratto crudo
D: differenziazione monocitaria delle cellule HL60/R dopo 4 giorni di esposizione all’estratto crudo
131
Gli alimenti cardine della dieta mediterranea
6. Vino
L’interesse per gli effetti benefici del consumo di moderate quantità
di vino nasce anche in questo caso da un’osservazione epidemiologica. In
Francia, la prevalenza di patologie legate all’aterosclerosi è minore rispetto a quella di altri Paesi che hanno pari livelli di consumo di grassi con
acidi grassi saturi e colesterolo (“Paradosso francese”: Renaud e De Lorgeril, 1992). Dapprima l’effetto protettivo venne attribuito all’alcol, ma
poiché tale effetto non si osservava nei gruppi di popolazione che assumevano abitualmente bevande alcoliche diverse dal vino (Gronbaek et al,
1995; Jepson, et al, 1995; Ticca, 1995; Ghiselli, et al, 1998; Wollin e Jones,
2001), mentre si osservava in seguito a somministrazione di estratti dealcolati di vino ad animali da laboratorio (Serafini, et al, 1998), si comprese
che era legato alla presenza di componenti “minori”, i composti fenolici
(Landrault, et al, 2001).
Le sostanze ad attività antiossidante nel vino si classificano in flavonoi di (FLAVANOLI: miricetina, quercetine, canferolo, ramnetina, isoramnetina; FLAVAN-3-OLI: epicatechine, catechina, leucoantociani; ANTOCIANINE) e n o n f l a v o n o i d i (DERIVATI DELL’ACIDO BENZOICO: acidi gallico,
protocatecuico, vanillico, siringico; DERIVATI DELL’ACIDO IDROS SICINNAMMICO: acidi caffeico, ferulico, p-cumarico; STILBENI: resveratrolo,
piceatannolo) (Minussi, et al, 2003).
Anche in questo caso, la quantità di queste sostanze dipende da fattori molto diversi. È fondamentale il tipo di vinificazione; infatti, poiché
molti composti fenolici sono presenti nella buccia dell’acino, e poiché la
vinificazione “in rosso” non prevede l’allontanamento delle bucce prima
della fermentazione, la quantità dei composti fenolici nei vini rossi è maggiore (Bravo, 1998).
Oltre che la tecnica di vinificazione, vi sono diversi altri fattori che
influiscono sulla quantità di polifenoli del vino. Ad esempio, anche le
modalità di conservazione possono avere un loro ruolo. In collaborazione
con l’Institut Universitaire de la Vigne et du Vin “Jules Guyot”, Université
de Bourgogne, (Dr. David Chassagne), abbiamo osservato che il contenuto in resveratrolo e malvidina si riduce se il vino viene conservato in botti
di legno; infatti, parallelamente alla riduzione del contenuto di questi polifenoli, si assiste ad un aumento della loro presenza nel legno delle botti
(figure 14, 15, 16, 17).
132
Gli alimenti cardine della dieta mediterranea
Fig. 14 - Cinetica di decadimento della concentrazione di malvidina-3-Oglucoside dopo 35 giorni di contatto con il legno di rovere
Fig. 15 - Cinetica di assorbimento della malvidina-3-O-glucoside da parte
del legno di rovere dopo 35 giorni di contatto
133
Gli alimenti cardine della dieta mediterranea
Fig. 16 - Cinetica di decadimento della concentrazione di resveratrolo dopo
35 giorni di contatto con il legno di rovere
Fig. 17 - Cinetica di assorbimento del resveratrolo dopo 35 giorni di contatto con il legno di rovere
134
Gli alimenti cardine della dieta mediterranea
Tuttavia, non è detto che la capacità antiossidante di un vino sia legata alla quantità assoluta in composti fenolici. Infatti, nei nostri laboratori
abbiamo riscontrato che non esiste alcuna relazione tra il contenuto in
polifenoli dei vini rossi e la loro capacità antiossidante (figura 18). Evidentemente, la capacità antiossidante totale dipende anche da altri fattori,
come potrebbe essere il grado di aggregazione delle molecole polifenoliche nel vino (Di Majo, et al, 2006).
Infine, in collaborazione con il Centre d’Oenologie, della Facoltà di
Farmacia di Montpellier (Prof. P.L. Teissedre), abbiamo valutato, nei ratti,
l’effetto correttivo delle molecole fenoliche più rappresentative sugli
effetti metabolici associati alla sindrome metabolica indotta da fruttosio.
L’acido gallico si è dimostrato il più efficace nel ridurre la pressione arte-
Fig. 18 - Confronto tra contenuto il polifenoli totali e capacità antiossidante
di vini rossi provenienti da diverse cultivar siciliane
135
Gli alimenti cardine della dieta mediterranea
riosa (figura 19); l’indice HOMA (Homeostatic Model Assessment: Glucosio Plasmatico * Insulina del siero / 22,5) di insulinoresistenza è stato corretto da acido gallico e delfinidina (figura 20); la produzione di anione
superossido e la sovraespressione delle subunità “p22phox” e “gp01phox”
della NADPH ossidasi (parametri di valutazione dello stress ossidativo)
da acido gallico, delfinidina, catechina e resveratrolo (figure 21 e 22). Nessun effetto abbiamo riscontrato su glicemia, insulinemia, assetto lipidico,
indice di massa cardiaca, livelli degli Advanced Oxidative Protein Products
(prodotti di ossidazione degli aminoacidi solforati ed aromatici delle proteine, considerati marcatori protidici dello stress ossidativo, responsabili
della formazione di dimeri della tirosina).
Fig. 19 - Valori di pressione arteriosa negli animali a fine trattamento
Fig. 20- Valori dell’indice HOMA di insulino-resistenza negli animali a fine
trattamento
F= lotto alimentato con fruttosio; FC= lotto alimentato con fruttosio e catechina; FAG= lotto alimentato con fruttosio e acido gallico; FR= lotto alimentato con fruttosio e resvera-trolo; FD= lotto alimentato con fruttosio e delfinidina; FMél= lotto alimentato con fruttosio e miscela al 25% di catechina, acido gallico, delfinidina e resveratrolo
136
Gli alimenti cardine della dieta mediterranea
Fig. 21 - Valutazione della produzione cardiaca di anione superossido negli
animali a fine trattamento
Fig. 22 - Valutazione della sovraespressione delle subunità “p22phox” e
“gp01phox” della NADPH ossidasi negli animali a fine trattamento
7. Conclusioni
L’opinione, basata soprattutto sui dati epidemiologici, secondo la
quale la Dieta mediterranea è utile nella prevenzione di diverse patologie
degenerative, è ormai diffusa e considerata scientificamente valida.
Oggi è tuttavia indispensabile proseguire nella ricerca, sia al fine di
identificare i componenti chimici responsabili degli effetti benefici presenti nei diversi alimenti tipici della Dieta mediterranea, sia per determinarne il meccanismo d’azione.
137
Gli alimenti cardine della dieta mediterranea
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10
Dieta mediterranea
e tumori
Nicola Gebbia
Primario dell’U.O. Complessa
di Oncologia Medica del Policlinico
Universitario di Palermo
Dieta mediterranea e tumori
Approfitto dei momenti di approntamento informatico per ringraziare Nino Bacarella, un caro amico che mi ha voluto coinvolgere.
Naturalmente delle cose che dico in buona parte avrete magari già
sentito parlare questa mattina, ma forse dette dal punto di vista del medico qualche differenza ci può essere.
Una decina di giorni fa sono stato invitato a fare un seminario sui
prodotti tipici dell’alimentazione mediterranea presso la Facoltà di Agraria e ho scelto di dare il titolo: “Rapporto tra alimentazione e malattie
neoplastiche: dall’aneddotica ai dati scientifici”. Perché se è pur vero che i
tumori rappresentano 1/4 in assoluto delle morti che colpiscono i nostri
paesi industrializzati – cioè una persona su quattro muore di tumore – è
anche vero che il tipo di alimentazione rappresenta indubbiamente la
causa di circa 1/3 dei tumori, che è poi la stessa percentuale di tumori che
si ritiene siano causati dal fumo del tabacco. I dati che vedete (Fig.1) sono
drammatici, perché ci dicono che in realtà il 60-70% dei tumori ce lo causiamo noi stessi attraverso una cattiva alimentazione o attraverso l’uso del
tabacco.
Quando si parla di alimentazione e di cancro ci troviamo di fronte ad
un problema che ha due facce, vale a dire una specie di Giano nel quale da
un lato bisogna prendere in considerazione il fatto che alcune sostanze
Fig. 1
Willett W.C.,(2001), Cancer Epidemiol. Biomarkers Prev. 10, 3.
149
Dieta mediterranea e tumori
che introduciamo con la dieta possono avere un effetto protettivo, mentre altre sostanze invece possono causare il cancro. Sappiamo infatti che
alcune sostanze presenti negli alimenti sono sicuramente cancerogene e
dobbiamo cercare di evitarle. Tra esse le prime che vengono in mente sono
naturalmente i contaminanti, (Fig.2) ma attenzione, non tutti gli inquinanti sono cancerogeni, e questo elenco (Fig.3) individua quelli che sicuramente lo sono. E’ però interessante vedere, per così dire, l’altra faccia
della medaglia, vale a dire ciò che è presente nel cibo e che invece ha un
Fig. 2
Fig. 3
150
Dieta mediterranea e tumori
effetto protettivo. L’effetto di protezione viene accreditato con molta
facilità, direi in maniera decisamente eccessiva per la voglia di promuovere un determinato alimento. Ma, come già detto, se vogliamo passare dall’aneddotica ai fatti concreti scientificamente provati, solo alcune cose
sono accertate, per esempio è assolutamente certo che le fibre funzionino
in senso protettivo; ma altre cose che si dicono su agrumi, uve, e così via
per un’infinita serie di alimenti, sono spesso ancora da convalidare scientificamente. Non è infatti sufficiente ipotizzare un qualche meccanismo
d’azione in laboratorio per accreditare, a questo ipotetico meccanismo
d’azione, un effetto protettivo che vediamo epidemiologicamente nelle
nostre popolazioni. Le cose sono molto più complicate ed è necessario,
per comprenderle, delineare come si valutano scientificamente i rapporti
tra epidemiologia del cancro ed alimentazione.
Guardiamo la situazione a livello europeo (Fig.4). Quelli che vedete
in rosso sono i tassi per centomila di mortalità per uomo e per donna. Il
triste record della maggiore mortalità per cancro appartiene alla Francia
per gli uomini, alla Danimarca per le donne, mentre la Grecia ha l’invidiabile primato di essere il posto dove meno si muore di cancro.
Fig. 4
151
Dieta mediterranea e tumori
L’Italia, come vedete, è collocata in una situazione intermedia ma,
come è rilevabile da questi altri dati (Fig.5) presenta nelle sue regioni
situazioni estremamente diverse. Nel grafico vengono mostrate insieme le
mortalità per tumori, in rosso, o per malattie del sistema circolatorio, in
giallo-arancio, e vedete come dal Nord verso il Sud si ha una grossa progressiva riduzione della mortalità per tumori, delineando quindi scenari
estremamente diversi.
Cosa si fa quando si vuole fare un rapporto scientificamente corretto
fra alimentazione e tumori? Dobbiamo naturalmente identificare i composti cancerogeni presenti nei cibi caratteristici di una certa alimentazione, ma anche quelli che hanno un’azione protettiva. Dobbiamo poi identificare i meccanismi con cui essi esplicano queste loro azioni, per giungere infine al punto finale d’arrivo che è quello della messa a punto di diete
in cui vengono utilizzate queste conoscenze.
Fig. 5
152
Dieta mediterranea e tumori
I tumori nascono con una progressione che ormai conosciamo
(Fig.6). C’è un danno iniziale nel DNA da parte di sostanze che sono di
solito dei mutageni. Caratteristico agente mutageno sono le radiazioni,
per esempio. Questo primo danno viene fissato successivamente, in una
fase che viene detta di promozione, da sostanze che in gran parte di per sé
non sarebbero cancerogene, non sono cioè direttamente in grado di danneggiare il DNA. Poi c’è la fase di progressione che dura circa un anno in
cui questa crescita neoplastica dà origine ad un franco tumore maligno.
Fig. 6
Ci sono due cose importanti da ricordare nel campo della prevenzione dei tumori. La prima è che l’oncogenesi – quello che vi ho appena
descritto – è un processo multifasico, con molti punti d’attacco sui quali si
può intervenire, la seconda è che l’oncogenesi dura molto a lungo e quindi c’è anche un largo lasso di tempo durante il quale si può intervenire.
Vi prego di notare come la tempistica della cancerogenesi sia veramente complessa (Fig.7). Guardiamo il colon, per esempio, in cui il passaggio da mucosa normale ad adenoma prende sino a 20 anni di tempo,
dall’adenoma al cancro ci arriviamo in altri 5-20 anni. Non sempre vediamo queste fasi di pre-cancerosi, perché, per esempio, a livello del polmone, e sappiamo bene quanto sia diffuso il cancro polmonare, non abbiamo
la possibilità di rilevarle. Queste differenze dipendono anche dalle nostre
possibilità di esaminare, dal punto di vista morfologico e del campiona153
Dieta mediterranea e tumori
Fig. 7
Da: O’Shaughnessy et Al., Clin Can Res 2002
mento, il tessuto nel quale il tumore si presenta.
Noi sappiamo che il cibo influenza largamente l’incidenza dei tumori. Prendiamo l’esempio del colon retto perché è uno di quei tumori in cui
ovviamente il rapporto tra cibo e insorgenza delle neoplasie è più stretto.
È possibile fare studi di livello scientifico per la prevenzione a livello del
colon retto, che pigliamo come modello ideale? Senz’altro sì, per vari
motivi. Conosciamo molto bene la sequenza di eventi genetici che portano al cancro, vi è un’ampia finestra temporale nella quale intervenire, possiamo agevolmente e facilmente ripetere il controllo sull’organo target,
c’è una popolazione a rischio ben identificata; possiamo anche identificare le persone che hanno, per caratteristiche genetiche ereditarie un’elevatissima probabilità di ammalare, soggetti che devono essere esclusi da
tutte queste sperimentazioni perchè confonderebbero le casistiche. Infine
c’è l’adenoma come end-point surrogato (Fig.8).
Tutto ciò necessita di qualche spiegazione. E allora cominciamo col
dire che noi sappiamo ormai esattamente, in quello che è il passaggio dal154
Dieta mediterranea e tumori
Fig. 8
l’epitelio normale sino al carcinoma colorettale, quali sono le alterazioni
genetiche che si accompagnano alle tappe di questa marcia verso il cancro
(Fig.9). Abbiamo anche la possibilità, con le colonscopie, di andare a ispezionare il colon delle persone che mettiamo sotto controllo epidemiologico. Come vedete l’aspetto istologico normale, quello dell’adenoma e
quello del carcinoma sono quadri nettamente diversi, sicuramente rilevabili e distinguibili con facilità purchè ci sia un minimo di esperienza da
parte dell’operatore (Fig.10).
Un problema particolare è quello che nella popolazione generale la
probabilità di sviluppare un carcinoma colorettale non è elevatissima, per
cui se vogliamo fare un lavoro di prevenzione sul carcinoma dobbiamo
prendere in considerazione almeno 10.000 persone e seguirle per 10 anni,
il che significa un lavoro immenso. E non bisogna trascurare che una sperimentazione che ha bisogno di 10 anni di osservazione in realtà dura
molto di più, perché dobbiamo sommare ai 10 anni di osservazione il
tempo necessario ad arruolare le 10.000 persone in studio.
155
Dieta mediterranea e tumori
Fig. 9
Ilyas M. Eur J Cancer 1999
Fig. 10
Needieman P. J Rheumatology 1997
156
Dieta mediterranea e tumori
C’è modo di abbreviare anche considerevolmente i tempi delle nostre
osservazioni, studiando non la prevenzione del cancro ma la prevenzione
di quella formazione ancora benigna, l’adenoma, che in realtà è la prima
tappa obbligatoria verso il cancro, anche se non tutti gli adenomi si trasformano poi in neoplasie maligne. Con questo stratagemma riusciamo ad
avere dati di sicura affidabilità utilizzando un massimo di 3.000 pazienti,
quindi riducendo al 30% il numero di soggetti da arruolare e con un follow-up estremamente più ridotto.
L’adenoma è un ottimo end-point surrogato per valutare il rischio di
cancro, in quanto i fattori di rischio e le alterazioni genetiche sono comuni: infatti, come già detto, la prima alterazione del processo che porta al
cancro è la comparsa di un adenoma. C’è poi un dato sperimentale di
grande rilievo: se con molta pazienza e costanza in una persona asportiamo tutti gli adenomi che si vanno eventualmente manifestando negli anni,
questa persona non si ammalerà di cancro del colonretto. Un altro dato
sperimentale comprovato è che tutto ciò che riesce a ridurre l’incidenza
degli adenomi riduce anche l’incidenza del cancro. Quindi, come vedete,
un sistema molto affidabile. Esistono numerosi studi fatti da Istituzioni
del massimo livello mondiale, tra cui l’N.C.I. (National Cancer Institute)
di Bethesda, in cui la comparsa di adenomi è stato utilizzata, dal punto di
vista della prevenzione alimentare, per controllare che una certa dieta
riducesse l’incidenza di cancro. La stessa metodologia è stata applicata a
tanti altri importanti studi di prevenzione, come , per esempio, quello che
è nato dall’osservazione che chi assumeva almeno in una certa quantità
mensile aspirine o altri antinfiammatori aveva una consistente riduzione
del numero di carcinomi.
I greci sono spesso sotto osservazione perché, come detto, sono la
popolazione mediterranea che in realtà ha conservato di più una dieta
mediterranea vera e propria. Un recente grosso lavoro, 22.000 pazienti
presi in considerazione, dimostra che effettivamente almeno in senso
generico la dieta funziona, cioè riduce la mortalità; ma siccome sappiamo
che la mortalità per 1/4 dipende dal cancro, tiriamo fuori la conclusione
che probabilmente funziona anche nel senso della riduzione del tumore.
Se questo risultato lo associamo al dato epidemiologico che nei greci l’incidenza di neoplasie è veramente molto più bassa che altrove, direi che il
conto è presto fatto.
Però alcuni studi sono stati ancora più completi e più focalizzati sul
cancro.
157
Dieta mediterranea e tumori
Lo studio EPIC, che è partito all’inizio degli anni novanta (Fig.11),
studio immenso con mezzo milione di persone arruolate e seguite in
maniera assolutamente completa (i paesi interessati sono quelli che vedete a colori nella carta geografica europea), ha permesso di dimostrare tantissime cose nel rapporto fra alimentazione e cancro. Per restare al solo
carcinoma del colon (Fig.12), che è uno dei più importanti anche per la
frequenza con cui questa malattia si presenta, in questo studio l’ipotesi
che le fibre alimentari funzionano in senso protettivo ha ricevuto una
conferma assoluta, non solo, ma si è anche potuto osservare che qualsiasi
tipo di fibra in realtà funziona. Poi si è potuto anche dimostrare con assoluta certezza che il consumo di carni rosse è decisamente aggravativo della
probabilità di contrarre il carcinoma colorettale, mentre il consumo di
pesce ha un sicuro effetto preventivo. Questo, naturalmente, era qualche
cosa che ci aspettavamo, perché sappiamo, questi nella figura 13 sono dati
notissimi, che tutte le nazioni dove c’è un’alta incidenza di carcinoma
colon rettale (in rosso) sono tutte nazioni ricche, ad alto consumo di
carni vaccine; l’unica eccezione è l’Argentina, che non è certo una nazione ricca, specie in questi ultimi anni, ma che carni rosse ne consuma in
abbondanza per il semplice motivo che le produce.
Fig. 11
158
Dieta mediterranea e tumori
Fig. 12
Fig. 13
159
Dieta mediterranea e tumori
Ma passiamo ad altri studi. Tutti conosciamo il famoso paradosso
francese, vale a dire dell’azione protettiva di una dieta non mediterranea,
ma con l’unica similitudine del consumo di vino rosso. Il Resveratrolo
contenuto in esso rimane il più importante indiziato per spiegare quest’azione protettiva, che dapprima è stato evidenziata per le malattie cardiovascolari, ma che in seguito ha dimostrato di estendersi anche ai tumori. Se vogliamo avere un’idea dell’interesse suscitato dal rapporto tra
resveratrolo e cancro possiamo consultare su Internet il sito Medline, il
più grosso archivio esistente per la produzione scientifica biomedica.
Come vedete (Fig.14), da anni si assiste ad un incremento davvero esponenziale dei lavori, che testimonia il grande interesse attuale dell’argomento. Il resveratrolo e tante altre sostanze (più genericamente stilbeni)
presenti nel vino sono delle fitoalessine, che sono ciò che sostituisce nelle
piante il nostro sistema immunitario, che le piante non posseggono. Ma
da che cosa viene la certezza che il resveratrolo, o è più esatto dire il vino
rosso, prevenga il cancro? Da alcuni dati epidemiologici. Questo splendido lavoro, riassunto nella figura 15, è stato fatto su 30.000 statunitensi.
Gli Stati Uniti si prestano molto bene a questi lavori perché è una delle
Fig. 14
160
Dieta mediterranea e tumori
poche nazioni nelle quali possiamo con facilità distinguere quella parte di
popolazione che beve vino rosso, da quella che non lo beve, mentre da noi
un po’ di vino rosso lo beviamo tutti. Da questi dati si vede che il Linfoma non-Hodgkin, che è fra l’altro considerato una neoplasia segno in
genere di inquinamento o di esposizione ad agenti cancerogeni, ha un’incidenza pari a circa la metà nei soggetti che bevono abitualmente vino
rosso. Ancora, da quest’altro lavoro riassunto nella figura 16, le donne che
bevono vino rosso hanno un rischio di carcinoma ovarico che è di circa il
40% inferiore a quelle che non bevono vino rosso o assumono altre
Fig. 15
Am J Epidemiol 2002;156:454-462
Fig. 16
Obstet Gynecol. 2003 Jun;101(6):1221-8
161
Dieta mediterranea e tumori
bevande alcoliche. Il vino rosso protegge anche dall’insorgenza di carcinoma polmonare (Fig.17). Sto citando non dei “si dice”, ma degli studi epidemiologici di alta serietà. Addirittura quest’altro studio (Fig.18) è riuscito a calcolare che ogni bicchiere di vino rosso abitualmente consumato
Fig. 17
Thorax. 2004 Nov;59(11):981-5
Fig. 18
Int J Cancer 2005;113:133-140
162
Dieta mediterranea e tumori
ogni settimana, riduce del 6% la probabilità d’insorgenza del carcinoma
prostatico. Anche per il carcinoma colon rettale c’è indubbiamente
un’azione protettiva del vino rosso (Fig.19).
Tutto questo ha smosso l’interesse di tantissimi ricercatori. Il Consorzio CORIBIA, che ho l’onore di presiedere, ha lavorato lungamente
sul contenuto di stilbeni in differenti vini siciliani, con un’indagine molto
impegnativa, in quanto non solo abbiamo valutato, per alcune centinaia di
vitigni, il contenuto in stilbeni nel vino che se ne otteneva, ma abbiamo
anche messo a punto delle schede per dare poi successive indicazioni ai
nostri viticultori, perché potessero utilizzare opportune modalità di coltivazione per massimizzare il contenuto di resveratrolo. Questa tipologia di
ricerca non è qualche cosa che abbiamo inventato noi, in questo momento negli Stati Uniti, dove vi è un grossissimo interesse verso questo tipo
di vinificazione, vi sono addirittura in vendita – lo cito sempre perché è
una cosa che mi ha molto colpito – delle attrezzature che non sono altro
che una modifica dei lettini ad UV originariamente nati per abbronzarsi.
In essi, invece che il soggetto umano, si mettono i grappoli da sottoporre
poi a vinificazione, dato che l’esposizione agli UV è uno dei fattori che stimolano potentemente la produzione di stilbeni. Sembra incredibile, ma di
Fig. 19
163
Dieta mediterranea e tumori
certo non meraviglierà chi conosce il pragmatismo statunitense.
Abbiamo anche scoperto che c’è un vecchio vitigno siciliano, il Perricone, in cui i contenuti di stilbeni sono da 5 a 6 volte superiori a quelli
della media degli altri vitigni. Quindi una specie di piccolo stabilimento di
produzione del resveratrolo e degli altri stilbeni.
Abbiamo anche scoperto che nel vino siciliano – chissà perché solo
nel vino siciliano, e non riusciamo a trovarlo altrove – c’è un altro stilbene, il piceatannolo, la cui presenza ha colpito particolarmente un oncologo come me, perché da circa 20 anni il piceatannolo viene indagato come
agente sperimentale per il trattamento della leucemia. Come vedete dalla
figura 20, questo primo lavoro, in cui si parla della possibilità di utilizzazione del piceatannolo è addirittura del 1984.
Ma dopo tanti anni e dopo tanti dati di assoluta certezza del rapporto tra vino rosso e cancro, restano alcune cose importanti da chiarire. Il
resveratrolo, che è lo stilbene che viene di solito accreditato per le più
importanti funzioni anticancro, viene assorbito in quantità sufficiente? I
primi dati sembrano dire che l’assorbimento è davvero minimale. Bisogna
però dire che le tecniche di farmacocinetica, di dosaggio, che solitamente
utilizziamo sono tarate per i farmaci di comune impiego, dei quali non
facciamo un uso per 20 anni, che è il periodo per cui bisogna assumere il
resveratrolo perché si abbia un’azione protettiva. Quindi, è probabile che
bisognerebbe andare a cercare nei tessuti se il resveratrolo si deposita nelle
cellule che poi vengono protette successivamente dal cancro. Poi, ad agire
è il resveratrolo o un suo metabolita, o altri stilbeni che sono presenti nel
vino rosso? Bisogna lavorarci sopra.
Fig. 20
J Nat Prod. 1984 Mar-Apr;47(2):347-52
164
Dieta mediterranea e tumori
Infine, qual è il meccanismo biologico dell’azione protettiva del
resveratrolo o degli altri stilbeni? E’ possibile vedere dal comunicato
stampa di questa Agenzia (Fig.21) come questi problemi abbiano suscitato tanto interesse che americani e inglesi si sono consorziati insieme per
studiare qual è l’assorbimento del resveratrolo e qual è il suo assorbimento quando non viene preso in veicolo alcolico. Queste ricerche trovano
la loro ragione di essere in una moda che si va diffondendo oltreoceano:
in questo momento negli Stati Uniti sono in vendita come integratori alimentari una larga messe di prodotti che contengono resveratrolo in pastiglie (Fig.22) e non sappiamo se di questi qualche cosa si assorbe o meno.
Come avrete notato da alcune etichette, la moda, come abitualmente succede, si va diffondendo anche in Italia.
Il resveratrolo (e molti altri stilbeni similari) ha un numero enorme
di attività biologiche, cioè è quella che di solito viene chiamata una struttura privilegiata, vale a dire una struttura chimica naturale che ha la capacità di interagire con un gran numero di sistemi biologici. Parecchie delle
interazioni riscontrate per il Resveratrolo interessano sistemi cui viene
accreditata un’azione preventiva sul cancro: fra questi l’induzione dell’apoptosi è quello che viene di solito indicato come il più probabile dei
meccanismi messi in moto dal resveratrolo che porta a protezione del cancro. In pratica nelle nostre cellule – è un fatto che si sa da alcuni anni –
Fig. 21
165
Dieta mediterranea e tumori
Fig. 22
esiste un meccanismo di autodistruzione che fa sì che quando le cellule
vengono lese oltre un certo limite di danneggiamento che l’organismo
giudica antieconomico riparare, si procede alla distruzione della cellula. E’
suggestivo dire che questo sistema non è altro che la rottamazione applicata alle nostre cellule. Questo tipo di meccanismo è estremamente
importante perché, per fare un esempio, quando c’è un’infezione virale o
un danneggiamento del DNA che può essere il preludio del cancro, molte
delle cellule vengono distrutte grazie a questo meccanismo, con il risultato che viene bloccata l’infezione virale o la progressione verso il cancro.
E questo, fra l’altro, ci fornisce un dato interessante, cioè quello di vedere come una molecola funzioni allo stesso modo nelle cellule delle piante
e nelle nostre cellule.
Il meccanismo è assolutamente identico, la cellula della pianta va in
apoptosi perché è stata infettata da virus, come fa la nostra cellula. Ed è
un meccanismo immunologico che, per così dire, apparenta le nostre cellule e quelle delle piante. Questa che vediamo nella figura 23 è una sche166
Dieta mediterranea e tumori
matica descrizione dell’apoptosi che è, fra l’altro, di gran lunga il modo
più comune in cui muore una cellula. Normalmente cioè o una cellula la
distruggiamo molto rapidamente con qualche mezzo fisico, oppure
muore per apoptosi. Fra l’altro è un meccanismo estremamente interessante – nella figura sono elencati alcuni lavori che abbiamo fatto nel
nostro gruppo – perché si è potuto osservare che questa induzione dell’apoptosi riesce a bloccare un meccanismo di resistenza molto importante e molto comune nei confronti delle sostanze antitumorali. Molti tumori diventano resistenti al trattamento delle sostanze antitumorali perché
perdono la capacità di fare apoptosi, ma con queste molecole possiamo
restaurare il meccanismo riportando alla sensibilità le cellule. Questo
meccanismo di ripristino è già arrivato alla sperimentazione in campo
umano.
Confesso che l’argomento ci ha molto affascinati, tanto che ci siamo
messi con i chimici farmaceutici a modificare la molecola del piceatanno-
Fig. 23
167
Dieta mediterranea e tumori
lo e del resveratrolo, ottenendo dei composti nei quali questa attività era
50-100 volte più attiva e sembra invitante per l’impiego umano. Le Fig.24
e 25 riportano le ricerche più significative fatte dal CORIBIA.
Fig. 24
Fig. 25
168
Dieta mediterranea e tumori
Ma andiamo alle conclusioni. I rapporti tra alimentazioni e patologie
neoplastiche esistono sicuramente, ma è necessario capire esattamente che
cosa, nell’enorme varietà di sostanze contenute in un cibo sia responsabile dell’effetto inducente o protettivo in senso oncologico. Poi, naturalmente, si consideri che tutto ciò non è facile da calcolare su una popolazione umana che cambia con rapidità le proprie abitudini di vita, specie
quelle alimentari, e cambia anche l’ambiente nel quale viviamo: tutta questo è e quindi una ricerca che deve essere integrata in maniera olistica in
tutto quello che è il nostro stile di vita. E naturalmente, ancora, al giorno
d’oggi, quando abbiamo ormai acquisito grande capacità di valutare le
caratteristiche genetiche che ci differenziano l’uno dall’altro, è da valutare il ruolo giocato dalla costituzione genetica di ciascuno di noi, modificando il modo in cui metabolizziamo i farmaci, gli alimenti o quant’altro
con cui veniamo in contatto.
Io spero che le raccomandazioni alimentari, che finora sono state
fatte su una base fortemente empirica, possano finalmente passare nell’ambito delle raccomandazioni in cui vi è una solidissima base scientifica.
169
11
Antica saggezza contadina
e realtà moderna:
il vino rosso di sicilia
ed i suoi benefici effetti
sulla salute
Domenico Campisi
Gino Avellone
Proff. Associati di Medicina Interna
Dipartimento Biomedico di Medicina
Interna e Specialistica - Università di Palermo
Antica saggezza contadina e realtà moderna: il vino rosso di sicilia ed i suoi benefici effetti sulla salute
1. Antica saggezza contadina: trentamila anni di storia
La data della scoperta della vinificazione è così remota che è impossibile arrivare a conoscerla con esattezza. Si ritiene possa essere avvenuta
nel periodo neolitico, iniziato circa 30.000 anni fa. I ritrovamenti di cumoli di vinaccie nei pressi di insediamenti preistorici risalenti a quell’epoca
fanno supporre questa allocazione cronologica. Ritrovamenti fossili risalenti a più di tre milioni di anni, di varietà di vite selvatica, nel bacino del
Mediterraneo fanno pensare ad epoche più antiche.
Si ritiene comunque che la viticoltura sia nata in Mesopotamia, nell’antica Persia, dove sono stati rinvenuti orci di terracotta datati 7000 anni
prima di Cristo e contenenti tracce di vino.
Nelle più svariate tradizioni il vino si colloca, sin dal suo primo apparire come bevanda dagli effetti ambivalenti, punto di giunzione dell’uomo
con il sacro, “sacer et terribilis”. Se per Aristofane: “Quando gli uomini
bevono, allora sì che diventano ricchi, riescono negli affari, vincono la
cause, sono felici e aiutano gli amici”, persino per lo stoico Seneca “l’ubbriachezza eccita e porta alla luce tutti i vizi, togliendo quel senso di pudore che costituisce un freno agli istinti cattivi”.
Per i Sumeri, la vite ed il vino erano simboli di immortalità.
Nella Bibbia la vigna viene citata più di 500 volte ed il vino è sempre
associato alla gioia di vivere, come, ad esempio, si riscontra nell’episodio
delle nozze di Cana e nel Cantico dei Cantici, nel poco posteriore Talmud,
sacro gli Ebrei, “non c’è gioia senza vino”.
Le prime pozioni medicinali a base di vino furono allestite dai medici di Babilonia e successivamente passaro a far parte dei trattameni curativi dei medici dell’Egitto dei Faraoni: risultati discutibili per contenere la
calvizie, più efficaci per purificare l’acqua e per il processo di mummificazione.
Nel 460 a.C. con Ippocrate, la medicina inizia il cammino di liberazione dalla magia e dalla stregoneria, che l’avrebbe portata attraverso i
secoli a diventare la scienza riconosciuta e articolata che è oggi. In alcuni
scritti Ippocrate consigliava il vino per combattere la febbre, come diuretico, come antisettico, di aiuto alle convalescenze.
Nella cultura medica etrusca, il vino era ampiamente utilizzato, insieme al cavolo, sia come impiastro da apporre sulle ferite, sulle tumefazioni
e le lussazioni, oltre che in caso di ascessi, per favorirne l’apertura con fuo173
Antica saggezza contadina e realtà moderna: il vino rosso di sicilia ed i suoi benefici effetti sulla salute
riuscita del liquido infetto. Galeno, nel suo “De Rimediis”, dedicava un
lungo capitolo alla terapia con ricette a base di vino. A Roma il vino diventa popolare come cultura e come bevanda ed è utilizzato come disinfettatte. Plinio spiega le proprietà anestetiche del vino attribuendone l’azione dell’aceto sul carbonato di calcio, con formazione di acido carbonico,
dalle leggere proprietà anestetiche locali. Racconta dell’utilizzo di briciole di pane imbevute di vino aromatizzato, come svezzamento per i bambini di un anno e mezzo. Plinio consigliava pure l’utilizzo del piombo per
addolcire le uve aspre ed immature; un metodo caratteristico dell’antica
Roma, che si sarebbe scoperto velenoso a seguito delle ricerche del medico seicentesco Eberhard Gockel di Ulm. In una Epistola San Paolo ammonisce Timoteo a smettere di bere acqua ed a ricorrere al vino “perché curerà lo stomaco e gli altri mali”.
Nel Medioevo i medici della scuola di Bologna, erano convinti che
una fasciatura imbevuta di vino portasse alla cicatrizzazione ed alla guarigione della ferita.
Nel 1600 il vino veniva utilizzato per curare la melanconia, il tremore di cuore, la rogna, la lebbra; per liberare il paziente dai vermi intestinali si usava il vino alla borragine ed alla melissa; mentre per la tisi e la febbre quartana il vino al rosmarino. Piranelli , medico del 1611, nel trattato
“della natura dei cibi e del bere” raccomanda il vino bianco per purgare le
vene dagli umori corrotti.
Si racconta che Luigi XIV immergesse la propria gamba ingangrenita
in una vasca piena di vino aromatizzato per alleviare il dolore.
La pastorizzazione, oggi pratica corrente, fu scoperta da Luigi
Pasteur studiando i vini ed i loro inacidimenti, per incarico di Luigi Napoleone, preoccupato per il deterioramento dei suoi vini. Pasteur evidenziò
che il vino in provetta tappata bloccava la proliferazione dei batteri, mentre quello aperto all’aria ne favoriva la proliferazione, ed inoltre che il vino
riscaldato a 60 gradi distruggeva il 99% dei batteri.
Il medico Costantino Africano di scuola salernitana nel suo “De flore
dietorum” afferma che: il vino ,moderatamente bevuto, conforta ed
aumenta il calore corporeo naturale, espelle la bile gialla col sudore e le
urine, riscaldando ed inumidendo la bile nera, ammorbidisce le membra
irrigidite, indurite e secche per la fatica e l’eccessiva stanchezza; toglie la
spossatezza e ridona le forze ai malati, ingrassa i corpi, rinforza l’energia
e l’appetito.
174
Antica saggezza contadina e realtà moderna: il vino rosso di sicilia ed i suoi benefici effetti sulla salute
A metà degli anni del 1700, un medico diventato famoso nato a Graz,
in Austria, Leopold Auenbrugger, imparando a stimare la quantità di vino
contenuta nelle botti picchettando con le nocche sulle doghe della bottega paterna , utilizzò lo stesso metodo per esaminare gli organi interni del
corpo umano (addome e torace) elaborando così un metodo di diagnosi
chiamato “percussione”, ancora oggi adottato: semeiotica fisica.
E’ possibile dire che la saggezza popolare conserva il frutto della sua
millenaria esperienza nel sostenere che “buon vino fa buon sangue”, che
“il vino è il latte dei vecchi”, che “il vino allunga la vita”, oggi infatti, grazie alle recenti scoperte nel campo della scienza biochimica, possiamo
affermare che non vi nulla di più veritiero.
Recentemente, si sono cominciate ad individuare con accurate analisi
le 650 sostanze presenti nel vino, valutandone le caratteristiche nutrizionali ed evidenziandone le attività di tipo farmacologico.
Si sono verificate importanti funzioni di stimolante del metabolismo
e supporto alla digestione (per la presenza di acido tartarico, malico e
citrico), di attività antisettica esercitata dai tannini presenti nel vino su
numerose specie batteriche, e quella ansiolitica ed antistress promossa da
piccole quantità di vino durante il pasto (per la presenza nel vino del
mesoinositolo); inoltre è stata documentata un’azione diuretica per la presenza di potassio e magnesio (confermando l’indicazione di Ippocrate
che consigliava il vino nella idropsia)
Inoltre la rilevante azione antiossidante ritarda l’invecchiamento tissutale, ed ha una azione cardioprotettiva.
Serge Renaud (Università di Tolosa) e Curt Ellison (Università di
Boston) documentarono che l’uso moderato di vino in soggetti sani può
ridurre di oltre il 25% il rischio di cardiopatie,evidenziando il cosiddetto
“paradosso francese”: i francesi pur seguendo una dieta alimentare favorente le cardiopatie e l’infarto, poiché la accompagnavano con piccole
dosi di vino ai pasti, registravano un basso numero di cardiopatie rispetto al campione di soggetti americani esaminato.
I dati di questa ricerca ebbero una diffusione non solo in ambiente
scientifico ma anche a livello mass-mediatico, giacchè furono pubblicizzati nel 1991 dal programma televisivo “Sixty Minutes”, negli Stati Uniti,
determinando l’immediato svuotamento degli scaffali dei supermercati
delle scorte di vino.
Numerose sono le ricerche e sperimentazioni, presenti nella lettera175
Antica saggezza contadina e realtà moderna: il vino rosso di sicilia ed i suoi benefici effetti sulla salute
tura medica, i cui risultati confermano l’effetto positivo del vino sull’apparato circolatorio e soprattutto l’abbassamento delle lipoproteine LDL
ed il potenziamento dell’attività antiaggregante. Desiro concludere questa parte di relazione ricordando che Eubulus, intorno al 375 a.C., in una
summa si saggezza popolare greca, in fatto di vino, scriveva: “Tre tazze io
preparo per gli uomini temperati, una per la salute, che essi vuotano per
prima, la seconda per l’amore ed il piacere, la terza per il sonno. Quando
questa tazza è vuota, gli ospiti saggi vanno a casa. La quarta appartiene alla
violenza”.
2. R e a l t à m o d e r n a : i l v i n o r o s s o d i s i c i l i a e d i s u o i e f f e t t i s u l l a s a l u t e
Il Vino è la bevanda alcolica che non solo rappresenta da secoli, nella
cultura mediterranea, un importante completamento del pasto, ma giuoca
un ruolo importante (insieme all’impiego dell’olio di oliva e all’ampio uso
di vegetali) negli effetti protettivi della dieta mediterranea sulle malattie
cardiovascolari. Infatti la complessa relazione che lega il consumo di
bevande alcoliche e la salute si è arricchita negli ultimi anni di aspetti per
certi versi inattesi. Studi recenti oltre a confermare gli effetti negativi di
consumi elevati di bevante alcoliche, hanno dimostrato come il consumo
quotidiano ma moderato di questa bevanda possa ridurre l’incidenza delle
malattie coronariche e, più in generale, cardiovascolari.
Uno degli impulsi maggiori per lo studio scientifico del vino è
stata la messa in evidenza del cosiddetto “Paradosso francese”. Le evidenze cliniche, che scaturiscono dagli studi epidemiologici sulla cardiopatia
ischemica e sulle abitudini alimentari, hanno messo in luce una correlazione diretta tra assunzione di acidi grassi saturi con la dieta e incidenza di
cardiopatia ischemica, che presenta un trend decrescente dai paesi del
Nord Europa a quelli che si affacciano sul mar Mediterraneo. Tuttavia è
stata rilevata un’anomalia in questo trend, poiché in Francia, nonostante
la presenza di elevate quote di grassi saturi nella dieta, esiste una bassa
incidenza di cardiopatia ischemica che sembra essere correlata all’assunzione di alcol e in particolare di vino rosso.
Nell’ambito del vino, quello rosso sembra infatti avere maggiori
effetti protettivi, in quanto in esso sono contenute sostanze antiossidanti
che vengono liberate dalle bucce degli acini e dai semi, che come è noto
176
Antica saggezza contadina e realtà moderna: il vino rosso di sicilia ed i suoi benefici effetti sulla salute
nella vinificazione in bianco vengono separate immediatamente dal mosto
che è lasciato fermentare senza le parti solide dell’uva. L’analisi chimica
svolta sui vini ha consentito di identificare alcune sostanze ritenute
responsabili di questo effetto protettivo: i polifenoli in particolare e tra
questi la epicatechina e la quercetina e minore misura il trans-resveratrolo perchè contenuto in quantità poco significative e comunque limitata
rispetto ai due precedenti.
Sulla base di questi elementi e considerando la qualità dei vini e dei
vitigni della Sicilia10, ipotizziamo che anche i nostri vini rossi possano
svolgere un ruolo protettivo nella prevenzione delle malattie cardiovascolari. I meccanismi protettivi sarebbero indipendenti dall’effetto di quote
equivalenti di alcool contenute nel vino ma riconducibili alle caratteristiche del vitigno e al contenuto di polifenoli le cui concentrazioni dipendono molto dalla tecnica di vinificazione (flavonoidi, trans-resveratrolo e
tannini polimerici). Per questo motivo prenderemo in considerazione l’effetto sui principali fattori di rischio cardiovascolari indotto dall’ assunzione di circa 250 ml al giorno suddiviso nei due pasti principali di due tipi di
vino rosso Siciliani (Nero d’Avola o Etna Torrepalino).
Sono stati arruolati 48 soggetti sani di entrambi i sessi, di età compresa tra i 35 e 65 anni, non bevitori o bevitori occasionali di modeste quantità di vino rosso afferenti al Centro delle Dislipidemie e del Rischio
trombotico della Clinica Medica dell’Università di Palermo. Sono stati
esclusi dallo studio i soggetti dediti ad attività sportiva di tipo agonistico,
obesi (BMI >30) e con abitudini alimentari errate (squilibrate nei
nutrienti). Questa valutazione è stata svolta mediante intervista alimentare eseguita da dietisti e dalla scomposizione in nutrienti delle abitudini alimentari mediante diario settimanale. Sono stati esclusi inoltre dallo studio
tutti i pazienti affetti da malattie cardiovascolari, da gravi forme di patologie epatiche o renali, da alterazioni del metabolismo glucidico o lipidico
(colesterolo >250 mg %, trigliceridi >200 mg%), soggetti affetti da patologie croniche in terapia con antiaggreganti-coagulanti, ipolipidemizzanti,
cortisonici, donne in trattamento con estroprogestinici, soggetti iperomocisteinemici, forti fumatori, soggetti con carenza di vitamina B12 e/o
folati, soggetti forti bevitori di bevande alcoliche. In accordo con la
dichiarazione di Helsinki, tutti i soggetti, dopo essere stati informati delle
finalità dello studio, hanno dato il loro consenso a parteciparvi.
I soggetti arruolati, dopo essere stati sottoposti ad un esame clinico e
177
Antica saggezza contadina e realtà moderna: il vino rosso di sicilia ed i suoi benefici effetti sulla salute
strumentale (pressione arteriosa, E.C.G. basale e sotto sforzo, ecocolordoppler carotideo e degli arti inferiori), sono stati suddivisi in due gruppi,
destinati a ricevere con un disegno in cross-over, due diversi tipi di vino
rosso siciliano (Nero d’Avola-Rallo 1999 o Etna Torrepalino-Rosso Solicchiata 1999) dall’Ente di Sviluppo Agricolo della Regione Sicilia (ESA). Il
gruppo A (n=24) è stato suddiviso in due sottogruppi: A1 (n=12) a cui
è stato chiesto di assumere regolarmente per 4 settimane 250 ml di vino
rosso Nero d’Avola suddiviso ai pasti principali e per le successive 4 settimane di tornare ai loro abituali consumi di vino (cioè sono tornati a non
bere o bere vino solo in maniera occasionale) e A2 (n=12) a cui è stato
chiesto per 4 settimane di conservare i loro abituali consumi di vino (cioè
hanno continuato a non bere o bere vino solo in maniera occasionale) e
per le successive 4 settimane di assumere regolarmente 250 ml di vino
rosso Nero d’Avola suddiviso ai pasti principali. Parimenti il gruppo B
(n=24) è stato suddiviso in due sottogruppi: B1 (n=12) a cui è stato chiesto di assumere regolarmente per 4 settimane 250 ml di vino rosso Etna
Torrepalino suddiviso ai pasti principali e per le successive 4 settimane di
tornare ai loro abituali consumi di vino (cioè sono tornati a non bere o
bere vino solo in maniera occasionale) e B2 (n=12) a cui è stato chiestoo
per 4 settimane di conservare i loro abituali consumi di vino (cioè hanno
continuato a non bere o bere vino solo in maniera occasionale) e per le
successive 4 settimane di assumere regolarmente 250 ml di vino rosso
Etna Torrepalino suddiviso ai pasti principali.
In tutti i soggetti arruolati sono stati determinati diversi parametri
di laboratorio l’assetto metabolico lipidico, coagulativo e fibrinolitici,
parametri dell’infimmazione eil potere antiossidante del plasma. Le caratteristiche dei vini sono riportate in Tab. I. Gli effetti sui parametri metabolici dei vini Nero D’Avola e Etna Torrepalino sono riportati nelle Tab.
II e III rispettivamente.
.
Nel Gruppo A (Tab. II) l’aggiunta alla dieta di vino Nero D’Avola determina sia nel sottogruppo A1 (al tempo + 4 settimane) che nel sottogruppo A2 (al tempo + 8 settimane) un aumento statisticamente significativo dei livelli di HDL (p <0.01) e Apolipoproteina A1 (p <0.05).
Non è stata messa in evidenza nessuna variazione significativa degli altri
parametri, tranne per il rapporto LDL/HDL, in cui si evidenza una riduzione significativa (p <0.05) sia nel sottogruppo A1 (al tempo + 4 settimane) che nel sottogruppo A2 (al tempo + 8 settimane).
178
Tab. 1 - Caratteristiche dei vini
Antica saggezza contadina e realtà moderna: il vino rosso di sicilia ed i suoi benefici effetti sulla salute
179
Tab. 2 - Modificazioni dei parametri metabolici indotte dalla somministrazione del vino Nero D’Avola
Antica saggezza contadina e realtà moderna: il vino rosso di sicilia ed i suoi benefici effetti sulla salute
180
Antica saggezza contadina e realtà moderna: il vino rosso di sicilia ed i suoi benefici effetti sulla salute
Nel Gruppo B (Tab. III) l’aggiunta alla dieta di vino Etna Torrepalino determina sia nel sottogruppo B1 (al tempo + 4 settimane) che nel
sottogruppo B2 (al tempo + 8 settimane) un aumento statisticamente
significativo dei livelli di HDL (p <0.01). Non è stata messa in evidenza
nessuna variazione significativa degli altri parametri, tranne per il rapporto LDL/HDL, in cui si evidenza una riduzione significativa (p <0.05) sia
nel sottogruppo B1 (al tempo + 4 settimane) che nel sottogruppo B2 (al
tempo + 8 settimane).
Gli effetti sui parametri coagulativi-fibrinolitici, infiammatori e
antiossidanti dei vini Nero D’Avola e Etna Torrepalino sono riportati
nelle Tab. IV e V.
Nel Gruppo A (Tab. IV) l’aggiunta alla dieta di vino Nero D’Avola
determina sia nel sottogruppo A1 (al tempo + 4 settimane) che nel sottogruppo A2 (al tempo + 8 settimane) una riduzione significativa dei
livelli di Fibrinogeno (p < 0.01), Fattore VII (p <0.01), PCR (p <0.005)
e degli anticorpi anti LDL-ossidate (p < 0.05) e un aumento significativo
dei livelli di t-PA (p <0.005), PAI (p <0.005) e del potere antiossidante
plasmatico totale (p <0.005). Non è stata messa in evidenza nessuna
variazione significativa dei livelli di D-D.
Nel Gruppo B (Tab. V) l’aggiunta alla dieta di vino Etna Torrepalino
determina sia nel sottogruppo B1 (al tempo + 4 settimane) che nel sottogruppo B2 (al tempo + 8 settimane) una riduzione significativa dei livelli di Fibrinogeno (p <0.005), Fattore VII (p <0.05), PCR (p <0.05) e
degli anticorpi anti LDL-ossidate (p < 0,05) e un aumento significativo
dei livelli di t-PA (p <0.005), PAI (p <0.005) e del potere antiossidante
plasmatico totale (p <0.005). Non è stata messa in evidenza nessuna
variazione significativa dei livelli di D-D.
Durante lo studio (dati non mostrati) in entrambi i gruppi non sono
state evidenziate variazione del peso corporeo, della pressione arteriosa e
della dieta, che è risultata equilibrata in tutte le fasi dello studio (glucidi
55%, lipidi 30%, protidi 15%) (tranne un incremento delle calorie totali
(+7%) durante l’assunzione regolare di vino).
Studi recenti hanno messo in evidenza una ridotta mortalità cardiovascolare tra i soggetti che consumano moderate dosi quotidiane di alcool rispetto ai soggetti astemi, sia tra i pazienti con storia pregressa di
malattia coronarica sia tra i soggetti senza storia di malattia. Nello stesso
studio la valutazione della mortalità per tutte le cause ha messo in eviden181
Tab. 3 - Modicazioni dei parametri metabolici indotte dalla somministrazionedel vino Etna Torrepalino
Antica saggezza contadina e realtà moderna: il vino rosso di sicilia ed i suoi benefici effetti sulla salute
182
Tab. 4 - Modificazioni dei parametri coagulativi-fibrinolitici, infiammatori e antiossidanti indotte dalla somministrazione del vino Nero D’Avola
Antica saggezza contadina e realtà moderna: il vino rosso di sicilia ed i suoi benefici effetti sulla salute
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Tab. 4 - Modificazioni dei parametri coagulativi-fibrinolitici, infiammatori e antiossidanti indotte dalla somministrazione del vino Nero D’Avola
Antica saggezza contadina e realtà moderna: il vino rosso di sicilia ed i suoi benefici effetti sulla salute
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Antica saggezza contadina e realtà moderna: il vino rosso di sicilia ed i suoi benefici effetti sulla salute
za una correlazione, tra consumo di alcool ed eventi, non di tipo continuo
ma con una forma ad “U”, con un minimo di mortalità per consumi
moderati di alcool, attorno a un drink al giorno. Albert ha inoltre osservato una riduzione del rischio di morte improvvisa correlato al consumo
di alcool con un andamento, anche in questo caso, ad “U”. L’incidenza di
morte improvvisa è risultata, infatti, elevata nei soggetti astemi, tende a
diminuire nei consumatori di un drink al giorno circa e torna ad aumentare per i consumatori di 2 o più drink al giorno. Diversi studi recenti hanno
inoltre evidenziato, valutando in maniera separata i consumatori di vino,
birra e liquori, che la riduzione di rischio di sviluppare un infarto o un
ictus è inferiore di circa il 50% tra i consumatori regolari di qualunque
tipo di bevanda alcolica.
Alcuni effetti benefici di un consumo moderato di alcool nella prevenzione della CHD sono suffragati da evidenza scientifica. E’ noto da
tempo infatti come esista una correlazione diretta tra consumo di alcool
ed il valore del colesterolo legato alla frazione delle lipoproteine antiaterogene, le HDL. La correlazione tra i due parametri è sostanzialmente di
tipo lineare, passando dai soggetti astemi ai consumatori di forti quantità
di bevande alcoliche (più di 6 drinks al giorno). Anche i livelli di Apo A1,
la principale Apolipoproteina delle HDL, rispondono favorevolmente
all’assunzione quotidiana di alcool. I risultati del nostro studio sulle frazioni lipoproteiche sono in linea con i dati della letteratura. Entrambi i
vini in esame mostrano infatti di determinare un aumento significativo dei
livelli di HDL-Colesterolo e una riduzione non significativa dei livelli di
colesterolemia totale e LDL-Colesterolo. Ne risulta una riduzione significativa del rapporto LDL-C/HDL-C, che è un importante marker di
rischio cardiovascolare. Solo l’aggiunta alla dieta di vino Nero D’Avola
determina invece un aumento statisticamente significativo dei livelli di
Apolipoproteina A1.
L’alcool non influenza solamente alcuni parametri lipidici, ma
anche alcuni meccanismi della coagulazione e della trombosi. Sul versante
coagulativo, nel nostro studio entrambi i vini nostrano una riduzione dei
livelli di fibrinogeno e fattore VII, che sono oggi considerati marker di
rischio cardiovascolare. Per quanto riguarda il fibrinogeno, che rappresenta un fattore di rischio indipendente di malattie cardiovascolari, Mennen
ha dimostrato infatti una correlazione inversa nelle donne tra consumo di
alcool e livelli di fibrinogeno, mentre nei soggetti di sesso maschile la cor185
Antica saggezza contadina e realtà moderna: il vino rosso di sicilia ed i suoi benefici effetti sulla salute
relazione assume una chiara conformazione ad “U”, cioè con un minimo
di fibrinogenemia che si osserva tra i 20 e i 60 grammi di consumo di alcool, che sono quelli per il quali è massima la protezione cardiovascolare.
L’alcool, a dosi moderate, è in grado di influenzare favorevolmente
anche l’aggregazione piastrinica, svolgendo una azione “aspirino simile”.
A dosi elevate tuttavia, l’alcool svolge una azione pro-trombotica. Infatti
l’escrezione urinaria di trombossano aumenta significativamente dopo
una assunzione di notevole quantità serale di alcool. Questo studio sembra fornire una possibile spiegazione della riduzione degli eventi cardiovascolari indotta dal moderato consumo di alcool. E’ da notare inoltre che
differenze significative sull’aggregazione piastrinica sono state evidenziate tra il vino rosso e bianco, con una risposta minore all’induttore collageno in soggetti in trattamento con vino rosso, probabilmente a causa del
contenuto differente dei polifenoli presenti nei due tipi di vini.
Sul versante fibrinolitico, è noto che il vino abbia una azione positiva, determinando un aumento delle concentrazioni dell’attivatore tissutale del plasminogeno (t-PA). Nel lavoro di Ridker, esiste una correlazione
lineare tra i livelli di t-PA e il consumo di alcool. Infatti. passando dai consumatori giornalieri di qualunque bevanda alcolica ai consumatori settimanali o mensili, e quindi ai soggetti astemi, la concentrazione di t-PA si
riduce del 30%, determinando una maggiore tendenza alla stabilizzazione
del trombo e quindi alla trombosi. Nel nostro studio entrambi i vini
mostrano un aumento sia di t-PA che di PAI. Tuttavia, poiché l’aumento
del t-PA (+80.8 % e 74.9% dopo l’assunzione rispettivamente dei vini
Nero D’Avola e Etna Torrepalino) è molto più marcata dell’aumento del
PAI (+51.6 % e 59.5% rispettivamente), ne risulta una attivazione globale della fibrinolisi. Ciò viene confermato dalla riduzione significativa dei
livelli di fibrinogeno e dall’aumento (anche se non significativo) dei livelli di D-dimero.
Accanto alle proprietà dell’etanolo è opinione corrente che il ruolo
protettivo del vino sia in gran parte ascrivibile alla sua componente non
alcolica, cioè ai composti fenolici non vitaminici a documentata azione
antiossidante. In numerosi studi in vitro, è stato dimostrato che i composti fenolici del vino sono in grado di modulare la resistenza all’ossidazione di LDL umane ed è opinione corrente che la modifica ossidativa delle
LDL rappresenta una delle basi patogenetiche dell’aterosclerosi. In vivo,
nello studio di Cartron l’effetto protettivo del vino rosso, del vino bian186
Antica saggezza contadina e realtà moderna: il vino rosso di sicilia ed i suoi benefici effetti sulla salute
co e dello Champagne francesi sembra legato alle modifiche dei parametri lipidici, ma non alle caratteristiche antiossidanti plasmatiche che non
presentano variazioni significative sia dopo assunzione di una singola
dose, che dopo una somministrazione a lungo termine (3 settimane). In
contrasto con questi risultati, nel nostro studio dopo 4 settimane di
assunzione regolare di vino rosso abbiamo riscontrato una riduzione degli
anticorpi anti LDL-ossidate e un incremento della capacità ossidativa globale. Questo significativo risultato, ottenuto con entrambi i vini siciliani
(ricchi di polifenoli), sembra dimostrarne un ruolo protettivo sui meccanismi patogenetici dell’aterosclerosi.
E’ da sottolineare infine, che entrambi i vini mostrano una riduzione della PCR che, tra markers della infiammazione, viene oggi considerata un fattore di rischio indipendente per lo sviluppo di eventi aterotrombotici. Infatti da diversi anni si identifica l’infiammazione come un
momento cruciale nello sviluppo e nella progressione dei processi arteriosclerotici, poiché oltre a favorire lo sviluppo della placca, potrebbe determinarne la rottura. Ed è ben noto che la rottura della placca rappresenta il
momento chiave nello sviluppo della sindrome coronarica acuta.
In conclusione, anche se lo studio è stato condotto a breve termine
e la numerosità non è elevata, i nostri risultati mostrano un effetto positivo di entrambi i vini rossi siciliani presi in considerazione su numerosi fattori di rischio cardiovascolari, suggerendo che l’uso moderato di vino
rosso deve essere incoraggiato nella popolazione adulta (senza patologie
epatiche o nelle quali l’alcool non risulta controindicato) come parte integrante della dieta mediterranea.
La ricerca è stata finanziata dall’Ente di Sviluppo Agricolo della
Regione Sicilia (ESA) a seguito di atto di Convenzione con l’Università di
Palermo - Istituto di Clinica Medica Repertorio n° 17 del 09.11.2000
187
Antica saggezza contadina e realtà moderna: il vino rosso di sicilia ed i suoi benefici effetti sulla salute
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12
Ruolo dell’olio di oliva
nella Dieta Mediterranea
Salvatore Chiricosta
Dipartimento di Studi su Risorse, Impresa,
Ambiente e Metodologie quantitative (RIAM)
Facoltà di Economia, Università
degli Studi di Messina
Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea
1. Introduz ione
L’olivo, albero da frutto tra i più antichi nel Mondo, è stato, da millenni, ritenuto un albero sacro e l’olio, estratto dai suoi frutti, utilizzato
non solo come alimento ma anche a scopo religioso e rituale.
La pianta dell’olivo, appartenente alla famiglia delle Oleaceae, è diffusa in tutte le regioni che si affacciano sul Mar Mediterraneo dove è diventata un elemento caratteristico del paesaggio, della cultura, del costume,
dell’alimentazione e dell’economia.
All’interno del genere Olea vi sono ben 35 specie; la più importante
delle quali è, certamente, l’Olea Europeae che è divisa in due sottospecie,
delle quali una, la O. europeae sativa, è quella coltivata, mentre l’altra, l’O.
europeae sylvestris, è il tipo selvatico.
L’olivo coltivato è un albero sempreverde ad accrescimento lento che
può raggiungere grandi dimensioni, anche se, in coltura, si cerca di contenerne lo sviluppo per aumentarne la produttività (1, 2).
2. Valorizzazione nutrizionale dell’olio di oliva
Dal punto di vista nutrizionale la valorizzazione dell’olio di oliva
prende avvio dagli interessanti studi condotti, per la prima volta, intorno
agli anni ’50, dal nutrizionista americano Dott. Ancel Keys che, nel portare avanti ricerche sulla prevenzione delle malattie cardiovascolari, aveva
osservato come le popolazioni del bacino del Mediterraneo fossero meno
esposti a problemi cardiocoronarici proprio perché la loro dieta era, a
prima vista, povera di grassi (3).
Prendendo le mosse da quelle osservazioni e sulla base delle prime evidenze epidemiologiche e sperimentali, le quali mettevano in risalto la stretta relazione tra contenuto lipidico della dieta e malattie cardiovascolari, il
Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti (USDA), nel 1992, elaborò una guida destinata ad orientare la popolazione ad operare delle scelte
dietetiche in grado di mantenere un buono stato di salute e di ridurre il
rischio di malattie croniche.
La guida divenne nota come “La piramide alimentare”, in quanto i cibi
da preferire occupavano la base della piramide, dato che se ne potevano
consumare più porzioni al giorno, mentre quelli da adoperare con maggio193
Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea
re moderazione erano, via via, disposti verso l’apice (Figura 1).
Ed in effetti:
• In cima si trovano zuccheri, dolci, oli e grassi, ossia alimenti da consumare con parsimonia;
• Più in basso vi sono carne, pesce, pollame, uova, legumi, latte, formaggi, yogurt e frutta secca, il cui consumo quotidiano consigliato è
di 2-3 porzioni;
• Al centro sono collocati ortaggi, frutta e verdura, il cui consumo è di
3-5 porzioni al giorno;
• Alla base vi sono pane, cereali, pasta, riso, il cui consumo deve essere
abbondante, ossia da 6 a 11 porzioni al giorno.
Questo tipo di piramide sostanzialmente raccomandava alla gente di
evitare i grassi ma di preferire abbondanti quantità di alimenti ricchi in
carboidrati come pane, cereali, riso e pasta.
Nacque così lo slogan “I grassi fanno male” che portò direttamente al
corollario “i carboidrati fanno bene”.
Fig 1 - La piramide alimentare proposta dal Dipartimento dell’Agricoltura
degli Stati Uniti nel 1992
194
Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea
Per questo motivo, per un periodo di tempo, i grassi, in generale e, tra
questi, anche gli oli vegetali, furono “demonizzati”.
Ben presto, però, ci si rese conto che quella piramide, in realtà, era
una guida ingannevole.
Se, infatti, lo scopo era quello di ridurre il consumo dei grassi, che
fanno innalzare i livelli di colesterolo, bisogna, però, ammettere che non
tutti i grassi sono nocivi né che tutti i carboidrati complessi giovano alla
salute.
Infatti, nelle aree geografiche dove si fa largo uso di grassi nella dieta
come, per esempio, nella Finlandia Orientale, il tasso di malattie cardiache
è molto più alto rispetto a quelle aree dove prevale il consumo di olio di
oliva, come nell’Isola di Creta (Figura 2).
Fig 2 - Il confronto tra diete differenti di Paesi, appartenenti ad aree geografiche diverse, mette in risalto come la Dieta Mediterranea, basata sull’uso
quotidiano dell’olio di oliva, sia la più vantaggiosa per il controllo delle
malattie cardiache
Qui, benché la quota lipidica costituisca il 40% dell’apporto calorico
giornaliero, l’incidenza delle malattie cardiache è più bassa persino di
quella riscontrata in Giappone, dove il contenuto totale di grassi non
copre più del 10% della dieta.
195
Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea
Recenti progressi scientifici, in tema di nutrizione, hanno portato ad
una sostanziale revisione della prima piramide alimentare, soppiantata da
una nuova piramide proposta, dodici anni più tardi, nel 2004, sempre negli
USA, sulla base degli studi condotti da due autorevoli epidemiologi e dietologi americani W.C.Willet e M.J. Stamper, della Harward Medical School of Public Health (4). Loro hanno potuto dimostrare che un alto apporto di carboidrati raffinati come il pane bianco ed il riso brillato può avere
un effetto devastante sui livelli di glucosio e di insulina nell’organismo. E,
pertanto, hanno proposto una nuova piramide che incoraggia, ponendoli
proprio alla base, tanto il consumo di cereali integrali quanto quello di
grassi salutari, come gli oli vegetali, ricchi di acidi grassi mono e polinsaturi, ma sconsiglia categoricamente l’uso di carboidrati raffinati (inclusi il
pane bianco, il riso e la pasta prodotta con farina non integrale), di grassi
saturi ( contenuti in burro, strutto, lardo, panna) nonché di patate, zucchero, dolci e carne rossa (Figura 3).
Fig 3 - La nuova piramide alimentare proposta da W.C.Willet e M.J. Stamper
196
Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea
La nuova piramide è integrata da uno zoccolo inferiore che sottolinea
l’esigenza di svolgere un regolare e giornaliero esercizio fisico e presenta,
come suggerimento esterno, l’indicazione ad un moderato consumo di
alcool, preferibilmente vino rosso, e ad una supplementazione vitaminica,
oltre che il controllo periodico del peso ed un moderato consumo totale di
calorie.
Il modello di alimentazione proposto da questa seconda piramide si
avvicina molto alla “Dieta mediterranea” che si ricollega alle secolari abitudini alimentari dei popoli del bacino del Mediterraneo ed è caratterizzata da una abbondanza di alimenti di origine vegetale provenienti da cereali, legumi, frutta, ortaggi, da alimenti prevalentemente di origine marina
quali il pesce e da un tipo di grasso, molto diffuso, come l’olio di oliva.
Questa dieta contiene pochi acidi grassi saturi, è ricca di carboidrati
complessi e fibre, ha un elevato contenuto di acidi grassi monoinsaturi che
derivano essenzialmente dall’assunzione dell’olio di oliva. Gli stessi pane
e pasta, che rappresentano gli alimenti fondamentali di questa dieta,
rispondono a questi requisiti se ottenuti con farine integrali che apportano un consistente quantitativo di fibre in grado di soddisfare il senso di
fame, influenzare l’assorbimento dei principi nutritivi, diminuire il tempo
di transito intestinale e ridurre il rischio di malattie come la diverticolite e
la sindrome del colon irritabile.
La disponibilità, poi, nel bacino del Mediterraneo, di molte piante
aromatiche quali rosmarino, origano, salvia, basilico, cappero, prezzemolo, menta, aglio e cipolla, permette di arricchire le varie pietanze di sapori
gradevoli che stimolano fisiologicamente la secrezione dei succhi digestivi e contribuiscono a ridurre al minimo necessario la quantità di condimenti (5).
In Italia, già dal 2002, l’illustre nutrizionista Prof. F. Fidanza, con lo
scopo di rendere più chiaro ed immediato il messaggio nutrizionale, ha
proposto, al posto delle piramidi, il “Tempio della Dieta Mediterranea salutare” (Figura 4). Esso è formato da tre gradini di base, il crepidoma, nei
quali sono riportati, nei primi due, le regole fondamentali di comportamento, ossia “ lo stile di di vita più salutare possibile” ed “il dispendio
energetico della stessa entità dell’apporto energetico”; gran parte del terzo
gradino è riservato all’olio vergine di oliva, a voler sottolineare che esso
rappresenta l’alimento basilare della Dieta Mediterranea. Accanto a questo, sempre nello stesso gradino, una modica quantità di vino rosso.
197
Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea
Più sopra, campeggiano due grandi colonne esterne, nelle quali sono
indicati, con caratteri di differente grandezza, in rapporto alle diverse
quantità da consumare, alcuni alimenti caratterizzanti la Dieta Mediterranea salutare. In particolare, in una colonna trovano collocazione pane
integrale, cereali ed, in minor misura, patate, mentre nell’altra, verdura
fresca, frutta di stagione ed, in porzioni ridotte, frutta secca (noci, mandorle, nocciole).
Nelle due colonnine centrali spiccano rispettivamente le scritte “legumi” e “pesce” e ciò ne fa subito intuire l’importanza.
Fig 4 - Il tempio della Dieta Mediterranea salutare
Nelle metope, situate in alto, sotto il timpano, sono indicati gli alimenti non caratterizzanti la Dieta Mediterranea salutare ed esattamente:
latte e derivati, carni, uova, grassi, dolciumi e zucchero. Questi sono
sovrastati dalla scritta “Moderazione”, riportata nel timpano, a voler rimarcare l’importanza di non cadere in una dieta sbilanciata o per difetto o per
eccesso.(6)
198
Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea
Con la dieta Mediterranea, è possibile raggiungere, pur con l’ingestione di una soddisfacente quantità di alimenti a valore calorico limitato, un
certo senso di sazietà, riuscendo a contrastare l’obesità. Fibre solubili,
come quelle presenti in molti legumi, possono aiutare a ridurre il colesterolo nel sangue. I cereali integrali, inoltre, sono altamente protettivi nei
confronti del tumore del colon, del seno, dell’endometrio e della prostata. Si raccomanda un limitato consumo di prodotti caseari, come latte
intero, panna e formaggio, di carne, principalmente di quella rossa, e carni
insaccate, di uova e cibi salati, affumicati o contenenti nitrati.
In termini di grassi da condimento bisogna prediligere l’olio vergine
di oliva, anche per le fritture, con la raccomandazione, comunque, di non
esagerare con i consumi e di evitare le alte temperature ed i lunghi tempi
di cottura.
Va posta, inoltre, attenzione nel limitare al massimo l’uso di cibi preconfezionati, come i prodotti da bar, pasticcerie e rosticcerie (cornetti,
brioche, pizzette, piadine, ecc.), che sono un pericoloso veicolo di elevate
quantità di grassi saturi.
La dieta deve, inoltre, assicurare un adeguato apporto di sali minerali
e vitamine, mediante l’assunzione abbondante di frutta e verdura.
La salubrità di un siffatto tipo di alimentazione è ampiamente documentata (7).
Fig 5 - Ripartizione consigliata di principi nutritivi per una dieta equilibrata
Più recenti progressi scientifici, in tema di fisiologia della nutrizione,
indicano che, per godere di un ottimale stato di salute e vivere in benessere, è necessario che i principi nutritivi presenti nella nostra dieta provengano in ragione del 65% da alimenti di natura glucidica, del 25% di natura lipidica e del 10% di natura proteica (Figura 5).
La parte preponderante della quota lipidica dovrà provenire da oli
vegetali e, preferibilmente, da oli di oliva (8).
199
Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea
3. Denominazioni commerciali degli oli di oliva
Come è noto l’olio di oliva rappresenta, per tradizione alimentare e
legame col territorio, uno dei prodotti fondamentali dell’agricoltura ed
indiscusso protagonista della “Dieta Mediterranea”.
Fig 6 - Schema di lavorazione delle olive per ottenere le principali categorie
di oli
Esso è prodotto dalla spremitura a freddo delle olive semplicemente
lavate e sottoposte a processi meccanici di molitura e gramolatura, seguiti da altri procedimenti fisici, comprendenti la decantazione, la centrifugazione e la filtrazione (Figura 6).
Il termine “olio di oliva” è usato in maniera generica per definire tutti
gli oli derivanti dalla lavorazione delle olive; in realtà questo termine racchiude una gamma di prodotti diversi per qualità e caratteristiche. Infatti,
gli oli del commercio, conformemente a quanto disposto dal regolamento della C.E., debbono riportare, già dal 1° Novembre 2003, in funzione
della categoria di appartenenza, le seguenti denominazioni (9):
200
Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea
•
•
•
•
Olio extravergine di oliva, di gusto “assolutamente perfetto”, con acidità, espressa in acido oleico, inferiore o uguale allo 0,8%, ottenuto
dal frutto dell’olivo solo mediante mezzi meccanici o fisici e senza
subire alcun trattamento diverso dal lavaggio, dalla decantazione,
dalla centrifugazione e dalla filtrazione;
Olio vergine di oliva, di gusto “perfetto”, con acidità inferiore o uguale al 2%, ottenuto sempre col solo utilizzo di mezzi meccanici o fisici;
Olio di oliva composto da una miscela di oli di oliva rettificati, ossia
vergini lampanti (con acidità iniziale > 2%) che hanno subito un processo di raffinazione, con oli vergini d’oliva, diversi da quello lampante, ed avente acidità finale inferiore o uguale all’1,5%. Non è previsto
un contenuto minimo di oli vergini da addizionare;
Olio di sansa di oliva composto da una miscela di oli di sansa rettificati con oli vergini d’oliva, diversi da quello lampante, ed avente acidità finale inferiore o uguale all’1,5%; anche in questo caso non è previsto un contenuto minimo di oli vergini da addizionare.
Gli oli vergini ed extra-vergini di oliva, quando siano in possesso di
particolari requisiti derivanti da fattori naturali, dalle modalità di produzione e di lavorazione, possono ottenere il riconoscimento della Denominazione di origine controllata (DOC).
Il marchio DOP (Denominazione di Origine Protetta) identifica la
denominazione di un prodotto strettamente correlato alla zona di produzione garantendo la zona di origine di un olio extra-vergine. Questo marchio garantisce che tutti i procedimenti di produzione sono stati effettuati nell’ambiente geografico del luogo di origine.
La DOP tutela, quindi, la tipicità del prodotto essendo conferito solo
agli oli extra-vergini di oliva prodotti nel pieno rispetto della tradizione
della propria zona d’origine(10).
Prodotti DOP
(Denominazione d’Origine Protetta)
201
Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea
Molti sono gli oli extra vergini di oliva italiani che hanno ottenuto
questa denominazione ( Val di Mazara, Valli Trapanesi , Monti Iblei,
Monte Etna, Bruzio, Lametia, Sabina, Cilento, Alto Crotonese, Aprutino
Pescarese, ecc.).
Il Marchio IGP (Indicazione Geografica Protetta) viene assegnato
quando il legame col territorio è presente in almeno uno degli stadi di produzione, della trasformazione o dell’elaborazione del prodotto che gode
di una certa fama ( ad esempio l’olio extravergine di oliva Toscano) (11).
Prodotti IGP
(Indicazione Geografica Tipica)
Infine la denominazione “Biologico” viene assegnata all’olio vergine
di oliva prodotto da piante coltivate senza l’uso di diserbanti, pesticidi,
fertilizzanti sintetici.
Per questi tipi di oli è previsto esclusivamente l’impiego di tecniche di
coltivazione ed allevamento rispettose dell’ambiente; per rendere fertili i
terreni si utilizzano concimi organici e minerali naturali, mentre per difendere le coltivazioni dai parassiti si adottano prodotti e tecniche che non
hanno alcun impatto sull’ambiente(12).
Prodotti
Agricoltura Biologica
202
Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea
4. Composizione chimica dell’olio di oliva
I componenti dell’olio di oliva possono essere suddivisi in due frazioni:
n
una prevalente, gliceridica, saponificabile, che ne rappresenta dal 95
al 99,5% ;
n
una minoritaria, non gliceridica e, quindi, insaponificabile compresa
tra lo 0,5 ed il 5%.
La frazione gliceridica, derivante dalla combinazione di glicerina con
gli acidi grassi, è composta, principalmente, da:
• trigliceridi (96,4-95,8%);
• digliceridi (2,0-3,0%);
• una bassissima concentrazione di acidi grassi liberi.
I trigliceridi, oltre ad essere un’importante fonte di energia per l’organismo, forniscono, infatti, 9 Cal./g , hanno molteplici prerogative, quali
ad esempio:
• apportare acidi grassi e, soprattutto, quelli cosiddetti “essenziali”;
• favorire l’assorbimento delle vitamine liposolubili;
• svolgere azione plastica nella strutturazione delle membrane cellulari;
• manifestare un’azione funzionale come precursori delle prostaglandine;
• possedere un’azione protettiva nei confronti della colesterolemia.
Una caratteristica peculiare che accomuna tutti gli acidi grassi di origine naturale è che essi:
• sono sempre formati da un numero pari di atomi di carbonio;
• se, polinsaturi, presentano doppi legami non coniugati (i dieni ed i
trieni si trovano solo negli oli che hanno subito un processo di rettificazione);
• hanno un’isomeria del doppio legame CIS e mai TRANS (questi ultimi si trovano soli nei grassi idrogenati);
• le posizioni 1 e 3 della glicerina sono, di preferenza, esterificate con
acidi grassi saturi;
• l’acido oleico e linolenico si distribuiscono equamente in tutte le
posizioni del trigliceride;
• l’acido linoleico prevale nella posizione 2 della molecola della glicerina (13).
203
Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea
Gli acidi grassi saturi sono termicamente molto stabili ma si accumulano facilmente nel nostro organismo, viceversa gli acidi grassi polinsaturi possiedono interessanti qualità biologiche ma la presenza di legami insaturi li rende anche più facilmente attaccabili dall’ossigeno (Figura 7).
Il fenomeno ossidativo procede con una velocità proporzionale al
numero dei doppi legami esistenti ed è contrastato dalla natura e dalla
concentrazione delle sostanze antiossidanti.
Fig 7 - Andamento della stabilità termica, dell’ossidabilità, della capacità di
accumulo nell’organismo degli acidi grassi saturi, monoinsaturi e polinsaturi, in funzi ne dei livelli di insaturazione crescente (—) o decrescente (—)
Gli acidi grassi monoinsaturi riescono a coniugare i vantaggi di
entrambi; infatti, sono dotati di buona stabilità termica, fruiscono di ottime proprietà biologiche ma non sono facilmente esposti all’evento ossidativo.
L’equilibrata composizione in acidi grassi dell’olio di oliva con un
grado di insaturazione non troppo elevato, rispetto a tutti gli altri oli e
grassi, e la contemporanea presenza di numerose sostanze anti-ossidanti,
come la vitamina E ed i polifenoli, consentono a questo alimento di far
coesistere i vantaggi di una particolare stabilità con quelli di un migliore
metabolismo e, quindi, di una migliore digeribilità (Tabella I).
L’olio di oliva è caratterizzato, nella frazione saponificabile (Figura
8), da una netta prevalenza, intorno al 70-75%, di acido oleico (18:1, n-9),
204
Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea
un acido grasso monoinsaturo; una minore percentuale di acidi grassi
saturi , come il palmitico (16:0) e lo stearico (18:0), complessivamente
intorno al 17%, ed una quota ottimale di acidi grassi polinsaturi, quali il
linoleico (18:2, n-6) (8%) ed il linolenico (18:3, n-3) (0,9%), che rappresenta la quantità necessaria e sufficiente per mantenere l’omeostasi nell’organismo (14).
Tab. 1 Composizione in acidi grassi dei principali oli e grassi
(Fonte - Dati Unaprol)
Fig. 8 Composizione percentuale acidica della frazione saponificabile degli oli
205
Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea
Nella frazione insaponificabile dell’olio di oliva si annoverano alcoli,
steroli, idrocarburi e composti con una forte attività antiossidante come
polifenoli e tocoferoli (Figura 9).
Tutte queste sostanze conferiscono all’olio di oliva caratteristiche
proprietà organolettiche quali il profumo (fruttato, mela, carciofo, mandorla, pinolo, erba, foglia, ecc.) e il gusto tipico (amaro, piccante), nonché
proprietà biologiche particolari.
Alcune di queste sostanze (alcoli, steroli, idrocarburi) rappresentano
anche, dal punto di vista analitico, dei marker, ossia delle sostanze guida,
per svelare la presenza di eventuali frodi (15).
Fig. 9 Composizione percentuale della frazione insaponificabile degli oli di
oliva
Se non subentrano azioni chimico-fisiche che alterino il prodotto, la
composizione chimica dell’olio può essere influenzata da numerosi fattori (Figura 10), quali:
• La varietà delle olive ed il loro grado di maturazione;
• Le condizioni ambientali e climatiche;
• Le tecniche di allevamento delle piante;
• Le procedure di raccolta, stoccaggio e trasporto del prodotto;
• I procedimenti di lavorazione del frutto;
• Le modalità ed i tempi di conservazione dell’olio.
Mentre la frazione gliceridica è pressocchè uguale in quasi tutti gli oli
di oliva, salvo alcune variazioni quantitative, i costituenti minori presentano differenze qualitative e quantitative, a volte rilevanti, che influenzano le
caratteristiche organolettiche, nutrizionali, dietetiche e merceologiche.
206
Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea
Fig. 10 Fattori che influenzano la composizione chimica e le caratteristiche
qualitative dell’olio di oliva (14)
5. L’importanza nutrizionale degli acidi grassi dell’olio di oliva
Gli studi sui rapporti esistenti tra alimentazione ed incidenza di
malattie cardiovascolari e tumori hanno messo in evidenza il ruolo fondamentale della dieta quale possibile concausa nell’insorgenza di tali processi morbosi.
In Europa la mortalità per tumore al polmone ed al seno e per malattie cardiovascolari è considerevolmente più bassa in quei Paesi dove si
consuma, soprattutto, olio di oliva come grasso alimentare (Italia, Grecia
e Spagna), rispetto ai Paesi del Nord Europa o degli Stati Uniti dove tale
consumo è basso (16).
Tuttavia, recenti ricerche epidemiologiche hanno dimostrato che,
pure in Italia, il 35% di tutti i tumori diagnosticati ed il 40% circa di
malattie cardiovascolari sono legati ad abitudini alimentari squilibrate ed
errate (17).
Fino a poco tempo fa i grassi e gli oli di origine vegetale erano considerati ininfluenti per quanto riguarda il rischio oncogeno. Tuttavia, analisi recenti suggeriscono la possibilità che l’olio di oliva produca un effetto
protettivo nei confronti di alcuni tipi di neoplasia ed, in particolare, del
tumore alla mammella.
Le proprietà nutrizionali dell’olio di oliva sono determinate dalle sue
caratteristiche di composizione acidica mirabilmente equilibrate e la sua
207
Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea
utilizzazione, come principale fonte di grassi alimentari, nell’ambito dei
limiti raccomandati di assunzione della quota lipidica, gioca un ruolo
importante nel fornire una protezione dietetica alla salute dei consumatori di tutte le età. Per i bambini, per il grande apporto di acido oleico presente anche nel latte materno; per gli sportivi, perché rappresenta un’insostituibile fonte di energia prontamente digeribile e, nell’età senile, in
quanto limita la perdita di calcio dalle ossa.
La fama dell’olio di oliva, come prodotto mediterraneo con potenziali benefici per la salute, ha, ormai, varcato i confini delle malattie cardiovascolari ed oncologiche per arrivare ad essere studiato, persino, come
rimedio o prevenzione in molte altre condizioni.
Si vanno facendo, infatti, sempre più numerosi gli studi che dimostrano effetti favorevoli dovuti al consumo di olio di oliva nei confronti dell’ipertensione, del diabete, dell’obesità, dell’ulcera gastro-duodenale, della
calcolosi biliare, dell’artrite reumatoide, fino ad arrivare ai deficit cognitivi cerebrali.
Già nel lontano 1886 era stato notato che l’aggiunta di olio di oliva
nei pasti inibisce la secrezione di acido gastrico (18). Studi successivi
hanno confermato i risultati di questa pioneristica ricerca mediante sperimentazioni effettuate prima sui cani (19), dopo sui ratti (20) ed, ultimamente, sull’uomo (21, 22).
L’olio di oliva esplica, anche, un’azione positiva sul tono e sull’attività della cistifellea, poiché ha proprietà colagoghe e colecistocinetiche, che
sono responsabili della motilità e dello svuotamento della cistifellea. Esiste, infatti, una correlazione inversa tra consumo di grassi vegetali e l’incidenza di calcoli biliari. Dalle ricerche condotte in questo campo è emerso il ruolo opposto degli acidi grassi saturi e degli acidi grassi insaturi: i
primi stimolano la formazione di calcoli biliari, mentre i secondi la riducono (23,24).
L’uso regolare dell’olio di oliva pare che riesca ad esplicare un’azione
positiva nel ridurre, al di là, ovviamente, della predisposizione genetica, il
rischio di insorgenza del diabete mellito (insulino-dipendente). La resistenza periferica all’insulina è un fenomeno dovuto alla riduzione dell’attività dei recettori insulinici localizzati nelle membrane cellulari che comporta un innalzamento della glicemia e della insulinemia.
L’iperinsulinemia determina, a sua volta, a livello epatico, un aumento della sintesi degli acidi grassi e del colesterolo e, quindi, una loro maggiore incorporazione nelle membrane cellulari che tendono, pertanto, ad
irrigidirsi ulteriormente (aterosclerosi).
In tale ottica, le misure dietetiche adottate non sono importanti solo
208
Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea
per la prevenzione del diabete, ma costituiscono anche la base della terapia di tale patologia. Infatti, la riduzione del consumo di acidi grassi saturi e la loro sostituzione con acidi grassi monoinsaturi (acido oleico), derivanti anche dall’impiego di olio di oliva, costituisce una misura di fondamentale necessità, dal momento che i pazienti diabetici sono notevolmente soggetti all’aterosclerosi.
Recenti indagini hanno, ulteriormente, confermato che tanto il controllo glicemico quanto i profili lipoproteici traggono vantaggio da una
dieta ricca di acidi grassi monoinsaturi (25).
Nel corso degli anni, si sono moltiplicati gli studi epidemiologici che
hanno messo in risalto le conseguenze benefiche del consumo di olio di
oliva ed, in particolare, l’effetto preventivo, dell’acido oleico sui tumori
dell’endometrio e delle ovaie (26, 27), della mammella (28), della prostata (29) e del colon-retto (30).
L’olio di oliva potrebbe divenire un prezioso alleato per combattere il
cancro al seno.
È la nuova prospettiva terapeutica offerta dai risultati degli esperimenti di Javier Menendez della Northwestern University Feinberg School of Medicine di Chicago che hanno svelato il meccanismo dell’azione
anticancro dell’olio.
Gli esperti hanno studiato l’effetto dell’acido oleico su cellule malate
coltivate in laboratorio. L’acido oleico ha effetto contro le cellule tumorali perché riduce del 46% l’attività del gene Her-2/neu, un oncogene che è
rovinosamente iperattivo in un caso su cinque di carcinoma mammario e
la cui iperattività è legata a tumori con prognosi più delicata.
Ciò spiega il minor rischio per questa neoplasia tipico delle donne dei
Paesi mediterranei, come dimostrato in passato con numerose indagini
epidemiologiche su campioni di popolazione femminile. I ricercatori, arrivati per primi a queste spiegazioni biochimiche, adesso puntano a sviluppare nuove indagini epidemiologiche per vedere se le donne malate che
usano l’olio extra-vergine a tavola rispondono meglio alle terapie oncologiche. In un secondo tempo, si potrà anche pensare di inserire le molecole di base dell’olio come adiuvanti delle terapie stesse.
Acido oleico
209
Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea
Inoltre, i ricercatori si sono accorti che l’acido oleico può, anche,
migliorare l’efficacia del trattamento col farmaco trastuzumab (“herceptin”), un anticorpo monoclonale che riconosce e lega, intrappolandola, la
proteina prodotta proprio dal gene Her-2/neu e che consente di prolungare la vita di molti pazienti con un tumore al seno. E se ciò non bastasse
si è visto che l’acido oleico stimola l’attività di un gene oncosoppressore,
ovvero un freno naturale della crescita del tumore, che serve a produrre la
proteina p27Kip1. Questa molecola è, a sua volta, importante perché
impedisce alla paziente di diventare resistente alla erceptina.
In un secondo momento i ricercatori, con test su animali da laboratorio, potranno sviluppare le premesse per l’aggiunta di acido oleico nelle
terapie farmacologiche contro il cancro al seno, per rendere le terapie stesse più efficaci e per ridurre il rischio di resistenza farmacologica (31).
Inoltre, studi biochimici e clinici condotti da numerosi studiosi americani ed europei su diverse popolazioni hanno dimostrato che, una dieta
con un alto contenuto in grassi saturi, comune in molti Paesi dell’Europa
Occidentale e Settentrionale, eleva il colesterolo LDL; al di là del ruolo
aterogeno, i grassi saturi peggiorano il “catabolic rate” del colesterolo e
favoriscono l’insorgenza dell’ipertensione, la tendenza alla trombosi, nonché una moltiplicazione cellulare che caratterizza la lesione arteriosa.
Viceversa, una dieta ricca di carboidrati complessi e fibre ed in cui la fonte
di grassi sia principalmente costituita da acidi grassi monoinsaturi, come
si ha nella dieta Mediterranea, riduce il livello di colesterolo LDL.
Viene, generalmente, accettata la teoria secondo la quale l’aumento
dei livelli di lipoproteine a bassa densità (LDL) abbia un ruolo eziologico
nell’insorgenza dell’arteriosclerosi e delle patologie ad essa associate
(ischemia, infarto, ictus).
È stato provato, in particolare, che la quantità e la composizione degli
acidi grassi saturi assunti con la dieta, con il consumo di grassi di origine
animale (burro, strutto, lardo, panna, ecc.), proprio perché più facilmente immagazzinati dalle cellule, ma più difficilmente smaltiti, concorrono a
far aumentare la quantità di queste lipoproteine all’interno della parete
arteriosa. Com’è noto queste lipoproteine sono particelle sferiche composte da grassi e proteine e formate da un monostrato esterno contenente la
proteina denominata “apolipoproteina B”, detta Apo B, disposta attorno
ad un nucleo centrale contenente trigliceridi e/o esteri del colesterolo
(grassi non polari). Una particella di queste lipoproteine contiene circa
210
Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea
3600 acidi grassi, di cui almeno la metà è di tipo polinsaturo. Orbene, si è
potuto constatare che dette lipoproteine sono, praticamente, innocue allo
stato “originario” ma rappresentano un vero pericolo qualora vengono
alterate da un processo di ossidazione. È molto probabile che l’ossidazione di queste lipoproteine si verifichi a livello della parete arteriosa, piuttosto che nel circolo ematico, quando vengono intrappolate nell’intima e
sottoposte a modificazioni di tipo ossidativo. I macrofagi, cellule che si
formano quando i monociti, provenienti dal circolo, passano attraverso la
parete dell’arteria, fagocitano avidamente queste LDL contribuendo alla
loro trasformazione in cellule schiumose. L’accumulo di queste, nell’intima, determina la formazione di strie lipidiche. Queste, con un meccanismo simile a quello delle formazioni delle cicatrici, vengono gradualmente convertite in placche fibrose. Tali placche, man mano che si ingrandiscono, restringono il lume dei vasi, impedendo il normale flusso ematico,
e causano la maggior parte degli eventi clinicamente rilevabili (Figura 11).
Fig. 11 Ostruzione arteriale dovuta alla progressiva crescita della placca
fibrosa ateromatosa
Se ciò avviene a carico delle coronarie può portare a ischemia miocardica e infarto, se, invece, si verifica nei vasi che portano il sangue al cervello si può arrivare all’ictus (32).
Il processo ossidativo si pensa possa essere inibito dalla presenza nel
plasma di antiossidanti (come le vitamine C ed E) e che si verifichi solo
quando queste difese sono scarse e, soprattutto, se c’è carenza di ·-tocoferolo (33).
È stato provato che la graduale sostituzione dei grassi saturi alimentari con grassi monoinsaturi, come si verifica con l’assunzione quotidiana
211
Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea
di olio di oliva, riduce i livelli di LDL, diminuendo, quindi, la quantità di
queste particelle nella parete dell’arteria e, di conseguenza, la quantità e la
composizione delle lipoproteine disponibili per l’ossidazione. Inoltre,
grazie al contenuto in Vitamina E e composti fenolici, dotati di potente
azione antiossidante, l’olio di oliva offre un’ulteriore valida protezione
all’ossidazione delle LDL. Ciò favorisce la riduzione delle concentrazioni
di colesterolo totale e LDL senza ridurre i livelli di HDL, migliorando
cosi il profilo lipidico ed aiutando a prevenire l’iperlipidemia.
Questa sostanziale differenza tra i due tipi di alimentazione, malgrado le similitudini tra i classici fattori di rischio per le patologie cardiocircolatorie, è stata associata ad un più basso pericolo di insorgenza delle
patologie stesse (34-40).
L’olio di oliva potrebbe esplicare, proprio grazie ad un elevato contenuto di acido oleico ed alla contemporanea presenza di sostanze antiossidanti, un ruolo protettivo nei confronti di patologie neurodegenerative
come l’Alzheimer ed il Parkinson (41-43).
È stato dimostrato, tramite uno studio epidemiologico condotto su
una popolazione anziana del Sud Italia, che elevati introiti di acidi grassi
monoinsaturi proteggono dal declino cognitivo correlato all’età.
Infatti, nel corso dell’indagine, svolta su un gruppo di 704 soggetti
pugliesi di età compresa tra i 65 e gli 84 anni, seguiti, nel tempo, per 9 anni
presso il Comune di Casamassima, è stato possibile valutare il ruolo delle
abitudini alimentari sulla mortalità ed, in particolare, l’azione di una dieta
ad alto contenuto di acidi grassi mono e polinsaturi. I soggetti esaminati
assumevano una tipica dieta Mediterranea di cui i grassi rappresentavano
il 29% (17,6% monoinsaturi, 3% polinsaturi e 8,4% saturi) degli introiti
energetici totali. L’olio extra vergine di oliva rappresentava l’85% del consumo totale di grassi. I risultati dello studio hanno messo in evidenza che
gli acidi grassi monoinsaturi si associano ad una ridotta mortalità per tutte
le cause. In particolare 15 g/die di acidi grassi monoinsaturi si associano
ad una riduzione del 20% di mortalità della popolazione ultrasessantacinquenne (44).
L’olio extra vergine d’oliva diventa, quindi, un vero e proprio “elisir di
lunga vita” perché, grazie all’importante patrimonio di sostanze dotate di
elevata azione antiossidante, previene e combatte molte malattie croniche
che si manifestano con l’avanzare degli anni.
Queste relazioni favorevoli non sono, però, ancora conclusive ed
212
Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea
occorrerà del tempo prima che si consolidino i risultati raggiunti che, al
momento, rimangono soltanto come ipotesi suggestive.
Ma l’olio vergine di oliva non è solo acido oleico.
Acido linoleico (c9, c12 - 18:2)
Anche l’acido linoleico, il cui contenuto è circa l’8%, pare che riesca
a svolgere azioni molto interessanti soprattutto nel caso di malattie
autoimmuni.
In tali malattie la risposta immunitaria di tipo 1 è caratterizzata da
una iperproduzione di interleuchina 1 (IL-1), interleuchina 2 (IL-2),
interferone –gamma (IFN-gamma) e di Tumor Necrosis Factor-alfa
(TNF-alfa). Questo meccanismo è alla base di alcune malattie come psoriasi, alopecia, artrite reumatoide, malattia di Crohn, sclerosi multipla,
diabete mellito insulino-dipendente, uveite.
L’acido linoleico riuscirebbe ad inibire tale meccanismo portando alla
soppressione della risposta immunitaria di tipo 1 (45).
Tale acido, assieme al linolenico, vengono, inoltre, definiti acidi grassi essenziali perché non possono essere sintetizzati dall’organismo e debbono necessariamente venire introdotti con la dieta, pena il manifestarsi
di carenze. Esiste un’abbondante documentazione sperimentale, epidemiologica e clinica sui danni nello sviluppo cerebrale e psichico in caso di
carenze di acidi grassi polinsaturi essenziali; tali condizioni, peraltro, sembrano rare nel Mondo Occidentale ed in Italia e sono facilmente corrette
con l’allattamento al seno, con l’uso successivo o sostitutivo delle più
comuni formulazioni alimentari pediatriche in commercio e con la dieta
usualmente suggerita in fase di svezzamento. Il problema della carenza, in
questo settore, sembra sostanzialmente confinato, oggi, ad alcuni Paesi in
via di sviluppo.
Gli acidi grassi polinsaturi essenziali, essendo, come già ricordato,
213
Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea
precursori di fattori protettivi quali le prostaglandine nonché di altri eicosanoidi, sostanze ormono-simili, come i trombossani, i leucotrieni, ecc.,
risultano particolarmente importanti, dal punto di vista biologico, perchè
svolgono le seguenti funzioni:
• influenzano l’aggregazione piastrinica;
• controllano la vasodilatazione e la vasocostrizione delle arterie coronariche;
• sovrintendono alla regolazione della pressione del sangue.
Sembra, tuttavia, chiaro che gli effetti benefici dell’olio di oliva siano
dovuti, almeno per quel che riguarda i suoi componenti principali,
all’equilibrio tra acidi grassi saturi, monoinsaturi e polinsaturi, nonché tra
questi ultimi e gli agenti antiossidanti.
In particolare, i saturi non dovrebbero superare il 10% della quota
calorica totale per il rischio di rallentare il metabolismo del colesterolo e
provocare la rigidità delle membrane biologiche, ma lo stesso livello non
dovrebbe essere superato dai polinsaturi per il rischio delle perossidazioni biologiche.
Alcuni Autori ritengono, oggi, preferibile un rapporto tra acidi grassi saturi, monoinsaturi e polinsaturi rispettivamente di 6:14:10 con un’ulteriore suddivisione, tra i polinsaturi, di 8:2 tra la serie w-6 e la serie w-3
(46).
6. Importanza nutrizionale dei componenti minori dell’olio di oliva
Come già detto, i componenti minori dell’olio di oliva sono costituiti, in ordine decrescente di concentrazione, da idrocarburi saturi ed insaturi, alcoli alifatici superiori, alcoli di-triterpenici, comprendendo tra questi anche gli steroli ed i metil-steroli, polifenoli, pigmenti colorati (Carotenoidi e Clorofille) e vitamine liposolubili.
Gli idrocarburi sono composti esclusivamente da carbonio ed idrogeno e costituiscono, in media, circa il 50-60% del contenuto totale dell’insaponificabile di un olio di oliva.
Il principale idrocarburo è lo squalene, presente in quantità comprese
tra 125-800 mg/100 g di olio; esso è un triterpene polinsaturo, intermedio
della biosintesi del colesterolo, dei fitosteroli e di tutti gli ormoni steroidei, con azione fisiologica nel ricambio umano (crescita).
214
Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea
Squalene
Alcune evidenze sperimentali fanno avanzare l’ipotesi che l’elevato
contenuto di squalene nell’olio di oliva sia il principale fattore dell’effetto
di riduzione del rischio del cancro della mammella e del pancreas. Sembra
che detta sostanza svolga, anche, un’attività chemiopreventiva, per quanto riguarda la formazione di tumori del colon.
Inoltre, lo squalene è utilizzato, in campo medico/terapeutico, per
nutrire la pelle, per alleviare il dolore e l’infiammazione delle articolazioni, per la difesa contro virus comuni, per mantenere sani i sistemi scheletrico e circolatorio, come potenziante delle masse muscolari, al posto della
creatina, per la terapia della cartilagine ricostruita dopo interventi di chirurgia (47).
Gli alcoli alifatici costituiscono il 20-35% della frazione non saponificabile dell’olio. Sono molecole generalmente molto volatili che, evaporando a basse temperature, contribuiscono, assieme ad aldeidi , chetoni ed
eteri, a caratterizzare il tipico profumo emanato dagli oli vergini di oliva.
Si percepiscono olfattivamente in quantità esigue dell’ordine dei Ìg/kg.
Alcoli triterpenici possono essere presenti sia liberi che esterificati
con acidi grassi.
Di particolare interesse sono il cicloartenolo, il metil-cicloartenolo, il
citrostadienolo, ecc. che agiscono favorendo l’eliminazione di colesterolo
in seguito ad un aumento della secrezione di acidi biliari (15).
Citrostadienolo
215
Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea
Gli steroli, denominati anche fitosteroli, sono alcoli ciclici monovalenti insaturi presenti negli oli, sia in forma libera che esterificata con acidi
grassi.
Sono stati identificati nell’olio extravergine di oliva più di 40 steroli
in quantità compresa tra 113-265 mg/100 g; di questi oltre il 90% è rappresentato dal b-sitosterolo; valori più bassi sono indicativi della presenza di sostanze grasse di origine diversa (oli di semi).
Studi sperimentali ed epidemiologici hanno dimostrato che una dieta
ricca in fitosteroli offre una buona protezione verso i tumori del colonretto e della prostata.
Numerose sono le ipotesi per quanto riguarda il meccanismo d’azione di queste molecole verso la proliferazione delle cellule tumorali.
In particolare, l’azione del‚ sitosterolo sulle cellule neoplastiche si
manifesterebbe mediante un aumento dell’apoptosi, cioè della morte programmata delle cellule.
Infine, recentemente, è stata evidenziata una funzione di stimolo da
parte del‚ sitosterolo sulle funzioni del sistema immunitario anche se,
ancora, non è noto il meccanismo d’azione.
L’importanza degli steroli vegetali sta, anche, nel fatto che studi clinici hanno dimostrato un loro effetto ipocolesterolemizzante, legato alla
loro capacità di ridurre l’assorbimento intestinale del colesterolo.
Ciò si spiega mediante un meccanismo che si basa sulla loro somiglianza strutturale con il colesterolo.
b - sitosterolo
colesterolo
Gli steroli, infatti, si sostituiscono al colesterolo nelle particelle che
permettono l’assorbimento dei grassi nell’intestino in modo tale che quest’ultimo non venga assorbito e, pertanto, non potendo arrivare nel flusso ematico viene eliminato dall’organismo attraverso le feci.
216
Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea
Il risultato finale consiste in una sensibile riduzione della coleterolemia (8-14%) ottenibile in seguito all’assunzione di alimenti arricchiti in
steroli vegetali (almeno 1,6-2 g/die).
La capacità di inibire l’assorbimento intestinale di colesterolo LDL,
senza alterare la concentrazione di colesterolo HDL, si traduce anche in
un’azione protettiva verso le malattie cardiovascolari (48).
I polifenoli sono composti chimici aromatici, dotati di nuclei fenolici legati a gruppi radicalici di varia natura, che contribuiscono a conferire
all’olio il caratteristico aroma fruttato ed il gusto piccante-amaro. Essi
rappresentano, pertanto, un’insieme di composti eterogenei tra cui si possono riconoscere le sei diverse classi molecolari indicate nella Tabella II.
Gli oli extraverginei di oliva contengono mediamente una concentra-
Tab. 2 Composti fenolici dell’olio di oliva
217
Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea
zione di polifenoli compresa tra 150-300 mg/kg.
Secondo alcuni Autori le classi preponderanti della frazione fenolica
degli oli vergini di oliva sono i secoiridoidi ed i lignani (70-95%) negli oli
appena prodotti, mentre è stato osservato un aumento delle altre classi
durante la conservazione; ciò, probabilmente, è dovuto a processi idrolitici che si verificano a carico dei primi.
La frazione fenolica dell’olio vergine di oliva rappresenta quella maggiormente protettiva nei confronti dei processi ossidativi. Però non tutti i
composti hanno evidenziato la stessa attività antiossidante. Ciò è importante alla luce dell’ampio numero di molecole identificate nell’olio vergine di oliva (49).
Tra i diversi composti è stata individuata una maggiore attività antiossidante per quelli dotati di due ossidrili in posizione orto, in virtù di una
maggiore capacità di delocalizzazione della forma radicalica, grazie al meccanismo illustrato in Figura 11.
In pratica, i composti fenolici tendono a cedere idrogeno al substrato da ridurre formando, dapprima, un legame idrogeno intramolecolare ed
ossidandosi, successivamente, a composti ortochinonici. Essi contribuiscono alla rigenerazione della Vitamina E e sono in grado di chelare gli
ioni ferro capaci, a loro volta, di iniziare e propagare la perossidazione lipidica.
La capacità antiossidante dei composti fenolici è legata, quindi, alla
loro attività come “radical scavanger” (50).
Fig. 11
Attività antiossidante
dei composti fenolici
dell’olio di oliva legata
alla loro capacità
di “radical scavanger”
(LOO=radicale di un acido grasso,
LOOH=acido grasso)
218
Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea
In questo senso i due composti più importanti sono l’oleoeuropeina
e l’idrossitirosolo, caratterizzati entrambi da una struttura catecolica
(orto-difenoli).
Pertanto, grazie a questi composti, di cui l’olio vergine di oliva è l’unico, tra i grassi vegetali, a esserne ricco, la qualità ed il valore biologico dell’olio stesso sono meglio preservati nel tempo.
Queste sostanze antiossidanti manifestano una duplice azione protettiva, non solo nei confronti dell’olio ma anche sull’uomo che se ne
nutre.
La loro ampia gamma di attività biologiche, attribuibile alla loro natura chimica, è dovuta al fatto che sono molecole amfifiliche ossia, in parte,
liofile, con conseguente azione antiossidante lipidica, paragonabile a quella posseduta anche dai Tocoferoli (Vitamina E) ed, in parte, idrofile, cioè
con possibilità di interazione con gli enzimi, al pari della capacità antiossidante mostrata dalla Vitamina C (51).
Oltre alla già ricordata attività nei confronti delle lipoproteine LDL,
i polifenoli hanno dimostrato di poter svolgere varie altre importanti azioni biologiche, come ad esempio:
• provocare l’inibizione di cellule coinvolte in processi fisiopatologici
quali le piastrine, responsabili di processi trombotici, e i leucociti,
coinvolti in processi infiammatori;
• modulare enzimi che regolano funzioni cellulari; infatti, viene
aumentata la sintesi dell’ossido nitrico (NO), potente vasodilatatore,
capace di produrre nell’Uomo un abbassamento della pressione arteriosa sia sistolica che diastolica (52);
• essere in grado di bloccare i radicali liberi, evitando la loro azione
ossidante su macromolecole biologiche (danneggiamento dell’elica
del DNA, di strutture protidiche e lipidiche) che provoca delle alterazioni spesso coinvolte nella genesi dei tumori.
I radicali liberi sono atomi o molecole (anione superossido O2-,
idrossile OH-, diossido di azoto NO2, ossido nitrico NO-, idrogeno H-,
ossigeno O+, ossigeno singoletto O2+,ecc.) che contengono un solo elettrone spaiato nell’orbitale più periferico.
Questa caratteristica conferisce loro una elevata reattività legata alla
necessità, per raggiungere un livello energetico più stabile, di cedere o di
assumere un elettrone da altre molecole con le quali vengono a contatto,
molecole che, a loro volta, diventano instabili, innescando così un meccanismo di “instabilità a catena”.
219
Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea
La serie di reazioni che ne scaturisce può durare da una frazione di
secondo ad alcune ore e può essere ridimensionata o arrestata dalla presenza di vari agenti antiossidanti.
Le reazioni radicaliche sono ubiquitarie negli organismi viventi e i
radicali liberi si possono formare da fattori endogeni o esogeni all’organismo umano (Figura 12), come ad esempio, composti organici, metaboliti,
alimenti, fattori ambientali, ecc.(53).
Fig. 12 Serie di reazioni, provocate da fattori endogeni ed esogeni all’organismo umano, scatenanti la formazione di radicali liberi che provocano il danneggiamento del DNA
Se sono in quantità minima, i radicali liberi aiutano il sistema immunitario nell’eliminazione dei germi e nella difesa dai batteri; ma quando se
ne formano in grandi quantità, producono una molteplicità di danni irreparabili (figura 13).
L’azione distruttiva è indirizzata, soprattutto, sulle cellule, in particolare sui lipidi che sono i costituenti principali delle membrane cellulari
(lipoperossidazione) (Figura 14), sugli zuccheri, sulle proteine, sugli enzimi e, specialmente, sul DNA, dove vengono alterate le informazioni genetiche. L’azione continua dei radicali liberi si evidenzia, in modo più accen220
Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea
tuato, nel precoce invecchiamento delle cellule e nell’insorgere di varie
patologie gravi come le malattie dell’apparato cardiovascolare, diabete,
sclerosi multipla, artrite reumatoide, neoplasie, enfisema polmonare, cataratta, morbo di Parkinson e Alzheimer, dermatiti, ecc..
Fig. 13 Danni indotti dall’azione dei radicali liberi
Fig. 14 Danno prodotto dai radicali liberi sulle membrane cellulari.
A sinistra una rappresentazione di una membrana non danneggiata, a destra
quella di una membrana danneggiata che ha perso fluidità e funzionalità
221
Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea
L’organismo umano si difende naturalmente dai radicali liberi producendo degli antiossidanti endogeni , ossia degli enzimi citoplasmatici o
mitocondriali, come la superossidodismutasi (SOD, zinco dipendente), la
catalasi (CAT) e la glutation-perossidasi (GSAPX, selenio dipendente).
Durante il metabolismo cellulare, i radicali liberi prodotti vengono trasformati, per azione della SOD in acqua ossigenata, ancora tossica e dannosa per le strutture cellulari. A sua volta, però, l’acqua ossigenata viene
ridotta, dalla CAT e dalla GSAPX, in ossigeno ed acqua che vengono
escreti dall’organismo tramite le urine, il sudore e la respirazione.
Superata, però, una certa soglia di radicali liberi è necessario un
apporto esterno di antiossidanti. I principali sono i polifenoli, i bioflavonoidi, alcune vitamine (A, C, E) ed alcuni micronutrienti ed enzimi (Selenio, Rame, Zinco, glutatione, coenzima Q10, melatonina, ecc.). Gli agenti
antiossidanti possono agire singolarmente o interagire, proteggendosi a
vicenda nel momento in cui vengono ossidati.
Va tenuto presente che ciascun antiossidante ha un campo di azione
limitato ad uno o due radicali liberi. Pertanto, solo un’alimentazione completa ed equilibrata può garantire un’efficace azione antiossidante.
Per assicurarsi un sufficiente apporto giornaliero di antiossidanti gli
esperti consigliano un’alimentazione equilibrata ed un consumo giornaliero di almeno 5-6 etti di frutta di stagione e verdura fresca ( due etti di frutta e tre etti di verdura) (54).
I radicali liberi vengono bloccati, oltre che dai suddetti enzimi, da
meccanismi di difesa che coinvolgono polifenoli, Vitamina E, vitamina
C, il‚ b-carotene, ecc.
Tra i composti fenolici quelli più studiati sono stati l’oleuropeina e
l’idrossitirosolo.
L’oleoeuropeina è un principio amaro di struttura‚ b-glucosidica che
possiede, tra l’altro, un’attività blandamente ipoglicemizzante. Infatti,
nelle persone affette da questa patologia agisce migliorando la tolleranza
al glucosio, facendo abbassare i livelli di glucosio a digiuno e riducendo i
picchi di risposta glicemica.
Altri effetti attribuibili all’oleuropeina sono l’inibizione dell’aggregazione piastrinica ed il potenziamento della protezione cellulare e dell’organismo intero attraverso la risposta mediata dai macrofagi. Questo effetto si integra armoniosamente con l’azione antimicrobica contro virus, batteri, lieviti, funghi, muffe ed altri parassiti (55). All’oleouropeina è stata
222
Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea
riconosciuta, da alcuni ricercatori, una capacità antitumorale con azione in
diverse fasi del processo cancerogeno (56).
Spesso, durante il ciclo di lavorazione, l’oleouropeina si idrolizza
scindendosi in glucosio, acido elenoico ed in 3,4-diidrossifeniletanolo
(3,4-DHPEA) o idrossitirosolo.
oleuropeina
Acido elenoico
idrossitirosolo
Quest’ultimo è un composto interessante in quanto esplica un’azione antiherpes, ipotensiva, antiaggregante piastrinica ed, in vitro, effetti
antitumorali, inibendo la proliferazione sia sulle linee cellulari di leucemia
promielocitica che dell’adenocarcinoma del colon (57).
Recentemente è stata scoperta una notevole attività farmacologica in
un derivato dell’oleuropeina aglicone, responsabile del sapore pungente
che si avverte in gola quando si gusta dell’olio extravergine di oliva, che è
stato denominato “Oleocantale”. Il nome sta ad indicare che si tratta di un
composto aldeidico (“ale”), che deriva dall’olio di oliva (“oleo”) e che ha
un sapore pungente (“canth”) (58).
Struttura dell’oleocantale (a sinistra) e dell’ibuprofene (a destra)
223
Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea
Per verificare che veramente l’oleocantale fosse responsabile del sapore pungente del condimento gli scienziati hanno testato diverse qualità
d’olio di oliva verificando che maggiore era il contenuto di oleocantale in
ciascuna, più forte diventava il gusto pungente dell’olio. Tale sensazione
era simile a quella determinata dall’assunzione di un farmaco antinfiammatorio quale l’ibuprofene.
Partendo da questa considerazione e ricostruendo in laboratorio la
forma sintetica della molecola si è potuto constatare che essa manifestava
la stessa azione inibente e dose dipendente sulle ciclossigenasi 1 e 2
(COX-1 e COX-2), ossia nei confronti dei medesimi bersagli dell’ibuprofene. Il meccanismo d’azione, tuttora allo studio, pare sia da collegarsi al
fatto che detti enzimi danno luogo alla produzione di prostaglandine
PGE2, dotate di spiccata azione pro-infiammatoria e che, pertanto, inibendo i primi si spegne anche l’effetto dolorifico prodotto dalle seconde.
Pertanto l’azione dell’oleocantale dovrebbe essere del tutto simile a
quello manifestato dai farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) con
l’inibizione, come detto prima, delle COX-1 e COX-2, ed, a livello del
sistema nervoso centrale, delle COX-3, e il conseguente blocco della
cascata che dall’acido arachidonico porta alle PGE2.
Tale riscontro indurrebbe ad ipotizzare che il consumo costante di
olio vergine di oliva e, quindi, di oleocantale, possa svolgere un’azione
preventiva su alcune patologie infiammatorie.
Anche se la quantità di oleocantale presente in 50 g di olio extravergine di oliva corrisponde alla decima parte della dose raccomandata per un
adulto per ottenere un effetto terapeutico simil-ibuprofene sul dolore
(59), si deve rilevare, tuttavia, che dosi inferiori ai 100 mg/die di aspirina,
inizialmente ritenute non terapeutiche, sono risultate efficaci, se assunte
per un lungo periodo di tempo. Anche a bassi dosaggi si è potuto riscontrare, infatti, un’azione come antiaggregante piastrinica nella prevenzione di alcune patologie cardiovascolari ed una riduzione del rischio di
insorgenza di varie neoplasie (63% per i tumori del colon, 39% per quelli
del seno, 36% per quelli del polmone, 39% per quelli della prostata, 73%
per quelli dell’esofago, 62% per quelli dello stomaco e 47% per quelli delle
ovaie) (60).
Vi è, ancora, da segnalare che ,tra le sostanze ad attività anticancerogena, sono da tenere in notevole considerazione i lignani, composti fenolici presenti anche nel nocciolo dell’oliva e che, spesso, nel corso della
frangitura delle olive passano nell’olio.
224
Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea
I
II
III
Lignani:
1-acetoxipineresinolo (I), pinoresinolo (II) e idrossipinoresinolo (III)
È stato, infatti, dimostrato che essi inibiscono la crescita di diversi
tipi di tumori: cutanei, mammari, del colon, polmonari (61).
Negli animali la somministrazione di semi di lino, notevole fonte di
lignani, previene l’insorgenza di carcinoma mammario (62,63). Il meccanismo proposto per spiegare come i lignani agiscano nel bloccare la carcinogenesi include l’attività antivirale ed antiossidante propria di questi
composti.
Inoltre, le similitudini strutturali con l’estradiolo e l’antiestrogeno
sintetico tamoxifene, inducono a ritenere che i lignani possano agire,
almeno in parte, anche come antiestrogeni.
Essi, infatti, sono in grado di inibire la sintesi di estradiolo nella placenta e nel tessuto adiposo, la proliferazione indotta da estrogeni di cellule umane di carcinoma mammario, nonché di aumentare i livelli di Sex
Hormone-Binding Globulin (SHBG: proteina plasmatica vettrice degli
steroidi sessuali), con conseguente riduzione dei livelli liberi, biologicamente attivi, di estrogeni (64).
Secondo ricerche svolte presso l’Istituto Superiore di Sanità i polifenoli, e, precisamente, l’acido protocatechico e l’oleuropeina, sono in grado
di funzionare non solo come antiossidanti in senso stretto, ma anche di
stimolare, attraverso un effetto diretto sul DNA, la produzione di enzimi
antiossidanti cellulari endogeni, rafforzando, in tal modo, le difese interne proprie dell’organismo nei confronti dei fenomeni ossidativi (65).
225
Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea
I pigmenti colorati che si trovano nell’olio di oliva sono i Carotenoidi e le clorofille.
I primi sono formati, in maniera preponderante, da b-carotene (da 0,5
a 10 mg/kg) e minoritaria da luteina e xantofille, e conferiscono all’olio la
caratteristica colorazione gialla; le seconde, contenute nell’olio nella
quantità massima di 2,5 mg/kg, sono costituite da Clorofilla A e B e da
feofitina A e B ed impartiscono all’olio una colorazione verde, più intensa per le olive poco mature.
Anche il b-carotene può essere considerato un “quencher” dell’ossigeno singoletto che è, in vivo, una delle forme più reattive dell’ossigeno.
Inoltre, il‚ b-carotene viene definito pro-vitamina A in quanto, ad opera
dell’enzima carotenasi, presente nel fegato, si trasforma in Vitamina A.
Questa esplica un’azione specifica nel processo della visione, impedisce la
secchezza delle mucose ed è necessaria per il mantenimento dell’integrità
della pelle, di cui ne promuove la crescita e ne rallenta l’invecchiamento.
I bisogni nutrizionali di Vitamina A per un individuo adulto sono
valutati in 600-700 µg/die (66).
Le clorofille ed i loro derivati (feofitine e feoforbidi) sono pigmenti
presenti nell’olio vergine di oliva che, in presenza di luce, mostrano attività pro-ossidante: possono, infatti, catalizzare la fotossidazione.
Il meccanismo di reazione è basato sul trasferimento di energia dalla
luce ai pigmenti indicati. Questi composti, così attivati, possono reagire
direttamente con gli acidi grassi formando radicali che vanno a promuovere l’autossidazione. Le clorofille eccitate possono anche reagire con
l’ossigeno tripletto trasformandolo in ossigeno singoletto; questo è in
grado di ossidare gli acidi grassi insaturi formando idroperossidi.
La fotossidazione è, pertanto, un fenomeno degradativo la cui conseguenza diretta è la progressiva scolorazione dell’olio extravergine di oliva
con viraggio del colore dal verde al giallo paglierino molto tenue.
Le clorofille, invece, in assenza di luce si comportano da antiossidanti insieme con i polifenoli (67).
Il termine Vitamina E viene usato per indicare sia i tocoferoli che i
tocotrienoli.
I Tocoferoli sono contenuti nell’olio in quantità comprese tra 5 e 300
mg/kg (ppm) e si distinguono, inoltre, nelle forme a, b, g e d.
Di queste, la forma biologicamente più attiva è quella “a” considerata, perciò, la vera Vitamina E, mentre le altre, pur possedendo, in vitro,
226
Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea
Alcune forme diverse di Vitamina E in funzione della differente posizione
dei sostituenti metilici
un’ottima attività antiossidante, agiscono limitatamente in vivo essendo
scarsamente assorbite dall’intestino e rapidamente eliminate dall’organismo.
Nell’olio vergine di oliva i tocoferoli presenti sono tutti nella forma ·
ed in concentrazioni comprese tra 150-300 mg/kg, mentre negli oli di
semi, ad eccezione del girasole, sono presenti prevalentemente nelle
forme g e d.
Le forme b, g e d non superano, nel loro insieme, il 10% del contenuto di a-tocoferolo (68).
Secondo la Food and Drug Administration (FDA) il livello di assunzione di Vitamina E dovrebbe corrispondere a 8 mg/die, per gli uomini, ed
a 10 mg/die, per le donne, ma tale fabbisogno aumenta con l’apporto di
acidi grassi polinsaturi fino al 200%.
Deve essere anche considerato che i tocoferoli naturali non sono
molto stabili e, spesso, si verificano negli alimenti perdite, anche rilevanti, col magazzinaggio e con le cotture. Sembra, quindi, dubbio che l’apporto di vitamina E con l’alimentazione sia sempre sufficiente a compensare
i bisogni dell’organismo ed è, perciò, possibile che si possa verificare il
caso che non venga rispettato in vivo un adeguato rapporto tra mg di atocoferolo / g di acidi grassi polinsaturi (E/PUFA) con conseguente rischio
227
Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea
perossidativo.
Come si può notare nella tabella III, l’olio extravergine di oliva presenta un rapporto Vitamina E/PUFA più elevato anche dell’olio di germe
di grano, riconosciuto come principale fonte di detta vitamina ma che pre-
Tab. 3 Rapporto tra contenuto in vitamina E e in acidi grassi polinsaturi
(PUFA) di oli e grassi
senta anche una notevole quantità di acidi grassi polinsaturi.
Sotto questo punto di vista l’olio di oliva si presenta in una situazione di privilegio per il non elevato contenuto in acidi grassi polinsaturi, per
la presenza di una buona quantità di Tocoferolo nella forma ·, nonché per
una serie di acidi fenolici e di fenoli dotati di attività antiossidanti. L’insieme di queste ultime sostanze determina un fenomeno di esaltazione della
stabilizzazione contro l’ossidazione e ciò spiega come mai l’olio di oliva
sia una delle sostanze grasse che meglio resiste ai fenomeni ossidativi sia
a temperatura ambiente che nei trattamenti a caldo come le fritture.
La Vitamina E protegge dall’ossidazione le strutture lipidiche, salvaguarda le membrane biologiche e difende dai radicali liberi che si formano
nelle cellule.
I processi tecnici di lavorazione, specie la raffinazione dell’olio, riducono inevitabilmente la quantità di questa sostanza con perdite nelle
acque di vegetazione durante l’estrazione.
228
Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea
Alcuni studi epidemiologici hanno dimostrato che dosi elevate di vitamina E, assunte regolarmente per un periodo di almeno due anni, riducono significativamente il rischio di malattie cardiocoronariche (31-65 %).
Questi dati non hanno trovato, tuttora, riscontro in esperimenti a
breve termine con dosaggi inferiori. Per adesso è stato completato solo lo
studio denominato Cambridge Heart Antioxidant Study (CHAOS). I
risultati di questa indagine in doppio cieco, controllata con placebo, su
2000 pazienti con patologia cardiocoronarica documentata, hanno indicato che l’assunzione di vitamina E ad alte dosi può ridurre significativamente l’incidenza di eventi cardiaci non fatali ma non ha alcun impatto
sulla mortalità globale (33).
Bisogna, infine, ricordare che l’olio extravergine di oliva contiene,
anche, significativi livelli di Vitamina D che pare riesca a migliorare l’assorbimento intestinale del calcio ed a svolgere, conseguentemente, una
buona attività contro la decalcificazione ossea negli anziani.
Si conoscono parecchi composti con attività vitaminica D; ma i più
importanti sono:
• vitamina D2 o ergocalciferolo, unicamente di origine esogena;
• vitamina D3 o colecalciferolo, di origine sia esogena che endogena,
quest’ultima proveniente dall’irradiazione con raggi U.V. del 7-deidrocolesterolo presente nella pelle.
Il fabbisogno di Vitamina D, nell’adulto, varia da 0 a 15 µg/die (69).
7. Conclusioni
Da quanto fin qui detto si evince che l’olio vergine di oliva è l’unico
olio che viene ottenuto per estrazione a freddo da un frutto con soli mezzi
meccanici e può essere consumato non raffinato; esso non è solo una delizia per il palato ma rappresenta un alimento insostituibile nella dieta
Mediterranea.
Ricco in giusta misura di acidi grassi insaturi, con una elevata percentuale di acido oleico ed un ottimale rapporto tra acido oleico e linoleico,
così come richiesto dalla moderna dietologia, l’olio vergine di oliva contiene una miriade di costituenti minori, ma non per questo meno importanti, che esplicano, come si è detto, svariate ed importantissime azioni
protettive, soprattutto antiossidanti, nei confronti del nostro organismo.
Nessuno, però, ad oggi, consiglia l’uso di supplementi od estratti di
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Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea
olio vergine di oliva in sostituzione del consumo nella sua forma naturale, forse perché sostanze non ancora note o la giusta miscela di composti
già noti potrebbe essere il segreto delle sue meravigliose virtù salutari.
Tanto che definire l’olio vergine di oliva semplicemente un “condimento”
può apparire sicuramente riduttivo dato che le sue proprietà nutrizionali
ed i suoi effetti benefici vanno ben al di là di quelli attribuibili ai singoli
componenti che lo caratterizzano. Si può, pertanto, a ragione affermare
che l’olio extravergine di oliva rappresenti un naturale “functional food”,
ovvero un “nutraceutico”, benevolmente offertoci dalla Natura per porre
il nostro organismo al riparo dalle continue offese cui la nostra frenetica
vita, quotidianamente, lo espone.
Nel 1997, in una riunione promossa dalla Comunità Europea, a
Roma, presso il CNR, specialisti europei hanno concordato che vi è una
forte evidenza che la Dieta Mediterranea, con l’olio vergine di oliva quale
principale fonte di grassi, gioca un ruolo chiave nella prevenzione di fattori di rischio cardiovascolare quali dislipemie, ipertensione, diabete ed
obesità e, di conseguenza, nella prevenzione primaria e secondaria della
cardiopatia coronaria. Inoltre, ci sono evidenze che suggeriscono un possibile ruolo preventivo dell’olio di oliva nei confronti di alcuni tipi di neoplasia ed, in particolare, del tumore alla mammella.
Non meraviglia, pertanto, la decisione della Lilt (Lega italiana per la
lotta contro i tumori) di scegliere proprio l’olio extra-vergine di oliva come
prodotto simbolo per la prevenzione e la lotta contro i tumori.
Per tutti i suoi innumerevoli pregi nutrizionali e salutari, l’olio extra
vergine di oliva ha ottenuto, recentemente, uno dei più importanti riconoscimenti internazionali, direttamente dalla Food and Drug AdministraQualified Health Claim”. Grazie a questo riconoscimention (FDA), il “Q
to, l’olio extravergine di oliva ed i prodotti alimentari che lo contengono
possono beneficiare in etichetta della seguente dizione:
“Limited and not conclusive scientific evidence suggest that eating about
2 tablespoon (23 grammi, circa 3-5 cucchiai al giorno) of olive oil daily may
reduce the risck of coronary heart disease” .
Da millenni protagonista nella tavola mediterranea l’olio di oliva è un
utile presidio per il contenimento di svariate tipologie di malattie per cui
si rende necessaria una corretta informazione rivolta sia ai produttori, al
fine di migliorare la qualità del loro prodotto, sia ai consumatori che non
dovrebbero mai smettere di considerarlo come un alimento di notevole
importanza, sicuramente un alleato prezioso per la loro salute.
230
Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea
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E., ZANONI B., Olio extravergine di oliva. Ricerche ed innovazioni
per il miglioramento della qualità- Oliviticoltura,6 (2005);
68) GALLINA-TOSCHI T. Caratteristiche chimico-fisiche degli oli extravergini di oliva- Corso per l’idoneità fisiologica all’assaggio dell’olio di
oliva - Bologna, 18-19-20 Marzo e 26 - 27 Marzo 2004;
69) FIDANZA A., COSTA-FIDANZA A. Un nuovo ruolo delle vitamine: l’azione protettiva- Le Scienze-Quaderni, 72, 61, (1993).
235
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Cibo e turismo
la “dieta mediterranea”
come “risorsa turistica”
Maria Sabrina Leone
Consulente turistico
T&T S.r.l. Territorio e Turismo
Cibo e turismo la “dieta mediterranea” come “risorsa turistica”
Ringrazio come sempre il Prof. Bacarella ed il Coreras per l’opportunità offertami di potere ancora una volta trattare un argomento a me
molto caro, ovvero quello che riguarda le relazioni economiche e di mercato tra l’universo turismo ed il mondo agricolo.
Argomento già affrontato dallo stesso Coreras in una precedente
ricerca relativa a “turismo e prodotti agricoli di qualità”, e che ha visto
quali protagonisti nella realizzazione me e la mia società. Ricerca che
auspico venga riproposta nei prossimi anni, visto che tutti i prodotti analizzati sono pezzi forti proprio della Dieta Mediterranea.
Oggi con questo convegno, un’altra occasione per diffonderne nuovamente gli importanti risultati, affiancandomi ad altri relatori che oggi
hanno parlato di dieta mediterranea affrontandone gli aspetti di valenza
salutistica ed eno-gastromica (penso alla cucina mediterranea e al suo successo nutrizionale e dietologico), lasciando a me lo spazio per soffermarmi sulla valenza economica e di marketing ovvero su come la dieta mediterranea possa considerarsi una “risorsa turistica”.
Ovviamente mi riferisco alla visione di dieta mediterranea sia come
opportunità di sviluppo economico, sia di promozione dei territori e dei
prodotti locali attraverso gli stimoli dati alla crescita della qualità, alla difesa della cultura locale, ecc..
Il mio intervento si propone quindi di svelare i forti rapporti tra cucina mediterranea, prodotti agricoli di qualità e turismo, ma anche di stimolare, laddove mi sarà possibile, data la sede, il Palazzo della “politica”, ed
in presenza dell’Assessore, una nuova azione regionale con piani, strategie ed iniziative di co-marketing fra agricoltura e turismo. L’unica, a mio
avviso, finalizzata a raggiungere importanti risultati di sviluppo economico attraverso la valorizzazione delle risorse enogastronomiche locali.
Questa nella slide la struttura del mio intervento ovvero
n
il rapporto turismo e cibo, soffermandomi su
• il legame economico ed i fattori determinanti
• il mercato turistico e la cucina mediterranea
• il cibo risorsa turistica (offerta)
n
Un breve focus sulla realtà siciliana
n
Alcune proposte operative
Sulle relazioni economiche tra mondo agricolo e mondo turistico, e
reciproci vantaggi, si può sinteticamente fare riferimento in primo luogo
alla valenza economica che la domanda turistica rappresenta per il comparto agricolo, costituendo un atto di consumo AGGIUNTIVO che si
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Cibo e turismo la “dieta mediterranea” come “risorsa turistica”
manifesta direttamente nei luoghi di produzione.
Anche per il comparto turistico, l’agricoltura se espressa attraverso
produzione di qualità ed offerta eno-gastronomica, rappresenta una fortissima leva economica e di marketing.
Per meglio comprendere tale affermazione occorre aprire una parentesi sulle caratteristiche della domanda e dell’offerta “turistica”.
Nel primo caso ci si riferisce ai rapporti che il turista può nutrire nei
riguardi della dieta mediterranea e dei prodotti agricoli di qualità. Nella
ricerca Coreras già citata, abbiamo avuto modo di delineare tre tipologie
di turista, l’indifferente, il sensibile, ed il vero “enoturista o turista enogastronomico” a secondo del grado di importanza attribuito che lo stesso
turista attribuisce al prodotto agricolo e/o alla cucina locale per la scelta
della destinazione di vacanza.
La stima dei numeri e della valenza economica dei sensibili e degli
eno-turisti, sono naturalmente difficili da effettuare, anche se autorevoli
fonti rivelano che nel 2004, in Italia, quasi 2 dei circa 87 miliardi di consumi turistici complessivi, italiani e stranieri, siano stati spesi nel settore
agricolo, mentre il valore aggiunto che i consumi turistici hanno attivato
direttamente nel comparto, è stato valutato pari a 1.383 milioni di euro,
oltre 4.000 milioni di euro se si considerano anche i consumi turistici di
tipo indiretto.
Passando a considerare il mercato turistico europeo, l’eno-gastronomia è risultata all’8º posto nei criteri di scelta delle destinazioni di vacanza e l’Italia, paese principe della dieta mediterranea, al primo posto in
Europa per notorietà della cucina tra i vacanzieri europei. Ancora più
significativo il dato derivato da un sondaggio Doxa molto recente (2006),
secondo cui l’associazione di idee “gastronomia-prodotti locali” è la prima
che viene fatta dagli stranieri quando si parla di vacanze nel Sud Italia.
Uno sguardo, infine, alle proposte dei Tour Operator stranieri con offerta Italia, rivela che il 13,1% dei Tour Operator europei e ben il 69% dei
Tour Operator USA con destinazione Italia inseriscono nei loro pacchetti proposte eno-gastronomiche.
L’analisi del mercato turistico in Italia svela che sono oltre 14 milioni
i turisti eno-gastronomici in Italia, di cui più della metà stranieri. Tra gli
italiani, che ammontano a 5.436.000, l’11% consuma prodotti tipici locali.
Nel 2005 sono stati 408 mila i vacanzieri che hanno scelto la destinazione di vacanza per motivi eno-gastronomici, ben il 20,7% in più rispetto al 2004.
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Cibo e turismo la “dieta mediterranea” come “risorsa turistica”
Un ruolo di fondamentale importanza nell’ambito del turismo enogastronomico viene rivestito dal vino. Nelle sole Strade del Vino, sono 4
milioni gli enoturisti e la spesa turistica è risultata pari a circa 2 miliardi di
?. Si tratta si un mercato in crescita esponenziale, il cui trend di sviluppo
nei prossimi 5 anni si prevede che sia pari al 100%. I vini italiani rappresentano un forte attrattore soprattutto per gli stranieri. Nel 2006, gli enoturisti stranieri in Italia provengono soprattutto dai paesi dell’area germanica, in particolare Germania (33%) e Austria (12%), anche se nell’ultimo
anno sono diminuiti. Sono aumentati, invece, gli enoturisti americani, ma
anche i francesi e i giapponesi.
D’altra parte, l’offerta eno-gastronomica italiana appare piuttosto
ricca e attrattiva, con 112 Strade del Vino e dei prodotti tipici, circa 200
presidi Slow Food e numerosissime Associazioni Città del Vino, dell’Olio, del Castagno, del Pane, del Miele, delle Ciliegie, etc.
Passando ad analizzare il contesto regionale siciliano, sono molto
interessanti i dati relativi all’indagine sulla notorietà della Marca Sicilia sia
in Italia che all’estero, che rivelano un ruolo importante di cucina e prodotti agricoli locali.
Come evidenziato dai grafici nelle slides, l’indagine rivela si una Sicilia conosciuta e ricordata soprattutto come “luogo di vacanza” e di “arte
e cultura”, ma che inizia a veicolare anche all’estero immagini importanti
legate alla “buona cucina”, al “vino” e alla “qualità dei prodotti”, che conquistano insieme il quarto posto con il 6,4% di preferenze.
Maggiore il successo registrato sul mercato interno nazionale, dove la
Marca Sicilia mostra una notorietà ancora più forte, e dove la cucina, insieme con i vini e i dolci, ottiene quasi il 15% delle preferenze.
Va aggiunto, infine, che tra le regioni italiane la Sicilia è risultata al 3º
posto come luogo preferito dagli italiani per cucina e vino, dopo Toscana
ed Emilia-Romagna.
Anche l’offerta eno-gastronomica siciliana appare ricca e variegata,
con 45 Comuni siciliani che fanno parte dell’Associazione Città del Vino,
13 Strade del Vino, ben 29 presidi Slow Food, 1 Club di Prodotto Enogastronomia, oltre 200 sagre nei 390 comuni dell’Isola.
A fronte di tale variegata offerta di tipo turistico, il comparto agro-alimentare siciliano può vantare un mercato di riferimento potenziale molto
ampio. Il mercato obiettivo o target per il comparto è infatti rappresentato dagli oltre 4 milioni gli arrivi turistici registrati nell’Isola.
Secondo la nostra indagine sul campo realizzata per il Coreras nel
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Cibo e turismo la “dieta mediterranea” come “risorsa turistica”
2003, attraverso interviste ad un campione di oltre 1.000 turisti sull’Isola,
il turismo enogastronomico pesa ben il 12% sull’intera domanda turistica
regionale, ovvero 12 turisti su 100, sono stati influenzati da motivazioni
eno-gastronomiche per la scelta di vacanza nell’Isola.
Interessantissime, le stime di tipo economico derivanti dalla stessa
indagine: si è stimato che nel solo anno 2003, siano stati spesi oltre 100
milioni di euro per prodotti agricoli di qualità e che la spesa media del
vacanziere-tipo in Sicilia, per i soli prodotti agricoli di qualità, appena 15
del totale paniere regionale, sia stata pari a 20 euro.
Per meglio chiarire il valore dei risultati riporto alcuni dati sul Marsala, uno dei prodotti più noti, consumati ed acquistati dai turisti nell’Isola:
11 euro la spesa media, per oltre 350 mila acquirenti, per un totale fatturato annuo stimato di quasi 4 milioni di euro, pari, a detta degli esperti di
settore, a circa il 10% del totale fatturato del Marsala nello stesso anno.
Sfido con questi numeri a non parlare di turismo come opportunità economica per il comparto agricolo ed agro-alimentare siciliano, se si pensa
poi che tali risultati giungono in assenza di qualsiasi iniziativa di marketing mirata sul target di riferimento !!!!
E che non vi sia alcuna politica di marketing in atto per raggiungere
il target è venuto fuori anche dalle altre ricerche di marketing portate
avanti all’interno della stessa indagine.
Non contenti di sondare il mercato, si è infatti indagato presso quelli che sono stati ritenuti i canali di vendita delle produzioni agricole regionali sul mercato turistico, ovvero il settore del Food and Beverage, ristorazione e hotellerie, nonché gli esercizi commerciali di vendita delle produzioni alimentari, localizzati nelle principali località e zone turistiche
dell’Isola (Taormina, Agrigento, Palermo e Siracusa).
Abbiamo scoperto così che le migliori vetrine dei prodotti agricoli di
qualità, seppure con molti punti neri, sono soprattutto gli esercizi del
F&B; ma si tratta soprattutto dei vini del paniere che godono una presenza media elevata soprattutto nei menù e/o carta dei vini e più raramente
negli spazi espositivi e ancor meno all’interno dei depliant. Sicuramente
peggiore la capacità media di comunicare e presentarsi dei prodotti regionali nei tradizionali canali di vendita commerciali. Come rivela la tabella,
solo 4 tra formaggi e vini sono presenti in più della metà degli esercizi
commerciali visitati. A ciò si aggiunge che sono solo pochissimi a vantare
una buona visibilità e capacità attrattiva, in termini di presentazione e/o
packaging.
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Ma a ribadire comunque le forti opportunità di marketing per i prodotti di qualità della dieta mediterranea nella regione, altre informazioni
raccolte sulla notorietà degli stessi sia a livello regionale che dai turisti nell’Isola. Nell’anno dell’indagine, nei principali quotidiani nazionali, come il
Corriere della Sera e Repubblica, per citarne alcuni, sono state rilevate una
media di 6 citazioni mensili per un totale di oltre 200 riferimenti, tra articoli, trafiletti o semplici citazioni.
Anche i turisti in Sicilia, italiani e stranieri, conoscono le nostre produzioni, con una netta prevalenza per i prodotti così detti “immagine”
come il ficodindia ed il Marsala per gli stranieri. Tra i prodotti più consumati durante il proprio soggiorno prevalgono invece quelli da cucina, quali
pecorino siciliano ed i pomodorini di Pachino, mentre tra gli acquisti a cui
non rinuncia quasi un turista su 2 in Sicilia, prevalgono i vini con il primato, che ho già citato, del Marsala, preferito soprattutto negli acquisti degli
stranieri.
Alla luce di tali dati, giungo alla conclusione del mio intervento,
tenendo fede all’impegno preso con il prof. Bagarella, ovvero di produrre
in questa sede e alla presenza di esperti ed autorità di settore, alcune proposte operative per una reale valorizzazione della dieta mediterranea e del
relativo comparto agro-alimentare di riferimento . Ne ho individuate due:
1. costituire al più presto una task force che veda insieme esperti agricoli a fianco di esperti di marketing turistico. Si tratta di uno strumento di azione, in realtà come l’Irlanda già attive da decenni;
2. predisporre un organico piano strategico di interventi, con la definizione e la realizzazione di ricerche di marketing continue, ma anche
di azioni operative di “aggressione” del mercato.
Rispetto alle ricerche, mi riferisco alla possibilità di rendere permanenti le indagini prima illustrate. Ideale potrebbe essere in tal senso l’istituzione di un osservatorio permanente, magari presso lo stesso Coreras.
Ma le ricerche non bastano se non sono seguite da una divulgazione
mirata presso i produttori e da precise azioni di assistenza tecnica finalizzate alla creazioni di reti di promozione e alla formulazione di adeguate
campagne di comunicazione e marketing diretto.
Mi auguro pertanto, ancora una volta, che questo incontro sia da stimolo per l’attuazione di tali orientamenti, e che presto si possano trasformare le parole in fatti concreti in favore dello sviluppo economico della
nostra regione.
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La dieta mediterranea
nella politica di sviluppo
dell’agricoltura regionale
Giovanni La Via
Assessore Regionale
Agricoltura e Foreste
La dieta mediterranea nella politica di sviluppo dell’agricoltura regionale
La giornata odierna, come del resto tutte le iniziative convegnistiche
promosse dal CORERAS, costituisce l’occasione per anticipare temi di
grande interesse portandoli all’attenzione di un pubblico vasto. Già in
passato, infatti, le ricerche svolte dal CORERAS, attinenti allo sviluppo
rurale ed alle imprese marketing oriented, avevano di fatto precorso dibattiti che poi sono divenuti centrali anche nell’agenda politica.
Un ringraziamento va, quindi, al CORERAS per il tema scelto che
offre la possibilità attraverso un approccio multidisciplinare di acquisire
una serie di elementi d’indubbia utilità per l’azione politica.
La dieta mediterranea è sicuramente uno strumento straordinario di
valorizzazione dei nostri prodotti isolani. L’efficacia e le potenzialità di
tale inevitabile connubio emerge in tutta la sua evidenza in quei casi in cui
constatiamo lacune nell’attività di comunicazione con riferimento ai singoli prodotti, assolutamente colmabili se facessimo un più marcato riferimento alla dieta mediterranea.
In realtà, sempre più nelle nostre azioni di comunicazione, e, soprattutto in quelle sostenute dalle risorse pubbliche, abbiamo difficoltà a promuovere singoli prodotti in quanto le iniziative della Regione verrebbero
a turbare le regole sulla concorrenza, quella cioè esistente sui mercati tra
produttori di paesi diversi. Ci è sempre più difficile sostenere, in termini
di comunicazione, un singolo prodotto. È evidente che invece comunicare le caratteristiche di una dieta in termini di azioni che tendono a prevenire effetti negativi sulla salute dei consumatori, è qualcosa che oggi possiamo fare e possiamo indirettamente utilizzare come strumento di supporto alle produzioni agro-alimentari e tipiche della Sicilia.
Per fare ciò, bisogna definire una strategia per la competizione dei
nostri prodotti sui mercati, ma preliminarmente occorre chiaramente
individuare lo scenario competitivo unitamente alle problematiche ed alle
prospettive che esso pone.
Oggi lo scenario competitivo internazionale è caratterizzato dalla
presenza di una molteplicità di produttori che, operando in aree nelle
quali il costo dei fattori produttivi è sensibilmente più basso, si affacciano
sul mercato con prezzi dei prodotti ovviamente improponibili per nostri
livelli di redditività aziendale.
La competizione, così come più volte evidenziato, basata sul prezzo
non è una competizione nemmeno lontanamente sostenibile per i nostri
produttori
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La dieta mediterranea nella politica di sviluppo dell’agricoltura regionale
È una competizione che ci vede perdenti in partenza, sia per le ridotte dimensioni economiche delle nostre strutture produttive, sia per i costi
dei fattori produttivi che nel nostro territorio sono sensibilmente più alti
rispetto a quelli di altre aree produttive. Ed oggi, nella prospettiva di un
ulteriore allargamento dei mercati, in realtà già in buona parte avvenuto,
operiamo per i prodotti agro-alimentari in un mercato libero senza barriere alla circolazione delle merci.
E’ evidente che questa prospettiva competitiva è ancor meno allettante, e d’altro canto non è proponibile viste le regole internazionali del commercio, vista la possibilità unica che hanno questi paesi in via di sviluppo
di affacciarsi al mercato vendendo gli unici prodotti che realizzano, i prodotti agricoli appunto; non riuscendo, dunque, in alcun modo a frenare
questa spinta alla libera circolazione delle merci.
Quindi, dobbiamo trovare modelli competitivi nuovi, dobbiamo pensare a come rendere possibile la sopravvivenza, da un lato e dall’altro lato,
lo sviluppo del sistema agro-alimentare siciliano.
Su questo oggi sono emerse una mole di indicazioni utili così come in
altre iniziative; penso, ad esempio, a quella organizzata dal CORERAS
sulle imprese marketing oriented, nell’ambito della quale sono stati posti
spunti interessanti, a dimostrazione del fatto che la ricerca, la buona ricerca è un utile strumento per la messa a punto e lo sviluppo di politiche di
intervento per il sistema agro-alimentare.
È evidente che una strategia che sia di valorizzazione ed al contempo
di supporto del nostro sistema agro-alimentare deve fondarsi sulla possibilità di differenziare i nostri prodotti rispetto a quelli della concorrenza.
E qui abbiamo uno strumento di differenziazione di grande valenza, così
come dimostrano le ricerche iniziate su Nicotera e continuate in questo
quarantennio. Sussistono ormai risultati scientifici provati e reiterati in
contesti diversi che evidenziano come la dieta mediterranea, così come
oggi abbiamo avuto modo di analizzarla nelle sue diverse articolazioni,
costituisca un importante elemento al fine di prevenire l’insorgenza di
malattie dalla forte rilevanza sociale.
Abbiamo la necessità di riflettere su tale tema, ma soprattutto forte è
la necessità di utilizzare queste informazioni come elementi per l’elaborazione di una politica di marketing e di valorizzazione dei nostri prodotti
e del nostro territorio. Verso tali obiettivi possiamo agire attraverso vari
strumenti. In alcuni casi abbiamo già avviato delle azioni, ancora in corso,
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La dieta mediterranea nella politica di sviluppo dell’agricoltura regionale
in altri casi invece stiamo ancora predisponendo le più opportune linee
d’intervento.
La Regione Siciliana, tramite l’Assessorato per Agricoltura e le Foreste, ha già da diversi anni in atto un programma di educazione alimentare
che si sviluppa attraverso le scuole, elementari e medie, con interventi
espletati all’interno dei percorsi formativi e volti in prevalenza all’informazione delle caratteristiche che possiedono i prodotti tipici della dieta
mediterranea. Questo è un percorso che è stato avviato e probabilmente
poteva essere migliorato.
Qualcuno parlava prima della necessità di una formazione dei formatori, e in tale ambito ritengo che bisogna certamente integrare quanto
abbiamo fatto sino adesso, per migliorare non solo la capacità di comunicazione ma anche, e soprattutto, alcuni contenuti specifici del messaggio
che viene trasferito.
Abbiamo poi avviato alcune attività di promozione istituzionale dei
prodotti, in quanto quelle finora svolte si sono rilevate episodiche, non
sistemiche e slegate da una strategia univoca.
I risultati della debolezza della nostra comunicazione istituzionale ci
viene non sono certo favorevoli ove si consideri ad esempio, alcuni slogan
provenienti da imprese industriali che nell’ultimo periodo ci informano
che, in termini di alcuni nutrienti, alcuni prodotti messi in commercio dall’industria forniscono più elementi vitaminici e minerali rispetto a quelli
di 26 arance messe insieme!
È evidente che ogniqualvolta vediamo quel messaggio, subiamo un
ulteriore oltraggio alla nostra incapacità di comunicare le caratteristiche
dei nostri prodotti. E su questo abbiamo cominciato un percorso cercando di mettere insieme soggetti istituzionali, imprenditori, ricerca, soggetti ed enti operanti sul territorio, pur con le difficoltà riscontrabili in tale
ambito.
Così come sa il Prof. Bacarella, abbiamo voluto iniziare un’attività di
comunicazione istituzionale con riferimento all’ ”Arancia Rossa di Sicilia
IGP”, perché pensavamo che si prestasse bene come modello di comunicazione di un prodotto che pur possedendo caratteristiche peculiari in termini di antiossidanti, in termini di nutrienti, ecc., risulta ancora scarsamente valorizzato. E rispetto a questo abbiamo cercato di mettere insieme tutti i soggetti che operano sul territorio dell’arancia rossa: 3 Province, 38 Comuni, 3 Camere di commercio, gli imprenditori agrumicoli ed il
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La dieta mediterranea nella politica di sviluppo dell’agricoltura regionale
Consorzio di tutela, certi della disponibilità nei loro bilanci, in termini di
enti pubblici, di cospicue risorse sul capitolo della promozione.
Da un’analisi più puntuale, da una verifica della destinazione di queste risorse, ci siamo resi conto che queste risorse venivano ad essere utilizzate per alcune iniziative sul piano locale (squadra di calcio e spettacoli di piazza) che non ad un’effettiva e reale promozione istituzionale del
prodotto. Quindi, abbiamo stipulato e realizzato un protocollo d’intesa
tra tutte le amministrazioni pubbliche, il Consorzio di tutela, la Regione
Siciliana, per realizzare un’iniziativa unica di comunicazione istituzionale.
Abbiamo affrontato le difficoltà di tutti gli enti locali che sono estremamente restii a spogliarsi delle proprie risorse per realizzare azioni di
comunicazione sulle caratteristiche dei prodotti, deviando purtroppo da
un percorso di vera e propria comunicazione istituzionale sui mercati
dove poi il prodotto deve essere venduto e valorizzato.
Ma anche su questo insisteremo, perché dobbiamo cambiare anche la
cultura delle amministrazioni. Deve necessariamente maturare la consapevolezza che non potranno più continuare ad attivare iniziative con supporti pubblici, quando non risultano in grado di realizzare azioni sinergiche con coloro che stanno accanto.
E ciò che abbiamo visto prima, con riferimento al marketing turistico e al livello di conoscenza che i consumatori hanno dei singoli prodotti, mi stimolava qualche altra riflessione dalla quale, evidentemente, possono derivare linee di azione politica. Nell’elenco dei prodotti conosciuti,
sia a livello nazionale che internazionale, ritrovavamo agli ultimi posti
sempre gli oli, non perché gli oli – tanto cari al nostro Prof. Chiricosta –
siano scarsamente conosciuti, ma perché l’abbinamento olio-territorio
viene fatto rispetto a comprensori che evidentemente al di fuori del territorio siciliano sono scarsamente noti. Pensate che negli Stati Uniti o in
Giappone abbiano conoscenza di dove siano le colline ennesi o le colline
nissene, dov’è la val di Mazara o dove sono i monti Iblei? È evidente che
queste denominazioni al di fuori del nostro territorio regionale perdono
una valenza di riferimento territoriale.
Risulta, quindi, necessario ridare a questi un abbinamento al territorio che in questo modo decisamente non è efficace quando, invece, i prodotti che sono noti sono quelli riferiti all’intero territorio regionale.
Quando si parla del vino siciliano o di altri prodotti agroalimentari isolani, la Sicilia è evidentemente nota, e anche se molto spesso alla parola
256
La dieta mediterranea nella politica di sviluppo dell’agricoltura regionale
“siciliani” ci abbinano qualche altra cosa di meno piacevole, sicuramente
conoscono la localizzazione territoriale della Sicilia, e questo è un elemento certamente sfruttabile in un’ottica di marketing. Allora, per l’olio, perché al posto di tante DOP non un IGP dell’olio d’oliva siciliano? Perché
per tanti altri prodotti dove cerchiamo di fare la DOP col Comune del
luogo di produzione, non la facciamo invece relativa al territorio più
ampio?
Non esiste un violetto di Ramacca e un violetto di Niscemi, esiste un
violetto siciliano – per parlare di carciofi –, ma se cambio ambito e faccio
riferimento ad altre produzioni il discorso cambia di poco. Citando, ancora, i ficodindia, esistono differenze significative tra quello di San Cono e
quello di Belpasso? Tra quello di S. Margherita Belice e quello della Sicilia
orientale? Certamente non si tratta di differenze sostanziali.
Quindi, è evidente che i pochi strumenti per dare notorietà e origine
territoriale ai nostri prodotti li possiamo individuare nell’elemento che li
unisce e che è dato dall’estrema notorietà della Sicilia.
D’altro canto, anche l’esperienza del vino ci ha insegnato che le
DOC, che si chiamino Faro o Eloro, hanno avuto scarso rilievo. Cosa ha
avuto invece importanza in termini esterni se non l’IGT della Sicilia, caro
Prof. Bacarella?
È evidente che il riferimento al territorio regionale è un riferimento
che dobbiamo utilizzare. E oggi vi ringrazio perché ci avete fornito alcune indicazioni cardine per impostare politiche di valorizzazione dei prodotti.
Su questo evidentemente ci studieremo con il Prof. Bacarella che,
anche per altri aspetti, è un anticipatore dei tempi in quanto oggi più volte
avete parlato di specie eduli minori, e penso alla ricerca che già da diversi
anni il CORERAS ha messo in campo sulle piante aromatiche eduli spontanee in Sicilia, appunto per venire incontro a quello che, in varie riprese,
oggi è emerso. Il CORERAS su questo tema ha, infatti, una ricerca, così
come ha provato e sta provando a mettere in coltivazione alcune specie
spontanee di asparago, ecc.
È evidente che disponiamo di una ricerca buona dalla quale dobbiamo
trarre gli elementi significativi per portarli all’interno delle iniziative di
promozione e valorizzazione dei prodotti tipici del nostro territorio. E
oggi sicuramente, nell’ambito della giornata, sono maturate riflessioni per
azioni di comunicazione, partendo dal presupposto che nelle aree ricche e
257
La dieta mediterranea nella politica di sviluppo dell’agricoltura regionale
nei paesi contraddistinti da un elevato reddito pro-capite, la disponibilità
a spendere per prodotti che hanno una finalità salutistica è crescente.
I consumatori ricchi hanno già perfettamente appagato le loro esigenze e cercano nel prodotto alcuni effetti collaterali benefici che la dieta
mediterranea è in grado di dare. Quindi, tutti i nostri prodotti presenti nel
tempio, che il Prof. Fidanza ci ha illustrato alla fine, sono tutti prodotti
che ben si prestano ad essere valorizzati.
Mi avvio a concludere il mio intervento con un invito a coloro che
operano nel campo della ricerca, a fare tutto il possibile per trasferire
all’esterno i risultati della ricerca e a non lasciarli giacere all’interno di pregevolissime riviste o in ottimi volumi, dimenticando magari che proprio
quei i risultati possono essere invece utili ai soggetti pubblici - tra l’altro
spesso finanziatori delle ricerche - ma soprattutto a imprese e territori che
hanno la necessità di avere un supporto di attività di ricerca per poter
aumentare la propria capacità competitiva.
Ciò al fine soprattutto, di trovare reddito e occupazione per attività
che altrimenti verrebbero ad essere travolte in un mercato sempre più
ampio nel quale la differenziazione di prodotto, diviene strumento per
competere, e la ricerca in tal senso deve e può tradursi in concrete azioni
per i nostri territori, i nostri imprenditori, i nostri prodotti.
258
Saluti finali
Qualcuno dice “è un economista agrario”, non
può essere diversamente, ha una visione sistemica delle
cose. La complessità del sistema viene visto con ottiche
molto ampie dagli economisti.
Io vi ringrazio, perché questa è stata una giornata
molto produttiva e spero che ci sia un seguito attraverso l’Istituto per la dieta mediterranea e nutrigenomica
a cui il CORERAS partecipa e, spero abbastanza presto, anche l’Assessorato agricoltura per continuare
questa attività di promozione della Sicilia agro-alimentare ai fini dello sviluppo sostenibile.
Vi ringrazio veramente tutti quanti.
Prof. Antonino Bacarella
Presidente CORERAS
Finito di stampare nel dicembre 2007
Publisicula
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