SOFOCLE
Sofocle nacque intorno al 496 a. C. a Colono e morì ad Atene verso il 406. Partecipò
attivamente alla vita politica della città e fu un religioso molto devoto. La sua prima
rappresentazione risalirebbe al 468 a. C., quando sconfisse Eschilo classificandosi primo. Sarebbe
autore di 120 drammi e avrebbe vinto 18 volte alle Grandi Dionise e 6 alle Lenee, e non arrivò mai
terzo. Tuttavia ci sono pervenute solo sette tragedie: Aiace, Elettra, Edipo re, Antigone, Trachinie,
Filottete ed Edipo a Colono. Sofocle istituì alcune innovazioni tecniche quali la skenographía (già
presente in qualche misura in Eschilo) e il terzo attore.
Sofocle fondò la sua drammaticità sul dialogo, quindi è il personaggio a supportare la
tragedia. L’eroe è solo con il suo dolore, causato da un destino che non capisce; ma il suo eroismo è
evidente nel fatto che egli accetta comunque ciò che accade. Spesso sono capricci divini a
provocare sofferenza agli uomini, senza che questi ne abbiano colpa. Il singolo è posto a confronto
con la collettività, non con la storia. E il coro commenta e riflette su ciò che viene portato in scena.
Aiace è forse la tragedia più antica di Sofocle, composta tra 450 e 440 a. C. Protagonista è
l’eroe omerico Aiace che, reso pazzo da Atena, uccide delle greggi credendole i giudici che l’hanno
valutato meno valoroso di Odisseo. Rinsavito, si uccide ma gli vengono resi i giusti onori per
intercessione di Odisseo, informato dalla dea del reale accaduto. La tragedia si articola in una sola
giornata, durante la quale Aiace torna in sé e decide di suicidarsi: gli antefatti sono svelati nel
prologo. La decisione dell’eroe di togliersi la vita è determinata dal fatto che sia l’unica possibilità
di dimostrare la sua vera grandezza: anche saputo che è impazzito per colpa della dea non gli sarebb
più possibile vivere con dignità, se non con questo estremo gesto. Sofocle dà rilevanza alla scelta,
autonoma e convinta, del protagonista più che al meccanismo di colpa e punizione. A seguito della
morte di Aiace, il cui cadavere rimane in scena, la tragedia continua articolandosi nel dibattito se
dare o no onorevole sepoltura al corpo (nodo sciolto infine da Odisseo).
Antigone è rappresentata con successo nel 442 a. C. Ambientata a Tebe, la vicenda si
ricollega all’uccisione reciproca dei due fratelli Polinice ed Eteode, il primo dei quali rimasto senza
sepoltura. Nel prologo dialogano le sorelle dei due: Antigone dichiara a Ismene che darà sepoltura a
Polinice, nonostante l’atto sia stato esplicitamente proibito da Creonte. Creonte, presentato come
tirannico, è così fermo nelle sue convinzioni (chi detiene il potere non va contraddetto) da diventare
peccatore. Antigone, il cui punto di vista è quello preso in esame da Sofocle, viene vista mentre
ricopre simbolicamente con della polvere il corpo di Polinice e viene quindi fatta rinchiudere in una
grotta. L’indovino Tiresia informa quindi Creonte che gli dèi sono sdegnati dal suo atteggiamento
così rigido, dal cadavere oltraggiato, ma la giovane si è ormai impiccata. Creonte viene punito,
isolato in conseguenza alla fermezza dei suoi principi: suo figlio Emone, che aveva tentato di
salvare la fidanzata supplicando il padre, si uccide seguito dalla madre Euridice.
Le Trachinie hanno datazione incerta. Protagonista è Deianira, le cui azioni continuano a
muovere la tragedia anche dopo la sua morte. Presentata in altre opere come donna gelosa e
invidiosa, assetata di vendetta, Sofocle ne rende un’immagine più mite e razionale, anche se essa
non rifiuta l’aiuto di un filtro d’amore. Nel prologo si annuncia l’arrivo di Eracle, che in realtà
giunge, morente e straziato, solo nell’esodo: innamorato di Iole, giovane di Ecalia per cui attacca la
città, viene ucciso da un filtro d’amore che la moglie Deianira utilizza per riavere il compagno.
Ignara che la pozione, datale dal centauro Nesso, è avvelenata, si suicida quando comprende di aver
provocato l’agonia del marito. Questi capisce che l’oracolo di Zeus si è avverato e decreta, nel
finale, che suo figlio Illo prenda in sposa Iole.
L’Edipo re, di datazione ignota, rappresenta un’unica giornata: quella in cui Edipo
comprende il suo destino, che si è attuato nonostante gli sforzi del padre, e finisce in miseria,
accecatosi da solo e desideroso di essere bandito dalla città di Tebe. Parricidio e incesto, tratti
salienti del mito ben conosciuto di Edipo, non erano considerate colpe dell’ignaro protagonista:
Sofocle si concentra però non sull’opinione che di lui ha la città di Tebe ma sul giudizio che egli dà
di se stesso, della sua natura e del suo destino che lo comportano ad infliggersi una terribile
punizione. L’autore gioca con l’ironia tragica: Edipo vuole sapere, e questo sapere lo porterà alla
rovina. All’apice di quello che sembra essere il suo successo egli si dice fieramente figlio della
Fortuna: proprio qui cominceranno i suoi guai. Il suo ingresso trionfale sulla scena verrà contrastato
dall’esodo, dove tornerà un Edipo distrutto, senza occhi, schiacciato dal disegno divino che non si
sa spiegare ma che non è neanche stato disposto ad accettare.
L’Elettra è cronologicamente posta nell’ultimo decennio del 400 a. C. Sofocle pone qui
l’attenzione sulla ragazza, a cui è stato ucciso il padre e che ora si trova a vivere con la madre
Clitennestra e il compagno Egisto, situazione che non accetta. Se la sorella Crisotemi non sembra
patirne, Elettra non vuole invece scendere a compromessi e compare sofferente sulla scena. Essa si
aggrappa alla speranza che suo fratello Oreste torni e vendichi l’assassinio del padre Agamennone
ma questa possibilità sembra svanire quando viene annunciata la morte del ragazzo, con grande
gioia di Clitennestra. Si tratta di un inganno e, una volta riconosciuta la vera identità di Oreste, egli
uccide Clitennestra ed Egisto senza che la tragedia lasci il presentimento di un’eventuale punizione
per il matricidio.
Filottete appartiene alla trilogia vincitrice delle Grandi Dionise del 409 a. C. Mito tragico
ben noto, Sofocle lo ambienta sempre a Lemno ma la rende un luogo desolato. Odisseo si reca da
Filottete, abbandonato sull’isola dai suoi compagni Greci, per avere il suo arco che dovrebbe
permettere, secondo una profezia, di vincere la guerra di Troia. Diversamente dalle altre versioni, è
qui accompagnato dal figlio di Achille Neottolemo. Mentre Odisseo pensa solo ai propri obiettivi,
gli altri due personaggi guardano le cose nel loro complesso. Eracle interverrà per convincere
Filottete a lasciare l’isola e salpare verso Troia, dove giungerà insieme a Neottolemo a conquistare
la città. Il coro si inserisce nell’azione cantando con i protagonista o intervallando le parti.
Edipo a Colono viene rappresentato postumo nel 401 a. C. sotto la guida di Sofocle il
giovane, tragediografo nipote dell’autore. Ridondante nel dramma è la morte. Edipo entra sostenuto
dalla figlia Antigone, rovinato e segnato dagli anni. Creonte e Polinice vogliono portarlo a Tebe
perché è stato vaticinato che così avranno grandezza. Edipo maledice il figlio, già esiliato dal
fratello, e tutta la sua stirpe. Con la morte egli diventerà sacro e porterà splendore alla città di
Atene. Il destino, imperscrutabile ancora una volta, premierà Teseo per il suo alto senso religioso
mentre impedirà alle figlie di vedere la tomba del padre.