pianificazione e gestione delle esercitazioni

Le metamorfosi delle città. Il mutamento di destinazione d’uso negli edifici tutelati
Fabio Carapezza Guttuso
Nello scenario urbano si riflette e si cristallizza tutta la ricchezza della vita urbana, registrando le
trasformazioni che modificano, spesso sostanzialmente, lo schema originale. La città, fin dalla sua
nascita, atto che si colloca nell’ambito del mito, è interessata da un inarrestabile processo di
metamorfosi. La fondazione, infatti, prevedeva il fondatore, designato dagli dei, progettasse la
primigenia idea della città, la forma urbis, tracciandone i confini. Un atto che, pur nell’ambito della
tradizione sacra, attua la prima radicale trasformazione del luogo dove la città nascerà,
un’invenzione che modifica irrevocabilmente il sito naturale e, quindi, la sua destinazione d’uso.
Disegnando la città si crea un’opera d’arte in quanto espressione del divino sulla terra, i cui confini
coincidono idealmente con l’orizzonte del conoscibile.
Al fondatore seguivano gli agrimensori, che determinavano, con i loro strumenti, l’organizzazione
fondiaria della città, in relazione alla morfologia del suolo e ai quattro punti ortogonali di
riferimento. Agli agrimensori spettava infatti il compito di stabilire una gerarchia tra spazi pubblici
e spazi privati, isolati residenziali e spazi sacri. Nell’antico, quindi, l’organizzazione di una forma
urbana va valutata in quanto forma simbolica, determinata dall’ identità culturale e religiosa di
appartenenza.
La città, pensata come entità durevole, dotata di una propria identità, e solo in parte modificabile
con i mezzi dell’architettura, è un concetto che è durato nel tempo.
Se guardiamo invece alla città contemporanea, notiamo che il paesaggio urbano si sta
configurando sempre di più attraverso figure nuove: quelle della eterogeneità, della discontinuità
e del frammento. La città contemporanea risulta sempre più spesso composta di parti i cui codici
di lettura, a differenza degli ideali della città antica e moderna, ci risultano estranei. La metropoli è
diventata luogo delle differenze, di nuove forme di convivenza in continuo difficile equilibrio tra la
dimensione multietnica e quella localistica. La metamorfosi, iniziata con la fondazione della città,
viene accelerata nella metropoli contemporanea, scomponendosi in parti, che prescindono dalla
rigida divisione in spazi, imposta anticamente dagli agrimensori come riflesso del volere divino, e
proseguita nel corso dei secoli dagli architetti chiamati, da chi deteneva il potere, a dar forma alla
loro idea di città.
La rottura storica dell’impianto urbano preottocentesco, quale forma leggibile entro limiti fisici
ben definiti, rende impossibile o almeno difficile la conservazione della forma unitaria
dell’architettura della città. A partire da tale rottura è possibile ipotizzare la formazione di una
struttura urbana, complessivamente diversa, che assuma al suo interno i caratteri della
discontinuità e della differenza, attraverso la sua articolazione e costruzione per parti. Per
comprendere la città contemporanea bisogna utilizzare, come ci suggeriscono grandi urbanisti, lo
schema della città per parti, che ha appunto origine con la formazione della città contemporanea.
La parte non nasce da una zonizzazione della città. Essa corrisponde piuttosto ad aree insediative,
spesso spontanee, a luoghi, a pezzi, della città assunti come elementi di valore architettonico e
urbano rispetto ad un’azione progettuale. In questo senso la parte tende a porsi all’interno dei
processi di trasformazione della città, come fatto formalmente compiuto. Strettamente connesso
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con la configurazione urbana è l’uso, cioè il complesso delle funzioni da immettere o che sono
state create in un’area, o in un determinato edificio. Si configura, prima ancora che come
problema di definizione di un sistema ad usi specifici a scala edilizia, la questione del ruolo che le
singole parti dovranno avere in una determinata area. Le parti di città divengono così fatti urbani,
elementi costitutivi della struttura urbana; e, in quanto preesistenti, vanno riconosciuti, trasmessi
e reinterpretati nel progetto di un nuovo piano. Sono elementi che disegnano la storia della città,
la persistenza della storia, sono luoghi nodali di un sistema complesso di relazioni di carattere
funzionale e fisico, riferiti sia all’intera città che ai luoghi urbani di intervento. Il grande architetto
Aldo Rossi, partendo dalla natura collettiva della città, sostiene che, nella configurazione delle
nuove programmazioni urbanistiche, sia ormai impossibile negare valore fondativo alle aree
insediative, che acquisiscono la dignità di fatti urbani e che meritano il valore di opera d’arte,
anche se si situino al di fuori di una prospettiva progettuale. Quello stesso valore che era
riconosciuto, come detto prima, alla città nel suo complesso, come riflesso del volere degli dei,
realizzata dal fondatore.
Il mutamento delle destinazioni d’uso negli edifici tutelati
La accelerazione delle metamorfosi urbane incide fortemente sulla riconoscibilità complessiva del
paesaggio, determinando trasformazioni anche di quei luoghi considerati emblematici di una
determinata comunità e della tradizione storico artistica di un determinato luogo. La
riconoscibilità di palazzi, quartieri, zone tocca però sfere sensibili della identità cittadina
richiedendo la salvaguardia e la conservazione di alcuni luoghi e della loro originaria funzione,
considerati essenziali per la tradizione storico artistica di quella comunità. Di quei beni che
appartengono al patrimonio culturale, in quanto riconosciuti di interesse culturale, e quindi
protetti dalla normativa vigente. Quando un bene viene riconosciuto di interesse culturale non ne
viene protetta solo la esistenza fisica ma la legge prende in considerazione anche l’uso, le funzioni
cui debba esser destinato, se diverse da quelle originali.
Il codice dei beni culturali e del paesaggio, riprendendo precedenti normative, prevede
espressamente, all’ art. 20, insieme ad ipotesi estreme di distruzione o danneggiamento di beni
culturali anche l’uso: “I beni culturali, non possono essere distrutti, danneggiati o essere adibiti ad
usi non compatibili con il loro carattere storico o artistico oppure tali da arrecare pregiudizio alla
loro conservazione.” Una previsione che incide sulla facoltà di godimento del bene, da parte del
privato, nel caso che ne sia proprietario, possessore o detentore, in ragione del prevalente
interesse pubblico, e che si applica principalmente sui beni immobili, che si prestano più
facilmente a forme di sfruttamento economico.
È interessante che non sia prevista dal codice alcuna autorizzazione preventiva
dell’Amministrazione del Ministero per i Beni le Attività Culturali : l’uso o è compatibile e allora
non c’è bisogno di autorizzazione o è incompatibile e allora non potrà essere mai autorizzato ma
solo vietato. Alla difficoltà di individuare quale sia l’uso diverso dalla sua originaria destinazione si
aggiunge quello derivante dalla evoluzione degli usi, della sensibilità sociale, del sentire comune
nei confronti del bene culturale. E’ quindi una valutazione di natura tecnico - discrezionale, quella
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che gli organi tecnici del ministero per i beni e le attività culturali, le soprintendenze, compiono
sulla compatibilità di mutamento d’uso.
La sicurezza nell’uso
La variazione della destinazione d’uso in un immobile tutelato, sempre che sia compatibile con le
esigenze di conservazione, e con il carattere storico artistico dell’edificio, incide anche sulla
sicurezza complessiva dello stesso. Talvolta si tratta di interventi che derivano direttamente da
scelte progettuali, tese ad adeguare l’edificio alla nuova funzione, altre a consolidamenti
strutturali che stravolgono lo stabile esponendolo a pericoli in caso di crisi sismiche. In ogni caso
anche quando non si intervenga in modo così radicale i riflessi sulla sicurezza complessiva
dell’edificio e quindi dei suoi visitatori sono rilevanti.
Negli edifici tutelati infatti, come è stato messo in rilievo dalla Commissione Speciale Permanente
per la Sicurezza del Patrimonio Culturale Nazionale, Linee guida per la redazione del Piano di
Emergenza, elaborate nel 2004, la sicurezza deve essere intesa come un progetto integrato di
sicurezza che, basandosi su una attenta valutazione dei rischi cui è esposto un determinato
insediamento dei beni culturali, analizzi con rigore le interazioni tra pericoli, fattori di esposizione
e vulnerabilità. Il piano di sicurezza nel quale il progetto viene sintetizzato deve essere in grado di
analizzare e integrare tra loro le diverse sicurezze. Di grande rilievo è la valutazione che deve
essere compiuta nei confronti della sicurezza nell’uso, cioè di tutte quelle problematiche connesse
alla fruizione, nonché di quelle aggiuntive che nascono quando ad una struttura viene attribuita
una funzione diversa da quello per cui era nata. Si pensi ad esempio ai problemi nell’installazione
di impianti, nella realizzazione di scale di emergenza, uscite di sicurezza, ecc. la sicurezza in caso di
incendio e la sicurezza anticrimine, strettamente connesse alla sicurezza nell’uso, richiedono
strategie e procedure da attuare con continuità, non solo per minimizzare i rischi di incendio e di
azioni dolose, ma anche per riuscire a gestire le situazioni di emergenza qualora le misure
preventive si rivelassero insufficienti.
Il cambio di destinazione d’uso negli edifici tutelati, pur utile ad assicurarne la funzione sociale e
migliorarne la fruibilità, deve trovare nella tutela un limite insuperabile per preservare la
riconoscibilità di parti essenziali della città ma anche per la sopravvivenza stessa del bene culturale
esposto spesso, proprio dai cambiamenti di destinazione d’uso, ad un sensibile innalzamento del
rischio.
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