Domande del questionario e risposte di Gismundi Antonella
In viola frasi o parole che considero non del tutto appropriate.
In blu proposte e integrazioni del prof. Polverelli Emanuele
1. Cosa si è perso a parere di Fabro (e di Heiddeger) nel corso della
storia della filosofia, rispetto a Parmenide?
- Parmenide identificò l’Essere con la completa perfezione,
pensandolo come uno, indiveniente, immobile, incorruttibile e puro
positivo (che comprende tutte le cose che sono), e
contrapponendolo in maniera molto decisiva al nulla, puro negativo.
Quindi l’ontologia viene posta come punto di partenza del
filosofare: questa fiducia completa nell’Essere inteso come realtà in
quanto tale verrà persa con i filosofi seguenti.
Più che la fiducia nell’essere si è persa la chiarezza della vera
prospettiva sull’essere. Pur in un fiducioso realismo, non si è più
avuto uno sguardo aperto sulla pienezza dell’essere, capace di
reggere l’ampiezza che l’essere implica. In tal senso hai ragione nel
dire che l’uomo filosofante si è come chiuso, preferendo la
chiarezza cristallina della forma, all’orizzonte dell’essere nella sua
assoluta ampiezza.
2. Quale grave carenza presenta il pensiero di Aristotele?
- Sebbene Aristotele riconosca l’importanza che l’Essere
rappresenta nella filosofia, ed infatti dedica alla Metafisica uno
studio molto ampio lo pone come oggetto proprio della Metafisica,
perde la semplicità di questo concetto e la sua importanza in se
stesso: lo individua nella congiunzione tra forma e materia
abbandonando l’importanza dell’Essere e in un certo senso
subordinandolo ai due componenti del sinolo, lo categorizza
disperdendo la sua unicità per comprendere interamente la varietà
del mondo reale, e sembra che lo ponga come genere supremo
della logica che si predica di tutte le cose (“che sono”). Aristotele si
concentra sugli enti: in questo modo, pur valorizzando il concreto,
non porge la sua attenzione all’Essere in quanto tale.
3. Come il pensiero di Tommaso supera questa carenza?
- La carenza del pensiero aristotelico (ovvero, come espresso nella
precedente domanda, la perdita della semplicità del concetto di
Essere e l’importanza di esso in se stesso) viene superata da
Tommaso con la distinzione dei concetti di essenza ed esistenza, la
quale nessuno si era posto precedentemente. Questa distinzione è
spiegata dal fatto che l’essenza (in termini aristotelici la forma) può
essere pensata senza che questa abbia una sussistenza anche nella
realtà, e questo vale per tutti gli enti tranne Dio, perché Egli è lo
stesso Essere (non è più forma suprema, non più essentia) e quindi
in Lui questi due principi metafisici coincidono. Questa distinzione
porterà Tommaso all’introduzione dell’esse ut actus (questo verrà
spiegato nella risposta 5).
4. Cosa significa “esse” per Aristotele?
- L’ “esse” per Aristotele non ha un proprio significato preciso,
perché praticamente abbraccia tutti gli enti (anche l’essere
potenziale) grazie alla divisione nei diversi modi d’essere e nelle
categorie. Questa mancata identificazione della nozione di essere
con quella di perfezione, porta ad una filosofia essenzialistica, che
cioè si concentra sulle forme senza cogliere ciò che le “supera”:
l’essere stesso.
5. Cosa significa “esse” per Tommaso?
- La risposta di Tommaso è invece assai precisa: l’esse è attualità.
Come detto precedentemente, per Tommaso essenza ed essere
sono due concetti estremamente differenti. La loro distinzione porta
ad affermare che l’essenza presenta elementi di potenzialità
rispetto all’essere: infatti l’essenza può o meno possedere l’essere
dentro di sé e questo essere, conferendole attualità, le
permetterebbe di esistere. Questa attualità non è più identificata
con la forma come avveniva in Aristotele (è qualcosa di più perché
il suo valore va oltre essa), ma con l’esse ut actus (atto d’essere).
6. In che senso l’essenza non è sufficiente per esprimere l’esistenza
reale?
- L’essenza di un qualsiasi ente indica solamente il suo concetto
formale ed è quindi non sufficiente a spiegare l’esistenza reale,
perché questa non deriva necessariamente dalla prima.
7. Cosa è l’esse ut actus?
L’esse ut actus è un’energia d’essere. Il suo significato è analogo:
esiste l’esse ut actus assoluto e relativo. Quello assoluto è proprio
di Dio, perché lo possiede in modo infinito: Egli non presenta
caratteri di potenzialità ed è quindi atto infinito. L’esse ut actus
relativo è invece quello che possiedono gli enti del mondo reale ed
essi non possono darselo da sé, altrimenti non si spiegherebbe la
loro non esistenza prima di possederlo. Quindi lo ricevono, e lo
ricevono da Dio, partecipando alla sua infinita energia d’essere che
ci conferisce attualità, infatti “tutto ciò che riceve da altro qualcosa,
è in potenza di questa: quel che viene ricevuto da essa, è suo atto”.
8. Per quale ragione la nozione di esse ut actus è così sfuggente per
il pensiero?
- L’esse ut actus è una nozione che ci appare così misteriosa
perché, pur essendo un principio metafisico riscontrabile solo nella
realtà (oltre che in Dio), nel sensibile non si incontra in forma
distinta (subsistens), ma è unita all’essenza di tutte le cose
(inhaerens alla forma) come ciò che permette ad essa di esistere.
Quest’ultima può invece essere colta perché la nostra mente è in
grado di lavorare sulle forme, sui concetti.
9. Che differenza c’è tra l’ens e l’esse?
- L’ens (l’insieme degli enti reali ok, ma può essere inteso anche in
maniera singola un “ens” è un singolo ente, cioè una singola cosa)
è ciò che possiede l’essere e che grazie a questo attua la sua
potenzialità di esistere, e l’esse è, appunto, quell’energia a cui
partecipano gli enti che proviene direttamente da Dio ma che in
realtà non esiste separatamente agli ens e neanche la nostra mente
è in grado concettualmente di cogliere ed astrarre quest’attualità
dalla realtà.
10. Che differenza c’è tra l’esse ut actus e l’existentia?
- L’existentia è una caratteristica degli enti (la caratteristica di
possedere l’esistenza di fatto). L’existentia non coincide con l’esse
ut actus: quest’ultimo è ciò che permette agli enti l’existentia
(l’esistere in un certo modo, in un certo tempo, in un certo luogo,
ecc...) e conferisce ad essa sussistenza.
11. Può il pensiero comprendere totalmente l’esistente concreto?
Perché?
- No, a mio parere ciò non è possibile. Si pensi alla struttura
dell’esistente concreto: è necessario doverla suddividere in essenza
e esse ut actus, altrimenti si cadrebbe in diverse contraddizioni. Ad
esempio Aristotele, pur volendo affermare una superiorità della
realtà (e ha fatto ciò con l’inserimento delle categorie e dei diversi
modi d’essere, uscendo quindi dalla prospettiva platonica che non
era riuscita a determinare con decisione il mondo sensibile) cade
poi in contraddizione quando parla dell’essere logico. Esso sarebbe
infatti superiore, in quanto costituito dalla sola forma, astratta dagli
elementi di indeterminatezza e precarietà propri della materia. Ma
questo equivarrebbe a dire che i concetti formali hanno un’attualità
più completa rispetto agli enti concreti. Ma come è possibile, visto
che essi propriamente non esistono? (visto che la realtà possiede
proprio quell’attualità ulteriore l’essenza (esse ut actus) che
permette l’esistenza)? Posta questa questione quindi, se si
ammette negli enti la compresenza di essenza ed esse ut actus si
consegue a questo: è impossibile per noi cogliere completamente il
concreto perché, sebbene siamo in grado di carpirne l’essenza
grazie all’astrazione che ci permette di lavorare sui concetti, la
componente attuale sfugge invece alla nostra comprensione.
12. Quale grande valore si afferma nella prospettiva tomistica?
- Il ragionamento di Tommaso presta attenzione principalmente al
realismo, al mondo concreto dove si svolge la nostra vita. Cercando
di approssimarsi sempre più alla scoperta dell’essere stesso, senza
la caduta in una prospettiva essenzialistica (che porterebbe
all’affermazione di una superiorità della forma rispetto alle cose
concrete), comprende il valore infinitamente grande di quello ma
non per questo indaga una realtà lontana da noi, perché siamo noi
e tutto il mondo che ci circonda a farne parte.
Antonella Gismundi, IV B