bollettino d’informazione sui farmaci SPED. IN ABB. POST. ART. 2, COMMA 20/C, LEGGE 662/96 - FILIALE DI ROMA bollettino d’informazione sui farmaci ANNO VII - N. 2 MARZO-APRILE 2000 DALLA SPERIMENTAZIONE ALLA PRATICA CLINICA EDITORIALE 1 Libertà di cura 31 DALLA CUF 2 3 12 ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO 17 Classificazione in fascia H della specialità Uricozyme (urato ossidasi) 29 ABC DEGLI STUDI CLINICI AGGIORNAMENTI 36 4. Meta-analisi Gli antiaggreganti piastrinici nella prevenzione di eventi cardiaci e cerebrovascolari (seconda parte) Antipertensivi: ridurre la pressione arteriosa o prolungare la vita 42 Un Piano nazionale per affrontare il dolore da cancro DALLA LETTERATURA 44 Medicinali utilizzati in ambito nosocomiale e non inclusi nel Prontuario Terapeutico Ospedaliero 45 Il mercato farmaceutico mondiale nel 1999 NOTIZIE DAL DIPARTIMENTO COME PRESCRIVERE Risultati di un’indagine retrospettiva sulla sopravvivenza di pazienti malati di cancro trattati con la Multiterapia Di Bella FARMACOVIGILANZA 26 I diuretici tiazidici restano i farmaci di scelta nel trattamento dell’ipertensione arteriosa Effetti avversi in pazienti con carenza di glucosio-6-fosfato deidrogenasi Inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina ed emorragie gastrointestinali MINISTERO DELLA SANITÀ DIPARTIMENTO PER LA VALUTAZIONE DEI MEDICINALI E LA FARMACOVIGILANZA FARMACOUTILIZZAZIONE BOLLETTINO D’INFORMAZIONE SUI FARMACI Bimestrale del Ministero della Sanità Direttore scientifico: Dott. Luigi Bozzini Comitato scientifico: Prof. Dino Amadori Dott. Marco Bobbio Dott.ssa Franca De Lazzari Dott. Marino Massotti Prof. Nicola Montanaro Dott. Michele Olivetti Prof. Luigi Pagliaro Prof. Paolo Preziosi Dott. Alessandro Rosselli Prof. Alessandro Tagliamonte Redattore capo: GLOSSARIO EER (Experimental Event Rate) Numero percentuale di eventi osservato nel gruppo randomizzato al trattamento in sperimentazione. CER (Control Event Rate) Numero percentuale di eventi osservato nel gruppo di controllo. IC 95% (Intervallo di confidenza 95%) Il concetto di base è che gli studi (RCTs, meta-analisi) informano su un risultato valido per il campione di pazienti preso in esame, e non per l’intera popolazione; l’intervallo di confidenza al 95% può essere definito (con qualche imprecisione) come il range di valori entro cui è contenuto, con una probabilità del 95%, il valore reale, valido per l’intera popolazione di pazienti. Dott. Filippo Castiglia Indicatori di riduzione del rischio di eventi sfavorevoli Redazione: Dott. Renato Bertini Malgarini Dott.ssa Emanuela De Jacobis Dott.ssa Francesca Tosolini ARR (Absolute Risk Reduction) Riduzione assoluta del rischio di un evento sfavorevole nei pazienti randomizzati al trattamento in sperimentazione rispetto a quelli di controllo. Corrisponde alla formula: [CER - EER] NNT (Number Needed to Treat) Numero di pazienti che devono essere trattati per prevenire un evento. Corrisponde alla formula: [1/ARR] arrotondando per eccesso al numero intero. RRR (Relative Risk Reduction) Riduzione relativa del rischio di un evento sfavorevole nei pazienti randomizzati al trattamento in sperimentazione rispetto ai controlli. Corrisponde alla formula: [CER – EER]/CER OR (Odds Ratio) Rapporto fra la probabilità di un evento nei pazienti randomizzati al trattamento in sperimentazione e la probabilità nei pazienti di controllo. E’ un altro indice di riduzione relativa del rischio di un evento nei pazienti randomizzati al trattamento in sperimentazione rispetto ai controlli, e corrisponde alla formula: [EER / 1 - EER] / [CER / 1 - CER] OR è approssimativamente uguale a RRR se il rischio di base nei controlli è basso (<10%); se il rischio di base è alto, OR tende a valori costantemente più lontani dall’unità rispetto a RRR. Per varie ragioni, compresa la scarsa comprensione dei clinici, l’uso di OR dovrebbe essere abbandonato, e difatti OR non è più riportata nel glossario di Best Evidence (BMJ) e di ACP Journal Club (Ann Intern Med). Indicatori di aumento della probabilità di eventi favorevoli ABI (Absolute Benefit Increase) Aumento assoluto del beneficio terapeutico nei pazienti randomizzati al trattamento sperimentale rispetto ai controlli. Corrisponde alla formula: [EER - CER] NNT (Number Needed to Treat) Numero di pazienti da trattare per ottenere un beneficio terapeutico in un paziente. Corrisponde alla formula: [100 / ABI] RBI (Relative Benefit Increase) Aumento relativo del beneficio terapeutico nei pazienti randomizzati al trattamento in sperimentazione rispetto ai controlli. RBI corrisponde alla formula: [EER – CER] / CER Indicatori di aumento del rischio di eventi sfavorevoli ARI (Absolute Risk Increase) Aumento assoluto del rischio di una reazione avversa nei pazienti che ricevono il trattamento sperimentale rispetto ai controlli. ARI corrisponde alla formula: [EER – CER] NNH (Number Needed to Harm) Numero di pazienti che devono sottoporsi al trattamento perchè si manifesti una reazione avversa. Corrisponde alla formula: [100 / ARI] RRI (Relative Risk Increase) Aumento relativo del rischio di una reazione avversa nei pazienti che ricevono il trattamento in sperimentazione rispetto ai controlli. Corrisponde alla formula: [EER – CER ]/ CER EDITORIALE In un’epoca in cui la medicina basata sulle prove è invocata come condizione basilare perché un atto medico, una procedura o un trattamento possano essere accettati e trasferiti nella pratica clinica, numerosi prodotti, strumenti e metodi di cura ortodossi o non ortodossi, tradizionali o alternativi, tutti accomunati da scarsa o nulla documentazione di efficacia, stanno inondando e sommergendo il mondo (o il mercato) della medicina, proposti e promossi come innovativi, migliorativi o risolutori di numerose condizioni patologiche, orfane o non orfane che siano. Fenomeni di questo tipo non sono esclusivi del nostro Paese: probabilmente in Italia trovano terreno fertile per essere amplificati ed enfatizzati da giornalisti, organizzazioni di malati e di consumatori più o meno strumentalizzate, produttori interessati e, purtroppo, anche da magistrati e da politici. Spesso si sente ripetere che in una società libera devono esistere, per il paziente, la libertà di cura, nel senso che, nel mercato della speranza (o dell’illusione o della disperazione) può scegliersi il trattamento che più gli piace; per il medico, la libertà di prescrivere secondo scienza e coscienza, quasi ciò significasse la possibilità di fare ciò che vuole senza tenere conto dei vincoli imposti dalle conoscenze raggiunte. Health Freedom, LIBERTA’ DI CURA, è un articolo presente in Internet (http://www.quackwatch.com/01QuackeryRelatedTopics/hfreedom.html), adattato da The Health Robbers: A Close Look at Quackery in America (Ladri in sanità: uno sguardo da vicino alla ciarlataneria in America), un testo edito da Stephen Barrett e William T. Jarvis e pubblicato nel 1994. Il Comitato di Redazione del Bollettino ritiene utile sottoporlo all’attenzione dei lettori nella sua integrità. Libertà di cura Se gli imbonitori non possono vincere giocando secondo le regole, provano a cambiarle passando dall’ambito scientifico a quello della politica. In campo scientifico un’affermazione medica è considerata non vera fino a quando non sia provata al di là di ogni ragionevole dubbio. Ma in politica, un’affermazione medica è accettabile fino a che non si dimostri falsa o pericolosa. Ecco perché i fautori del laetrile, della chiropratica, della psichiatria ortomolecolare, della terapia con antineoplastoni e di altre simili si rivolgono ai legislatori piuttosto che alla comunità scientifica. Gli imbonitori utilizzano il concetto della “libertà di cura” per spostare l’attenzione da se stessi verso coloro che sono vittime della malattia, nei confronti dei quali si prova istintivamente compassione. “Questa povera gente deve essere libera di scegliere il trattamento che vuole”, piangono gli imbonitori, con lacrime di coccodrillo. Questi individui vorrebbero che non si tenessero in considerazione due cose. Innanzitutto, che nessuno desidera essere truffato, specie in materie che riguardano la vita e la salute. Le vittime di una malattia non richiedono i trattamenti di un imbonitore perché vogliono esercitare i loro “diritti”, ma perché ingannate dalla convinzione che per loro c’è una speranza. In secondo luogo, che le leggi contro i rimedi inutili non sono dirette contro le vittime della malattia ma contro coloro che li promuovono a proprio vantaggio. Ogni attacco alla libertà colpisce nel profondo i valori della cultura americana. Ma dobbiamo anche essere consapevoli che una libertà compiuta si realizza solo in BIF Mar-Apr 2000 - N. 2 una società in cui ogni suo componente sia del tutto degno di fiducia - e una società di tal genere non esiste. L’esperienza ci ha dimostrato che la ciarlataneria può persino condurre la gente ad avvelenarsi e ad avvelenare i propri figli e i propri amici. Le leggi a tutela del consumatore sono state approvate per proteggere in modo ancora più deciso le persone malate, che sono le più vulnerabili. Queste leggi richiedono semplicemente che i prodotti e i servizi offerti dal mercato della salute siano sicuri ed efficaci. Se fosse richiesta soltanto la sicurezza, tutti i prodotti o servizi che di per sé non arrecano danno potrebbero essere venduti a chi ci crede. Per indebolire la protezione, i fautori della ciarlataneria richiedono leggi a difesa della loro attività e per forzare le compagnie di assicurazione a rimborsarle. Certe persone sostengono che siamo sommersi da troppe norme. Ma il problema dovrebbe riguardare la qualità, non la quantità. Le buone leggi sono molto importanti. La nostra opposizione dovrebbe essere contro le cattive norme che soffocano la nostra economia o limitano inutilmente i nostri stili di vita. Le leggi che tutelano il consumatore vanno difese. Alcuni politici, purtroppo, sembrano dimentichi di questi principi basilari e sostengono il principio della “libertà di cura” come se in tal modo facessero un favore ai propri elettori. Di fatto, la “libertà di cura” rappresenta una licenza di caccia per la ciarlataneria, con la stagione aperta su chi è malato, impaurito, alienato e disperato. La “libertà di cura” rappresenta allora un ritorno alla legge della giungla in cui il più forte sbrana il più debole. 1 DALLA CUF Classificazione in fascia H della specialità Uricozyme (urato ossidasi) L’urato ossidasi è un enzima proteolitico estratto da colture di Aspergillus flavus, in grado di ossidare l’acido urico umano in allantoina, sostanza altamente solubile e facilmente eliminabile per via urinaria. Su questo farmaco esiste pochissima documentazione scientifica: negli ultimi 10 anni risultano pubblicate 3 ricerche cliniche, di cui una sola descrizione di tre pazienti cardiotrapiantati, trattati con Uricozyme (1) e una lettera di commento (2). Non è autorizzata la vendita dell’Uricozyme nella maggior parte dei paesi della Comunità europea e negli Stati Uniti. Nonostante alcune ricerche ne abbiano dimostrato l’efficacia, sono stati segnalati numerosi eventi avversi, anche gravi. Nel 4,5% di 129 pazienti pediatrici trattati per iperuricemia associata a tumori maligni si sono verificate reazioni allergiche (orticaria, broncospasmo, ipossiemia) (3). Sono stati descritti casi di edema di Quincke e reazioni anafilattiche gravi, specie in pazienti precedentemente sensibilizzati. Viene consigliata la somministrazione per via endovenosa in soluzione glucosata di 100-250 ml, in infusione di circa 30 minuti o per via intramuscolare profonda. Dato il discreto profilo di rischio, la scarsa documentazione disponibile, la necessità di somministrarlo per via parenterale, il fatto che il trattamento interessa 2 un ristretto numero di pazienti seguiti sistematicamente in centri ospedalieri specializzati e, infine, che sono necessari controlli ematologici periodici, la CUF ritiene che non sussistano le condizioni per continuare a renderlo disponibile in farmacia e quindi ha deciso di riclassificarlo in fascia H a dispensazione ospedaliera. In tal modo i pazienti potranno proseguire il trattamento dell’iperuricemia sotto stretto controllo medico. La CUF è consapevole del disagio che tale scelta arrecherà a molti pazienti, ma, alla luce delle considerazioni di sicurezza della somministrazione di un farmaco non ben studiato e con un discreto profilo di rischio, ritiene che sia più prudente l’uso sotto stretto controllo medico in ambiente ospedaliero. In tal modo, verrà garantita la dispensazione a tutti i pazienti che ne avranno bisogno, fornendo un’adeguata sicurezza nella somministrazione. La CUF rimane comunque attenta agli sviluppi delle ricerche per riconsiderare il regime di dispensazione sulla base di nuovi dati sul profilo rischio-beneficio del farmaco. Il Decreto di riclassificazione di Uricozyme è in fase di definizione. La sua pubblicazione in GU verrà tempestivamente resa nota su questo Bollettino. Bibliografia Medici e rappresentanti di associazioni di pazienti sottoposti a trapianto d’organo hanno sollecitato in più occasioni la CUF a riclassificare nella fascia di rimborsabilità l’Uricozyme (urato ossidasi) per il trattamento dell’iperuricemia in coloro che, assumendo azatioprina, non possono associare allopurinolo per il rischio di potenziare l’effetto mieloinibitore dell’azatioprina. Il problema è sorto per il fatto che l’Uricozyme si trova in fascia C ed è molto costoso (£ 145.000 per una confezione di 3 fiale). 1. 2. 3. Rozenberg S et al. Urate-oxidase for the treatment of tophaceous gout in heart transplant recipients. A report of three cases. Revue du Rhumatisme 1995;62:392-4. Ippoliti G et al. Urate oxidase in hyperuricemic heart transplant recipients treated with azathioprine. Transplantation 1997;63:1370-1. Pui CH et al. Urate oxidase in prevention and treatment of hyperuricemia associated with lymphoid malignancies. Leukemia 1997;11:1813-6. BIF Mar-Apr 2000 - N. 2 AGGIORNAMENTI Gli antiaggreganti piastrinici nella prevenzione di eventi cardiaci e cerebrovascolari (seconda parte) La ticlopidina è un antiaggregante che, come l’acido acetilsalicilico (ASA), può vantare un’adeguata documentazione clinica di efficacia; rispetto all’ASA, presenta un profilo lievemente migliore di tollerabilità gastrica, una maggiore incidenza di rash e diarrea, neutropenia e porpora trombotica trombocitopenica abbastanza rare ma potenzialmente fatali. La ticlopidina è una tienopiridina che inibisce l’aggregazione piastrinica con meccanismo d’azione diverso da quello dell’ASA (modifica irreversibile di un recettore per l’adenosindifosfato). L’effetto antiaggregante dipende dalla concentrazione ematica del farmaco. A differenza dell’ASA, a dosi terapeutiche (500 mg/die) si raggiunge una inibizione piastrinica significativa dopo 2-3 giorni di trattamento, mentre l’inibizione massima si ottiene in 4-7 giorni. Con dosi superiori a 500 mg/die non si ha una maggiore attività antiaggregante. La ticlopidina non è attiva in vitro e richiede la trasformazione in vivo in un metabolita attivo (o più metaboliti) perché possa manifestare la sua azione. L’attivazione sembra avvenire nel fegato, e i metaboliti sono principalmente escreti per via renale. L’azione antiaggregante persiste per 7-10 giorni dopo l’interruzione della terapia. Dal momento che in tutte le ricerche è stato utilizzato il dosaggio di 500 mg/die (250 mg x 2), si richiama l’attenzione a prescrivere tale dose giornaliera, per la quale sono disponibili dati di efficacia. Gli antiacidi assunti contemporaneamente possono diminuire l’assorbimento della ticlopidina. La ticlopidina è da considerarsi farmaco di scelta, in associazione ad ASA, solo nel trattamento dei pazienti a cui è stato impiantato uno stent coronarico durante angioplastica percutanea; è farmaco alternativo all’ASA in caso di intolleranza o di resistenza a quest’ultimo. 2.1. Prevenzione della riocclusione di stent coronarici Numerose ricerche hanno dimostrato che un’effettiva inibizione della funzione delle piastrine potrebbe essere più efficace della terapia anticoagulante nella prevenzione dell’occlusione acuta degli stent coronarici, per cui da anni in molti centri di emodinamica sono stati avviati diversi protocolli di trattamento antiaggregante. Una ricerca controllata e randomizzata (1) ha BIF Mar-Apr 2000 - N. 2 evidenziato che il trattamento per quattro settimane con ticlopidina (250 mg x 2) in associazione ad ASA (100 mg x 2), rispetto alla terapia anticoagulante (eparina per endovena ed ASA), ha ridotto l’incidenza di eventi cardiaci (morte, infarto, reintervento di angioplastica o bypass d’urgenza) dal 6,2% all’1,6% e, contemporaneamente, l’incidenza di eventi emorragici dal 6,5% allo 0%. L’occlusione dello stent si verificò nel 5% dei pazienti in terapia con anticoagulanti e in nessuno di quelli in trattamento con antiaggreganti. In un confronto tra ASA da solo, ASA ed eparina, ASA e ticlopidina su 1.653 pazienti sottoposti ad angioplastica coronarica con impianto di stent, l’incidenza di eventi maggiori (morte, rivascolarizzazione, trombosi acuta, infarto miocardico) è stata rispettivamente del 3,6%, 2,7% e 0,5% e l’incidenza di complicazioni emorragiche dell’1,8%, 6,2% e 5,5% (2). In accordo con i risultati di tali ricerche, si suggerisce di trattare per un mese i pazienti a cui sia stato impiantato uno stent coronarico con ticlopidina (250 mg x 2) in associazione ad ASA (100 mg x 2); alla scadenza del mese dall’angioplastica i pazienti potranno proseguire la terapia, su consiglio del medico curante, con il solo ASA. Bibliografia 2. Ticlopidina 1. 2. Schomig A et al. A randomized comparison of antiplatelet and anticoagulant therapy after the placement of coronary-artery stents. N Engl J Med 1996;334:1084-9. Martin BL. A clinical trial comparing three antithrombotic drug regimes after coronary-artery stenting. N Engl J Med 1998;339:1665-71. 2.2. Cerebropatie ischemiche recidivanti durante il trattamento con ASA La ticlopidina è stata studiata nella prevenzione secondaria di eventi vascolari cerebrali in trial clinici ben disegnati. Un primo studio in doppio cieco vs placebo, denominato CATS (1), ha incluso 1.072 pazienti con recente ictus tromboembolico, osservando che, durante un periodo di tre anni, un altro ictus si era verificato nel 10% dei pazienti che assumevano 250 mg di ticlopidina due volte al giorno e nel 17% dei pazienti trattati con placebo. In un altro trial (2) in doppio cieco, randomizzato, 3.069 pazienti con pregresso attacco ischemico transitorio (TIA), deficit neurologico reversibile o un ictus minore nei tre mesi precedenti l’inizio dello studio, sono stati trattati con 3 Bibliografia ticlopidina (250 mg due volte al giorno) o con ASA ad alte dosi (650 mg due volte al giorno). L’end point primario, morte da qualsiasi causa + ictus non fatale, si è verificato in una percentuale leggermente minore nel gruppo trattato con ticlopidina (20%) rispetto a quella del gruppo ASA (23%). Per quanto concerne l’evento cumulativo ictus fatale e non fatale, si è riscontrata, a tre anni, una percentuale ancora leggermente favorevole alla ticlopidina (10% vs 13% della ticlopidina), mentre non si è evidenziata alcuna differenza statisticamente significativa sulla mortalità per qualsiasi causa tra i due gruppi. La grande meta-analisi Antiplatelet Trialists’ Collaboration non ha messo in evidenza differenze di efficacia tra ticlopidina ed ASA sull’end point combinato infarto del miocardio, accidente ischemico cerebrale e decesso da cause vascolari (3). Il numero di pazienti da trattare con ticlopidina per un anno (NNT/anno) per prevenire un nuovo ictus è circa 80. In definitiva, la ticlopidina è un farmaco antiaggregante la cui efficacia può essere considerata simile a quella dell’ASA nel ridurre l’incidenza di recidive cerebrovascolari; tuttavia, tenendo conto del rischio di gravi trombo-leucocitopenie che può provocare, il farmaco di elezione per pazienti con storia di TIA o di ictus resta l’ASA. Di solito la ticlopidina è riservata ai pazienti in cui insorge ischemia cerebrale mentre sono in trattamento con ASA o che mostrano intolleranza all’ASA. 1. 2. 3. Gent M et al. The Canadian American Ticlopidine Study (CATS) in thromboembolic stroke. Lancet 1989;1:121520. Hass WK et al. A randomized trial comparing ticlopidine hydrochloride with aspirin for the prevention of stroke in high risk patients. N Eng J Med 1989;321:501-7. Antiplatelet Trialists’ Collaboration. Collaborative overview of randomised trials of antiplatelet therapy. I. Prevention of death, infarction, and stroke by prolonged antiplatelet therapy in various categories of patients. BMJ 1994;308:81-106. 2.3. Malattia vascolare periferica Non esistono studi ben disegnati che abbiano confrontato la ticlopidina con altri farmaci antiaggreganti nel trattamento della claudicatio o dopo chirurgia vascolare (1). Secondo uno studio svedese (2), la ticlopidina dimostra una significativa riduzione della mortalità generale in pazienti con claudicatio rispetto a quelli trattati con placebo, dovuta ad una marcata diminuzione delle morti coronariche. Quindi, secondo alcuni autori, è consigliato l’utilizzo elettivo della ticlopidina nella malattia aterosclerotica periferica. In realtà, la studio svedese non aggiunge nulla di più rispetto a quanto suggeriscono i dati della Antiplatelet Trialists’ Collaboration (3) a proposito del vantaggio derivante dall’uso di qualsiasi farmaco antipiastrinico (in particolare, dell’ASA) nella prevenzione di tutti gli eventi cardiovascolari in soggetti ad alto rischio, quali appunto i soggetti con claudicatio. 4 Bibliografia AGGIORNAMENTI 1. 2. 3. Anonimo. Clopidogrel and ticlopidine – improvements on aspirin? DTB 1999;37:59-61. Janzon L et al. Prevention of myocardial infarction and stroke in patients with intermittent claudication: effects of ticlopidine. Results from STIMS, the Swedish Ticlopidine Multicentre Study. J Int Med 1990;227:301-8. Antiplatelet Trialists’ Collaboration. Collaborative overview of randomised trials of antiplatelet therapy. I: prevention of death, myocardial infarction, and stroke by prolonged antiplatelet therapy in various categories of patients. BMJ 1994;308:81-106. 2.4. Manifestazioni correlate ad interferenze da ASA con la ciclossigenasi L’ASA può provocare sindromi reattive che possono essere suddivise in due sottotipi principali: • sindrome asmatica; • sindrome orticaria-angioedema. Le caratteristiche dell’asma da ASA sono state ben precisate; in particolare è molto frequente la coesistenza di una poliposi nasale e da tempo è stata segnalata una triade sintomatologica, costituita da asma intrinseco, poliposi nasale ed intolleranza all’ASA. La sindrome asmatica, spesso preceduta da episodi di rinite vasomotoria, può precedere, anche di anni, la comparsa di una sindrome reattiva da ASA ovvero il primo episodio di essa può essere scatenato dall’assunzione di ASA; in altri casi, invece, l’inizio della sindrome asmatica coincide con un intervento di polipectomia. Una volta iniziata, la sindrome asmatica persiste, spesso con carattere di gravità, indipendentemente dall’ingestione di ASA. La somministrazione di ASA, comunque, anche a dosi minime, provoca in questi soggetti lo scatenamento di una crisi asmatica, talora di estrema gravità che interviene generalmente entro 20-60 minuti dall’ingestione del farmaco. Con il termine orticaria si intende un’eruzione caratterizzata da elementi cutanei rilevati, di colore pallido (pomfi o chiazze orticate), circondati da cute normale o rosea, ed accompagnata da prurito più o meno intenso. L’edema (angioneurotico) di Quincke o angioedema costituisce una sindrome a diversa etiopatogenesi (immunologica o extraimmunologica), caratterizzata dall’insorgenza accessionale di tumefazioni edematose fugaci e circoscritte a carico del sottocutaneo e delle mucose. L’edema di Quincke presenta numerose analogie, dal punto di vista etiopatogenetico, istologico e clinico, con l’orticaria, e soprattutto con la forma di orticaria gigante, per cui attualmente le due condizioni morbose vengono raggruppate sotto l’unica denominazione di sindrome orticaria-angioedema (1). Le sindromi reattive da ASA sono conseguenti ad una interferenza/inibizione della ciclossigenasi che essa induce, e sono manifestazioni che, pur presentando strette analogie con la sintomatologia di altre sindromi a dimostrata etiopatogenesi allergica, se ne differenziano per il diverso meccanismo patogenetico, sempre extraimmunologico. Per tale motivo sono dette anche sindromi reattive pseudoallergiche (1). BIF Mar-Apr 2000 - N. 2 AGGIORNAMENTI 1. Errigo E. Malattie allergiche. Lombardo ed. Roma 1994:211, 315, 323. 2.5. Gastro-enterorragie durante il trattamento antiaggregante con ASA Vedi 1.12. (Bollettino d’Informazione sui Farmaci n. 1/2000 pag. 16) 2.6. Effetti indesiderati Gli effetti indesiderati più temibili in corso di trattamento con ticlopidina sono di tipo ematologico. Questo antiaggregante può provocare neutropenia, un evento che può essere anche letale in quanto si associa ad un aumentato rischio di gravi infezioni (1-4). Nello studio TASS (2), l’incidenza di neutropenia (meno di 1200 neutrofili/microlitro) è stata descritta nel 2,4% dei pazienti sottoposti a trattamento e in forma particolarmente grave (meno di 450 neutrofili/microlitro) nello 0,9% (0% nei soggetti sottoposti ad ASA). Nello studio CATS (1), neutropenia severa (meno di 450 neutrofili/microlitro) è stata osservata nello 0,8% dei pazienti. La neutropenia di solito si manifesta nei mesi iniziali della terapia, mentre è infrequente nelle prime due-tre settimane di trattamento. La neutropenia si risolve, di norma (ma non sempre), interrompendo la somministrazione del farmaco (1,5). Un altro grave evento indesiderato della ticlopidina, talora letale, è la porpora trombotica trombocitopenica (PTT) (2,6-13), una sindrome caratterizzata da trombocitopenia, anemia emolitica microangiopatica, modificazioni neurologiche, insufficienza renale progressiva e febbre. Una revisione della letteratura (14) ha documentato 60 casi di PTT, con una percentuale di mortalità tra i colpiti del 33%. In 48 pazienti la PTT si è manifestata dopo 1-4 settimane dall’inizio della terapia. Uno studio recente sull’incidenza della PTT in una coorte di soggetti sottoposti a stent coronarico (15) ha individuato 9 casi su 43.332 pazienti, con un’incidenza dello 0,02%, molto maggiore quindi a quella che è l’incidenza di tale evento nella popolazione generale, stimata intorno allo 0,0004%. Attualmente si calcola che la ticlopidina possa provocare PTT con una incidenza di un caso ogni 1.6005.000 pazienti trattati. Questi eventi ematologici potenzialmente gravi e anche letali consigliano di riservare la ticlopidina alla prevenzione della riocclusione di stent coronarici (valutazione beneficio/rischio) e ai casi in cui l’ASA risulti realmente controindicato. La crasi ematica, e in particolare la conta dei globuli bianchi e delle piastrine, vanno attentamente controlBIF Mar-Apr 2000 - N. 2 late prima di iniziare la terapia, almeno ogni due settimane per i primi tre mesi di trattamento e, successivamente, ad ogni segno intercorrente di infezione. Altri effetti indesiderati riportati della ticlopidina sono: disturbi gastrointestinali, soprattutto diarrea (in circa il 20% dei pazienti), nausea, dispepsia e anoressia, che si manifestano in particolare durante le prime due o tre settimane di trattamento, rash cutaneo (in circa il 3% dei trattati), prurito, orticaria. Rash cutaneo e diarrea precludono l’impiego continuativo della ticlopidina in circa il 15% dei pazienti. Eventi indesiderati più rari segnalati in letteratura sono: trombocitopenia, anemia aplastica, sindrome emolitica-uremica, colestasi severa, epatite, nefrite interstiziale acuta. Pare che le donne di oltre 75 anni abbiano più probabilità di sviluppare effetti collaterali ematologici (3). La ticlopidina è controindicata nei soggetti che presentano o hanno presentato leucopenia, trombocitopenia o agranulocitosi. Inoltre, la controindicazione sussiste (ma questo vale per tutti gli antiaggreganti) anche nei pazienti con malattie che prolungano il tempo di sanguinamento e in quanti presentano lesioni con probabilità di sanguinamento (es., ulcera gastroduodenale attiva o ictus emorragico acuto). Bibliografia Bibliografia I pazienti intolleranti ad ASA generalmente presentano identiche reazioni a tutti gli altri FANS, anche se tale reazione crociata non è la regola. 1. Gent M et al. The Canadian American Ticlopidine Study (CATS) in thromboembolic stroke. Lancet 1989;1:121520. 2. Hass WK et al. A randomized trial comparing ticlopidine hydrochloride with aspirin for the prevention of stroke in high risk patients. Ticlopidine Aspirine Stroke Study Group. N Eng J Med 1989;321:501-7. 3. Wysowski DK et al. Blood dyscrasias and hematologic reactions in ticlopidine users [Letter] JAMA 1996;276:952. 4. Molony BA. An analysis of the side effects of ticlopidine. In: Haas WK, Easton JD, eds. Ticlopidine, Platelets, and Vascular Disease. New York: Springer-Verlag 1993:117-39. 5. Janzon L et al. Prevention of myocardial infarction and stroke in patients with intermittent claudication; effects of ticlopidine. Results from STIMS, the Swedish Ticlopidine Multicentre Study. J Intern Med 1990;227:301-8. 6. McTavish D et al. Ticlopidine. An updated review of its pharmacology and therapeutic use in platelet-dependent disorders. Drugs 1990;40:238-59. 7. Shear NH et al. Prevention of ischemic stroke. [Letter] N Engl J Med 1995;333:460. 8. Page Y et al. Thrombotic thrombocytopenic purpura related to ticlopidine. Lancet 1991;337:774-6. 9. Ellie E et al. Thrombotic thrombocytopenic purpura associated with ticlopidine. Stroke 1992;23:922-3. 10. Kovacs MJ et al. Thrombotic thrombocytopenic purpura associated with ticlopidine. Ann Pharmacother 1993; 27:1060-1. 11. Ariyoshi K et al. Thrombotic thrombocytopenic purpura caused by ticlopidine, successfully treated by plasmapheresis [Letter] Am J Hematol 1997;54:175-6. 12. Kupfer Y et al. Ticlopidine and thrombotic thrombocytopenic purpura. [Letter]. N Engl J Med 1997;337:1245. 5 Bibliografia AGGIORNAMENTI 13. Sheffield JV et al. More about thrombotic thrombocytopenic purpura. N Engl J Med 1998;338:548. 14. Bennet CL et al. Thrombotic thrombocytopenic purpura associated with ticlopidine: a review of 60 cases. Ann Intern Med 1998;128:541-4. 15. Steinhubl SR et al. Incidence and clinical course of thrombotic thrombocytopenic purpura due to ticlopidine following coronary stenting. JAMA 1999;281:806-10. DA RICORDARE ➢ La ticlopidina è un farmaco che dispone di un’adeguata documentazione di efficacia e di tossicità; inibisce l’aggregazione piastrinica con meccanismo d’azione diverso da quello dell’ASA (modifica irreversibile di un recettore per l’adenosindifosfato). ➢ La ticlopidina è da considerarsi farmaco di scelta, in associazione ad ASA, solo nel trattamento dei pazienti a cui è stato impiantato uno stent coronarico durante angioplastica percutanea; è farmaco alternativo all’ASA in caso di intolleranza o di resistenza a quest’ultimo. ➢ In accordo con i risultati di studi effettuati, si suggerisce di trattare per un mese i pazienti a cui sia stato impiantato uno stent coronarico con ticlopidina (250 mg x 2) in associazione ad ASA (100 mg x 2); alla scadenza del mese dall’angioplastica i pazienti possono proseguire la terapia, su consiglio del medico curante, con il solo ASA. ➢ L’efficacia della ticlopidina nel ridurre l’incidenza di recidive cerebrovascolari può essere considerata simile a quella dell’ASA; tuttavia, tenendo conto del rischio di gravi trombo-leucocitopenie che può provocare, il farmaco di elezione per pazienti con storia di TIA o di ictus resta l’ASA. Di solito la ticlopidina è riservata ai pazienti in cui insorge ischemia cerebrale mentre sono in trattamento con ASA o che mostrano intolleranza all’ASA. ➢ Il pericolo di neutropenie, agranulocitosi e di porpora trombotica trombocitopenica consiglia di riservare la ticlopidina alla prevenzione della riocclusione di stent e ai casi in cui l’ASA risulti realmente controindicato. 3. Clopidogrel Il clopidogrel è un antiaggregante piastrinico che, come la ticlopidina, appartiene alla classe delle tienopiridine; differisce strutturalmente dalla ticlopidina solo per la presenza nella sua molecola di un gruppo carbossimetilico (Figura 1). Alcune importanti caratteristiche del clopidogrel ricalcano quelle della ticlopidina. L’effetto antiaggregante dipende dalla concentrazione ematica del farmaco: una inibizione significativa dell’aggregazione piastrinica si raggiunge dopo 2-3 giorni di trattamento con 75 mg/die, mentre si impiegano 4-7 giorni per raggiungere l’inibizione massimale. Dosi più elevate non determinano una maggiore attività antiaggregante. Il farmaco è inattivo in vitro e richiede la trasformazione a metabolita o a metaboliti attivi per manifestare la sua azione in vivo. L’attivazione sembra avvenire nel fegato e i metaboliti sono principalmente escreti per via renale. L’azione antiaggregante persiste per 7-10 giorni dopo l’interruzione della terapia. 3.1. Lo studio CAPRIE L’efficacia antiaggregante del clopidogrel è stata dimostrata mediante un singolo mega-trial denominato CAPRIE (Clopidogrel versus Aspirin in Patients at Risk of Ischemic Events), uno studio comparativo, in doppio cieco, randomizzato, condotto a livello internazionale (v. Box 1). 6 Figura 1. Struttura chimica della ticlopidina e del clopidogrel Ticlopidina Clopidogrel Il disegno dello studio si basava sull’assunto di una sostanziale unitarietà delle complicanze della malattia aterotrombotica nei tre distretti cerebrale, coronarico e periferico, a sua volta derivato dai risultati della metaanalisi della Antiplatelet Trialists’ Collaboration (ATC) (1), secondo cui l’ASA è efficace nella prevenzione delle complicanze della malattia aterotrombotica nei tre distretti. A partire da ciò, lo studio ha reclutato contemporaneamente tre categorie di soggetti considerati ad “alto rischio” per le complicanze trombotiche del processo aterosclerotico, vale a dire pazienti con infarto miocardico recente o con ictus cerebrale di natura ischemica recente o con una vasculopatia periferica sintomatica. Va premesso che lo studio CAPRIE non è stato progettato per sopperire ad una carenza di evidenze BIF Mar-Apr 2000 - N. 2 AGGIORNAMENTI BOX 1 Titolo CAPRIE Steering Committee. A randomised, blinded, trial of clopidogrel versus aspirin in patients at risk of ischaemic events (CAPRIE). Lancet 1996;348:1329-39. Obiettivo Confronto tra clopidogrel e ASA somministrati a tre gruppi di pazienti con ictus recente o infarto recente o malattia arteriosa periferica. Disegno Studio randomizzato, controllato, in doppio cieco. Attuazione 384 centri clinici di 16 Paesi. Pazienti 19.185 pazienti, età media 63 anni, 72% maschi. Criteri di inclusione Ictus cerebrale ischemico recente (tra 1 settimana e 6 mesi) o infarto miocardico recente (entro 35 giorni) o vasculopatia periferica sintomatica. Criteri di esclusione Età < 21 anni, deficit cerebrale severo, endarterectomia dopo ictus qualificato, ictus qualificato causato da endarterectomia carotidea, aspettativa di vita < 3 anni, ipertensione non controllata, controindicazione ai farmaci dello studio, potenzialità di gravidanza, precedente partecipazione ad altri studi su clopidogrel. Gruppi di trattamento Gruppo clopidogrel: 9.599 pazienti, trattati con 75 mg/die in un'unica somministrazione giornaliera. Gruppo ASA: 9.586 pazienti, trattati con 325 mg/die in un'unica somministrazione giornaliera. Ogni sottogruppo in ciascuna delle tre diverse presentazioni cliniche (ictus, infarto, vasculopatia periferica) comprendeva circa 6.400 pazienti, randomizzati ai due trattamenti. Principali eventi misurati End point primario. Riduzione di eventi vascolari maggiori combinati: ictus ischemico, infarto miocardico, morte. End point secondari. Riduzione di a) eventi combinati ictus ischemico, infarto miocardico, morte vascolare, amputazione; b) morte vascolare; c) ictus e infarto non fatali, morte per ogni causa; d) morte per ogni causa. Durata del trattamento Da 1 a 3 anni (media 1,91 anni). Bibliografia della meta-analisi dell’ATC, dal momento che implicitamente riconosce che l’ASA è sicuramente efficace nei soggetti a rischio cardiovascolare (tanto da assumerlo come farmaco di controllo), ma è stato disegnato a partire da un’ipotesi di una maggiore efficacia, quantificabile nel 12-13%, del clopidogrel rispetto all’ASA. 1. Antiplatelet Trialists’ Collaboration. Collaborative overview of randomised trials of antiplatelet therapy. I: prevention of death, myocardial infarction, and stroke by prolonged antiplatelet therapy in various categories of patients. BMJ 1994;308:81-106. 3.2. I risultati dello studio CAPRIE I risultati della ricerca sono riportati nella Tabella 1. In essa si osserva (prime due colonne verticali) che sul totale dei 9.586 pazienti, trattati con 325 mg/die di ASA, rispetto ai 9.599 trattati con 75 mg/die di clopidogrel: • l’incidenza dell’evento principale misurato (combinazione di ictus, infarto miocardico e mortalità vascolare) risulta del 5,83% nel gruppo ASA e del 5,32% nel gruppo clopidogrel; • l’incidenza dell’end point secondario misurato (ictus, infarto, morte vascolare + amputazione) risulta pari al 6,01% nel gruppo ASA e al 5,56% nel gruppo clopidogrel; • l’incidenza degli altri due end point misurati - morte vascolare e morte per ogni causa - risulta rispettivaBIF Mar-Apr 2000 - N. 2 mente del 2,06% e 3,11% nel gruppo ASA e dell’1,9% e 3,05% nel gruppo clopidogrel. In particolare, per quanto riguarda l’evento principale analizzato, rappresentato dagli eventi combinati di ictus, infarto miocardico e mortalità cardiovascolare, si osserva che: • la percentuale di eventi rilevati nel gruppo di pazienti randomizzato al trattamento in sperimentazione o Experimental Event Rate (EER) è pari al 5,32% (gruppo clopidogrel) mentre la percentuale di eventi osservati nel gruppo di controllo (gruppo ASA) o Control Event Rate (CER) è pari al 5,83%; • da ciò deriva che la riduzione relativa del rischio (RRR) dell’evento principale misurato nei pazienti randomizzati a clopidogrel rispetto ai trattati con ASA è dell’8,7%. In sintesi, lo studio CAPRIE evidenzia una differenza modesta nell’efficacia dei due trattamenti per quanto concerne l’evento principale misurato (terza colonna della Tabella 1): la riduzione relativa del rischio (RRR) dell’evento principale combinato (ictus, infarto, morte vascolare) è dell’8,7%, marginalmente significativa (IC 95%: 3 ÷ 16,5; p=0,043) e chiaramente inferiore rispetto alla stima di una riduzione del 12 – 13% su cui era stato dimensionato il trial. Il vantaggio di minime proporzioni si ridurrebbe ulteriormente, e non sarebbe più significativo, se all’evento combinato ictus, infarto, morte vascolare 7 AGGIORNAMENTI si aggiungesse l’amputazione maggiore, essendo poco sostenibile qualsiasi differenza tra l’arto perso per un’ischemia periferica e quello paralizzato per un’ischemia cerebrale. Per gli altri end point indagati, la riduzione relativa del rischio tra i due gruppi di pazienti non appare statisticamente significativa; in particolare, nei pazienti trattati con clopidogrel rispetto a quelli trattati con ASA non risultano ridotte né la mortalità vascolare né la mortalità totale. Lo studio CAPRIE evidenzia inoltre che la riduzione assoluta del rischio (ARR) dell’evento combinato primario (ictus, infarto, morte vascolare) nei pazienti randomizzati a clopidogrel rispetto a quelli del gruppo ASA è pari a 5,83 – 5,32 = 0,51% (Tabella 1, quarta colonna). Per gli altri eventi indagati la riduzione assoluta del rischio tra gruppi clopidogrel e ASA è la seguente (Tabella 1, quarta colonna): – ictus, infarto, morte vascolare, amputazione: 0,45%; – ictus e infarto non fatali, morte per ogni causa: 0,47%; – morte vascolare: 0,16%; – morte per ogni causa: 0,06%. Dal momento che la ARR dell’evento primario tra gruppo clopidogrel e ASA è pari allo 0,51%, significa allora che bisogna trattare 100 soggetti con clopidogrel per 1,91 anni (durata media del CAPRIE) al fine di prevenire 0,51 eventi, o 196 soggetti per prevenire un evento vascolare maggiore. 196 è l’NNT dell’evento primario. Allo stesso modo sono calcolati gli NNT per gli end point secondari che il CAPRIE si era prefissato di misurare (v. Tabella 1, quinta colonna): così, rispetto ai pazienti in trattamento con ASA, devono essere trattati con clopidogrel: – 213 soggetti per prevenire un end point combinato ictus e infarto non fatali, morte per ogni causa; – 222 soggetti per prevenire un end point combinato ictus, infarto, morte vascolare, amputazione; – 625 pazienti per prevenire una morte vascolare; – 1.666 pazienti per prevenire la morte per ogni causa. Gli indicatori in precedenza riportati, consentono al lettore di calcolare i costi del trattamento con clopidogrel rispetto a quelli con ASA. Indicativamente, la terapia giornaliera con 300 mg di ASA costa 200 lire, mentre quella con clopidogrel, 75 mg, costa circa 5.000 lire (prezzo inizialmente proposto). Il costo della terapia giornaliera con ticlopidina (250 mg x 2) oscilla da 2.400 lire circa (prezzo specialità medicinale) a 1.900 lire (prezzo medicinale generico). Tabella 1. Principali risultati dello studio CAPRIE sulla totalità dei pazienti Eventi Incidenza di eventi per anno ASA Clopidogrel CER EER Ictus, infarto, morte vascolare 5,83% Ictus, infarto, morte vascolare, amputazione RRR (IC 95%) ARR NNT 5,32% 8,7% (3 ÷ 16,5) 0,51% 196 6,01% 5,56% 7,6% (–0,8 ÷ 15,3) 0,45% 222 Morte vascolare 2,06% 1,90% 7,6% (–6,9 ÷ 20,1) 0,16% 625 Ictus e infarto non fatali, morte per ogni causa 6,9% 6,43% 7,0% (–0,9 ÷ 14,2) 0,47% 213 Morte per ogni causa 3,11% 3,05% 2,2% (–9,9 ÷ 12,9) 0,06% 1.666 Per il significato delle sigle adottate si veda il Glossario nella terza pagina di copertina. 3.3. I risultati dello studio CAPRIE per sottogruppi di pazienti Come è stato precisato al punto 3.1, il CAPRIE, a partire dall’ipotesi che un trattamento antiaggregante sia di fatto ugualmente efficace in diverse categorie di soggetti a rischio di complicanze trombotiche, ha provveduto al reclutamento contemporaneo di tre diversi sottogruppi di pazienti, e cioè con infarto miocardico recente o con ictus cerebrale di natura ischemica recente o con una vasculopatia periferica. I 19.185 pazienti complessivamente entrati nello studio furono pertanto classificati in base alle tre diverse presentazioni cliniche, comprendente ognuna oltre 6.000 pazienti rando- 8 mizzati a clopidogrel o ad ASA. L’incidenza di eventi combinati ictus, infarto, morte vascolare è stata valutata in questi tre sottogruppi di pazienti e i principali risultati sono riportati in Tabella 2. L’analisi dei risultati ottenuti nelle tre categorie di pazienti dimostra nei pazienti con pregresso ictus una riduzione non significativa dell’incidenza dell’evento combinato (7,71% ASA vs 7,15% clopidogrel), mentre nei pazienti con pregresso infarto miocardico si osserva un aumento dell’incidenza dell’evento combinato, ancorché non significativo, in quelli trattati con clopidogrel (4,84% ASA vs 5,03% clopidogrel). Nel sottogruppo diagnostico con malattia arteriosa periferica si BIF Mar-Apr 2000 - N. 2 AGGIORNAMENTI dimostra una riduzione significativa di incidenza dell’evento combinato nei pazienti trattati con clopidogrel: 4,86% ASA vs 3,71% clopidogrel, con RRR del 23,8% (IC 95%: 8,9 ÷ 36,2). La ARR dell’end point primario (ictus, infarto, morte vascolare) tra i pazienti con ictus recente è pari a 0,56% (ciò significa che è necessario trattare 179 pazienti per evitare un evento), tra i pazienti con infarto è pari a –0,19% (in questo caso non è possibile calcolare l’NNT in quanto il clopidogrel ha dimostrato di indurre un maggior numero di eventi rispetto all’ASA), e infine tra i pazienti con vasculopatia periferica è pari a 1,15% (bisogna cioè trattare 87 pazienti per evitare un evento). L’analisi dei risultati per sottogruppi clinici selezionati in base alla patologia indice, che ne aveva determinato l’ingresso nello studio, dimostra che la maggior parte della differenza di efficacia, per quanto esigua e al limite della significatività statistica (RRR = 8,7%; ARR = 0,51%) tra clopidogrel e ASA, appare attribuibile ad una consistente differenza, pari a circa il 24%, a favore del clopidogrel nei pazienti con vasculopatia periferica sintomatica. In altri termini, i risultati dello studio sembrano suggerire che il reale beneficio del clopidogrel rispetto all’ASA possa non essere lo stesso nelle tre diverse situazioni cliniche esaminate e che i pazienti con vasculopatia periferica potrebbero essere gli unici ad avvantaggiarsi dal trattamento con clopidogrel; i pazienti con ictus trarrebbero un beneficio minimo dal trattamento con clopidogrel rispetto all’ASA, mentre gli infartuati subirebbero un lieve peggioramento. Ci sono molte dimostrazioni che l’analisi per sottogruppi dei risultati dei trial espone ad errori, e pertanto va interpretata con cautela. Nel caso del CAPRIE, l’analisi per sottogruppi era programmata nel disegno del trial e rispondente a ragioni plausibili (possibili differenze fisiopatologiche della patologia aterosclerotica fra i tre distretti). Questo può attenuare, senza cancellarli, i motivi della cautela da mantenere nell’interpretazione dei risultati per sottogruppi. Formalmente, la conclusione dello studio resta pertanto quella di un marginale vantaggio derivante dal trattamento con clopidogrel nel totale della popolazione presa in esame. Nella pratica, può essere giustificata l’incertezza del medico nell’accettare tale beneficio del clopidogrel nell’ictus (risultato non significativo) e ancor più nell’infarto (risultato non significativo a favore dell’ASA). Tabella 2. Principali risultati dello studio CAPRIE in sottogruppi di pazienti Incidenza di eventi combinati ictus, infarto, morte vascolare per anno Sottogruppi di pazienti ASA Clopidogrel RRR (IC 95%) ARR NNT Ictus recente 7,71% 7,15% 0,56% 179 Infarto recente 4,84% 5,03% -0,19% (non val.) 4,86 3,71% 7,3% (-5,7 ÷ 18,7) - 3,7% (–22,1 ÷ 12,0) 23,8% (8,9 ÷ 36,2) 1,15% 87 Vasculopatia periferica Per il significato delle sigle adottate si veda il Glossario nella terza pagina di copertina. 3.4. Sicurezza e tollerabilità di ASA e clopidogrel nello studio CAPRIE Dal punto di vista della sicurezza, entrambi i regimi terapeutici sono risultati ben tollerati. In particolare, il clopidogrel non ha indotto un eccesso di neutropenie (tanto temuto a carico della ticlopidina) né di porpora trombotica trombocitopenica (PTT) rispetto all’ASA. Le uniche differenze statisticamente significative tra gli eventi avversi gravi osservati nei due gruppi di trattamento riguardano le emorragie gastrointestinali (2 in più ogni 1.000 pazienti trattati, nel gruppo ASA) e i rash (1-2 in più ogni 1.000 pazienti trattati, nel gruppo clopidogrel). La Tabella 3 riporta le percentuali degli effetti avversi clinicamente rilevanti osservati nello studio CAPRIE. I risultati dello studio CAPRIE sembravano suggerire che il clopidogrel potesse sostituire la ticlopidina in tutti i casi in cui l’ASA appariva BIF Mar-Apr 2000 - N. 2 realmente controindicato. In realtà, come per tutti i nuovi farmaci, una valutazione più esauriente del profilo di sicurezza del clopidogrel è possibile solo attraverso un’attenta sorveglianza post-marketing, quando il farmaco è utilizzato nella pratica clinica reale su ampie popolazioni. Dopo la commercializzazione del farmaco, sono comparse in letteratura segnalazioni di nefropatia membranosa (1), artrite acuta (2), e ageusia reversibile (3), broncospasmo, angioedema e reazioni anafilattoidi (4) casi non osservati durante la sperimentazione clinica. La preoccupazione maggiore riguarda il rischio di PTT, di cui sono stati segnalati 11 casi (5). Siccome la ticlopidina può provocare PTT con una incidenza di un caso ogni 1.600-5.000 pazienti trattati, dal momento che clopidogrel e ticlopidina agiscono con lo stesso meccanismo d’azione e differiscono nella struttura chimica solo per un gruppo carbossimetilico 9 AGGIORNAMENTI Tabella 3. Percentuali di effetti avversi clinicamente rilevanti di ASA e clopidogrel nel CAPRIE CLOPIDOGREL (N=9.599) ASA (N=9.586) Emorragici - sanguinamento di ogni tipo - sanguinamento gastrointestinale - sanguinamento intracranico - altri eventi (porpora, ecchimosi, ematoma) - ematuria, sanguinamento oculare 9,3% 2,0% 0,4% 0,6% rari 9,3% 2,7% 0,5% 0,4% rari Ematologici - neutropenia grave - trombocitopenia grave - anemia aplastica 0,04% 0,2% 0,01% 0,02% 0,1% - Gastrointestinali - eventi totali (dolore addominale, dispepsia, gastrite, stipsi) - eventi clinicamente gravi - eventi determinanti interruzione trattamento - diarrea 27,1% 3,0% 3,2% 4,5% 29,8% 3,6% 4,0% 3,4% Cute ed annessi - eventi totali - eventi gravi - rash - prurito 15,8% 0,7% 4,2% 3,3% 13,1% 0,5% 3,5% 1,6% Sistema nervoso centrale e periferico - cefalea, capogiro, vertigine, parestesia 22,3% 23,8% Epato-biliari - eventi complessivi 3,5% 3,4% (vedi Figura 1), è stata posta particolare attenzione al monitoraggio attivo di questo evento (e dell’agranulocitosi). Degli 11 pazienti trattati con clopidogrel che hanno manifestato PTT, 10 hanno risposto favorevolmente alla trasfusione plasmatica, 2 hanno rischiesto 20 o più trasfusioni e 2 hanno presentato ricadute mentre non erano più in trattamento con clopidogrel. Un paziente è invece deceduto nonostante un trattamento trasfusionale immediatamente dopo la diagnosi. In conclusione, anche il clopidogrel può provocare PTT e il medico deve essere particolarmente attento a questa possibile evenienza quando decide di utilizzarlo. Recentemente, il trattamento con clopidogrel è stato anche associato a sindrome emolitico-uremica (6), una patologia simile alla PTT. Gli effetti collaterali del clopidogrel riportati nel British National Formulary (7) sono: emorragie (comprese quelle gastrointestinali ed intracraniche); disturbi addominali, nausea, vomito, diarrea, stipsi, ulcera gastrica e duodenale; cefalea, vertigini, parestesie; rash, prurito; disordini epatici e biliari, neutropenia, segnalazioni isolate di anemia aplastica. 10 Il profilo di sicurezza del clopidogrel è oggetto di periodiche revisioni da parte dell’autorità regolatoria europea; in occasione della riunione del Comitato per le Specialità Medicinali (CPMP) di Aprile 2000, è stato deciso l’inserimento della PTT nel paragrafo “Effetti indesiderati” della scheda tecnica del farmaco. Altri effetti indesiderati quali febbre, artralgie, artrite e agranulocitosi saranno prossimamente discussi e probabilmente inclusi anch’essi tra i potenziali eventi indesiderati del clopidogrel. Bibliografia EVENTI AVVERSI 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. Tholl U et al. Clopidogrel and membranous nephropathy. Lancet. 1999;354:1443. Garg A et al. Clopidogrel associated with acute arthritis. BMJ 2000;320:483. Golka K et al. Reversible ageusia as an effect of clopidogrel treatment. Lancet 2000;355:465. Riassunto delle caratteristiche del prodotto: Effetti indesiderati (4.8). Aprile 2000. Bennett CL et al. Thrombotic thrombocytopenic purpura associated with clopidogrel. N Engl J Med 2000;342:1773-7. Moy B et al. Hemolytic uremic syndrome associated with clopidogrel. Arch Int Med 2000;160:1370-2. British National Formulary-39. Pharmaceutical Press, published 3/2000, pag. 118. BIF Mar-Apr 2000 - N. 2 AGGIORNAMENTI 3.5. Le conclusioni dello studio CAPRIE Lo studio non ha provato alcuna delle due ipotesi di partenza, infatti: – il confronto tra clopidogrel e ASA ha dato risultati significativamente differenti fra i tre sottogruppi di pazienti, smentendo l’ipotesi dell’unitarietà del rischio legato alla patologia aterotrombotica nei tre distretti cerebrale, coronarico e periferico; – rispetto all’ASA, la riduzione di rischio di eventi avversi cardiovascolari nei pazienti trattati con clopidogrel è stata inferiore a quella ipotizzata. Il vantaggio isolato riscontrato nei pazienti con malattia arteriosa periferica non rientrava nelle ipotesi su cui era stata disegnata la ricerca. Pertanto il risultato non può essere considerato conclusivo e come tale sufficiente a essere trasferito nella pratica; esso rappresenta invece un’interessante ipotesi di lavoro sull’efficacia del clopidogrel nei confronti dell’ASA, da saggiare in successivi trial disegnati ad hoc. In conclusione, al momento, clopidogrel mostra vantaggi clinico-epidemiologici modesti e marginali rispetto all’ASA, molte incertezze per quanto concerne la safety (segnalazioni di effetti indesiderati che avvicinano il suo profilo di tossicità a quello della ticlopidina) e un costo molto superiore. DA RICORDARE ➢ Clopidogrel è un antiaggregante piastrinico strutturalmente simile alla ticlopidina da cui differisce esclusivamente solo per la presenza nella sua molecola di un gruppo carbossimetilico. ➢ L’efficacia antiaggregante del clopidogrel è stata studiata mediante una ricerca comparativa denominata CAPRIE, in cui il nuovo antiaggregante è stato confrontato con acido acetilsalicilico (ASA) in pazienti a rischio di eventi cerebrovascolari per ictus cerebrale ischemico recente, infarto miocardico recente o vasculopatia periferica sintomatica. ➢ Il CAPRIE ha evidenziato una differenza modesta nell’efficacia del clopidogrel vs ASA per quanto concerne l’evento principale misurato (ictus, infarto, morte vascolare), marginalmente significativa e inferiore rispetto alla stima di riduzione su cui era stato dimensionato il trial. ➢ L’analisi dei risultati del CAPRIE per sottogruppi di pazienti dimostra una riduzione non significativa dell’incidenza dell’evento combinato (ictus, infarto, morte vascolare) nei soggetti con pregresso ictus trattati con clopidogrel rispetto a quelli trattati con ASA e un aumento non significativo dell’incidenza dell’evento combinato (ictus, infarto, morte vascolare) nei pazienti con pregresso infarto miocardico trattati con clopidogrel. ➢ La conclusione del CAPRIE resta quella di un marginale vantaggio clinico del clopidogrel sull’ASA nel totale della popolazione presa in esame, con un costo della terapia decisamente superiore rispetto all’ASA. ➢ Dopo la commercializzazione del clopidogrel, sono già comparse in letteratura segnalazioni di porpora trombotica trombocitopenica, sindrome emolitico-uremica, nefropatia membranosa, artrite acuta, ageusia, non osservate durante lo studio CAPRIE. ➢ L’autorità regolatoria europea ha già deciso l’inserimento della porpora trombotica trombocitopenica nel paragrafo “Effetti indesiderati” della scheda tecnica del clopidogrel; altri effetti indesiderati quali febbre, artralgie, artrite e agranulocitosi saranno a breve oggetto di discussione e, probabilmente, saranno anch’essi inclusi tra i potenziali eventi indesiderati di questo farmaco. BIF Mar-Apr 2000 - N. 2 11 AGGIORNAMENTI Antipertensivi: ridurre la pressione arteriosa o prolungare la vita Interrotto il trattamento con doxazosin nello studio ALLHAT L’8 marzo 2000, un comunicato-stampa del National Heart, Lung, and Blood Institute (NHLBI) ha annunciato l’interruzione prematura di una parte dello studio ALLHAT (Antihypertensive and Lipid Lowering Treatment to Prevent Heart Attack Trial) (1) in quanto uno dei farmaci testati, un alfa-litico, si è dimostrato meno efficace della più tradizionale terapia con diuretici nel ridurre alcune forme di patologia cardiovascolare. ALLHAT è uno studio comparativo di grandi dimensioni, che coinvolge oltre 42.000 pazienti arruolati in 625 centri di Stati Uniti e Canada. Iniziato nel 1994, dovrebbe concludersi nel marzo del 2002. Lo studio è stato progettato principalmente per confrontare farmaci di vecchia e nuova generazione utilizzati nella terapia dell’ipertensione. L’alfa-litico utilizzato nello studio è il doxazosin; il diuretico è il clortalidone. Rispetto ai soggetti trattati con quest’ultimo, i pazienti che assumevano doxazosin hanno presentato un 25% in più di eventi cardiovascolari e una probabilità doppia di essere ospedalizzati per scompenso cardiaco congestizio. Diuretico ed alfa-litico si sono dimostrati similmente efficaci nella prevenzione di attacchi cardiaci e nel ridurre il rischio di morte per ogni causa (per maggiori dettagli v. Box 1). In seguito a queste evidenze, il National Heart, Lung, and Blood Institute ha suggerito che i pazienti attualmente in trattamento con un alfa-litico consultino i loro medici per un eventuale passaggio ad altro farmaco antipertensivo. Se un paziente deve iniziare un trattamento, un alfa-litico non rappresenta la migliore scelta terapeutica. Il doxazosin indicato come antipertensivo è in commercio in Italia con il nome di Normothen, Cardura e Dedralen; un altro alfa-litico usato per l’ipertensione è la terazosina (Ezosina, Itrin). Alfa-litici con indicazione nell’ipertrofia prostatica benigna, oltre al doxazosin (Benur), sono alfusozina (Benestan, Mittoval, Xatral), tamsulosina (Omnic, Pradif) e terazosina (Teraprost, Unoprost, Urodie). Anche l’American College of Cardiology (ACC) ha pubblicato un avvertimento, raccomandando che i medici rivalutino l’impiego del doxazosin. “ACC incoraggia i medici a rivedere e a discutere tra colleghi i dati emersi da ALLHAT per assicurare una rapida diffusione di questa importante informazione”, ha dichiarato Robert J. Cody, presidente di ACC Hypertensive Diseases Committee e capo associato della Cardiovascular Division presso la University of Michigan Medical School ad Ann Arbor. “Nello stesso tempo, i pazienti ipertesi trattati con un alfa-litico dovrebbero, per prima 12 cosa, incontrare i loro medici prima di interrompere la terapia. Ciò è importante in quanto il trattamento dell’ipertensione e la scelta della terapia dovrebbero essere strettamente individualizzati”. Nel Box 2, a pag. 15, sono riportati schematicamente i dati di vendita dei farmaci antipertensivi nel 1998 e 1999. Conseguenze dell’interruzione del trattamento con doxazosin nello studio ALLHAT (Implication of discontinuation of doxazosin arm of ALLHAT. Lancet 2000;355:863-4) È questo il titolo di un Commentary di particolare rilevanza clinica, scritto da Franz H. Messerli e pubblicato l’11 marzo 2000 su Lancet (355:863-4). Di seguito è riportato il testo integrale. “Il mese scorso, il Data Safety Monitoring Board (organo di controllo della sicurezza di uno studio, NdT) dell’Antihypertensive and Lipid Lowering Treatment to Prevent Heart Attack Trial (ALLHAT) ha deciso di interrompere la ricerca relativa al gruppo di pazienti trattati con doxazosin. La decisione è stata presa in base all’evidenza che in una percentuale significativamente più alta di pazienti del gruppo doxazosin insorgeva insufficienza cardiaca congestizia (che era un end point secondario) e alla considerazione che era improbabile che il doxazosin fosse più efficace del clortalidone nella prevenzione della malattia coronarica (end point principale). Poiché lo studio ALLHAT ha portato ad arruolare oltre 40.000 pazienti ed è sponsorizzato da US National Heart, Lung, and Blood Institute, è del tutto plausibile che la decisione di sospendere il gruppo doxazosin dallo studio sia stata fortemente motivata ed attuata dopo profonda ed attenta valutazione; è altrettanto plausibile che il doxazosin, nonostante sia in grado di ridurre la pressione, produca un beneficio significativamente minore rispetto alla terapia con diuretici sul maggiore end point cardiovascolare. Per definizione, tutti i farmaci antipertensivi abbassano la pressione del sangue. A partire dallo studio della Veterans Administration (2), un presupposto clinico accettato è che la diminuzione della pressione di per sé riduca morbilità e mortalità, e che tale riduzione di eventi avversi non sia correlata, o sia scarsamente correlata, al meccanismo attraverso cui la pressione viene ridotta. Studi recenti quali CAPPP (3), STOP-2 (4) e UKPDS (5) sembrano sottostimare il BIF Mar-Apr 2000 - N. 2 AGGIORNAMENTI BOX 1 Antihypertensive and Lipid Lowering Treatment to Prevent Heart Attack Trial (ALLHAT) Eventi cardiovascolari maggiori in pazienti con ipertensione randomizzati a doxazosin vs clortalidone (JAMA 283;19 Aprile 2000: 1967-75) Contesto e motivazione dello studio L’ipertensione è correlata a un significativo aumento del rischio di morbilità e di mortalità. E’ stato dimostrato in studi a lungo termine che solo diuretici e beta-bloccanti sono in grado di ridurre tale rischio. Non si sa invece se gli antipertensivi più recenti diminuiscano l’incidenza della patologia cardiovascolare. Obiettivo Confrontare l’effetto di doxazosin (alfa-litico), clortalidone (diuretico), amlodipina (calcio antagonista) e lisinopril (ACEinibitore), sull’incidenza di eventi cardiovascolari in pazienti con ipertensione. Disegno ALLHAT è uno studio clinico controllato, randomizzato, in doppio cieco, iniziato nel 1994. Nel gennaio 2000, dopo un’analisi ad interim, un comitato indipendente di revisione dei dati ha raccomandato l’interruzione del trattamento nel gruppo che riceveva doxazosin valutato in confronto al gruppo clortalidone. I dati di esito di seguito riportati riflettono il follow up a dicembre 1999. Popolazione studiata nel braccio clortalidone vs doxazosin 24.335 pazienti di 55 anni o più, con ipertensione e almeno un altro fattore di rischio di malattia coronarica. Trattamento Assegnazione casuale a due gruppi: 15.268 pazienti sono trattati con 12,5 – 25 mg/die di clortalidone, 9.067 con 2 – 8 mg/die di doxazosin, per un periodo di follow up programmato di 4-8 anni. Eventi misurati e comparati nei due gruppi Principali: coronaropatia fatale o infarto miocardico non fatale. Secondari: mortalità per ogni causa; ictus; eventi combinati di morte per malattia coronarica, infarto non fatale, ictus, angina, rivascolarizzazione coronarica, scompenso cardiaco congestizio, vasculopatia arteriosa periferica. Risultati Durata media follow up: 3,3 anni. 365 pazienti del gruppo doxazosin e 608 del gruppo clortalidone hanno presentato coronaropatia fatale o infarto miocardico non fatale: nessuna differenza di rischio tra i due gruppi (Rischio Relativo (RR): 1,03; IC 95%: 0,90÷1,17; p = 0,71). La mortalità totale non è risultata differente nei due gruppi (valori a 4 anni: 9,62% doxazosin, 9,08% clortalidone; RR: 1,03; IC 95%: 0,90÷1,15; p = 0,56). Rispetto al gruppo clortalidone, i pazienti trattati con doxazosin hanno evidenziato un rischio più elevato di ictus (RR: 1,19; IC 95%: 1,01÷1,40; p = 0,04) e di eventi combinati: morte per malattia coronarica, infarto non fatale, ictus, angina, rivascolarizzazione coronarica, scompenso cardiaco congestizio, vasculopatia arteriosa periferica (valori a 4 anni: doxazosin 25,45% vs 21,76% clortalidone; RR: 1,25; IC 95%: 1,17÷1,33; p < 0,01). I rischi relativi per angina, rivascolarizzazione coronarica e vasculopatia arteriosa periferica sono stati rispettivamente 1,16 (p < 0,001), 1,15 (p = 0,05) e 1,07 (p = 0,5). Conclusione I dati indicano che nei pazienti trattati con clortalidone o con doxazosin esiste essenzialmente lo stesso rischio di coronaropatia fatale e di infarto miocardico non fatale; ciò che invece appare diverso nel gruppo clortalidone è una riduzione significativa del rischio di eventi combinati – morte per malattia coronarica, infarto non fatale, ictus, angina, rivascolarizzazione coronarica, scompenso cardiaco congestizio, vasculopatia arteriosa periferica – e, in particolare, di scompenso cardiaco congestizio, nei pazienti ipertesi ad alto rischio. concetto che tutte le classi degli antipertensivi forniscano benefici similari.Questo concetto del primato dell’abbassamento della pressione è stato rassicurante per i medici e per le autorità regolatorie. Poiché la pressione del sangue è da considerarsi un valido end point surrogato che riflette una variabile reale di risultato (correlata cioè a infarto, ictus e morte improvvisa), la riduzione della pressione è stata ritenuta una prova sufficiente di efficacia per qualsiasi nuovo farmaco antipertensivo. BIF Mar-Apr 2000 - N. 2 I bloccanti post-sinaptici o gli alfa-litici periferici sono usati da oltre due decenni nel trattamento dell’ipertensione, eppure solo ora è stato evidenziato che un componente di questa classe produce un beneficio inferiore di un diuretico. E’ stato ben documentato che gli alfa-litici esercitano un effetto benefico sulla sindrome metabolica dell’ipertensione, determinando in particolare una riduzione dell’insulino-resistenza (6). E, tra tutti i farmaci antipertensivi, il doxazosin si è dimostrata di fatto quello dotato dell’effetto più intenso sull’in- 13 AGGIORNAMENTI sulino-resistenza. Al contrario, i diuretici aumentano la resistenza all’insulina (7). Pertanto, si è molto sperato che il doxazosin, in aggiunta ai benefici conseguenti a questa riduzione pressoria, potesse migliorare anche i fattori di rischio metabolico correlati alla malattia cardiovascolare ipertensiva, dimostrandosi per questo di particolare utilità, o almeno più efficace dei diuretici nel prevenire la malattia coronarica (8). La decisione del Data Safety Monitoring Board dell’ALLHAT indica evidentemente che non è così. Questo organismo ha invece constatato che la terapia diuretica a basso dosaggio offre complessivamente più benefici cardiovascolari del doxazosin. Lo studio ALLHAT non ha evidenziato alcuna differenza tra i due gruppi relativamente alla pressione diastolica, mentre è emersa una differenza di 3 mm Hg nella pressione sistolica, il che non dovrebbe giustificare l’aumento di scompenso cardiaco, ma potrebbe spiegare perché i soggetti trattati con doxazosin presentavano un 25% in più di eventi cardiovascolari rispetto ai pazienti trattati con clortalidone. La minore differenza nella pressione arteriosa indica che le modificazioni indotte dal farmaco sulla resistenza all’insulina e sulla dislipoproteinemia non sono clinicamente rilevanti, o che un potente fattore di rischio ancora sconosciuto, associato alla terapia con doxazosin, si contrappone all’effetto benefico correlato alla diminuzione pressoria e al miglioramento dell’insulino-resistenza, o che i diuretici offrono alcuni benefici cardiovascolari indipendentemente dal loro effetto antipertensivo. Quali sono le conseguenze della decisione di interrompere il trattamento con doxazosin dell’ALLHAT? Recenti linee guida della US Joint National Committee (9), della Organizzazione Mondiale della Sanità (10), della British Hypertension Society (11), della Canadian Medical Association (12) e del Group de Travail francese (13) riconoscono gli alfa-litici quali farmaci antipertensivi di prima linea, parimenti efficaci quanto gli ACE-inibitori, i calcio antagonisti e i sartani. Ora, tutte e cinque queste linee guida dovranno essere riprese in considerazione per il semplice fatto che il doxazosin, o l’intera classe degli alfa-litici, non potranno essere ancora classificati tra i farmaci antipertensivi di prima scelta. Resta da determinare se il doxazosin possa essere considerato un farmaco da aggiungere ad una terapia antipertensiva standard. Si potrà ancora utilizzare tale farmaco per la remissione dei sintomi in pazienti con nocturia secondaria ad iperplasia prostatica, anche se probabilmente è da evitarsi in pazienti con scompenso cardiaco congestizio manifesto o latente. E, infine, le autorità regolatorie dovranno probabilmente riconsiderare il principio che la sola pressione del sangue sia un end point surrogato accettabile per dimostrare l’efficacia di tutti i farmaci antipertensivi. Maggiore importanza dovrà essere riservata ai dati di mortalità e di morbilità, mentre i benefici cardiovascolari dei nuovi farmaci antipertensivi, o almeno di nuove classi, dovrebbero essere attentamente valutati contemporaneamente ai loro effetti di riduzione della pressione del sangue”. 14 Su JAMA n. 283 del 19 Aprile 2000 è stato pubblicato un articolo dal titolo “Eventi cardiovascolari maggiori in pazienti ipertesi randomizzati a doxazosin vs clortalidone”, che riporta nel dettaglio i risultati dello studio ALLHAT, relativamente al gruppo di pazienti trattati con doxazosin al momento dell’interruzione imposta dall’organismo di controllo. Compare inoltre un Editoriale, a firma di Louis Lasagna, dal titolo significativo “Diuretici vs alfa-litici per il trattamento dell’ipertensione – Lezioni dall’ALLHAT”. Oltre a ribadire alcuni principi presenti nel Commentary di Lancet dell’11 Marzo 2000 (355:863), l’Editoriale di JAMA aggiunge alcuni aspetti di particolare interesse che di seguito sono riportati. – Fin dall’inizio dello sviluppo dei farmaci utilizzati nell’ipertensione, si era in generale ipotizzato che non fossero necessari studi comparativi tra farmaci di varie classi, in quanto gli interventi in grado di ridurre in uguale misura la pressione avrebbero pure determinato un uguale beneficio clinico; tale ipotesi ha fatto sì che la pressione del sangue venisse utilizzata come end point surrogato e di riferimento sufficiente per approvare i farmaci antipertensivi (14). – Via via che sono stati sviluppati nuovi prodotti con meccanismi d’azione e profili tossicologici tra loro molto differenti, questa teoria ha cominciato ad essere riconsiderata, ipotizzando, tra l’altro, che determinati gruppi di pazienti - con diabete, disfunzione ventricolare sinistra, angina pectoris, emicrania, ipertrofia prostatica, disordini del profilo lipidico – avrebbero potuto ottenere particolari vantaggi a seconda dei gruppi di farmaci antipertensivi utilizzati (15). Questa ipotesi ha, in parte, condotto a suggerire quanto appare nel “Sixth Report of the Joint National Committee on Prevention, Detection, Evaluation, and Treatment of High Blood Pressure”, e cioè che la scelta iniziale del farmaco antipertensivo tenesse in considerazione le condizioni di co-morbilità dei pazienti da trattare (16). – Per ricercatori e clinici riveste particolare interesse verificare se i risultati osservati in indagini comparative siano gli stessi che si ottengono nella pratica clinica reale, quando sono trattati pazienti con profili medici e psicosociali più complessi. Questa problematica ha posto le basi per lo sviluppo di studi semplici e di ampie dimensioni, di tipo “naturalistico” (17), in cui è arruolato un numero elevato di pazienti, che riflettono più accuratamente la realtà che si incontra nella pratica clinica routinaria. – Uno di questi studi è l’Antihypertensive and LipidLowering Treatment to Prevent Heart Attack Trial (ALLHAT). Gli eventi misurati e i risultati raggiunti nello studio ALLHAT sono riportati nel Box 1. – Poiché il clortalidone serve nello studio come controllo attivo, il fatto che gli altri bracci di trattamento non siano stati interrotti dopo l’analisi ad interim proBIF Mar-Apr 2000 - N. 2 AGGIORNAMENTI babilmente sta a significare che, a questo punto di follow up, non esistono sostanziali differenze negli effetti tra clortalidone, amlopidina e lisinopril. E’ previsto tuttavia che ALLHAT si concluda nella primavera del 2002 e solo allora, una volta analizzati i rimanenti bracci di trattamento, si dovrebbe raggiungere una maggiore chiarezza. Conclusione La decisione di interrompere il braccio doxazosin di ALLHAT ha importanti implicazioni: a. il presupposto che ottenere l’abbassamento della pressione arteriosa sia più importante del farmaco con cui si raggiunge tale obiettivo è sostan- zialmente messo in discussione dai risultati dello studio, che probabilmente avranno profonde ripercussioni sullo sviluppo futuro di questi farmaci; b. gli effetti benefici del doxazosin, quale quello sulla riduzione della colesterolemia, non sembrano conferirgli, in questo studio, vantaggi sostanziali; c. le implicazioni maggiori dei risultati di ALLHAT riguardano le raccomandazioni per il trattamento dell’ipertensione, nel senso che non è più possibile indicare il doxazosin quale farmaco di prima linea. BOX 2 Il mercato degli antipertensivi in Italia nel biennio 1998-1999 (dati di vendita) Nella tabella sono riportati - relativamente al biennio 1998-'99 - i dati di vendita delle categorie di farmaci impiegati principalmente come antipertensivi; per ogni anno è stato calcolato il numero di confezioni vendute, la spesa (con la relativa incidenza) e l'incremento di spesa registrato nel '99 rispetto al '98. Il mercato dei farmaci impiegati principalmente come antipertensivi è stato di 3.508 miliardi nel 1998 e di 4.016 miliardi nel 1999 (+14,5%) e rappresenta circa il 21% della spesa totale dei farmaci di fascia A e B. Dei farmaci presi in esame, gli ACE-inibitori - comprese le associazioni con diuretici - e i calcio antagonisti diidropiridinici sono le categorie più prescritte rappresentando, nel 1999, oltre il 75% della spesa e delle confezioni vendute. Nel biennio considerato, i sartani - comprese le associazioni con diuretici - e i beta-bloccanti sono i farmaci che presentano il maggior incremento di spesa. Nel caso dei sartani si tratta di un trend evidenziato già nel periodo '97-'98, e su cui ha ulteriormente inciso l'eliminazione della nota 73 nel corso del '99, mentre l'incremento dei beta-bloccanti è determianato, più che da un aumento generalizzato dei consumi, dall'ammissione alla rimborsabilità all'inizio del 1999 di un nuovo principio attivo (nebivololo). Gli alfa-litici si collocano al penultimo posto sia per numero di confezioni vendute che di spesa (circa 5%) mentre i diuretici non raggiungono il 2% del mercato considerato. 1998 Pezzi (x000) Spesa (x000.000) 1999 Incidenza % di spesa Pezzi (x000) Spesa (x000.000) Incidenza Increm. % % di spesa spesa 99/98 ACE-inibitori, comprese le associazioni con diuretici 83.400 1.825.054 52,0 89.839 1.988.224 49,5 +8,9 Calcio antagonisti diidropiridinici 37.756 962.504 27,4 38.593 1.057.366 26,3 +9,9 6.832 309.622 8,8 9.410 448.279 11,2 +44,8 12.068 170.053 4,8 14.106 233.953 5,8 +37,6 Alfa-litici 5.111 172.846 4,9 6.122 216.121 5,4 +25,0 Diuretici 9.811 66.726 1,9 10.305 70.662 1,8 +5,9 156.976 3.508.802 100,0 170.374 4.016.603 100,0 +14,5 Sartani, comprese le associazioni con diuretici Beta-bloccanti Totale BIF Mar-Apr 2000 - N. 2 15 AGGIORNAMENTI DA RICORDARE â ALLHAT è uno studio comparativo di grandi dimensioni, progettato principalmente per confrontare quattro farmaci utilizzati nella terapia dell’ipertensione (clortalidone, atenololo, doxazosin, lisinopril) â Rispetto ai soggetti trattati con clortalidone, i pazienti che assumevano doxazosin hanno presentato un 25% in più di eventi cardiovascolari (Rischio Relativo 1,25; IC 95%: 1,17 ÷ 1,33) e una probabilità doppia di essere ospedalizzati per scompenso cardiaco congestizio; diuretico ed alfa-litico si sono dimostrati similmente efficaci nella prevenzione di attacchi cardiaci e nel ridurre il rischio di morte per ogni causa. â In base a questi dati, l’organo di controllo della sicurezza di ALLHAT ha deciso di interrompere lo studio relativamente al gruppo di pazienti trattati con doxazosin. â Le evidenze emerse da ALLHAT hanno indotto il National Heart, Lung, and Blood Institute a suggerire che i pazienti attualmente in trattamento con un alfa-litico consultino i loro medici per un eventuale passaggio ad altro farmaco antipertensivo e che, se un paziente deve iniziare un trattamento, un alfa-litico non rappresenta la migliore scelta terapeutica. Bibliografia â Il presupposto che ottenere l’abbassamento della pressione arteriosa sia più importante del farmaco con cui si raggiunge tale obiettivo è sostanzialmente messo in discussione dai risultati dello studio ALLHAT. 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 16 Davis BR et al. Rationale and design for the Antihypertensive and Lipid Lowering Treatment to Prevent Heart Attack Trial (ALLHAT). ALLHAT Research Group. Am J Hypertens 1996;9:342-60. Veterans Administration Cooperative Study Group on Antihypertensive Agents. Effects of treatment on morbidity in hypertension. II. Results in patients with diastolic blood pressure averaging 90 through 114 mm Hg. JAMA 1970;213:1143-52. Hansson L et al. Effect of angiotensin-converting-enzyme inhibition compared with conventional therapy on cardiovascular morbidity and mortality in hypertension: the Captopril Prevention Project (CAPPP) randomised trial. Lancet 1999;353:611-6. Hansson L et al. Randomised trial of old and new antihypertensive drugs in elderly patients: cardiovascular mortality and morbidity. The Swedish Trial in Old Patients with Hypertension-2 study. Lancet 1999;354:1751-6. UK Prospective Diabetes Group. Tight blood pressure control and risk of macrovascular and miscrovascular complications in type 2 diabetes: UKPDS 38. BMJ 1998;291:97-104. Grimm RH Jr et al. Long-term effects on plasma lipids of diet and drugs to treat hypertension. Treatment of Mild Hypertension Study (TOMHS) Research Group. JAMA 1996;275:1549-56. White WB et al. Management of patients with hypertension and diabetes mellitus: advances in the evidence for intensive treatment. Am J Med 2000;108:238-45. Kaplan NM. Alpha1-blockers. In: Messerli FH, ed. The ABCs of antihypertensive therapy, 2nd edn. New York: Author Publishing House, 2000:9-110. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. Joint National Committee on Prevention, Detection, Evaluation, and Treatment of High Blood Pressure. The Sixth Report of the Joint National Committee on Prevention, Detection, Evaluation, and Treatment of High Blood Pressure. Arch Intern Med 1997;157:2413-46. 1999 World Health Organization-International Society of Hypertension Guidelines for the Management of Hypertension. Guidelines Subcommittee. J Hypertens 1999;17:151-83. Ramsay LE et al. Guidelines for management of hypertension: Report of the third working party of the British Hypertension Society. J Hum Hypertens 1999;13:569-92. Feldman RD et al. For the Task Force for the Development of the 1999 Canadian Recommendations for the Management of Hypertension. Canadian recommendations for the management of hypertension. CMAJ 1999; 161(suppl 12): S1-17. Plouin P-F et al. Diagnostic et traitment de l’hypertension arterielle essentielle de l’adulte de 20 a 80 ans. ANAES/Service des References Medicales, September 1997:241-77. Tempe R. Are surrogate markers adequate to assess cardiovascular drugs? JAMA1999;282:790-5. 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Anche questo articolo sulla sopravvivenza dei pazienti malati di cancro ai quali è stata somministrata la Multiterapia Di Bella (MDB), comparso su Cancer del novembre 99, contribuisce ulteriormente a fare chiarezza sul reale valore scientifico della MDB. Lo riportiamo per intero, accompagnato da un editoriale di commento di Paul Calabresi (v. pag. 24-25), autorevole oncologo americano e presidente della Commissione Internazionale che ha curato la supervisione della sperimentazione clinica della MDB, organizzata dall’Istituto Superiore di Sanità. Risultati di un’indagine retrospettiva sulla sopravvivenza di pazienti malati di cancro trattati con la Multiterapia Di Bella (Results from a historical survey of the survival of cancer patients given Di Bella Multitherapy. Cancer 1999;86:2143-9) Eva Buiatti, Centro di Documentazione per la Salute, Servizio Sanitario Regionale, Regione Emilia Romagna Stefania Arniani, Centro di Documentazione per la Salute, Servizio Sanitario Regionale, Regione Emilia Romagna Arduino Verdecchia, Istituto Superiore di Sanità, Laboratorio d’Epidemiologia e Biostatistica, Roma Lorenzo Tomatis, Istituto per l’Infanzia Burlo Garofalo, Direzione Scientifica, Trieste Registri Tumori italiani: Registro Tumori del Piemonte, Roberto Zanetti; del Veneto, Lorenzo Simonato; di Trieste, Giorgio Stanta; della Liguria, Marina Vercelli; della Lombardia, Paolo Crosignani; di Parma, Vincenzo Delisi; di Modena, Lucia Mangone; di Ferrara, Stefano Ferretti; della Romagna, Fabio Falcini; della Toscana, Alessandro Barchielli; di Macerata, Franco Pannelli; di Latina, Ettore Conti; di Ragusa, Lorenzo Gafà; del Registro Nazionale Tumori delle Ossa dell’Istituto Rizzoli di Bologna, Piero Picci; del FONOP, Giovanni Paolucci. Col patrocinio dell’Istituto Superiore di Sanità di Roma, nell’ambito del sostegno finanziario concesso dal Ministero della Sanità per gli studi concernenti la valutazione della Multiterapia Di Bella. Gli autori ringraziano il prof. Luigi Di Bella e il suo staff per aver consentito l’accesso libero e incondizionato agli archivi dei suoi pazienti. Abstract Introduzione. I mass media italiani hanno dato ampio risalto al successo ottenuto da una terapia alternativa impiegata per il trattamento di un certo numero di pazienti malati di cancro sviluppata dal prof. Luigi Di Bella, un medico modenese. Nel 1998 il Ministero della Sanità, spinto da considerevoli pressioni pubbliche, ha deciso di promuovere alcuni studi per valutarne l’efficacia. Metodi. E’ stato eseguito un follow up nei pazienti oncologici trattati nel periodo 1971-1997 dal prof. Di Bella e registrati nel suo archivio. I casi identificati sono stati ricercati presso i Registri Tumori della zona di residenza al fine di accertarne la diagnosi, la data di incidenza e lo stato in vita. La sopravvivenza di questi casi è stata confrontata con quella di analoghi casi di pazienti oncologici estratti dalla banca dati dello studio nazionale ITACARE ed appaiati individualmente. Sono state quindi calcolate le curve di BIF Mar-Apr 2000 - N. 2 sopravvivenza (metodo Kaplan-Meier) per tutti i pazienti oncologici adulti combinati e per le principali sedi, nonché per i bambini affetti da leucemia. L’omogeneità delle curve di sopravvivenza nei due gruppi è stata valutata utilizzando il log rank test. Risultati. Dopo diverse esclusioni, sono stati inclusi nello studio 314 pazienti. Il follow up è stato completato per il 79% di essi, soltanto quattro pazienti erano stati curati esclusivamente con la Multiterapia Di Bella (MDB) e, di questi quattro, solo uno era ancora vivo due anni dopo la diagnosi. La sopravvivenza a cinque anni per i bambini affetti da leucemia e per i pazienti oncologici adulti era in entrambi i casi del 29,4%. La sopravvivenza a cinque anni era significativamente inferiore rispetto ai soggetti di controllo tratti dalla bancadati ITACARE per i pazienti affetti da leucemia infantile, carcinoma della mammella femminile, leucemia dell’adulto e per tutti i tumori combinati. Ventisette pazienti ai quali era stata somministrata la MDB sono sopravvissuti dieci o più anni dopo la diagnosi. Solo per tre di questi soggetti si poteva parlare di una lunga sopravvivenza inaspettata. Conclusioni. I risultati di questa serie non offrono alcuna evidenza che la MDB influisca positivamente sulla sopravvivenza dei pazienti oncologici. Introduzione In molti paesi, sono state avanzate diverse proposte di terapie antitumorali miracolose, non basate sulla evidenza scientifica. Alcune di esse hanno incontrato l’approvazione entusiasta dell’opinione pubblica e della stampa locali. Recentemente, i mass media italiani hanno dato ampio risalto al successo ottenuto da una terapia alternativa impiegata per il trattamento di un certo numero di pazienti malati di cancro sviluppata da un medico modenese, il prof. Luigi Di Bella. La terapia del prof. Di Bella (conosciuta come Multiterapia Di Bella, MDB) è un cocktail di somatostatina (o il suo 17 DALLA LETTERATURA equivalente sintetico octeotride), melatonina, una sospensione di β-carotene, α-tocoferolo e acido retinoico, bromocriptina, ciclofosfamide in piccole dosi, vitamina D e acido ascorbico. La stampa quotidiana ha riferito che il prof. Di Bella avrebbe curato con successo circa 10.000 pazienti oncologici su base ambulatoriale privata. In Italia molti medici, per lo più medici generici, si sono considerati “fautori della MDB” e hanno somministrato la terapia a pazienti oncologici. Tuttavia, in seguito alla richiesta del Ministero della Sanità di produrre documentazione sui pazienti, vennero consegnati soltanto 39 dossier clinici, nessuno dei quali conteneva convincenti evidenze di successo. Inoltre, la stampa scientifica internazionale ha riportato diverse volte informazioni sul “caso Di Bella”. Nel gennaio 1998, il Ministero della Sanità, spinto dalla considerevole pressione pubblica, ha deciso di iniziare una serie di sperimentazioni cliniche di fase II e di intraprendere uno studio storico sulla sopravvivenza dei pazienti trattati dal prof. Di Bella. I risultati dello studio storico vengono di seguito presentati. Materiali e metodi E’ stato possibile realizzare questo studio grazie alla collaborazione del prof. Di Bella che ha consentito l’accesso all’archivio contenente la documentazione clinica dei pazienti trattati a Modena. Nel 1991-1992 alcune succinte informazioni individuali sui pazienti del prof. Di Bella trattati nel periodo precedente sono state informatizzate dai suoi collaboratori. Da allora in poi, i nuovi casi sono stati sistematicamente aggiunti alla banca dati fino al mese di giugno del 1997. Questa banca dati corrisponde ad un archivio cartaceo in quasi il 100% dei casi. Le informazioni computerizzate si limitano al numero di identificazione, nome, cognome, data di nascita, residenza e tipo di malattia, con un livello di accuratezza variabile. Tuttavia, attraverso il numero d’identificazione è possibile individuare per ogni soggetto il dossier cartaceo contenente ulteriori informazioni personali e cliniche. La qualità di questa documentazione varia, passando da dossier completi che riportano le procedure diagnostiche e terapeutiche seguite dal soggetto a frammentari appunti scritti a mano. I dati computerizzati sono stati utilizzati per individuare i casi oncologici. Questi ultimi sono stati quindi ricercati negli archivi dei Registri Tumori attivi in Italia, al fine di verificare le seguenti informazioni: data d’incidenza, diagnosi (sito tumorale e tipo istologico) e stato in vita. Lo studio ha incluso tutti i pazienti che presentavano una diagnosi di neoplasia residenti in un’area nella quale era attivo un Registro Tumori o era comunque possibile che un Registro Tumori eseguisse il follow up. Inoltre, per tutti i casi di leucemia infantile e tumore primitivo delle ossa, le informazioni sono state tratte, indipendentemente dal luogo di residenza, dal registro nazionale dei tumori ossei (Istituto Rizzoli di Bologna) e dall’archivio del FONOP (Gruppo Operativo Nazionale per i tumori pediatrici). I dossier inclusi nello studio sono stati inizialmente 3.076, riferiti a pazienti che 18 avevano avuto contatto con il prof. Di Bella dall’inizio del 1971 al giugno 1997. I pazienti che presentavano una diagnosi diversa da neoplasia maligna o che non presentavano diagnosi sono stati esclusi (n = 565 e n = 988 rispettivamente, totale = 1.553, 50,5%), lasciando 1.523 casi di possibili neoplasie. Inoltre sono stati esclusi tutti coloro che risiedevano nelle aree non coperte dai Registri Tumori italiani (n = 918), tranne che per i casi di leucemia infantile o tumore primitivo dell’osso. Questa esclusione, basata sul luogo di residenza, non è ritenuta rilevante rispetto ai risultati dello studio. Gli archivi cartacei individuali dei rimanenti 605 pazienti sono stati esaminati da uno degli autori (dott.ssa E. Buiatti). In 291 casi (48,1%) gli archivi non contenevano alcuna documentazione sulla MDB e pertanto anche questi sono stati esclusi dallo studio. Il follow up per i restanti 314 pazienti è stato completato il 30 marzo 1998. Per ogni paziente sono state ricercate le seguenti informazioni: • data d’incidenza; • diagnosi, tipo istologico, diffusione della malattia al momento della diagnosi (in un sottoinsieme); • terapie diverse dalla MDB (classificate come terapie chirurgiche, chirurgia palliativa, medica, radiologica o altro); • data del primo incontro con il prof. Di Bella; • farmaci prescritti nell’ambito della MDB; • data dell’ultimo incontro con il prof. Di Bella; • stato in vita alla fine del follow up. Tutte queste informazioni sono state ricercate nei dossier cartacei individuali degli archivi Di Bella e nei corrispondenti archivi dei Registri Tumori. Le informazioni relative allo stato in vita, se mancanti, sono state verificate anche presso il Comune di ultima residenza. Quando le informazioni erano disponibili da più di una fonte e presentavano discordanze, si è fatto riferimento a quelle fornite dai Registri Tumori. Il follow up è stato completato per 248 pazienti (79%). La situazione della documentazione esaminata nello studio è illustrata nella Figura 1. Curve di sopravvivenza di KaplanMeier sono state calcolate per tutti i tumori combinati negli adulti e per i casi di leucemia infantile. Nella banca dati ITACARE (che riunisce la casistica dei Registri Tumori italiani) sono raccolti in forma anonima tutti i casi di tumore registrati in Italia dall’inizio dell’attività dei Registri Tumori al 1992. Per ognuno dei pazienti MDB si è provveduto all’abbinamento con un massimo di quattro casi selezionati casualmente dalla banca dati ITACARE, con l’obiettivo di confrontare il tasso di sopravvivenza dei casi MDB con quello dei casi dei Registri Tumori italiani. I criteri di abbinamento sono definiti come segue: • occorrenza del tumore nello stesso sito o sub-sito (classificazione internazionale delle malattie, a quattro cifre, IX versione - ICDIX); • stesso sesso; • età più o meno cinque anni (classi d’età di dieci anni per i siti tumorali meno frequenti) a cui apparteneva il paziente MDB; BIF Mar-Apr 2000 - N. 2 DALLA LETTERATURA • periodo della diagnosi entro un anno e mezzo (tre anni per i siti tumorali meno frequenti); • vivente alla data in cui i pazienti MDB iniziarono la terapia. Sono stati esclusi dall’abbinamento i pazienti per i quali mancavano informazioni essenziali (8%) nonché coloro che presentavano una condizione benigna, un comportamento tumorale incerto, o una sede tumorale non specificata (8%). Inoltre, l’abbinamento è stato impossibile per il 13% dei pazienti, essenzialmente affetti da tumori non comuni. Il numero finale di pazienti inclusi in questa analisi è stato quindi 176. 152 pazienti sono stati appaiati con 4 casi, e i rimanenti 24 pazienti sono stati appaiati con 1-3 casi (in media 2,1 casi oncologici per ogni paziente). I risultati presentati qui si riferiscono a tutto il gruppo di 176 pazienti MDB completamente o parzialmente appaiati. Le stime di sopravvivenza sono state eseguite secondo il metodo Kaplan–Meier applicato ai dati di sopravvivenza rispettivamente del gruppo di pazienti MDB e del gruppo di controllo costituito dai casi selezionati dalla banca dati ITACARE, per i siti tumorali analizzati e per la loro combinazione. L’omogeneità delle curve di sopravvivenza dei due gruppi è stata testata utilizzando il log rank test. Risultati Descrizione dei pazienti e della MDB Soltanto 4 pazienti risultavano essere stati trattati con la MDB come prima ed unica scelta terapeutica. I pazienti erano i seguenti: • un paziente con leucemia mieloide cronica diagnosticata nel 1978 all’età di 31 anni, che è deceduto nell’agosto 1981; • un paziente con adenocarcinoma al fegato diagnosticato nel novembre 1990 all’età di 65 anni, che è deceduto nel maggio 1991; • un paziente con adenocarcinoma colorettale (della valvola ileocecale, con diagnosi di probabile metastasi epatica) diagnosticato nel novembre 1994 all’età di 47 anni, che è deceduto nel novembre 1995; • un paziente con carcinoma polmonare diagnosticato clinicamente nel marzo 1996 all’età di 75 anni, vivo alla fine del follow up (marzo 1998). Tutti gli altri pazienti risultavano essersi sottoposti a terapie antineoplastiche (soprattutto chirurgia e chemioterapia) prima di iniziare la MDB, e alcuni di loro non hanno interrotto tali terapie durante la MDB. I farmaci effettivamente prescritti nell’ambito del metodo MDB si sono ampiamente modificati nel corso degli anni. La somatostatina, considerata essenziale dal prof. Di Bella, è stata prescritta in maniera Figura 1. Status della documentazione esaminata nello studio Pazienti potenziali secondo l’affermazione di L. Di Bella: 10.000 Casi nell’archivio (gen. '71 -giu. '97): 3.076 Casi di neoplasia registrati: 1.523 Casi esistenti nelle aree del registro, tutte le leucemie infantili e i casi di neoplasie alle ossa: 605 Pazienti valutabili: 314 Esclusi diagnosi diversa dal cancro: 565 senza diagnosi: 988 Esclusi forme di cancro diverse dalla leucemia infantile e neoplasie alle ossa o non appartenenti alle aree dei Registri Tumori: 918 Esclusi per assenza di documentazione sulla MDB:291 Pazienti perduti al follow up: 66 Pazienti in follow up: 248 BIF Mar-Apr 2000 - N. 2 19 DALLA LETTERATURA sistematica soltanto a partire dal 1989 (nessun caso trattato prima del 1979, poi il suo uso è aumentato progressivamente fino a raggiungere l’80% dei pazienti). Soltanto la melatonina è stata usata per il 90% dei pazienti durante l’intero periodo, mentre la sospensione di provitamine e derivati vitaminici è stata utilizzata per la maggioranza dei pazienti solo nel corso degli ultimi dieci anni (il 2% dei pazienti nel 1971-1979, il 70% dei pazienti nel 1989-1997). La ciclofosfamide, anch’essa dichiarata essenziale, è stata usata per il trattamento di circa il 20% dei pazienti nei primi anni (1971-1979) e del 50% dei pazienti nel restante periodo. La bromocriptina, l’acido ascorbico e la vitamina D non sono mai stati usati in più del 50% dei casi. Il numero di farmaci prescritti ad ogni paziente variava da 2 a 14. Tabella 1. Pazienti trattati con la MDB suddivisi per età e sesso Età (anni) Sesso 0-14 15-64 65 ed oltre Mancanti Totale Maschi 22 76 28 5 131 Femmine 21 74 20 2 117 Totale 43 150 48 7 248 Nella Tabella 1 viene mostrata la distribuzione dei pazienti per età e sesso. I bambini sono 43 (il 17,3% dei casi); quasi tutti i bambini (84%) iniziarono la MDB nel primo periodo (1971-1984). Nella Tabella 2 la casistica è suddivisa per localizzazione del tumore per le sedi rappresentate da 10 o più casi, e secondo il periodo in cui fu iniziata la MDB (1971-1984, 1985-1997). Tra i bambini, 39 (91%) presentavano una leucemia acuta. Gli altri tumori infantili erano: 1 morbo di Hodgkin (HD), 2 linfomi non-Hodgkin (NHL), 1 tumore al cervello. Tra gli adulti, il tumore più frequente era la leucemia cronica (28), seguita dal carcinoma al polmone (19), carcinoma della mammella femminile (15), e leucemia acuta (15). 26 pazienti su 28 con leucemia cronica e 12 su 15 malati di leucemia acuta hanno iniziato il trattamento nel primo periodo, quando la somatostatina non veniva ancora usata. La categoria “altre localizzazioni” (n = 108) comprendeva: tumori gastrici (n = 9), neoplasie cerebrali (n = 8), neoplasie maligne a sede non specificata (n = 10), NHL (n = 7), HD (n = 5), e neoplasie di malignità incerta (n = 16). Il periodo di follow up è variato da 9 mesi a 27 anni. Nel complesso, 52 pazienti su 248 erano vivi nel marzo 1998. Tabella 2. Pazienti trattati con la MDB suddivisi in base alla localizzazione del tumore ed al periodo di inizio del trattamento con la MDB Localizzazione del tumore Colon-retto Polmone Mammella Mieloma multiplo Leucemia acuta negli adulti Leucemia cronica Adulti, altre localizzazioni Leucemia infantile Bambini, altre localizzazioni Totale 1971-1984 1 8 2 3 12 26 31 34 2 119 La Tabella 3 mostra la probabilità di sopravvivenza dopo 1, 3, 5 e 10 anni dalla diagnosi per la leucemia infantile (39 pazienti) e per tutti i tumori dell’adulto. I casi in adulti che presentavano malignità incerta o con informazioni essenziali mancanti sono stati esclusi dall’analisi; conseguentemente, i soggetti inclusi sono stati 181. 20 Periodo della MDB 1985-1997 9 9 13 7 3 0 65 5 2 113 Mancanti 0 2 0 0 0 2 12 0 0 16 Totale 10 19 15 10 15 28 108 39 4 248 Per i bambini, la probabilità di sopravvivenza era del 29,4% dopo 5 anni e del 19,6% dopo 10 anni. Soltanto un caso di leucemia infantile è stato trattato con somatostatina. Per gli adulti, a 5 anni dalla diagnosi, la probabilità di sopravvivenza era del 29,4% (16% dopo 10 anni). Suddividendo i casi nei due periodi di trattaBIF Mar-Apr 2000 - N. 2 DALLA LETTERATURA mento MDB (1971-1984 e 1985-1997) le curve di sopravvivenza erano simili. Come notato in precedenza, soltanto nel secondo periodo la somatostatina è stata utilizzata sistematicamente nella MDB. 27 pazienti sono sopravvissuti 10 o più anni dalla data di insorgenza della neoplasia, e 20 dall’inizio della MDB. I 20 casi erano i seguenti: • 7 casi di leucemia acuta infantile, diagnosticati nel 1971, 1973 (4 casi), 1974, e 1976. La MDB fu iniziata in media ad un anno di distanza dall’inizio della chemioterapia. In molti casi le due terapie sono state utilizzate simultaneamente o alternativamente. La MDB ha avuto una durata da 2 a 12 anni; • 2 casi di leucemia acuta dell’adulto (età 16 e 65 anni). Entrambi erano stati sottoposti a chemioterapia, ed uno anche a radioterapia. Per uno di loro, le cattive condizioni di salute determinarono la scelta di interrompere la chemioterapia a favore della MDB; • 4 pazienti con leucemia cronica, 3 dei quali morirono rispettivamente 20, 24, e 25 anni dopo la diagnosi. Per il paziente ancora vivo (57 anni di età nel 1997), la cura MDB si è limitata alla melatonina. Tutti questi soggetti erano stati anche trattati con chemioterapia; • 4 casi di tumori maligni con scarsa documentazione, non confermati dal Registro Tumori; • 3 pazienti sono morti dopo più di 10 anni (1 con un tumore allo stomaco, 1 con adenocarcinoma vulvare, 1 con adenocarcinoma del colon sigmoidale). Tutti furono curati con chirurgia e chemioterapia, con successo per la paziente con adenocarcinoma vulvare. Degli altri 7 pazienti che sono sopravvissuti 10 anni o più dalla prima diagnosi, 4 sono deceduti meno di 3 anni dopo l’inizio della MDB, e due pazienti affetti da leucemia linfatica cronica sono deceduti a causa della loro malattia 8 anni dopo aver iniziato la MDB. Tre (1 con linfoma di Hodgkin (LH), 1 con carcinoma ovarico trattato chirurgicamente, 1 con carcinoma endometriale) sono ancora vivi. Questi ultimi hanno iniziato la MDB rispettivamente nel 1989, 1996 e 1991. Tabella 3. Probabilità di sopravvivenza per i pazienti MDB con leucemia infantile e tumori dell’adulto (tutte le localizzazioni) Leucemia infantile Tumori dell’adulto N. dei casi 39 181 Probabilità di sopravvivenza (%) Anni trascorsi dalla diagnosi 1 3 5 85,3 47,0 29,4 71,7 43,9 29,4 Confronto tra la sopravvivenza dei pazienti MDB e la sopravvivenza dei malati di tumore ITACARE L’appaiamento tra i pazienti MDB e i casi ITACARE è stato efficace per tutte le variabili di appaiamento. La data di insorgenza della neoplasia era leggermente più recente nei casi di carcinoma colorettale della serie MDB (1990, deviazione standard [S.D.] 4,8 contro 1986, S.D. 1,9) e leggermente precedente per i pazienti con leucemia infantile della serie MDB (1975, S.D. 6,0 contro 1979, S.D. 3,3), in confronto con la serie estratta da ITACARE. La Tabella 4 presenta le stime di sopravvivenza per i pazienti della serie MDB e per il gruppo di casi selezionati dalla banca dati ITACARE (i pazienti della banca dati ITACARE utilizzati per il confronto erano viventi all’inizio della terapia MDB), per alcune sedi tumorali e per l’insieme di tutti i tumori. I pazienti MDB hanno rivelato una minore probabilità di sopravvivenza sia a breve sia a lungo termine per tutti i tumori presi in considerazione. Le differenze erano statisticamente significative per alcuni tumori considerati curabili, quali i tumori della mammella, la leucemia dell’adulto, la leucemia infantile, e per l’insieme di tutti i tumori. Invece, le differenze sono state minori e non significatiBIF Mar-Apr 2000 - N. 2 10 19,6 16,0 ve per il carcinoma polmonare e colorettale. I tassi di sopravvivenza riscontrati erano drammaticamente bassi per i pazienti affetti da leucemia infantile sottoposti alla MDB se paragonati al gruppo selezionato da ITACARE. La Figura 2 presenta la sopravvivenza cumulativa per i pazienti MDB (tutti i tumori) e per il gruppo selezionato da ITACARE. Nel lungo termine, il gruppo selezionato da ITACARE ha mostrato una probabilità di sopravvivenza due volte maggiore rispetto ai pazienti MDB. In Figura 3 viene mostrata la stessa analisi per la leucemia infantile. In Italia la maggioranza dei casi di leucemia infantile vengono curati in ospedali specializzati con protocolli standardizzati. Nel periodo in esame, la prognosi per i pazienti con questa neoplasia iniziava ad essere buona. Per i pazienti MDB, la sopravvivenza a lungo termine dei bambini è simile a quella mostrata per i pazienti adulti con leucemia acuta. Comunque, la sopravvivenza a lungo termine è assai migliore nel gruppo di controllo ITACARE, e simile a ciò che viene generalmente mostrato nelle stime su base di popolazione. 21 DALLA LETTERATURA Tabella 4. Confronto della probabilità di sopravvivenza (%) tra i malati di tumore trattati con la MDB e quelli estratti dalla banca dati ITACARE (pazienti ITACARE viventi alla data di inizio della MDB nel caso appaiato) MDB Sede del tumore Mammella Polmone Colon-retto Leucemia Leucemia infantile Tutti i tumori N. casi 14 14 11 65 32 176 1 anno 55 24 68 60 42 56 ITACARE 5 anni 23* 0 34 26 21 21 1 anno 97 39 73 80 87 78 5 anni 85 14 64 51 70 49 Log rank x2 37,5 1,1 1,8 14,7 39,4 45,9 Valore P 0,0001 n.s. n.s. 0,0001 0,0001 0,001 * Due anni di sopravvivenza: osservazioni effettuate dopo 2 anni Figura 3. Confronto fra la probabilità di sopravvivenza sti- mata per i pazienti MDB e per il gruppo di controllo dall’archivio ITACARE. Neoplasie dell’adulto (> 14 anni), pari a 144 pazienti MDB mata per i pazienti MDB e per il gruppo di controllo dall’archivio ITACARE. Leucemie in età pediatrica (0-14 anni), pari a 32 pazienti MDB 1 1 0,8 0,8 0,6 ITACARE 0,4 MDB 0,2 0 0 48 96 144 192 240 288 Tempo trascorso dall'inizio della MDB (in mesi) Discussione Il numero di pazienti oncologici valutati in questo studio è molto inferiore (1.523) rispetto al numero di pazienti riferito dal prof. Di Bella (10.000). Inoltre, la documentazione inerente l’avvenuto trattamento con la MDB era inesistente per approssimativamente il 48% di un sottocampione non selezionato pari al 50% di questi pazienti. Molti pazienti oncologici hanno contattato il prof. Di Bella dopo il mese di giugno 1997, a seguito dell’attenzione accordatagli dai media. Tuttavia per questi pazienti non esiste documentazione accessibile e il follow up è troppo breve per consentire una valutazione della sopravvivenza. Il protocollo MDB proposto dal prof. Di Bella non corrispondeva alle sue prescrizioni del periodo 1971-1997. In tutto questo periodo, soltanto la melatonina era stata impiegata sistematicamente. Un numero molto limitato di pazienti risulta essersi sottoposto alla MDB come prima scelta terapeutica 22 Probabilità di sopravvivenza Probabilità di sopravvivenza Figura 2. Confronto fra la probabilità di sopravvivenza sti- ITACARE 0,6 0,4 MDB 0,2 0 0 48 96 144 192 240 288 Tempo trascorso dall'inizio della MDB (in mesi) (4 su 314). Di essi, 2 sono deceduti dopo un anno o meno, uno affetto da leucemia mieloide cronica è deceduto dopo quattro anni e per quanto riguarda l’ultimo paziente, che era ancora vivo dopo due anni di follow up, non è disponibile la conferma istologica della neoplasia. In queste serie, la probabilità di sopravvivenza per i casi di leucemia infantile era molto bassa. Inoltre, solo 7 pazienti dei 39 con 10 anni o più di follow up (18%) possono considerarsi guariti. Confrontando la probabilità di sopravvivenza di un sottogruppo di questi casi con quella di un campione di casi di leucemia infantile appaiati ai primi ed estratti casualmente dai Registri Tumori italiani, la differenza di sopravvivenza a cinque anni tra le due serie era altamente significativa. Questi risultati negativi potrebbero essere dovuti alla selezione di casi meno curabili (più avanzati) nella serie dei pazienti del prof. Di Bella rispetto alla serie dei Registri, o ad una adesione minore da parte di questi pazienBIF Mar-Apr 2000 - N. 2 DALLA LETTERATURA BIF Mar-Apr 2000 - N. 2 za di sporadiche neoplasie a progressione lenta. Nessuno di questi pazienti è stato curato con la somatostatina. In conclusione, i risultati di questo studio non offrono nessuna prova dell’efficacia della terapia antitumorale proposta dal prof. Di Bella in termini di sopravvivenza di questa serie storica di pazienti oncologici. Tali risultati dovrebbero essere considerati conclusivi per quanto riguarda i casi esaminati. Questi ultimi possono essere considerati un campione rappresentativo dell’intera esperienza terapeutica del prof. Di Bella in campo oncologico. Gli studi di sopravvivenza a carattere retrospettivo tendono ad essere distorti e a produrre risultati migliori rispetto alle sperimentazioni cliniche a causa della selezione di casi con un follow up più favorevole. Apparentemente, ciò non è avvenuto nelle serie MDB. La sopravvivenza dei bambini affetti da leucemia era particolarmente bassa. Attualmente, è impossibile determinare se ciò sia dovuto ad una selezione di casi particolarmente gravi o ad una deviazione di alcuni soggetti dalla terapia efficace. Bibliografia ti alla chemioterapia e ad altre terapie, o ad una combinazione di questi due fattori. La sopravvivenza era anche molto bassa per i pazienti oncologici adulti. Una sopravvivenza a cinque anni peggiore per la serie Di Bella rispetto al gruppo di confronto è stata riscontrata per quei pazienti oncologici adulti per i quali era possibile la comparazione. La differenza era statisticamente significativa per alcune sedi tumorali per le quali si ritiene che la terapia tradizionale sia efficace nel prolungamento della sopravvivenza. Il confronto è basato su un campione di casi estratti dagli archivi dei Registri Tumori italiani. La sopravvivenza in queste serie è rappresentativa di quella del periodo considerato, poiché si riferisce a tutti i tipi di tumore, a tutti gli stadi e a diverse aree geografiche con caratteristiche terapeutiche variabili. Tuttavia, il valore del confronto è limitato a causa della mancanza di informazioni sullo stadio delle neoplasie per la maggior parte dei casi, il che impedisce una valutazione della sopravvivenza distinta per stadi. La maggior parte dei pazienti con carcinoma al polmone, allo stomaco, colorettale e mammario si è rivolta alla MDB dopo un insuccesso più o meno documentato della chirurgia e della chemioterapia, cioè ad uno stadio molto avanzato della malattia. E’ possibile che i pazienti oncologici che sono guariti dopo il trattamento tradizionale non si siano mai rivolti alla MDB, tuttavia anche i soggetti con una sopravvivenza breve o molto breve possono esserne stati tendenzialmente esclusi. Vi era infatti una media di un anno tra la data d’incidenza della malattia e l’inizio della MDB. Al fine di evitare, seppur parzialmente, queste distorsioni, ogni paziente è stato abbinato a soggetti vivi alla data d’inizio della MDB. La distorsione opposta (esclusione dei pazienti guariti) non poteva essere evitata. Questa limitazione potrebbe spiegare almeno in parte i risultati peggiori a cui sono pervenuti i pazienti MDB rispetto a quelli che non si erano rivolti alla MDB. Tuttavia, i pazienti a breve sopravvivenza non sono stati totalmente esclusi dalla comparazione, come si può notare sulla base della probabilità di sopravvivenza a breve termine dei soggetti di controllo. Un’analisi dettagliata dei 27 pazienti con sopravvivenza a lungo termine non ha permesso di identificare un numero rilevante di successi attribuibili alla MDB. Solo in due, o forse tre casi, altre terapie non potevano giustificare il risultato. Si tratta di un caso di leucemia in un giovane, un caso di tumore allo stomaco e forse un caso di carcinoma colorettale avanzato. Questo numero esiguo è compatibile con la proporzione di pazienti con sopravvivenza superiore a dieci anni fra quelli con prognosi iniziale molto grave, che si riscontra normalmente nelle serie di casi su base di popolazione. Questi casi possono essere spiegati da errori diagnostici o dall’occorren- 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. Lerner U, Kennedy BJ. 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Department of Medicine, Brown University School of Medicine and Rhode Island Hospital, Providence, Rhode Island Laetrile, cartilagine di squalo, solfato di idrazina, antineoplastoni e regimi dietetici come il protocollo Gonzales: sono solo alcune delle miriadi di terapie antitumorali alternative prese in esame negli ultimi anni. Un altro intervento di questo tipo, la Multiterapia Di Bella (MDB), e il furore pubblico, politico e scientifico che ha scatenato in Italia negli ultimi due anni, sono discussi da Traversa et al. su Cancer (1). Sviluppata e impiegata per più di vent’anni dal fisiologo Luigi Di Bella, la MDB è un cocktail di somatostatina (o il suo equivalente sintetico octreotride), melatonina, bromocriptina, una soluzione di retinoidi e, frequentemente, ciclofosfamide e idrossiurea. Nel novembre del 1997, la terapia Di Bella diventò in Italia di interesse nazionale allorché un pretore stabilì che il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) dovesse finanziare la somministrazione di tale terapia ad un bambino con un tumore al cervello. Nonostante la mancanza di qualsiasi dimostrazione scientifica a sostegno dell’efficacia del trattamento, alcuni altri giudici ordinarono successivamente la rimborsabilità della cura di singoli pazienti. Grazie a testimonianze enfatizzate sui giornali di malati di cancro che asserivano di essere stati curati con la MDB, ad affermazioni del prof. Di Bella di avere curato migliaia di pazienti, alla sfiducia dell’opinione pubblica nei confronti di Stato, mondo accademico e medicina ufficiale, le richieste di poter usufruire di questa terapia, beneficiando della necessaria copertura finanziaria a carico del SSN, raggiunsero livelli senza precedenti. In dimostrazioni pubbliche si chiedeva “libertà di cura” (cioè il diritto del paziente di scegliere tra le terapie convenzionali e quelle non convenzionali comunque garantite dal SSN) e i fautori di Di Bella si rivolsero persino a Papa Giovanni Paolo II per chiedere sostegno in proposito. Nel gennaio 1998 fortissime pressioni da parte di pazienti e delle loro famiglie, di giudici, politici e mezzi di comunicazione furono esercitate nei confronti del SSN italiano affinché fornisse gratuitamente a tutti, ricchi e poveri, gratuitamente la MDB. Come risposta, il Ministro della Sanità propose di poter prendere in considerazione questa possibilità solo dopo che l’efficacia della MDB fosse stata dimostrata per mezzo di uno studio sulla sopravvivenza storica dei pazienti curati dal prof. Luigi Di Bella e di appropriate sperimentazioni cliniche di fase II. Oltre un anno fa, le conclusioni finali delle sperimentazioni cliniche furono comunicate per la prima volta al governo italiano e al pubblico in una conferenza stampa tenutasi a Roma il 13 novembre 1998. I risultati dettagliati di tali studi sono riportati su Cancer da Buiatti et al. (2) e da Traversa et al. (1), nonché sul British Medical Journal (3). Buiatti et al (2), utilizzando gli archivi dello stesso prof. Di Bella contenenti la documentazione relativa ai 24 pazienti trattati dal 1971 al 1997, non hanno trovato alcuna dimostrazione di beneficio terapeutico nei soli 314 pazienti per i quali esisteva documentazione adeguata di diagnosi e terapia. Inoltre, 11 sperimentazioni indipendenti di fase II della MDB vennero eseguite su 386 pazienti che presentavano una varietà di tumori in stadio avanzato (1,3). Queste sperimentazioni vennero autorizzate dal Parlamento italiano nel febbraio 1998, approvate dalla Commissione Oncologica, organizzate dall’Istituto Superiore di Sanità sotto la supervisione di una Commissione internazionale. I membri di tale commissione erano: P. Calabresi, presidente (Providence, Rhode Island, USA), F. Cavalli (Bellinzona, Svizzera), P. Kleinhues (Lione Cedex, Francia), J. G. Mc Vie (Londra, UK), H. Pinedo (Amsterdam, Paesi Bassi), K. Sikora (Lione Cedex, Francia) e T. Tursz (Villejuif Cedex, Francia). Dei 386 pazienti sottoposti alla MDB e inclusi nell’analisi, nessuno presentava una remissione completa e solo tre presentavano remissioni parziali. Inoltre, a differenza di quanto precedentemente affermato dal prof. Di Bella, fu evidenziata una considerevole tossicità. Di fronte a questi risultati del tutto negativi, la MDB ha perso il sostegno della maggior parte dei politici e dei giornalisti precedentemente a favore della terapia. L’attenzione dei media è calata precipitosamente, sebbene residui ancora un certo sostegno da parte dell’opinione pubblica nei confronti della MDB. Qualche voce limitata della comunità scientifica ha affermato che i risultati delle sperimentazioni avrebbero potuto essere migliori se il trattamento fosse stato individualizzato secondo le esigenze dei singoli casi, come il prof. Di Bella affermava di aver fatto nella cura dei suoi pazienti. E’ stato anche detto che si sarebbero dovute effettuare delle sperimentazioni randomizzate di fase III, piuttosto che un trial di fase II (4); tuttavia, specialmente nel clima emotivo che circondava queste sperimentazioni, è molto improbabile che i pazienti avrebbero accettato la randomizzazione. Inoltre, poiché i tempi e i costi erano fattori significativi, sarebbe stato inopportuno iniziare studi randomizzati di fase III su neoplasie specifiche che avrebbero richiesto ulteriori spese e perdite di tempo, prima che questi venissero indicati da una ben programmata sperimentazione clinica di fase II. Nonostante i costi considerevoli e i risultati negativi, queste sperimentazioni hanno apportato precisi benefici tangibili. Primo, i pazienti che si sarebbero sottoposti alla MDB anche al di fuori della sperimentazione, seguendo il trattamento nei centri oncologici, venivano monitorati appropriatamente e, in seguito, poteva venire loro offerta la terapia più indicata. Secondo, con le sperimentazioni è stata fornita la legittima opportunità di dimostrare ogni potenziale beneficio reale della terapia. Terzo, il clamore dell’opinione pubblica e la frenesia dei media a proposito della terapia Di Bella si sono placati grazie all’accordo tra governo e comunità scienBIF Mar-Apr 2000 - N. 2 DALLA LETTERATURA BIF Mar-Apr 2000 - N. 2 rigorose vengano condotte per dimostrare tali benefici, iniziando con la fase I e proseguendo poi con la fase II e quindi con la fase III, se indicata. La ricerca inoltre è la chiave per migliorare ciò che la medicina ufficiale ha da offrire ai pazienti oncologici. Per ridurre al minimo il numero di soggetti che si rivolgono alle terapie alternative di efficacia non dimostrata, dobbiamo continuare a perfezionare ed espandere la serie di interventi di supporto di utilità certa, offerti dalla medicina ufficiale, nell’ambito della continuità degli interventi a favore dei malati oncologici. Questo continuum comprende: la valutazione del rischio, la prevenzione, l’individuazione, la diagnosi, la terapia, la qualità della vita, gli interventi palliativi e l’assistenza ai pazienti terminali. Le terapie complementari possono potenzialmente integrare i migliori approcci convenzionali e non convenzionali per aiutare i pazienti a raggiungere un risultato ottimale e la migliore qualità di vita possibile. Pertanto, dovrebbero essere condotte ulteriori ricerche per dimostrare l’efficacia degli approcci complementari; quelli che apportano un reale beneficio al paziente possono quindi essere incorporati nel programma complessivo di cura del paziente ed essere riconosciuti dagli assicuratori come cure legittime e rimborsabili. Garantire l’accesso sufficiente alle strutture sanitarie è un’alternativa, forse sottovalutata, alla medicina alternativa. Senza l’opportunità d’accesso alle cure oncologiche di qualità o per motivi finanziari o per motivi geografici, i pazienti intimoriti diventano facile preda di coloro che promettono cure con metodi non dimostrati. Le cure dimostrate devono essere disponibili per tutti coloro che ne abbiano necessità. La medicina alternativa è un’alternativa scadente alla medicina convenzionale; sostituendosi alle terapie ufficiali di dimostrata utilità, sottrae a molte persone, affette da tumori curabili, tempo prezioso e la possibilità di sopravvivere. Al governo italiano, e in particolare al Ministero della Sanità, alla Commissione Oncologica, all’Istituto Superiore di Sanità e alla comunità oncologica italiana dovrebbe essere riconosciuto il merito di aver dimostrato in modo inequivocabile, in meno di un anno, che la MDB è inefficace e non costituisce un’alternativa accettabile alle terapie antitumorali convenzionali. Bibliografia tifica oncologica di condurre sperimentazioni rigorose per produrre prove credibili dell’efficacia della MDB. Ancora più importante, è che i risultati negativi cui pervenivano le sperimentazioni fecero desistere molti pazienti dall’abbandonare le efficaci terapie antitumorali convenzionali a favore della MDB. Dobbiamo ricordare che terapie come la MDB usate in concomitanza con la medicina ufficiale (terapie complementari) o al posto di quest’ultima (terapie alternative) non sono una novità. Tali rimedi, infatti, sono stati applicati per secoli in quasi tutte le culture nel tentativo di trovare sollievo a (praticamente) tutte le malattie umane. Le ragioni possono essere diverse ma le principali sono la mancanza di accesso alle cure mediche, l’impossibilità di pagare le cure, la sfiducia nei confronti della medicina ufficiale, le tradizioni culturali e la convinzione che gli approcci alternativi siano migliori. Come spiega Cassileth su Cancer (5), la gamma di interventi classificati come medicina complementare o alternativa (CAM: Complementary and Alternative Medicine) include una serie di approcci psicosomatici che comprendono il biofeedback e l’immaginazione guidata, le tecniche di guarigione manuali come l’agopressione e i massaggi, prodotti biologicamente attivi come le vitamine, le erbe ed elementi dietetici, nonché magneti, cristalli e molto altro ancora. Si stima che nel 1997 il 42% degli americani abbia fatto ricorso a qualche forma di CAM e speso complessivamente 21 miliardi e duecentomila dollari (6). Tuttavia, l’esperienza Di Bella pone importanti interrogativi: perché i pazienti malati di cancro (come pure quelli affetti da altre patologie) cercano sempre più al di fuori della medicina ufficiale cure e sollievo? Quali sono le vere alternative mediche alla medicina alternativa? Prima dei recenti cambiamenti avvenuti in ambito sanitario, i medici ed altri operatori sanitari erano un punto di riferimento per consigli, sostegno psicologico e cure di supporto. Ciò è venuto meno a causa della riduzione della durata degli incontri medico-paziente, il crescente uso della tecnologia, la frammentazione dell’assistenza e la riduzione dei costi. Non dovrebbe sorprendere che i pazienti si rivolgano alle terapie complementari o alternative per riempire tale vuoto. Cure antitumorali di qualità comprendono attenzione alla qualità della vita, ai bisogni psicosociali, terapie del dolore e altre cure di supporto. Come ancora osserva Cassileth, se le terapie alternative fossero supportate da una rigorosa evidenza scientifica, verrebbero incorporate nella medicina convenzionale e non sarebbero più alternative. Virtualmente, tutti gli approcci complementari o alternativi hanno invece bypassato le procedure convenzionali di ricerca normalmente seguite per dimostrare l’efficacia di una terapia o di un trattamento di supporto. Queste procedure convenzionali richiedono dati di laboratorio o preclinici che dimostrino in modo evidente i benefici di quella terapia. In particolare, quando, come nel caso della MDB, è ragionevole ipotizzare che componenti individuali di una terapia possano offrire un beneficio effettivo, è essenziale che sperimentazioni cliniche 1. 2. 3. 4. 5. 6. Traversa G et al. The unconventional Di Bella cancer treatment. A reflection on the Italian experience. The Italian Study Group for the Di Bella Multitherapy Trials. Cancer 1999;86:1903-11. Buiatti E et al and the Italian Cancer Registries. Results from a historical survey of cancer patients given Di Bella Multitherapy. Cancer 1999;86:143-9. Italian Study Group for the Di Bella Multitherapy Trials. Evaluation of an unconventional cancer treatment (the Di Bella Multitherapy): results of phase II trials in Italy. BMJ 1999;318:224-8. Muller M. Di Bella’s therapy: the last word? BMJ 1999;318:208-9. Cassileth B. Alternative and complementary medicine. Separating the wheat from the chaff. Cancer 1999;86:1900-2. Eisenberg DM et al. Trends in alternative medicine use in the United States, 1990-1997: results of a follow-up national survey. JAMA 1998;280(18):1569-75. 25 FARMACOVIGILANZA Effetti avversi in pazienti con carenza di glucosio-6fosfato deidrogenasi Introduzione La carenza di glucosio-6-fosfato deidrogenasi (G6PD) a livello dei globuli rossi rappresenta una delle più comuni carenze enzimatiche, su base ereditaria1, con una prevalenza variabile a seconda delle aree geografiche: 60-62% tra i Curdi, 11% tra i Neri Americani, percentuali elevate nell’area mediterranea (fino al 30% in alcune zone della Sardegna). Il G6PD è un enzima presente in tutte le cellule, essenziale per la produzione di NADPH; in particolare svolge un’importante funzione antiossidante all’interno dei globuli rossi - mediata dalla produzione di glutatione ridotto - nei confronti degli agenti ossidanti che si formano durante i normali cicli biologici. Tuttavia, reazioni ossidative importanti possono essere scatenate da altri fattori, tra i quali i più comuni sono rappresentati dalle infezioni e dall’impiego di alcuni farmaci con proprietà ossidanti. Nel globulo rosso normale, in seguito all’esposizione a eventi ossidativi, la quantità di glucosio metabolizzato, e conseguentemente di glutatione ridotto, può aumentare di parecchie volte garantendo una efficace azione protettiva a livello dei gruppi sulfidrilici dell’emoglobina e della membrana cellulare. Diversamente, i soggetti con carenza di G6PD non sono in grado di mantenere un livello adeguato di glutatione ridotto nelle loro emazie; di conseguenza i gruppi sulfidrilici dell’emoglobina si ossidano e l’emoglobina tende a precipitare all’interno della cellula (corpi di Heinz); l’emolisi è la conseguenza ultima di questo processo. Attualmente si conoscono oltre 400 varianti di G6PD, di cui più di 100 caratterizzate a livello molecolare, distinte per caratteristiche biochimiche e funzionali, ed a seconda delle quali si registrano diverse suscettibilità agli stimoli ossidativi/emolitici; inoltre, per alcune di queste forme non sono note manifestazioni cliniche, per altre invece può insorgere crisi emolitica anche in assenza di stimoli specifici. Tuttavia le forme più comuni sono quelle che possono dare origine a crisi emolitica, di gravità variabile, in seguito all’esposizione ad un agente ossidativo. Tra queste, le forme più diffuse sono la variante A- e quella mediterranea. La prima è più frequente nelle popolazioni di colore mentre la forma mediterranea prevale nei paesi del bacino del Mediterraneo e quindi anche in Italia. Il quadro clinico della variante mediterranea è più grave di quello manifestato dalla variante dei neri. Inoltre, come vedremo successivamente, vi sono dei farmaci che sono dannosi solamente nel portatore della variante mediterranea e non nei portatori della variante dei neri. La variante frequente negli asiatici, Mahidol, si comporta come quella mediterranea. La sintomatologia clinica Il difetto di G6PD si associa a due diversi tipi di patologia. Una di queste, la più grave, consiste in una anemia emolitica cronica denominata anemia emolitica cronica non sferocitica. Qust’ultima è una condizione infrequente dovuta a rare varianti che compromettono in modo rilevante la funzione dell’enzima. Le varianti più comuni, la Mediterranea, la A- dei neri e la Mahidol del Sud Est Asiatico si manifestano con quadri acuti legati all’intervento di fattori scatenanti ma non producono una emolisi cronica. I quattro quadri clinici fondamentali associati a queste varianti sono: a. ittero neonatale; b. anemia emolitica acuta da ingestione di fave; c. anemia emolitica acuta da farmaci; d. anemia emolitica acuta scatenata da infezioni e nell’acidosi diabetica. a. Ittero neonatale Può assumere due diversi aspetti clinici. La forma più comune può essere considerata come una forma più seria dell’ittero fisiologico ed è probabilmente legata al difetto enzimatico nel parenchima epatico. In questa forma l’ittero insorge nella 2a-3a giornata e l’anemia è modesta. La seconda variante, molto rara, è una condizione grave ed assume l’aspetto di una anemia emolitica. In questi casi vi sono fattori scatenanti in parte noti (farmaci, infezioni, v. oltre) ed in parte ignoti. b. Anemia emolitica acuta da ingestione di fave I pazienti carenti di G6PD possono sviluppare anemia emolitica in seguito all’ingestione di fave o in seguito all’allattamento al seno di madri che ne avevano ingerite. Tale patologia, denominata favismo, si presenta con maggiore gravità nei bambini o quando le 1 La carenza di G6PD è un difetto enzimatico che si trasmette con il cromosoma X e colpisce nella forma più grave i maschi emizigoti e le femmine omozigoti; le femmine eterozigoti hanno un quadro clinico molto variabile, per lo più di minore gravità rispetto ai maschi emizigoti. Tuttavia si possono verificare anche nelle femmine eterozigoti dei quadri seri. 26 BIF Mar-Apr 2000 - N. 2 FARMACOVIGILANZA fave sono ingerite crude. Particolarmente rischiose sono le fave piccole e fresche per la loro ricchezza di principi dannosi. Il favismo si manifesta anche per ingestione di fave secche e conservate in altro modo. L’esistenza di un favismo per via inalatoria non è dimostrato. Per ragioni non ancora ben conosciute la crisi può colpire il soggetto predisposto anche dopo anni di ingestione di fave senza conseguenze. La fisiopatologia della crisi, che sembra correlata alla presenza nelle fave di divicina e isouramile, non è stata completamente chiarita e probabilmente vede coinvolti diversi fattori e meccanismi d’azione, talvolta non prevedibili in quanto legati alle caratteristiche del singolo individuo. A conferma di ciò, si sottolinea che nonostante tutte le persone che soffrono di favismo presentino una carenza di G6PD, buona parte dei soggetti carenti di G6PD non è sensibile all’azione emolitica delle fave. Non esistono criteri per distinguere questi due tipi di carenza di G6PD. c. Anemia emolitica acuta da farmaci Per anni, i farmaci con proprietà ossidanti sono stati considerati la causa principale di crisi emolitiche in pazienti carenti di G6PD (soprattutto in seguito al verificarsi di crisi emolitiche dopo la somministrazione di antimalarici, in particolare primachina). In conseguenza di ciò, sono stati definiti degli elenchi di sostanze controindicate in tali soggetti, ripetutamente integrati e modificati nel tempo, a volte anche in assenza di una chiara e certa correlazione causale tra farmaco ed emolisi. Pur ammettendo che descrizioni di casi singoli (es., melfalan, dimercaprolo) sono difficili da interpretare, se dopo anni non ci sono altre conferme, appare legittimo considerare la segnalazione iniziale più come un caso co-incidentale che eziologico. A rendere ancor più difficile la definizione di una lista certa di farmaci da evitare è il fatto che le potenzialità emolitiche di molti farmaci sono state sovrastimate in quanto buona parte di essi risultano impiegati in condizioni infettive e/o influenzali che, come ampiamente dimostrato, rappresentano un importante stress ossidativo. A questo proposito si segnala brevemente il caso del paracetamolo, farmaco largamente impiegato nella pratica e spesso citato tra i farmaci da evitare nei pazienti con carenza di G6PD. In realtà si tratta di una sostanza che, alle dosi terapeutiche e nelle forme più comuni di carenza di G6PD, non induce emolisi. Per quanto riguarda l’acido acetilsalicilico, con ogni probabilità si tratta di farmaco innocuo nel soggetto G6PD-carente, anche se vengono segnalati rari casi di associazione tra emolisi e somministrazione del farmaco in pazienti febbrili. Non è chiaro se la causa dell’emolisi sia il farmaco o la febbre. Ne deriva che nei casi di assoluta necessità l’acido acetilsalicilico può essere usato a dosi abituali con le dovute cautele. Negli altri casi può essere sostituito come analgesico dal paracetamolo e come antinfiammatorio da altri antinfiammatori non steroidei. BIF Mar-Apr 2000 - N. 2 Attualmente non si dispone di test in vitro attendibili per misurare la potenziale tossicità di un farmaco nella popolazione affetta da carenza di G6PD e quindi nel definire una lista di farmaci potenzialmente emolitici ci si affida ad alcune delle fonti più accreditate. Come si può osservare nell’elenco delle sostanze riportato alla fine dell’articolo, si tratta di un numero limitato di principi attivi, di cui solo alcuni antibiotici (i sulfamidici e i chinoloni) risultano attualmente di largo impiego. Particolare attenzione deve essere posta al profilo beneficio/rischio nel caso si renda necessario l’impiego di alcuni antimalarici. Anche altre sostanze non medicamentose possono indurre anemia emolitica: es., naftalina, blu di toluidina (impiegato in alcuni test di laboratorio) o trinitrotoluene. In generale, si raccomanda di eseguire gli opportuni accertamenti, tramite test di laboratorio, prima di prescrivere uno dei farmaci riportati nell’elenco finale, soprattutto se il paziente appartiene ad un sottogruppo di popolazione in cui la carenza di G6PD è diffusa. Si tratta comunque di test che hanno una buona attendibilità nel caso di soggetti maschi o donne omozigoti. Per le donne eterozigoti il test può essere falsamente negativo, esistendo donne eterozigoti che hanno una percentuale di cellule carenti molto bassa. Queste donne possono essere identificate con l’analisi del DNA. d. Anemia emolitica acuta scatenata da infezioni e nell’acidosi diabetica Crisi emolitica nei soggetti carenti di G6PD può insorgere entro pochi giorni dall’inizio di un processo febbrile e/o infettivo di natura virale o batterica; pur in assenza di dati definitivi, si pensa che l’origine di tale processo sia da attribuirsi alla formazione di agenti ossidanti nei leucociti durante il processo di fagocitosi. Anche l’acidosi diabetica può rappresentare uno stress ossidativo in grado di indurre crisi emolitica nei pazienti con carenza di G6PD. Schematicamente, le forme di emolisi acuta da farmaci, da ingestione di fave o secondarie ad infezione sono caratterizzate da: – febbre, dolori lombari, ittero delle mucose e della cute, splenomegalia; – urine ipercromiche; – anemizzazione e pallore, astenia; – dispnea, tachicardia. Successivamente compaiono i primi segni di uno shock ipovolemico o di insufficienza cardiaca; – irrequietezza e pianto nei bambini. La terapia La carenza di G6PD consente una vita normale e non comporta in genere alcun disturbo, purché il soggetto non sia esposto ad agenti ossidativi che possano dare avvio alla reazione emolitica. L’insorgenza di una crisi emolitica, invece, richiede una pronta ospedalizzazione per una valutazione completa delle stato del paziente. Se l’abbassamento dei 27 FARMACOVIGILANZA Conclusione Nelle popolazioni a rischio per il difetto in G6PD, soprattutto in Sardegna, nell’Italia Meridionale e nell’area del delta padano (province di Rovigo e Ferrara), prima di somministrare i farmaci sotto elencati occorre accertarsi attraverso esami appropriati che il soggetto, sia donna che uomo, non sia G6PD carente. Alcuni farmaci, come di seguito evidenziato, sono pericolosi nel soggetto con la variante Mediterranea ma non in soggetti con altre varianti. Bibliografia valori di emoglobina è tale da mettere in pericolo l’ossigenazione dei tessuti, si deve procedere ad una congrua idratazione e, se necessario, a un’emotrasfusione; possono essere necessarie più trasfusioni nei primi giorni di ricovero. Non è stato ancora accertato il possibile ruolo della deferoxamina. Nell’ittero neonatale si può rendere necessaria l’exanguinotrasfusione nei casi in cui la bilirubina raggiunga valori elevati nei primi giorni di vita (v. raccomandazioni specifiche per l’iperbilirubinemia neonatale). 1. 2. 3. 4. 5. 6. Beutler E. G6PD Deficiency. Blood 1994;11:3613-36. Beutler E. Glucose-6-phosphate dehydrogenase deficiency. N Engl J Med 1991;3:169-74. Zanfi D. Deficit di glucosio-6-fosfato deidrogenasi: quali farmaci evitare? Informazioni sui Farmaci 1999;5:139-40. Cox G et al. Glucose-6-phosphate dehydrogenase deficiency. N Engl J Med 1991;24:1742-3. Utilizzo dei farmaci in soggetti carenti dell’enzima glucosio-6-fosfato deidrogenasi (G6PD). British National Formulary 1999;38. Drugdex©, 1974-1999 Micromedex, Inc. Vol. 103. Farmaci da evitare in soggetti G6PD carenti (da Luzzato L Glucose-6-posphate dehydrogenase deficiency and hemolytic anemia. In Nathan DG and Oskin SH eds. “Nathan and Oskin Hematology of Infancy and Childhood”. WB Saunders Company, 1998, modificata; British National Formulary n. 239, pagg. 417-8, marzo 2000) Di seguito sono riportati i principi attivi da evitare in soggetti G6PD carenti, seppur con gradi di pericolosità diversi (v. Legenda). Per ogni principio attivo sono riportate le principali specialità commercializzate ad eccezione di quelle che, pur regolarmente autorizzate, non risultano attualmente disponibili sul mercato italiano. Sono state prese in considerazione le specialità somministrabili per via orale e parenterale, anche se i principi attivi citati potrebbero in teoria essere dannosi anche nelle piccole quantità che raggiungono il circolo sistemico dopo somministrazione per uso locale (colliri, preparazioni per uso dermatologico, ginecologico, etc.). Mancano dati precisi in tal senso. Inoltre, non esistono documentazioni su farmaci con salificazioni diverse o molecole strutturalmente correlate a quelle riportate; in tal caso è opportuno un atteggiamento prudenziale. Legenda *: farmaci da evitare in tutti i casi di difetto di G6PD **: farmaci da evitare in soggetti G6PD carenti di origine Mediterranea, Asiatica e Mediorientale 1. In caso di necessità possono essere usate dosi ridotte sotto sorveglianza (30 mg per settimana per 8 settimane). 2. Può essere usato, se necessario, ma sotto sorveglianza, nella malaria acuta. 3. Se somministrato in dosi elevate, può determinare emolisi anche in individui normali. 4. Dosi moderate sembrano innocue. 5. Nei casi di assoluta necessità l’acido acetilsalicilico può essere usato a dosi abituali (1g) con le dovute cautele. Negli altri casi può essere sostituito come analgesico dal paracetamolo e come antinfiammatorio da altri antinfiammatori non steroidei. 6. 1 mg di menadiolo può essere usato nella profilassi della malattia emorragica del neonato. 28 BIF Mar-Apr 2000 - N. 2 FARMACOVIGILANZA ANTIMALARICI Primachina*,1: Nessuna specialità autorizzata in Italia; disponibile come generico Pamachina*: Non in commercio in Italia Clorochina **, 2: Clorochina Bayer, Ecobi, Ifi e altri generici Chinina *, 2: Nicoprive, etc. Furazolidone*: Nessuna specialità o generico per uso sistemico disponibili in Italia. Nitrofurazone*: Nessuna specialità o generico per uso sistemico disponibili in Italia. Cloramfenicolo**: Chemicetina, Chloromycetin, etc.; disponibile anche come generico Ac. Paraminosalicilico**: Quadrasa, Salfpas, etc. SOLFONAMIDICI E SOLFONI Sulfanilamide*, Sulfapiridina*, Sulfadimidina*, Sulfisoxazolo**: Non in commercio in Italia Sulfacetamide*: Nessuna specialità o generico per uso sistemico disponibile in Italia. Cotrimossazolo (sulfametossazolo + trimetoprim)*: Abacin, Bacterial, Bactrim, Bactrim perfusione, Chemitrim, Eusaprim, Gantrim, etc. Sulfasalazina* : Salazopyrin EN etc. Dapsone*, 3, Sulfoxone*, 4, Glucosulfone sodico*: Non in commercio in Italia ANALGESICI Acido acetilsalicilico**, 5: Acesal, Algopirina, Alka Seltzer Euromed, Alka Seltzer, Alsogil, Alupir, Antinevralgico Knapp, Antireumina, Ascriptin, Aspegic, Aspidol, Aspiglicina, Aspirina, Aspirina C, Aspirina 03, Aspirina 05 Fte, Aspirina 05 Mast., Aspirinetta, Aspirinetta C, Aspro, Aspro C, Bufferin, Cafiaspirina, Cardioaspirin, Cardirene, Cemirit, Contralgen, Doloflex, Drin, Flectadol, Geyfritz, Kilios, Migpriv, Murri Antidolorifico, Neo Cibalgina, Neo Coricidin, Neo Nevral, Neo Nisidina, Neo Uniplus C, Neo Uniplus, Neodone, Upsalgina, Variadol, Verdal, Viamal, Vivin C, etc. Disponibile anche come generico. Fenacetina**, 4: Non in commercio in Italia CHINOLONI Ac.nalidissico*: Betaxina, Nalidixin, Naligram, Nalissina, Neg Gram, Uralgin, Urogram, etc.; Ac. Nalidissico Dynacren, Ecobi, Ifi, etc. Ciprofloxacina *: Ciproxin, Flociprin, etc. Enoxacina*: Bactidan, Enoxen, etc. Levofloxacina*: Levoxacin, Tavanic, etc. Lomefloxacina*: Chimono, Maxaquin, Uniquin, etc. Norfloxacina*: Flossac, Fulgram, Norflox, Noroxin, Sebercim, Utinor, etc. Ofloxacina*: Flobacin, Oflocin, etc. Pefloxacina*: Peflacin, Peflox, etc. Rufloxacina*: Monos, Qari, Tebraxin, etc. ALTRI ANTIBATTERICI Nitrofurantoina*: Cistofuran, Furadantin, Furedan, Furil, Macrodantin, Neo Furadantin, etc.; disponibile anche come generico ANTIELMINTICI Beta-naftolo*, Stibofene*, Niridazolo*: Non in commercio in Italia ALTRI Analoghi della vitamina K*, 6: Konakion; Vitalipid, etc. Chinidina*: Chinteina, Longachin, Naticardina, Natisedina, Ritmocor, etc.; disponibile anche come generico Naftalene*: Non in commercio in Italia Probenecid*: Disponibile come generico Dimercaprolo*: Bal, etc. Metiltioninocloruro*: Mictasol Bleu, etc.; disponibile anche come generico Inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina ed emorragie gastrointestinali La serotonina (5-idrossi-triptamina, 5-HT) è un’indolamina contenuta in neuroni specifici del sistema nervoso centrale, dove svolge un indiscusso ruolo come neurotrasmettitore, e nelle cellule enterocromaffini presenti lungo tutto il tratto gastroenterico, così come nelle piastrine. Il ruolo fisiologico della 5-HT nell’intestino non è a tutt’oggi ben definito. Le piastrine non producono 5HT ma catturano e immagazzinano quella che si libera dalle cellule cromaffini. Le piastrine liberano a loro volta 5-HT nel letto circolatorio e contengono esse stesse dei recettori del tipo 5-HT2, la cui stimolazione induBIF Mar-Apr 2000 - N. 2 ce aggregazione (1). Nel SNC la 5-HT è contenuta in neuroni specifici che la rilasciano dalle terminazioni nello spazio sinaptico, ove svolge il ruolo di neurotrasmettitore. La terminazione neuronale rilascia il neurotrasmettitore nella fase di depolarizzazione, la cui durata si misura in millesimi di secondo, ed in tempi ugualmente rapidi il neurotrasmettitore fuoriuscito attiva i recettori e viene inattivato. L’inattivazione di alcune monoamine, fra cui la 5-HT, è solo funzionale e avviene tramite un meccanismo di ricaptazione da parte delle stesse terminazioni che le hanno in precedenza rilasciate. Il mecca- 29 FARMACOVIGILANZA Il British Medical Journal ha di recente pubblicato una ricerca epidemiologica caso-controllo attuata su un database che riporta i dati anagrafici e clinici di una vasta popolazione di soggetti seguiti da medici del servizio sanitario inglese (6). La ricerca (7) ha messo a confronto un gruppo di 1.651 pazienti con sanguinamento gastro-duodenale e un gruppo di 10.000 soggetti scelti per randomizzazione dal database. Il numero di soggetti che facevano uso di un SSRI (o avevano smesso il farmaco da non più di 30 giorni) risultò di tre volte superiore nel gruppo dei pazienti con sanguinamento (52/1.651: 3,1%) rispetto ai controlli (95/10.000: 0,95%). Non si osservò alcuna differenza significativa fra i due gruppi nelle percentuali di soggetti che facevano uso di inibitori non selettivi per la 5-HT o di altri farmaci antidepressivi. Di minore rilevanza risulta il dettaglio sui singoli principi attivi dato il minor potere risolutivo del campione. Gli autori hanno dato soprattutto importanza all’eliminazione di eventuali fattori confondenti. Per questo hanno escluso dalla casistica soggetti con tumori, varici esofagee (tutti i sanguinamenti esofagei erano ugual- 30 mente esclusi), malattia di Mallory-Weiss, etilismo, epatopatie accertate e coagulopatie. La differenza osservata fra i due campioni non era connessa con l’età o il sesso dei soggetti. Fra i fattori di rischio aggiuntivi per un sanguinamento del tratto gastroenterico iniziale sono stati presi in considerazione contemporanei trattamenti con altri farmaci quali corticosteroidi, FANS e aspirina (a dosi strettamente antiaggreganti). Calcolato il rischio aggiuntivo connesso con l’uso di due farmaci, è apparso chiaramente che il rischio da FANS si somma semplicemente a quello minimo da inibitori non selettivi della ricaptazione della serotonina. L’associazione FANS + SSRI o aspirinetta + SSRI porta, invece, il rischio relativo dai valori di 3,7 (FANS da soli) e 2,6 (SSRI da soli) a quello di 15,6. Un solo studio di popolazione, ancorché ben condotto, non fornisce dati definitivi. Si può concludere che la ricerca epidemiologica di BMJ conferma la bassa incidenza di seri eventi emorragici da SSRI, ma suggerisce cautela nella scelta dell’antidepressivo da prescrivere a un paziente in trattamento cronico con FANS. Bibliografia nismo di ricaptazione è garantito da una proteina situata nelle membrana neuronale (5-HT transporter, 5-HT-T) che è stata sequenziata; successivamente è stato sequenziato anche il gene che la codifica e si è visto che esso coincide col gene che codifica il trasportatore presente nella membrana delle piastrine (2). Per questi motivi i farmaci che inibiscono selettivamente la ricaptazione della 5-HT (selective serotonin reuptake inhibitors, SSRI), ma anche gli inibitori non selettivi (come imipramina e venlafaxina), tutti largamente utilizzati in clinica come antidepressivi, possono ridurre il contenuto di 5-HT nelle piastrine. Quale sia la rilevanza di questo presupposto in termini di alterazione dell’emostasi in soggetti che fanno uso di antidepressivi non è stato ancora definito. Alcuni studi condotti su un numero limitato di soggetti in trattamento con uno SSRI, attuati nell’intento di saggiare la funzionalità piastrinica, non hanno messo in rilievo alterazioni del processo di aggregazione (3), né sono particolarmente frequenti le segnalazioni di pazienti in trattamento con uno SSRI che presentano petecchie, ematomi, o sanguinamenti in altri distretti (4, 5). 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. Sanders-Bush E, Mayer SE. 5-Hydroxytryptamine (Serotonin) receptor agonists and antagonists. In: Hardman JC, Limbird LE, eds. The Pharmacological Basis of Therapeutics, 9th edition. New York-St. Louis-San Francisco: Goodman & Gilman’s, 1995:249-63. Ramamoorthy S et al. Antidepressant- and cocaine-sensitive human serotonin transporter: molecular cloning, expression and chromosomal localization. Proc Natl Acad Sci U.S.A. 1993;90:2542-5. Alderman CP et al. Effects of serotonin reuptake inhibitors on hemostasis. Ann Pharmacother 1996;30:1232-4. Bottiender R et al. The effect of selective reuptake inhibitors on blood coagulation. Fortschr Neurol Psychiatr 1998;66:32-5. Nelva A et al. Hemorrhagic syndromes related to selective serotonin reuptake inhibitor (SSRI) antidepressants. Seven case reports and review of the literature. Rev Med Internee 2000;21:152-60. Garcia-Rodriguez LA, Pérez Gutthann S. Use of the UK general practice research database for pharmacoepidemiology. Br J Clin Pharmacol 1998;45:419-25. De Abajo FJ et al. Association between selective serotonin reuptake inhibitors and upper gastrointestinal bleeding: population based case-control study. BMJ 1999;319:1106-9. Wolfe MM et al. Medical progress: gastrointestinal toxicity of nonsteroidal antiinflammatory drugs. N Engl J Med 1999;340:1888-99. BIF Mar-Apr 2000 - N. 2 DALLA SPERIMENTAZIONE ALLA PRATICA CLINICA Questa rubrica intende portare all’attenzione dei lettori alcuni studi clinici apparsi in letteratura, particolarmente rilevanti per il riflesso che possono avere nella pratica della medicina. La presentazione degli studi sarà in forma sintetica e terrà conto anche delle obiezioni, critiche e rilievi che faranno seguito alla loro pubblicazione. I diuretici tiazidici restano i farmaci di scelta nel trattamento dell’ipertensione arteriosa Titolo Revisione sistematica delle terapie antipertensive: le prove raggiunte aiutano a scegliere un farmaco di prima linea? (Titolo originale: Systematic review of antihypertensive therapies: Does the evidence assist in choosing a first–line drug?) Autori James M. Wright, MD, PhD; Cheng–Han Lee, BSc; G. Keith Chambers, MD. Rivista Canadian Medical Association Journal (CMAJ) 1999;161:25–32. Sponsor British Columbia Ministry of Health e University of British Columbia. Problema clinico sollevato Nei pazienti con ipertensione, quali sono i farmaci di scelta efficaci nel ridurre la mortalità e gli eventi cardiovascolari? Contesto e motivazione della ricerca Quale dovrebbe essere il farmaco di scelta nel trattamento dell’ipertensione? La risposta a questo quesito rappresenta un aspetto particolarmente critico nell’approccio e nella gestione del paziente iperteso. La decisione dovrebbe fondarsi primariamente sulle prove di efficacia disponibili e raggiunte in un ambito di normale pratica clinica, intendendo con ciò la capacità del farmaco di prevenire eventi avversi importanti per il paziente. Le evidenze disponibili non sono state strutturate in modo organico così da aiutare i medici a prendere questa decisione. Sull’efficacia reale della terapia antipertensiva sono state condotte numerose revisioni sistematiche che però, nella maggior parte dei casi, hanno focalizzato il loro interesse sull’efficacia complessiva nella BIF Mar-Apr 2000 - N. 2 pratica clinica (1,2) o sull’efficacia in particolari gruppi di pazienti, come gli anziani (3-7). Quando in una revisione sistematica sono presi in considerazione tutti i farmaci antipertensivi, si parte dal presupposto che il beneficio ottenibile con la riduzione della pressione sia indipendente dal meccanismo attraverso il quale tale riduzione è raggiunta. Tale presupposto non è provato ed è presumibile che il meccanismo attraverso cui un farmaco riduce la pressione possa determinare altri effetti, indipendenti da quello antipertensivo. Inoltre tutti i farmaci antipertensivi, oltre ad abbassare la pressione del sangue, presentano altre azioni, alcune note, altre sconosciute, che potrebbero aumentare o annullare l’efficacia reale legata alla diminuzione della pressione arteriosa. Solo due revisioni hanno tentato di valutare l’efficacia clinica di farmaci antipertensivi usati come agenti di prima scelta (1,8). Collins et al. (1) hanno sottoposto a revisione studi comparativi farmaco vs farmaco, ma solo 2 studi dei 3 inclusi erano appropriati perché si potesse realizzare una comparazione. La revisione di Psaty et al. (8) presenta numerosi limiti: non sono stati inclusi studi comparativi farmaco vs farmaco; alcuni studi non sono stati correttamente classificati in rapporto a gruppi farmacoterapeutici; non sono stati inclusi dati sugli effetti della riduzione pressoria. Gli obiettivi di questa nuova revisione sistematica sono: a. combinare le evidenze raggiunte, in termini di efficacia sperimentale e di efficacia reale*, in studi comparativi farmaco vs farmaco utilizzati in terapie di prima scelta; b. combinare le evidenze raggiunte, in termini di efficacia sperimentale e reale, in studi in cui classi di farmaci utilizzate come terapie di prima scelta sono state confrontate con placebo o con gruppi di controllo non trattati; c. calcolare, a partire da eventi cardiovascolari totali, il valore più favorevole di riduzione assoluta del 31 DALLA SPERIMENTAZIONE ALLA PRATICA CLINICA rischio complessivo e il numero di pazienti da trattare per ogni classe di farmaci antipertensivi; d. trasferire le evidenze raggiunte in implicazioni cliniche nell’individuazione di terapie di prima scelta. * Il termine italiano “efficacia” traduce due termini inglesi, efficacy e effectiveness. Nei paesi anglosassoni tali termini hanno una diversa accezione. Efficacy è l’efficacia di un trattamento dimostrata misurando il beneficio prodotto in una popolazione studiata in condizioni ideali di attuazione di tale trattamento (efficacia virtuosa). Classicamente la dimostrazione di efficacy si ottiene mediante studi clinici controllati randomizzati. Effectiveness è invece l’efficacia dello stesso trattamento misurata attraverso il beneficio prodotto in un ambito non più sperimentale, ma di normale pratica clinica. E’ quindi l’efficacia riferita ad una popolazione il più possibile prossima a quella reale e in condizioni di pratica clinica normali (efficacia pratica). Disegno dello studio Revisione sistematica della letteratura disponibile, in cui sono stati definiti chiaramente obiettivi e modalità della revisione stessa. Fonte dei dati Gli studi sono stati identificati mediante ricerca su Medline (1966-1997), Cochrane Library (1998, seconda edizione) e referenze di precedenti meta-analisi (1980-1997). Selezione degli studi Sono stati selezionati: • gli studi in cui i pazienti presentavano una pressione sistolica di almeno 160 mm Hg e diastolica di almeno 90 mm Hg, partendo dal presupposto che l’effetto sugli esiti fosse indipendente dall’ipertensione definita in termini di pressione diastolica o sistolica; • tutti gli studi sugli antipertensivi, senza tenere conto di co-morbilità o del rischio iniziale dei pazienti, assumendo che l’età e la co-morbilità non fossero influenti sulla riduzione del rischio relativo correlata al trattamento farmacologico; • gli studi in cui sono stati rispettati i seguenti criteri: – i pazienti erano allocati per randomizzazione; – veniva confrontata una farmacoterapia di prima scelta vs un’altra terapia di prima scelta o vs nessun trattamento (placebo compreso); – erano riportate le caratteristiche dei gruppi al baseline; – erano chiaramente definiti gli end point di mortalità e di morbilità; – presentavano un follow up di almeno un anno; – era precisato il trattamento farmacoterapico di una delle sei categorie previste: tiazidici, beta-bloccanti, ACE-inibitori, calcio antagonisti, alfa-litici, sartani; – la maggioranza dei pazienti (> 70%) del gruppo trattato era in terapia con il farmaco studiato dopo un anno. Sono stati esclusi: • gli studi che utilizzavano gli antipertensivi per indicazioni diverse dall’ipertensione (ad es., scompenso cardiaco congestizio). 32 Raccolta e analisi dei dati Due ricercatori hanno estratto dagli studi in modo indipendente i dati su pazienti, durata degli studi, trattamento, esiti (decesso, ictus, malattia arteriosa coronarica, eventi cardiovascolari totali) e interruzioni del trattamento a causa di effetti avversi. Sono stati presi in considerazione 38 studi di terapie di prima scelta nell’ipertensione pubblicati tra il 1966 e il 1997. Ne sono stati esclusi 15 in quanto non sono stati soddisfatti i criteri di inclusione. In definitiva, sono stati selezionati 23 trial riferiti ad una popolazione di 50.853 pazienti. Principali risultati a. Studi comparativi: farmaco vs farmaco a.1. Tiazidi vs beta-bloccanti: 5 studi Rispetto ai beta-bloccanti, il trattamento con diuretici tiazidici ha evidenziato una percentuale minore di interruzioni per effetti avversi; anche l’incidenza di eventi cardiovascolari totali è risultata minore con i tiazidici, pur se al limite della significatività statistica. I dati di mortalità totale erano disponibili per atenololo, metoprololo e propranololo. In questa analisi per sottogruppi, il numero totale di decessi è apparso significativamente più basso con tiazidi rispetto a atenololo, ma non quando i diuretici sono stati confrontati con metoprololo e propranololo. a.2. Tiazidi vs calcio antagonisti (isradipina o verapamil): 2 studi Nessuna differenza significativa per quanto concerne misure di esito e interruzioni. a.3. ACE-inibitore (delapril) vs calcio antagonisti diidropiridinici: 1 studio Tendenza a esiti più favorevoli con l’ACE-inibitore, ad eccezione, per quest’ultimo, delle interruzioni dovute ad effetti avversi (soprattutto tosse). b. Studi comparativi: trattamento attivo vs nessun trattamento I risultati sono riassunti in Tabella 1. b.1. Tiazidi a basso dosaggio (dose media, in equivalenti di idroclorotiazide: 26 mg): 5 studi b.2. Tiazidi ad alto dosaggio (dose media, in equivalenti di idroclorotiazide: 90 mg): 11 studi Il trattamento antipertensivo con diuretici tiazidici a basse dosi è risultato simile a quello ad alte dosi nel ridurre il rischio di ictus e di eventi cardiovascolari totali; solo il trattamento a basse dosi si è dimostrato tuttavia in grado di ridurre significativamente l’incidenza di malattia coronarica. b.3. Beta-bloccanti: 2 studi Nessuno degli esiti differisce significativamente tra gruppi trattati e gruppi di controllo non trattati. BIF Mar-Apr 2000 - N. 2 DALLA SPERIMENTAZIONE ALLA PRATICA CLINICA b.4. Calcio antagonisti (nitrendipina): 1 studio Lo studio, condotto in pazienti con ipertensione sistolica isolata ha evidenziato una riduzione significativa di ictus e di eventi cardiovascolari rispetto al gruppo di controllo. c. Riduzione dei valori pressori Tanto negli studi comparativi farmaco vs farmaco che in quelli trattamento attivo vs nessun trattamento, i tiazidici si sono dimostrati significativamente più effi- caci degli altri gruppi di farmaci nel ridurre la pressione sistolica. Nella Tabella 2 sono riportati la riduzione assoluta del rischio di eventi cardiovascolari totali (ARR) e il numero di pazienti da trattare (NNT) per prevenire un evento relativamente a quattro classi di farmaci. Nota: I tiazidici presenti negli studi sottoposti a valutazione erano: idroclorotiazide, clorotiazide, clortalidone, bendrofluazide, meticlotiazide, triclormetiazide. Tabella 1. Eventi avversi osservati in studi comparativi tra terapie antipertensive di prima scelta vs nessun trattamento Esiti Trattamento attivo Nessun trattamento Rischio Relativo (IC 95%) Tiazidi a basse dosi Morte Ictus Malattia coronarica Eventi cardiovasc. totali pazienti: 4.349 521 197 221 527 pazienti: 5.163 720 355 374 899 0,89 0,66 0,71 0,68 (0,81÷0,99) (0,56÷0,79) (0,60÷0,84) (0,62÷0,75) Tiazidi ad alte dosi Morte Ictus Malattia coronarica Eventi cardiovasc. totali pazienti: 7.769 221 87 212 311 pazienti: 12.070 377 229 329 613 0,90 0,47 1,00 0,72 (0,76÷1,05) (0,37÷0,61) (0,84÷1,19) (0,63÷0,82) Beta-bloccanti Morte Ictus Malattia coronarica Eventi cardiovasc. totali pazienti: 5.505 287 98 212 311 pazienti:10.867 568 243 329 613 1,01 0,80 0,92 0,89 (0,88÷1,15) (0,64÷1,01) (0,78÷1,10) (0,78÷1,02) Calcio antagonisti Morte Ictus Malattia coronarica Eventi cardiovasc. totali pazienti: 2.398 123 50 58 137 pazienti: 2.297 137 78 73 186 0,86 0,61 0,76 0,71 (0,68÷1,09) (0,43÷0,87) (0,54÷1,07) (0,57÷0,87) Tabella 2. ARR di eventi cardiovascolari totali e NNT per prevenire un evento di alcune classi di antipertensivi ARR di eventi cardiovascolari totali % e IC 95% NNT per prevenire un evento* Tiazidi a basso dosaggio 5,7% (4,2÷7,2) 18 Tiazidi ad alto dosaggio 1,5% (0,9÷2,1) 67 Beta-bloccanti 0,7% (0,1÷1,4) 142 Calcio antagonisti 2,4% (0,9÷3,8) 42 *La stima della durata del trattamento per l’NNT può essere derivata rapportandola alla durata degli studi; chi intende approfondire l’argomento confronti la revisione originale di Wright. Per il significato delle sigle adottate si veda il Glossario nella terza pagina di copertina. BIF Mar-Apr 2000 - N. 2 33 DALLA SPERIMENTAZIONE ALLA PRATICA CLINICA Conclusione La terapia con diuretici tiazidici a basse dosi può essere prescritta quale trattamento di prima scelta a pazienti con ipertensione con la certezza che è efficace nel ridurre il rischio di mortalità, ictus e malattia coronarica. La stessa cosa non si può dire per la terapia con tiazidi ad alte dosi, beta-bloccanti, calcio antagonisti e ACE-inibitori. 3. 4. 5. Bibliografia 6. 1. 2. Collins R et al. Blood pressure, stroke, and coronary heart disease. Part 2: Short-term reductions in blood pressure: overview of randomised drug trials in their epidemiological context. Lancet 1990;335:827-38. Gueyffier F et al. New meta-analysis of treatment trials of hypertension: improving the estimate of therapeutic benefit. J Hum Hypertens 1996;10:1-8. 7. 8. Insua JT et al. Drug treatment of hypertension in the elderly: a meta-analysis. Ann Intern Med 1994;121:355-62. MacMahon S, Rogers A. The effects of blood pressure reduction in older patients: an overview of five randomized controlled trials in elderly hypertensives. Clin Exp Hypertens 1993;15:967-78. Mulrow CD et al. Hypertension in the elderly: implications and generalizability of randomized trials. JAMA 1994;272:1932-8. Thijs L et al. A meta-analysis of outcome trials in elderly hypertensives. J Hypertens 1992;10:1103-9. Mulrow C et al. Antihypertensive drug therapy in the elderly [Cochrane Review]. In: The Cochrane Library; Issue 3, 1998. Oxford: Update Software. Psaty BM et al. Health outcomes associated with antihypertensive therapies used as first-line agents. A systmatic review and meta-analysis. JAMA 1997;277:739-45. Obiezioni, critiche e rilievi allo studio 34 trattamento mostra di essere un fattore molto importante perché sia raggiunto questo obiettivo. Risposta degli Autori Pur apprezzando la lettera, non ne condividono le conclusioni. I medici, prima di scegliere un farmaco sulla base della compliance, dovrebbero porsi due domande: che probabilità ci sono che si verifichi realmente una differenza della compliance? E se una differenza esiste qual è la sua importanza e può riflettersi in differenze di morbilità o mortalità? La risposta a entrambe le domande è negativa. Per quanto concerne il primo quesito, due studi suggeriscono l’ipotesi che la compliance sia migliore con le nuove classi di farmaci rispetto a quelle meno recenti (3,5), altri due studi (2,6) dimostrano invece che non esistono differenze. I quattro studi sono osservazionali e sono soggetti a bias. Invece uno studio in doppio cieco randomizzato e controllato ha dimostrato un minor numero di interruzioni con i farmaci meno recenti, tiazidi e beta-bloccanti; il che evidenzia che è altamente improbabile una più bassa compliance con tali farmaci (7). Per quanto concerne il secondo quesito, nello studio di Caro et al. (5), gli autori della lettera, la più ampia differenza assoluta nella non adesione alla terapia si è avuta tra tiazidi ed ACEinibitori: 9% a 6 mesi e 13% a 4,5 anni. E’ possibile che questa differen- za, piuttosto modesta, nella compliance determini una differenza nella morbilità e mortalità? Si ritiene che ciò sia altamente improbabile, e tutt’al più dovrebbe essere condotto uno studio randomizzato ad hoc per rispondere al quesito. E’ importante che i medici non cadano nell’inganno pensando che gli studi osservazionali che misurano la compliance siano più importanti di studi clinici controllati disegnati per valutare eventi di rilevanza ben maggiore sul piano clinico. Bibliografia In una lettera inviata all’Editore (1) si sostiene che gli autori della revisione sistematica si erano prefissati di presentare le evidenze raggiunte in tema di terapia antipertensiva, con lo scopo di aiutare i medici nella scelta iniziale del trattamento più idoneo, ma tale obiettivo non è stato raggiunto in quanto l’interesse dello studio si è limitato esclusivamente a dati degli studi clinici. Più precisamente, anche se Wright et al. hanno puntualizzato l’importanza delle decisioni sulla base dei risultati più probanti conseguiti, si sono dimenticati di ricordare ai medici che l’efficacia reale di una terapia antipertensiva dipende in larga misura dal rispetto e dalla adesione dei pazienti alla terapia prescritta (compliance). Su questo particolare problema sono stati condotti studi che hanno evidenziato l’esistenza di difficoltà nel mantenimento di schemi terapeutici prefissati, specie quando sono stati utilizzati, quali terapie iniziali, farmaci di più vecchia data, come diuretici e beta-bloccanti (2-5). Di conseguenza, concludere come hanno fatto gli autori della meta-analisi, che i medici dovrebbero scegliere, in assenza di controindicazioni, un diuretico tiazidico, significa ignorare del tutto l’evidenza disponibile. Se l’obiettivo ultimo della terapia antipertensiva è di controllare l’ipertensione ed evitare eventi cardiovascolari, allora i medici dovrebbero tenere conto di tutte le evidenze disponibili. Una terapia antipertensiva è efficace solamente se un paziente persevera nella terapia, e la scelta iniziale di un 1. Caro JJ, Payne K. Real-world effectiveness of antihypertensive drugs. CMAJ 2000;162:190-1. 2. Jones JK et al. Discontinuation of and changes in treatment after start of new courses of antihypertensive drugs: a study of a United Kingdom population. BMJ 1995;311:293-5. 3. Monane M et al. The effects of initial drug choice and comorbidity on antihypertensive therapy compliance: results from a population-based study in the elderly. Am J Hypertens 1997;107:697-704. 4. Caro JJ et al. Persistence with treatment for hypertension in actual practice. CMAJ 1999;160:31-7. 5. Caro JJ et al. Effect of initial drug choice on persistence with antihypertensive therapy: the importance of actual practice data. CMAJ 1999;160:41-6. 6. Hamilton RA, Briceland LL. Use of prescription-refill records to assess patient compliance. Am J Hosp Pharm 1992;49:1691-6. 7. Philipp T et al. Randomized double blind, multicentre comparison of hydrochlorothiazide, atenolol, nitrendipine and enalapril in antihypertensive treatment: results of the HANE study. BMJ 1997;315:154-9. BIF Mar-Apr 2000 - N. 2 DALLA SPERIMENTAZIONE ALLA PRATICA CLINICA BIF Mar-Apr 2000 - N. 2 1. Study Group on Long-term Antihypertensive Therapy. A 12-month comparison of ACE inhibitor and CA antagonist therapy in mild to moderate essential hypertension - The GLANT Study. Hypertens Res 1995;18:235-44. 2. Joint National Committee on Prevention, Detection, Evaluation, and Treatment of High Blood Pressure. The Sixth Report of the Joint National Commmittee on Prevention, Detection, Evaluation, and Treatment of High Blood Pressure. Arch Intern Med 1997;157:2413-46. Post-fazione ACP Journal Club è una rivista bimestrale pubblicata da American College of Physicians-American Society of Internal Medicine. Nel numero di gennaio/febbraio 2000 (vol. 132 n. 3) lo studio “Systematic review of antihypertensive therapies: does the evidence assist in choosing a first-line drug?” di Wright, Lee e Chambers è stato sottoposto a valutazione, con un commento finale di seguito riportato. “Molti studi di ampie dimensioni hanno evidenziato che i diuretici tiazidici a basse dosi sono efficaci nel trattamento antipertensivo sia dopo sperimentazione clinica che nella pratica reale. Alcune linee guida nazionali, tra cui US Joint National Committee on the Prevention, Detection, and Evaluation and Treatment of Hypertension (1), hanno raccomandato le tiazidi come terapia antipertensiva di prima linea. Tuttavia, nella pratica, l’impiego delle tiazidi è nettamente inferiore rispetto agli antipertensivi più recenti, anche se l’efficacia di questi ultimi è peggio documentata. Purtroppo, sono stati eseguiti pochi confronti diretti tra differenti classi di farmaci utilizzati nel trattamento dell’ipertensione. Gli unici riguardano due gruppi di antipertensivi, tiazidi vs beta-bloccanti, attuati in uno studio. Un confronto fra più recenti classi di farmaci è attualmente in fase di realizzazione, nello studio ALLHAT (2), ed è stato progettato con l’obiettivo di confrontare mortalità ed eventi cardiovacolari in gruppi di pazienti ipertesi, relativamente ad alto rischio, trattati con un tiazidico, un calcio antagonista, un ACE-inibitore, un alfa-litico. Questo studio, di ampie dimensioni, con 42.451 pazienti, è parzialmente completato e i risultati finali sono attesi entro 2-3 anni (vedi rubrica “Aggiornamenti” in questo numero del BIF). Nel frattempo, i medici che cosa dovrebbero fare? Come è stato concluso in questa e in altre revisioni sistematiche (usando talvolta metodi differenti), i tiazidici a basse dosi dovrebbero costituire la prima linea di trattamento dell’ipertensione. Tale trattamento riduce non solo il rischio di ictus ma anche di altra morbilità e mortalità cardiovascolare. Le tiazidi sono farmaci poco costosi con la più forte dimostrazione di efficacia osservata mediante studi sull’ipertensione”. Bibliografia Risposta degli Autori I contenuti di questa seconda lettera non sono condivisi, mentre si ribadisce che le conclusioni della revisione sistematica sono fondate. La prima affermazione delle conclusioni dello studio: “la terapia con diuretici tiazidici a basse dosi può essere prescritta quale trattamento di prima scelta a pazienti con ipertensione con la certezza che è efficace nel ridurre il rischio di mortalità, ictus e malattia coronarica” è giustificata dalla significatività statistica (intervalli di confidenza al 95%) della riduzione di tali eventi raggiunta con i diuretici, come si può osservare in Tabella 1. La seconda affermazione: “la stessa cosa non si può dire per la terapia con tiazidi ad alte dosi, beta-bloccanti, calcio antagonisti e ACE-inibitori” si fonda sul fatto che una riduzione statisticamente significativa dei tre esiti non è stata evidenziata con le tiazidi ad alte dosi, con i beta-bloccanti e con i calcio antagonisti (in Tabella 1, gli intervalli di confidenza comprendono il valore 1). E neppure è stato dimostrato con gli ACE-inibitori o qualsiasi altra classe di farmaci, in quanto non sono stati valutati con studi in grado di soddisfare i criteri fissati dalla revisione sistematica. Non è possibile pertanto prescrivere queste altre classi di farmaci considerandole di prima scelta con la certezza che siano in grado di ridurre ognuno dei tre esiti avversi esaminati. Gli autori della revisione sistematica affermano poi di non avere concluso, come ventilato dall’autore della seconda lettera (1), che solo le tiazidi a basso dosaggio siano in grado di prevenire la morte e la morbilità cardiovascolare, e di non essere giunti ad alcuna conclusione, diversamente da quanto affermato dall’autore della lettera, circa l’efficacia relativa delle tiazidi a basse dosi e di altre classi di farmaci. L’evidenza disponibile farmaco vs farmaco è insufficiente per giudizi conclusivi circa l’efficacia relativa delle diverse classi di antipertensivi. Ciò che è stato dimostrato dalla revisione sistematica è che l’utilizzo delle tiazidi quale terapia di prima scelta si dimostra correlato a una maggiore riduzione della pressione sistolica e a una minore percentuale di interruzioni per effetti avversi rispetto a quanto è osservabile con alcune altre classi di farmaci antipertensivi. Il problema del vantaggio dei costi delle tiazidi non è stato considerato nella revisione, anche se non va sottovalutato (come è stato evidenziato dall’autore di questa seconda lettera). Bibliografia In una seconda lettera (1), si sostiene che, pur essendoci buone ragioni per scegliere una terapia a base di tiazidici – come il basso costo o la percentuale limitata di sospensioni per effetti avversi - i dati di efficacia non supportano le conclusioni degli autori che solo questo tipo di terapia a bassi dosaggi sia in grado di prevenire mortalità e morbilità di pazienti ipertesi. Dallo studio emerge infatti (v. Tabella 1) che non esistono sostanziali differenze tra tiazidi a basso dosaggio, tiazidi ad alto dosaggio e calcio antagonisti per quanto concerne mortalità (Rischio Relativo (RR) rispettivamente 0,89 - 0,90 - 0,86) o eventi cardiovascolari totali (RR rispettivamente 0,68 – 0,72 – 0,71). Si è osservata una riduzione minore del rischio con i beta-bloccanti che con le altre terapie, ma non vi è stata differenza significativa tra beta-bloccanti e tiazidi a basse dosi per quanto concerne la mortalità (RRR rispettivamente 1,01 e 0,89). Per i beta-bloccanti, la riduzione del rischio di eventi cardiovascolari totali non ha raggiunto la significatività statistica al 5% (RR 0,89 – IC 95%: 0,78÷1,02). Non esistono studi di confronto ACE-inibitori vs placebo, ma uno studio comparativo ACE-inibitori vs calcio antagonisti, citato dagli autori della revisione sistematica tra gli studi farmaco vs farmaco (2), ha evidenziato che gli ACE-inibitori sono almeno efficaci quanto i calcio antagonisti nel ridurre mortalità ed eventi cardiovascolari. In conclusione, l’autore della lettera ritiene che i dati della revisione sistematica dimostrino che la terapia tiazidica a basse o ad alte dosi, quella con calcio antagonisti e con ACE-inibitori siano ugualmente efficaci nel ridurre mortalità ed eventi cardiovascolari in pazienti ipertesi. 1. Joint National Committee on Prevention, Detection, Evaluation, and Treatment of High Blood Pressure. The Sixth Report of the Joint National Commmittee on Prevention, Detection, Evaluation, and Treatment of High Blood Pressure. Arch Intern Med 1997;157:2413-46. 2. Davis BR et al. Rationale and design for the Antihypertensive and Lipid Lowering Treatment to Prevent Heart Attack Trial (ALLHAT). ALLHAT Research Group. Am J Hypertens 1996;9:342-60. 35 ABC DEGLI STUDI CLINICI Osservazioni Modello di sperimentazione 1. Non controllata Il trattamento sperimentale viene assegnato a tutti i pazienti eligibili consecutivamente osservati. Non c’è un confronto diretto con un gruppo di pazienti trattati in altro modo. Gli effetti del trattamento sperimentale sono valutati in base al confronto con il decorso della malattia trattata con terapia standard, che si ritiene ben noto. 2. Controllata, non randomizzata 2.1. Con controlli paralleli 2.2. Con controlli storici 2.3. Con controlli da banche dati Il trattamento sperimentale viene assegnato a tutti o a una parte dei pazienti eligibili consecutivamente osservati. C’è un gruppo di pazienti trattati in altro modo, arruolati con procedure diverse (v. 2.1, 2.2 e 2.3), che servono come controlli. Rimane incerta la comparabilità fra i pazienti che ricevono il trattamento sperimentale e i controlli. 3. Controllata e randomizzata RCT (*) 3.1. Aspetti metodologici 3.2. Aspetti etici 3.3. Note per l’interpretazione degli RCTs Il trattamento sperimentale viene assegnato a una parte dei pazienti eligibili consecutivamente osservati (di solito attorno al 50%). Gli altri vengono trattati in altro modo e servono come controlli. L’assegnazione dei trattamenti è fatta mediante un sistema di sorteggio che favorisce la comparabilità fra i gruppi. 4. Meta-analisi È una tecnica clinico-statistica di assemblaggio di sperimentazioni multiple di uno stesso trattamento (quasi sempre di RCTs) che consente una valutazione quantitativa cumulativa dei loro risultati. (*) RCT: Randomized Controlled Trial 4. Meta-analisi 4.1. Meta-analisi: che cos’è e perché è utile saperla interpretare La meta-analisi è una tecnica clinico-statistica, che consente di assemblare i risultati di più trial di uno stesso trattamento in un unico risultato cumulativo. Le ragioni principali per cui è opportuno che i medici siano in grado di interpretare e di valutare criticamente una meta-analisi sono almeno tre. 1) L’efficacia di molti trattamenti (malattie gravi o diffuse, trattamenti innovativi o ritenuti tali) viene valutata da più trial (spesso parecchie decine: v. Tabella 1), cosa che ne rende indispensabile un resoconto sintetico se si vuole che la pratica della medicina sia basata sui risultati della ricerca clinica (evidence-based medicine). Una iniziativa finalizzata a soddisfare questa esigenza è la Cochrane Collaboration. È questo un mega-network internazionale non-profit costituito da numerosi gruppi collaborativi che producono e diffondono meta-analisi di trattamenti relativi a specifici problemi sanitari (1). Le meta-analisi della Cochrane Collaboration raccolte nella Cochrane Library e disponibili su Internet (indirizzo del sito www.cochrane.org) sono parecchie centinaia, e altre ne vengono continuamente prodotte. Sono 36 elaborate con criteri metodologici rigorosi: ognuna di esse deve essere preceduta dall’approvazione, ad opera di esperti, del protocollo di ricerca (peer review). La Figura 1 mostra come sia aumentato nel corso di dieci anni (dal 1987 al 1996) il numero di pubblicazioni inerenti meta-analisi (2). Figura 1. Numero di lavori scientifici riguardanti metaanalisi pubblicati tra il 1987 e il 1996 (dalla voce bibl. 2, modificata) BIF Gen-Feb 2000 - N. 1 ABC DEGLI STUDI CLINICI La figura 2 mostra il logo scelto dalla Cochrane Collaboration, ovvero lo schema grafico utilizzato più frequentemente per la rappresentazione di metaanalisi. 2) Il numero di meta-analisi che vengono pubblicate è crescente in tutti i campi della patologia, ed è oggi inverosimile che un medico che legga articoli scientifici non si trovi a dover interpretare il resoconto di una meta-analisi. 3) Secondo la medicina basata sull’evidenza le metaanalisi di trial randomizzati, sono, insieme ai trial ben disegnati, le prove più valide dell’efficacia (o della non efficacia) dei trattamenti. Costituiscono pertanto le basi più affidabili per raccomandazioni terapeutiche (Tabella 2, dalla voce bibl. 7). Nella Tabella 2 sono riportati i gradi di “forza” delle raccomandazioni, in ordine decrescente da A a C. La “forza” delle raccomandazioni deriva a sua volta dalla validità delle prove di efficacia degli interventi terapeutici a cui la raccomandazione si riferisce. I livelli di validità delle prove di efficacia sono classificati, in ordine decrescente, all’interno di ognuno dei gradi di raccomandazione. Una meta-analisi è basata su una sequenza di operazioni, schematizzate nella Tabella 3. Figura 2. Logo della Cochrane Collaboration 4.2. Meta-analisi: presentazione grafica e interpretazione dei risultati Negli articoli che presentano meta-analisi, compresi quelli su Internet della Cochrane Collaboration, si fa largo uso di illustrazioni grafiche, assai efficaci per una prima interpretazione della meta-analisi. Lo schema grafico usato più spesso è quello riprodotto nelle Figure 3 – 5, relative ad altrettanti esempi di meta-analisi. In esse, sono riportate sulla linea orizzontale le differenze fra l’incidenza di eventi nei pazienti che ricevono la terapia sperimentale e quella nei controlli (emorragia da varici nel primo e nel terzo esempio; mortalità nel secondo); al centro della linea orizzontale è segnata la differenza zero, che indica l’equivalenza fra i due trattamenti. I risultati dei singoli trial e della loro combinazione (overall), con i rispettivi intervalli di confidenza, sono ordinati perpendicolarmente alla linea verticale di equivalenza. A destra di ognuno dei trial e della loro combinazione sono segnate le corrispondenti differenze e, in parentesi, i loro intervalli di confidenza. Nelle figure, a) le differenze con segno negativo (a sinistra della verticale di equivalenza) indicano una più alta incidenza di eventi nei controlli, e pertanto un vantaggio terapeutico del trattamento sperimentale; b) le figure illustrano chiaramente l’eventuale eterogeneità qualitativa inter-trial, quando alcune delle differenze relative ai singoli trial sono a sinistra della verticale di equivalenza, e altre a destra, specie se i rispettivi intervalli di confidenza sono per lungo tratto non sovrapposti (v. Figura 5); c) la precisione e la riproducibilità della misura dell’effetto terapeutico sono inversamente proporzionali all’ampiezza dell’intervallo di confidenza, e d) l’effetto terapeutico non è statisticamente significativo se l’intervallo di confidenza attraversa la linea di equivalenza. Secondo queste indicazioni, i tre esempi delle figure possono essere interpretati come segue. La Figura 3 (dalla voce bibl. 5; dati aggiornati con trial successivi) mostra i risultati di 10 trial randomizzati sul- Tabella 1. Numero di RCTs di alcuni trattamenti Trattamento Interferone alfa Trombolisi con streptochinasi Profilassi antibiotica Scleroterapia endoscopica Ac. Aminosalicilico BIF Mar-Apr 2000 - N. 2 Applicazione N. di RCTs (voce bibl.) Epatite cronica C 66 (3) Infarto miocardico acuto 33 (4) Chirurgia colorettale 21 (4) Varici esofagee nella cirrosi per la prevenzione della prima emorragia 19 (5) Colite ulcerosa, per indurre una remissione 19 (6) 37 ABC DEGLI STUDI CLINICI Tabella 2. Gradi di raccomandazione (A-C) e livelli di evidenza (1-5) Tipi di studi da cui si è ottenuta l’evidenza Grado A Livello 1a • Megatrial (large RCTs); o meta-analisi di più RCTs che abbiano un numero cumulativo di dati almeno pari a quelli di un megatrial. Livello 1b • Almeno uno studio di coorte di qualità elevata, nel quale ebbero un esito sfavorevole tutti i pazienti trattati con terapia convenzionale mentre ebbero esito favorevole una parte dei pazienti trattati con la nuova terapia; oppure nel quale ebbero un esito sfavorevole molti dei pazienti trattati con terapia convenzionale, e nessuno di quelli trattati con la nuova terapia. Livello 1c • Almeno un RCT con numero di pazienti medio, o una meta-analisi di piccoli RCTs con un numero cumulativo di pazienti non elevato. Livello 1d • Almeno un RCT (non specificate le caratteristiche). Grado B Livello 2 • Almeno uno studio di qualità elevata, non randomizzato, di coorti che ricevevano e (rispettivamente) non ricevevano la nuova terapia. Livello 3 • Almeno uno studio caso-controllo di qualità elevata. Livello 4 • Almeno una serie di casi di qualità elevata. Grado C Livello 5 • Opinioni di esperti, senza riferimento a una delle evidenze precedenti (cioè su base fisiopatologica, ricerca non clinica [bench research] o principi generali). Tabella 3. Sequenza di operazioni di una meta-analisi 1. Definizione di un obiettivo (per esempio: nella trombosi venosa profonda, è efficace il trattamento con eparina a basso peso molecolare, o sarà necessario un trattamento con eparina non frazionata in infusione continua [8]?). 2. Definizione di criteri di inclusione ed esclusione dei trial (per esempio, si possono escludere trial che non valutano un end point che rientra nell’obiettivo della meta-analisi). 3. Ricerca dei trial di interesse, il più possibile esaustiva. 4. Analisi critica dei trial che, in base ai criteri in precedenza definiti, sono stati inclusi nella meta-analisi (caratteristiche dei pazienti, modalità di somministrazione del trattamento, end point, follow up, qualità metodologica). Di particolare interesse è la ricerca di una eventuale eterogeneità qualitativa inter-trial, cioè con trial che dimostrano un vantaggio terapeutico del trattamento sperimentale e altri che dimostrano un vantaggio terapeutico del trattamento di controllo. 5. Se i trial sono simili per caratteristiche cliniche e senza eterogeneità significativa, combinazione dei risultati dei trial (pooling), spesso presentata anche in forma grafica. 6. Interpretazione, che tiene conto di eventuale eterogeneità inter-trial e del pooling (differenza fra i trattamenti, sua significatività statistica, sua entità). 38 BIF Mar-Apr 2000 - N. 2 ABC DEGLI STUDI CLINICI l’uso di beta-bloccanti contro trattamento non attivo per la prevenzione delle emorragie da varici nella cirrosi. • Non c’è eterogeneità qualitativa inter-trial; nessuno dei trial ha risultati favorevoli ai controlli: nessuna delle differenze dei singoli trial è a destra della verticale di equivalenza . • Sono significativi a favore del trattamento i risultati di 3 singoli trial (il 3°, il 6° e il 7°): gli intervalli di confidenza non attraversano la linea di equivalenza. • E’ significativa a favore del trattamento la combinazione dei trial (overall). Figura 3. Beta-bloccanti per la prevenzione delle emorragie da varici esofagee nella cirrosi. Differenze fra incidenza di emorragie nei pazienti trattati con beta-bloccanti e nei controlli non trattati [EER – CER]; le differenze dei singoli trial e della loro combinazione (overall) sono riportate a destra del grafico; in parentesi i rispettivi intervalli di confidenza. La Figura 4 (dalla voce bibl. 9; dati aggiornati con il successivo trial CLIP, [10]) mostra i risultati di 5 trial randomizzati sull’uso di tamoxifene contro trattamento non attivo nel carcinoma epatocellulare. L’evento considerato è la mortalità. • I trial sono assai diversi per numerosità di pazienti, come mostra la differente ampiezza degli intervalli di confidenza; non c’è una vera eterogeneità; la differenza relativa di un solo trial (CLIP, il più numeroso) è appena a destra della verticale di equivalenza, ma ad essa vicinissima. • E’ significativo a favore del trattamento il risultato di un singolo trial (il 3°). • La combinazione dei trial mostra che non c’è differenza fra tamoxifene e trattamento non attivo. La Figura 5 (dalla voce bibl. 5; dati aggiornati con trial successivi) mostra i risultati di 21 trial randomizzati di scleroterapia endoscopica contro trattamento non attivo per la prevenzione delle emorragie da varici nella cirrosi. • La caratteristica principale è l’eterogeneità qualitativa inter-trial: 4 trial (17°, 18°, 20° e 21°) hanno risultati sfavorevoli al trattamento, e due di essi raggiungono la significatività statistica. • Questi trial negativi sono disposti nella parte più bassa della figura; invece, i trial presentati nella parte alta della figura hanno risultati favorevoli al trattamento, significativi in sette. Quelli nella parte intermedia tendono all’equivalenza. BIF Mar-Apr 2000 - N. 2 • In presenza di una eterogeneità così forte la combinazione in un’unica misura dei risultati dei trial (pooling), benché statisticamente significativa a favore del trattamento, sarebbe clinicamente inappropriata. Applicato nella pratica corrente, il trattamento potrebbe esporre una parte dei pazienti agli effetti sfavorevoli osservati nei trial negativi. Figura 4. Tamoxifene per il trattamento del carcinoma epatocellulare. Differenze fra mortalità nei pazienti trattati con tamoxifene e mortalità nei controlli non trattati [EER – CER]; le differenze dei singoli trial e della loro combinazione (overall) sono riportate a destra del grafico; tra parentesi i rispettivi intervalli di confidenza. 39 ABC DEGLI STUDI CLINICI Figura 5. Scleroterapia endoscopica per la prevenzione delle emorragie da varici esofagee nella cirrosi. Differenze fra incidenza di emorragie nei pazienti trattati con scleroterapia e nei controlli non trattati [EER – CER]; le differenze dei singoli trial e della loro combinazione (overall) sono riportate a destra del grafico; tra parentesi i rispettivi intervalli di confidenza. I trial sono in ordine decrescente dall’alto in basso secondo l’incidenza di emorragie nei controlli. • La figura è costruita disponendo i trial in ordine decrescente secondo l’incidenza di emorragie nei controlli non trattati: dato che i trial sono randomizzati, tale incidenza equivale al rischio di base dei pazienti dei trial (trattati e controlli). I risultati (favorevoli per i trial disposti nella parte più alta della figura, indifferenti nella parte media, negativi nella parte inferiore) sono coerenti con l’ipotesi, avanzata nell’articolo, che gli effetti del trattamento siano correlati all’entità del rischio di base; potrebbero essere giustificati pertanto studi successivi in pazienti ad alto rischio. L’esempio di quest’ultima meta-analisi suggerisce che in presenza di chiara eterogeneità qualitativa intertrial non è appropriato combinare gli effetti terapeutici dei singoli trial in un’unica misura di efficacia; è preferibile formulare e cercare di verificare ipotesi sulle cause di eterogeneità, possibile punto di partenza per ricerche successive (11). Il differente rischio di base nei trial di una meta-analisi è causa non rara di eterogeneità (5, 12). Un altro esempio è quello dell’endoarteriectomia carotidea, che ha ridotto l’incidenza di ictus nei trial con elevata incidenza DA RICORDARE ➢ Le meta-analisi di studi terapeutici sono generalmente usate per stimare l’efficacia di un trattamento combinando più trial randomizzati. Sono necessarie quando, come spesso accade, lo stesso trattamento è valutato in un gran numero di trial. ➢ Le meta-analisi sono attualmente considerate, insieme ai mega-trial, come uno degli strumenti più accurati per misurare l’efficacia dei trattamenti. Tuttavia, meta-analisi di pochi trial e con un piccolo numero totale di pazienti sono inaffidabili e poco riproducibili. ➢ La valutazione di una meta-analisi deve tener conto di elementi clinici (caratteristiche dei pazienti e delle modalità dei trattamenti; altro) e statistici (eterogeneità, pooling). ➢ La valutazione di una meta-analisi è facilitata da un preliminare esame dei grafici di presentazione, in particolare degli intervalli di confidenza delle misure di efficacia dei singoli trial e (quando il pooling è appropriato) della loro combinazione. ➢ La valutazione di una meta-analisi dovrebbe dar luogo ad una sola conclusione rispetto a due alternative: a. i trial sono troppo eterogenei (per caratteristiche dei pazienti, per modalità di trattamento, per end point, per risultati) e pertanto sarebbe arbitrario giungere a una misura combinata dei loro risultati; b. i trial sono sufficientemente simili fra loro e consentono una misura globale di efficacia del trattamento, più precisa e riproducibile di quella di ognuno dei trial analizzati. 40 BIF Mar-Apr 2000 - N. 2 ABC DEGLI STUDI CLINICI di ictus nei controlli non trattati, ma è risultata inutile o dannosa nei trial con bassa incidenza di ictus nei controlli (13). In assenza di eterogeneità qualitativa, la combinazione dei risultati dei singoli trial in una meta-analisi fornisce una stima dell’efficacia del trattamento più precisa e stabile di quella di ognuno dei trial analizzati, perché basata su un numero maggiore di pazienti (nelle figure, questo è evidenziato dalla minore ampiezza dell’intervallo di confidenza). Due precauzioni di senso inverso sono opportune, relativamente alla valutazione del pooling: da una parte, meta-analisi che analizzano pochi trial o un limitato numero totale di pazienti sono poco affidabili, come dimostra il fatto che sono state più volte contraddette da mega-trial successivi (v. paragrafo seguente); dall’altra, essendo la potenza statistica delle meta-analisi molto elevata per l’alto numero di trial e di pazienti analizzati, anche effetti terapeutici clinicamente irrilevanti possono risultare statisticamente significativi (14). 4.3. Meta-analisi: criteri di validità Come i trial randomizzati, anche le meta-analisi possono essere condotte con metodo inappropriato e concludersi con risultati inattendibili. In linea di massima, per essere credibile una meta-analisi deve rispettare la sequenza di operazioni riportate nella Tabella 3. I criteri maggiori di validità (dalla voce bibl. 15, modificata) sono riportati nella Tabella 4 in forma di domande: le risposte affermative sono a sostegno della validità della meta-analisi; per alcune domande si è ritenuto opportuno un breve commento (in corsivo). Tabella 4. Criteri di validità di una meta-analisi 1. L’obiettivo della meta-analisi è ben definito ed è clinicamente rilevante? La miglior indicazione della rilevanza clinica di una meta-analisi è data ovviamente dalla sua capacità di dare risposta a un problema terapeutico. E’necessario riconoscere che certe meta-analisi riflettono invece più un interesse metodologico e biostatistico che reali esigenze cliniche (alcuni esempi sono fra le meta-analisi della Cochrane Collaboration). 2. E’ verosimile che la ricerca dei trial non sia esaustiva e abbia mancato l’identificazione di trial importanti? Questa domanda è destinata in molti casi a rimanere senza risposta; inoltre, come esposto nel BIF 1-2000 (v. 3.3.4. della rubrica “ABC degli studi clinici”), i trial con risultati negativi vengono pubblicati raramente, o sono pubblicati in ritardo e su riviste relativamente meno diffuse rispetto ai trial con risultati positivi. Si tratta di un meccanismo generale di esagerazione dei risultati delle sperimentazioni, che si riflette non solo sulla meta-analisi, ma anche sulla valutazione generale dell’efficacia dei trattamenti 3. I criteri di inclusione ed esclusione dei trial erano ragionevoli e coerenti con l’obiettivo? 4. Esiste un numero di trial del trattamento di interesse sufficiente per una meta-analisi credibile ed era il numero totale dei pazienti di tali trial ragionevolmente elevato? Questa domanda deriva dall’osservazione che meta-analisi basate su un ristretto numero di trial o su un ristretto numero di pazienti possono dar luogo a risultati poco attendibili, che non vengono successivamente confermati da mega-trial dello stesso trattamento (16-18). 5. Sono i trial analizzati sufficientemente simili per caratteristiche dei pazienti inclusi, modalità di trattamento, end point, follow up, rischio di base dell’end point esaminato? E’ intuitivo infatti che non è clinicamente sensato tentare di aggregare trial clinicamente disomogenei. 6. Sono i risultati dei trial non eterogenei, cioè tendono a indicare un beneficio terapeutico del trattamento sperimentale, senza risultati in chiara controtendenza? E’ questo uno dei punti più importanti per l’interpretazione di una meta-analisi. Esistono metodi per valutare se l’eterogeneità inter-trial è statisticamente significativa; questi metodi sono però poco sensibili, specie se i trial sono pochi, e non discriminano fra eterogeneità qualitativa (cioè nella direzione dell’effetto terapeutico) ed eterogeneità quantitativa (cioè nell’entità ma non nella direzione dell’effetto terapeutico). E’ opportuno perciò basarsi anche sull’analisi visiva di un grafico come quelli riprodotti nel paragrafo precedente: se la direzione dell’effetto terapeutico è nettamente in controtendenza in parecchi trial, e se gli intervalli dei trial tendono a non sovrapporsi fra loro, si può ritenere che ci sia una eterogeneità tanto grande da porre in dubbio la ragionevolezza di una sintesi cumulativa dei risultati dei singoli trial. BIF Mar-Apr 2000 - N. 2 41 Bibliografia NOTIZIE DAL DIPARTIMENTO 1. Bero LA, Rennie D. The Cochrane Collaboration. Preparing, maintaining and disseminating systematic reviews of the effects of health care. JAMA 1995;274:1935-8. 2. Egger M, Smith GD. Meta-analysis. Potentials and promise. BMJ 1997;315:1371-4. 3. Cammà C et al. Chronic hepatitis C and Interferon alpha: conventional and cumulative meta-analyses of randomized controlled trials. Am J Gastroenterol 1999;94: 581-95. 4. Lau J et al. Cumulative meta-analysis of clinical trials builds evidence for exemplary medical care. J Clin Epidemiol 1995;48:45-57. 5. Pagliaro L et al. Prevention of first bleeding in cirrhosis. A meta-analysis of randomized trials of non-surgical treatments. Ann Intern Med 1992;117:59-70. 6. Sutherland L et al. Oral Aminosalicylic acid for inducing remission in ulcerative colitis. In: Cochrane Collaboration. Cochrane Library Issue 3. Oxford: Update software 1999. 7. Yusuf S et al. eds. Evidence-Based Cardiology, London: BMJ Books, 1998:XXVI. 8. Gould MK et al. Low-molecular weight heparins compared with unfractionated heparin for treatment of acute deep vein thrombosis. 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C’è un abisso tra quello che si fa e quello che può essere fatto per dare sollievo ai malati con dolore. Esiste un percorso informativo e formativo che passa necessariamente attraverso la gestione del dolore da cancro per arrivare poi, sulla base di questa esperienza, ad ottenere un trattamento adeguato per tutti i tipi di dolore, oncologico e non, indipendentemente dalla loro origine e durata. E’ questo un banco di prova per qualsiasi nazione che vuole misurare la capacità di risposta del proprio Sistema Sanitario ad un problema che merita di essere affrontato in modo organico nell’interesse dei malati. L’OMS reputa infatti il consumo pro-capite di morfina un indicatore indipendente significativo della qualità delle cure offerte dal servizio sanitario di un determinato paese. La situazione italiana in questa materia è tutt’altro che soddisfacente. I dati di prescrizione di questi farmaci sono nettamente al di sotto della media europea. 42 Molti paesi della Comunità negli ultimi anni si sono adoperati per rivedere prescrizione e distribuzione di narcotici e per ottemperare agli accordi presi dai Governi membri nella Consensus Conference di Bruxelles 1992. Sono così state modificate le legislazioni di Francia, Germania, Spagna e inoltre i nostri vicini d’oltralpe hanno recentemente dato il via ad una campagna promossa dal loro Ministero della Sanità dal titolo “Ospedale senza Dolore”. Il risultato di questo lavoro ha portato ad un netto incremento dell’utilizzo di questi farmaci ottenendo così un migliore controllo del dolore da cancro. Anche l’Italia sta facendo i primi passi per valutare i limiti della situazione attuale, sia per quanto riguarda l’aspetto legislativo sia di formazione del personale sanitario sull’argomento, e per cercare di porvi i necessari correttivi. Presso il Dipartimento per la Valutazione dei Medicinali e la Farmacovigilanza del Ministero della Sanità è stato così istituito, su indicazione del Ministro, il Gruppo di lavoro-CUF sulla terapia del dolore cronico da cancro. I principali obiettivi che si stanno perseguendo sono tre: 1. definire le modifiche da apportare al Testo Unico delle Leggi Sanitarie in materia di disciplina delle sostanze stupefacenti (DPR 309/90), per favorire una più facile prescrizione di questi farmaci nel controllo del dolore grave; BIF Mar-Apr 2000 - N. 2 NOTIZIE DAL DIPARTIMENTO 2. colmare il divario tra necessità e disponibilità di farmaci analgesici essenziali presenti sul mercato, cercando inoltre di porre a carico del Servizio Sanitario, e non del cittadino, i farmaci più usati ed efficaci; 3. definire un modello di formazione unitario per tutti gli operatori sanitari del nostro paese, proponendo gli strumenti per acquisire competenze specifiche comuni nel trattamento del dolore e promuovendo parimenti campagne informative rivolte a malati e cittadini. Il lavoro del Gruppo, iniziato nella primavera dell’anno scorso, è progredito abbastanza rapidamente ed è ipotizzabile che nel prossimo futuro si comincino già a vedere i primi frutti di questo faticoso e difficile cammino. Al momento, nell’attesa della modifica della legge, si è provveduto a cambiare il confezionamento delle fiale di morfina, che saranno d’ora in poi prodotte e vendute in confezione singola, in modo tale da evitare al medico e al farmacista il problema posto dall’impossibilità dello sconfezionamento. Le scatole di morfina (come tutte le specialità), infatti, non potranno più essere aperte qualora il numero di fiale da consegnare per ogni singola prescrizione non sia un multiplo di quelle contenute in ogni singola confezione. Sarà presto disponibile sul mercato una confezione del farmaco in forma di sciroppo, attualmente ancora assente. Si ipotizza di produrre e distribuire, con la collaborazione dell’Industria Farmaceutica o in alternativa dello Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare, per alcune sostanze o confezionamenti (attraverso un accordo ad hoc per questo obiettivo), i principali farmaci per il trattamento del dolore nelle formulazioni più utilizzate. Saranno poi presto disponibili, a totale carico del Servizio Sanitario Nazionale, a seguito di uno specifico provvedimento della CUF in via di definizione, i farmaci e le confezioni essenziali per il trattamento del dolore da moderato a severo. Si implementeranno così le risorse poste a disposizione dei medici che già attualmente possono prescrivere con nota (la nota 66) i farmaci analgesici non steroidei ai malati di cancro. Si sta ipotizzando, inoltre, di organizzare una giornata nazionale di informazione dei cittadini, dei malati e di tutti gli operatori sanitari su questo tema, con l’aiuto della stampa e dei mezzi di informazione, che possa servire come momento di apertura di un programma BIF Mar-Apr 2000 - N. 2 volto a implementare le conoscenze e l’attenzione al problema dolore su tutto il territorio nazionale. Si chiederà infatti su questo specifico obiettivo la collaborazione di tutte le Regioni italiane, per diffondere l’informazione e per stimolare processi di aggiornamento per tutti i sanitari. Questo stesso bollettino ospiterà presto un numero monografico sul dolore, con le proposte e i provvedimenti che si sono studiati per affrontare il problema, dalle modifiche della legge fino alla disponibilità di farmaci e al progetto relativo all’informazione e alla formazione. Si vorrebbe infatti che tutti gli operatori della Sanità, da una parte, venissero informati in dettaglio del lavoro che si sta facendo al Ministero e, dall’altra, disponessero di notizie di prima mano sui cambiamenti in atto. Il Gruppo che attualmente sta lavorando al Ministero è, se così si può dire, un Gruppo di lavoro inter-forze: comprende, infatti, medici e farmacisti universitari e ospedalieri, medici di famiglia, funzionari e legislatori. Esso sta faticosamente, ma con determinazione, cercando di perseguire gli obiettivi sopra indicati. E’ un’alchimia insolita quella che sta avvenendo negli ultimi tempi al Ministero, su questo come su altri argomenti. Il vincere i contrasti tra burocrazia istituzionale e cultura scientifica, tra dettami legislativi e necessità impellenti per chi giornalmente è a contatto con i malati è una ricetta nuova non ancora tentata. L’avere a cuore veramente i bisogni reali dei pazienti, il possedere l’umiltà e la capacità di condividere i percorsi, di preconizzare le difficoltà e di affrontarle insieme può aprire la strada ad un’epoca nuova, che porti ad una sanità più efficace, qualificata e rispettosa del cittadino, del malato, della sua famiglia e dei loro bisogni. Il dolore da cancro sarà sicuramente un buon banco di prova, proprio per le difficoltà che si sono dovute affrontare e si stanno affrontando per riuscire a dare risposte in chiave organica e integrata ai tanti problemi che esso comporta. Il modello proposto per affrontarle e risolverle, se funzionerà in modo efficace, come sembra stia avvenendo, sarà sicuramente esportabile ad altre realtà e ad altri contesti in modo proficuo, senza dimenticare mai come gli uomini siano attori sostanziali nel produrre buone o cattive risposte ai problemi. 43 COME PRESCRIVERE Medicinali utilizzati in ambito nosocomiale e non inclusi nel Prontuario Terapeutico Ospedaliero Da un medico ospedaliero riceviamo questa lettera: Leggo sul Bollettino d’Informazione sui Farmaci n. 5-6/99 la risposta ad un medico di medicina generale che chiedeva se fosse corretto da parte sua prescrivere farmaci da acquistare presso farmacie aperte al pubblico, a chi è ricoverato in ospedale. I principi generali sono ovvi e condivisibili. Ma la domanda e la risposta sono troppo generiche e non rispecchiano il reale motivo per cui vengono fatte tali richieste dai medici ospedalieri. Il motivo più frequente è la non corrispondenza tra i farmaci disponibili al pubblico nelle farmacie e, quindi, per il medico di medicina generale e quelli del Prontuario Terapeutico Ospedaliero (PTO), che in molte aziende, per motivi di razionalizzazione della spesa, è stato fortemente ridotto. Naturalmente le classi di farmaci utili sono tutte presenti, ma talvolta ciò non è sufficiente ……… Il Prontuario Terapeutico Ospedaliero (PTO) è un elenco di medicinali classificati per categorie terapeutiche che, pur comprendendo soltanto una parte dei prodotti reperibili in commercio, ne pone a disposizione del medico curante in ospedale una dotazione tale da corrispondere, nel modo più completo, a quanto necessario per garantire un’efficace attività di diagnosi, cura e riabilitazione. Il PTO nasce infatti dalla collaborazione tra specialisti dei diversi campi della terapia, nel rispetto di determinati criteri di selezione dei farmaci da utilizzare, e si propone come strumento dinamico, nel senso che è sottoposto a periodici aggiornamenti affinché si adegui con tempestività allo sviluppo di nuove conoscenze farmacologiche e terapeutiche. È evidente che, nel caso di medicinali ad attività equivalente di una classe terapeutica, la selezione di un numero di composti limitato (ma tale da garantire la possibilità della più ampia scelta tra 44 composti aventi differenti proprietà farmacologiche e/o tossicologiche), ha come finalità l’ottimizzazione della spesa farmaceutica; inoltre allo stesso obiettivo mira l’inserimento in PTO di un numero non eccessivo di confezioni con dosaggi diversi dello stesso medicinale, salvo che non esistano motivazioni specifiche soprattutto per quanto riguarda i necessari dosaggi specialistici. Ma è altrettanto vero che tali selezioni sono funzionali alla facilitazione della prescrizione e all’utilizzo, da parte dei medici, dei tanti medicinali in commercio. L’utilità del PTO, specie se i farmaci in esso riportati sono accompagnati da informazioni e dati che ne facilitano l’impiego, è ormai universalmente riconosciuta a livello internazionale. Non esiste ospedale di paesi latini o anglosassoni che non disponga di tale strumento. Pur in presenza di un PTO predisposto ed aggiornato con competenza e tempestività, può talora verificarsi l’esigenza di utilizzare farmaci non inclusi per un particolare tipo di malattia o per singolo paziente. In tale evenienza, la prescrizione di farmaci non compresi nel PTO deve essere liberamente consentita al medico che la giudichi necessaria, purché ne dia giustificazione ad apposita commissione (di solito alla Commissione Terapeutica Ospedaliera). Comunque, come si sottolineava nel BIF 5-6/99, pag. 43, per i medicinali da utilizzarsi in ambito nosocomiale (o negli ambulatori ospedalieri, distrettuali o in altre strutture che l’Azienda gestisce in modo diretto) non è consentito ricorrere al modulo regionale per acquisirli presso le farmacie aperte al pubblico. Si ribadisce che un comportamento non conforme a tale principio può configurare un illecito nella persona o struttura che attiva e permette l’attuazione di tale procedura e può arrecare sensibili danni economici alla struttura pubblica e sottopone il paziente ad un onere indebito BIF Mar-Apr 2000 - N. 2 FARMACOUTILIZZAZIONE Il mercato farmaceutico mondiale nel 1999 L’IMS Health (sito Internet www.imshealth.com) riferisce che, nel mercato farmaceutico mondiale, le vendite attraverso le farmacie aperte al pubblico hanno presentato nel 1999 un incremento del 10%. Il mercato mondiale continua ad essere trainato dalle imponenti vendite del Nord America che, nel periodo gennaio - dicembre 1999, sono salite a 90,8 miliardi di dollari, a un tasso di crescita del 16%. Relativamente all’Europa, i primi 5 mercati considerati globalmente, determinano una spesa di quasi 54 miliardi di dollari: la Germania rimane il primo mercato con 15,7 miliardi di dollari ed un incremento delle vendite del 6% rispetto all’anno precedente. L’Italia rappresenta il quinto mercato mondiale e il terzo europeo, con vendite per 9,4 miliardi di dollari e un incremento del 9% rispetto all’anno precedente; tale incremento è risultato superiore a quello europeo, che nel periodo di riferimento è stato del 7%. Il Giappone ha realizzato un fatturato di 47,6 miliardi di dollari, che però comprende sia le vendite delle farmacie sia quelle effettuate dagli ospedali. Anche Australia e Nuova Zelanda fanno registrare una crescita significativa nel 1999 rispetto al 1998 (+12%), mentre il mercato sudamericano (Messico, Brasile e Argentina) subisce una diminuzione dell’8%. La Tabella 1 riporta le vendite dei primi 12 mercati farmaceutici nel 1999, valutate complessivamente in oltre 207 miliardi di dollari. Le principali classi terapeutiche Complessivamente, nei Paesi sopra riportati, l’IMS Health identifica 16 classi terapeutiche leader. Tra le aree terapeutiche trainanti, i farmaci attivi sul sistema muscolo scheletrico hanno fatto registrare il più alto incremento nelle vendite (+19%), seguiti dai citostatici (+13%), dai farmaci per il sistema nervoso centrale (+13%) e da quelli attivi sul sangue e a livello emopoietico (+12%). I cardiovascolari si confermano come la categoria di farmaci a maggiore incidenza di spesa, valutata in 40,8 miliardi di dollari, seguiti dai farmaci attivi a livello dell’apparato gastrointestinale/metabolismo e del sistema nervoso centrale. Tabella 1. Vendite dei primi 12 mercati farmaceutici nel 1999 PAESE VENDITE 1999 (miliardi di dollari) INCREMENTO % 1999 vs 1998 (*) NORD AMERICA USA CANADA 90,832 86,048 4,784 +16 +16 +12 EUROPA (1) GERMANIA FRANCIA ITALIA REGNO UNITO SPAGNA 53,918 15,738 14,123 9,462 8,983 5,612 +7 +6 +5 +9 +10 +11 GIAPPONE (2) 47,630 +7 AMERICA LATINA(3) 12,271 -8 2,855 +12 207,506 +10 AUSTRALIA/NUOVA ZELANDA Totale (*) L’incremento è calcolato nella moneta locale (1) Vendite dei primi cinque mercati (Germania, Francia, Italia, Regno Unito e Spagna) (2) Incluse le vendite delle farmacie ospedaliere (3) Vendite relative ai tre principali mercati (Brasile, Messico, Argentina) BIF Mar-Apr 2000 - N. 2 45 FARMACOUTILIZZAZIONE Tabella 2. I primi 12 mercati farmaceutici - Vendite delle principali classi terapeutiche nel 1999 CLASSE TERAPEUTICA SISTEMA CARDIOVASCOLARE APPARATO GASTROINTESTINALE E METABOLISMO SISTEMA NERVOSO CENTRALE ANTINFETTIVI SISTEMA RESPIRATORIO MUSCOLO SCHELETRICI SISTEMA GENITO-URINARIO DERMATOLOGICI CITOSTATICI SANGUE E ORGANI EMOPOIETICI ORGANI DI SENSO AGENTI DIAGNOSTICI ORMONI VARI SOLUZIONI PER USO OSPEDALIERO ANTIPARASSITARI VENDITE 1999 (miliardi di dollari) INCREMENTO % 1999 vs 1998 (*) 40,876 32,478 31,328 21,538 19,192 11,419 11,272 7,773 7,754 6,424 4,584 3,646 3,509 3,228 2,105 0,380 +9 +8 +13 +8 +11 +19 +10 +3 +13 +12 +6 +11 +7 +5 +4 -13 (*) L’incremento è calcolato nella moneta locale Per quanto concerne in particolare il mercato italiano, la Tabella 3 riporta le principali classi terapeutiche in ordine decrescente di spesa, la relativa incidenza percentuale e la variazione rispetto all’anno precedente. La classe a maggiore incidenza di spesa risulta quella dei cardiovascolari (24%), seguita dai farmaci per l’apparato gastrointestinale e il metabolismo (15%), dagli antinfettivi (12%) e dai farmaci attivi sul sistema nervoso centrale (12%). Nella stessa tabella è anche evidenziata la posizione che ciascuna classe occupa nella classifica delle vendite dei cin- que maggiori mercati europei (4a colonna) e degli USA (5a colonna). Si può osservare che, salvo lievi scostamenti (come nel caso degli antinfettivi, che si collocano al terzo posto in Italia, ma al quinto in Europa), le vendite del mercato italiano rispecchiano sostanzialmente il dato europeo. Diversamente, rispetto agli USA, si registrano delle discrepanze tra le categorie di farmaci più venduti. In particolare i farmaci a maggiore incidenza di spesa nel mercato statunitense sono quelli attivi sul sistema nervoso centrale, che si collocano solo al quarto posto nelle vendite italiane. Tabella 3. Mercato italiano - Vendite delle principali classi terapeutiche nel 1999 CLASSE TERAPEUTICA 1 SISTEMA CARDIOVASCOLARE 2 APPARATO GASTROINTESTINALE E METABOLISMO 3 ANTINFETTIVI 4 SISTEMA NERVOSO CENTRALE 5 SISTEMA RESPIRATORIO 6 SISTEMA GENITO-URINARIO 7 SISTEMA MUSCOLO SCHELETRICO 8 CITOSTATICI 9 SANGUE E ORGANI EMOPOIETICI 10 DERMATOLOGICI 11 ORGANI DI SENSO 12 ORMONI 13 AGENTI DIAGNOSTICI 14 VARI 15 SOLUZIONI PER USO OSPEDALIERO 16 ANTIPARASSITARI Milioni di dollari 2.251 1.379 1.174 1.101 801 560 514 467 358 321 202 169 111 31 17 6 Incidenza ∆% % 1999 vs 1998 24 15 12 12 8 6 5 5 4 3 2 2 1 0 0 0 +12 +7 +4 +11 +11 +18 +7 -1 +10 +9 +16 -2 +19 -1 -38 +2 in Europa** (1) (2) (5) (3) (4) (6) (7) (9) (10) (8) (12) (11) (13) (14) (16) (15) in USA (2) (3) (5) (1) (4) (6) (7) (9) (11) (8) (10) (14) (13) (12) (16) (15) ** Dati relativi ai primi 5 mercati (Germania, Francia, Italia, Regno Unito e Spagna). 46 BIF Mar-Apr 2000 - N. 2 N.B. È OBBLIGATORIA SOLTANTO LA COMPILAZIONE DEI SEGUENTI CAMPI: 2; 4; 7; 8; 12; 22; 1 INIZIALI DEL PAZIENTE 2 3 7 DESCRIZIONE DELLE REAZIONI ED EVENTUALE DIAGNOSI* ETÀ 4 SESSO DATA D’INSORGENZA DELLA REAZIONE 5 6 ORIGINE ETNICA 8 CODICE MINISTERO SANITÀ: GRAVITÀ DELLA REAZIONE MORTE ■ HA PROVOCATO O HA PROLUNGATO L’OSPEDALIZZAZIONE ■ HA PROVOCATO INVALIDITÀ GRAVE O ■ PERMANENTE HA MESSO IN PERICOLO LA VITA DEL PAZIENTE 10 RISOLTA * NOTA: SE IL SEGNALATORE È UN FARMACISTA, RIPORTI SOLTANTO LA DESCRIZIONE DELLA REAZIONE AVVERSA, SE È UN MEDICO ANCHE L’EVENTUALE DIAGNOSI. 9 ■ ESITO: ■ RISOLTA CON POSTUMI PERSISTENTE ■ ESAMI STRUMENTALI E/O DI LABORATORIO RILEVANTI ■ MORTE: 11 DOVUTA ALLA REAZIONE AVVERSA SPECIFICARE SE LA REAZIONE È PREVISTA NEL FOGLIO ILLUSTRATIVO ■ IL FARMACO POTREBBE AVER SI ■ NO ■ CONTRIBUITO ■ NON DOVUTA AL FARMACO COMMENTI SULLA RELAZIONE TRA FARMACO E REAZIONE SCONOSCIUTO ■ ■ INFORMAZIONI SUL FARMACO 12 13 FARMACO (I) SOSPETTO (I) LA REAZIONE È MIGLIORATA DOPO LA SOSPENSIONE DEL FARMACO? (NOME SPECIALITÀ MEDICINALE (*) A) SI ■ NO ■ B) C) * NEL CASO DI PRODOTTI BIOLOGICI INDICARE IL NUMERO DEL LOTTO 14 15 DOSAGGIO IN VIA DI SOMMINISTRAZIONE GIORNALIERO (I) 16 DURATA DELLA TERAPIA DAL A) A) A) B) B) B) C) C) C) 17 AL SI INDICAZIONI PER CUI IL FARMACO È STATO USATO 19 FARMACO (I) CONCOMITANTE (I) E DATA (E) DI SOMMINISTRAZIONE 20 CONDIZIONI CONCOMITANTI E PREDISPONENTI ■ NO ■ RICOMPARSA DEI SINTOMI SI 18 RIPRESA DEL FARMACO 21 ■ NO ■ LA SCHEDA È STATA INVIATA ALLA: AZIENDA PROD. DIR SANITARIA ■ ■ MINISTERO DELLA SANITÀ USL ■ ■ INFORMAZIONI SUL SEGNALATORE 22 FONTE: MEDICO DI BASE ✄ SPECIALISTA ■ ■ OSPEDALIERO ■ ■ FARMACISTA ALTRO 23 NORME ED INDIRIZZO DEL MEDICO O FARMACISTA - N.UMERO ISCRIZIONE ORDINE PROFESSIONALE - PROVINCIA ■ 24 DATA DI COMPILAZIONE 25 26 CODICE USL 27 BIF Mar-Apr 2000 - N. 2 FIRMA FIRMA RESPONSABILE 47 INFORMAZIONI SULLA DITTA FARMACEUTICA NOME E INDIRIZZO FONTE DELLA SEGNALAZIONE STUDIO CLINICO LETTERATURA PERSONALE SANITARIO NUMERO DI REGISTRO DATA IN CUI LA SEGNALAZIONE È PERVENUTA ALL’IMPRESA TIPO DI RAPPORTO: INIZIALE SEGUITO DI ALTRO RAPPORTO DATA DI QUESTO RAPPORTO Note sulla compilazione della scheda di segnalazione • Il campo N. 6 (codice Ministero della Sanità) non va compilato dal sanitario che segnala, ma dall’Ufficio competente del Ministero della Sanità. • Per ciò che attiene il campo N. 7, la descrizione della reazione deve essere il più ampia possibile e non limitarsi a pochi termini, cioè la descrizione dell’evento avverso dovrebbe, per quanto possibile, non coincidere con la diagnosi. • Il campo N. 8 è stato inserito come obbligatorio in quanto, dato che da alcune segnalazioni originano poi interventi incisivi per la salute pubblica, è di fondamentale importanza conoscere il livello di gravità della reazione stessa. Ovviamente, se la segnalazione si riferisce a reazioni non gravi il segnalatore può scegliere se scrivere non grave o non applicabile, sbarrare l’intero campo, o semplicemente lasciarlo in bianco. • Il campo N. 11 è anch’esso importantissimo, in quanto la menzione o meno della reazione avversa nel foglio illustrativo, e di conseguenza nella scheda tecnica permette al Ministero della Sanità di classificare tale reazione come inaspettata o meno. Ciò è 48 particolarmente utile nel caso vada avviata una procedura d’urgenza di variazione degli stampati. Sempre in questo stesso campo è riportata la richiesta di commenti sulla possibile relazione tra l’assunzione del farmaco e l’insorgenza della reazione avversa. In questo caso è opportuno rispondere dopo aver compiuto opportune verifiche (consultazione degli stampati e di testi scientifici, follow up, esami di laboratorio). • Il campo N. 21 serve soprattutto ad evitare le duplicazioni in caso la scheda sia stata spedita a più destinatari (Azienda USL, Industria Farmaceutica, etc.). • Il campo N. 27 va firmato dal responsabile del servizio farmacovigilanza della USL dopo che questi ha controllato la congruità della segnalazione stessa. In caso la segnalazione risultasse mancante di elementi importanti, è auspicabile che il responsabile suddetto si adoperi per acquisirne il più possibile. • Per quanto riguarda il retro della scheda si fa presente che esso va compilato dall’Azienda titolare dell’Autorizzazione all’Immissione in Commercio, e non da chi riporta né dalla USL. BIF Mar-Apr 2000 - N. 2