dalla cuf - Ministero della Salute

bollettino
d’informazione
sui farmaci
SPED. IN ABB. POST. ART. 2, COMMA 20/C,
LEGGE 662/96 - FILIALE DI ROMA
bollettino
d’informazione
sui farmaci
ANNO VII - N. 2 MARZO-APRILE 2000
DALLA SPERIMENTAZIONE
ALLA PRATICA CLINICA
EDITORIALE
1
Libertà di cura
31
DALLA CUF
2
3
12
ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO
17
Classificazione in fascia H della specialità
Uricozyme (urato ossidasi)
29
ABC DEGLI STUDI CLINICI
AGGIORNAMENTI
36
4. Meta-analisi
Gli antiaggreganti piastrinici nella
prevenzione di eventi cardiaci e
cerebrovascolari (seconda parte)
Antipertensivi: ridurre la pressione
arteriosa o prolungare la vita
42
Un Piano nazionale per affrontare il
dolore da cancro
DALLA LETTERATURA
44
Medicinali utilizzati in ambito
nosocomiale e non inclusi nel Prontuario
Terapeutico Ospedaliero
45
Il mercato farmaceutico mondiale
nel 1999
NOTIZIE DAL DIPARTIMENTO
COME PRESCRIVERE
Risultati di un’indagine retrospettiva sulla
sopravvivenza di pazienti malati di cancro
trattati con la Multiterapia Di Bella
FARMACOVIGILANZA
26
I diuretici tiazidici restano i farmaci di
scelta nel trattamento dell’ipertensione
arteriosa
Effetti avversi in pazienti con carenza di
glucosio-6-fosfato deidrogenasi
Inibitori selettivi della ricaptazione della
serotonina ed emorragie gastrointestinali
MINISTERO DELLA SANITÀ
DIPARTIMENTO PER LA VALUTAZIONE
DEI MEDICINALI E LA FARMACOVIGILANZA
FARMACOUTILIZZAZIONE
BOLLETTINO D’INFORMAZIONE SUI FARMACI
Bimestrale del Ministero della Sanità
Direttore scientifico:
Dott. Luigi Bozzini
Comitato scientifico:
Prof. Dino Amadori
Dott. Marco Bobbio
Dott.ssa Franca De Lazzari
Dott. Marino Massotti
Prof. Nicola Montanaro
Dott. Michele Olivetti
Prof. Luigi Pagliaro
Prof. Paolo Preziosi
Dott. Alessandro Rosselli
Prof. Alessandro Tagliamonte
Redattore capo:
GLOSSARIO
EER (Experimental Event Rate)
Numero percentuale di eventi osservato nel gruppo randomizzato al trattamento in sperimentazione.
CER (Control Event Rate)
Numero percentuale di eventi osservato nel gruppo di controllo.
IC 95% (Intervallo di confidenza 95%)
Il concetto di base è che gli studi (RCTs, meta-analisi)
informano su un risultato valido per il campione di pazienti
preso in esame, e non per l’intera popolazione; l’intervallo
di confidenza al 95% può essere definito (con qualche imprecisione) come il range di valori entro cui è contenuto,
con una probabilità del 95%, il valore reale, valido per l’intera popolazione di pazienti.
Dott. Filippo Castiglia
Indicatori di riduzione del rischio di eventi sfavorevoli
Redazione:
Dott. Renato Bertini Malgarini
Dott.ssa Emanuela De Jacobis
Dott.ssa Francesca Tosolini
ARR (Absolute Risk Reduction)
Riduzione assoluta del rischio di un evento sfavorevole nei
pazienti randomizzati al trattamento in sperimentazione rispetto a quelli di controllo. Corrisponde alla formula:
[CER - EER]
NNT (Number Needed to Treat)
Numero di pazienti che devono essere trattati per prevenire
un evento. Corrisponde alla formula:
[1/ARR]
arrotondando per eccesso al numero intero.
RRR (Relative Risk Reduction)
Riduzione relativa del rischio di un evento sfavorevole nei
pazienti randomizzati al trattamento in sperimentazione rispetto ai controlli. Corrisponde alla formula:
[CER – EER]/CER
OR (Odds Ratio)
Rapporto fra la probabilità di un evento nei pazienti randomizzati al trattamento in sperimentazione e la probabilità
nei pazienti di controllo. E’ un altro indice di riduzione relativa del rischio di un evento nei pazienti randomizzati al
trattamento in sperimentazione rispetto ai controlli, e corrisponde alla formula:
[EER / 1 - EER] / [CER / 1 - CER]
OR è approssimativamente uguale a RRR se il rischio di
base nei controlli è basso (<10%); se il rischio di base è
alto, OR tende a valori costantemente più lontani dall’unità
rispetto a RRR.
Per varie ragioni, compresa la scarsa comprensione dei clinici, l’uso di OR dovrebbe essere abbandonato, e difatti OR
non è più riportata nel glossario di Best Evidence (BMJ) e di
ACP Journal Club (Ann Intern Med).
Indicatori di aumento della probabilità di eventi
favorevoli
ABI (Absolute Benefit Increase)
Aumento assoluto del beneficio terapeutico nei pazienti randomizzati al trattamento sperimentale rispetto ai controlli.
Corrisponde alla formula:
[EER - CER]
NNT (Number Needed to Treat)
Numero di pazienti da trattare per ottenere un beneficio terapeutico in un paziente. Corrisponde alla formula:
[100 / ABI]
RBI (Relative Benefit Increase)
Aumento relativo del beneficio terapeutico nei pazienti randomizzati al trattamento in sperimentazione rispetto ai controlli. RBI corrisponde alla formula:
[EER – CER] / CER
Indicatori di aumento del rischio di eventi sfavorevoli
ARI (Absolute Risk Increase)
Aumento assoluto del rischio di una reazione avversa nei
pazienti che ricevono il trattamento sperimentale rispetto ai
controlli. ARI corrisponde alla formula:
[EER – CER]
NNH (Number Needed to Harm)
Numero di pazienti che devono sottoporsi al trattamento
perchè si manifesti una reazione avversa. Corrisponde alla
formula:
[100 / ARI]
RRI (Relative Risk Increase)
Aumento relativo del rischio di una reazione avversa nei pazienti che ricevono il trattamento in sperimentazione rispetto ai controlli. Corrisponde alla formula:
[EER – CER ]/ CER
EDITORIALE
In un’epoca in cui la medicina basata sulle prove è invocata come condizione basilare perché un atto medico, una
procedura o un trattamento possano essere accettati e trasferiti nella pratica clinica, numerosi prodotti, strumenti e
metodi di cura ortodossi o non ortodossi, tradizionali o alternativi, tutti accomunati da scarsa o nulla documentazione di efficacia, stanno inondando e sommergendo il mondo (o il mercato) della medicina, proposti e promossi come
innovativi, migliorativi o risolutori di numerose condizioni patologiche, orfane o non orfane che siano.
Fenomeni di questo tipo non sono esclusivi del nostro Paese: probabilmente in Italia trovano terreno fertile per essere amplificati ed enfatizzati da giornalisti, organizzazioni di malati e di consumatori più o meno strumentalizzate,
produttori interessati e, purtroppo, anche da magistrati e da politici.
Spesso si sente ripetere che in una società libera devono esistere, per il paziente, la libertà di cura, nel senso che, nel
mercato della speranza (o dell’illusione o della disperazione) può scegliersi il trattamento che più gli piace; per il
medico, la libertà di prescrivere secondo scienza e coscienza, quasi ciò significasse la possibilità di fare ciò che vuole
senza tenere conto dei vincoli imposti dalle conoscenze raggiunte.
Health Freedom, LIBERTA’ DI CURA, è un articolo presente in Internet (http://www.quackwatch.com/01QuackeryRelatedTopics/hfreedom.html), adattato da The Health Robbers: A Close Look at Quackery in America (Ladri in sanità: uno sguardo da vicino alla ciarlataneria in America), un testo edito da Stephen Barrett e William T. Jarvis e pubblicato nel 1994. Il Comitato di Redazione del Bollettino ritiene utile sottoporlo all’attenzione dei lettori nella sua
integrità.
Libertà di cura
Se gli imbonitori non possono vincere giocando
secondo le regole, provano a cambiarle passando dall’ambito scientifico a quello della politica. In campo
scientifico un’affermazione medica è considerata non
vera fino a quando non sia provata al di là di ogni ragionevole dubbio. Ma in politica, un’affermazione medica
è accettabile fino a che non si dimostri falsa o pericolosa. Ecco perché i fautori del laetrile, della chiropratica,
della psichiatria ortomolecolare, della terapia con antineoplastoni e di altre simili si rivolgono ai legislatori
piuttosto che alla comunità scientifica.
Gli imbonitori utilizzano il concetto della “libertà
di cura” per spostare l’attenzione da se stessi verso
coloro che sono vittime della malattia, nei confronti
dei quali si prova istintivamente compassione. “Questa povera gente deve essere libera di scegliere il trattamento che vuole”, piangono gli imbonitori, con
lacrime di coccodrillo.
Questi individui vorrebbero che non si tenessero
in considerazione due cose. Innanzitutto, che nessuno desidera essere truffato, specie in materie che
riguardano la vita e la salute. Le vittime di una
malattia non richiedono i trattamenti di un imbonitore perché vogliono esercitare i loro “diritti”, ma perché ingannate dalla convinzione che per loro c’è una
speranza. In secondo luogo, che le leggi contro i
rimedi inutili non sono dirette contro le vittime della
malattia ma contro coloro che li promuovono a proprio vantaggio.
Ogni attacco alla libertà colpisce nel profondo i valori della cultura americana. Ma dobbiamo anche essere
consapevoli che una libertà compiuta si realizza solo in
BIF Mar-Apr 2000 - N. 2
una società in cui ogni suo componente sia del tutto
degno di fiducia - e una società di tal genere non esiste.
L’esperienza ci ha dimostrato che la ciarlataneria può
persino condurre la gente ad avvelenarsi e ad avvelenare i propri figli e i propri amici.
Le leggi a tutela del consumatore sono state approvate per proteggere in modo ancora più deciso le persone malate, che sono le più vulnerabili. Queste leggi
richiedono semplicemente che i prodotti e i servizi
offerti dal mercato della salute siano sicuri ed efficaci.
Se fosse richiesta soltanto la sicurezza, tutti i prodotti o
servizi che di per sé non arrecano danno potrebbero
essere venduti a chi ci crede. Per indebolire la protezione, i fautori della ciarlataneria richiedono leggi a difesa
della loro attività e per forzare le compagnie di assicurazione a rimborsarle.
Certe persone sostengono che siamo sommersi da
troppe norme. Ma il problema dovrebbe riguardare la
qualità, non la quantità. Le buone leggi sono molto
importanti. La nostra opposizione dovrebbe essere contro le cattive norme che soffocano la nostra economia o
limitano inutilmente i nostri stili di vita. Le leggi che
tutelano il consumatore vanno difese.
Alcuni politici, purtroppo, sembrano dimentichi di
questi principi basilari e sostengono il principio della
“libertà di cura” come se in tal modo facessero un favore ai propri elettori. Di fatto, la “libertà di cura” rappresenta una licenza di caccia per la ciarlataneria, con
la stagione aperta su chi è malato, impaurito, alienato e
disperato. La “libertà di cura” rappresenta allora un
ritorno alla legge della giungla in cui il più forte sbrana
il più debole.
1
DALLA CUF
Classificazione in fascia H della specialità Uricozyme
(urato ossidasi)
L’urato ossidasi è un enzima proteolitico estratto da
colture di Aspergillus flavus, in grado di ossidare l’acido urico umano in allantoina, sostanza altamente solubile e facilmente eliminabile per via urinaria. Su questo
farmaco esiste pochissima documentazione scientifica:
negli ultimi 10 anni risultano pubblicate 3 ricerche cliniche, di cui una sola descrizione di tre pazienti cardiotrapiantati, trattati con Uricozyme (1) e una lettera di
commento (2). Non è autorizzata la vendita dell’Uricozyme nella maggior parte dei paesi della Comunità
europea e negli Stati Uniti.
Nonostante alcune ricerche ne abbiano dimostrato
l’efficacia, sono stati segnalati numerosi eventi avversi,
anche gravi. Nel 4,5% di 129 pazienti pediatrici trattati
per iperuricemia associata a tumori maligni si sono
verificate reazioni allergiche (orticaria, broncospasmo,
ipossiemia) (3). Sono stati descritti casi di edema di
Quincke e reazioni anafilattiche gravi, specie in pazienti precedentemente sensibilizzati.
Viene consigliata la somministrazione per via endovenosa in soluzione glucosata di 100-250 ml, in infusione di circa 30 minuti o per via intramuscolare profonda. Dato il discreto profilo di rischio, la scarsa documentazione disponibile, la necessità di somministrarlo
per via parenterale, il fatto che il trattamento interessa
2
un ristretto numero di pazienti seguiti sistematicamente in centri ospedalieri specializzati e, infine, che sono
necessari controlli ematologici periodici, la CUF ritiene che non sussistano le condizioni per continuare a
renderlo disponibile in farmacia e quindi ha deciso di
riclassificarlo in fascia H a dispensazione ospedaliera.
In tal modo i pazienti potranno proseguire il trattamento dell’iperuricemia sotto stretto controllo medico.
La CUF è consapevole del disagio che tale scelta
arrecherà a molti pazienti, ma, alla luce delle considerazioni di sicurezza della somministrazione di un farmaco non ben studiato e con un discreto profilo di
rischio, ritiene che sia più prudente l’uso sotto stretto
controllo medico in ambiente ospedaliero. In tal modo,
verrà garantita la dispensazione a tutti i pazienti che ne
avranno bisogno, fornendo un’adeguata sicurezza nella
somministrazione.
La CUF rimane comunque attenta agli sviluppi delle
ricerche per riconsiderare il regime di dispensazione
sulla base di nuovi dati sul profilo rischio-beneficio del
farmaco.
Il Decreto di riclassificazione di Uricozyme è in fase
di definizione. La sua pubblicazione in GU verrà tempestivamente resa nota su questo Bollettino.
Bibliografia
Medici e rappresentanti di associazioni di pazienti sottoposti a trapianto d’organo hanno sollecitato in più occasioni la CUF a riclassificare nella fascia di rimborsabilità
l’Uricozyme (urato ossidasi) per il trattamento dell’iperuricemia in coloro che, assumendo azatioprina, non possono associare allopurinolo per il rischio di potenziare l’effetto mieloinibitore dell’azatioprina. Il problema è sorto
per il fatto che l’Uricozyme si trova in fascia C ed è molto
costoso (£ 145.000 per una confezione di 3 fiale).
1.
2.
3.
Rozenberg S et al. Urate-oxidase for the treatment of
tophaceous gout in heart transplant recipients. A report of
three cases. Revue du Rhumatisme 1995;62:392-4.
Ippoliti G et al. Urate oxidase in hyperuricemic heart
transplant recipients treated with azathioprine. Transplantation 1997;63:1370-1.
Pui CH et al. Urate oxidase in prevention and treatment of
hyperuricemia associated with lymphoid malignancies.
Leukemia 1997;11:1813-6.
BIF Mar-Apr 2000 - N. 2
AGGIORNAMENTI
Gli antiaggreganti piastrinici nella prevenzione di
eventi cardiaci e cerebrovascolari
(seconda parte)
La ticlopidina è un antiaggregante che, come l’acido
acetilsalicilico (ASA), può vantare un’adeguata documentazione clinica di efficacia; rispetto all’ASA, presenta un profilo lievemente migliore di tollerabilità
gastrica, una maggiore incidenza di rash e diarrea, neutropenia e porpora trombotica trombocitopenica abbastanza rare ma potenzialmente fatali. La ticlopidina è
una tienopiridina che inibisce l’aggregazione piastrinica con meccanismo d’azione diverso da quello
dell’ASA (modifica irreversibile di un recettore per l’adenosindifosfato).
L’effetto antiaggregante dipende dalla concentrazione ematica del farmaco. A differenza dell’ASA, a dosi
terapeutiche (500 mg/die) si raggiunge una inibizione
piastrinica significativa dopo 2-3 giorni di trattamento,
mentre l’inibizione massima si ottiene in 4-7 giorni.
Con dosi superiori a 500 mg/die non si ha una maggiore attività antiaggregante. La ticlopidina non è attiva in
vitro e richiede la trasformazione in vivo in un metabolita attivo (o più metaboliti) perché possa manifestare la
sua azione. L’attivazione sembra avvenire nel fegato, e
i metaboliti sono principalmente escreti per via renale.
L’azione antiaggregante persiste per 7-10 giorni
dopo l’interruzione della terapia.
Dal momento che in tutte le ricerche è stato utilizzato il dosaggio di 500 mg/die (250 mg x 2), si richiama
l’attenzione a prescrivere tale dose giornaliera, per la
quale sono disponibili dati di efficacia.
Gli antiacidi assunti contemporaneamente possono
diminuire l’assorbimento della ticlopidina.
La ticlopidina è da considerarsi farmaco di scelta, in
associazione ad ASA, solo nel trattamento dei pazienti a
cui è stato impiantato uno stent coronarico durante
angioplastica percutanea; è farmaco alternativo all’ASA
in caso di intolleranza o di resistenza a quest’ultimo.
2.1. Prevenzione della riocclusione di stent coronarici
Numerose ricerche hanno dimostrato che un’effettiva inibizione della funzione delle piastrine potrebbe
essere più efficace della terapia anticoagulante nella
prevenzione dell’occlusione acuta degli stent coronarici, per cui da anni in molti centri di emodinamica sono
stati avviati diversi protocolli di trattamento antiaggregante. Una ricerca controllata e randomizzata (1) ha
BIF Mar-Apr 2000 - N. 2
evidenziato che il trattamento per quattro settimane con
ticlopidina (250 mg x 2) in associazione ad ASA (100
mg x 2), rispetto alla terapia anticoagulante (eparina
per endovena ed ASA), ha ridotto l’incidenza di eventi
cardiaci (morte, infarto, reintervento di angioplastica o
bypass d’urgenza) dal 6,2% all’1,6% e, contemporaneamente, l’incidenza di eventi emorragici dal 6,5%
allo 0%. L’occlusione dello stent si verificò nel 5% dei
pazienti in terapia con anticoagulanti e in nessuno di
quelli in trattamento con antiaggreganti. In un confronto tra ASA da solo, ASA ed eparina, ASA e ticlopidina
su 1.653 pazienti sottoposti ad angioplastica coronarica
con impianto di stent, l’incidenza di eventi maggiori
(morte, rivascolarizzazione, trombosi acuta, infarto
miocardico) è stata rispettivamente del 3,6%, 2,7% e
0,5% e l’incidenza di complicazioni emorragiche
dell’1,8%, 6,2% e 5,5% (2).
In accordo con i risultati di tali ricerche, si suggerisce di trattare per un mese i pazienti a cui sia stato
impiantato uno stent coronarico con ticlopidina (250
mg x 2) in associazione ad ASA (100 mg x 2); alla scadenza del mese dall’angioplastica i pazienti potranno
proseguire la terapia, su consiglio del medico curante,
con il solo ASA.
Bibliografia
2. Ticlopidina
1.
2.
Schomig A et al. A randomized comparison of antiplatelet
and anticoagulant therapy after the placement of coronary-artery stents. N Engl J Med 1996;334:1084-9.
Martin BL. A clinical trial comparing three antithrombotic
drug regimes after coronary-artery stenting. N Engl J Med
1998;339:1665-71.
2.2. Cerebropatie ischemiche recidivanti durante il
trattamento con ASA
La ticlopidina è stata studiata nella prevenzione
secondaria di eventi vascolari cerebrali in trial clinici
ben disegnati. Un primo studio in doppio cieco vs placebo, denominato CATS (1), ha incluso 1.072 pazienti con recente ictus tromboembolico, osservando che,
durante un periodo di tre anni, un altro ictus si era
verificato nel 10% dei pazienti che assumevano 250
mg di ticlopidina due volte al giorno e nel 17% dei
pazienti trattati con placebo. In un altro trial (2) in
doppio cieco, randomizzato, 3.069 pazienti con pregresso attacco ischemico transitorio (TIA), deficit
neurologico reversibile o un ictus minore nei tre mesi
precedenti l’inizio dello studio, sono stati trattati con
3
Bibliografia
ticlopidina (250 mg due volte al giorno) o con ASA ad
alte dosi (650 mg due volte al giorno). L’end point primario, morte da qualsiasi causa + ictus non fatale, si è
verificato in una percentuale leggermente minore nel
gruppo trattato con ticlopidina (20%) rispetto a quella
del gruppo ASA (23%).
Per quanto concerne l’evento cumulativo ictus fatale
e non fatale, si è riscontrata, a tre anni, una percentuale
ancora leggermente favorevole alla ticlopidina (10% vs
13% della ticlopidina), mentre non si è evidenziata
alcuna differenza statisticamente significativa sulla
mortalità per qualsiasi causa tra i due gruppi.
La grande meta-analisi Antiplatelet Trialists’ Collaboration non ha messo in evidenza differenze di efficacia tra ticlopidina ed ASA sull’end point combinato
infarto del miocardio, accidente ischemico cerebrale e
decesso da cause vascolari (3).
Il numero di pazienti da trattare con ticlopidina per
un anno (NNT/anno) per prevenire un nuovo ictus è
circa 80.
In definitiva, la ticlopidina è un farmaco antiaggregante la cui efficacia può essere considerata simile a
quella dell’ASA nel ridurre l’incidenza di recidive
cerebrovascolari; tuttavia, tenendo conto del rischio di
gravi trombo-leucocitopenie che può provocare, il farmaco di elezione per pazienti con storia di TIA o di
ictus resta l’ASA. Di solito la ticlopidina è riservata ai
pazienti in cui insorge ischemia cerebrale mentre sono
in trattamento con ASA o che mostrano intolleranza
all’ASA.
1.
2.
3.
Gent M et al. The Canadian American Ticlopidine Study
(CATS) in thromboembolic stroke. Lancet 1989;1:121520.
Hass WK et al. A randomized trial comparing ticlopidine
hydrochloride with aspirin for the prevention of stroke in
high risk patients. N Eng J Med 1989;321:501-7.
Antiplatelet Trialists’ Collaboration. Collaborative overview of randomised trials of antiplatelet therapy. I. Prevention of death, infarction, and stroke by prolonged antiplatelet therapy in various categories of patients. BMJ
1994;308:81-106.
2.3. Malattia vascolare periferica
Non esistono studi ben disegnati che abbiano confrontato la ticlopidina con altri farmaci antiaggreganti
nel trattamento della claudicatio o dopo chirurgia
vascolare (1).
Secondo uno studio svedese (2), la ticlopidina dimostra una significativa riduzione della mortalità generale
in pazienti con claudicatio rispetto a quelli trattati con
placebo, dovuta ad una marcata diminuzione delle
morti coronariche. Quindi, secondo alcuni autori, è
consigliato l’utilizzo elettivo della ticlopidina nella
malattia aterosclerotica periferica.
In realtà, la studio svedese non aggiunge nulla di più
rispetto a quanto suggeriscono i dati della Antiplatelet
Trialists’ Collaboration (3) a proposito del vantaggio
derivante dall’uso di qualsiasi farmaco antipiastrinico
(in particolare, dell’ASA) nella prevenzione di tutti gli
eventi cardiovascolari in soggetti ad alto rischio, quali
appunto i soggetti con claudicatio.
4
Bibliografia
AGGIORNAMENTI
1.
2.
3.
Anonimo. Clopidogrel and ticlopidine – improvements on
aspirin? DTB 1999;37:59-61.
Janzon L et al. Prevention of myocardial infarction and
stroke in patients with intermittent claudication: effects of
ticlopidine. Results from STIMS, the Swedish Ticlopidine
Multicentre Study. J Int Med 1990;227:301-8.
Antiplatelet Trialists’ Collaboration. Collaborative overview of randomised trials of antiplatelet therapy. I: prevention of death, myocardial infarction, and stroke by prolonged antiplatelet therapy in various categories of
patients. BMJ 1994;308:81-106.
2.4. Manifestazioni correlate ad interferenze da ASA
con la ciclossigenasi
L’ASA può provocare sindromi reattive che possono
essere suddivise in due sottotipi principali:
• sindrome asmatica;
• sindrome orticaria-angioedema.
Le caratteristiche dell’asma da ASA sono state ben
precisate; in particolare è molto frequente la coesistenza di una poliposi nasale e da tempo è stata
segnalata una triade sintomatologica, costituita da
asma intrinseco, poliposi nasale ed intolleranza
all’ASA. La sindrome asmatica, spesso preceduta da
episodi di rinite vasomotoria, può precedere, anche
di anni, la comparsa di una sindrome reattiva da ASA
ovvero il primo episodio di essa può essere scatenato dall’assunzione di ASA; in altri casi, invece, l’inizio della sindrome asmatica coincide con un intervento di polipectomia. Una volta iniziata, la sindrome asmatica persiste, spesso con carattere di gravità,
indipendentemente dall’ingestione di ASA. La somministrazione di ASA, comunque, anche a dosi minime, provoca in questi soggetti lo scatenamento di
una crisi asmatica, talora di estrema gravità che
interviene generalmente entro 20-60 minuti dall’ingestione del farmaco.
Con il termine orticaria si intende un’eruzione
caratterizzata da elementi cutanei rilevati, di colore
pallido (pomfi o chiazze orticate), circondati da cute
normale o rosea, ed accompagnata da prurito più o
meno intenso. L’edema (angioneurotico) di Quincke
o angioedema costituisce una sindrome a diversa
etiopatogenesi (immunologica o extraimmunologica), caratterizzata dall’insorgenza accessionale di
tumefazioni edematose fugaci e circoscritte a carico
del sottocutaneo e delle mucose. L’edema di Quincke presenta numerose analogie, dal punto di vista
etiopatogenetico, istologico e clinico, con l’orticaria,
e soprattutto con la forma di orticaria gigante, per cui
attualmente le due condizioni morbose vengono raggruppate sotto l’unica denominazione di sindrome
orticaria-angioedema (1).
Le sindromi reattive da ASA sono conseguenti ad
una interferenza/inibizione della ciclossigenasi che
essa induce, e sono manifestazioni che, pur presentando strette analogie con la sintomatologia di altre
sindromi a dimostrata etiopatogenesi allergica, se
ne differenziano per il diverso meccanismo patogenetico, sempre extraimmunologico. Per tale motivo
sono dette anche sindromi reattive pseudoallergiche (1).
BIF Mar-Apr 2000 - N. 2
AGGIORNAMENTI
1.
Errigo E. Malattie allergiche. Lombardo ed. Roma
1994:211, 315, 323.
2.5. Gastro-enterorragie durante il trattamento antiaggregante con ASA
Vedi 1.12. (Bollettino d’Informazione sui Farmaci
n. 1/2000 pag. 16)
2.6. Effetti indesiderati
Gli effetti indesiderati più temibili in corso di trattamento con ticlopidina sono di tipo ematologico. Questo
antiaggregante può provocare neutropenia, un evento
che può essere anche letale in quanto si associa ad un
aumentato rischio di gravi infezioni (1-4). Nello studio
TASS (2), l’incidenza di neutropenia (meno di 1200
neutrofili/microlitro) è stata descritta nel 2,4% dei
pazienti sottoposti a trattamento e in forma particolarmente grave (meno di 450 neutrofili/microlitro) nello
0,9% (0% nei soggetti sottoposti ad ASA). Nello studio
CATS (1), neutropenia severa (meno di 450 neutrofili/microlitro) è stata osservata nello 0,8% dei pazienti.
La neutropenia di solito si manifesta nei mesi iniziali
della terapia, mentre è infrequente nelle prime due-tre
settimane di trattamento. La neutropenia si risolve, di
norma (ma non sempre), interrompendo la somministrazione del farmaco (1,5).
Un altro grave evento indesiderato della ticlopidina, talora letale, è la porpora trombotica trombocitopenica (PTT) (2,6-13), una sindrome caratterizzata da
trombocitopenia, anemia emolitica microangiopatica, modificazioni neurologiche, insufficienza renale
progressiva e febbre. Una revisione della letteratura
(14) ha documentato 60 casi di PTT, con una percentuale di mortalità tra i colpiti del 33%. In 48 pazienti
la PTT si è manifestata dopo 1-4 settimane dall’inizio
della terapia. Uno studio recente sull’incidenza della
PTT in una coorte di soggetti sottoposti a stent coronarico (15) ha individuato 9 casi su 43.332 pazienti,
con un’incidenza dello 0,02%, molto maggiore quindi a quella che è l’incidenza di tale evento nella popolazione generale, stimata intorno allo 0,0004%.
Attualmente si calcola che la ticlopidina possa provocare PTT con una incidenza di un caso ogni 1.6005.000 pazienti trattati.
Questi eventi ematologici potenzialmente gravi e
anche letali consigliano di riservare la ticlopidina
alla prevenzione della riocclusione di stent coronarici (valutazione beneficio/rischio) e ai casi in cui
l’ASA risulti realmente controindicato.
La crasi ematica, e in particolare la conta dei globuli bianchi e delle piastrine, vanno attentamente controlBIF Mar-Apr 2000 - N. 2
late prima di iniziare la terapia, almeno ogni due settimane per i primi tre mesi di trattamento e, successivamente, ad ogni segno intercorrente di infezione.
Altri effetti indesiderati riportati della ticlopidina
sono: disturbi gastrointestinali, soprattutto diarrea (in
circa il 20% dei pazienti), nausea, dispepsia e anoressia, che si manifestano in particolare durante le prime
due o tre settimane di trattamento, rash cutaneo (in
circa il 3% dei trattati), prurito, orticaria. Rash cutaneo
e diarrea precludono l’impiego continuativo della ticlopidina in circa il 15% dei pazienti.
Eventi indesiderati più rari segnalati in letteratura
sono: trombocitopenia, anemia aplastica, sindrome
emolitica-uremica, colestasi severa, epatite, nefrite
interstiziale acuta. Pare che le donne di oltre 75 anni
abbiano più probabilità di sviluppare effetti collaterali
ematologici (3).
La ticlopidina è controindicata nei soggetti che presentano o hanno presentato leucopenia, trombocitopenia o agranulocitosi. Inoltre, la controindicazione sussiste (ma questo vale per tutti gli antiaggreganti) anche
nei pazienti con malattie che prolungano il tempo di
sanguinamento e in quanti presentano lesioni con probabilità di sanguinamento (es., ulcera gastroduodenale
attiva o ictus emorragico acuto).
Bibliografia
Bibliografia
I pazienti intolleranti ad ASA generalmente presentano identiche reazioni a tutti gli altri FANS, anche se
tale reazione crociata non è la regola.
1.
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DA RICORDARE
➢ La ticlopidina è un farmaco che dispone di un’adeguata documentazione di efficacia e di tossicità; inibisce
l’aggregazione piastrinica con meccanismo d’azione diverso da quello dell’ASA (modifica irreversibile di un
recettore per l’adenosindifosfato).
➢ La ticlopidina è da considerarsi farmaco di scelta, in associazione ad ASA, solo nel trattamento dei pazienti a
cui è stato impiantato uno stent coronarico durante angioplastica percutanea; è farmaco alternativo all’ASA
in caso di intolleranza o di resistenza a quest’ultimo.
➢ In accordo con i risultati di studi effettuati, si suggerisce di trattare per un mese i pazienti a cui sia stato impiantato uno stent coronarico con ticlopidina (250 mg x 2) in associazione ad ASA (100 mg x 2); alla scadenza del
mese dall’angioplastica i pazienti possono proseguire la terapia, su consiglio del medico curante, con il solo
ASA.
➢ L’efficacia della ticlopidina nel ridurre l’incidenza di recidive cerebrovascolari può essere considerata simile a
quella dell’ASA; tuttavia, tenendo conto del rischio di gravi trombo-leucocitopenie che può provocare, il farmaco di elezione per pazienti con storia di TIA o di ictus resta l’ASA. Di solito la ticlopidina è riservata ai pazienti in cui insorge ischemia cerebrale mentre sono in trattamento con ASA o che mostrano intolleranza all’ASA.
➢ Il pericolo di neutropenie, agranulocitosi e di porpora trombotica trombocitopenica consiglia di riservare la
ticlopidina alla prevenzione della riocclusione di stent e ai casi in cui l’ASA risulti realmente controindicato.
3. Clopidogrel
Il clopidogrel è un antiaggregante piastrinico che,
come la ticlopidina, appartiene alla classe delle tienopiridine; differisce strutturalmente dalla ticlopidina solo
per la presenza nella sua molecola di un gruppo carbossimetilico (Figura 1).
Alcune importanti caratteristiche del clopidogrel ricalcano quelle della ticlopidina. L’effetto antiaggregante
dipende dalla concentrazione ematica del farmaco: una
inibizione significativa dell’aggregazione piastrinica si
raggiunge dopo 2-3 giorni di trattamento con 75 mg/die,
mentre si impiegano 4-7 giorni per raggiungere l’inibizione massimale. Dosi più elevate non determinano una
maggiore attività antiaggregante.
Il farmaco è inattivo in vitro e richiede la trasformazione a metabolita o a metaboliti attivi per manifestare
la sua azione in vivo. L’attivazione sembra avvenire nel
fegato e i metaboliti sono principalmente escreti per via
renale. L’azione antiaggregante persiste per 7-10 giorni
dopo l’interruzione della terapia.
3.1. Lo studio CAPRIE
L’efficacia antiaggregante del clopidogrel è stata
dimostrata mediante un singolo mega-trial denominato
CAPRIE (Clopidogrel versus Aspirin in Patients at
Risk of Ischemic Events), uno studio comparativo, in
doppio cieco, randomizzato, condotto a livello internazionale (v. Box 1).
6
Figura 1. Struttura chimica della ticlopidina e del clopidogrel
Ticlopidina
Clopidogrel
Il disegno dello studio si basava sull’assunto di una
sostanziale unitarietà delle complicanze della malattia
aterotrombotica nei tre distretti cerebrale, coronarico e
periferico, a sua volta derivato dai risultati della metaanalisi della Antiplatelet Trialists’ Collaboration (ATC)
(1), secondo cui l’ASA è efficace nella prevenzione delle
complicanze della malattia aterotrombotica nei tre
distretti. A partire da ciò, lo studio ha reclutato contemporaneamente tre categorie di soggetti considerati ad
“alto rischio” per le complicanze trombotiche del processo aterosclerotico, vale a dire pazienti con infarto miocardico recente o con ictus cerebrale di natura ischemica
recente o con una vasculopatia periferica sintomatica.
Va premesso che lo studio CAPRIE non è stato
progettato per sopperire ad una carenza di evidenze
BIF Mar-Apr 2000 - N. 2
AGGIORNAMENTI
BOX 1
Titolo
CAPRIE Steering Committee. A randomised, blinded, trial of clopidogrel versus aspirin in patients at risk of ischaemic events
(CAPRIE). Lancet 1996;348:1329-39.
Obiettivo
Confronto tra clopidogrel e ASA somministrati a tre gruppi di pazienti con ictus recente o infarto recente o malattia arteriosa periferica.
Disegno
Studio randomizzato, controllato, in doppio cieco.
Attuazione
384 centri clinici di 16 Paesi.
Pazienti
19.185 pazienti, età media 63 anni, 72% maschi.
Criteri di inclusione
Ictus cerebrale ischemico recente (tra 1 settimana e 6 mesi) o infarto miocardico recente (entro 35 giorni) o vasculopatia periferica sintomatica.
Criteri di esclusione
Età < 21 anni, deficit cerebrale severo, endarterectomia dopo ictus qualificato, ictus qualificato causato da endarterectomia carotidea,
aspettativa di vita < 3 anni, ipertensione non controllata, controindicazione ai farmaci dello studio, potenzialità di gravidanza, precedente partecipazione ad altri studi su clopidogrel.
Gruppi di trattamento
Gruppo clopidogrel: 9.599 pazienti, trattati con 75 mg/die in un'unica somministrazione giornaliera.
Gruppo ASA: 9.586 pazienti, trattati con 325 mg/die in un'unica somministrazione giornaliera.
Ogni sottogruppo in ciascuna delle tre diverse presentazioni cliniche (ictus, infarto, vasculopatia periferica) comprendeva circa 6.400
pazienti, randomizzati ai due trattamenti.
Principali eventi misurati
End point primario. Riduzione di eventi vascolari maggiori combinati: ictus ischemico, infarto miocardico, morte.
End point secondari. Riduzione di a) eventi combinati ictus ischemico, infarto miocardico, morte vascolare, amputazione; b) morte
vascolare; c) ictus e infarto non fatali, morte per ogni causa; d) morte per ogni causa.
Durata del trattamento
Da 1 a 3 anni (media 1,91 anni).
Bibliografia
della meta-analisi dell’ATC, dal momento che implicitamente riconosce che l’ASA è sicuramente efficace nei soggetti a rischio cardiovascolare (tanto da
assumerlo come farmaco di controllo), ma è stato
disegnato a partire da un’ipotesi di una maggiore efficacia, quantificabile nel 12-13%, del clopidogrel
rispetto all’ASA.
1.
Antiplatelet Trialists’ Collaboration. Collaborative overview of randomised trials of antiplatelet therapy. I: prevention of death, myocardial infarction, and stroke by prolonged antiplatelet therapy in various categories of
patients. BMJ 1994;308:81-106.
3.2. I risultati dello studio CAPRIE
I risultati della ricerca sono riportati nella Tabella 1.
In essa si osserva (prime due colonne verticali) che sul
totale dei 9.586 pazienti, trattati con 325 mg/die di
ASA, rispetto ai 9.599 trattati con 75 mg/die di clopidogrel:
• l’incidenza dell’evento principale misurato (combinazione di ictus, infarto miocardico e mortalità vascolare) risulta del 5,83% nel gruppo ASA e del 5,32% nel
gruppo clopidogrel;
• l’incidenza dell’end point secondario misurato (ictus,
infarto, morte vascolare + amputazione) risulta pari al
6,01% nel gruppo ASA e al 5,56% nel gruppo clopidogrel;
• l’incidenza degli altri due end point misurati - morte
vascolare e morte per ogni causa - risulta rispettivaBIF Mar-Apr 2000 - N. 2
mente del 2,06% e 3,11% nel gruppo ASA e dell’1,9%
e 3,05% nel gruppo clopidogrel.
In particolare, per quanto riguarda l’evento principale analizzato, rappresentato dagli eventi combinati di
ictus, infarto miocardico e mortalità cardiovascolare, si
osserva che:
• la percentuale di eventi rilevati nel gruppo di pazienti
randomizzato al trattamento in sperimentazione o
Experimental Event Rate (EER) è pari al 5,32%
(gruppo clopidogrel) mentre la percentuale di eventi
osservati nel gruppo di controllo (gruppo ASA) o
Control Event Rate (CER) è pari al 5,83%;
• da ciò deriva che la riduzione relativa del rischio
(RRR) dell’evento principale misurato nei pazienti
randomizzati a clopidogrel rispetto ai trattati con ASA
è dell’8,7%.
In sintesi, lo studio CAPRIE evidenzia una differenza modesta nell’efficacia dei due trattamenti per
quanto concerne l’evento principale misurato (terza
colonna della Tabella 1): la riduzione relativa del
rischio (RRR) dell’evento principale combinato
(ictus, infarto, morte vascolare) è dell’8,7%, marginalmente significativa (IC 95%: 3 ÷ 16,5; p=0,043) e
chiaramente inferiore rispetto alla stima di una riduzione del 12 – 13% su cui era stato dimensionato il
trial. Il vantaggio di minime proporzioni si ridurrebbe ulteriormente, e non sarebbe più significativo, se
all’evento combinato ictus, infarto, morte vascolare
7
AGGIORNAMENTI
si aggiungesse l’amputazione maggiore, essendo
poco sostenibile qualsiasi differenza tra l’arto perso
per un’ischemia periferica e quello paralizzato per
un’ischemia cerebrale.
Per gli altri end point indagati, la riduzione relativa del
rischio tra i due gruppi di pazienti non appare statisticamente significativa; in particolare, nei pazienti trattati con
clopidogrel rispetto a quelli trattati con ASA non risultano ridotte né la mortalità vascolare né la mortalità totale.
Lo studio CAPRIE evidenzia inoltre che la riduzione
assoluta del rischio (ARR) dell’evento combinato primario (ictus, infarto, morte vascolare) nei pazienti randomizzati a clopidogrel rispetto a quelli del gruppo ASA
è pari a 5,83 – 5,32 = 0,51% (Tabella 1, quarta colonna).
Per gli altri eventi indagati la riduzione assoluta del
rischio tra gruppi clopidogrel e ASA è la seguente
(Tabella 1, quarta colonna):
– ictus, infarto, morte vascolare, amputazione: 0,45%;
– ictus e infarto non fatali, morte per ogni causa: 0,47%;
– morte vascolare: 0,16%;
– morte per ogni causa: 0,06%.
Dal momento che la ARR dell’evento primario tra
gruppo clopidogrel e ASA è pari allo 0,51%, significa
allora che bisogna trattare 100 soggetti con clopidogrel
per 1,91 anni (durata media del CAPRIE) al fine di prevenire 0,51 eventi, o 196 soggetti per prevenire un evento vascolare maggiore. 196 è l’NNT dell’evento primario.
Allo stesso modo sono calcolati gli NNT per gli end
point secondari che il CAPRIE si era prefissato di misurare (v. Tabella 1, quinta colonna): così, rispetto ai
pazienti in trattamento con ASA, devono essere trattati
con clopidogrel:
– 213 soggetti per prevenire un end point combinato
ictus e infarto non fatali, morte per ogni causa;
– 222 soggetti per prevenire un end point combinato
ictus, infarto, morte vascolare, amputazione;
– 625 pazienti per prevenire una morte vascolare;
– 1.666 pazienti per prevenire la morte per ogni causa.
Gli indicatori in precedenza riportati, consentono al
lettore di calcolare i costi del trattamento con clopidogrel rispetto a quelli con ASA. Indicativamente, la terapia giornaliera con 300 mg di ASA costa 200 lire, mentre quella con clopidogrel, 75 mg, costa circa 5.000 lire
(prezzo inizialmente proposto).
Il costo della terapia giornaliera con ticlopidina (250
mg x 2) oscilla da 2.400 lire circa (prezzo specialità
medicinale) a 1.900 lire (prezzo medicinale generico).
Tabella 1. Principali risultati dello studio CAPRIE sulla totalità dei pazienti
Eventi
Incidenza di eventi per anno
ASA
Clopidogrel
CER
EER
Ictus, infarto, morte vascolare
5,83%
Ictus, infarto, morte vascolare, amputazione
RRR
(IC 95%)
ARR
NNT
5,32%
8,7%
(3 ÷ 16,5)
0,51%
196
6,01%
5,56%
7,6%
(–0,8 ÷ 15,3)
0,45%
222
Morte vascolare
2,06%
1,90%
7,6%
(–6,9 ÷ 20,1)
0,16%
625
Ictus e infarto non fatali, morte per ogni causa
6,9%
6,43%
7,0%
(–0,9 ÷ 14,2)
0,47%
213
Morte per ogni causa
3,11%
3,05%
2,2%
(–9,9 ÷ 12,9)
0,06%
1.666
Per il significato delle sigle adottate si veda il Glossario nella terza pagina di copertina.
3.3. I risultati dello studio CAPRIE per sottogruppi di
pazienti
Come è stato precisato al punto 3.1, il CAPRIE, a
partire dall’ipotesi che un trattamento antiaggregante
sia di fatto ugualmente efficace in diverse categorie di
soggetti a rischio di complicanze trombotiche, ha provveduto al reclutamento contemporaneo di tre diversi
sottogruppi di pazienti, e cioè con infarto miocardico
recente o con ictus cerebrale di natura ischemica recente o con una vasculopatia periferica. I 19.185 pazienti
complessivamente entrati nello studio furono pertanto
classificati in base alle tre diverse presentazioni cliniche, comprendente ognuna oltre 6.000 pazienti rando-
8
mizzati a clopidogrel o ad ASA. L’incidenza di eventi
combinati ictus, infarto, morte vascolare è stata valutata in questi tre sottogruppi di pazienti e i principali
risultati sono riportati in Tabella 2.
L’analisi dei risultati ottenuti nelle tre categorie di
pazienti dimostra nei pazienti con pregresso ictus una
riduzione non significativa dell’incidenza dell’evento
combinato (7,71% ASA vs 7,15% clopidogrel), mentre
nei pazienti con pregresso infarto miocardico si osserva un aumento dell’incidenza dell’evento combinato,
ancorché non significativo, in quelli trattati con clopidogrel (4,84% ASA vs 5,03% clopidogrel). Nel sottogruppo diagnostico con malattia arteriosa periferica si
BIF Mar-Apr 2000 - N. 2
AGGIORNAMENTI
dimostra una riduzione significativa di incidenza dell’evento combinato nei pazienti trattati con clopidogrel:
4,86% ASA vs 3,71% clopidogrel, con RRR del 23,8%
(IC 95%: 8,9 ÷ 36,2). La ARR dell’end point primario
(ictus, infarto, morte vascolare) tra i pazienti con ictus
recente è pari a 0,56% (ciò significa che è necessario
trattare 179 pazienti per evitare un evento), tra i pazienti con infarto è pari a –0,19% (in questo caso non è possibile calcolare l’NNT in quanto il clopidogrel ha dimostrato di indurre un maggior numero di eventi rispetto
all’ASA), e infine tra i pazienti con vasculopatia periferica è pari a 1,15% (bisogna cioè trattare 87 pazienti
per evitare un evento).
L’analisi dei risultati per sottogruppi clinici selezionati in base alla patologia indice, che ne aveva
determinato l’ingresso nello studio, dimostra che la
maggior parte della differenza di efficacia, per quanto
esigua e al limite della significatività statistica (RRR
= 8,7%; ARR = 0,51%) tra clopidogrel e ASA, appare
attribuibile ad una consistente differenza, pari a circa
il 24%, a favore del clopidogrel nei pazienti con
vasculopatia periferica sintomatica. In altri termini, i
risultati dello studio sembrano suggerire che il reale
beneficio del clopidogrel rispetto all’ASA possa non
essere lo stesso nelle tre diverse situazioni cliniche
esaminate e che i pazienti con vasculopatia periferica
potrebbero essere gli unici ad avvantaggiarsi dal trattamento con clopidogrel; i pazienti con ictus trarrebbero un beneficio minimo dal trattamento con clopidogrel rispetto all’ASA, mentre gli infartuati subirebbero un lieve peggioramento.
Ci sono molte dimostrazioni che l’analisi per sottogruppi dei risultati dei trial espone ad errori, e pertanto
va interpretata con cautela. Nel caso del CAPRIE, l’analisi per sottogruppi era programmata nel disegno del
trial e rispondente a ragioni plausibili (possibili differenze fisiopatologiche della patologia aterosclerotica
fra i tre distretti). Questo può attenuare, senza cancellarli, i motivi della cautela da mantenere nell’interpretazione dei risultati per sottogruppi.
Formalmente, la conclusione dello studio resta pertanto quella di un marginale vantaggio derivante dal
trattamento con clopidogrel nel totale della popolazione presa in esame. Nella pratica, può essere giustificata l’incertezza del medico nell’accettare tale beneficio
del clopidogrel nell’ictus (risultato non significativo) e
ancor più nell’infarto (risultato non significativo a
favore dell’ASA).
Tabella 2. Principali risultati dello studio CAPRIE in sottogruppi di pazienti
Incidenza di eventi combinati ictus, infarto, morte vascolare per anno
Sottogruppi di pazienti
ASA
Clopidogrel
RRR
(IC 95%)
ARR
NNT
Ictus recente
7,71%
7,15%
0,56%
179
Infarto recente
4,84%
5,03%
-0,19%
(non val.)
4,86
3,71%
7,3%
(-5,7 ÷ 18,7)
- 3,7%
(–22,1 ÷ 12,0)
23,8%
(8,9 ÷ 36,2)
1,15%
87
Vasculopatia periferica
Per il significato delle sigle adottate si veda il Glossario nella terza pagina di copertina.
3.4. Sicurezza e tollerabilità di ASA e clopidogrel nello
studio CAPRIE
Dal punto di vista della sicurezza, entrambi i regimi terapeutici sono risultati ben tollerati. In particolare, il clopidogrel non ha indotto un eccesso di neutropenie (tanto temuto a carico della ticlopidina) né di
porpora trombotica trombocitopenica (PTT) rispetto
all’ASA. Le uniche differenze statisticamente significative tra gli eventi avversi gravi osservati nei due
gruppi di trattamento riguardano le emorragie
gastrointestinali (2 in più ogni 1.000 pazienti trattati,
nel gruppo ASA) e i rash (1-2 in più ogni 1.000
pazienti trattati, nel gruppo clopidogrel).
La Tabella 3 riporta le percentuali degli effetti avversi clinicamente rilevanti osservati nello studio
CAPRIE.
I risultati dello studio CAPRIE sembravano
suggerire che il clopidogrel potesse sostituire la
ticlopidina in tutti i casi in cui l’ASA appariva
BIF Mar-Apr 2000 - N. 2
realmente controindicato. In realtà, come per tutti
i nuovi farmaci, una valutazione più esauriente del
profilo di sicurezza del clopidogrel è possibile
solo attraverso un’attenta sorveglianza post-marketing, quando il farmaco è utilizzato nella pratica
clinica reale su ampie popolazioni. Dopo la commercializzazione del farmaco, sono comparse in
letteratura segnalazioni di nefropatia membranosa
(1), artrite acuta (2), e ageusia reversibile (3),
broncospasmo, angioedema e reazioni anafilattoidi (4) casi non osservati durante la sperimentazione clinica.
La preoccupazione maggiore riguarda il rischio di
PTT, di cui sono stati segnalati 11 casi (5). Siccome
la ticlopidina può provocare PTT con una incidenza
di un caso ogni 1.600-5.000 pazienti trattati, dal
momento che clopidogrel e ticlopidina agiscono con
lo stesso meccanismo d’azione e differiscono nella
struttura chimica solo per un gruppo carbossimetilico
9
AGGIORNAMENTI
Tabella 3. Percentuali di effetti avversi clinicamente rilevanti di ASA e clopidogrel nel CAPRIE
CLOPIDOGREL (N=9.599)
ASA (N=9.586)
Emorragici
- sanguinamento di ogni tipo
- sanguinamento gastrointestinale
- sanguinamento intracranico
- altri eventi (porpora, ecchimosi, ematoma)
- ematuria, sanguinamento oculare
9,3%
2,0%
0,4%
0,6%
rari
9,3%
2,7%
0,5%
0,4%
rari
Ematologici
- neutropenia grave
- trombocitopenia grave
- anemia aplastica
0,04%
0,2%
0,01%
0,02%
0,1%
-
Gastrointestinali
- eventi totali (dolore addominale, dispepsia, gastrite, stipsi)
- eventi clinicamente gravi
- eventi determinanti interruzione trattamento
- diarrea
27,1%
3,0%
3,2%
4,5%
29,8%
3,6%
4,0%
3,4%
Cute ed annessi
- eventi totali
- eventi gravi
- rash
- prurito
15,8%
0,7%
4,2%
3,3%
13,1%
0,5%
3,5%
1,6%
Sistema nervoso centrale e periferico
- cefalea, capogiro, vertigine, parestesia
22,3%
23,8%
Epato-biliari
- eventi complessivi
3,5%
3,4%
(vedi Figura 1), è stata posta particolare attenzione al
monitoraggio attivo di questo evento (e dell’agranulocitosi). Degli 11 pazienti trattati con clopidogrel
che hanno manifestato PTT, 10 hanno risposto favorevolmente alla trasfusione plasmatica, 2 hanno
rischiesto 20 o più trasfusioni e 2 hanno presentato
ricadute mentre non erano più in trattamento con clopidogrel. Un paziente è invece deceduto nonostante
un trattamento trasfusionale immediatamente dopo la
diagnosi. In conclusione, anche il clopidogrel può
provocare PTT e il medico deve essere particolarmente attento a questa possibile evenienza quando
decide di utilizzarlo.
Recentemente, il trattamento con clopidogrel è stato
anche associato a sindrome emolitico-uremica (6), una
patologia simile alla PTT.
Gli effetti collaterali del clopidogrel riportati nel British National Formulary (7) sono: emorragie (comprese quelle gastrointestinali ed intracraniche); disturbi
addominali, nausea, vomito, diarrea, stipsi, ulcera
gastrica e duodenale; cefalea, vertigini, parestesie;
rash, prurito; disordini epatici e biliari, neutropenia,
segnalazioni isolate di anemia aplastica.
10
Il profilo di sicurezza del clopidogrel è oggetto di
periodiche revisioni da parte dell’autorità regolatoria
europea; in occasione della riunione del Comitato per le
Specialità Medicinali (CPMP) di Aprile 2000, è stato
deciso l’inserimento della PTT nel paragrafo “Effetti
indesiderati” della scheda tecnica del farmaco. Altri
effetti indesiderati quali febbre, artralgie, artrite e agranulocitosi saranno prossimamente discussi e probabilmente inclusi anch’essi tra i potenziali eventi indesiderati del clopidogrel.
Bibliografia
EVENTI AVVERSI
1.
2.
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BIF Mar-Apr 2000 - N. 2
AGGIORNAMENTI
3.5. Le conclusioni dello studio CAPRIE
Lo studio non ha provato alcuna delle due ipotesi di
partenza, infatti:
– il confronto tra clopidogrel e ASA ha dato risultati
significativamente differenti fra i tre sottogruppi di
pazienti, smentendo l’ipotesi dell’unitarietà del rischio
legato alla patologia aterotrombotica nei tre distretti
cerebrale, coronarico e periferico;
– rispetto all’ASA, la riduzione di rischio di eventi
avversi cardiovascolari nei pazienti trattati con clopidogrel è stata inferiore a quella ipotizzata.
Il vantaggio isolato riscontrato nei pazienti con
malattia arteriosa periferica non rientrava nelle ipotesi
su cui era stata disegnata la ricerca. Pertanto il risultato
non può essere considerato conclusivo e come tale sufficiente a essere trasferito nella pratica; esso rappresenta invece un’interessante ipotesi di lavoro sull’efficacia
del clopidogrel nei confronti dell’ASA, da saggiare in
successivi trial disegnati ad hoc.
In conclusione, al momento, clopidogrel mostra vantaggi clinico-epidemiologici modesti e marginali
rispetto all’ASA, molte incertezze per quanto concerne
la safety (segnalazioni di effetti indesiderati che avvicinano il suo profilo di tossicità a quello della ticlopidina) e un costo molto superiore.
DA RICORDARE
➢ Clopidogrel è un antiaggregante piastrinico strutturalmente simile alla ticlopidina da cui differisce esclusivamente solo per la presenza nella sua molecola di un gruppo carbossimetilico.
➢ L’efficacia antiaggregante del clopidogrel è stata studiata mediante una ricerca comparativa denominata
CAPRIE, in cui il nuovo antiaggregante è stato confrontato con acido acetilsalicilico (ASA) in pazienti a rischio
di eventi cerebrovascolari per ictus cerebrale ischemico recente, infarto miocardico recente o vasculopatia
periferica sintomatica.
➢ Il CAPRIE ha evidenziato una differenza modesta nell’efficacia del clopidogrel vs ASA per quanto concerne
l’evento principale misurato (ictus, infarto, morte vascolare), marginalmente significativa e inferiore rispetto
alla stima di riduzione su cui era stato dimensionato il trial.
➢ L’analisi dei risultati del CAPRIE per sottogruppi di pazienti dimostra una riduzione non significativa
dell’incidenza dell’evento combinato (ictus, infarto, morte vascolare) nei soggetti con pregresso ictus trattati
con clopidogrel rispetto a quelli trattati con ASA e un aumento non significativo dell’incidenza dell’evento
combinato (ictus, infarto, morte vascolare) nei pazienti con pregresso infarto miocardico trattati con
clopidogrel.
➢ La conclusione del CAPRIE resta quella di un marginale vantaggio clinico del clopidogrel sull’ASA nel totale
della popolazione presa in esame, con un costo della terapia decisamente superiore rispetto all’ASA.
➢ Dopo la commercializzazione del clopidogrel, sono già comparse in letteratura segnalazioni di porpora trombotica trombocitopenica, sindrome emolitico-uremica, nefropatia membranosa, artrite acuta, ageusia, non
osservate durante lo studio CAPRIE.
➢ L’autorità regolatoria europea ha già deciso l’inserimento della porpora trombotica trombocitopenica nel
paragrafo “Effetti indesiderati” della scheda tecnica del clopidogrel; altri effetti indesiderati quali febbre,
artralgie, artrite e agranulocitosi saranno a breve oggetto di discussione e, probabilmente, saranno anch’essi
inclusi tra i potenziali eventi indesiderati di questo farmaco.
BIF Mar-Apr 2000 - N. 2
11
AGGIORNAMENTI
Antipertensivi: ridurre la pressione arteriosa
o prolungare la vita
Interrotto il trattamento con doxazosin nello studio ALLHAT
L’8 marzo 2000, un comunicato-stampa del National
Heart, Lung, and Blood Institute (NHLBI) ha annunciato l’interruzione prematura di una parte dello studio
ALLHAT (Antihypertensive and Lipid Lowering Treatment to Prevent Heart Attack Trial) (1) in quanto uno
dei farmaci testati, un alfa-litico, si è dimostrato meno
efficace della più tradizionale terapia con diuretici nel
ridurre alcune forme di patologia cardiovascolare.
ALLHAT è uno studio comparativo di grandi dimensioni, che coinvolge oltre 42.000 pazienti arruolati in
625 centri di Stati Uniti e Canada. Iniziato nel 1994,
dovrebbe concludersi nel marzo del 2002. Lo studio è
stato progettato principalmente per confrontare farmaci di vecchia e nuova generazione utilizzati nella terapia dell’ipertensione. L’alfa-litico utilizzato nello studio è il doxazosin; il diuretico è il clortalidone. Rispetto ai soggetti trattati con quest’ultimo, i pazienti che
assumevano doxazosin hanno presentato un 25% in più
di eventi cardiovascolari e una probabilità doppia di
essere ospedalizzati per scompenso cardiaco congestizio. Diuretico ed alfa-litico si sono dimostrati similmente efficaci nella prevenzione di attacchi cardiaci e
nel ridurre il rischio di morte per ogni causa (per maggiori dettagli v. Box 1).
In seguito a queste evidenze, il National Heart,
Lung, and Blood Institute ha suggerito che i pazienti
attualmente in trattamento con un alfa-litico consultino
i loro medici per un eventuale passaggio ad altro farmaco antipertensivo. Se un paziente deve iniziare un
trattamento, un alfa-litico non rappresenta la migliore
scelta terapeutica.
Il doxazosin indicato come antipertensivo è in commercio in Italia con il nome di Normothen, Cardura e
Dedralen; un altro alfa-litico usato per l’ipertensione è
la terazosina (Ezosina, Itrin). Alfa-litici con indicazione nell’ipertrofia prostatica benigna, oltre al doxazosin
(Benur), sono alfusozina (Benestan, Mittoval, Xatral),
tamsulosina (Omnic, Pradif) e terazosina (Teraprost,
Unoprost, Urodie).
Anche l’American College of Cardiology (ACC) ha
pubblicato un avvertimento, raccomandando che i
medici rivalutino l’impiego del doxazosin. “ACC incoraggia i medici a rivedere e a discutere tra colleghi i dati
emersi da ALLHAT per assicurare una rapida diffusione di questa importante informazione”, ha dichiarato
Robert J. Cody, presidente di ACC Hypertensive Diseases Committee e capo associato della Cardiovascular
Division presso la University of Michigan Medical
School ad Ann Arbor. “Nello stesso tempo, i pazienti
ipertesi trattati con un alfa-litico dovrebbero, per prima
12
cosa, incontrare i loro medici prima di interrompere la
terapia. Ciò è importante in quanto il trattamento dell’ipertensione e la scelta della terapia dovrebbero essere strettamente individualizzati”.
Nel Box 2, a pag. 15, sono riportati schematicamente i dati di
vendita dei farmaci antipertensivi nel 1998 e 1999.
Conseguenze dell’interruzione del trattamento con
doxazosin nello studio ALLHAT
(Implication of discontinuation of doxazosin arm of
ALLHAT. Lancet 2000;355:863-4)
È questo il titolo di un Commentary di particolare
rilevanza clinica, scritto da Franz H. Messerli e pubblicato l’11 marzo 2000 su Lancet (355:863-4). Di seguito è riportato il testo integrale.
“Il mese scorso, il Data Safety Monitoring Board
(organo di controllo della sicurezza di uno studio, NdT)
dell’Antihypertensive and Lipid Lowering Treatment to
Prevent Heart Attack Trial (ALLHAT) ha deciso di
interrompere la ricerca relativa al gruppo di pazienti
trattati con doxazosin. La decisione è stata presa in base
all’evidenza che in una percentuale significativamente
più alta di pazienti del gruppo doxazosin insorgeva
insufficienza cardiaca congestizia (che era un end point
secondario) e alla considerazione che era improbabile
che il doxazosin fosse più efficace del clortalidone
nella prevenzione della malattia coronarica (end point
principale).
Poiché lo studio ALLHAT ha portato ad arruolare
oltre 40.000 pazienti ed è sponsorizzato da US National
Heart, Lung, and Blood Institute, è del tutto plausibile
che la decisione di sospendere il gruppo doxazosin
dallo studio sia stata fortemente motivata ed attuata
dopo profonda ed attenta valutazione; è altrettanto
plausibile che il doxazosin, nonostante sia in grado di
ridurre la pressione, produca un beneficio significativamente minore rispetto alla terapia con diuretici sul
maggiore end point cardiovascolare.
Per definizione, tutti i farmaci antipertensivi
abbassano la pressione del sangue. A partire dallo studio della Veterans Administration (2), un presupposto
clinico accettato è che la diminuzione della pressione
di per sé riduca morbilità e mortalità, e che tale riduzione di eventi avversi non sia correlata, o sia scarsamente correlata, al meccanismo attraverso cui la pressione viene ridotta. Studi recenti quali CAPPP (3),
STOP-2 (4) e UKPDS (5) sembrano sottostimare il
BIF Mar-Apr 2000 - N. 2
AGGIORNAMENTI
BOX 1
Antihypertensive and Lipid Lowering Treatment to Prevent Heart Attack Trial (ALLHAT)
Eventi cardiovascolari maggiori in pazienti con ipertensione randomizzati a doxazosin vs clortalidone (JAMA 283;19 Aprile 2000: 1967-75)
Contesto e motivazione dello studio
L’ipertensione è correlata a un significativo aumento del rischio di morbilità e di mortalità. E’ stato dimostrato in studi a
lungo termine che solo diuretici e beta-bloccanti sono in grado di ridurre tale rischio. Non si sa invece se gli antipertensivi più recenti diminuiscano l’incidenza della patologia cardiovascolare.
Obiettivo
Confrontare l’effetto di doxazosin (alfa-litico), clortalidone (diuretico), amlodipina (calcio antagonista) e lisinopril (ACEinibitore), sull’incidenza di eventi cardiovascolari in pazienti con ipertensione.
Disegno
ALLHAT è uno studio clinico controllato, randomizzato, in doppio cieco, iniziato nel 1994. Nel gennaio 2000, dopo un’analisi ad interim, un comitato indipendente di revisione dei dati ha raccomandato l’interruzione del trattamento nel gruppo che riceveva doxazosin valutato in confronto al gruppo clortalidone. I dati di esito di seguito riportati riflettono il follow up a dicembre 1999.
Popolazione studiata nel braccio clortalidone vs doxazosin
24.335 pazienti di 55 anni o più, con ipertensione e almeno un altro fattore di rischio di malattia coronarica.
Trattamento
Assegnazione casuale a due gruppi: 15.268 pazienti sono trattati con 12,5 – 25 mg/die di clortalidone, 9.067 con 2 – 8
mg/die di doxazosin, per un periodo di follow up programmato di 4-8 anni.
Eventi misurati e comparati nei due gruppi
Principali: coronaropatia fatale o infarto miocardico non fatale.
Secondari: mortalità per ogni causa; ictus; eventi combinati di morte per malattia coronarica, infarto non fatale, ictus,
angina, rivascolarizzazione coronarica, scompenso cardiaco congestizio, vasculopatia arteriosa periferica.
Risultati
Durata media follow up: 3,3 anni. 365 pazienti del gruppo doxazosin e 608 del gruppo clortalidone hanno presentato coronaropatia fatale o infarto miocardico non fatale: nessuna differenza di rischio tra i due gruppi (Rischio Relativo (RR):
1,03; IC 95%: 0,90÷1,17; p = 0,71).
La mortalità totale non è risultata differente nei due gruppi (valori a 4 anni: 9,62% doxazosin, 9,08% clortalidone; RR:
1,03; IC 95%: 0,90÷1,15; p = 0,56).
Rispetto al gruppo clortalidone, i pazienti trattati con doxazosin hanno evidenziato un rischio più elevato di ictus (RR:
1,19; IC 95%: 1,01÷1,40; p = 0,04) e di eventi combinati: morte per malattia coronarica, infarto non fatale, ictus, angina, rivascolarizzazione coronarica, scompenso cardiaco congestizio, vasculopatia arteriosa periferica (valori a 4 anni:
doxazosin 25,45% vs 21,76% clortalidone; RR: 1,25; IC 95%: 1,17÷1,33; p < 0,01).
I rischi relativi per angina, rivascolarizzazione coronarica e vasculopatia arteriosa periferica sono stati rispettivamente
1,16 (p < 0,001), 1,15 (p = 0,05) e 1,07 (p = 0,5).
Conclusione
I dati indicano che nei pazienti trattati con clortalidone o con doxazosin esiste essenzialmente lo stesso rischio di coronaropatia fatale e di infarto miocardico non fatale; ciò che invece appare diverso nel gruppo clortalidone è una riduzione
significativa del rischio di eventi combinati – morte per malattia coronarica, infarto non fatale, ictus, angina, rivascolarizzazione coronarica, scompenso cardiaco congestizio, vasculopatia arteriosa periferica – e, in particolare, di scompenso cardiaco congestizio, nei pazienti ipertesi ad alto rischio.
concetto che tutte le classi degli antipertensivi forniscano benefici similari.Questo concetto del primato
dell’abbassamento della pressione è stato rassicurante per i medici e per le autorità regolatorie. Poiché la
pressione del sangue è da considerarsi un valido end
point surrogato che riflette una variabile reale di
risultato (correlata cioè a infarto, ictus e morte
improvvisa), la riduzione della pressione è stata ritenuta una prova sufficiente di efficacia per qualsiasi
nuovo farmaco antipertensivo.
BIF Mar-Apr 2000 - N. 2
I bloccanti post-sinaptici o gli alfa-litici periferici
sono usati da oltre due decenni nel trattamento dell’ipertensione, eppure solo ora è stato evidenziato che un
componente di questa classe produce un beneficio inferiore di un diuretico. E’ stato ben documentato che gli
alfa-litici esercitano un effetto benefico sulla sindrome
metabolica dell’ipertensione, determinando in particolare una riduzione dell’insulino-resistenza (6). E, tra
tutti i farmaci antipertensivi, il doxazosin si è dimostrata di fatto quello dotato dell’effetto più intenso sull’in-
13
AGGIORNAMENTI
sulino-resistenza. Al contrario, i diuretici aumentano la
resistenza all’insulina (7). Pertanto, si è molto sperato
che il doxazosin, in aggiunta ai benefici conseguenti a
questa riduzione pressoria, potesse migliorare anche i
fattori di rischio metabolico correlati alla malattia cardiovascolare ipertensiva, dimostrandosi per questo di
particolare utilità, o almeno più efficace dei diuretici
nel prevenire la malattia coronarica (8).
La decisione del Data Safety Monitoring Board dell’ALLHAT indica evidentemente che non è così. Questo
organismo ha invece constatato che la terapia diuretica a
basso dosaggio offre complessivamente più benefici cardiovascolari del doxazosin. Lo studio ALLHAT non ha
evidenziato alcuna differenza tra i due gruppi relativamente alla pressione diastolica, mentre è emersa una differenza di 3 mm Hg nella pressione sistolica, il che non
dovrebbe giustificare l’aumento di scompenso cardiaco,
ma potrebbe spiegare perché i soggetti trattati con doxazosin presentavano un 25% in più di eventi cardiovascolari rispetto ai pazienti trattati con clortalidone. La minore differenza nella pressione arteriosa indica che le modificazioni indotte dal farmaco sulla resistenza all’insulina
e sulla dislipoproteinemia non sono clinicamente rilevanti, o che un potente fattore di rischio ancora sconosciuto, associato alla terapia con doxazosin, si contrappone all’effetto benefico correlato alla diminuzione pressoria e al miglioramento dell’insulino-resistenza, o che i
diuretici offrono alcuni benefici cardiovascolari indipendentemente dal loro effetto antipertensivo.
Quali sono le conseguenze della decisione di interrompere il trattamento con doxazosin dell’ALLHAT?
Recenti linee guida della US Joint National Committee (9), della Organizzazione Mondiale della Sanità
(10), della British Hypertension Society (11), della
Canadian Medical Association (12) e del Group de
Travail francese (13) riconoscono gli alfa-litici quali
farmaci antipertensivi di prima linea, parimenti efficaci quanto gli ACE-inibitori, i calcio antagonisti e i
sartani. Ora, tutte e cinque queste linee guida dovranno essere riprese in considerazione per il semplice
fatto che il doxazosin, o l’intera classe degli alfa-litici, non potranno essere ancora classificati tra i farmaci antipertensivi di prima scelta. Resta da determinare se il doxazosin possa essere considerato un farmaco da aggiungere ad una terapia antipertensiva standard. Si potrà ancora utilizzare tale farmaco per la
remissione dei sintomi in pazienti con nocturia
secondaria ad iperplasia prostatica, anche se probabilmente è da evitarsi in pazienti con scompenso cardiaco congestizio manifesto o latente.
E, infine, le autorità regolatorie dovranno probabilmente riconsiderare il principio che la sola pressione del
sangue sia un end point surrogato accettabile per dimostrare l’efficacia di tutti i farmaci antipertensivi. Maggiore importanza dovrà essere riservata ai dati di mortalità e
di morbilità, mentre i benefici cardiovascolari dei nuovi
farmaci antipertensivi, o almeno di nuove classi, dovrebbero essere attentamente valutati contemporaneamente ai
loro effetti di riduzione della pressione del sangue”.
14
Su JAMA n. 283 del 19 Aprile 2000 è stato pubblicato un articolo dal titolo “Eventi cardiovascolari maggiori in pazienti ipertesi randomizzati a doxazosin vs
clortalidone”, che riporta nel dettaglio i risultati dello
studio ALLHAT, relativamente al gruppo di pazienti
trattati con doxazosin al momento dell’interruzione
imposta dall’organismo di controllo. Compare inoltre
un Editoriale, a firma di Louis Lasagna, dal titolo significativo “Diuretici vs alfa-litici per il trattamento dell’ipertensione – Lezioni dall’ALLHAT”. Oltre a ribadire alcuni principi presenti nel Commentary di Lancet
dell’11 Marzo 2000 (355:863), l’Editoriale di JAMA
aggiunge alcuni aspetti di particolare interesse che di
seguito sono riportati.
– Fin dall’inizio dello sviluppo dei farmaci utilizzati
nell’ipertensione, si era in generale ipotizzato che
non fossero necessari studi comparativi tra farmaci di
varie classi, in quanto gli interventi in grado di ridurre in uguale misura la pressione avrebbero pure determinato un uguale beneficio clinico; tale ipotesi ha
fatto sì che la pressione del sangue venisse utilizzata
come end point surrogato e di riferimento sufficiente
per approvare i farmaci antipertensivi (14).
– Via via che sono stati sviluppati nuovi prodotti con
meccanismi d’azione e profili tossicologici tra loro
molto differenti, questa teoria ha cominciato ad essere riconsiderata, ipotizzando, tra l’altro, che determinati gruppi di pazienti - con diabete, disfunzione ventricolare sinistra, angina pectoris, emicrania, ipertrofia prostatica, disordini del profilo lipidico – avrebbero potuto ottenere particolari vantaggi a seconda
dei gruppi di farmaci antipertensivi utilizzati (15).
Questa ipotesi ha, in parte, condotto a suggerire quanto appare nel “Sixth Report of the Joint National
Committee on Prevention, Detection, Evaluation, and
Treatment of High Blood Pressure”, e cioè che la
scelta iniziale del farmaco antipertensivo tenesse in
considerazione le condizioni di co-morbilità dei
pazienti da trattare (16).
– Per ricercatori e clinici riveste particolare interesse
verificare se i risultati osservati in indagini comparative siano gli stessi che si ottengono nella pratica clinica reale, quando sono trattati pazienti con profili
medici e psicosociali più complessi. Questa problematica ha posto le basi per lo sviluppo di studi semplici e di ampie dimensioni, di tipo “naturalistico”
(17), in cui è arruolato un numero elevato di pazienti,
che riflettono più accuratamente la realtà che si
incontra nella pratica clinica routinaria.
– Uno di questi studi è l’Antihypertensive and LipidLowering Treatment to Prevent Heart Attack Trial
(ALLHAT). Gli eventi misurati e i risultati raggiunti
nello studio ALLHAT sono riportati nel Box 1.
– Poiché il clortalidone serve nello studio come controllo attivo, il fatto che gli altri bracci di trattamento
non siano stati interrotti dopo l’analisi ad interim proBIF Mar-Apr 2000 - N. 2
AGGIORNAMENTI
babilmente sta a significare che, a questo punto di follow up, non esistono sostanziali differenze negli
effetti tra clortalidone, amlopidina e lisinopril. E’ previsto tuttavia che ALLHAT si concluda nella primavera del 2002 e solo allora, una volta analizzati i
rimanenti bracci di trattamento, si dovrebbe raggiungere una maggiore chiarezza.
Conclusione
La decisione di interrompere il braccio doxazosin di
ALLHAT ha importanti implicazioni:
a. il presupposto che ottenere l’abbassamento della
pressione arteriosa sia più importante del farmaco con cui si raggiunge tale obiettivo è sostan-
zialmente messo in discussione dai risultati dello
studio, che probabilmente avranno profonde
ripercussioni sullo sviluppo futuro di questi farmaci;
b. gli effetti benefici del doxazosin, quale quello
sulla riduzione della colesterolemia, non sembrano conferirgli, in questo studio, vantaggi sostanziali;
c. le implicazioni maggiori dei risultati di ALLHAT
riguardano le raccomandazioni per il trattamento
dell’ipertensione, nel senso che non è più possibile indicare il doxazosin quale farmaco di prima
linea.
BOX 2
Il mercato degli antipertensivi in Italia nel biennio 1998-1999 (dati di vendita)
Nella tabella sono riportati - relativamente al biennio 1998-'99 - i dati di vendita delle categorie di farmaci
impiegati principalmente come antipertensivi; per ogni anno è stato calcolato il numero di confezioni vendute, la spesa (con la relativa incidenza) e l'incremento di spesa registrato nel '99 rispetto al '98.
Il mercato dei farmaci impiegati principalmente come antipertensivi è stato di 3.508 miliardi nel 1998 e di
4.016 miliardi nel 1999 (+14,5%) e rappresenta circa il 21% della spesa totale dei farmaci di fascia A e B.
Dei farmaci presi in esame, gli ACE-inibitori - comprese le associazioni con diuretici - e i calcio antagonisti
diidropiridinici sono le categorie più prescritte rappresentando, nel 1999, oltre il 75% della spesa e delle confezioni vendute.
Nel biennio considerato, i sartani - comprese le associazioni con diuretici - e i beta-bloccanti sono i farmaci
che presentano il maggior incremento di spesa. Nel caso dei sartani si tratta di un trend evidenziato già nel
periodo '97-'98, e su cui ha ulteriormente inciso l'eliminazione della nota 73 nel corso del '99, mentre l'incremento dei beta-bloccanti è determianato, più che da un aumento generalizzato dei consumi, dall'ammissione
alla rimborsabilità all'inizio del 1999 di un nuovo principio attivo (nebivololo).
Gli alfa-litici si collocano al penultimo posto sia per numero di confezioni vendute che di spesa (circa 5%)
mentre i diuretici non raggiungono il 2% del mercato considerato.
1998
Pezzi
(x000)
Spesa
(x000.000)
1999
Incidenza
% di spesa
Pezzi
(x000)
Spesa
(x000.000)
Incidenza Increm. %
% di spesa spesa 99/98
ACE-inibitori, comprese le associazioni
con diuretici
83.400
1.825.054
52,0
89.839
1.988.224
49,5
+8,9
Calcio antagonisti diidropiridinici
37.756
962.504
27,4
38.593
1.057.366
26,3
+9,9
6.832
309.622
8,8
9.410
448.279
11,2
+44,8
12.068
170.053
4,8
14.106
233.953
5,8
+37,6
Alfa-litici
5.111
172.846
4,9
6.122
216.121
5,4
+25,0
Diuretici
9.811
66.726
1,9
10.305
70.662
1,8
+5,9
156.976
3.508.802
100,0
170.374
4.016.603
100,0
+14,5
Sartani, comprese le associazioni con diuretici
Beta-bloccanti
Totale
BIF Mar-Apr 2000 - N. 2
15
AGGIORNAMENTI
DA RICORDARE
â ALLHAT è uno studio comparativo di grandi dimensioni, progettato principalmente per confrontare quattro
farmaci utilizzati nella terapia dell’ipertensione (clortalidone, atenololo, doxazosin, lisinopril)
â Rispetto ai soggetti trattati con clortalidone, i pazienti che assumevano doxazosin hanno presentato un 25% in
più di eventi cardiovascolari (Rischio Relativo 1,25; IC 95%: 1,17 ÷ 1,33) e una probabilità doppia di essere
ospedalizzati per scompenso cardiaco congestizio; diuretico ed alfa-litico si sono dimostrati similmente efficaci nella prevenzione di attacchi cardiaci e nel ridurre il rischio di morte per ogni causa.
â In base a questi dati, l’organo di controllo della sicurezza di ALLHAT ha deciso di interrompere lo studio relativamente al gruppo di pazienti trattati con doxazosin.
â Le evidenze emerse da ALLHAT hanno indotto il National Heart, Lung, and Blood Institute a suggerire che i
pazienti attualmente in trattamento con un alfa-litico consultino i loro medici per un eventuale passaggio ad
altro farmaco antipertensivo e che, se un paziente deve iniziare un trattamento, un alfa-litico non rappresenta
la migliore scelta terapeutica.
Bibliografia
â Il presupposto che ottenere l’abbassamento della pressione arteriosa sia più importante del farmaco con cui si
raggiunge tale obiettivo è sostanzialmente messo in discussione dai risultati dello studio ALLHAT.
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BIF Mar-Apr 2000 - N. 2
EDITORIALE
DALLA
LETTERATURA
Sono stati pubblicati molti articoli – sulla stampa specializzata e non – in merito alla terapia oncologica del prof.
Luigi Di Bella. Abbiamo corso il rischio per un periodo, tanto è stato il clamore sollevato, di smarrire l’unico riferimento possibile: la verifica scientifica della validità della terapia.
L’iniziativa del Ministero della Sanità che ha promosso uno studio clinico controllato sulla terapia Di Bella ha avuto
il merito di riportare la questione sul suddetto piano.
Anche questo articolo sulla sopravvivenza dei pazienti malati di cancro ai quali è stata somministrata la Multiterapia Di Bella (MDB), comparso su Cancer del novembre 99, contribuisce ulteriormente a fare chiarezza sul reale valore scientifico della MDB. Lo riportiamo per intero, accompagnato da un editoriale di commento di Paul Calabresi
(v. pag. 24-25), autorevole oncologo americano e presidente della Commissione Internazionale che ha curato la
supervisione della sperimentazione clinica della MDB, organizzata dall’Istituto Superiore di Sanità.
Risultati di un’indagine retrospettiva sulla sopravvivenza di pazienti malati di cancro trattati con la
Multiterapia Di Bella
(Results from a historical survey of the survival of cancer patients given Di Bella
Multitherapy. Cancer 1999;86:2143-9)
Eva Buiatti, Centro di Documentazione per la Salute, Servizio Sanitario Regionale, Regione Emilia Romagna
Stefania Arniani, Centro di Documentazione per la Salute, Servizio Sanitario Regionale, Regione Emilia Romagna
Arduino Verdecchia, Istituto Superiore di Sanità, Laboratorio d’Epidemiologia e Biostatistica, Roma
Lorenzo Tomatis, Istituto per l’Infanzia Burlo Garofalo, Direzione Scientifica, Trieste
Registri Tumori italiani: Registro Tumori del Piemonte, Roberto Zanetti; del
Veneto, Lorenzo Simonato; di Trieste, Giorgio Stanta; della Liguria,
Marina Vercelli; della Lombardia, Paolo Crosignani; di Parma, Vincenzo Delisi; di Modena, Lucia Mangone; di Ferrara, Stefano Ferretti; della
Romagna, Fabio Falcini; della Toscana, Alessandro Barchielli; di Macerata, Franco Pannelli; di Latina, Ettore Conti; di Ragusa, Lorenzo Gafà;
del Registro Nazionale Tumori delle Ossa dell’Istituto Rizzoli di Bologna, Piero Picci; del FONOP, Giovanni Paolucci.
Col patrocinio dell’Istituto Superiore di Sanità di Roma, nell’ambito del
sostegno finanziario concesso dal Ministero della Sanità per gli studi concernenti la valutazione della Multiterapia Di Bella.
Gli autori ringraziano il prof. Luigi Di Bella e il suo staff per aver consentito l’accesso libero e incondizionato agli archivi dei suoi pazienti.
Abstract
Introduzione. I mass media italiani hanno dato ampio risalto al
successo ottenuto da una terapia alternativa impiegata per il trattamento di un certo numero di pazienti malati di cancro sviluppata dal
prof. Luigi Di Bella, un medico modenese. Nel 1998 il Ministero
della Sanità, spinto da considerevoli pressioni pubbliche, ha deciso
di promuovere alcuni studi per valutarne l’efficacia.
Metodi. E’ stato eseguito un follow up nei pazienti oncologici
trattati nel periodo 1971-1997 dal prof. Di Bella e registrati nel suo
archivio. I casi identificati sono stati ricercati presso i Registri
Tumori della zona di residenza al fine di accertarne la diagnosi, la
data di incidenza e lo stato in vita. La sopravvivenza di questi casi
è stata confrontata con quella di analoghi casi di pazienti oncologici estratti dalla banca dati dello studio nazionale ITACARE ed
appaiati individualmente. Sono state quindi calcolate le curve di
BIF Mar-Apr 2000 - N. 2
sopravvivenza (metodo Kaplan-Meier) per tutti i pazienti oncologici adulti combinati e per le principali sedi, nonché per i bambini
affetti da leucemia. L’omogeneità delle curve di sopravvivenza nei
due gruppi è stata valutata utilizzando il log rank test.
Risultati. Dopo diverse esclusioni, sono stati inclusi nello studio
314 pazienti. Il follow up è stato completato per il 79% di essi, soltanto quattro pazienti erano stati curati esclusivamente con la Multiterapia Di Bella (MDB) e, di questi quattro, solo uno era ancora
vivo due anni dopo la diagnosi. La sopravvivenza a cinque anni per
i bambini affetti da leucemia e per i pazienti oncologici adulti era in
entrambi i casi del 29,4%. La sopravvivenza a cinque anni era significativamente inferiore rispetto ai soggetti di controllo tratti dalla
bancadati ITACARE per i pazienti affetti da leucemia infantile, carcinoma della mammella femminile, leucemia dell’adulto e per tutti
i tumori combinati. Ventisette pazienti ai quali era stata somministrata la MDB sono sopravvissuti dieci o più anni dopo la diagnosi.
Solo per tre di questi soggetti si poteva parlare di una lunga sopravvivenza inaspettata.
Conclusioni. I risultati di questa serie non offrono alcuna evidenza che la MDB influisca positivamente sulla sopravvivenza dei
pazienti oncologici.
Introduzione
In molti paesi, sono state avanzate diverse proposte
di terapie antitumorali miracolose, non basate sulla evidenza scientifica. Alcune di esse hanno incontrato l’approvazione entusiasta dell’opinione pubblica e della
stampa locali. Recentemente, i mass media italiani
hanno dato ampio risalto al successo ottenuto da una
terapia alternativa impiegata per il trattamento di un
certo numero di pazienti malati di cancro sviluppata da
un medico modenese, il prof. Luigi Di Bella. La terapia
del prof. Di Bella (conosciuta come Multiterapia Di
Bella, MDB) è un cocktail di somatostatina (o il suo
17
DALLA LETTERATURA
equivalente sintetico octeotride), melatonina, una
sospensione di β-carotene, α-tocoferolo e acido retinoico, bromocriptina, ciclofosfamide in piccole dosi,
vitamina D e acido ascorbico. La stampa quotidiana ha
riferito che il prof. Di Bella avrebbe curato con successo circa 10.000 pazienti oncologici su base ambulatoriale privata. In Italia molti medici, per lo più medici
generici, si sono considerati “fautori della MDB” e
hanno somministrato la terapia a pazienti oncologici.
Tuttavia, in seguito alla richiesta del Ministero della
Sanità di produrre documentazione sui pazienti, vennero consegnati soltanto 39 dossier clinici, nessuno dei
quali conteneva convincenti evidenze di successo. Inoltre, la stampa scientifica internazionale ha riportato
diverse volte informazioni sul “caso Di Bella”. Nel
gennaio 1998, il Ministero della Sanità, spinto dalla
considerevole pressione pubblica, ha deciso di iniziare
una serie di sperimentazioni cliniche di fase II e di
intraprendere uno studio storico sulla sopravvivenza
dei pazienti trattati dal prof. Di Bella. I risultati dello
studio storico vengono di seguito presentati.
Materiali e metodi
E’ stato possibile realizzare questo studio grazie alla
collaborazione del prof. Di Bella che ha consentito
l’accesso all’archivio contenente la documentazione
clinica dei pazienti trattati a Modena.
Nel 1991-1992 alcune succinte informazioni individuali sui pazienti del prof. Di Bella trattati nel periodo
precedente sono state informatizzate dai suoi collaboratori. Da allora in poi, i nuovi casi sono stati sistematicamente aggiunti alla banca dati fino al mese di giugno del
1997. Questa banca dati corrisponde ad un archivio cartaceo in quasi il 100% dei casi. Le informazioni computerizzate si limitano al numero di identificazione, nome,
cognome, data di nascita, residenza e tipo di malattia,
con un livello di accuratezza variabile. Tuttavia, attraverso il numero d’identificazione è possibile individuare
per ogni soggetto il dossier cartaceo contenente ulteriori
informazioni personali e cliniche. La qualità di questa
documentazione varia, passando da dossier completi che
riportano le procedure diagnostiche e terapeutiche seguite dal soggetto a frammentari appunti scritti a mano.
I dati computerizzati sono stati utilizzati per individuare i casi oncologici. Questi ultimi sono stati quindi
ricercati negli archivi dei Registri Tumori attivi in Italia, al fine di verificare le seguenti informazioni: data
d’incidenza, diagnosi (sito tumorale e tipo istologico) e
stato in vita.
Lo studio ha incluso tutti i pazienti che presentavano
una diagnosi di neoplasia residenti in un’area nella quale
era attivo un Registro Tumori o era comunque possibile
che un Registro Tumori eseguisse il follow up. Inoltre,
per tutti i casi di leucemia infantile e tumore primitivo
delle ossa, le informazioni sono state tratte, indipendentemente dal luogo di residenza, dal registro nazionale
dei tumori ossei (Istituto Rizzoli di Bologna) e dall’archivio del FONOP (Gruppo Operativo Nazionale
per i tumori pediatrici). I dossier inclusi nello studio
sono stati inizialmente 3.076, riferiti a pazienti che
18
avevano avuto contatto con il prof. Di Bella dall’inizio del 1971 al giugno 1997. I pazienti che presentavano una diagnosi diversa da neoplasia maligna o che
non presentavano diagnosi sono stati esclusi (n = 565
e n = 988 rispettivamente, totale = 1.553, 50,5%),
lasciando 1.523 casi di possibili neoplasie. Inoltre sono
stati esclusi tutti coloro che risiedevano nelle aree non
coperte dai Registri Tumori italiani (n = 918), tranne che
per i casi di leucemia infantile o tumore primitivo dell’osso. Questa esclusione, basata sul luogo di residenza,
non è ritenuta rilevante rispetto ai risultati dello studio.
Gli archivi cartacei individuali dei rimanenti 605
pazienti sono stati esaminati da uno degli autori
(dott.ssa E. Buiatti). In 291 casi (48,1%) gli archivi non
contenevano alcuna documentazione sulla MDB e pertanto anche questi sono stati esclusi dallo studio.
Il follow up per i restanti 314 pazienti è stato completato il 30 marzo 1998.
Per ogni paziente sono state ricercate le seguenti
informazioni:
• data d’incidenza;
• diagnosi, tipo istologico, diffusione della malattia al
momento della diagnosi (in un sottoinsieme);
• terapie diverse dalla MDB (classificate come terapie
chirurgiche, chirurgia palliativa, medica, radiologica
o altro);
• data del primo incontro con il prof. Di Bella;
• farmaci prescritti nell’ambito della MDB;
• data dell’ultimo incontro con il prof. Di Bella;
• stato in vita alla fine del follow up.
Tutte queste informazioni sono state ricercate nei
dossier cartacei individuali degli archivi Di Bella e nei
corrispondenti archivi dei Registri Tumori. Le informazioni relative allo stato in vita, se mancanti, sono state
verificate anche presso il Comune di ultima residenza.
Quando le informazioni erano disponibili da più di una
fonte e presentavano discordanze, si è fatto riferimento
a quelle fornite dai Registri Tumori. Il follow up è stato
completato per 248 pazienti (79%). La situazione della
documentazione esaminata nello studio è illustrata
nella Figura 1. Curve di sopravvivenza di KaplanMeier sono state calcolate per tutti i tumori combinati
negli adulti e per i casi di leucemia infantile.
Nella banca dati ITACARE (che riunisce la casistica
dei Registri Tumori italiani) sono raccolti in forma anonima tutti i casi di tumore registrati in Italia dall’inizio
dell’attività dei Registri Tumori al 1992. Per ognuno
dei pazienti MDB si è provveduto all’abbinamento con
un massimo di quattro casi selezionati casualmente
dalla banca dati ITACARE, con l’obiettivo di confrontare il tasso di sopravvivenza dei casi MDB con quello
dei casi dei Registri Tumori italiani.
I criteri di abbinamento sono definiti come segue:
• occorrenza del tumore nello stesso sito o sub-sito
(classificazione internazionale delle malattie, a quattro cifre, IX versione - ICDIX);
• stesso sesso;
• età più o meno cinque anni (classi d’età di dieci anni
per i siti tumorali meno frequenti) a cui apparteneva il
paziente MDB;
BIF Mar-Apr 2000 - N. 2
DALLA LETTERATURA
• periodo della diagnosi entro un anno e mezzo (tre anni
per i siti tumorali meno frequenti);
• vivente alla data in cui i pazienti MDB iniziarono la
terapia.
Sono stati esclusi dall’abbinamento i pazienti per i
quali mancavano informazioni essenziali (8%) nonché coloro che presentavano una condizione benigna,
un comportamento tumorale incerto, o una sede
tumorale non specificata (8%). Inoltre, l’abbinamento è stato impossibile per il 13% dei pazienti, essenzialmente affetti da tumori non comuni. Il numero
finale di pazienti inclusi in questa analisi è stato quindi 176.
152 pazienti sono stati appaiati con 4 casi, e i rimanenti 24 pazienti sono stati appaiati con 1-3 casi (in media 2,1
casi oncologici per ogni paziente). I risultati presentati qui
si riferiscono a tutto il gruppo di 176 pazienti MDB completamente o parzialmente appaiati.
Le stime di sopravvivenza sono state eseguite secondo il metodo Kaplan–Meier applicato ai dati di sopravvivenza rispettivamente del gruppo di pazienti MDB e
del gruppo di controllo costituito dai casi selezionati
dalla banca dati ITACARE, per i siti tumorali analizzati e per la loro combinazione. L’omogeneità delle curve
di sopravvivenza dei due gruppi è stata testata utilizzando il log rank test.
Risultati
Descrizione dei pazienti e della MDB
Soltanto 4 pazienti risultavano essere stati trattati
con la MDB come prima ed unica scelta terapeutica. I
pazienti erano i seguenti:
• un paziente con leucemia mieloide cronica diagnosticata nel 1978 all’età di 31 anni, che è deceduto nell’agosto 1981;
• un paziente con adenocarcinoma al fegato diagnosticato nel novembre 1990 all’età di 65 anni, che è deceduto nel maggio 1991;
• un paziente con adenocarcinoma colorettale (della
valvola ileocecale, con diagnosi di probabile metastasi epatica) diagnosticato nel novembre 1994 all’età di
47 anni, che è deceduto nel novembre 1995;
• un paziente con carcinoma polmonare diagnosticato
clinicamente nel marzo 1996 all’età di 75 anni, vivo
alla fine del follow up (marzo 1998).
Tutti gli altri pazienti risultavano essersi sottoposti a
terapie antineoplastiche (soprattutto chirurgia e chemioterapia) prima di iniziare la MDB, e alcuni di loro
non hanno interrotto tali terapie durante la MDB.
I farmaci effettivamente prescritti nell’ambito del
metodo MDB si sono ampiamente modificati nel
corso degli anni. La somatostatina, considerata essenziale dal prof. Di Bella, è stata prescritta in maniera
Figura 1. Status della documentazione esaminata nello studio
Pazienti potenziali secondo
l’affermazione
di L. Di Bella: 10.000
Casi nell’archivio
(gen. '71 -giu. '97): 3.076
Casi di neoplasia registrati: 1.523
Casi esistenti nelle aree del registro,
tutte le leucemie infantili e i
casi di neoplasie alle ossa: 605
Pazienti valutabili: 314
Esclusi
diagnosi diversa dal cancro: 565
senza diagnosi: 988
Esclusi
forme di cancro diverse dalla leucemia
infantile e neoplasie alle ossa o non appartenenti
alle aree dei Registri Tumori: 918
Esclusi per assenza di documentazione
sulla MDB:291
Pazienti perduti al follow up: 66
Pazienti in follow up: 248
BIF Mar-Apr 2000 - N. 2
19
DALLA LETTERATURA
sistematica soltanto a partire dal 1989 (nessun caso
trattato prima del 1979, poi il suo uso è aumentato progressivamente fino a raggiungere l’80% dei pazienti).
Soltanto la melatonina è stata usata per il 90% dei
pazienti durante l’intero periodo, mentre la sospensione di provitamine e derivati vitaminici è stata utilizzata per la maggioranza dei pazienti solo nel corso degli
ultimi dieci anni (il 2% dei pazienti nel 1971-1979, il
70% dei pazienti nel 1989-1997). La ciclofosfamide,
anch’essa dichiarata essenziale, è stata usata per il trattamento di circa il 20% dei pazienti nei primi anni
(1971-1979) e del 50% dei pazienti nel restante periodo. La bromocriptina, l’acido ascorbico e la vitamina
D non sono mai stati usati in più del 50% dei casi. Il
numero di farmaci prescritti ad ogni paziente variava
da 2 a 14.
Tabella 1. Pazienti trattati con la MDB suddivisi per età e sesso
Età (anni)
Sesso
0-14
15-64
65 ed oltre
Mancanti
Totale
Maschi
22
76
28
5
131
Femmine
21
74
20
2
117
Totale
43
150
48
7
248
Nella Tabella 1 viene mostrata la distribuzione dei
pazienti per età e sesso. I bambini sono 43 (il 17,3% dei
casi); quasi tutti i bambini (84%) iniziarono la MDB nel
primo periodo (1971-1984).
Nella Tabella 2 la casistica è suddivisa per localizzazione del tumore per le sedi rappresentate da 10
o più casi, e secondo il periodo in cui fu iniziata la
MDB (1971-1984, 1985-1997). Tra i bambini, 39
(91%) presentavano una leucemia acuta. Gli altri
tumori infantili erano: 1 morbo di Hodgkin (HD), 2
linfomi non-Hodgkin (NHL), 1 tumore al cervello.
Tra gli adulti, il tumore più frequente era la leucemia cronica (28), seguita dal carcinoma al polmone
(19), carcinoma della mammella femminile (15), e
leucemia acuta (15). 26 pazienti su 28 con leucemia
cronica e 12 su 15 malati di leucemia acuta hanno
iniziato il trattamento nel primo periodo, quando la
somatostatina non veniva ancora usata. La categoria
“altre localizzazioni” (n = 108) comprendeva: tumori gastrici (n = 9), neoplasie cerebrali (n = 8), neoplasie maligne a sede non specificata (n = 10), NHL
(n = 7), HD (n = 5), e neoplasie di malignità incerta (n = 16).
Il periodo di follow up è variato da 9 mesi a 27 anni.
Nel complesso, 52 pazienti su 248 erano vivi nel marzo
1998.
Tabella 2. Pazienti trattati con la MDB suddivisi in base alla localizzazione del tumore ed al periodo di inizio
del trattamento con la MDB
Localizzazione del tumore
Colon-retto
Polmone
Mammella
Mieloma multiplo
Leucemia acuta negli adulti
Leucemia cronica
Adulti, altre localizzazioni
Leucemia infantile
Bambini, altre localizzazioni
Totale
1971-1984
1
8
2
3
12
26
31
34
2
119
La Tabella 3 mostra la probabilità di sopravvivenza
dopo 1, 3, 5 e 10 anni dalla diagnosi per la leucemia
infantile (39 pazienti) e per tutti i tumori dell’adulto. I
casi in adulti che presentavano malignità incerta o con
informazioni essenziali mancanti sono stati esclusi
dall’analisi; conseguentemente, i soggetti inclusi sono
stati 181.
20
Periodo della MDB
1985-1997
9
9
13
7
3
0
65
5
2
113
Mancanti
0
2
0
0
0
2
12
0
0
16
Totale
10
19
15
10
15
28
108
39
4
248
Per i bambini, la probabilità di sopravvivenza era del
29,4% dopo 5 anni e del 19,6% dopo 10 anni. Soltanto
un caso di leucemia infantile è stato trattato con somatostatina.
Per gli adulti, a 5 anni dalla diagnosi, la probabilità di sopravvivenza era del 29,4% (16% dopo 10
anni). Suddividendo i casi nei due periodi di trattaBIF Mar-Apr 2000 - N. 2
DALLA LETTERATURA
mento MDB (1971-1984 e 1985-1997) le curve di
sopravvivenza erano simili. Come notato in precedenza, soltanto nel secondo periodo la somatostatina è stata utilizzata sistematicamente nella MDB.
27 pazienti sono sopravvissuti 10 o più anni dalla
data di insorgenza della neoplasia, e 20 dall’inizio della
MDB. I 20 casi erano i seguenti:
• 7 casi di leucemia acuta infantile, diagnosticati
nel 1971, 1973 (4 casi), 1974, e 1976. La MDB fu
iniziata in media ad un anno di distanza dall’inizio della chemioterapia. In molti casi le due terapie sono state utilizzate simultaneamente o alternativamente. La MDB ha avuto una durata da 2 a
12 anni;
• 2 casi di leucemia acuta dell’adulto (età 16 e 65
anni). Entrambi erano stati sottoposti a chemioterapia, ed uno anche a radioterapia. Per uno di loro,
le cattive condizioni di salute determinarono la
scelta di interrompere la chemioterapia a favore
della MDB;
• 4 pazienti con leucemia cronica, 3 dei quali morirono
rispettivamente 20, 24, e 25 anni dopo la diagnosi.
Per il paziente ancora vivo (57 anni di età nel 1997),
la cura MDB si è limitata alla melatonina. Tutti questi
soggetti erano stati anche trattati con chemioterapia;
• 4 casi di tumori maligni con scarsa documentazione,
non confermati dal Registro Tumori;
• 3 pazienti sono morti dopo più di 10 anni (1 con un
tumore allo stomaco, 1 con adenocarcinoma vulvare,
1 con adenocarcinoma del colon sigmoidale). Tutti
furono curati con chirurgia e chemioterapia, con successo per la paziente con adenocarcinoma vulvare.
Degli altri 7 pazienti che sono sopravvissuti 10 anni
o più dalla prima diagnosi, 4 sono deceduti meno di 3
anni dopo l’inizio della MDB, e due pazienti affetti da
leucemia linfatica cronica sono deceduti a causa della
loro malattia 8 anni dopo aver iniziato la MDB. Tre (1
con linfoma di Hodgkin (LH), 1 con carcinoma ovarico
trattato chirurgicamente, 1 con carcinoma endometriale) sono ancora vivi. Questi ultimi hanno iniziato la
MDB rispettivamente nel 1989, 1996 e 1991.
Tabella 3. Probabilità di sopravvivenza per i pazienti MDB con leucemia infantile e tumori dell’adulto (tutte
le localizzazioni)
Leucemia infantile
Tumori dell’adulto
N. dei casi
39
181
Probabilità di sopravvivenza (%)
Anni trascorsi dalla diagnosi
1
3
5
85,3
47,0
29,4
71,7
43,9
29,4
Confronto tra la sopravvivenza dei pazienti MDB e la
sopravvivenza dei malati di tumore ITACARE
L’appaiamento tra i pazienti MDB e i casi ITACARE
è stato efficace per tutte le variabili di appaiamento. La
data di insorgenza della neoplasia era leggermente più
recente nei casi di carcinoma colorettale della serie
MDB (1990, deviazione standard [S.D.] 4,8 contro
1986, S.D. 1,9) e leggermente precedente per i pazienti con leucemia infantile della serie MDB (1975, S.D.
6,0 contro 1979, S.D. 3,3), in confronto con la serie
estratta da ITACARE.
La Tabella 4 presenta le stime di sopravvivenza
per i pazienti della serie MDB e per il gruppo di casi
selezionati dalla banca dati ITACARE (i pazienti
della banca dati ITACARE utilizzati per il confronto erano viventi all’inizio della terapia MDB), per
alcune sedi tumorali e per l’insieme di tutti i tumori. I pazienti MDB hanno rivelato una minore probabilità di sopravvivenza sia a breve sia a lungo termine per tutti i tumori presi in considerazione. Le
differenze erano statisticamente significative per
alcuni tumori considerati curabili, quali i tumori
della mammella, la leucemia dell’adulto, la leucemia infantile, e per l’insieme di tutti i tumori. Invece, le differenze sono state minori e non significatiBIF Mar-Apr 2000 - N. 2
10
19,6
16,0
ve per il carcinoma polmonare e colorettale. I tassi
di sopravvivenza riscontrati erano drammaticamente bassi per i pazienti affetti da leucemia infantile
sottoposti alla MDB se paragonati al gruppo selezionato da ITACARE.
La Figura 2 presenta la sopravvivenza cumulativa
per i pazienti MDB (tutti i tumori) e per il gruppo selezionato da ITACARE. Nel lungo termine, il gruppo
selezionato da ITACARE ha mostrato una probabilità
di sopravvivenza due volte maggiore rispetto ai pazienti MDB.
In Figura 3 viene mostrata la stessa analisi per la
leucemia infantile. In Italia la maggioranza dei casi
di leucemia infantile vengono curati in ospedali specializzati con protocolli standardizzati. Nel periodo
in esame, la prognosi per i pazienti con questa neoplasia iniziava ad essere buona. Per i pazienti MDB,
la sopravvivenza a lungo termine dei bambini è simile a quella mostrata per i pazienti adulti con leucemia
acuta. Comunque, la sopravvivenza a lungo termine
è assai migliore nel gruppo di controllo ITACARE, e
simile a ciò che viene generalmente mostrato nelle
stime su base di popolazione.
21
DALLA LETTERATURA
Tabella 4. Confronto della probabilità di sopravvivenza (%) tra i malati di tumore trattati con la MDB e quelli estratti dalla banca dati ITACARE (pazienti ITACARE viventi alla data di inizio della MDB nel
caso appaiato)
MDB
Sede del tumore
Mammella
Polmone
Colon-retto
Leucemia
Leucemia infantile
Tutti i tumori
N. casi
14
14
11
65
32
176
1 anno
55
24
68
60
42
56
ITACARE
5 anni
23*
0
34
26
21
21
1 anno
97
39
73
80
87
78
5 anni
85
14
64
51
70
49
Log rank x2
37,5
1,1
1,8
14,7
39,4
45,9
Valore P
0,0001
n.s.
n.s.
0,0001
0,0001
0,001
* Due anni di sopravvivenza: osservazioni effettuate dopo 2 anni
Figura 3. Confronto fra la probabilità di sopravvivenza sti-
mata per i pazienti MDB e per il gruppo di controllo dall’archivio ITACARE. Neoplasie dell’adulto (> 14 anni), pari a 144 pazienti MDB
mata per i pazienti MDB e per il gruppo di controllo dall’archivio ITACARE. Leucemie in età
pediatrica (0-14 anni), pari a 32 pazienti MDB
1
1
0,8
0,8
0,6
ITACARE
0,4
MDB
0,2
0
0
48
96
144
192
240
288
Tempo trascorso dall'inizio della MDB (in mesi)
Discussione
Il numero di pazienti oncologici valutati in questo
studio è molto inferiore (1.523) rispetto al numero di
pazienti riferito dal prof. Di Bella (10.000). Inoltre, la
documentazione inerente l’avvenuto trattamento con la
MDB era inesistente per approssimativamente il 48%
di un sottocampione non selezionato pari al 50% di
questi pazienti. Molti pazienti oncologici hanno contattato il prof. Di Bella dopo il mese di giugno 1997, a
seguito dell’attenzione accordatagli dai media. Tuttavia
per questi pazienti non esiste documentazione accessibile e il follow up è troppo breve per consentire una
valutazione della sopravvivenza. Il protocollo MDB
proposto dal prof. Di Bella non corrispondeva alle sue
prescrizioni del periodo 1971-1997. In tutto questo
periodo, soltanto la melatonina era stata impiegata
sistematicamente.
Un numero molto limitato di pazienti risulta essersi sottoposto alla MDB come prima scelta terapeutica
22
Probabilità di sopravvivenza
Probabilità di sopravvivenza
Figura 2. Confronto fra la probabilità di sopravvivenza sti-
ITACARE
0,6
0,4
MDB
0,2
0
0
48
96
144
192
240
288
Tempo trascorso dall'inizio della MDB (in mesi)
(4 su 314). Di essi, 2 sono deceduti dopo un anno o
meno, uno affetto da leucemia mieloide cronica è
deceduto dopo quattro anni e per quanto riguarda
l’ultimo paziente, che era ancora vivo dopo due anni
di follow up, non è disponibile la conferma istologica della neoplasia.
In queste serie, la probabilità di sopravvivenza per i
casi di leucemia infantile era molto bassa. Inoltre, solo
7 pazienti dei 39 con 10 anni o più di follow up (18%)
possono considerarsi guariti. Confrontando la probabilità di sopravvivenza di un sottogruppo di questi casi
con quella di un campione di casi di leucemia infantile
appaiati ai primi ed estratti casualmente dai Registri
Tumori italiani, la differenza di sopravvivenza a cinque
anni tra le due serie era altamente significativa. Questi
risultati negativi potrebbero essere dovuti alla selezione di casi meno curabili (più avanzati) nella serie dei
pazienti del prof. Di Bella rispetto alla serie dei Registri, o ad una adesione minore da parte di questi pazienBIF Mar-Apr 2000 - N. 2
DALLA LETTERATURA
BIF Mar-Apr 2000 - N. 2
za di sporadiche neoplasie a progressione lenta. Nessuno di questi pazienti è stato curato con la somatostatina.
In conclusione, i risultati di questo studio non
offrono nessuna prova dell’efficacia della terapia
antitumorale proposta dal prof. Di Bella in termini
di sopravvivenza di questa serie storica di pazienti
oncologici. Tali risultati dovrebbero essere considerati conclusivi per quanto riguarda i casi esaminati. Questi ultimi possono essere considerati un
campione rappresentativo dell’intera esperienza
terapeutica del prof. Di Bella in campo oncologico.
Gli studi di sopravvivenza a carattere retrospettivo
tendono ad essere distorti e a produrre risultati
migliori rispetto alle sperimentazioni cliniche a
causa della selezione di casi con un follow up più
favorevole. Apparentemente, ciò non è avvenuto
nelle serie MDB. La sopravvivenza dei bambini
affetti da leucemia era particolarmente bassa.
Attualmente, è impossibile determinare se ciò sia
dovuto ad una selezione di casi particolarmente
gravi o ad una deviazione di alcuni soggetti dalla
terapia efficace.
Bibliografia
ti alla chemioterapia e ad altre terapie, o ad una combinazione di questi due fattori. La sopravvivenza era
anche molto bassa per i pazienti oncologici adulti.
Una sopravvivenza a cinque anni peggiore per la
serie Di Bella rispetto al gruppo di confronto è stata
riscontrata per quei pazienti oncologici adulti per i
quali era possibile la comparazione. La differenza
era statisticamente significativa per alcune sedi
tumorali per le quali si ritiene che la terapia tradizionale sia efficace nel prolungamento della sopravvivenza.
Il confronto è basato su un campione di casi
estratti dagli archivi dei Registri Tumori italiani.
La sopravvivenza in queste serie è rappresentativa
di quella del periodo considerato, poiché si riferisce a tutti i tipi di tumore, a tutti gli stadi e a diverse aree geografiche con caratteristiche terapeutiche variabili.
Tuttavia, il valore del confronto è limitato a causa
della mancanza di informazioni sullo stadio delle
neoplasie per la maggior parte dei casi, il che impedisce una valutazione della sopravvivenza distinta per
stadi. La maggior parte dei pazienti con carcinoma al
polmone, allo stomaco, colorettale e mammario si è
rivolta alla MDB dopo un insuccesso più o meno
documentato della chirurgia e della chemioterapia,
cioè ad uno stadio molto avanzato della malattia. E’
possibile che i pazienti oncologici che sono guariti
dopo il trattamento tradizionale non si siano mai
rivolti alla MDB, tuttavia anche i soggetti con una
sopravvivenza breve o molto breve possono esserne
stati tendenzialmente esclusi. Vi era infatti una media
di un anno tra la data d’incidenza della malattia e l’inizio della MDB. Al fine di evitare, seppur parzialmente, queste distorsioni, ogni paziente è stato abbinato a soggetti vivi alla data d’inizio della MDB. La
distorsione opposta (esclusione dei pazienti guariti)
non poteva essere evitata. Questa limitazione potrebbe spiegare almeno in parte i risultati peggiori a cui
sono pervenuti i pazienti MDB rispetto a quelli che
non si erano rivolti alla MDB. Tuttavia, i pazienti a
breve sopravvivenza non sono stati totalmente esclusi dalla comparazione, come si può notare sulla base
della probabilità di sopravvivenza a breve termine dei
soggetti di controllo.
Un’analisi dettagliata dei 27 pazienti con sopravvivenza a lungo termine non ha permesso di identificare un numero rilevante di successi attribuibili alla
MDB. Solo in due, o forse tre casi, altre terapie non
potevano giustificare il risultato. Si tratta di un caso
di leucemia in un giovane, un caso di tumore allo stomaco e forse un caso di carcinoma colorettale avanzato. Questo numero esiguo è compatibile con la
proporzione di pazienti con sopravvivenza superiore
a dieci anni fra quelli con prognosi iniziale molto
grave, che si riscontra normalmente nelle serie di
casi su base di popolazione. Questi casi possono
essere spiegati da errori diagnostici o dall’occorren-
1.
2.
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DALLA LETTERATURA
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Department of Medicine, Brown University School of Medicine and Rhode Island Hospital, Providence, Rhode Island
Laetrile, cartilagine di squalo, solfato di idrazina,
antineoplastoni e regimi dietetici come il protocollo
Gonzales: sono solo alcune delle miriadi di terapie
antitumorali alternative prese in esame negli ultimi
anni. Un altro intervento di questo tipo, la Multiterapia
Di Bella (MDB), e il furore pubblico, politico e scientifico che ha scatenato in Italia negli ultimi due anni,
sono discussi da Traversa et al. su Cancer (1). Sviluppata e impiegata per più di vent’anni dal fisiologo
Luigi Di Bella, la MDB è un cocktail di somatostatina
(o il suo equivalente sintetico octreotride), melatonina,
bromocriptina, una soluzione di retinoidi e, frequentemente, ciclofosfamide e idrossiurea. Nel novembre del
1997, la terapia Di Bella diventò in Italia di interesse
nazionale allorché un pretore stabilì che il Servizio
Sanitario Nazionale (SSN) dovesse finanziare la somministrazione di tale terapia ad un bambino con un
tumore al cervello. Nonostante la mancanza di qualsiasi dimostrazione scientifica a sostegno dell’efficacia del trattamento, alcuni altri giudici ordinarono successivamente la rimborsabilità della cura di singoli
pazienti. Grazie a testimonianze enfatizzate sui giornali di malati di cancro che asserivano di essere stati
curati con la MDB, ad affermazioni del prof. Di Bella
di avere curato migliaia di pazienti, alla sfiducia dell’opinione pubblica nei confronti di Stato, mondo
accademico e medicina ufficiale, le richieste di poter
usufruire di questa terapia, beneficiando della necessaria copertura finanziaria a carico del SSN, raggiunsero
livelli senza precedenti. In dimostrazioni pubbliche si
chiedeva “libertà di cura” (cioè il diritto del paziente di
scegliere tra le terapie convenzionali e quelle non convenzionali comunque garantite dal SSN) e i fautori di
Di Bella si rivolsero persino a Papa Giovanni Paolo II
per chiedere sostegno in proposito.
Nel gennaio 1998 fortissime pressioni da parte di
pazienti e delle loro famiglie, di giudici, politici e mezzi di
comunicazione furono esercitate nei confronti del SSN
italiano affinché fornisse gratuitamente a tutti, ricchi e
poveri, gratuitamente la MDB. Come risposta, il Ministro
della Sanità propose di poter prendere in considerazione
questa possibilità solo dopo che l’efficacia della MDB
fosse stata dimostrata per mezzo di uno studio sulla
sopravvivenza storica dei pazienti curati dal prof. Luigi Di
Bella e di appropriate sperimentazioni cliniche di fase II.
Oltre un anno fa, le conclusioni finali delle sperimentazioni cliniche furono comunicate per la prima
volta al governo italiano e al pubblico in una conferenza stampa tenutasi a Roma il 13 novembre 1998. I risultati dettagliati di tali studi sono riportati su Cancer da
Buiatti et al. (2) e da Traversa et al. (1), nonché sul British Medical Journal (3).
Buiatti et al (2), utilizzando gli archivi dello stesso
prof. Di Bella contenenti la documentazione relativa ai
24
pazienti trattati dal 1971 al 1997, non hanno trovato alcuna dimostrazione di beneficio terapeutico nei soli 314
pazienti per i quali esisteva documentazione adeguata di
diagnosi e terapia. Inoltre, 11 sperimentazioni indipendenti di fase II della MDB vennero eseguite su 386
pazienti che presentavano una varietà di tumori in stadio
avanzato (1,3). Queste sperimentazioni vennero autorizzate dal Parlamento italiano nel febbraio 1998, approvate
dalla Commissione Oncologica, organizzate dall’Istituto
Superiore di Sanità sotto la supervisione di una Commissione internazionale. I membri di tale commissione
erano: P. Calabresi, presidente (Providence, Rhode
Island, USA), F. Cavalli (Bellinzona, Svizzera), P. Kleinhues (Lione Cedex, Francia), J. G. Mc Vie (Londra, UK),
H. Pinedo (Amsterdam, Paesi Bassi), K. Sikora (Lione
Cedex, Francia) e T. Tursz (Villejuif Cedex, Francia).
Dei 386 pazienti sottoposti alla MDB e inclusi nell’analisi, nessuno presentava una remissione completa e
solo tre presentavano remissioni parziali. Inoltre, a differenza di quanto precedentemente affermato dal prof. Di
Bella, fu evidenziata una considerevole tossicità.
Di fronte a questi risultati del tutto negativi, la MDB ha
perso il sostegno della maggior parte dei politici e dei giornalisti precedentemente a favore della terapia. L’attenzione dei media è calata precipitosamente, sebbene residui
ancora un certo sostegno da parte dell’opinione pubblica
nei confronti della MDB. Qualche voce limitata della
comunità scientifica ha affermato che i risultati delle sperimentazioni avrebbero potuto essere migliori se il trattamento fosse stato individualizzato secondo le esigenze dei
singoli casi, come il prof. Di Bella affermava di aver fatto
nella cura dei suoi pazienti. E’ stato anche detto che si
sarebbero dovute effettuare delle sperimentazioni randomizzate di fase III, piuttosto che un trial di fase II (4); tuttavia, specialmente nel clima emotivo che circondava queste sperimentazioni, è molto improbabile che i pazienti
avrebbero accettato la randomizzazione. Inoltre, poiché i
tempi e i costi erano fattori significativi, sarebbe stato
inopportuno iniziare studi randomizzati di fase III su neoplasie specifiche che avrebbero richiesto ulteriori spese e
perdite di tempo, prima che questi venissero indicati da
una ben programmata sperimentazione clinica di fase II.
Nonostante i costi considerevoli e i risultati negativi,
queste sperimentazioni hanno apportato precisi benefici tangibili. Primo, i pazienti che si sarebbero sottoposti alla MDB anche al di fuori della sperimentazione,
seguendo il trattamento nei centri oncologici, venivano
monitorati appropriatamente e, in seguito, poteva venire loro offerta la terapia più indicata. Secondo, con le
sperimentazioni è stata fornita la legittima opportunità
di dimostrare ogni potenziale beneficio reale della terapia. Terzo, il clamore dell’opinione pubblica e la frenesia dei media a proposito della terapia Di Bella si sono
placati grazie all’accordo tra governo e comunità scienBIF Mar-Apr 2000 - N. 2
DALLA LETTERATURA
BIF Mar-Apr 2000 - N. 2
rigorose vengano condotte per dimostrare tali benefici,
iniziando con la fase I e proseguendo poi con la fase II
e quindi con la fase III, se indicata.
La ricerca inoltre è la chiave per migliorare ciò che la
medicina ufficiale ha da offrire ai pazienti oncologici. Per
ridurre al minimo il numero di soggetti che si rivolgono
alle terapie alternative di efficacia non dimostrata, dobbiamo continuare a perfezionare ed espandere la serie di
interventi di supporto di utilità certa, offerti dalla medicina ufficiale, nell’ambito della continuità degli interventi a
favore dei malati oncologici. Questo continuum comprende: la valutazione del rischio, la prevenzione, l’individuazione, la diagnosi, la terapia, la qualità della vita, gli
interventi palliativi e l’assistenza ai pazienti terminali.
Le terapie complementari possono potenzialmente
integrare i migliori approcci convenzionali e non convenzionali per aiutare i pazienti a raggiungere un risultato ottimale e la migliore qualità di vita possibile. Pertanto, dovrebbero essere condotte ulteriori ricerche per
dimostrare l’efficacia degli approcci complementari;
quelli che apportano un reale beneficio al paziente possono quindi essere incorporati nel programma complessivo di cura del paziente ed essere riconosciuti
dagli assicuratori come cure legittime e rimborsabili.
Garantire l’accesso sufficiente alle strutture sanitarie
è un’alternativa, forse sottovalutata, alla medicina
alternativa. Senza l’opportunità d’accesso alle cure
oncologiche di qualità o per motivi finanziari o per
motivi geografici, i pazienti intimoriti diventano facile
preda di coloro che promettono cure con metodi non
dimostrati. Le cure dimostrate devono essere disponibili per tutti coloro che ne abbiano necessità.
La medicina alternativa è un’alternativa scadente alla
medicina convenzionale; sostituendosi alle terapie ufficiali di dimostrata utilità, sottrae a molte persone, affette
da tumori curabili, tempo prezioso e la possibilità di
sopravvivere. Al governo italiano, e in particolare al
Ministero della Sanità, alla Commissione Oncologica,
all’Istituto Superiore di Sanità e alla comunità oncologica italiana dovrebbe essere riconosciuto il merito di aver
dimostrato in modo inequivocabile, in meno di un anno,
che la MDB è inefficace e non costituisce un’alternativa
accettabile alle terapie antitumorali convenzionali.
Bibliografia
tifica oncologica di condurre sperimentazioni rigorose
per produrre prove credibili dell’efficacia della MDB.
Ancora più importante, è che i risultati negativi cui pervenivano le sperimentazioni fecero desistere molti
pazienti dall’abbandonare le efficaci terapie antitumorali convenzionali a favore della MDB.
Dobbiamo ricordare che terapie come la MDB usate
in concomitanza con la medicina ufficiale (terapie complementari) o al posto di quest’ultima (terapie alternative) non sono una novità. Tali rimedi, infatti, sono stati
applicati per secoli in quasi tutte le culture nel tentativo
di trovare sollievo a (praticamente) tutte le malattie
umane. Le ragioni possono essere diverse ma le principali sono la mancanza di accesso alle cure mediche,
l’impossibilità di pagare le cure, la sfiducia nei confronti della medicina ufficiale, le tradizioni culturali e
la convinzione che gli approcci alternativi siano
migliori. Come spiega Cassileth su Cancer (5), la
gamma di interventi classificati come medicina complementare o alternativa (CAM: Complementary and
Alternative Medicine) include una serie di approcci psicosomatici che comprendono il biofeedback e l’immaginazione guidata, le tecniche di guarigione manuali
come l’agopressione e i massaggi, prodotti biologicamente attivi come le vitamine, le erbe ed elementi dietetici, nonché magneti, cristalli e molto altro ancora. Si
stima che nel 1997 il 42% degli americani abbia fatto
ricorso a qualche forma di CAM e speso complessivamente 21 miliardi e duecentomila dollari (6). Tuttavia,
l’esperienza Di Bella pone importanti interrogativi:
perché i pazienti malati di cancro (come pure quelli
affetti da altre patologie) cercano sempre più al di fuori
della medicina ufficiale cure e sollievo? Quali sono le
vere alternative mediche alla medicina alternativa?
Prima dei recenti cambiamenti avvenuti in ambito
sanitario, i medici ed altri operatori sanitari erano un
punto di riferimento per consigli, sostegno psicologico
e cure di supporto. Ciò è venuto meno a causa della
riduzione della durata degli incontri medico-paziente, il
crescente uso della tecnologia, la frammentazione dell’assistenza e la riduzione dei costi. Non dovrebbe sorprendere che i pazienti si rivolgano alle terapie complementari o alternative per riempire tale vuoto. Cure
antitumorali di qualità comprendono attenzione alla
qualità della vita, ai bisogni psicosociali, terapie del
dolore e altre cure di supporto.
Come ancora osserva Cassileth, se le terapie alternative fossero supportate da una rigorosa evidenza scientifica, verrebbero incorporate nella medicina convenzionale e non sarebbero più alternative. Virtualmente,
tutti gli approcci complementari o alternativi hanno
invece bypassato le procedure convenzionali di ricerca
normalmente seguite per dimostrare l’efficacia di una
terapia o di un trattamento di supporto. Queste procedure convenzionali richiedono dati di laboratorio o preclinici che dimostrino in modo evidente i benefici di
quella terapia. In particolare, quando, come nel caso
della MDB, è ragionevole ipotizzare che componenti
individuali di una terapia possano offrire un beneficio
effettivo, è essenziale che sperimentazioni cliniche
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25
FARMACOVIGILANZA
Effetti avversi in pazienti con carenza di glucosio-6fosfato deidrogenasi
Introduzione
La carenza di glucosio-6-fosfato deidrogenasi
(G6PD) a livello dei globuli rossi rappresenta una delle
più comuni carenze enzimatiche, su base ereditaria1,
con una prevalenza variabile a seconda delle aree geografiche: 60-62% tra i Curdi, 11% tra i Neri Americani,
percentuali elevate nell’area mediterranea (fino al 30%
in alcune zone della Sardegna).
Il G6PD è un enzima presente in tutte le cellule,
essenziale per la produzione di NADPH; in particolare
svolge un’importante funzione antiossidante all’interno dei globuli rossi - mediata dalla produzione di glutatione ridotto - nei confronti degli agenti ossidanti che
si formano durante i normali cicli biologici. Tuttavia,
reazioni ossidative importanti possono essere scatenate
da altri fattori, tra i quali i più comuni sono rappresentati dalle infezioni e dall’impiego di alcuni farmaci con
proprietà ossidanti.
Nel globulo rosso normale, in seguito all’esposizione a eventi ossidativi, la quantità di glucosio metabolizzato, e conseguentemente di glutatione ridotto, può
aumentare di parecchie volte garantendo una efficace
azione protettiva a livello dei gruppi sulfidrilici dell’emoglobina e della membrana cellulare. Diversamente, i
soggetti con carenza di G6PD non sono in grado di
mantenere un livello adeguato di glutatione ridotto
nelle loro emazie; di conseguenza i gruppi sulfidrilici
dell’emoglobina si ossidano e l’emoglobina tende a
precipitare all’interno della cellula (corpi di Heinz);
l’emolisi è la conseguenza ultima di questo processo.
Attualmente si conoscono oltre 400 varianti di
G6PD, di cui più di 100 caratterizzate a livello molecolare, distinte per caratteristiche biochimiche e funzionali, ed a seconda delle quali si registrano diverse
suscettibilità agli stimoli ossidativi/emolitici; inoltre,
per alcune di queste forme non sono note manifestazioni cliniche, per altre invece può insorgere crisi emolitica anche in assenza di stimoli specifici.
Tuttavia le forme più comuni sono quelle che possono dare origine a crisi emolitica, di gravità variabile, in
seguito all’esposizione ad un agente ossidativo. Tra
queste, le forme più diffuse sono la variante A- e quella mediterranea. La prima è più frequente nelle popolazioni di colore mentre la forma mediterranea prevale
nei paesi del bacino del Mediterraneo e quindi anche in
Italia. Il quadro clinico della variante mediterranea è
più grave di quello manifestato dalla variante dei neri.
Inoltre, come vedremo successivamente, vi sono dei
farmaci che sono dannosi solamente nel portatore della
variante mediterranea e non nei portatori della variante
dei neri. La variante frequente negli asiatici, Mahidol,
si comporta come quella mediterranea.
La sintomatologia clinica
Il difetto di G6PD si associa a due diversi tipi di patologia. Una di queste, la più grave, consiste in una anemia
emolitica cronica denominata anemia emolitica cronica
non sferocitica. Qust’ultima è una condizione infrequente dovuta a rare varianti che compromettono in modo
rilevante la funzione dell’enzima. Le varianti più comuni, la Mediterranea, la A- dei neri e la Mahidol del Sud
Est Asiatico si manifestano con quadri acuti legati all’intervento di fattori scatenanti ma non producono una
emolisi cronica.
I quattro quadri clinici fondamentali associati a queste varianti sono:
a. ittero neonatale;
b. anemia emolitica acuta da ingestione di fave;
c. anemia emolitica acuta da farmaci;
d. anemia emolitica acuta scatenata da infezioni e nell’acidosi diabetica.
a. Ittero neonatale
Può assumere due diversi aspetti clinici. La forma
più comune può essere considerata come una forma più
seria dell’ittero fisiologico ed è probabilmente legata al
difetto enzimatico nel parenchima epatico. In questa
forma l’ittero insorge nella 2a-3a giornata e l’anemia è
modesta.
La seconda variante, molto rara, è una condizione
grave ed assume l’aspetto di una anemia emolitica. In
questi casi vi sono fattori scatenanti in parte noti (farmaci, infezioni, v. oltre) ed in parte ignoti.
b. Anemia emolitica acuta da ingestione di fave
I pazienti carenti di G6PD possono sviluppare anemia emolitica in seguito all’ingestione di fave o in
seguito all’allattamento al seno di madri che ne avevano ingerite. Tale patologia, denominata favismo, si presenta con maggiore gravità nei bambini o quando le
1
La carenza di G6PD è un difetto enzimatico che si trasmette con il cromosoma X e colpisce nella forma più grave i maschi emizigoti e le
femmine omozigoti; le femmine eterozigoti hanno un quadro clinico molto variabile, per lo più di minore gravità rispetto ai maschi emizigoti.
Tuttavia si possono verificare anche nelle femmine eterozigoti dei quadri seri.
26
BIF Mar-Apr 2000 - N. 2
FARMACOVIGILANZA
fave sono ingerite crude. Particolarmente rischiose
sono le fave piccole e fresche per la loro ricchezza di
principi dannosi. Il favismo si manifesta anche per
ingestione di fave secche e conservate in altro modo.
L’esistenza di un favismo per via inalatoria non è dimostrato.
Per ragioni non ancora ben conosciute la crisi può
colpire il soggetto predisposto anche dopo anni di ingestione di fave senza conseguenze.
La fisiopatologia della crisi, che sembra correlata
alla presenza nelle fave di divicina e isouramile, non è
stata completamente chiarita e probabilmente vede
coinvolti diversi fattori e meccanismi d’azione, talvolta non prevedibili in quanto legati alle caratteristiche
del singolo individuo.
A conferma di ciò, si sottolinea che nonostante tutte
le persone che soffrono di favismo presentino una
carenza di G6PD, buona parte dei soggetti carenti di
G6PD non è sensibile all’azione emolitica delle fave.
Non esistono criteri per distinguere questi due tipi di
carenza di G6PD.
c. Anemia emolitica acuta da farmaci
Per anni, i farmaci con proprietà ossidanti sono stati considerati la causa principale di crisi emolitiche in pazienti
carenti di G6PD (soprattutto in seguito al verificarsi di crisi
emolitiche dopo la somministrazione di antimalarici, in
particolare primachina). In conseguenza di ciò, sono stati
definiti degli elenchi di sostanze controindicate in tali soggetti, ripetutamente integrati e modificati nel tempo, a volte
anche in assenza di una chiara e certa correlazione causale
tra farmaco ed emolisi. Pur ammettendo che descrizioni di
casi singoli (es., melfalan, dimercaprolo) sono difficili da
interpretare, se dopo anni non ci sono altre conferme, appare legittimo considerare la segnalazione iniziale più come
un caso co-incidentale che eziologico.
A rendere ancor più difficile la definizione di una
lista certa di farmaci da evitare è il fatto che le potenzialità emolitiche di molti farmaci sono state sovrastimate in quanto buona parte di essi risultano impiegati
in condizioni infettive e/o influenzali che, come ampiamente dimostrato, rappresentano un importante stress
ossidativo.
A questo proposito si segnala brevemente il caso del
paracetamolo, farmaco largamente impiegato nella pratica e spesso citato tra i farmaci da evitare nei pazienti
con carenza di G6PD. In realtà si tratta di una sostanza
che, alle dosi terapeutiche e nelle forme più comuni di
carenza di G6PD, non induce emolisi.
Per quanto riguarda l’acido acetilsalicilico, con ogni
probabilità si tratta di farmaco innocuo nel soggetto
G6PD-carente, anche se vengono segnalati rari casi di
associazione tra emolisi e somministrazione del farmaco in pazienti febbrili. Non è chiaro se la causa dell’emolisi sia il farmaco o la febbre. Ne deriva che nei casi
di assoluta necessità l’acido acetilsalicilico può essere
usato a dosi abituali con le dovute cautele. Negli altri
casi può essere sostituito come analgesico dal paracetamolo e come antinfiammatorio da altri antinfiammatori non steroidei.
BIF Mar-Apr 2000 - N. 2
Attualmente non si dispone di test in vitro attendibili per misurare la potenziale tossicità di un farmaco
nella popolazione affetta da carenza di G6PD e quindi
nel definire una lista di farmaci potenzialmente emolitici ci si affida ad alcune delle fonti più accreditate.
Come si può osservare nell’elenco delle sostanze riportato alla fine dell’articolo, si tratta di un numero limitato di principi attivi, di cui solo alcuni antibiotici (i sulfamidici e i chinoloni) risultano attualmente di largo
impiego. Particolare attenzione deve essere posta al
profilo beneficio/rischio nel caso si renda necessario
l’impiego di alcuni antimalarici.
Anche altre sostanze non medicamentose possono
indurre anemia emolitica: es., naftalina, blu di toluidina
(impiegato in alcuni test di laboratorio) o trinitrotoluene.
In generale, si raccomanda di eseguire gli opportuni
accertamenti, tramite test di laboratorio, prima di prescrivere uno dei farmaci riportati nell’elenco finale,
soprattutto se il paziente appartiene ad un sottogruppo
di popolazione in cui la carenza di G6PD è diffusa. Si
tratta comunque di test che hanno una buona attendibilità nel caso di soggetti maschi o donne omozigoti.
Per le donne eterozigoti il test può essere falsamente
negativo, esistendo donne eterozigoti che hanno una percentuale di cellule carenti molto bassa. Queste donne possono essere identificate con l’analisi del DNA.
d. Anemia emolitica acuta scatenata da infezioni e
nell’acidosi diabetica
Crisi emolitica nei soggetti carenti di G6PD può
insorgere entro pochi giorni dall’inizio di un processo
febbrile e/o infettivo di natura virale o batterica; pur in
assenza di dati definitivi, si pensa che l’origine di tale
processo sia da attribuirsi alla formazione di agenti ossidanti nei leucociti durante il processo di fagocitosi.
Anche l’acidosi diabetica può rappresentare uno
stress ossidativo in grado di indurre crisi emolitica nei
pazienti con carenza di G6PD.
Schematicamente, le forme di emolisi acuta da farmaci, da ingestione di fave o secondarie ad infezione
sono caratterizzate da:
– febbre, dolori lombari, ittero delle mucose e della
cute, splenomegalia;
– urine ipercromiche;
– anemizzazione e pallore, astenia;
– dispnea, tachicardia. Successivamente compaiono i
primi segni di uno shock ipovolemico o di insufficienza cardiaca;
– irrequietezza e pianto nei bambini.
La terapia
La carenza di G6PD consente una vita normale e non
comporta in genere alcun disturbo, purché il soggetto
non sia esposto ad agenti ossidativi che possano dare
avvio alla reazione emolitica.
L’insorgenza di una crisi emolitica, invece, richiede
una pronta ospedalizzazione per una valutazione completa delle stato del paziente. Se l’abbassamento dei
27
FARMACOVIGILANZA
Conclusione
Nelle popolazioni a rischio per il difetto in G6PD,
soprattutto in Sardegna, nell’Italia Meridionale e nell’area del delta padano (province di Rovigo e Ferrara),
prima di somministrare i farmaci sotto elencati occorre
accertarsi attraverso esami appropriati che il soggetto,
sia donna che uomo, non sia G6PD carente. Alcuni farmaci, come di seguito evidenziato, sono pericolosi nel
soggetto con la variante Mediterranea ma non in soggetti con altre varianti.
Bibliografia
valori di emoglobina è tale da mettere in pericolo l’ossigenazione dei tessuti, si deve procedere ad una congrua idratazione e, se necessario, a un’emotrasfusione;
possono essere necessarie più trasfusioni nei primi
giorni di ricovero.
Non è stato ancora accertato il possibile ruolo della
deferoxamina.
Nell’ittero neonatale si può rendere necessaria l’exanguinotrasfusione nei casi in cui la bilirubina raggiunga valori elevati nei primi giorni di vita (v. raccomandazioni specifiche per l’iperbilirubinemia neonatale).
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Di seguito sono riportati i principi attivi da evitare in soggetti G6PD carenti, seppur con gradi di pericolosità diversi (v. Legenda). Per ogni principio attivo sono riportate le principali specialità commercializzate ad eccezione di quelle che, pur regolarmente
autorizzate, non risultano attualmente disponibili sul
mercato italiano.
Sono state prese in considerazione le specialità
somministrabili per via orale e parenterale, anche se i
principi attivi citati potrebbero in teoria essere dannosi anche nelle piccole quantità che raggiungono il circolo sistemico dopo somministrazione per uso locale
(colliri, preparazioni per uso dermatologico, ginecologico, etc.). Mancano dati precisi in tal senso.
Inoltre, non esistono documentazioni su farmaci con
salificazioni diverse o molecole strutturalmente correlate a quelle riportate; in tal caso è opportuno un atteggiamento prudenziale.
Legenda
*: farmaci da evitare in tutti i casi di difetto di G6PD
**: farmaci da evitare in soggetti G6PD carenti di origine Mediterranea, Asiatica e Mediorientale
1. In caso di necessità possono essere usate dosi ridotte sotto sorveglianza (30 mg per settimana
per 8 settimane).
2. Può essere usato, se necessario, ma sotto sorveglianza, nella malaria acuta.
3. Se somministrato in dosi elevate, può determinare emolisi anche in individui normali.
4. Dosi moderate sembrano innocue.
5. Nei casi di assoluta necessità l’acido acetilsalicilico può essere usato a dosi abituali (1g) con le dovute
cautele. Negli altri casi può essere sostituito come analgesico dal paracetamolo e come antinfiammatorio da altri antinfiammatori non steroidei.
6. 1 mg di menadiolo può essere usato nella profilassi della malattia emorragica del neonato.
28
BIF Mar-Apr 2000 - N. 2
FARMACOVIGILANZA
ANTIMALARICI
Primachina*,1: Nessuna specialità autorizzata in
Italia; disponibile come generico
Pamachina*: Non in commercio in Italia
Clorochina **, 2: Clorochina Bayer, Ecobi, Ifi e altri
generici
Chinina *, 2: Nicoprive, etc.
Furazolidone*: Nessuna specialità o generico per
uso sistemico disponibili in Italia.
Nitrofurazone*: Nessuna specialità o generico per
uso sistemico disponibili in Italia.
Cloramfenicolo**: Chemicetina, Chloromycetin,
etc.; disponibile anche come generico
Ac. Paraminosalicilico**: Quadrasa, Salfpas, etc.
SOLFONAMIDICI E SOLFONI
Sulfanilamide*, Sulfapiridina*, Sulfadimidina*,
Sulfisoxazolo**: Non in commercio in Italia
Sulfacetamide*: Nessuna specialità o generico per
uso sistemico disponibile in Italia.
Cotrimossazolo (sulfametossazolo + trimetoprim)*: Abacin, Bacterial, Bactrim, Bactrim perfusione, Chemitrim, Eusaprim, Gantrim, etc.
Sulfasalazina* : Salazopyrin EN etc.
Dapsone*, 3, Sulfoxone*, 4, Glucosulfone sodico*:
Non in commercio in Italia
ANALGESICI
Acido acetilsalicilico**, 5: Acesal, Algopirina, Alka
Seltzer Euromed, Alka Seltzer, Alsogil, Alupir, Antinevralgico Knapp, Antireumina, Ascriptin, Aspegic,
Aspidol, Aspiglicina, Aspirina, Aspirina C, Aspirina
03, Aspirina 05 Fte, Aspirina 05 Mast., Aspirinetta,
Aspirinetta C, Aspro, Aspro C, Bufferin, Cafiaspirina, Cardioaspirin, Cardirene, Cemirit, Contralgen,
Doloflex, Drin, Flectadol, Geyfritz, Kilios, Migpriv,
Murri Antidolorifico, Neo Cibalgina, Neo Coricidin,
Neo Nevral, Neo Nisidina, Neo Uniplus C, Neo Uniplus, Neodone, Upsalgina, Variadol, Verdal, Viamal,
Vivin C, etc. Disponibile anche come generico.
Fenacetina**, 4: Non in commercio in Italia
CHINOLONI
Ac.nalidissico*: Betaxina, Nalidixin, Naligram,
Nalissina, Neg Gram, Uralgin, Urogram, etc.; Ac.
Nalidissico Dynacren, Ecobi, Ifi, etc.
Ciprofloxacina *: Ciproxin, Flociprin, etc.
Enoxacina*: Bactidan, Enoxen, etc.
Levofloxacina*: Levoxacin, Tavanic, etc.
Lomefloxacina*: Chimono, Maxaquin, Uniquin, etc.
Norfloxacina*: Flossac, Fulgram, Norflox, Noroxin, Sebercim, Utinor, etc.
Ofloxacina*: Flobacin, Oflocin, etc.
Pefloxacina*: Peflacin, Peflox, etc.
Rufloxacina*: Monos, Qari, Tebraxin, etc.
ALTRI ANTIBATTERICI
Nitrofurantoina*: Cistofuran, Furadantin, Furedan,
Furil, Macrodantin, Neo Furadantin, etc.; disponibile anche come generico
ANTIELMINTICI
Beta-naftolo*, Stibofene*, Niridazolo*: Non in
commercio in Italia
ALTRI
Analoghi della vitamina K*, 6: Konakion; Vitalipid, etc.
Chinidina*: Chinteina, Longachin, Naticardina,
Natisedina, Ritmocor, etc.; disponibile anche come
generico
Naftalene*: Non in commercio in Italia
Probenecid*: Disponibile come generico
Dimercaprolo*: Bal, etc.
Metiltioninocloruro*: Mictasol Bleu, etc.; disponibile anche come generico
Inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina
ed emorragie gastrointestinali
La serotonina (5-idrossi-triptamina, 5-HT) è un’indolamina contenuta in neuroni specifici del sistema nervoso centrale, dove svolge un indiscusso ruolo come neurotrasmettitore, e nelle cellule enterocromaffini presenti
lungo tutto il tratto gastroenterico, così come nelle piastrine. Il ruolo fisiologico della 5-HT nell’intestino non
è a tutt’oggi ben definito. Le piastrine non producono 5HT ma catturano e immagazzinano quella che si libera
dalle cellule cromaffini. Le piastrine liberano a loro
volta 5-HT nel letto circolatorio e contengono esse stesse dei recettori del tipo 5-HT2, la cui stimolazione induBIF Mar-Apr 2000 - N. 2
ce aggregazione (1). Nel SNC la 5-HT è contenuta in
neuroni specifici che la rilasciano dalle terminazioni
nello spazio sinaptico, ove svolge il ruolo di neurotrasmettitore. La terminazione neuronale rilascia il neurotrasmettitore nella fase di depolarizzazione, la cui durata
si misura in millesimi di secondo, ed in tempi ugualmente rapidi il neurotrasmettitore fuoriuscito attiva i recettori e viene inattivato. L’inattivazione di alcune monoamine, fra cui la 5-HT, è solo funzionale e avviene tramite un
meccanismo di ricaptazione da parte delle stesse terminazioni che le hanno in precedenza rilasciate. Il mecca-
29
FARMACOVIGILANZA
Il British Medical Journal ha di recente pubblicato
una ricerca epidemiologica caso-controllo attuata su un
database che riporta i dati anagrafici e clinici di una
vasta popolazione di soggetti seguiti da medici del servizio sanitario inglese (6). La ricerca (7) ha messo a confronto un gruppo di 1.651 pazienti con sanguinamento
gastro-duodenale e un gruppo di 10.000 soggetti scelti
per randomizzazione dal database. Il numero di soggetti che facevano uso di un SSRI (o avevano smesso il farmaco da non più di 30 giorni) risultò di tre volte superiore nel gruppo dei pazienti con sanguinamento (52/1.651:
3,1%) rispetto ai controlli (95/10.000: 0,95%). Non si
osservò alcuna differenza significativa fra i due gruppi
nelle percentuali di soggetti che facevano uso di inibitori non selettivi per la 5-HT o di altri farmaci antidepressivi. Di minore rilevanza risulta il dettaglio sui singoli
principi attivi dato il minor potere risolutivo del campione.
Gli autori hanno dato soprattutto importanza all’eliminazione di eventuali fattori confondenti. Per questo
hanno escluso dalla casistica soggetti con tumori, varici esofagee (tutti i sanguinamenti esofagei erano ugual-
30
mente esclusi), malattia di Mallory-Weiss, etilismo,
epatopatie accertate e coagulopatie. La differenza
osservata fra i due campioni non era connessa con l’età
o il sesso dei soggetti. Fra i fattori di rischio aggiuntivi
per un sanguinamento del tratto gastroenterico iniziale
sono stati presi in considerazione contemporanei trattamenti con altri farmaci quali corticosteroidi, FANS e
aspirina (a dosi strettamente antiaggreganti). Calcolato il rischio aggiuntivo connesso con l’uso di due farmaci, è apparso chiaramente che il rischio da FANS si
somma semplicemente a quello minimo da inibitori
non selettivi della ricaptazione della serotonina. L’associazione FANS + SSRI o aspirinetta + SSRI porta,
invece, il rischio relativo dai valori di 3,7 (FANS da
soli) e 2,6 (SSRI da soli) a quello di 15,6.
Un solo studio di popolazione, ancorché ben condotto, non fornisce dati definitivi. Si può concludere che
la ricerca epidemiologica di BMJ conferma la bassa
incidenza di seri eventi emorragici da SSRI, ma suggerisce cautela nella scelta dell’antidepressivo da prescrivere a un paziente in trattamento cronico con FANS.
Bibliografia
nismo di ricaptazione è garantito da una proteina situata
nelle membrana neuronale (5-HT transporter, 5-HT-T)
che è stata sequenziata; successivamente è stato sequenziato anche il gene che la codifica e si è visto che esso
coincide col gene che codifica il trasportatore presente
nella membrana delle piastrine (2).
Per questi motivi i farmaci che inibiscono selettivamente la ricaptazione della 5-HT (selective serotonin
reuptake inhibitors, SSRI), ma anche gli inibitori non
selettivi (come imipramina e venlafaxina), tutti largamente utilizzati in clinica come antidepressivi, possono
ridurre il contenuto di 5-HT nelle piastrine. Quale sia
la rilevanza di questo presupposto in termini di alterazione dell’emostasi in soggetti che fanno uso di antidepressivi non è stato ancora definito. Alcuni studi condotti su un numero limitato di soggetti in trattamento
con uno SSRI, attuati nell’intento di saggiare la funzionalità piastrinica, non hanno messo in rilievo alterazioni del processo di aggregazione (3), né sono particolarmente frequenti le segnalazioni di pazienti in trattamento con uno SSRI che presentano petecchie, ematomi, o sanguinamenti in altri distretti (4, 5).
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BIF Mar-Apr 2000 - N. 2
DALLA SPERIMENTAZIONE
ALLA PRATICA CLINICA
Questa rubrica intende portare all’attenzione dei lettori alcuni studi clinici apparsi in
letteratura, particolarmente rilevanti per il riflesso che possono avere nella pratica
della medicina. La presentazione degli studi sarà in forma sintetica e terrà conto anche
delle obiezioni, critiche e rilievi che faranno seguito alla loro pubblicazione.
I diuretici tiazidici restano i farmaci di scelta nel
trattamento dell’ipertensione arteriosa
Titolo
Revisione sistematica delle terapie antipertensive: le
prove raggiunte aiutano a scegliere un farmaco di
prima linea? (Titolo originale: Systematic review of
antihypertensive therapies: Does the evidence assist in
choosing a first–line drug?)
Autori
James M. Wright, MD, PhD; Cheng–Han Lee, BSc; G.
Keith Chambers, MD.
Rivista
Canadian Medical Association Journal (CMAJ)
1999;161:25–32.
Sponsor
British Columbia Ministry of Health e University of
British Columbia.
Problema clinico sollevato
Nei pazienti con ipertensione, quali sono i farmaci di
scelta efficaci nel ridurre la mortalità e gli eventi cardiovascolari?
Contesto e motivazione della ricerca
Quale dovrebbe essere il farmaco di scelta nel trattamento dell’ipertensione? La risposta a questo quesito
rappresenta un aspetto particolarmente critico nell’approccio e nella gestione del paziente iperteso. La decisione dovrebbe fondarsi primariamente sulle prove di
efficacia disponibili e raggiunte in un ambito di normale
pratica clinica, intendendo con ciò la capacità del farmaco di prevenire eventi avversi importanti per il paziente.
Le evidenze disponibili non sono state strutturate in
modo organico così da aiutare i medici a prendere questa decisione. Sull’efficacia reale della terapia antipertensiva sono state condotte numerose revisioni sistematiche che però, nella maggior parte dei casi, hanno focalizzato il loro interesse sull’efficacia complessiva nella
BIF Mar-Apr 2000 - N. 2
pratica clinica (1,2) o sull’efficacia in particolari gruppi di pazienti, come gli anziani (3-7).
Quando in una revisione sistematica sono presi in
considerazione tutti i farmaci antipertensivi, si parte dal
presupposto che il beneficio ottenibile con la riduzione
della pressione sia indipendente dal meccanismo attraverso il quale tale riduzione è raggiunta. Tale presupposto non è provato ed è presumibile che il meccanismo
attraverso cui un farmaco riduce la pressione possa
determinare altri effetti, indipendenti da quello antipertensivo. Inoltre tutti i farmaci antipertensivi, oltre ad
abbassare la pressione del sangue, presentano altre
azioni, alcune note, altre sconosciute, che potrebbero
aumentare o annullare l’efficacia reale legata alla diminuzione della pressione arteriosa.
Solo due revisioni hanno tentato di valutare l’efficacia clinica di farmaci antipertensivi usati come agenti di
prima scelta (1,8). Collins et al. (1) hanno sottoposto a
revisione studi comparativi farmaco vs farmaco, ma
solo 2 studi dei 3 inclusi erano appropriati perché si
potesse realizzare una comparazione. La revisione di
Psaty et al. (8) presenta numerosi limiti: non sono stati
inclusi studi comparativi farmaco vs farmaco; alcuni
studi non sono stati correttamente classificati in rapporto a gruppi farmacoterapeutici; non sono stati inclusi dati sugli effetti della riduzione pressoria.
Gli obiettivi di questa nuova revisione sistematica
sono:
a. combinare le evidenze raggiunte, in termini di efficacia sperimentale e di efficacia reale*, in studi comparativi farmaco vs farmaco utilizzati in terapie di
prima scelta;
b. combinare le evidenze raggiunte, in termini di efficacia sperimentale e reale, in studi in cui classi di farmaci utilizzate come terapie di prima scelta sono
state confrontate con placebo o con gruppi di controllo non trattati;
c. calcolare, a partire da eventi cardiovascolari totali, il
valore più favorevole di riduzione assoluta del
31
DALLA SPERIMENTAZIONE ALLA PRATICA CLINICA
rischio complessivo e il numero di pazienti da trattare per ogni classe di farmaci antipertensivi;
d. trasferire le evidenze raggiunte in implicazioni cliniche
nell’individuazione di terapie di prima scelta.
* Il termine italiano “efficacia” traduce due termini inglesi, efficacy
e effectiveness. Nei paesi anglosassoni tali termini hanno una
diversa accezione. Efficacy è l’efficacia di un trattamento dimostrata misurando il beneficio prodotto in una popolazione studiata in condizioni ideali di attuazione di tale trattamento (efficacia
virtuosa). Classicamente la dimostrazione di efficacy si ottiene
mediante studi clinici controllati randomizzati. Effectiveness è
invece l’efficacia dello stesso trattamento misurata attraverso il
beneficio prodotto in un ambito non più sperimentale, ma di normale pratica clinica. E’ quindi l’efficacia riferita ad una popolazione il più possibile prossima a quella reale e in condizioni di
pratica clinica normali (efficacia pratica).
Disegno dello studio
Revisione sistematica della letteratura disponibile, in
cui sono stati definiti chiaramente obiettivi e modalità
della revisione stessa.
Fonte dei dati
Gli studi sono stati identificati mediante ricerca su
Medline (1966-1997), Cochrane Library (1998, seconda edizione) e referenze di precedenti meta-analisi
(1980-1997).
Selezione degli studi
Sono stati selezionati:
• gli studi in cui i pazienti presentavano una pressione
sistolica di almeno 160 mm Hg e diastolica di almeno
90 mm Hg, partendo dal presupposto che l’effetto
sugli esiti fosse indipendente dall’ipertensione definita in termini di pressione diastolica o sistolica;
• tutti gli studi sugli antipertensivi, senza tenere conto
di co-morbilità o del rischio iniziale dei pazienti, assumendo che l’età e la co-morbilità non fossero influenti sulla riduzione del rischio relativo correlata al trattamento farmacologico;
• gli studi in cui sono stati rispettati i seguenti criteri:
– i pazienti erano allocati per randomizzazione;
– veniva confrontata una farmacoterapia di prima
scelta vs un’altra terapia di prima scelta o vs nessun trattamento (placebo compreso);
– erano riportate le caratteristiche dei gruppi al baseline;
– erano chiaramente definiti gli end point di mortalità e di morbilità;
– presentavano un follow up di almeno un anno;
– era precisato il trattamento farmacoterapico di una
delle sei categorie previste: tiazidici, beta-bloccanti, ACE-inibitori, calcio antagonisti, alfa-litici, sartani;
– la maggioranza dei pazienti (> 70%) del gruppo
trattato era in terapia con il farmaco studiato dopo
un anno.
Sono stati esclusi:
• gli studi che utilizzavano gli antipertensivi per indicazioni diverse dall’ipertensione (ad es., scompenso
cardiaco congestizio).
32
Raccolta e analisi dei dati
Due ricercatori hanno estratto dagli studi in modo
indipendente i dati su pazienti, durata degli studi, trattamento, esiti (decesso, ictus, malattia arteriosa coronarica, eventi cardiovascolari totali) e interruzioni del
trattamento a causa di effetti avversi.
Sono stati presi in considerazione 38 studi di terapie
di prima scelta nell’ipertensione pubblicati tra il 1966 e
il 1997. Ne sono stati esclusi 15 in quanto non sono stati
soddisfatti i criteri di inclusione. In definitiva, sono
stati selezionati 23 trial riferiti ad una popolazione di
50.853 pazienti.
Principali risultati
a. Studi comparativi: farmaco vs farmaco
a.1. Tiazidi vs beta-bloccanti: 5 studi
Rispetto ai beta-bloccanti, il trattamento con diuretici tiazidici ha evidenziato una percentuale minore di
interruzioni per effetti avversi; anche l’incidenza di
eventi cardiovascolari totali è risultata minore con i tiazidici, pur se al limite della significatività statistica. I
dati di mortalità totale erano disponibili per atenololo,
metoprololo e propranololo. In questa analisi per sottogruppi, il numero totale di decessi è apparso significativamente più basso con tiazidi rispetto a atenololo, ma
non quando i diuretici sono stati confrontati con metoprololo e propranololo.
a.2. Tiazidi vs calcio antagonisti (isradipina o verapamil): 2 studi
Nessuna differenza significativa per quanto concerne misure di esito e interruzioni.
a.3. ACE-inibitore (delapril) vs calcio antagonisti diidropiridinici: 1 studio
Tendenza a esiti più favorevoli con l’ACE-inibitore,
ad eccezione, per quest’ultimo, delle interruzioni dovute ad effetti avversi (soprattutto tosse).
b. Studi comparativi: trattamento attivo vs nessun
trattamento
I risultati sono riassunti in Tabella 1.
b.1. Tiazidi a basso dosaggio (dose media, in equivalenti di idroclorotiazide: 26 mg): 5 studi
b.2. Tiazidi ad alto dosaggio (dose media, in equivalenti di idroclorotiazide: 90 mg): 11 studi
Il trattamento antipertensivo con diuretici tiazidici a
basse dosi è risultato simile a quello ad alte dosi nel
ridurre il rischio di ictus e di eventi cardiovascolari
totali; solo il trattamento a basse dosi si è dimostrato
tuttavia in grado di ridurre significativamente l’incidenza di malattia coronarica.
b.3. Beta-bloccanti: 2 studi
Nessuno degli esiti differisce significativamente tra
gruppi trattati e gruppi di controllo non trattati.
BIF Mar-Apr 2000 - N. 2
DALLA SPERIMENTAZIONE ALLA PRATICA CLINICA
b.4. Calcio antagonisti (nitrendipina): 1 studio
Lo studio, condotto in pazienti con ipertensione
sistolica isolata ha evidenziato una riduzione significativa di ictus e di eventi cardiovascolari rispetto al gruppo di controllo.
c. Riduzione dei valori pressori
Tanto negli studi comparativi farmaco vs farmaco
che in quelli trattamento attivo vs nessun trattamento, i
tiazidici si sono dimostrati significativamente più effi-
caci degli altri gruppi di farmaci nel ridurre la pressione sistolica.
Nella Tabella 2 sono riportati la riduzione assoluta del
rischio di eventi cardiovascolari totali (ARR) e il numero di pazienti da trattare (NNT) per prevenire un evento relativamente a quattro classi di farmaci.
Nota: I tiazidici presenti negli studi sottoposti a valutazione erano: idroclorotiazide, clorotiazide, clortalidone, bendrofluazide, meticlotiazide, triclormetiazide.
Tabella 1. Eventi avversi osservati in studi comparativi tra terapie antipertensive di prima scelta vs nessun
trattamento
Esiti
Trattamento attivo
Nessun trattamento
Rischio Relativo (IC 95%)
Tiazidi a basse dosi
Morte
Ictus
Malattia coronarica
Eventi cardiovasc. totali
pazienti: 4.349
521
197
221
527
pazienti: 5.163
720
355
374
899
0,89
0,66
0,71
0,68
(0,81÷0,99)
(0,56÷0,79)
(0,60÷0,84)
(0,62÷0,75)
Tiazidi ad alte dosi
Morte
Ictus
Malattia coronarica
Eventi cardiovasc. totali
pazienti: 7.769
221
87
212
311
pazienti: 12.070
377
229
329
613
0,90
0,47
1,00
0,72
(0,76÷1,05)
(0,37÷0,61)
(0,84÷1,19)
(0,63÷0,82)
Beta-bloccanti
Morte
Ictus
Malattia coronarica
Eventi cardiovasc. totali
pazienti: 5.505
287
98
212
311
pazienti:10.867
568
243
329
613
1,01
0,80
0,92
0,89
(0,88÷1,15)
(0,64÷1,01)
(0,78÷1,10)
(0,78÷1,02)
Calcio antagonisti
Morte
Ictus
Malattia coronarica
Eventi cardiovasc. totali
pazienti: 2.398
123
50
58
137
pazienti: 2.297
137
78
73
186
0,86
0,61
0,76
0,71
(0,68÷1,09)
(0,43÷0,87)
(0,54÷1,07)
(0,57÷0,87)
Tabella 2. ARR di eventi cardiovascolari totali e NNT per prevenire un evento di alcune classi di
antipertensivi
ARR
di eventi cardiovascolari totali
% e IC 95%
NNT per prevenire un evento*
Tiazidi a basso dosaggio
5,7% (4,2÷7,2)
18
Tiazidi ad alto dosaggio
1,5% (0,9÷2,1)
67
Beta-bloccanti
0,7% (0,1÷1,4)
142
Calcio antagonisti
2,4% (0,9÷3,8)
42
*La stima della durata del trattamento per l’NNT può essere derivata rapportandola alla durata degli studi; chi intende approfondire l’argomento
confronti la revisione originale di Wright.
Per il significato delle sigle adottate si veda il Glossario nella terza pagina di copertina.
BIF Mar-Apr 2000 - N. 2
33
DALLA SPERIMENTAZIONE ALLA PRATICA CLINICA
Conclusione
La terapia con diuretici tiazidici a basse dosi può essere prescritta quale trattamento di prima scelta a pazienti
con ipertensione con la certezza che è efficace nel ridurre
il rischio di mortalità, ictus e malattia coronarica. La stessa cosa non si può dire per la terapia con tiazidi ad alte
dosi, beta-bloccanti, calcio antagonisti e ACE-inibitori.
3.
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Obiezioni, critiche e rilievi allo studio
34
trattamento mostra di essere un fattore
molto importante perché sia raggiunto
questo obiettivo.
Risposta degli Autori
Pur apprezzando la lettera, non ne
condividono le conclusioni. I medici,
prima di scegliere un farmaco sulla
base della compliance, dovrebbero
porsi due domande: che probabilità ci
sono che si verifichi realmente una differenza della compliance? E se una differenza esiste qual è la sua importanza
e può riflettersi in differenze di morbilità o mortalità?
La risposta a entrambe le domande è
negativa.
Per quanto concerne il primo quesito, due studi suggeriscono l’ipotesi
che la compliance sia migliore con le
nuove classi di farmaci rispetto a
quelle meno recenti (3,5), altri due
studi (2,6) dimostrano invece che
non esistono differenze. I quattro
studi sono osservazionali e sono soggetti a bias. Invece uno studio in doppio cieco randomizzato e controllato
ha dimostrato un minor numero di
interruzioni con i farmaci meno
recenti, tiazidi e beta-bloccanti; il
che evidenzia che è altamente improbabile una più bassa compliance con
tali farmaci (7).
Per quanto concerne il secondo quesito, nello studio di Caro et al. (5), gli
autori della lettera, la più ampia differenza assoluta nella non adesione alla
terapia si è avuta tra tiazidi ed ACEinibitori: 9% a 6 mesi e 13% a 4,5
anni. E’ possibile che questa differen-
za, piuttosto modesta, nella compliance determini una differenza nella morbilità e mortalità? Si ritiene che ciò sia
altamente improbabile, e tutt’al più
dovrebbe essere condotto uno studio
randomizzato ad hoc per rispondere al
quesito.
E’ importante che i medici non cadano nell’inganno pensando che gli studi
osservazionali che misurano la compliance siano più importanti di studi
clinici controllati disegnati per valutare
eventi di rilevanza ben maggiore sul
piano clinico.
Bibliografia
In una lettera inviata all’Editore (1)
si sostiene che gli autori della revisione
sistematica si erano prefissati di presentare le evidenze raggiunte in tema di
terapia antipertensiva, con lo scopo di
aiutare i medici nella scelta iniziale del
trattamento più idoneo, ma tale obiettivo non è stato raggiunto in quanto l’interesse dello studio si è limitato esclusivamente a dati degli studi clinici. Più
precisamente, anche se Wright et al.
hanno puntualizzato l’importanza delle
decisioni sulla base dei risultati più
probanti conseguiti, si sono dimenticati di ricordare ai medici che l’efficacia
reale di una terapia antipertensiva
dipende in larga misura dal rispetto e
dalla adesione dei pazienti alla terapia
prescritta (compliance). Su questo particolare problema sono stati condotti
studi che hanno evidenziato l’esistenza
di difficoltà nel mantenimento di schemi terapeutici prefissati, specie quando
sono stati utilizzati, quali terapie iniziali, farmaci di più vecchia data, come
diuretici e beta-bloccanti (2-5).
Di conseguenza, concludere come
hanno fatto gli autori della meta-analisi, che i medici dovrebbero scegliere,
in assenza di controindicazioni, un
diuretico tiazidico, significa ignorare
del tutto l’evidenza disponibile. Se
l’obiettivo ultimo della terapia antipertensiva è di controllare l’ipertensione ed evitare eventi cardiovascolari, allora i medici dovrebbero tenere
conto di tutte le evidenze disponibili.
Una terapia antipertensiva è efficace
solamente se un paziente persevera
nella terapia, e la scelta iniziale di un
1. Caro JJ, Payne K. Real-world effectiveness of antihypertensive drugs.
CMAJ 2000;162:190-1.
2. Jones JK et al. Discontinuation of and
changes in treatment after start of new
courses of antihypertensive drugs: a
study of a United Kingdom population. BMJ 1995;311:293-5.
3. Monane M et al. The effects of initial
drug choice and comorbidity on
antihypertensive therapy compliance:
results from a population-based study
in the elderly. Am J Hypertens
1997;107:697-704.
4. Caro JJ et al. Persistence with treatment for hypertension in actual practice. CMAJ 1999;160:31-7.
5. Caro JJ et al. Effect of initial drug choice on persistence with antihypertensive
therapy: the importance of actual practice data. CMAJ 1999;160:41-6.
6. Hamilton RA, Briceland LL. Use of
prescription-refill records to assess
patient compliance. Am J Hosp Pharm
1992;49:1691-6.
7. Philipp T et al. Randomized double
blind, multicentre comparison of
hydrochlorothiazide, atenolol, nitrendipine and enalapril in antihypertensive treatment: results of the HANE
study. BMJ 1997;315:154-9.
BIF Mar-Apr 2000 - N. 2
DALLA SPERIMENTAZIONE ALLA PRATICA CLINICA
BIF Mar-Apr 2000 - N. 2
1. Study Group on Long-term Antihypertensive Therapy. A 12-month comparison of ACE inhibitor and CA antagonist
therapy in mild to moderate essential
hypertension - The GLANT Study.
Hypertens Res 1995;18:235-44.
2. Joint National Committee on Prevention, Detection, Evaluation, and Treatment of High Blood Pressure. The
Sixth Report of the Joint National
Commmittee on Prevention, Detection,
Evaluation, and Treatment of High
Blood Pressure. Arch Intern Med
1997;157:2413-46.
Post-fazione
ACP Journal Club è una rivista
bimestrale pubblicata da American
College
of
Physicians-American
Society of Internal Medicine. Nel
numero di gennaio/febbraio 2000 (vol.
132 n. 3) lo studio “Systematic review
of antihypertensive therapies: does the
evidence assist in choosing a first-line
drug?” di Wright, Lee e Chambers è
stato sottoposto a valutazione, con un
commento finale di seguito riportato.
“Molti studi di ampie dimensioni
hanno evidenziato che i diuretici tiazidici
a basse dosi sono efficaci nel trattamento
antipertensivo sia dopo sperimentazione
clinica che nella pratica reale. Alcune
linee guida nazionali, tra cui US Joint
National Committee on the Prevention,
Detection, and Evaluation and Treatment
of Hypertension (1), hanno raccomandato le tiazidi come terapia antipertensiva
di prima linea. Tuttavia, nella pratica,
l’impiego delle tiazidi è nettamente inferiore rispetto agli antipertensivi più
recenti, anche se l’efficacia di questi ultimi è peggio documentata.
Purtroppo, sono stati eseguiti pochi
confronti diretti tra differenti classi di farmaci utilizzati nel trattamento dell’ipertensione. Gli unici riguardano due gruppi
di antipertensivi, tiazidi vs beta-bloccanti,
attuati in uno studio. Un confronto fra più
recenti classi di farmaci è attualmente in
fase di realizzazione, nello studio ALLHAT (2), ed è stato progettato con l’obiettivo di confrontare mortalità ed eventi
cardiovacolari in gruppi di pazienti ipertesi, relativamente ad alto rischio, trattati
con un tiazidico, un calcio antagonista,
un ACE-inibitore, un alfa-litico. Questo
studio, di ampie dimensioni, con 42.451
pazienti, è parzialmente completato e i
risultati finali sono attesi entro 2-3 anni
(vedi rubrica “Aggiornamenti” in questo
numero del BIF).
Nel frattempo, i medici che cosa
dovrebbero fare? Come è stato concluso in questa e in altre revisioni sistematiche (usando talvolta metodi differenti), i tiazidici a basse dosi dovrebbero
costituire la prima linea di trattamento
dell’ipertensione. Tale trattamento
riduce non solo il rischio di ictus ma
anche di altra morbilità e mortalità cardiovascolare. Le tiazidi sono farmaci
poco costosi con la più forte dimostrazione di efficacia osservata mediante
studi sull’ipertensione”.
Bibliografia
Risposta degli Autori
I contenuti di questa seconda lettera
non sono condivisi, mentre si ribadisce
che le conclusioni della revisione sistematica sono fondate.
La prima affermazione delle conclusioni dello studio: “la terapia con
diuretici tiazidici a basse dosi può
essere prescritta quale trattamento di
prima scelta a pazienti con ipertensione con la certezza che è efficace
nel ridurre il rischio di mortalità,
ictus e malattia coronarica” è giustificata dalla significatività statistica
(intervalli di confidenza al 95%)
della riduzione di tali eventi raggiunta con i diuretici, come si può osservare in Tabella 1.
La seconda affermazione: “la stessa
cosa non si può dire per la terapia con
tiazidi ad alte dosi, beta-bloccanti, calcio antagonisti e ACE-inibitori” si
fonda sul fatto che una riduzione statisticamente significativa dei tre esiti
non è stata evidenziata con le tiazidi ad
alte dosi, con i beta-bloccanti e con i
calcio antagonisti (in Tabella 1, gli
intervalli di confidenza comprendono il
valore 1). E neppure è stato dimostrato
con gli ACE-inibitori o qualsiasi altra
classe di farmaci, in quanto non sono
stati valutati con studi in grado di soddisfare i criteri fissati dalla revisione
sistematica.
Non è possibile pertanto prescrivere
queste altre classi di farmaci considerandole di prima scelta con la certezza
che siano in grado di ridurre ognuno dei
tre esiti avversi esaminati. Gli autori
della revisione sistematica affermano
poi di non avere concluso, come ventilato dall’autore della seconda lettera
(1), che solo le tiazidi a basso dosaggio
siano in grado di prevenire la morte e la
morbilità cardiovascolare, e di non
essere giunti ad alcuna conclusione,
diversamente da quanto affermato dall’autore della lettera, circa l’efficacia
relativa delle tiazidi a basse dosi e di
altre classi di farmaci. L’evidenza disponibile farmaco vs farmaco è insufficiente per giudizi conclusivi circa l’efficacia relativa delle diverse classi di
antipertensivi.
Ciò che è stato dimostrato dalla revisione sistematica è che l’utilizzo delle
tiazidi quale terapia di prima scelta si
dimostra correlato a una maggiore riduzione della pressione sistolica e a una
minore percentuale di interruzioni per
effetti avversi rispetto a quanto è osservabile con alcune altre classi di farmaci
antipertensivi. Il problema del vantaggio dei costi delle tiazidi non è stato considerato nella revisione, anche se non va
sottovalutato (come è stato evidenziato
dall’autore di questa seconda lettera).
Bibliografia
In una seconda lettera (1), si sostiene che, pur essendoci buone ragioni per
scegliere una terapia a base di tiazidici
– come il basso costo o la percentuale
limitata di sospensioni per effetti
avversi - i dati di efficacia non supportano le conclusioni degli autori che solo
questo tipo di terapia a bassi dosaggi
sia in grado di prevenire mortalità e
morbilità di pazienti ipertesi. Dallo studio emerge infatti (v. Tabella 1) che non
esistono sostanziali differenze tra tiazidi a basso dosaggio, tiazidi ad alto
dosaggio e calcio antagonisti per quanto concerne mortalità (Rischio Relativo
(RR) rispettivamente 0,89 - 0,90 - 0,86)
o eventi cardiovascolari totali (RR
rispettivamente 0,68 – 0,72 – 0,71). Si
è osservata una riduzione minore del
rischio con i beta-bloccanti che con le
altre terapie, ma non vi è stata differenza significativa tra beta-bloccanti e tiazidi a basse dosi per quanto concerne la
mortalità (RRR rispettivamente 1,01 e
0,89). Per i beta-bloccanti, la riduzione
del rischio di eventi cardiovascolari
totali non ha raggiunto la significatività statistica al 5% (RR 0,89 – IC 95%:
0,78÷1,02). Non esistono studi di confronto ACE-inibitori vs placebo, ma
uno studio comparativo ACE-inibitori
vs calcio antagonisti, citato dagli autori della revisione sistematica tra gli
studi farmaco vs farmaco (2), ha evidenziato che gli ACE-inibitori sono
almeno efficaci quanto i calcio antagonisti nel ridurre mortalità ed eventi cardiovascolari.
In conclusione, l’autore della lettera
ritiene che i dati della revisione sistematica dimostrino che la terapia tiazidica a basse o ad alte dosi, quella con
calcio antagonisti e con ACE-inibitori
siano ugualmente efficaci nel ridurre
mortalità ed eventi cardiovascolari in
pazienti ipertesi.
1. Joint National Committee on Prevention,
Detection, Evaluation, and Treatment of
High Blood Pressure. The Sixth Report
of the Joint National Commmittee on
Prevention, Detection, Evaluation, and
Treatment of High Blood Pressure. Arch
Intern Med 1997;157:2413-46.
2. Davis BR et al. Rationale and design for
the Antihypertensive and Lipid Lowering Treatment to Prevent Heart Attack
Trial (ALLHAT). ALLHAT Research
Group. Am J Hypertens 1996;9:342-60.
35
ABC DEGLI STUDI CLINICI
Osservazioni
Modello di sperimentazione
1. Non controllata
Il trattamento sperimentale viene assegnato a tutti i pazienti eligibili consecutivamente osservati. Non c’è un confronto diretto con un gruppo di pazienti trattati in altro modo. Gli effetti del trattamento sperimentale sono valutati in base al
confronto con il decorso della malattia trattata con terapia standard, che si ritiene ben noto.
2. Controllata, non
randomizzata
2.1. Con controlli paralleli
2.2. Con controlli storici
2.3. Con controlli da banche dati
Il trattamento sperimentale viene assegnato a tutti o a una parte dei pazienti eligibili consecutivamente osservati. C’è un gruppo di pazienti trattati in altro
modo, arruolati con procedure diverse (v. 2.1, 2.2 e 2.3), che servono come controlli. Rimane incerta la comparabilità fra i pazienti che ricevono il trattamento
sperimentale e i controlli.
3. Controllata e randomizzata RCT (*)
3.1. Aspetti metodologici
3.2. Aspetti etici
3.3. Note per l’interpretazione
degli RCTs
Il trattamento sperimentale viene assegnato a una parte dei pazienti eligibili consecutivamente osservati (di solito attorno al 50%). Gli altri vengono trattati in
altro modo e servono come controlli. L’assegnazione dei trattamenti è fatta
mediante un sistema di sorteggio che favorisce la comparabilità fra i gruppi.
4. Meta-analisi
È una tecnica clinico-statistica di assemblaggio di sperimentazioni multiple di
uno stesso trattamento (quasi sempre di RCTs) che consente una valutazione
quantitativa cumulativa dei loro risultati.
(*) RCT: Randomized Controlled Trial
4. Meta-analisi
4.1. Meta-analisi: che cos’è e perché è utile saperla
interpretare
La meta-analisi è una tecnica clinico-statistica, che
consente di assemblare i risultati di più trial di uno stesso trattamento in un unico risultato cumulativo.
Le ragioni principali per cui è opportuno che i medici siano in grado di interpretare e di valutare criticamente una meta-analisi sono almeno tre.
1) L’efficacia di molti trattamenti (malattie gravi o
diffuse, trattamenti innovativi o ritenuti tali) viene valutata da più trial (spesso parecchie decine: v. Tabella 1),
cosa che ne rende indispensabile un resoconto sintetico
se si vuole che la pratica della medicina sia basata sui
risultati della ricerca clinica (evidence-based medicine).
Una iniziativa finalizzata a soddisfare questa esigenza è
la Cochrane Collaboration. È questo un mega-network
internazionale non-profit costituito da numerosi gruppi
collaborativi che producono e diffondono meta-analisi
di trattamenti relativi a specifici problemi sanitari (1).
Le meta-analisi della Cochrane Collaboration raccolte
nella Cochrane Library e disponibili su Internet (indirizzo del sito www.cochrane.org) sono parecchie centinaia, e altre ne vengono continuamente prodotte. Sono
36
elaborate con criteri metodologici rigorosi: ognuna di
esse deve essere preceduta dall’approvazione, ad opera
di esperti, del protocollo di ricerca (peer review). La
Figura 1 mostra come sia aumentato nel corso di dieci
anni (dal 1987 al 1996) il numero di pubblicazioni inerenti meta-analisi (2).
Figura 1. Numero di lavori scientifici riguardanti metaanalisi pubblicati tra il 1987 e il 1996 (dalla voce
bibl. 2, modificata)
BIF Gen-Feb 2000 - N. 1
ABC DEGLI STUDI CLINICI
La figura 2 mostra il logo scelto dalla Cochrane
Collaboration, ovvero lo schema grafico utilizzato
più frequentemente per la rappresentazione di metaanalisi.
2) Il numero di meta-analisi che vengono pubblicate è crescente in tutti i campi della patologia, ed è
oggi inverosimile che un medico che legga articoli
scientifici non si trovi a dover interpretare il resoconto di una meta-analisi.
3) Secondo la medicina basata sull’evidenza le metaanalisi di trial randomizzati, sono, insieme ai trial ben
disegnati, le prove più valide dell’efficacia (o della non
efficacia) dei trattamenti. Costituiscono pertanto le basi
più affidabili per raccomandazioni terapeutiche (Tabella 2, dalla voce bibl. 7). Nella Tabella 2 sono riportati i
gradi di “forza” delle raccomandazioni, in ordine decrescente da A a C. La “forza” delle raccomandazioni deriva a sua volta dalla validità delle prove di efficacia degli
interventi terapeutici a cui la raccomandazione si riferisce. I livelli di validità delle prove di efficacia sono classificati, in ordine decrescente, all’interno di ognuno dei
gradi di raccomandazione.
Una meta-analisi è basata su una sequenza di operazioni, schematizzate nella Tabella 3.
Figura 2. Logo della Cochrane Collaboration
4.2. Meta-analisi: presentazione grafica e interpretazione dei risultati
Negli articoli che presentano meta-analisi, compresi
quelli su Internet della Cochrane Collaboration, si fa
largo uso di illustrazioni grafiche, assai efficaci per una
prima interpretazione della meta-analisi.
Lo schema grafico usato più spesso è quello riprodotto nelle Figure 3 – 5, relative ad altrettanti esempi di
meta-analisi. In esse, sono riportate sulla linea orizzontale le differenze fra l’incidenza di eventi nei pazienti
che ricevono la terapia sperimentale e quella nei controlli (emorragia da varici nel primo e nel terzo esempio; mortalità nel secondo); al centro della linea orizzontale è segnata la differenza zero, che indica l’equivalenza fra i due trattamenti. I risultati dei singoli trial
e della loro combinazione (overall), con i rispettivi
intervalli di confidenza, sono ordinati perpendicolarmente alla linea verticale di equivalenza. A destra di
ognuno dei trial e della loro combinazione sono segnate le corrispondenti differenze e, in parentesi, i loro
intervalli di confidenza.
Nelle figure, a) le differenze con segno negativo
(a sinistra della verticale di equivalenza) indicano
una più alta incidenza di eventi nei controlli, e pertanto un vantaggio terapeutico del trattamento sperimentale; b) le figure illustrano chiaramente l’eventuale eterogeneità qualitativa inter-trial, quando
alcune delle differenze relative ai singoli trial sono a
sinistra della verticale di equivalenza, e altre a
destra, specie se i rispettivi intervalli di confidenza
sono per lungo tratto non sovrapposti (v. Figura 5);
c) la precisione e la riproducibilità della misura dell’effetto terapeutico sono inversamente proporzionali all’ampiezza dell’intervallo di confidenza, e d)
l’effetto terapeutico non è statisticamente significativo se l’intervallo di confidenza attraversa la linea
di equivalenza. Secondo queste indicazioni, i tre
esempi delle figure possono essere interpretati come
segue.
La Figura 3 (dalla voce bibl. 5; dati aggiornati con trial
successivi) mostra i risultati di 10 trial randomizzati sul-
Tabella 1. Numero di RCTs di alcuni trattamenti
Trattamento
Interferone alfa
Trombolisi con streptochinasi
Profilassi antibiotica
Scleroterapia endoscopica
Ac. Aminosalicilico
BIF Mar-Apr 2000 - N. 2
Applicazione
N. di RCTs (voce bibl.)
Epatite cronica C
66 (3)
Infarto miocardico acuto
33 (4)
Chirurgia colorettale
21 (4)
Varici esofagee nella cirrosi per
la prevenzione della prima emorragia
19 (5)
Colite ulcerosa, per indurre una
remissione
19 (6)
37
ABC DEGLI STUDI CLINICI
Tabella 2. Gradi di raccomandazione (A-C) e livelli di evidenza (1-5)
Tipi di studi da cui si è ottenuta l’evidenza
Grado A
Livello 1a
• Megatrial (large RCTs); o meta-analisi di più RCTs che abbiano un numero cumulativo
di dati almeno pari a quelli di un megatrial.
Livello 1b
• Almeno uno studio di coorte di qualità elevata, nel quale ebbero un esito sfavorevole tutti
i pazienti trattati con terapia convenzionale mentre ebbero esito favorevole una parte dei
pazienti trattati con la nuova terapia; oppure nel quale ebbero un esito sfavorevole molti
dei pazienti trattati con terapia convenzionale, e nessuno di quelli trattati con la nuova
terapia.
Livello 1c
• Almeno un RCT con numero di pazienti medio, o una meta-analisi di piccoli RCTs con
un numero cumulativo di pazienti non elevato.
Livello 1d
• Almeno un RCT (non specificate le caratteristiche).
Grado B
Livello 2
• Almeno uno studio di qualità elevata, non randomizzato, di coorti che ricevevano e
(rispettivamente) non ricevevano la nuova terapia.
Livello 3
• Almeno uno studio caso-controllo di qualità elevata.
Livello 4
• Almeno una serie di casi di qualità elevata.
Grado C
Livello 5
• Opinioni di esperti, senza riferimento a una delle evidenze precedenti (cioè su base fisiopatologica, ricerca non clinica [bench research] o principi generali).
Tabella 3. Sequenza di operazioni di una meta-analisi
1. Definizione di un obiettivo (per esempio: nella trombosi venosa profonda, è efficace il trattamento con eparina a
basso peso molecolare, o sarà necessario un trattamento con eparina non frazionata in infusione continua [8]?).
2. Definizione di criteri di inclusione ed esclusione dei trial (per esempio, si possono escludere trial che non valutano un end point che rientra nell’obiettivo della meta-analisi).
3. Ricerca dei trial di interesse, il più possibile esaustiva.
4. Analisi critica dei trial che, in base ai criteri in precedenza definiti, sono stati inclusi nella meta-analisi (caratteristiche dei pazienti, modalità di somministrazione del trattamento, end point, follow up, qualità metodologica). Di
particolare interesse è la ricerca di una eventuale eterogeneità qualitativa inter-trial, cioè con trial che dimostrano
un vantaggio terapeutico del trattamento sperimentale e altri che dimostrano un vantaggio terapeutico del trattamento di controllo.
5. Se i trial sono simili per caratteristiche cliniche e senza eterogeneità significativa, combinazione dei risultati dei
trial (pooling), spesso presentata anche in forma grafica.
6. Interpretazione, che tiene conto di eventuale eterogeneità inter-trial e del pooling (differenza fra i trattamenti, sua
significatività statistica, sua entità).
38
BIF Mar-Apr 2000 - N. 2
ABC DEGLI STUDI CLINICI
l’uso di beta-bloccanti contro trattamento non attivo per
la prevenzione delle emorragie da varici nella cirrosi.
• Non c’è eterogeneità qualitativa inter-trial; nessuno
dei trial ha risultati favorevoli ai controlli: nessuna
delle differenze dei singoli trial è a destra della verticale di equivalenza .
• Sono significativi a favore del trattamento i risultati di 3 singoli trial (il 3°, il 6° e il 7°): gli intervalli
di confidenza non attraversano la linea di equivalenza.
• E’ significativa a favore del trattamento la combinazione dei trial (overall).
Figura 3. Beta-bloccanti per la prevenzione delle emorragie da varici esofagee nella cirrosi. Differenze fra incidenza di emorragie nei pazienti trattati con beta-bloccanti e nei controlli non trattati [EER – CER]; le differenze dei singoli trial e
della loro combinazione (overall) sono riportate a destra del grafico; in parentesi i rispettivi intervalli di confidenza.
La Figura 4 (dalla voce bibl. 9; dati aggiornati con il
successivo trial CLIP, [10]) mostra i risultati di 5 trial
randomizzati sull’uso di tamoxifene contro trattamento
non attivo nel carcinoma epatocellulare. L’evento considerato è la mortalità.
• I trial sono assai diversi per numerosità di pazienti,
come mostra la differente ampiezza degli intervalli di
confidenza; non c’è una vera eterogeneità; la differenza relativa di un solo trial (CLIP, il più numeroso)
è appena a destra della verticale di equivalenza, ma ad
essa vicinissima.
• E’ significativo a favore del trattamento il risultato di
un singolo trial (il 3°).
• La combinazione dei trial mostra che non c’è differenza fra tamoxifene e trattamento non attivo.
La Figura 5 (dalla voce bibl. 5; dati aggiornati con trial
successivi) mostra i risultati di 21 trial randomizzati di
scleroterapia endoscopica contro trattamento non attivo
per la prevenzione delle emorragie da varici nella cirrosi.
• La caratteristica principale è l’eterogeneità qualitativa
inter-trial: 4 trial (17°, 18°, 20° e 21°) hanno risultati
sfavorevoli al trattamento, e due di essi raggiungono
la significatività statistica.
• Questi trial negativi sono disposti nella parte più
bassa della figura; invece, i trial presentati nella parte
alta della figura hanno risultati favorevoli al trattamento, significativi in sette. Quelli nella parte intermedia tendono all’equivalenza.
BIF Mar-Apr 2000 - N. 2
• In presenza di una eterogeneità così forte la combinazione in un’unica misura dei risultati dei trial (pooling), benché statisticamente significativa a favore del
trattamento, sarebbe clinicamente inappropriata.
Applicato nella pratica corrente, il trattamento potrebbe esporre una parte dei pazienti agli effetti sfavorevoli osservati nei trial negativi.
Figura 4. Tamoxifene per il trattamento del carcinoma epatocellulare. Differenze fra mortalità nei pazienti
trattati con tamoxifene e mortalità nei controlli
non trattati [EER – CER]; le differenze dei singoli trial e della loro combinazione (overall) sono
riportate a destra del grafico; tra parentesi i rispettivi intervalli di confidenza.
39
ABC DEGLI STUDI CLINICI
Figura 5. Scleroterapia endoscopica per la prevenzione delle emorragie da varici esofagee nella cirrosi. Differenze fra incidenza di emorragie nei pazienti trattati con scleroterapia e nei controlli non trattati [EER – CER]; le differenze dei singoli trial e della loro combinazione (overall) sono riportate a destra del grafico; tra parentesi i rispettivi intervalli di
confidenza. I trial sono in ordine decrescente dall’alto in basso secondo l’incidenza di emorragie nei controlli.
• La figura è costruita disponendo i trial in ordine decrescente secondo l’incidenza di emorragie nei controlli
non trattati: dato che i trial sono randomizzati, tale
incidenza equivale al rischio di base dei pazienti dei
trial (trattati e controlli). I risultati (favorevoli per i
trial disposti nella parte più alta della figura, indifferenti nella parte media, negativi nella parte inferiore)
sono coerenti con l’ipotesi, avanzata nell’articolo, che
gli effetti del trattamento siano correlati all’entità del
rischio di base; potrebbero essere giustificati pertanto
studi successivi in pazienti ad alto rischio.
L’esempio di quest’ultima meta-analisi suggerisce
che in presenza di chiara eterogeneità qualitativa
intertrial non è appropriato combinare gli effetti terapeutici dei singoli trial in un’unica misura di efficacia; è preferibile formulare e cercare di verificare ipotesi sulle cause di eterogeneità, possibile punto di
partenza per ricerche successive (11). Il differente
rischio di base nei trial di una meta-analisi è causa
non rara di eterogeneità (5, 12). Un altro esempio è
quello dell’endoarteriectomia carotidea, che ha ridotto l’incidenza di ictus nei trial con elevata incidenza
DA RICORDARE
➢ Le meta-analisi di studi terapeutici sono generalmente usate per stimare l’efficacia di un trattamento combinando più trial randomizzati. Sono necessarie quando, come spesso accade, lo stesso trattamento è valutato in
un gran numero di trial.
➢ Le meta-analisi sono attualmente considerate, insieme ai mega-trial, come uno degli strumenti più accurati per
misurare l’efficacia dei trattamenti. Tuttavia, meta-analisi di pochi trial e con un piccolo numero totale di
pazienti sono inaffidabili e poco riproducibili.
➢ La valutazione di una meta-analisi deve tener conto di elementi clinici (caratteristiche dei pazienti e delle
modalità dei trattamenti; altro) e statistici (eterogeneità, pooling).
➢ La valutazione di una meta-analisi è facilitata da un preliminare esame dei grafici di presentazione, in particolare degli intervalli di confidenza delle misure di efficacia dei singoli trial e (quando il pooling è appropriato) della loro combinazione.
➢ La valutazione di una meta-analisi dovrebbe dar luogo ad una sola conclusione rispetto a due alternative: a. i
trial sono troppo eterogenei (per caratteristiche dei pazienti, per modalità di trattamento, per end point, per
risultati) e pertanto sarebbe arbitrario giungere a una misura combinata dei loro risultati; b. i trial sono sufficientemente simili fra loro e consentono una misura globale di efficacia del trattamento, più precisa e riproducibile di quella di ognuno dei trial analizzati.
40
BIF Mar-Apr 2000 - N. 2
ABC DEGLI STUDI CLINICI
di ictus nei controlli non trattati, ma è risultata inutile o dannosa nei trial con bassa incidenza di ictus nei
controlli (13).
In assenza di eterogeneità qualitativa, la combinazione dei risultati dei singoli trial in una meta-analisi
fornisce una stima dell’efficacia del trattamento più
precisa e stabile di quella di ognuno dei trial analizzati,
perché basata su un numero maggiore di pazienti (nelle
figure, questo è evidenziato dalla minore ampiezza dell’intervallo di confidenza).
Due precauzioni di senso inverso sono opportune,
relativamente alla valutazione del pooling: da una
parte, meta-analisi che analizzano pochi trial o un
limitato numero totale di pazienti sono poco affidabili, come dimostra il fatto che sono state più volte contraddette da mega-trial successivi (v. paragrafo
seguente); dall’altra, essendo la potenza statistica
delle meta-analisi molto elevata per l’alto numero di
trial e di pazienti analizzati, anche effetti terapeutici
clinicamente irrilevanti possono risultare statisticamente significativi (14).
4.3. Meta-analisi: criteri di validità
Come i trial randomizzati, anche le meta-analisi
possono essere condotte con metodo inappropriato e
concludersi con risultati inattendibili. In linea di massima, per essere credibile una meta-analisi deve
rispettare la sequenza di operazioni riportate nella
Tabella 3. I criteri maggiori di validità (dalla voce
bibl. 15, modificata) sono riportati nella Tabella 4 in
forma di domande: le risposte affermative sono a
sostegno della validità della meta-analisi; per alcune
domande si è ritenuto opportuno un breve commento
(in corsivo).
Tabella 4. Criteri di validità di una meta-analisi
1. L’obiettivo della meta-analisi è ben definito ed è clinicamente rilevante? La miglior indicazione della rilevanza clinica di una meta-analisi è data ovviamente dalla sua capacità di dare risposta a un problema terapeutico. E’necessario riconoscere che certe meta-analisi riflettono invece più un interesse metodologico e biostatistico che reali
esigenze cliniche (alcuni esempi sono fra le meta-analisi della Cochrane Collaboration).
2. E’ verosimile che la ricerca dei trial non sia esaustiva e abbia mancato l’identificazione di trial importanti? Questa
domanda è destinata in molti casi a rimanere senza risposta; inoltre, come esposto nel BIF 1-2000 (v. 3.3.4. della
rubrica “ABC degli studi clinici”), i trial con risultati negativi vengono pubblicati raramente, o sono pubblicati
in ritardo e su riviste relativamente meno diffuse rispetto ai trial con risultati positivi. Si tratta di un meccanismo
generale di esagerazione dei risultati delle sperimentazioni, che si riflette non solo sulla meta-analisi, ma anche
sulla valutazione generale dell’efficacia dei trattamenti
3. I criteri di inclusione ed esclusione dei trial erano ragionevoli e coerenti con l’obiettivo?
4. Esiste un numero di trial del trattamento di interesse sufficiente per una meta-analisi credibile ed era il numero totale dei pazienti di tali trial ragionevolmente elevato? Questa domanda deriva dall’osservazione che meta-analisi
basate su un ristretto numero di trial o su un ristretto numero di pazienti possono dar luogo a risultati poco attendibili, che non vengono successivamente confermati da mega-trial dello stesso trattamento (16-18).
5. Sono i trial analizzati sufficientemente simili per caratteristiche dei pazienti inclusi, modalità di trattamento, end
point, follow up, rischio di base dell’end point esaminato? E’ intuitivo infatti che non è clinicamente sensato tentare di aggregare trial clinicamente disomogenei.
6. Sono i risultati dei trial non eterogenei, cioè tendono a indicare un beneficio terapeutico del trattamento sperimentale, senza risultati in chiara controtendenza? E’ questo uno dei punti più importanti per l’interpretazione di una
meta-analisi. Esistono metodi per valutare se l’eterogeneità inter-trial è statisticamente significativa; questi metodi sono però poco sensibili, specie se i trial sono pochi, e non discriminano fra eterogeneità qualitativa (cioè nella
direzione dell’effetto terapeutico) ed eterogeneità quantitativa (cioè nell’entità ma non nella direzione dell’effetto
terapeutico). E’ opportuno perciò basarsi anche sull’analisi visiva di un grafico come quelli riprodotti nel paragrafo precedente: se la direzione dell’effetto terapeutico è nettamente in controtendenza in parecchi trial, e se gli
intervalli dei trial tendono a non sovrapporsi fra loro, si può ritenere che ci sia una eterogeneità tanto grande da
porre in dubbio la ragionevolezza di una sintesi cumulativa dei risultati dei singoli trial.
BIF Mar-Apr 2000 - N. 2
41
Bibliografia
NOTIZIE DAL DIPARTIMENTO
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18. Ioannidis JPA et al. Issues in comparison between meta-analyses and large trials. JAMA 1998;279:1089-93.
NOTIZIE DAL DIPARTIMENTO
Un Piano nazionale per affrontare il dolore da cancro
Il Piano Sanitario Nazionale 1998-2000 ha indicato
tra le priorità di intervento i malati oncologici, con particolare riguardo a quelli in fase avanzata.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha
rilevato in più di un’occasione come l’inadeguatezza
del trattamento del dolore si sia rivelato in molti paesi
un problema di sanità pubblica. Ogni anno ci sono nel
mondo 10 milioni di nuovi casi di cancro con 6 milioni
di morti per questa malattia. L’OMS sottolinea inoltre
che il dolore è frequentemente sottotrattato e spesso
l’intervento fornito risulta inadeguato.
C’è un abisso tra quello che si fa e quello che può
essere fatto per dare sollievo ai malati con dolore. Esiste un percorso informativo e formativo che passa
necessariamente attraverso la gestione del dolore da
cancro per arrivare poi, sulla base di questa esperienza,
ad ottenere un trattamento adeguato per tutti i tipi di
dolore, oncologico e non, indipendentemente dalla loro
origine e durata. E’ questo un banco di prova per qualsiasi nazione che vuole misurare la capacità di risposta
del proprio Sistema Sanitario ad un problema che merita di essere affrontato in modo organico nell’interesse
dei malati.
L’OMS reputa infatti il consumo pro-capite di morfina un indicatore indipendente significativo della qualità
delle cure offerte dal servizio sanitario di un determinato paese. La situazione italiana in questa materia è tutt’altro che soddisfacente. I dati di prescrizione di questi
farmaci sono nettamente al di sotto della media europea.
42
Molti paesi della Comunità negli ultimi anni si sono
adoperati per rivedere prescrizione e distribuzione di
narcotici e per ottemperare agli accordi presi dai Governi membri nella Consensus Conference di Bruxelles
1992.
Sono così state modificate le legislazioni di Francia,
Germania, Spagna e inoltre i nostri vicini d’oltralpe
hanno recentemente dato il via ad una campagna promossa dal loro Ministero della Sanità dal titolo “Ospedale senza Dolore”. Il risultato di questo lavoro ha portato
ad un netto incremento dell’utilizzo di questi farmaci
ottenendo così un migliore controllo del dolore da cancro.
Anche l’Italia sta facendo i primi passi per valutare i
limiti della situazione attuale, sia per quanto riguarda
l’aspetto legislativo sia di formazione del personale
sanitario sull’argomento, e per cercare di porvi i necessari correttivi. Presso il Dipartimento per la Valutazione dei Medicinali e la Farmacovigilanza del Ministero
della Sanità è stato così istituito, su indicazione del
Ministro, il Gruppo di lavoro-CUF sulla terapia del
dolore cronico da cancro.
I principali obiettivi che si stanno perseguendo sono tre:
1. definire le modifiche da apportare al Testo Unico
delle Leggi Sanitarie in materia di disciplina delle
sostanze stupefacenti (DPR 309/90), per favorire una
più facile prescrizione di questi farmaci nel controllo del dolore grave;
BIF Mar-Apr 2000 - N. 2
NOTIZIE DAL DIPARTIMENTO
2. colmare il divario tra necessità e disponibilità di farmaci analgesici essenziali presenti sul mercato, cercando inoltre di porre a carico del Servizio Sanitario,
e non del cittadino, i farmaci più usati ed efficaci;
3. definire un modello di formazione unitario per tutti
gli operatori sanitari del nostro paese, proponendo
gli strumenti per acquisire competenze specifiche
comuni nel trattamento del dolore e promuovendo
parimenti campagne informative rivolte a malati e
cittadini.
Il lavoro del Gruppo, iniziato nella primavera dell’anno scorso, è progredito abbastanza rapidamente ed
è ipotizzabile che nel prossimo futuro si comincino già
a vedere i primi frutti di questo faticoso e difficile cammino. Al momento, nell’attesa della modifica della
legge, si è provveduto a cambiare il confezionamento
delle fiale di morfina, che saranno d’ora in poi prodotte e vendute in confezione singola, in modo tale da evitare al medico e al farmacista il problema posto dall’impossibilità dello sconfezionamento. Le scatole di
morfina (come tutte le specialità), infatti, non potranno
più essere aperte qualora il numero di fiale da consegnare per ogni singola prescrizione non sia un multiplo
di quelle contenute in ogni singola confezione. Sarà
presto disponibile sul mercato una confezione del farmaco in forma di sciroppo, attualmente ancora assente.
Si ipotizza di produrre e distribuire, con la collaborazione dell’Industria Farmaceutica o in alternativa
dello Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare, per
alcune sostanze o confezionamenti (attraverso un
accordo ad hoc per questo obiettivo), i principali farmaci per il trattamento del dolore nelle formulazioni
più utilizzate. Saranno poi presto disponibili, a totale
carico del Servizio Sanitario Nazionale, a seguito di
uno specifico provvedimento della CUF in via di definizione, i farmaci e le confezioni essenziali per il trattamento del dolore da moderato a severo. Si implementeranno così le risorse poste a disposizione dei medici
che già attualmente possono prescrivere con nota (la
nota 66) i farmaci analgesici non steroidei ai malati di
cancro.
Si sta ipotizzando, inoltre, di organizzare una giornata nazionale di informazione dei cittadini, dei malati
e di tutti gli operatori sanitari su questo tema, con l’aiuto della stampa e dei mezzi di informazione, che possa
servire come momento di apertura di un programma
BIF Mar-Apr 2000 - N. 2
volto a implementare le conoscenze e l’attenzione al
problema dolore su tutto il territorio nazionale. Si chiederà infatti su questo specifico obiettivo la collaborazione di tutte le Regioni italiane, per diffondere l’informazione e per stimolare processi di aggiornamento per
tutti i sanitari.
Questo stesso bollettino ospiterà presto un numero
monografico sul dolore, con le proposte e i provvedimenti che si sono studiati per affrontare il problema,
dalle modifiche della legge fino alla disponibilità di
farmaci e al progetto relativo all’informazione e alla
formazione. Si vorrebbe infatti che tutti gli operatori
della Sanità, da una parte, venissero informati in dettaglio del lavoro che si sta facendo al Ministero e, dall’altra, disponessero di notizie di prima mano sui cambiamenti in atto.
Il Gruppo che attualmente sta lavorando al Ministero
è, se così si può dire, un Gruppo di lavoro inter-forze:
comprende, infatti, medici e farmacisti universitari e
ospedalieri, medici di famiglia, funzionari e legislatori.
Esso sta faticosamente, ma con determinazione, cercando di perseguire gli obiettivi sopra indicati. E’ un’alchimia insolita quella che sta avvenendo negli ultimi tempi
al Ministero, su questo come su altri argomenti. Il vincere i contrasti tra burocrazia istituzionale e cultura
scientifica, tra dettami legislativi e necessità impellenti
per chi giornalmente è a contatto con i malati è una ricetta nuova non ancora tentata. L’avere a cuore veramente
i bisogni reali dei pazienti, il possedere l’umiltà e la
capacità di condividere i percorsi, di preconizzare le difficoltà e di affrontarle insieme può aprire la strada ad
un’epoca nuova, che porti ad una sanità più efficace,
qualificata e rispettosa del cittadino, del malato, della
sua famiglia e dei loro bisogni. Il dolore da cancro sarà
sicuramente un buon banco di prova, proprio per le difficoltà che si sono dovute affrontare e si stanno affrontando per riuscire a dare risposte in chiave organica e
integrata ai tanti problemi che esso comporta. Il modello proposto per affrontarle e risolverle, se funzionerà in
modo efficace, come sembra stia avvenendo, sarà sicuramente esportabile ad altre realtà e ad altri contesti in
modo proficuo, senza dimenticare mai come gli uomini
siano attori sostanziali nel produrre buone o cattive
risposte ai problemi.
43
COME PRESCRIVERE
Medicinali utilizzati in ambito nosocomiale e non
inclusi nel Prontuario Terapeutico Ospedaliero
Da un medico ospedaliero riceviamo questa lettera:
Leggo sul Bollettino d’Informazione sui Farmaci
n. 5-6/99 la risposta ad un medico di medicina generale che chiedeva se fosse corretto da parte sua prescrivere farmaci da acquistare presso farmacie aperte al
pubblico, a chi è ricoverato in ospedale.
I principi generali sono ovvi e condivisibili. Ma la
domanda e la risposta sono troppo generiche e non
rispecchiano il reale motivo per cui vengono fatte tali
richieste dai medici ospedalieri. Il motivo più frequente è la non corrispondenza tra i farmaci disponibili al
pubblico nelle farmacie e, quindi, per il medico di
medicina generale e quelli del Prontuario Terapeutico
Ospedaliero (PTO), che in molte aziende, per motivi di
razionalizzazione della spesa, è stato fortemente ridotto. Naturalmente le classi di farmaci utili sono tutte
presenti, ma talvolta ciò non è sufficiente ………
Il Prontuario Terapeutico Ospedaliero (PTO) è un
elenco di medicinali classificati per categorie terapeutiche che, pur comprendendo soltanto una parte dei prodotti reperibili in commercio, ne pone a disposizione
del medico curante in ospedale una dotazione tale da
corrispondere, nel modo più completo, a quanto necessario per garantire un’efficace attività di diagnosi, cura
e riabilitazione.
Il PTO nasce infatti dalla collaborazione tra specialisti dei diversi campi della terapia, nel rispetto di determinati criteri di selezione dei farmaci da utilizzare, e si
propone come strumento dinamico, nel senso che è sottoposto a periodici aggiornamenti affinché si adegui
con tempestività allo sviluppo di nuove conoscenze farmacologiche e terapeutiche. È evidente che, nel caso di
medicinali ad attività equivalente di una classe terapeutica, la selezione di un numero di composti limitato (ma
tale da garantire la possibilità della più ampia scelta tra
44
composti aventi differenti proprietà farmacologiche e/o
tossicologiche), ha come finalità l’ottimizzazione della
spesa farmaceutica; inoltre allo stesso obiettivo mira
l’inserimento in PTO di un numero non eccessivo di
confezioni con dosaggi diversi dello stesso medicinale,
salvo che non esistano motivazioni specifiche soprattutto per quanto riguarda i necessari dosaggi specialistici. Ma è altrettanto vero che tali selezioni sono funzionali alla facilitazione della prescrizione e all’utilizzo, da parte dei medici, dei tanti medicinali in commercio.
L’utilità del PTO, specie se i farmaci in esso riportati sono accompagnati da informazioni e dati che ne facilitano l’impiego, è ormai universalmente riconosciuta a
livello internazionale. Non esiste ospedale di paesi latini o anglosassoni che non disponga di tale strumento.
Pur in presenza di un PTO predisposto ed aggiornato con competenza e tempestività, può talora verificarsi l’esigenza di utilizzare farmaci non inclusi per un
particolare tipo di malattia o per singolo paziente. In
tale evenienza, la prescrizione di farmaci non compresi
nel PTO deve essere liberamente consentita al medico
che la giudichi necessaria, purché ne dia giustificazione ad apposita commissione (di solito alla Commissione Terapeutica Ospedaliera).
Comunque, come si sottolineava nel BIF 5-6/99,
pag. 43, per i medicinali da utilizzarsi in ambito nosocomiale (o negli ambulatori ospedalieri, distrettuali o in
altre strutture che l’Azienda gestisce in modo diretto)
non è consentito ricorrere al modulo regionale per
acquisirli presso le farmacie aperte al pubblico. Si ribadisce che un comportamento non conforme a tale principio può configurare un illecito nella persona o struttura che attiva e permette l’attuazione di tale procedura
e può arrecare sensibili danni economici alla struttura
pubblica e sottopone il paziente ad un onere indebito
BIF Mar-Apr 2000 - N. 2
FARMACOUTILIZZAZIONE
Il mercato farmaceutico mondiale nel 1999
L’IMS Health (sito Internet www.imshealth.com)
riferisce che, nel mercato farmaceutico mondiale, le
vendite attraverso le farmacie aperte al pubblico hanno
presentato nel 1999 un incremento del 10%.
Il mercato mondiale continua ad essere trainato dalle
imponenti vendite del Nord America che, nel periodo
gennaio - dicembre 1999, sono salite a 90,8 miliardi di
dollari, a un tasso di crescita del 16%.
Relativamente all’Europa, i primi 5 mercati considerati globalmente, determinano una spesa di quasi 54
miliardi di dollari: la Germania rimane il primo mercato con 15,7 miliardi di dollari ed un incremento delle
vendite del 6% rispetto all’anno precedente. L’Italia
rappresenta il quinto mercato mondiale e il terzo europeo, con vendite per 9,4 miliardi di dollari e un incremento del 9% rispetto all’anno precedente; tale incremento è risultato superiore a quello europeo, che nel
periodo di riferimento è stato del 7%.
Il Giappone ha realizzato un fatturato di 47,6
miliardi di dollari, che però comprende sia le vendite
delle farmacie sia quelle effettuate dagli ospedali.
Anche Australia e Nuova Zelanda fanno registrare
una crescita significativa nel 1999 rispetto al 1998
(+12%), mentre il mercato sudamericano (Messico,
Brasile e Argentina) subisce una diminuzione
dell’8%.
La Tabella 1 riporta le vendite dei primi 12 mercati
farmaceutici nel 1999, valutate complessivamente in
oltre 207 miliardi di dollari.
Le principali classi terapeutiche
Complessivamente, nei Paesi sopra riportati, l’IMS
Health identifica 16 classi terapeutiche leader. Tra le
aree terapeutiche trainanti, i farmaci attivi sul sistema
muscolo scheletrico hanno fatto registrare il più alto
incremento nelle vendite (+19%), seguiti dai citostatici
(+13%), dai farmaci per il sistema nervoso centrale
(+13%) e da quelli attivi sul sangue e a livello emopoietico (+12%).
I cardiovascolari si confermano come la categoria di
farmaci a maggiore incidenza di spesa, valutata in 40,8
miliardi di dollari, seguiti dai farmaci attivi a livello
dell’apparato gastrointestinale/metabolismo e del sistema nervoso centrale.
Tabella 1. Vendite dei primi 12 mercati farmaceutici nel 1999
PAESE
VENDITE 1999
(miliardi di dollari)
INCREMENTO %
1999 vs 1998 (*)
NORD AMERICA
USA
CANADA
90,832
86,048
4,784
+16
+16
+12
EUROPA (1)
GERMANIA
FRANCIA
ITALIA
REGNO UNITO
SPAGNA
53,918
15,738
14,123
9,462
8,983
5,612
+7
+6
+5
+9
+10
+11
GIAPPONE (2)
47,630
+7
AMERICA LATINA(3)
12,271
-8
2,855
+12
207,506
+10
AUSTRALIA/NUOVA ZELANDA
Totale
(*) L’incremento è calcolato nella moneta locale
(1) Vendite dei primi cinque mercati (Germania, Francia, Italia, Regno Unito e Spagna)
(2) Incluse le vendite delle farmacie ospedaliere
(3) Vendite relative ai tre principali mercati (Brasile, Messico, Argentina)
BIF Mar-Apr 2000 - N. 2
45
FARMACOUTILIZZAZIONE
Tabella 2. I primi 12 mercati farmaceutici - Vendite delle principali classi terapeutiche nel 1999
CLASSE TERAPEUTICA
SISTEMA CARDIOVASCOLARE
APPARATO GASTROINTESTINALE E METABOLISMO
SISTEMA NERVOSO CENTRALE
ANTINFETTIVI
SISTEMA RESPIRATORIO
MUSCOLO SCHELETRICI
SISTEMA GENITO-URINARIO
DERMATOLOGICI
CITOSTATICI
SANGUE E ORGANI EMOPOIETICI
ORGANI DI SENSO
AGENTI DIAGNOSTICI
ORMONI
VARI
SOLUZIONI PER USO OSPEDALIERO
ANTIPARASSITARI
VENDITE 1999
(miliardi di dollari)
INCREMENTO %
1999 vs 1998 (*)
40,876
32,478
31,328
21,538
19,192
11,419
11,272
7,773
7,754
6,424
4,584
3,646
3,509
3,228
2,105
0,380
+9
+8
+13
+8
+11
+19
+10
+3
+13
+12
+6
+11
+7
+5
+4
-13
(*) L’incremento è calcolato nella moneta locale
Per quanto concerne in particolare il mercato italiano, la
Tabella 3 riporta le principali classi terapeutiche in ordine
decrescente di spesa, la relativa incidenza percentuale e la
variazione rispetto all’anno precedente.
La classe a maggiore incidenza di spesa risulta quella dei
cardiovascolari (24%), seguita dai farmaci per l’apparato
gastrointestinale e il metabolismo (15%), dagli antinfettivi
(12%) e dai farmaci attivi sul sistema nervoso centrale (12%).
Nella stessa tabella è anche evidenziata la posizione che
ciascuna classe occupa nella classifica delle vendite dei cin-
que maggiori mercati europei (4a colonna) e degli USA (5a
colonna).
Si può osservare che, salvo lievi scostamenti (come nel
caso degli antinfettivi, che si collocano al terzo posto in
Italia, ma al quinto in Europa), le vendite del mercato italiano rispecchiano sostanzialmente il dato europeo.
Diversamente, rispetto agli USA, si registrano delle
discrepanze tra le categorie di farmaci più venduti. In particolare i farmaci a maggiore incidenza di spesa nel mercato
statunitense sono quelli attivi sul sistema nervoso centrale,
che si collocano solo al quarto posto nelle vendite italiane.
Tabella 3. Mercato italiano - Vendite delle principali classi terapeutiche nel 1999
CLASSE TERAPEUTICA
1 SISTEMA CARDIOVASCOLARE
2 APPARATO GASTROINTESTINALE E METABOLISMO
3 ANTINFETTIVI
4 SISTEMA NERVOSO CENTRALE
5 SISTEMA RESPIRATORIO
6 SISTEMA GENITO-URINARIO
7 SISTEMA MUSCOLO SCHELETRICO
8 CITOSTATICI
9 SANGUE E ORGANI EMOPOIETICI
10 DERMATOLOGICI
11 ORGANI DI SENSO
12 ORMONI
13 AGENTI DIAGNOSTICI
14 VARI
15 SOLUZIONI PER USO OSPEDALIERO
16 ANTIPARASSITARI
Milioni di
dollari
2.251
1.379
1.174
1.101
801
560
514
467
358
321
202
169
111
31
17
6
Incidenza
∆%
%
1999 vs 1998
24
15
12
12
8
6
5
5
4
3
2
2
1
0
0
0
+12
+7
+4
+11
+11
+18
+7
-1
+10
+9
+16
-2
+19
-1
-38
+2
in
Europa**
(1)
(2)
(5)
(3)
(4)
(6)
(7)
(9)
(10)
(8)
(12)
(11)
(13)
(14)
(16)
(15)
in
USA
(2)
(3)
(5)
(1)
(4)
(6)
(7)
(9)
(11)
(8)
(10)
(14)
(13)
(12)
(16)
(15)
** Dati relativi ai primi 5 mercati (Germania, Francia, Italia, Regno Unito e Spagna).
46
BIF Mar-Apr 2000 - N. 2
N.B. È OBBLIGATORIA SOLTANTO LA COMPILAZIONE DEI SEGUENTI CAMPI: 2; 4; 7; 8; 12; 22;
1
INIZIALI DEL PAZIENTE
2
3
7
DESCRIZIONE DELLE REAZIONI ED EVENTUALE DIAGNOSI*
ETÀ
4
SESSO
DATA D’INSORGENZA DELLA REAZIONE
5
6
ORIGINE ETNICA
8
CODICE MINISTERO
SANITÀ:
GRAVITÀ DELLA REAZIONE
MORTE
■
HA PROVOCATO O HA PROLUNGATO
L’OSPEDALIZZAZIONE
■
HA PROVOCATO INVALIDITÀ GRAVE O
■
PERMANENTE
HA MESSO IN PERICOLO LA VITA DEL
PAZIENTE
10
RISOLTA
* NOTA: SE IL SEGNALATORE È UN FARMACISTA, RIPORTI SOLTANTO LA DESCRIZIONE DELLA REAZIONE AVVERSA, SE È UN MEDICO ANCHE
L’EVENTUALE DIAGNOSI.
9
■
ESITO:
■
RISOLTA CON POSTUMI
PERSISTENTE
■
ESAMI STRUMENTALI E/O DI LABORATORIO RILEVANTI
■
MORTE:
11
DOVUTA ALLA REAZIONE AVVERSA
SPECIFICARE SE LA REAZIONE È PREVISTA NEL FOGLIO ILLUSTRATIVO
■
IL FARMACO POTREBBE AVER
SI
■
NO
■
CONTRIBUITO
■
NON DOVUTA AL FARMACO
COMMENTI SULLA RELAZIONE TRA FARMACO E REAZIONE
SCONOSCIUTO
■
■
INFORMAZIONI SUL FARMACO
12
13
FARMACO (I) SOSPETTO (I)
LA REAZIONE È MIGLIORATA DOPO LA
SOSPENSIONE DEL FARMACO?
(NOME SPECIALITÀ MEDICINALE (*)
A)
SI
■
NO
■
B)
C)
* NEL CASO DI PRODOTTI BIOLOGICI INDICARE IL NUMERO DEL LOTTO
14
15
DOSAGGIO
IN VIA DI SOMMINISTRAZIONE
GIORNALIERO (I)
16
DURATA DELLA TERAPIA
DAL
A)
A)
A)
B)
B)
B)
C)
C)
C)
17
AL
SI
INDICAZIONI PER CUI IL FARMACO È STATO USATO
19
FARMACO (I) CONCOMITANTE (I) E DATA (E) DI SOMMINISTRAZIONE
20
CONDIZIONI CONCOMITANTI E PREDISPONENTI
■
NO
■
RICOMPARSA DEI SINTOMI
SI
18
RIPRESA DEL FARMACO
21
■
NO
■
LA SCHEDA È STATA INVIATA ALLA:
AZIENDA PROD.
DIR SANITARIA
■
■
MINISTERO DELLA SANITÀ
USL
■
■
INFORMAZIONI SUL SEGNALATORE
22
FONTE:
MEDICO DI BASE
✄
SPECIALISTA
■
■
OSPEDALIERO
■
■
FARMACISTA
ALTRO
23
NORME ED INDIRIZZO DEL MEDICO O FARMACISTA - N.UMERO ISCRIZIONE
ORDINE PROFESSIONALE - PROVINCIA
■
24
DATA DI COMPILAZIONE
25
26
CODICE USL
27
BIF Mar-Apr 2000 - N. 2
FIRMA
FIRMA
RESPONSABILE
47
INFORMAZIONI SULLA DITTA FARMACEUTICA
NOME E INDIRIZZO
FONTE DELLA SEGNALAZIONE
STUDIO CLINICO
LETTERATURA
PERSONALE SANITARIO
NUMERO DI REGISTRO
DATA IN CUI LA SEGNALAZIONE
È PERVENUTA ALL’IMPRESA
TIPO DI RAPPORTO:
INIZIALE
SEGUITO DI ALTRO RAPPORTO
DATA DI QUESTO RAPPORTO
Note sulla compilazione della scheda di segnalazione
• Il campo N. 6 (codice Ministero della Sanità)
non va compilato dal sanitario che segnala,
ma dall’Ufficio competente del Ministero
della Sanità.
• Per ciò che attiene il campo N. 7, la descrizione della reazione deve essere il più ampia possibile e non limitarsi a pochi termini, cioè la
descrizione dell’evento avverso dovrebbe, per
quanto possibile, non coincidere con la diagnosi.
• Il campo N. 8 è stato inserito come obbligatorio in quanto, dato che da alcune segnalazioni
originano poi interventi incisivi per la salute
pubblica, è di fondamentale importanza conoscere il livello di gravità della reazione stessa.
Ovviamente, se la segnalazione si riferisce a
reazioni non gravi il segnalatore può scegliere se scrivere non grave o non applicabile,
sbarrare l’intero campo, o semplicemente
lasciarlo in bianco.
• Il campo N. 11 è anch’esso importantissimo,
in quanto la menzione o meno della reazione avversa nel foglio illustrativo, e di conseguenza nella scheda tecnica permette al
Ministero della Sanità di classificare tale
reazione come inaspettata o meno. Ciò è
48
particolarmente utile nel caso vada avviata
una procedura d’urgenza di variazione degli
stampati. Sempre in questo stesso campo è
riportata la richiesta di commenti sulla possibile relazione tra l’assunzione del farmaco
e l’insorgenza della reazione avversa. In
questo caso è opportuno rispondere dopo
aver compiuto opportune verifiche (consultazione degli stampati e di testi scientifici,
follow up, esami di laboratorio).
• Il campo N. 21 serve soprattutto ad evitare le
duplicazioni in caso la scheda sia stata spedita a più destinatari (Azienda USL, Industria
Farmaceutica, etc.).
• Il campo N. 27 va firmato dal responsabile del
servizio farmacovigilanza della USL dopo
che questi ha controllato la congruità della
segnalazione stessa. In caso la segnalazione
risultasse mancante di elementi importanti, è
auspicabile che il responsabile suddetto si
adoperi per acquisirne il più possibile.
• Per quanto riguarda il retro della scheda si fa
presente che esso va compilato dall’Azienda
titolare dell’Autorizzazione all’Immissione in
Commercio, e non da chi riporta né dalla
USL.
BIF Mar-Apr 2000 - N. 2