terremoto di Kobe - Dipartimento di Architettura

NORMATIVA E RICERCA
Corrado Latina
La forma e/è la sostanza:
irregolarità di configurazione
e azioni sismiche
Da un’analisi sul campo dei
danni prodotti dal terremoto di
Hanshin (Giappone, 1995) una
conferma che le irregolarità
morfologiche e costruttive
degli edifici sono uno dei
principali fattori di rischio
sismico
Qualche anno fa, di ritorno da una missione
in Giappone, Bob Reitherman mi raccontava con una certa preoccupazione: “È sorprendente. Con tutte le conoscenze acquisite in materia e le continue sperimentazioni,
sembra che i Giapponesi non abbiano
imparato molto sull’importanza di una regolare articolazione strutturale ai fini sismici.
Molti degli edifici che ho visitato presentano
varie incongruenze costruttive: irregolarità
così evidenti da non lasciare molti dubbi sul
loro probabile danneggiamento al prossimo
terremoto di grande intensità...”. Queste
considerazioni mi sono tornate in mente
durante il mio viaggio di studio in
Giappone, a poche settimane dal terremoto
che nel gennaio del 1995 ha sconvolto la
baia di Osaka, nel constatare che le pessimistiche valutazioni del mio amico americano
avevano avuto una drastica conferma.
Robert Reitherman, architetto, qualificato
specialista nel campo della progettazione
sismica che vive a San Mateo (nel cuore
della mitica Silicon Valley), dove lavora
come consulente e ricercatore per enti pubblici e privati, è oggi il direttore esecutivo
del CUREE (California Universities for
Research in Earthquake Engineering), una
società non profit creata dal sodalizio delle
principali università californiane per promuovere lo sviluppo dell’ingegneria sismica.
Ma è stato anche l’autore, insieme a Christopher
Arnold, di Building Configuration and Seismic
Fonti delle illustrazioni
Design (Wiley, 1982), uno dei pochi libri che
abbiano trattato seriamente, e approfondita1. Risk Management Solutions, Inc. and Failure
mente, il complesso rapporto fra terremoti e
Analysis Associates, Inc., Japan - The Great Hanshin
architettura.(1)
Earthquake / Event Report, 1995.
2, 6b, 9. Associazione Fotoreporter Prefettura di
Questo numero di Costruire in Laterizio
Hyogo.
si occupa di progettazione sismica con par3, 4, 6a, 10, 11, 12. Corrado Latina.
ticolare riferimento ai problemi delle struttu5. Disaster Prevention Research Institute, Kyoto
re murarie e all’impiego dei prodotti in lateUniversity.
rizio: materiali e tecniche costruttive che nel
7, 8. Kimiro Meguro (INCEDE).
13. Lemos, R. “Earthquake”, Computing Japan, August Giappone contemporaneo costituiscono
1994, LINC, Tokyo.
un’eccezione, almeno nelle condizioni di
impiego strutturale che sono analizzate su
questa rivista. Nell’architettura giapponese
degli ultimi decenni è molto raro trovare
edifici multipiano in muratura portante,
anche se non è infrequente che in muratura
siano costruiti i nuovi insediamenti residen1
ziali con case unifamiliari nel nord-ovest del
paese (l’Hokkaido, una delle poche regioni
tutelate dal punto di vista ambientale). Negli
edifici più alti il laterizio strutturale è destinato soprattutto alla realizzazione di pareti
irrigidenti o, più frequentemente, di pareti
di tamponamento in mattoni faccia a vista.
Gran parte degli edifici moderni presenta
anche rivestimenti in listelli di laterizio, a
conferma di una diffusa tendenza rievocativa di texture e stilemi dell’architettura tradizionale e internazionale. La materia prima
per la produzione dei laterizi, d’altra parte, è
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scarsamente utilizzata: la quasi totalità dei
laterizi impiegati in Giappone viene importata dall’estero (Inghilterra, soprattutto, ma
anche Italia e Spagna). L’evoluzione delle
tecniche e delle metodologie costruttive che
hanno iperspecializzato il mercato edilizio
giapponese, rendendolo impenetrabile a
imprese e tecnologie straniere, dipende da
condizioni contestuali ben note. La crescita
demografica e la densità insediativa del
paese hanno raggiunto livelli inimmaginabili, anche per gli elevati standard europei; da
qui la necessità di costruire, per carenza di
aree edificabili, edifici con altezze vertiginose, del tutto alieni alla cultura delle strutture
murarie. Che senso ha, quindi, discutere
degli effetti di un terremoto che ha danneggiato prevalentemente edifici costruiti con
materiali e tecniche di tutt’altra natura? Le
ragioni potrebbero essere molteplici, ma mi
limiterò a indicarne due.
La prima è che i fenomeni sismici, la loro
comprensione e l’interpretazione dei danni
da essi causati, presentano sempre – ancora
oggi – un’alea di indeterminatezza e di
imprevedibilità tale da rendere ogni nuovo
evento sismico essenziale per progredire
nella conoscenza, per saperne di più e
meglio di quanto non si possa fare con la
teoria, le indagini sperimentali, le simulazioni. L’unico aspetto ‘positivo’ (se così si può
dire) di un terremoto è che per scienziati,
ricercatori, progettisti e pianificatori, esso
rappresenta un’occasione unica di studio, di
verifica, di apprendimento. E ciò, in una
certa misura, indipendentemente dalle
caratteristiche specifiche del luogo e dell’ambiente costruito che ne viene colpito. La
seconda è che alcuni fattori di rischio sismico, come è nel caso di una configurazione
edilizia più o meno irregolare,(2) nel caso
generale non dipendono dal tipo di materiali o tecniche costruttive adottato, ma
attengono alla sfera del progetto sismico
tout court, alla capacità di chi opera nel settore a concepire e realizzare soluzioni
costruttive idonee a rendere gli edifici sempre più sicuri alle azioni sismiche. La nostra
digressione, in sostanza, può essere legittimata dal fatto che il terremoto giapponese
del 1995, così come ogni altro evento sismico della storia, recente e passata, ha comunque qualcosa da insegnare a chi progetta,
costruisce o controlla l’edificazione in zona
sismica, indipendentemente dai materiali e
dalle tecniche adottate.
La ragione principale per cui il ‘terremoto
di Kobe’ (le cui devastazioni nell’immaginario collettivo dei Giapponesi hanno richiamato apocalittiche scene d’altri tempi, come
il terremoto di Kanto, che nel 1923 rase al
suolo Kyoto e Tokyo, o le conseguenze dell’ultima guerra mondiale) ha messo in
1. La baia di Osaka. I cerchi in rosso individuano gli
epicentri dell’attività sismica dal 16 al 23 gennaio
1995 (è imprecisa la posizione dell’epicentro,
successivamente localizzato sotto la punta dell’isola
Awaji). Alla fine del mese di febbraio dello stesso anno
le scosse registrate strumentalmente sono state oltre 6.000.
2. Il distretto Higashi-Nada di Kobe, a pochi giorni
dal terremoto. La quasi totalità delle costruzioni è
stata distrutta anche a causa dei numerosi incendi
provocati dalla scossa sismica.
ginocchio il Giappone si deve soprattutto a
un difetto di previsione e prevenzione.(3)
Pur disponendo di una delle migliori reti
sismologiche del mondo, infatti, un terremoto di tale intensità non era stato ipotizzato nell’area colpita - compresa fra la regione
di Hanshin e l’isola Awaji -, né erano state
previste le sue possibili caratteristiche dinamiche, con componenti di accelerazione
verticale (quelle che producono azioni sussultorie) di gran lunga superiori a quelle
orizzontali. E ciò per una metodologia di
zonazione della pericolosità sismica, che
ricorda da vicino la situazione italiana fino
al terremoto dell’Irpinia, quando la classificazione sismica del territorio era basata solo
sull’evidenza di terremoti recenti misurati
strumentalmente, che non teneva conto
degli eventi sismici avvenuti prima del 1900.
Che questa zona fosse stata interessata da
un violento terremoto attorno al 1400 si
sapeva da fonti letterarie (se ne parla nello
Tsurezuregusa, testo classico di Yoshida
Kenko). Ma un dato del genere, non facilmente traducibile in input normativi, era
stato sostanzialmente trascurato; all’epoca,
fra l’altro, la regione era scarsamente abitata
e le aree antropizzate poche e isolate, per
cui il quadro dei danni storicamente documentati non restituiva l’immagine di una
catastrofe. La mancata stima della pericolosità sismica locale è stata così ulteriormente
amplificata dalla sottovalutazione della vulnerabilità dei vasti insediamenti abitativi
contemporanei. Kobe, la città più grande e
più colpita dal terremoto (1,5 milioni di abitanti), sesta area portuale del mondo per
volume di merci scambiato, fa oggi parte
integrante di un’enorme distesa metropolitana, densamente popolata, che si snoda di
fronte alla baia di Osaka, per decine di chilometri, senza soluzione di continuità. Una
crescita economica e demografica vertiginosa, per quello che fino agli anni ‘60 era un
piccolo porto di pescatori, che negli anni
‘80 ha imposto l’ampliamento artificiale
della fascia costiera e la creazione ex-novo
di 2 isole (Port Island e Rokko Island). Per
questo, l’idea che la Kobe attuale non fosse
stata considerata seriamente dal punto di
vista sismico perché “in passato non era mai
stata danneggiata dal terremoto“ appare
(col ‘senno di poi’) alquanto risibile,(4) trattandosi di un sistema insediativo sorto dal
nulla nell’arco di qualche decennio, considerati i tempi geologici dei fenomeni tellurici di maggiore intensità (fig. 1).
Anche per questo la scossa micidiale che
si scatena alle 5,46 del 17 gennaio 1995
(magnitudo Richter 7,2) troverà una popolazione di oltre 4 milioni di persone, e le sue
autorità, sostanzialmente ignare e del tutto
impreparate a sostenerne l’impatto e a fron-
teggiarne l’emergenza: uno ‘strappo’ netto,
esteso per decine di chilometri, che lascia
macroscopici segni sul terreno (frane, smottamenti, fenomeni di liquefazione, subsidenza) ma soprattutto sulle strutture edificate in esso presenti. Difficile a credersi, per
un paese assurto a simbolo della sicurezza
sismica, eppur vero. Il terremoto, ancora
una volta, colpisce sistematicamente e selettivamente, devastando le costruzioni più
deboli e malfatte, focalizzando i suoi effetti
sugli errori progettuali e costruttivi, paralizzando un intero sistema di arterie di comunicazione e infrastrutture, con danni fisici,
diretti e indiretti, valutati in oltre 130 miliardi US$ (fig. 2). Ciò nonostante, come ha
commentato con grande realismo ed enfasi
Carlo Gavarini: “Tutto è relativo. Con il
rispetto loro dovuto, il numero di vittime e
feriti in rapporto alla popolazione direttamente interessata dal sisma è stato percentualmente basso. Altrove, in paesi meno sviluppati del Giappone, l’esito sarebbe stato
ancora più catastrofico”.
A due anni dal terremoto la situazione
nelle zone terremotate della regione di
Hanshin è tornata completamente sotto
controllo. Le preoccupazioni, semmai, si
sono ora concentrate sull’area metropolitana di Tokyo - dove un sisma di forte intensità è annunciato da tempo - la cui preparazione, benché minuziosamente preventivata, è stata seriamente rimessa in discussione.
Superate le perplessità e le lungaggini organizzative iniziali, dettate anche da uno spiccato senso di orgoglio nazionale e spirito di
autosufficienza, i Giapponesi, come già
dopo altri disastri, hanno preso a lavorare
alacremente alla ricostruzione. In questa
fase il Giappone ha dato il meglio di sé, attivando società di costruzione di altissimo
livello tecnologico e operativo (corporation
come Nikken Sikkei, Obayashi, Mitsubishi,
che in zona avevano realizzato ciascuna
migliaia di edifici, della cui riparazione si
sono occupate individualmente) e mobilitando la comunità scientifica nazionale per
studiare e capire l’evento, e per ricostruire
meglio di prima.
Una valutazione complessiva sui danni
alle costruzioni, così come è già stata fatta
da più fonti, ma anche sulla scorta delle
informazioni e dei dati raccolti nel corso
della mia visita, fornisce molte conferme e
qualche smentita.(5) Il terremoto di Hanshin,
nel bene e nel male, ha un indubbio carattere paradigmatico per chi si occupa di prevenzione sismica. Ha dimostrato, quasi vi
fosse ancora bisogno di ulteriori conferme,
che le ipotesi sulla pericolosità sismica sono
spesso stimate per difetto, complice la
volontà di alcune amministrazioni locali a
minimizzare i rischi cui è esposto il proprio
territorio. Ha confermato che a crollare per
primi, indipendentemente dai materiali e
dalle tecniche edilizie impiegate, sono gli
edifici mal costruiti, quelli che presentavano
irregolarità nella distribuzione delle rigidezze, quelli che sono stati modificati nel
tempo senza alcun criterio di sicurezza e
quelli che non sono stati sufficientemente
adeguati (fig. 3). La quasi totalità delle casette in legno a 2 piani che questo sisma ha letteralmente dissolto era di una povertà
costruttiva impressionante. Piccole abitazioni, generalmente autocostruite, che sono
risultate sorprendentemente prive di alcun
elemento resistente ad azioni orizzontali
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3. Ciò che resta di un quartiere di case in legno ad
Ashya (a). Il terremoto ha fatto scempio di queste
piccole abitazioni in legno, da uno e due piani in gran
parte autocostruite senza alcun criterio antisismico. Si
noti la scarsa rigidezza delle pareti perimetrali, dove
sono del tutto assenti elementi irrigidenti diagonali (b),
e la povertà degli ammorsamenti, privi anche solo di
idonee chiodature (c).
4. Un caso di ‘piano soffice’ in un condominio di Ashya,
originariamente di 7 piani, il cui piano terra, utilizzato
per i garage, è letteralmente scomparso (a). La bassa
qualità di edifici in c.a. come questo, realizzato negli
anni ‘70, può essere verificata nella povertà dei dettagli
costruttivi, carenti di staffe per la resistenza a taglio (b).
5. Correlazione fra livelli di danno e epoca di costruzione
su 83 edifici danneggiati nel distretto di Kobe (Chuoku).
6. L’hotel Okura di Kobe (35 piani, 489 camere) a poche
settimane dal terremoto (a, b). L’albergo, ultimato nel
1993, e realizzato con ottimi criteri antisismici
(struttura metallica con dissipatori ‘intelligenti’,
fondazioni su pali a grande profondità, isolatori alla
base, regolare configurazione) dalla società Kanku
Kikaku Sekkeisha, ha subìto solo lievi danni agli arredi
interni.
(diagonali, ammorsamenti, pareti di taglio)
e che, se ciò non bastasse, presentavano
tutte coperture estremamente pesanti (in
terra e grandi tegole in ceramica) per resistere ai tifoni cui è peraltro soggetta l’area (i
rischi naturali raramente operano da soli).
Fra gli edifici in cemento armato è stato
riscontrato un discreto numero di interventi
speculativi, con conglomerati di pessima
qualità, un’evidente carenza di armature e
vistose irregolarità costruttive (piani soffici,
pilastri tozzi, brusche variazioni di resistenza e rigidezza, distribuzioni inadeguate di
pareti di taglio) (fig. 4). Per quanto riguarda
le costruzioni progettate e realizzate nel
rispetto di norme sismiche (engineered) un
dato di grande interesse è che il livello e l’estensione dei danni sono risultati inversamente proporzionali al periodo di costruzione, in perfetta consonanza con l’evoluzione di norme sismiche nazionali che
hanno avuto significativi aggiornamenti e
perfezionamenti nel 1971 e nel 1981. Ne ha
dato immediata conferma l’indagine ricognitiva svolta dall’Istituto di Ricerca per la
Prevenzione dei Disastri dell’Università di
Kyoto, da cui risulta che i crolli hanno interessato - con un netto decremento in ragione dell’anno di costruzione - gli edifici
costruiti sino al 1980, ma nessuno di quelli
costruiti successivamente, mentre il livello
complessivo dei danni (sommando crolli e
danni di altra entità) e diminuito progressivamente considerando tre distinti periodi:
prima del 1971; dal 1971 al 1981; dal 1981 in
poi (fig. 5). “Un dato parziale, ancora provvisorio, ma molto eloquente”, sottolineava
Masayoshi Nakashima, che ha condotto la
ricerca sul campo con altri colleghi,
“Significa che siamo stati in grado di perfezionare norme progettuali e tecniche
costruttive che possono garantire la sicurezza sismica degli edifici, anche di fronte a terremoti di questa intensità”. Prova ne sia che
i numerosi grattacieli dell’ultima generazione (nella quasi totalità con strutture in
acciaio) sono usciti indenni dalla prova del
terremoto. Come nel caso dell’hotel Okura
di Kobe, a pochi chilometri dall’epicentro e
praticamente ‘costruito sul mare’, che non
ha subìto alcun danno significativo, grazie
anche a una morfologia costruttiva particolarmente regolare e a un complesso sistema
di dispositivi antisismici, mentre nelle sue
vicinanze il terremoto ha fatto scempio
delle attrezzature portuali (fig. 6).
I danni più ricorrenti sono invece da imputare a problemi di irregolare configurazione,
a conferma della sconsolata previsione di
Reitherman cui accennavo all’inizio (fig. 7).
Letali sono state, in molti casi, le strutture
verticali ibride, in cemento armato con profili
inclusi, a pilastri metallici rivestiti solo nei
piani inferiori da un’esostruttura in c.a., per la
brusca variazione di rigidezza dei telai, in
elevazione. Molti edifici intelaiati degli anni
‘80 hanno subìto crolli intermedi per la presenza di ‘piani soffici’ (con strutture verticali
meno rigide), e per lo stesso motivo si sono
avuti numerosissimi crolli di piani terra di
edifici ‘a pilotis’, con piani superiori molti più
irrigiditi da pareti di tamponamento inserite
nei telai strutturali (fig. 8). Considerando che
il terremoto ha avuto delle consistenti componenti di accelerazione verticale, la scarsa
rigidezza dei piani terra in qualche caso ha
dato luogo anche ad eccezionali casi di ribaltamento (fig. 9). Molto frequenti, inoltre, i
danni determinati da irregolarità costruttive
(fig. 10). Ma i casi più singolari, che ho
avuto modo di verificare personalmente,
riguardano modifiche costruttive operate
nel tempo, per ragioni distributive e funzionali, che non hanno tenuto conto delle possibili alterazioni del comportamento sismodinamico degli edifici originari.
Il primo esempio è stato ampiamente pubblicizzato in Italia. Si tratta del municipio di
Kobe, le cui emblematiche immagini sono
diventate il simbolo stesso di questo terremoto (fig. 11). L’organismo edilizio che
accoglie gli uffici municipali è costituito da
due distinti edifici, poco distanti l’uno dall’altro, entrambi realizzati dalla Nikken Sikkei
in periodi diversi: il più basso (8 piani) nel
1971, il più alto (30 piani), nel 1992. Il primo
edificio ha una struttura intelaiata ‘ibrida’
(nel senso prima descritto, cioè con pilastri
in acciaio che nei piani più bassi sono inglo-
bati in un getto di calcestruzzo); il secondo è
realizzato con una struttura intelaiata integralmente metallica. La configurazione di
entrambi gli edifici, singolarmente presi, è
particolarmente regolare ed è quindi probabile che essi non avrebbero subito alcun
danno rilevante dal terremoto se, qualche
anno dopo l’ultimazione del nuovo grattacielo, qualcuno degli amministratori non
avesse proposto di collegarli con due gallerie aeree poste in corrispondenza del secondo e quinto piano del vecchio edificio municipale (per evitare di dover passare dall’uno
all’altro scendendo al piano terra o passando
dai collegamenti sotterranei). La richiesta in
sé - benché non prevista nel progetto del
nuovo municipio - era legittima, ma avrebbe
richiesto la realizzazione di gallerie sospese
(a passerella), del tutto svincolate, ai fini
della deformabilità laterale, dai due corpi di
fabbrica e quindi dotate di idonei giunti
sismici. Ma ciò non è stato fatto e le due gallerie, pure di dimensioni e rigidezza contenute rispetto a quelle degli edifici principali,
hanno finito per costituire elemento di
disturbo all’oscillazione naturale delle strutture contigue, modificandone i modi di
vibrare considerati in sede di progetto e concentrando le azioni sismiche sulle strutture
verticali dell’edificio più basso nelle zone di
contatto, provocando il collasso di pilastri
intermedi che ha fatto letteralmente sparire il
sesto piano di questo edificio (fortunatamente disabitato al momento del sisma).
Un’analoga condizione di irregolare configurazione, indotta da elementi costruttivi
6a
7. La ricorrenza di danni dovuti a irregolari
configurazioni è stata una delle principali
caratteristiche di questo terremoto. In certi casi, come
per un grande magazzino a Hyogo-ku a struttura
metallica (a), si è trattato di effetti torsionali prodotti da
una morfologia in pianta irregolare; in altri, come per
un edificio commerciale a Nagata-ku con struttura in
c.a. (b), dalla presenza di rientranze in elevazione.
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8. Effetti di ‘piano soffice’ con ribaltamento in due edifici,
a struttura metallica (a) e in c.a. (b), a Nishinomya.
9. Uno spettacolare caso di ribaltamento nel distretto
centrale di Kobe. La debolezza del piano terra di questo
edificio - con struttura a pannelli in c.a. - rispetto a
quella dei piani superiori, per effetto del sollevamento
prodotto dal sisma, ha fatto sì che l’edificio si ribaltasse
sulla strada come un monolite.
10. Una tipica condizione di pilastro debole-trave forte
in un edificio di Ashya. L’inserimento di pannelli di
tamponamento rigidi in c.a. di altezza ridotta
all’interno dei telai strutturali ha irrigidito le porzioni
libere dei pilastri, concentrando su di essi le azioni sismiche.
11. I due edifici del municipio di Kobe sono stati
costruiti dalla stessa società in epoche diverse.
12. La galleria d’arte moderna di Kobe. Sul fronte
principale dell’edificio (a) sono visibili gli appoggi della
struttura metallica del primo piano, costituita da telai a
nodi rigidi con travi reticolari a parete (b). La rotazione
complessiva della struttura del primo piano, prodotta da
un vano scala aggiunto successivamente (c), è
apprezzabile dal fuori piombo dei sostegni intermedi
della griglia che sostiene le reti impiantistiche del
controsoffitto (d). Da un dettaglio dell’appoggio più
lontano dal ‘fulcro’ di rotazione (e) si può capire come
l’edificio non sia crollato per soli pochi centimetri di
spostamento.
apparentemente secondari, era presente
anche nel secondo esempio documentato:
la galleria d’arte moderna di Kobe (fig. 12).
Il corpo principale dell’edificio, anche in
questo caso, è improntato a una estrema
semplicità. Caratterizzata da una pianta rettangolare, la galleria si sviluppa su due
piani e presenta una singolare ma apparentemente efficace struttura portante, costituita da una serie di telai metallici a nodi rigidi
(posti trasversalmente al corpo di fabbrica)
dotati di grandi travature reticolari a parete
che materializzano in elevazione il primo
piano dell’edificio. Le basi dei piedritti di
questi telai, poggiate con piastre imbullonate ad attrito su tozzi pilastri in c.a. emergenti
dai plinti di fondazione, costituiscono invece la struttura di elevazione del piano terra.
L’azione del terremoto non avrebbe probabilmente danneggiato questa struttura, che
appare largamente sovradimensionata e
ridondante, se il corpo della galleria, nel
suo insieme, fosse stato in grado di deformarsi liberamente (come era, si immagina,
nelle ipotesi di progetto). Fatto è che, in
epoca successiva alla costruzione della galleria, per motivi distributivi è stato creato un
vano scala in prossimità della zona di
ingresso principale, per meglio collegarsi
alla zona ad uffici. E qui l’oscillazione della
struttura, all’arrivo del terremoto, ha trovato
un impedimento non preventivato che ne
ha provocato la rotazione in senso orario,
portando alla recisione netta dei bulloni di
appoggio per tranciamento. Il meccanismo
di rotazione è apprezzabile a vista, valutan-
do gli spostamenti relativi delle piastre di
appoggio dei telai, progressivamente maggiori via via che ci si allontana dal vano
scala ‘incriminato’. L’edificio non è crollato
per puro caso: pochi centimetri in più di
spostamento avrebbero provocato lo slittamento laterale della struttura metallica. Per
la cronaca l’edificio, che a parte la traslazione della struttura metallica ha subito solo
danni non strutturali, non sarà demolito: la
rotazione è stata metabolizzata da un intervento di riparazione (già in fase di attuazione al momento della visita) che prevede il
rinforzo, mediante ringrosso dei pilastri
tozzi (indenni), del piano terra.
Per le finalità di questo contributo possiamo anche fermarci qui. Si è detto che oltre a
migliaia di case, viadotti e strade ferrate, il
terremoto di Kobe ha fatto crollare anche il
mito di un paese all’avanguardia nella difesa dai terremoti, per antonomasia. Ma dal
Giappone abbiamo ancora molto da imparare in materia di sicurezza sismica, soprattutto per quanto riguarda le nuove costruzioni. Ciò che semmai lascia perplessi è la
scarsa attenzione che i pianificatori giapponesi ripongono nelle attività di upgrading
sismico, e cioè nello studio della vulnerabilità e nell’adeguamento dell’ambiente
costruito esistente. Se è vero, come è stato
dimostrato da questo terremoto, che le
norme tecniche giapponesi hanno progressivamente migliorato la qualità delle nuove
costruzioni, che dire della sicurezza di quelle costruite in passato, di interi quartieri
autocostruiti, di aree urbane congestionate
oltre ogni limite? L’aggiornamento dei regolamenti sulle costruzioni, si sa, non ha valore retroattivo ma crea di fatto una condizione di ‘vulnerabilità virtuale’ per tutti gli edifici costruiti precedentemente, che non soddisfano i nuovi livelli di sicurezza sismica.
Certo, lo splendido aeroporto di Osaka non
ha subito il minimo danno da questo tremendo terremoto, e così è stato per centinaia di altri edifici recenti, costruiti con tecnologie antisismiche avveniristiche. Ma cosa
succederà in Tokyo, alle migliaia di piccoli
edifici da due, tre piani stipati come sardine
in quartieri come Taito o Katsushita, quando arriverà il prossimo? Anche per un paese
moderno e avanzato come il Giappone si
pongono quindi, anche se in forme diverse,
gli annosi problemi di miglioramento e adeguamento sismico che affrontiamo quotidianamente in Italia. La prevenzione è forse il
più grave problema da risolvere per questo
contraddittorio paese, pronto ad aggredire
le sfide del nuovo millennio con proposte
spettacolari, che pure sembra non volersi
soffermare sulle lacune del suo passato
prossimo. Sarà quel misto di tenacia e fatalismo caratteriale dei Giapponesi, che lì chia-
mano “gaman”, un termine che mal si traduce in altre lingue, misto di realismo, sopportazione, ostinazione e forse anche cinismo.
Come avevano previsto vari osservatori
nell’immediato post-terremoto, la ricostruzione di questa regione sta rappresentando
una occasione unica di sviluppo economico
per un paese, fra i più ricchi del mondo, i
cui problemi di crescita risiedono principalmente nella saturazione delle capacità di
investimento interno. “Noi Giapponesi
siamo estremamente pragmatici ed educati
ad anteporre l’interesse collettivo a quello
individuale”, mi istruiva il giovane professor
Nakashima, nel suo studio a Obaku, continuando ad assemblare l’edizione inglese del
rapporto sui danni: “Un bilancio oggettivo
di questo terremoto, a conti fatti, conferma
che sono stati eliminati soprattutto i quartieri malsani e congestionati, abitati dalle persone più anziane e improduttive. Può sembrare cinico, ma tutto ciò è nella natura
delle cose umane. Non siamo abituati a
compiangerci. Abbiamo ricominciato a
lavorare subito, da capo, e riusciremo a
ricostruire, presto e meglio di prima”. E per
rendere più convincente il suo argomentare
mi ha citato i versi iniziali dello Hoyoki, il
testo classico del XIII secolo che tutti gli studenti giapponesi devono imparare a memoria: “Il fiume scorre senza sosta, e l’acqua
non è mai la stessa. E negli stagni silenziosi
le bolle d’aria ora si formano, ora svaniscono, senza fermarsi mai. Così è per l’uomo e
per le sue dimore”.
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NOTE
(1)
Si veda l’articolo da pag. 130.
Il concetto di “configurazione edilizia” ai fini sismici, secondo la definizione di Arnold e Reitherman,
comprende non solo la forma e le dimensioni dell’edificio, ma anche natura, dimensioni e articolazione
dei suoi elementi strutturali e non-strutturali.
(3) Un resoconto dettagliato sulla valutazione degli
effetti del terremoto da parte delle missioni italiane (“Il
terremoto di Kobe del 17 gennaio 1995 - Rapporto”),
redatto dai Dipartimenti per la Protezione Civile e per
i Servizi Tecnici Nazionali della Presidenza del
Consiglio dei Ministri, è stato presentato nel corso di
un seminario svoltosi a Roma nell’aprile 1995.
(4) L’affermazione, testuale, è contenuta in un rapporto
ufficiale dell’United Nations Centre for Regional
Development (UNCRD, Discussion Paper No. 95-2,
Nagoya).
(5) Per la collaborazione offertami nell’ispezione delle
zone terremotate, quando ancora la situazione di emergenza non era del tutto risolta e gran parte delle arterie
stradali risultavano chiuse da montagne di detriti o da
lavori di demolizione in corso, sono particolarmente
riconoscente all’architetto Takehide Shimizu, della
società Nikken Sikkei, che mi ha personalmente guidato lungo la costa tra Ashya e Kobe, ospitandomi cortesemente nella sua casetta in legno di due piani,
anch’essa gravemente danneggiata dal sisma.
(2)
143 COSTRUIRE IN LATERIZIO 56/97
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