Pag.223 L’uranio L’uranio è un metallo molto pesante, di colore argenteo. Non si trova allo stato libero, ma è presente in vari minerali; di questi, il più diffuso è la pechblenda. Il minerale presente nei giacimenti (fig. 42) non è utilizzabile direttamente come combustibile nucleare: esso, infatti, contiene meno dell’1% di composti di uranio. Perciò è sottoposto a una serie di operazioni dal momento della sua estrazione a quello in cui esso è utilizzato come combustibile nucleare. Tra queste operazioni vi sono: la raffinazione del minerale, che permette di ottenere una sostanza che contiene un’elevata percentuale di uranio naturale, e l’arricchimento del prodotto della raffinazione in uranio 235, uno degli isotopi dell’uranio che subisce la fissione. Al termine del processo di lavorazione, l’uranio sotto forma di pastiglie alimenta le centrali termonucleari. L’energia ricavata dall’uranio può risultare competitiva rispetto a quella ricavata dal carbone e dal petrolio, tuttavia, per i gravi rischi che comporta il suo uso, nel 1987 la popolazione nel nostro Paese si è espressa con un referendum contro l’uso delle centrali nucleari, che perciò da allora è stato interdetto in Italia. L’energia nucleare Gli atomi che costituiscono la materia sono formati da protoni e neutroni, che formano il nucleo, e dagli elettroni, che circondano il nucleo. Le forze che tengono legate le particelle del nucleo di ogni atomo sono molto intense e sono dovute all’energia nucleare. Gli elementi con il nucleo molto grande sono instabili ed emettono particelle o radiazioni: subiscono un decadimento radioattivo che, in un certo periodo di tempo, tipico di ogni elemento radioattivo, trasforma gli atomi stessi. Due sono i modi per liberare energia nucleare: la fissione e la fusione. In entrambi i processi si verifica una reazione nel nucleo dell’atomo e la materia che resta dopo la reazione possiede una massa leggermente inferiore rispetto a quella iniziale. Questa massa “scomparsa” si è trasformata in energia, parte della quale si manifesta come calore che può essere usato per generare elettricità. Se un neutrone colpisce un nucleo instabile, si ha la fissione: il nucleo si divide in due nuclei più piccoli e più stabili che, per mantenersi tali, hanno bisogno di meno neutroni e perciò ne liberano 2 o 3; questi neutroni possono poi a loro volta rompere altri nuclei avviando così una reazione a catena (fig. 1). L’energia necessaria per trattenere tutte le particelle nei nuovi nuclei è inferiore a quella richiesta in origine, ed è proprio questa differenza di energia che viene liberata. Ad altissime temperature piccoli nuclei atomici possono fondersi insieme per crearne altri più grandi (fusione nucleare): questo è quanto accade nelle stelle come il Sole. La reazione di fusione più comune è quella che dà origine a un nucleo di elio a partire da nuclei di due isotopi dell’idrogeno, il deuterio e il trizio (fig. 2). La fusione nucleare, che è attualmente in fase di sperimentazione in reattori speciali, potrebbe diventare la fonte energetica del futuro: una fonte pulita, sicura e priva di scorie radioattive. Pag.224 LA PERICOLOSITÀ DELLE RADIAZIONI Tutte le sostanze radioattive sono pericolose per gli organismi viventi, perché possono provocare tumori, mutazioni genetiche e anche la morte. Le radiazioni nucleari sono di tre tipi diversi, con diversi livelli di pericolosità: • le radiazioni alfa, le più pesanti, non sono molto penetranti neppure a livello dei tessuti organici e le sostanze che le emettono diventano pericolose se respirate o ingerite; • le radiazioni beta sono più penetranti e possono causare gravi danni; • le radiazioni gamma sono le più pericolose per l’altissima energia che trasportano; sono estremamente penetranti e causano gravissimi danni, anche a notevole distanza dalla fonte radioattiva che le emette; si possono fermare solo con schermi di piombo o di cemento molto spesso. Non sono pericolose tanto le radiazioni emesse direttamente nell’atmosfera dalle centrali nucleari (si disperdono rapidamente), quanto le tracce di elementi radioattivi che sono costantemente introdotti e si diffondono nelle bevande e nei cibi. I pesci, per esempio, che si nutrono di plancton, accumulano elementi radioattivi presenti nell’acqua contaminata, altrettanto accade al bestiame che beve acqua anche leggermente radioattiva o che si nutre della vegetazione cresciuta su terreno contaminato. A sua volta l’uomo, all’apice della catena alimentare, nutrendosi di pesce, di bestiame o di vegetali contaminati è contaminato a sua volta. Inoltre alcune sostanze tendono ad accumularsi in particolari organi: lo iodio radioattivo, per esempio, si accumula nella tiroide, il rutenio nei reni, lo zolfo nella pelle, il cobalto nel fegato; negli organi genitali si accumulano un gran numero di sostanze radioattive che possono influenzare anche le generazioni future. Esiste poi il rischio di incidenti che possono provocare la fuoriuscita dalle centrali nucleari delle pericolosissime emissioni radioattive. Il 7 ottobre 1957 negli Stati Uniti, durante la manutenzione di un reattore militare, si scatenò un incendio e una perdita di materiale radioattivo all’esterno. I controlli eseguiti sugli abitanti del luogo rilevò una contaminazione pari al 25% della dose limite annua prevista per il personale dell’impianto, cioè un quarto della dose massima assorbita in un sol colpo! A Three Mile Island, sempre negli Stati Uniti, il 28 marzo 1979, a causa di una lunga serie di errori umani, il nocciolo di un reattore di una centrale termonucleare fuse parzialmente, con conseguente contaminazione all’interno del dispositivo di contenimento, ma fortunatamente non si registrarono danni alle persone. L’incidente più grave si verificò il 26 aprile 1986 a Cernobyl (Ukraina) (fig. 1): un reattore mal progettato, usato per un esperimento, sfuggì al controllo e il nocciolo si fuse, ne seguì un colossale incendio che divampò per dieci giorni; il 10% del materiale radioattivo si riversò all’esterno. Ufficialmente si dichiarano 32 morti e 200 contaminati gravi; oltre 135 000 persone furono evacuate in un raggio di 30 km. Le ceneri radioattive trasportate dal vento caddero su tutta l’Europa. Le scorie che si producono in seguito alle reazioni nucleari sono pericolosissime perché fortemente radioattive e continuano a emettere radiazioni per un periodo di tempo molto lungo. Poiché sono praticamente indistruttibili, devono essere trattate allo scopo di permettere il decadimento della radioattività in condizioni di sicurezza; questo trattamento avviene in serbatoi speciali con doppie pareti per scongiurare il rischio di eventuali perdite delle sostanze nocive. Dopo 5 anni le scorie, in fase liquida, saranno trasformate in solidi e dopo altri 5 anni verranno trasportate in luoghi di confinamento: affondati in mare, seppelliti in trincee superficiali del terreno, seppelliti in fosse di calcestruzzo o immesse in formazioni geologiche profonde, a seconda della natura delle scorie stesse. Ma è impossibile garantire che, in futuro, non si verifichino delle perdite da tali luoghi di confinamento, per esempio a causa di terremoti o per la corrosione dei contenitori al contatto prolungato con l’acqua di mare. Pag.237 La turbina idraulica La turbina idraulica è una macchina motrice rotante che converte l’energia cinetica dell’acqua in movimento in energia meccanica. L’elemento essenziale della turbina è la girante, o rotore, che può essere costituita da un’elica oppure da una ruota con alette o pale. L’energia meccanica acquisita dalla girante è trasmessa a un albero motore che aziona una macchina, un compressore, un generatore elettrico o un’elica. I principali tipi di turbina sono: • la turbina Pelton (dal nome del suo inventore, l’ingegnere statunitense Lester A. Pelton), adatta a grandi salti e piccole portate d’acqua, quindi si utilizza per i bacini idroelettrici alpini. La girante è costituita da una grossa ruota ad asse generalmente orizzontale, al cui bordo sono fissate delle pale a forma di doppio cucchiaio con uno spigolo centrale affilato (fig. 19); questo divide il getto d’acqua, che arriva tangente alla ruota, in due parti che vanno a colpire i due cucchiai laterali, facendo girare la girante con la loro spinta; • la turbina Francis (dal nome dell’ingegnere britannico James Francis); essa permette di sfruttare salti d’acqua molto differenti, fino a più di 700 m. La girante è circondata da pale orientabili (fig. 20), che permettono di migliorare sensibilmente le possibilità di regolazione della turbina e quindi anche il suo rendimento nel caso in cui il flusso d’acqua sia ridotto; • la turbina Kaplan (dal nome dell’ingegnere austriaco Viktor Kaplan); essa funziona più o meno come l’elica di una nave: la girante, generalmente ad asse verticale, ha tre o sei ampie pale rotanti (fig. 21), messe in moto dall’acqua ad alta pressione liberata attraverso una chiusa; è adatta a cadute d’acqua molto basse (anche al disotto dei 10 m) con una grande portata; ha grande potenza e un rendimento superiore a quello delle altre turbine. Pag.239 La turbina a vapore In questa macchina il vapore ad alta pressione, prodotto scaldando l’acqua della caldaia, mette in rotazione la parte mobile, il rotore, composto da più giranti montate sullo stesso asse per sfruttare meglio l’energia del vapore (fig. 25). La turbina a vapore è impiegata per mettere in movimento un generatore elettrico (alternatore) nelle centrali termoelettriche (vedi il capitolo 4 di questa unità). La turbina più grande è in grado di generare energia sufficiente a soddisfare la richiesta di una città di un milione di abitanti. Le turbine a vapore sono impiegate anche come motori navali. Pag.252 Le grandezze elettriche I fenomeni elettrici sono legati alla presenza di cariche elettriche sia statiche, cioè ferme, sia in movimento. Due cariche statiche si comportano secondo una legge molto semplice: • cariche dello stesso segno si respingono; • cariche di segno opposto si attraggono. Puoi verificare questo comportamento delle cariche statiche gonfiando due palloncini legali alle due estremità di un filo; strofina entrambi con un panno di lana, solleva il filo al centro e lascia pendere i palloncini: vedrai che questi si allontanano (fig. 3 a). Se invece metti un foglio di carta tra i due palloncini, questi si avvicinano (fig. 3 b), poiché la carta, che non è elettricamente carica, ha lo stesso numero di cariche negative e positive: queste ultime attirano i palloncini che hanno cariche negative. La corrente elettrica è invece un fenomeno elettrodinamico (cariche in movimento). Essa può essere paragonata alla corrente di un fiume: questa è formata dallo scorrere di un gran numero di gocce d’acqua, mentre la corrente elettrica è costituita da un flusso ordinato di elettroni all’interno di un materiale in cui gli elettroni possono scorrere. Pag.253 L’intensità di corrente La rapidità con cui fluisce la carica elettrica in un filo conduttore definisce l’intensità di corrente elettrica I, che nel SI si misura in ampere (simbolo A), dal nome del fisico francese André-Marie Ampère (1775-1836) e si misura con l’amperometro (fig. 4). La tensione L’acqua scorre in un fiume o in un tubo perché esiste una differente altezza da un punto A a un punto B che provoca il passaggio di acqua dal serbatoio con il livello più alto a quello con il livello più basso (fig. 5 a). Negli impianti elettrici al posto del tubo abbiamo il cavo elettrico e al posto dell’acqua abbiamo la corrente elettrica; la differenza non è più l’altezza, ma il potenziale elettrico. Questa differenza di potenziale (d.d.p.) prende il nome di tensione elettrica. Se aumentiamo la differenza di altezza, l’acqua scorre con più velocità, allo stesso modo se aumentiamo la tensione aumenta l’intensità di corrente. La differenza di potenziale, o tensione, V si misura in volt (V), dal cognome dello scienziato italiano Alessandro Volta (1745-1827) che inventò la pila. Lo strumento per la misura della tensione è il voltmetro (fig. 5 b). Tra due corpi elettricamente carichi esiste quindi una differenza di potenziale elettrico che genera una corrente elettrica quando i due corpi vengono collegati; in conseguenza di questo passaggio, le cariche presenti sui due corpi si equilibrano e la corrente termina: la corrente generata ha perciò una durata brevissima. Ci sono però dispositivi atti a realizzare una tensione elettrica che dura nel tempo: sono i generatori di corrente, che conoscerai più avanti. La tensione può essere continua o alternata (fig. 6): quella continua ha un andamento costante ed è prodotta dalla batteria dell’auto o nelle pile; la tensione alternata, come quella delle nostre case, inverte continuamente la direzione del flusso. La resistenza elettrica La corrente elettrica che percorre un conduttore incontra sempre una resistenza, che dipende dal materiale con cui il conduttore è fatto, dalla sua lunghezza e dalla sua sezione. La resistenza dissipa energia sotto forma di calore. Se osservi una lampadina a incandescenza, noterai che il filamento, al passaggio della corrente, si surriscalda fino a diventare incandescente: la resistenza nel filamento è elevatissima e molta energia elettrica viene trasformata in energia termica per produrre luce. La resistenza si indica con R e si misura in ohm (simbolo W), dal nome del fisico tedesco George Ohm (1787-1854). Pag.255 La legge di Ohm Le tre grandezze intensità, tensione e resistenza, sono in relazionetra loro. Se in un circuito elementare (fig. 7 a) si aggiunge un’altra pila uguale alla prima (fig. 7 b), potrai osservare che la luminosità delle lampadine aumenta: questo indica che maggiore è la tensione, maggiore è l’intensità della corrente elettrica (per comprendere meglio il concetto pensa all’acqua che scorre: aumentando il dislivello l’acqua scorre più velocemente; analogamente, se si aumenta la tensione tra due punti di un conduttore, l’intensità della corrente elettrica nel circuito sarà maggiore). La tensione V e l’intensità I sono direttamente proporzionali; il fattore di proporzionalità esprime la resistenza R che il filo oppone al passaggio della corrente: tensione = intensità resistenza Questa formula esprime a legge di Ohm, che può essere scritta con i simboli delle rispettive grandezze: V = I R da cui si ricavano le due formule inverse: I = V/R R = V/I La resistenza elettrica di un conduttore dipende: • dalla lunghezza e dalla sezione del filo conduttore; la resistenza è direttamente proporzionale alla lunghezza del filo: un filo più lungo oppone maggiore resistenza al passaggio della corrente di uno più corto (fig. 8 a); la resistenza è inversamente proporzionale alla sezione del filo: un filo di diametro più piccolo oppone maggiore resistenza al passaggio della corrente di uno con diametro maggiore; • dal materiale; infatti ogni materiale oppone una diversa resistenza al passaggio della corrente (fig. 8 b). pag.260 I GENERATORI ELETTRICI I generatori di corrente elettrica possono essere chimici, come le pile, o meccanici, come le dinamo e gli alternatori. Generatori chimici Le pile sfruttano una reazione chimica per produrre corrente elettrica. Se prendi mezzo limone e vi immergi due lamine, una di zinco e l’altra di rame, e le colleghi a una lampadina, questa si accende. Tra l’acido del limone (elettrolita) e le lamine metalliche si sviluppa una reazione chimica che provoca una piccola differenza di potenziale elettrico tra lo zinco e il rame. Questo è il principio su cui si fonda la pila di Volta, il primo generatore elettrico della storia. La corrente fornita dalle pile è continua: gli elettroni si muovono sempre nello stesso verso. Le pile “a secco” (fig. 17) sono realizzate con una tecnologia più complessa della pila di Volta e possono fornire differenze di potenziale che vanno da 1,5 V a 9 V; hanno una durata prolungata, oltre che facilità di impiego. Esse sono costituite da una sottile lamina di zinco, che funge da contenitore e da polo negativo, da un bastoncino di carbone come polo positivo, da un elettrolita formato da una soluzione di sale di ammonio (al posto dell’acido solforico) e un depolarizzante che impedisce la polarizzazione (fenomeno che nella pila di Volta creava uno strato di bollicine sulla lamina di rame, provocando resistenza al passaggio della corrente). L’elettrolita è reso semisolido da un impasto di sostanze gelatinose, in modo che non esca e la pila si possa facilmente trasportare (fig. 18). Esistono anche altri tipi di pile. Quelle alcaline sono costituite da materiali più costosi e inquinanti, ma hanno una maggiore durata di quelle tradizionali; le pile a bottone contengono mercurio, un metallo molto velenoso e inquinante; tuttavia, per le loro ridottissime dimensioni, sono usate per gli orologi, le calcolatrici, gli esposimetri delle macchine fotografiche e negli apparecchi acustici. L’accumulatore (fig. 19 a), invece, non è un vero e proprio generatore di corrente, poiché esso preleva energia elettrica da un generatore e la immagazzina per restituirla quando e dove è necessario. A differenza delle comuni pile esso può essere ricaricato; viene impiegato negli automezzi per la messa in moto del motore (fig. 19 b). pag.262 Generatori meccanici di corrente I generatori meccanici trasformano l’energia meccanica in energia elettrica (fig. 21 a); il principio di funzionamento della dinamo e degli alternatori è basato sul fenomeno dell’induzione elettromagnetica. Prova a osservare come è fatto il generatore di corrente della bicicletta (fig. 21 b), impropriamente chiamato dinamo. Al suo interno c’è un magnete (calamita) libero di ruotare dentro un avvolgimento di rame: la rotazione del magnete produce un campo magnetico variabile che a sua volta genera un campo elettrico. Tale campo mette in moto gli elettroni del rame generando una corrente elettrica che fa accendere la lampadina collegata al generatore. Sullo stesso principio si fonda l’alternatore che produce corrente alternata (fig. 22). Il trasformatore serve a variare i valori di tensione e di intensità della corrente elettrica: è costituito da un nucleo di materiale ferroso su cui sono avvolti due circuiti elettrici indipendenti (fig. 23). Se il primo circuito è percorso da una corrente alternata, nel nucleo si produce un flusso magnetico che induce nel secondo circuito una corrente alternata. Il primo circuito ha un numero limitate di spire, mentre nel secondo vi è un numero maggiore, di conseguenza una corrente a bassa tensione nel primo produce nel secondo una corrente a più alta tensione. Viceversa se si manda corrente ad alto potenziale nel circuito con un numero maggiore di spire, si otterrà nel primo circuito una corrente a basso potenziale: nel primo caso il trasformatore eleva il potenziale (elevatore), nel secondo lo abbassa (riduttore). L’uso della corrente alternata e del trasformatore permette la trasmissione di energia elettrica a grandi distanze senza eccessive perdite: è sufficiente elevare la tensione all’uscita dalle centrali, portandola a 100 000 o 200 000 V, far viaggiare la corrente fino a destinazione, poi abbassare la tensione sino a 220 V e utilizzarla nelle case (vedi il capitolo 4 di questa unità). Pag.274 LE CENTRALI ELETTRICHE Premiamo l’interruttore e la stanza si illumina, inseriamo la spina nella presa della corrente e mettiamo in funzione il computer e tutti gli elettrodomestici che rendono confortevole la vita quotidiana. Dobbiamo tutto ciò all’energia elettrica, la forma di energia più comoda e pregiata, di cui oggi non si può fare a meno. Se viene a mancare l’energia elettrica, infatti, si arrestano quasi tutte le attività umane, ce ne rendiamo conto quando subiamo un improvviso black out. La corrente elettrica che utilizziamo nelle nostre case, in gran parte è prodotta in appositi impianti, le centrali elettriche, che possono essere di vari tipi (fig. 1). Il diagramma a blocchi di fig. 2 schematizza i principali elementi comuni che consentono il funzionamento di base della maggior parte delle centrali (quelle idroelettriche, termoelettriche ed eoliche) e le trasformazioni di energia che in esse si svolgono.