patto di famiglia atti di destinazione trust

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RIVISTA DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DEGLI AVVOCATI PER LA FAMIGLIA E PER I MINORI
QUADERNO
2007/2
PATTO DI FAMIGLIA
ATTI DI
DESTINAZIONE
TRUST
W W W. A I A F - A V V O C A T I . I T
QUADERNO
2007/2
PATTO DI FAMIGLIA
ATTI DI DESTINAZIONE
TRUST
Documentazione raccolta
a cura dello STUDIO LEGALE PINI, Milano
SUPPLEMENTO AL N° 3/2007
DI AIAF RIVISTA
ANNO XII
NUOVA SERIE QUADRIMESTRALE
Redazione
GALLERIA BUENOS AIRES 1,
20124 MILANO
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Direttore responsabile
MILENA PINI
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TIPOGRAFIA QUATRINI A. & FIGLI SNC
VITERBO
V. DELL’ARTIGIANATO SNC,
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SOMMARIO
_1. IL PATTO DI FAMIGLIA_
9
Dalla successione anomala per contratto al patto di famiglia.
Lisia Carota
21 Struttura e patologia del patto di famiglia.
Francesco Delfini
LEGISLAZIONE
37 Legge 14 febbraio 2006, n. 55. Modifiche al codice civile in materia di patto di famiglia.
39 Legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007), art. 78.
_2. GLI ATTI DI DESTINAZIONE_
43 Gli atti di destinazione ex art. 2645 ter c.c. e gli attuali orientamenti.
Milena Pini
LEGISLAZIONE
49 Legge 23 febbraio 2006, n. 51. Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 273, recante definizione e proroga di termini, nonché conseguenti disposizioni urgenti. Proroga di termini relativi all’esercizio di deleghe legislative.
Art. 39-novies (Termine di efficacia e trascrivibilità degli atti di destinazione per fini
meritevoli di tutela).
50 Agenzia del territorio. Circolare 7 agosto 2006, n. 5. Art. 2645-ter del codice civile - Trascrivibilità degli atti di destinazione per fini meritevoli di tutela - Modalità di attuazione
della pubblicità immobiliare.
54 Legge 24 novembre 2006, n. 286. Conversione in legge, con modificazioni, del decretolegge 3 ottobre 2006, n. 262, recante disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria. (istituzione dell’imposta sulla costituzione di vincoli di destinazione)
56 Legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007), art. 77.
57 Decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346. Testo unico delle disposizioni concernenti
l’imposta sulle successioni e donazioni, e successive modificazioni.
GIURISPRUDENZA
83 Trib. Reggio Emilia, sez. I civ., decreto 23.3.2007.
90 Trib. Reggio Emilia, sez. I civ., decreto 4.12.2006
91 Trib. Trieste, Ufficio del giudice tavolare, decreto 7.4.06
_3. IL TRUST_
97 L’applicazione del trust nell’ambito del diritto di famiglia
Milena Pini
LEGISLAZIONE
105 Convenzione adottata a L’Aja il 1° luglio 1985, relativa alla legge sui “trusts” ed al loro
riconoscimento
111 Legge 16 ottobre 1989, n. 364. Ratifica ed esecuzione della Convenzione sulla legge
applicabile ai trusts e sul loro riconoscimento, adottata a L’Aja il 1° luglio 1985
112 Regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio, del 22 dicembre 2000, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e
commerciale
3
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4
SOMMARIO
114 Agenzia delle Entrate, Direzione Centrale Normativa e Contenzioso. Circolare 6 agosto
2007, n. 48/E. Trust. Disciplina fiscale rilevante ai fini delle imposte sui redditi e delle
imposte indirette
127 Agenzia delle Entrate. Risoluzione 4 ottobre 2007, n. 278 E. Soggettività passiva del trust
all’imposta sul reddito delle società (Trust di scopo istituito a vantaggio di soggetto disabile per assicurare la necessaria assistenza).
129 Decreto Legislativo 21 novembre 2007, n. 231. “Attuazione della direttiva 2005/60/CE
concernente la prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei
proventi di attivita’ criminose e di finanziamento del terrorismo nonche’ della direttiva
2006/70/CE che ne reca misure di esecuzione “
130 Disegno di Legge n. 1234 (presentato al Senato in data 28 dicembre 2006). Istituzione del
trust di diritto italiano, in applicazione dell’articolo 6 della Convenzione adottata a L’Aja il
1º luglio 1985, ratificata ai sensi della legge 16 ottobre 1989, n. 364
GIURISPRUDENZA
a) Applicazione del trust nell’ambito della separazione e del divorzio
135
140
142
142
Trib.
Trib.
Trib.
Trib.
Milano, verbale di separazione consensuale e decreto di omologa, 7.6.06
Pordenone, verbale di separazione consensuale e decreto di omologa, 20.12.05
Milano, verbale di separazione consensuale e decreto di omologa, 23.2.2005
Milano, sentenza 20.10.02
b) Applicazione del trust a tutela della persona incapace e del minore
149
151
153
158
159
161
Trib.
Trib.
Trib.
Trib.
Trib.
Trib.
Genova, G.T., decreto 14.3.06
Modena, G.T., decreto 11.8.05
Firenze, G.T., decreto 8.4.04
Bologna, G.T., decreto 3.12.03
Perugia, G.T., decreto 16.4.02
Bologna, decreto 8.4.2000
c) Riconoscimento ed effetti del trust
162
172
181
183
192
198
202
222
224
Trib.
Trib.
Trib.
Trib.
Trib.
Trib.
Trib.
Trib.
Trib.
Trieste, Ufficio del Giudice tavolare, decreto 19.9.2007
Reggio Emilia, Ufficio Esecuzioni Immobiliari, ordinanza 14.5.07
Bologna, sentenza 20.3.06
Trieste, Ufficio del giudice tavolare, decreto 23.9.05
Firenze, sentenza 2.7.05
Trento, decreto tavolare 20.7.04
Bologna, sentenza 1.10.2003, n. 4545
Verona, decreto 8.1.03
Pisa, decreto 22.12.01
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PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
IL PATTO DI FAMIGLIA
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PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
DALLA SUCCESSIONE
ANOMALA PER CONTRATTO
AL PATTO DI FAMIGLIA
_LISIA CAROTA
_PROFESSORE ASSOCIATO DI DIRITTO PRIVATO, FACOLTÀ DI ECONOMIA, UNIVERSITÀ DEGLI STUDI G. D’ANNUNZIO, PESCARA
SOMMARIO: 1. Le ragioni del patto di famiglia. - 2. I problemi. - 3. Lo stato dell’arte prima della
novella del codice civile: la prospettiva storica come utile/necessaria chiave interpretativa del nuovo
istituto.
1. LE RAGIONI DEL PATTO DI FAMIGLIA.
L’esigenza di impedire il disgregarsi dell’impresa nel momento del passaggio
generazionale non è solo un’esigenza individuale o, più esattamente, endofamiliare, ma è intrisa di evidenti implicazioni sociali: alla preoccupazione dell’imprenditore, che non vuole vedere disperse le fortune familiari necessariamente
legate alle sue capacità ed ai suoi criteri di gestione, ed al coincidente interesse
dei suoi stessi successori ad evitare la perdita della ricchezza familiare, si sovrappone infatti un più generale bisogno di assicurare la sopravvivenza dell’impresa
e, conseguentemente, di facilitarne la successione1. Viene, in altri termini, in considerazione che “l’impresa non costituisce mai un fatto meramente individuale,
ma comporta sempre valori sociali: occupazionali, tecnologici, culturali, ecc.” 2.
La sua continuità, pertanto, rappresenta un valore da preservare per molte valide ragioni.
Il lavoro riproduce, con alcune modificazioni e l’aggiunta di note, la relazione tenuta nell’incontro
di studi su “La trasmissione dell’impresa di famiglia”, svoltosi a Pescara il 2 marzo 2007.
L’AIAF ringrazia l’Autore per l’autorizzazione alla pubblicazione del saggio nel presente
Quaderno.
1
Sottolinea che la finalità della proficua continuazione dell'attività produttiva è interesse proprio dell’imprenditore (per ragioni di ordine economico-familiare ed anche per quel fenomeno di identificazione, sotto il profilo psicologico, dell'imprenditore con la propria impresa) ed
al tempo stesso interesse generale, Ieva, Il profilo giuridico della trasmissione dell'attività imprenditoriale in funzione successoria: i limiti all'autonomia, in Riv. not., 2000, p. 1345 s.
2
Sono parole di Schlesinger, Interessi dell'impresa e interessi familiari nella vicenda successoria, in Aa. Vv., La trasmissione familiare della ricchezza. Limiti e prospettive di riforma del
sistema successorio, Padova, 1995, p. 137.
9
AIAF QUADERNO 2007/2
A questa sfaccettata esigenza il nostro ordinamento ha recentemente dato rilievo3 prevedendo un nuovo istituto, il patto di famiglia 4, ideato proprio per
corrispondere ad essa.
La nuova figura è stata infatti concepita per evitare che la pianificazione della successione da parte del titolare di un’attività economica (gestita individualmente, ovvero attraverso una struttura societaria), finalizzata alla conservazione
dell’integrità del complesso produttivo nel passaggio da una generazione all’altra, possa essere vanificata dall’operare delle comuni regole successorie; dall’operare, in particolare, del principio secondo cui le attribuzioni liberali fatte in vita
da un soggetto vengono nuovamente in considerazione alla sua morte (dovendo
essere calcolate in sede di riunione fittizia: art. 556 c.c.) e sono passibili di essere
ridotte quando risultino lesi i diritti riservati ai legittimari (art. 555 c.c.).
È ben vero che l’ordinamento consentiva già a chi lo desiderasse di accedere
al risultato di predefinire la propria successione attraverso l’utilizzazione dello
schema causale della donazione; ma il patto di famiglia attribuisce all’imprenditore l’ulteriore prerogativa di ottenere una pre-definizione stabile del proprio quadro successorio e si caratterizza proprio per questo: relativamente alle
attribuzioni effettuate per suo tramite, infatti, collazione e riduzione risultano
3
Una forte sollecitazione in questo senso proviene nel corso degli anni novanta anche
dall’Unione Europea: con la Raccomandazione del 7 dicembre 1994 (94/1069/CE) sulla
successione nelle piccole e medie imprese e con la successiva Comunicazione del 28 marzo
1998 (98/C 93/02) relativa alla trasmissione delle piccole e medie imprese, la Commissione
CE invitava infatti gli Stati membri a rendere più razionali ed efficienti le norme che regolano il c.d. passaggio generazionale delle imprese di piccole e medie dimensioni alla morte
dell’imprenditore avendo accertato che “ogni anno diverse migliaia di imprese sono obbligate a cessare la loro attività a causa di difficoltà insormontabili inerenti alla successione”
e che “tali liquidazioni hanno ripercussioni negative sul tessuto economico delle imprese
nonché sui loro creditori e lavoratori”. Così si legge nella Raccomandazione del 1994, mentre dalla Comunicazione che ne contiene la motivazione si apprende che circa il 10% delle
dichiarazioni di fallimento che si verificano all’interno della comunità europea è causato da
successioni mal gestite. Nella successiva Comunicazione del 28 marzo 1998 (98/C 93/02).,
che indica la trasmissione dell’impresa come la terza fase cruciale nel ciclo di vita dell’impresa (dopo la creazione e la crescita) e ribadisce i rischi per i posti di lavoro nel momento
in cui il fondatore si ritira e passa le consegne, veniva altresì riportata una stima quantitativa
del problema (attinta da L’osservatorio europeo delle PMI, quarta relazione annuale, 1996,
p. 183): “Studi recenti hanno dimostrato che, nel corso dei prossimi anni, oltre 5 milioni
di imprese nell’Unione europea, pari al 30% circa di tutte le imprese europee, dovranno
far fronte al problema della trasmissione. Il 30% circa di esse, cioè 1,5 milioni, spariranno
per insufficiente preparazione alla loro trasmissione, compromettendo 6,3 milioni di posti
di lavoro circa”. Per un approfondimento sull’argomento e per ulteriori dati in ordine allo
scenario attuale anche con specifico riguardo alla situazione in Italia, v. Manes, Prime considerazioni sul patto di famiglia nella gestione del passaggio generazionale della ricchezza
familiare, in Contratto e impresa, 2006, p. 539 ss. Sulle origini e sulle motivazioni dell’azione comunitaria in questo ambito v. Calò, Le piccole e medie imprese: cavallo di Troia di un
diritto comunitario sulle successioni?, in Nuova giur. civ. comm., 1997, II, p. 217 ss.
4
Il patto di famiglia è stato inserito nel codice civile (artt. 768 bis – 768 septies) ad opera della
legge 14 febbraio 2006, n. 55 (art. 2), legge che ha altresì modificato l’art. 458 c.c. prevedendo che al primo periodo di tale articolo siano premesse le parole: “Fatto salvo quanto
disposto dagli artt. 768 bis e seguenti” (art. 1).
10
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
espressamente escluse dall’art. 768-quater, comma 4°, c.c.5. Al contrario, una sistemazione attuata mediante donazione, anche nell’ipotesi – che è stata delineata come sostanzialmente coincidente 6 – di donazione in quote indivise a tutti
coloro che sarebbero legittimari ove in quel momento si aprisse la successione e
con una contestuale cessione dei diritti a titolo oneroso da parte di alcuni donatari a colui o a coloro che sono destinati a gestire l’azienda, non eliminerebbe la
possibile riconsiderazione del donatum al momento della morte del donante e la
conseguente esposizione al rischio di una ridefinizione dell’assetto successorio
con quel contratto prefissato.
Attraverso l’espediente di donare in quote indivise, si ottiene, infatti, indubbiamente il vantaggio di parificare in modo stabile, e quindi insuscettibile di variare nel tempo, il valore di ciascuna quota del donatum in rapporto alle altre,
evitando così che la donazione possa essere attaccata a distanza di tempo dal
momento della sua conclusione per effetto del divaricarsi di valori inizialmente
coincidenti; ma non si riesce a sottrarre la donazione stessa al sempre possibile
esperimento dell’azione di riduzione da parte di eventuali legittimari sopravvenuti che pretendessero di ottenere la propria quota di riserva e che – secondo le
regole comuni – godrebbero di tutela reale, non soltanto obbligatoria. Mentre,
anche sotto questo profilo, il patto di famiglia assicura stabilità, essendo previsto
che resti definitivamente fissato il valore dell’oggetto del patto al momento della
sua stipulazione e che i legittimari sopravvenuti possano solo chiedere ai beneficiari del contratto stesso il pagamento della somma prevista dal secondo comma
dell’art. 768-quater, aumentata degli interessi legali (art. 768-sexies).
Non occorre, poi, sottolineare – perché anche questo traspare già dall’avverbio “sostanzialmente” utilizzato nel prospettare la coincidenza – che nel caso in
cui si effettuasse una donazione in quote indivise a tutti coloro che sarebbero legittimari ove in quel momento si aprisse la successione con contestuale cessione
dei diritti a titolo oneroso da parte di alcuni donatari a colui o a coloro che sono
destinati a gestire l’azienda, vi sarebbe un doppio trasferimento (con i costi conseguenti) che invece il ricorso al patto di famiglia consente di evitare.
Era dunque già possibile (e naturalmente è possibile ancora) utilizzare lo
schema donativo con l’intento specifico di predefinire il proprio assetto successorio, ma con le conseguenze e quindi con i limiti che si sono evidenziati e
che trovano speculare riscontro, nell’ambito mortis causa, nella disciplina della
5
L’articolo in parola dispone: “Quanto ricevuto dai contraenti non è soggetto a collazione o
a riduzione”
6
Delinea l’ipotesi Ieva, Il trasferimento dei beni produttivi in funzione successoria: patto di
famiglia e patto di impresa. Profili generali di revisione del divieto dei patti successori, in
Riv. not., 1997, I, p. 1373, con riferimento alla originaria proposta di riforma sulla successione dei beni produttivi (che non contemplava la modifica all’art. 458 c.c.), per sottolineare
l’affermazione secondo cui “la vera portata innovativa della norma non consiste in una
deroga al divieto di patti successori, bensì in una disattivazione dei meccanismi di tutela
che l’ordinamento ha predisposto a favore dei familiari e segnatamente la riduzione e la
collazione”.
11
AIAF QUADERNO 2007/2
divisione fatta dal testatore (art. 734 c.c.) ed anche in quella della institutio ex re
certa (art. 588, comma 2°, c.c.) e delle attribuzioni a titolo particolare in sostituzione di legittima (art. 551 c.c.), ove le scelte del de cuius risultano analogamente
esposte al rischio di una ridefinizione in funzione del rispetto dei diritti dei legittimari 7. La tutela dei quali, nel complessivo disegno del codice del 1942, può
regredire a favore dell’autonomia privata solo se la limitazione assuma carattere meramente qualitativo; mai, invece, se essa pretenda di assumere carattere
quantitativo. Né in vita, attraverso donazioni, né per il tempo successivo alla
morte, attraverso disposizioni mortis causa, è infatti consentito – secondo l’originario impianto codicistico – derogare al principio di intangibilità quantitativa
della quota dei legittimari.
Sulla base del sistema conseguente all’introduzione del patto di famiglia,
è invece possibile soddisfare in via definitiva le ragioni dei legittimari attuali
dell’imprenditore prima della sua morte e, con riguardo ad eventuali suoi legittimari ulteriori sopravvenienti, predefinire stabilmente le loro ragioni, irrilevante rimanendo che una valutazione ex post rispetto al momento del compimento
dell’atto (quella che – secondo le regole comuni 8 – andrebbe svolta alla morte
dell’imprenditore) possa far emergere un valore discordante rispetto a quello
fissato nel patto ed un conseguente pregiudizio di ordine quantitativo per gli
stessi. Ogni ri-valutazione al momento di apertura della successione è infatti
esclusa per legge con riferimento all’oggetto del patto: in funzione della tutela
dell’unità produttiva, la salvaguardia esistente a favore dei legittimari, per sua
natura azionabile solo nel momento in cui si apre la successione dell’imprenditore, è, cioè, preclusa a chi abbia partecipato al patto o comunque sia dalla legge
destinato a risentirne gli effetti (legittimari sopravvenuti). Sicché non c’è dubbio
7
All’ampia libertà di cui il testatore gode dal punto di vista qualitativo nella scelta dei beni
da attribuire anche ai legittimari si contrappone, infatti, il limite quantitativo consistente nel
dover comunque rispettare l’entità della parte ad essi riservata per legge per evitare che
agiscano in riduzione: esplicitamente in tal senso dispone l’art. 735, c.c., comma 2°, che si
considera un’applicazione speciale della generale azione di riduzione disciplinata dall’art.
554 c.c. e che integra la sanzione di nullità della divisione fatta dal testatore per preterizione
sancita invece dal 1° comma dello stesso articolo (sanzione che, peraltro, autorevole dottrina - sostenuta dalla giurisprudenza della Cassazione - giudica fondata “soltanto se ed in
quanto il legittimario pretermesso reclami la sua quota di eredità riservata”. Così Mengoni,
Successioni per causa di morte, Parte speciale, Successione necessaria, in Trattato di diritto
civile e commerciale, già diretto da Cicu e Messineo e continuato da Mengoni, vol. XLIII, t.
2, Milano, 1992, p. 75; Cass., 6 ottobre 1972, n. 2780, in Giust. civ., 1973, I, p. 78 e Giur.
it., 1974, I, 1, p. 826). Espressamente preserva la possibilità di chiedere l’intera legittima, sia
pure rinunziando al legato, anche l’art. 551, comma 1° c.c. E, sebbene non disposta attraverso una specifica previsione, ma agevolmente desumibile dal sistema nel suo complesso, è la
possibilità di esercitare l’azione di riduzione anche nell’ipotesi di una definizione del quadro
successorio realizzata mediante il meccanismo della institutio ex re certa, se risultino lesi i diritti dei legittimari. Consente di rimediare ad una eventuale lesione quantitativa della legittima
(oltre che qualitativa, essendo finalizzata ad assicurarne altresì la piena proprietà, ex art. 549
c.c.) anche il congegno della cautela sociniana previsto nell’art. 550 c.c., che attribuisce al
legittimario il potere di scongiurare l’eventuale lesione esercitando la scelta di abbandonare
la nuda proprietà (comma 1°) o l’usufrutto (comma 2°) della porzione disponibile.
8
Cfr. art. 556 c.c.
12
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
che il nuovo istituto incida in modo significativo sulla tutela precedentemente
accordata ai legittimari.
2. I PROBLEMI.
Non sempre i figli sono alter ego dell’imprenditore – come autorevolmente
è stato sottolineato 9 – e tuttavia fra essi ve ne può essere uno più idoneo degli
altri a continuare l’attività da lui creata o proseguita, al quale passare le consegne
quando è ancora attivo e in grado di “saggiare” sul campo le sue capacità 10. Questi, dunque, in estrema sintesi, gli obiettivi e, ad un tempo, i motivi della legge:
evitare la crisi dell’impresa alla morte dell’imprenditore, salvaguardando l’unità
aziendale attraverso la possibilità accordata allo stesso di predisporre anticipatamente e stabilmente la successione nella guida della sua impresa.
Ma, come si sa, “… quanto più di parole talvolta si adopera in distendere una
legge, a fine appunto di bene spiegare l’intenzione di chi la forma, tanto più scura e capace di diversi sensi essa può divenire …” 11.
Naturalmente, non è ancora possibile formulare un giudizio sulla concreta capacità della figura ideata a quel fine di rappresentare lo strumento che si intendeva creare per risolvere i problemi legati al passaggio generazionale dell’impresa,
ma le diverse e contrapposte interpretazioni prospettabili (emerse, peraltro, sin
dai primi commenti alla nuova legge) ed il conseguente insorgere di incertezze su molti aspetti essenziali del patto, lasciano facilmente presagire una giustificabile diffidenza rispetto ad una forma giuridica dalla identità non ancora
adeguatamente definita, che potrà attenuarsi solo se la ricostruzione dottrinale
dell’istituto darà risposte idonee a dissipare quei dubbi.
9
Schlesinger, Interessi dell'impresa e interessi familiari nella vicenda successoria, cit., p. 135
10 Descrive efficacemente questa esigenza Rescigno, nella Presentazione al volume di Palazzo, Autonomia contrattuale e successioni anomale, Napoli, 1983, p. XV: “[…] si giustifica
che il soggetto voglia riservarsi un giudizio sulla meritevolezza delle persone, sulla finale
destinazione dei beni, sulla idoneità del mezzo prescelto, sulla congruenza e sull’utilità e
persistente attualità di strumenti e obiettivi.” Allo stesso Autore (Rescigno, Attualità e destino
del divieto di patti successori, in Aa. Vv., La trasmissione familiare della ricchezza. Limiti
e prospettive di riforma del sistema successorio, Padova, 1995, p. 14) si devono anche le
seguenti considerazioni in ordine al modo attraverso cui realizzare quell’esigenza: “Alla garanzia della libertà di testare e di revoca si connette la preclusione a creare aspettative di terzi durante la vita del testatore: mediante il contratto si crea invece una situazione di vincolo
per colui che dispone e di aspettativa tutelata nel destinatario dell’impegno. Sul piano della
valutazione politica un ragionevole contemperamento potrebbe trovarsi in una regola che,
sia pure per cause tipicamente individuate o per fatti inquadrabili in una generale nozione
di giusta causa, conceda al disponente l’eccezionale potere di recesso.” Il suggerimento, sia
pure con una formulazione che induce una serie di dubbi interpretativi, è stato recepito dalla
disciplina del patto di famiglia, che prevede il diritto di recesso come possibile modalità di
scioglimento del contratto nell’art. 768-septies.
11 C. L. Muratori, Dei difetti della giurisprudenza, 1742-1743, Cap. III, Dei difetti intrinseci
della giurisprudenza.
13
AIAF QUADERNO 2007/2
Significativamente, a questo riguardo, si è sottolineato 12 come il patto sia stato
qualificato “nuovo tipo contrattuale”, ovvero “donazione modale”, ovvero ancora “contratto a favore del terzo”; come alcuni suppongano richiesta ad substantiam la partecipazione di tutti i legittimari attuali, altri – invece – considerino
tale partecipazione non necessaria; come, pure fra coloro che condividono questa seconda soluzione, non vi sia poi accordo in ordine alle conseguenze della
mancata partecipazione al patto del legittimario attuale, parlandosi da alcuni di
inopponibilità del patto, da altri di un suo possibile annullamento discrezionale
ex art. 768-sexies, da altri ancora di inopponibilità della sola stima contenuta nel
patto, da altri, infine, di assoluta ininfluenza sull’opponibilità del patto, che sarà
comunque vincolante anche per chi non vi abbia partecipato. Come, anche relativamente alla liquidazione spettante ai non assegnatari, sia discusso se essa debba
necessariamente provenire dal patrimonio dell’assegnatario o possa, invece, provenire anche dal patrimonio del disponente; ed inoltre, se si possa immaginare
solo una rinuncia a titolo gratuito o anche a titolo corrispettivo; ed ancora, se la
rinuncia consenta di chiedere l’intera legittima in sede di apertura della successione o precluda invece ogni ulteriore diritto di legittima in quella sede.
A questo già troppo lungo elenco di problemi, possono ancora aggiungersi i
dubbi in ordine alla identificazione soggettiva del disponente (se debba avere la
qualifica attuale di “imprenditore”; se la “titolarità di partecipazioni societarie”
debba essere riferita solo alle partecipazioni sociali di maggioranza che risultino
rilevanti ai fini della gestione, o possa essere riferita anche a partecipazioni non
significative o rappresentanti un mero investimento); quelli concernenti la “singolarità” del rimedio dell’annullabilità previsto per il caso di inadempimento
degli obblighi di pagamento a favore dei legittimari sopravvenuti; quelli riguardanti gli aspetti relativi allo scioglimento ed alle modifiche del patto di famiglia
dipendenti da scelte consensuali dei soggetti interessati; quelli conseguenti alla
possibile previsione nel contratto del diritto di recedere unilateralmente; quelli,
solo in apparenza più banali, legati all’ipotesi di nuove nozze del disponente in
epoca successiva al patto, con conseguente emersione di un coniuge/legittimario – per così dire – di troppo. Ed ancora, per tornare al novero dei problemi più
complessi: il dubbio se il patto di famiglia costituisca un atto (un negozio, per
chi preferisca questa espressione) inter vivos, come ritengono i più, certi della
produzione di un effetto traslativo immediato, ovvero mortis causa – come pure
qualcuno ritiene – benché decisamente in controtendenza e, tuttavia, forte della
innegabile circostanza che è la stessa legge a prevedere il patto come deroga eccezionalmente ammessa al divieto dei patti successori istitutivi (art. 458, primo
12 Inventaria le principali opinioni sinora sostenute in ordine alla natura del patto, alla necessità
della partecipazione di tutti i legittimari attuali, alla provenienza della liquidazione prevista
per i non assegnatari dell’azienda o delle quote, agli effetti della rinuncia alla liquidazione,
Amadio, Divieto dei patti successori e attualità degli interessi tutelati, in AA.VV., Patti di
famiglia per l'impresa, Quaderno della Fondazione Italiana per il Notariato, Milano, 2006,
p. 83, nota 2, attingendole dalla letteratura di matrice notarile in tema di patto di famiglia.
14
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
periodo), che hanno natura mortis causa ed ai quali, pertanto, dovrebbe inevitabilmente poter essere assimilato quanto a species.
Fornire una risposta soddisfacente ad ognuna delle questioni prospettate è
compito particolarmente complesso e certamente esulante dalle pretese di queste brevi note, che attendono invece alla molto più circoscritta finalità di ricostruire l’ambiente, il contesto all’interno del quale è maturata l’idea del patto di
famiglia, nella certa convinzione che ripercorrere l’origine di quell’idea e le tappe
che ne hanno segnato il cammino costituisca l’unico modo possibile per accostarsi ad una interpretazione plausibile del dettato normativo, la sola possibile trama
unitaria intorno alla quale ricostruire la struttura del nuovo istituto.
Per contro è già evidente e si può sin d’ora osservare che non è stato certo un
buon esordio per un istituto la cui pretesa sarebbe stata proprio quella di consentire il superamento delle molte questioni che già minavano l’utilità del vecchio
armamentario negoziale a scongiurare effetti traumatici per l’impresa nella delicata fase del passaggio da una generazione all’altra 13.
Si può, inoltre, ipotizzare una iniziale più forte resistenza nei confronti delle tesi interpretative più dirompenti rispetto all’assetto tradizionale, ad esempio
quelle che propugnano la possibilità, sulla base della nuova normativa, di imporre la sostituzione della tutela obbligatoria a quella reale anche per i legittimari già esistenti al momento della stipulazione del patto, ovvero quelle che
maggiormente estendono gli effetti del patto dal punto di vista oggettivo.
Ma sarebbe, d’altro canto, semplicistico pensare di poter ricondurre le numerose questioni interpretative che si profilano, ed anzi, ad essere più esatti, già
compiutamente si agitano in questa materia, ad una banale contrapposizione fra
sostenitori del vecchio e fautori del nuovo 14 e schierarsi con gli uni o con gli altri;
è invece indispensabile, procedere, secondo le regole comuni, all’individuazione
del tenore precettivo di quella disciplina sulla base – da un lato – delle finalità
che l’hanno originata e – dall’altro – dei profili teorico-sistematici coinvolti 15, così
13 Sull’esigenza di superare il testamento quale forma negoziale necessitata per disporre di una
situazione patrimoniale post mortem e sui possibili strumenti convenzionali adatti a realizzare una valida alternativa ad esso, v. Palazzo, Autonomia contrattuale e successioni anomale,
Napoli, 1983, passim; Id., Negozi di trasmissione della ricchezza familiare e universalità
del diritto civile,, in (a cura di) V. Scalisi, Scienza e insegnamento del diritto civile in Italia,
Milano, 2004, p. 611 ss. Al tema è, inoltre, dedicato il volume collettaneo La trasmissione
familiare della ricchezza. Limiti e prospettive di riforma del sistema successorio, cit.
14 Contrapposizione nella quale, peraltro, sottolinea Amadio, Divieto dei patti successori e
attualità degli interessi tutelati, cit., p. 83, nota 1, appare singolare che “l’approccio ermeneutico più audace (ed estensivo)” sia “quello praticato dal ceto notarile, a dispetto della sua
naturale e tradizionale vocazione alla prudenza stipulatoria, al quale si contrappongono gli
inviti alla cautela provenienti dalla dottrina di estrazione accademica, cui viceversa quell’approccio dovrebbe risultare familiare”.
15 Sicché potrebbe prevalere la tesi di un più limitato spazio operativo del nuovo istituto rispetto a quello che la considerazione del solo argomento teleologico dell’efficienza dell’impresa
porterebbe ad attribuirgli: non si tratterà, come pure criticamente si è rilevato, di considerare
tabù “ogni rinnovamento del quiescente sistema ereditario” (Caccavale, Divieto dei patti
successori ed attualità degli interessi tutelati. Appunti per uno studio sul Patto di famiglia:
15
AIAF QUADERNO 2007/2
che la scelta ermeneutica possa risultare adeguatamente giustificata e svincolata
da ogni pre-giudizio.
3. LO STATO DELL’ARTE PRIMA DELLA NOVELLA DEL CODICE CIVILE: LA PROSPETTIVA STORICA COME UTILE/NECESSARIA CHIAVE INTERPRETATIVA DEL
NUOVO ISTITUTO.
In un’epoca in cui la ricchezza si diffonde nelle mani di molti, il rilievo della
questione dei modi attraverso i quali renderne possibile la conservazione nell’ambito della propria famiglia secondo schemi modificati rispetto a quelli prefissati
nel codice mediante la disciplina della successione testamentaria, automaticamente si amplifica e tende ad assumere un ruolo centrale nel dibattito giuridico:
si giustifica così l’attenzione scientifica degli ultimi decenni verso le questioni
concernenti la destinazione dei beni oltre la vita della persona e segnatamente il
marcato interesse per l’ambito in qualche modo a latere della successione testamentaria come forma di regolamento della vicenda ereditaria.
Basandosi sulla preliminare, essenziale distinzione tra atto attributivo a causa
di morte (ambito esclusivo del testamento per la presenza nel nostro ordinamento del divieto di patti successori: art. 458 c.c.) e attribuzione post mortem, in cui la
morte non assurge, come nel primo caso, ad elemento causale dell’attribuzione,
ma funge da semplice modalità dell’atto (che riguarda il modo di operare degli
effetti o i motivi per i quali l’atto è stato compiuto) 16, a partire dai primi anni ottanta del secolo ormai trascorso la dottrina 17 inizia ad indagare accuratamente su
quali tipi contrattuali possano essere utilizzati per realizzare una valida alternativa al testamento, in particolare ricercando gli strumenti più idonei a consentire
al disponente il beneficio di conservare un largo margine di movimento della sua
autonomia negoziale.
Due le esigenze tenute presenti nello svolgimento di tale ricerca: da un lato,
appunto, “garantire l’organizzazione, il consolidarsi e la trasmissione dell’impresa (individuale o più spesso collettiva, nella forma della società personale,
profili strutturali e funzionali della fattispecie, in AA.VV., Patti di famiglia per l'impresa,
Quaderno della Fondazione Italiana per il Notariato, cit., p. 41), ma di leggere la nuova normativa tenendo conto di tutti gli obiettivi da essa perseguiti ed in sintonia con quei principi
del sistema che non risultano da essa derogati.
16 Sulla distinzione v. Nicolò, Attribuzioni patrimoniali post mortem e mortis causa, in Vita
not., 1987, p. CIX ss. (originariamente pubblicato nella stessa rivista, 1971, p. 147 ss.);
Giampiccolo, Il contenuto atipico del testamento. Contributo ad una teoria dell'atto di ultima volontà, Milano, 1954, p. 40 ss..
17 Il riferimento è, in particolare, a Palazzo, Autonomia contrattuale e successioni anomale,
cit., passim, volume che tuttora rappresenta riferimento fondamentale nell’individuazione
degli strumenti negoziali preordinati a realizzare una valida alternativa alla successione testamentaria per essere la espressa previsione nel contratto dell’evento morte influente semplicemente sullo svolgimento effettuale di un rapporto già costituito in vita dal de cuius e non
causa dell’attribuzione patrimoniale.
16
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
ma anche mediante il trasferimento di azioni o di quote di società di capitali)”;
dall’altro, “assicurare il mantenimento e la formazione, educativa spirituale professionale, di determinate persone” 18.
L’approfondimento dovuto a quella indagine porta a definire con chiarezza
che la realizzazione delle indicate finalità dipende in ogni caso dal concorrere di
particolari condizioni 19:
• che l’attribuzione post mortem, attuata dall’autonomia contrattuale con forme
alternative al testamento si svolga in modo che il bene esca dal patrimonio del
beneficiante prima della morte;
• che al beneficiario si trasferisca definitivamente dopo la morte del disponente,
salva una possibile e parziale anticipazione degli effetti (di tipo successorio);
• che il congegno negoziale possa essere reso inoperante dal soggetto beneficiante, con una decisione da assumere prima della morte.
Merito di quella ricerca non è solo di aver identificato i criteri che un contratto avrebbe dovuto soddisfare per corrispondere all’esigenza di rappresentare
un’utile strumento alternativo al testamento per disporre della propria successione, ma anche di aver svolto una verifica rigorosa in ordine alla compatibilità di
alcune specifiche figure contrattuali rispetto alla realizzazione di quelle finalità.
Proprio l’analisi giurisprudenziale condotta in quell’ambito, che appunto testimoniava il ricorrere di situazioni rispetto alle quali la soddisfazione degli interessi in gioco, non realizzabile attraverso il sistema successorio mortis causa,
era stata affidata a strumenti contrattuali adattati a funzionare quale alternativa
al testamento, evidenziava tuttavia l’inattitudine in concreto di molti dei meccanismi escogitati ad assicurare esattamente quella soddisfazione perché incapaci
di prestarsi al funzionamento dello ius poenitendi delle parti e/o a quello di una
diretta e costante verifica della qualità della persona del beneficiario da parte del
beneficiante.
Si dimostrava, così, come fossero insufficienti a costituire un’utile alternativa
al testamento per realizzare la trasmissione familiare della ricchezza sia la stipula di una donazione modale, sia il ricorso ad una donazione si premoriar, sia il
contratto a favore del terzo da eseguirsi dopo la morte dello stipulante, sia il ricorso allo strumento della fondazione, sia l’utilizzazione delle clausole societarie
di predisposizione successoria, delineandosi in definitiva una situazione nella
quale sembrava che solo il trust potesse adeguatamente prestarsi a svolgere quel18 Così descrive quelle finalità Rescigno, nella Presentazione al volume di Palazzo, Autonomia
contrattuale e successioni anomale, cit., p. XIII.
19 “Il contratto costituito in vita deve determinare il trasferimento del bene e prevedere la morte
solo quale condizione degli effetti negoziali che possono in parte essere anticipati senza che
ciò pregiudichi la possibilità di bloccarne per una giusta causa lo svolgimento, mentre il
soggetto contrattuale, di cui la morte costituisce l’evento dedotto in condizione, deve rimanere titolare di uno jus poenitendi circa la costituzione del contratto che tuttavia può farsi
dipendere da un fatto che la giustifichi”. Così individua “i caratteri certi per la definizione
di negozio valido per un’utile alternativa al testamento” Palazzo, Autonomia contrattuale e
successioni anomale, cit., p. 57.
17
AIAF QUADERNO 2007/2
la funzione 20. Ma il noto dibattito accesosi sulla ammissibilità della figura nel
nostro ordinamento finirà per ostacolarne l’utilizzazione anche in questo ambito
e per contribuire ad indirizzare verso la scelta di una soluzione diversa: quella di
una riforma normativa.
La necessità di una legge si spiega, peraltro, per il coinvolgimento di principi
come quello di unità della successione e quello del partage égal, che, diversamente, non avrebbero potuto essere scalfiti: perché anche il preservare un’attribuzione liberale fatta in vita dal donante dalla altrimenti necessaria sua riconsiderazione alla morte dello stesso, integrando una disciplina successoria speciale in
ragione della particolare natura dei beni rispetto alle comuni regole successorie,
comporta una deroga a quei principi. Per il coinvolgimento, altresì, del generale
divieto dei patti successori, posto, come noto, a tutela della assoluta libertà testamentaria (modificabilità delle disposizioni mortis causa da parte del testatore
in ogni momento fino all’ultimo istante della sua vita: usque ad vitae supremum
exitum) e della indisponibilità dei diritti successori prima dell’apertura della successione (artt. 458 e 557, comma 2°, c.c.). E, sotto questo profilo, deve essere sottolineato che la legge non realizza – come pure avrebbe potuto fare in ragione della
particolare natura dei beni produttivi – una imperativa tutela dell’impresa nella
fase del passaggio generazionale, disponendo una successione anomala legale 21,
ma opta per lo strumento contrattuale: si limita a prevedere che siano i soggetti
potenzialmente coinvolti a scegliere, attraverso la stipulazione del contratto, il
diverso bilanciamento fra la tutela dei potenziali legittimari e la tutela della sopravvivenza dell’impresa che la disciplina del patto di famiglia predispone.
La spinta decisiva verso la soluzione di una riforma normativa verrà, però,
negli anni novanta dall’Unione Europea 22 e questo consente di spiegare perché
delle due esigenze inizialmente prese in considerazione dalla dottrina nel tentativo di enucleazione di spazi per una disposizione contrattuale c.d. post mortem
piuttosto che mortis causa, solo quella concernente il passaggio generazionale
delle imprese abbia trovato soddisfazione 23.
20 “è […] il trust a costituire, più di ogni altro, un valido ed efficace strumento di trasmissione
della ricchezza familiare e di scelta dei beneficiari, soddisfacendo in materia successoria,
quelle esigenze che il testamento lascia irrealizzate”: così Palazzo, Negozi di trasmissione
della ricchezza familiare e universalità del diritto civile, in (a cura di) V. Scalisi, Scienza
e insegnamento del diritto civile in Italia, Milano, 2004, p. 621. In argomento si vedano
anche Hayton, Parte prima: il trust come strumento di gestione dell'azienda di famiglia nel
passaggio generazionale, in Contratto e impresa, 2004, p. 247 ss., e, per una specifica valutazione comparativa fra trust e fondazione come possibili strumenti di pianificazione del
trasferimento della ricchezza familiare da una generazione all’altra, Matthews, Trust, trust di
scopo o fondazioni?, ivi, p. 275 ss.; Manes, Fondazione fiduciaria e patrimoni allo scopo,
Padova, 2005, p. 319 ss.
21 Nelle forme in cui ordinariamente essa avviene: in fase distributiva, disponendo un’assegnazione preferenziale come regola speciale della divisione; ovvero, in fase attributiva, disponendo una devoluzione preferenziale a titolo di vocazione speciale.
22 In argomento v. nota 3.
23 Mentre l’attenzione verso la prima esigenza porterà a concepire il patto di famiglia, la secon-
18
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
La elaborazione di una proposta di riforma del codice civile, destinata ad introdurre all’interno del nostro sistema un particolare regime normativo volto ad
evitare che il passaggio generazionale nella titolarità dell’impresa comporti problemi gestionali in grado di riflettersi negativamente sulla produttività dell’impresa stessa e finanche sulla sua sopravvivenza, si concretizza in tempi relativamente brevi 24; e l’esito di quel lavoro risulterà fondamentale in quanto, nonostante le numerose ed incisive modifiche subite già nell’ambito della originaria
proposta legislativa che ad esso si ispirava 25, esso sarà tuttavia sostanzialmente
recepito dall’attuale testo normativo.
Ciò che in particolare rimarrà inalterato sarà lo schema convenzionale di
base, ossia il congegno –nuova espressione dell’autonomia privata – ideato per
permettere la realizzazione dell’interesse dell’imprenditore a predisporre in vita
la trasmissione dei beni produttivi.
Come si è visto, la ricca esperienza maturata negli anni precedenti nella ricerca di forme convenzionali alternative al testamento per disporre della propria
successione aveva consentito di far emergere con precisione quali criteri un tale
contratto dovesse soddisfare per realizzare adeguatamente l’obiettivo di “garantire l’organizzazione, il consolidarsi e la trasmissione dell’impresa (individuale
o più spesso collettiva, nella forma della società personale, ma anche mediante il
trasferimento di azioni o di quote di società di capitali)” 26: si trattava, perciò, di
predisporre il nuovo congegno sulla base di quei criteri, rimediando attraverso
l’intervento legislativo alle insufficienze precedentemente riscontrate nel mezzo
contrattuale.
Ebbene, il meccanismo predisposto con la legge 14 febbraio 2006, n. 55 sembra
da esigenza, resterà, invece, riferimento costante nella richiesta di una riforma complessiva
del nostro sistema successorio. In argomento v. Liserre, Evoluzione storica e rilievo costituzionale del diritto ereditario, in Trattato di diritto privato diretto da Rescigno, V, Torino,
1997, pp. 29-30; Palazzo, Le norme sulle successioni dei legittimari: problemi e prospettive,
in Sesta, Cuffaro (a cura di), Persona, famiglia e successioni nella giurisprudenza costituzionale. Cinquanta anni della Corte Costituzionale Italiana, Napoli, 2006, p. 759 ss.
24 Il progetto di riforma – elaborato nell’arco di un anno (dal giugno 1996 al luglio 1997) dal
Gruppo di lavoro sulla successione nell’impresa di famiglia coordinato dai professori Masi e
Rescigno, nell’ambito di una ricerca promossa dal CNR sulla successione nei beni produttivi
– venne discusso in versione preliminare in una giornata di studio su “Successione nell’impresa e società a base familiare” svoltasi a Macerata il 24 marzo 1997 in collaborazione con
la Consulta delle forze giovanili del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro e con il
Consiglio Nazionale del Notariato. Per una sintetica presentazione della proposta di riforma
a cura del Gruppo di lavoro sulla successione nell’impresa di famiglia v. La successione
ereditaria, in Riv. dir. civ., 1998, p. 353 ss.
25 Disegno di legge 2 ottobre 1997, n. 2799 presentato al Senato nel corso della XIII legislatura,
d’iniziativa dei senatori Pastore ed altri, recante “Nuove norme in materia di patti successori
relativi all’impresa”.
26 Sembra qui particolarmente significativo utilizzare di nuovo le parole di Rescigno, nella
Presentazione al volume di Palazzo, Autonomia contrattuale e successioni anomale, cit., p.
XIII, per testimoniare la continuità fra quel filone di ricerca ed il successivo lavoro di elaborazione di un progetto di riforma del quale Rescigno ha condiviso il coordinamento.
19
AIAF QUADERNO 2007/2
essersi perfettamente conformato a quei criteri, poiché è in grado di realizzare:
• la produzione di effetti immediatamente traslativi;
• l’anticipazione di effetti di tipo successorio;
• la possibilità di un ritorno indietro attraverso l’inserimento della facoltà di
recesso a favore del disponente (con conseguente definitività dell’attribuzione
– in questo caso – solo al momento della sua morte).
Sarebbe, perciò, incongruo nell’interpretazione delle nuove norme, disattendere questi criteri che, come più volte si è ripetuto, rappresentano la ragione
stessa della novella.
L’aver ripercorso le vicende attraverso le quali si è giunti al patto di famiglia
non è stato, quindi, un esercizio inutile: perché, sebbene tale ricostruzione non
risolva ex professo le tante questioni dibattute ed alle quali si è fatto riferimento,
essa tuttavia consente di definire e tracciare i limiti del sentiero interpretativo
da percorrere, precludendo l’accesso a soluzioni che, pur quando astrattamente
compatibili con il dettato normativo, non siano in linea con quegli aspetti che si
sono evidenziati.
20
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
STRUTTURA E PATOLOGIA DEL
“PATTO DI FAMIGLIA”
_FRANCESCO DELFINI
_ORDINARIO DI DIRITTO PRIVATO PRESSO L’UNIVERSITÀ DI BRESCIA
SOMMARIO: 1. La novella introduttiva del capo “V bis” del Titolo IV del Libro II del codice. - 2. I
partecipanti al patto di famiglia. - 3. L’apporzionamento e la tacitazione dei legittimari in pectore. - 4.
La provenienza e l’onere economico degli apporzionamenti previsti nel patto. - 5. L’esclusione da collazione e riduzione degli apporzionamenti previsti nel patto. - 6. La persistenza dello status di legittimario in capo al partecipante al patto di famiglia. - 7. La patologia del patto: l’annullamento per vizio
del consenso. - 8. L’inedita annullabilità del patto per inadempimento di cui all’art. 768 sexies.
1. LA NOVELLA INTRODUTTIVA DEL CAPO “V BIS” DEL TITOLO IV DEL LIBRO
II DEL CODICE.
Con la tecnica della novellazione è stato introdotto in fine del Titolo IV del
Libro II del codice, dedicato alla divisione, un nuovo capo “V bis” intitolato “Del
patto di famiglia”.
Esso riecheggia, sotto il profilo storico, la divisione d’ascendente di ottocentesca
memoria, così giustificandosi forse la collocazione sistematica dell’intervento sul
codice (ma non già la numerazione che avrebbe potuto proseguire con un capo VI,
trattandosi di capo conclusivo): numerosi tuttavia sono i tratti distintivi tra le due
figure, che sembrano consentire esclusivamente un parallelo descrittivo1.
L’art. 768 bis, dettando la nozione del patto di famiglia, chiarisce anzitutto che
si tratta di un contratto, formale (art. 768 ter), plurilaterale (art. 768 quater), ad
efficacia reale (si usa il verbo “trasferire” ed al presente). Si tratta poi di contratto
per il quale il disponente deve necessariamente rivestire la qualità di imprenditore e che ha un oggetto tipico: l’azienda, o rami della medesima (“in tutto o in
parte”, dice la norma).
Dalla necessaria qualità di imprenditore, presupposta dall’art. 768 bis, mi pare
Saggio destinato agli Scritti in onore del Prof. Giorgio Cian.
L’AIAF ringrazia l’Autore per l’autorizzazione alla pubblicazione del saggio nel presente Quaderno.
1
Tra cui la necessaria presenza e partecipazione al patto di famiglia del coniuge, non prevista
per la divisione d'ascendente per atto tra vivi che, per il richiamo che l'art. 1045 del codice
civile 1865 faceva alla disciplina delle donazioni, richiedeva la partecipazione di tutti i figli
e discendenti, ma non del coniuge.
21
AIAF QUADERNO 2007/2
possa affermarsi che il patto di famiglia potrà avere ad oggetto partecipazioni sociali2 che siano rappresentative del pacchetto di riferimento o di controllo, perché
solo in tal caso si potrebbe ritenere che mediatamente si sia disposto dell’azienda, oggetto che consente di applicare la nuova disciplina, che deroga al principio
di intangibilità anche qualitativa della legittima, compendiato nell’art. 549 cod.
civ.: ciò che porrà il problema del carattere eventualmente elusivo della vestizione societaria di beni immobili (non produttivi e non avvinti in azienda) al fine di
assegnare con patto di famiglia le partecipazioni sociali ad essi corrispondenti.
La nuova disciplina introdotta nel codice, pur con apprezzabile intento economico, non pare connotata da raffinato tecnicismo, e impone all’interprete la
soluzione di numerosi dubbi: tratterò qui in particolare di taluni aspetti, da un
lato di struttura e dall’altro di patologia del nuovo schema contrattuale.
2. I PARTECIPANTI AL PATTO DI FAMIGLIA.
Iniziando dal tema della struttura del patto di famiglia, aspetto centrale e problematico è quello dell’ambito soggettivo del contratto.
Il primo comma dell’art. 768 quater in commento prevede infatti la necessaria
partecipazione al contratto del coniuge e di coloro che sarebbero legittimari in
caso di apertura immediata della successione. Esso dunque appare in potenziale
contrasto con il primo comma del successivo art. 768/sexies che - col prevedere
una disciplina3 per l’ipotesi in cui il coniuge o altri legittimari non abbiano partecipato al contratto - potrebbe interpretarsi nel senso che la partecipazione di
tutti i potenziali legittimari alla data del contratto non sia requisito strutturale
dell’atto.
Codesta apparente antinomia può essere ricomposta distinguendo le due fattispecie considerate dall’art. 768 quater, da un lato, e dall’art. 768 sexies, dall’altro:
interpretando il riferimento, contenuto in quest’ultima norma, ai legittimari che
non abbiano partecipato al contratto, come riferito al coniuge ed ai legittimari
che non abbiano potuto partecipare al patto, perché non esistenti o non investiti
in allora di quella qualifica.
In altre parole, ritengo che la fattispecie disciplinata dall’art. 768 quinquies debba
essere identificata con quella della “sopravvenienza” di coniuge o di altri legittimari.
La partecipazione al patto di tutti i legittimari e coniuge esistenti (e noti)
al momento della stipulazione deve dunque ritenersi requisito strutturale del
patto di famiglia.
Le conseguenze della mancata partecipazione non saranno tuttavia necessariamente nel senso della nullità del contratto ex art. 1418 cod. civ., ma devono
2
In senso lato, malgrado la norma parli di proprie quote, così escludendo alla lettera le azioni:
ma in senso contrario l'art. 768 quater parla di "partecipazioni societarie" e non più di quote.
3
Incentrata su un obbligo di indennizzo successivo e presidiata dal rinvio all’art. 768 quinquies.
22
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
apprezzarsi piuttosto nel senso della impossibilità di invocare la disciplina speciale prevista nel nuovo capo V bis. E così eventuali rinunzie alla quota di legittima, non potendosi ritenere consentite ex art. 768 quater, 2° co., resteranno
nulle per violazione degli artt. 458 e 557, 2° co. Ed ancora, il patto di famiglia
senza la partecipazione di tutti i legittimari potrà riqualificarsi come donazione
(eventualmente con dispensa da collazione nei limiti della disponibile); l’obbligo
dell’assegnatario di azienda di liquidazione di altri legittimari sarà qualificabile
come modo o onere di una donazione soggetta alle normali regole successorie; la
valutazione dell’azienda4 non sarà cristallizzabile al momento del patto, ma sarà
soggetta alle regole ordinarie in tema di collazione.
Naturalmente quanto appena esposto non esclude la possibilità di concludere
un patto di famiglia inter absentes: le disposizioni in esame non prendono infatti
espressamente posizione sulla possibilità che il patto di famiglia venga concluso
anche mediante la sequenza proposta – accettazioni, prevista in parte generale
dall’art. 1326 cod. civ. Ed al quesito sulla possibilità di stipulare in tal modo il
patto mi pare si possa dare risposta affermativa, sul rilievo che la nuova disciplina non postula la necessaria contestualità delle dichiarazioni di volontà e la
compresenza dei partecipanti necessari al patto5.
Infine, secondo quanto espressamente indicato nella proposta di legge presentata l’8 aprile 2003, “possono partecipare inoltre al contratto coloro che potrebbero divenire i legittimari a seguito di modificazioni dello stato familiare
dell’imprenditore (ad esempio, gli ascendenti in caso di scomparsa o rinunzia
all’eredità da parte di tutti discendenti, ovvero i discendenti di secondo grado in
caso di premorienza o incapacità a succedere o rinunzia dei figli), con il risultato
di rendere il contratto opponibile anche a costoro e di escludere il diritto di cui
al sesto comma” (ndr. rinunziando al diritto all’indennizzo previsto nel testo
definitivo all’art. 768 sexies).
3. L’APPORZIONAMENTO E LA TACITAZIONE DEI LEGITTIMARI IN PECTORE.
Altro aspetto delicato, che l’interprete è chiamato ad affrontare, è quello della
natura definitiva o non degli apporzionamento previsti nel contratto per i legittimari in pectore.
Una prima lettura del secondo comma dell’art. 768 quater - laddove preve-
4
Il riferimento, fatto per sinteticità, alla assegnazione di azienda è esteso anche all’assegnazione di partecipazioni sociali (che siano tuttavia rappresentative del pacchetto di riferimento o di controllo, perché solo in tal caso si potrebbe ritenere che mediatamente si sia disposto
dell'azienda, oggetto che consente di applicare la nuova disciplina, che deroga al principio
di intangibilità anche qualitativa della legittima, compendiato nell'art. 549 cod. civ.).
5
Nel caso di stipulazione progressiva del patto di famiglia, esso non sarà perfetto e dunque
efficace fino all'accettazione formulata da parte di tutti i soggetti indicati nel primo comma
dell'art. 768 quater in commento.
23
AIAF QUADERNO 2007/2
de che i beneficiari del trasferimento di azienda (diretto o per il tramite di una
partecipazione sociale di riferimento) compensino gli altri potenziali legittimari, che non vi abbiano rinunziato, con una somma6 “corrispondente al valore delle
quote previste dagli artt. 536 e seguenti” – porterebbe a qualificare le attribuzioni
di denaro o beni ricevuti dagli “altri partecipanti al contratto” come tacitazione in
via provvisoria delle rispettive quote di legittima. In questo senso deporrebbe
il richiamo fatto agli “articoli 536 e seguenti” – e dunque, alla lettera, alle norme
dell’intero capo relativo ai legittimari (tra cui l’art. 556 cod. civ.) – e il richiamo al
“valore” di tali quote: il che, in assenza di una norma nella novella che deroghi al
criterio, previsto nell’art. 556 cit., di computo della quota di riserva quale quota
mobile, renderebbe impossibile calcolare in via definitiva, ora per allora, il valore
monetario delle quote di legittima medesima.
Codesta ricostruzione della norma ridimensionerebbe assai l’utilità pratica
del nuovo istituto, che si limiterebbe – ma non sarebbe comunque cosa di poco
conto - alla possibilità di congelare, alla data del patto, il valore7 dei cespiti distribuiti ai discendenti con il patto medesimo, sottraendoli8 alle regole di valorizzazione alla data dell’apertura della successione, disposte dalle norme in tema di
collazione (segnatamente gli artt. 747 – 750, richiamati dall’art. 556 per il computo della legittima).
Se così dovesse essere intesa la norma è facile prevedere che la clausola di
rinunzia quantomeno parziale alla quota di legittima da parte degli “altri partecipanti al contratto” diverrebbe la regola nella stipulazione dei futuri patti di famiglia, perché solo con codesto espediente negoziale sarebbe possibile ottenere una
stabilizzazione dell’assetto patrimoniale recato dal patto.
Si tratterebbe tuttavia di una ricostruzione dell’istituto destinata a non renderlo particolarmente innovativo ed ampliativo dell’autonomia privata, contro le
stesse ragioni di politica legislativa che ne hanno suggerito l’introduzione. Infatti, qualora non si assegnasse funzione sistematoria definitiva al patto di famiglia
esso sovente si rivelerebbe non preferibile, quantomeno da parte del discendente
assegnatario, rispetto ad una attribuzione dell’azienda veicolata da una normale
donazione con dispensa da collazione.
Anzi, dal punto di vista del discendente, ricevere per donazione l’azienda e
doverla poi, alla morte dell’ascendente, conferire in collazione, potrebbe rivelarsi
6
Ovvero in natura.
7
La norma parla di "valore attribuito in contratto": la determinazione del valore dell'azienda
potrà avvenire recependo la valutazione effettuata previamente da un terzo ovvero potrà
prevedersi una clausola di arbitraggio che, ex art. 1349 cod. civ., demandi ad un terzo la
determinazione di tale elemento. Potrebbe allora porsi il quesito della ricomprensione nel
tentativo obbligatorio di conciliazione di cui all'articolo 768 octies, delle eventuali controversie in ordine alla determinazione di valore rimessa all’arbitratore: ritengo che la specialità
del procedimento di impugnazione previsto nell’art. 1349 cod. civ. prevalga tuttavia sull’art.
768 octies cit.
8
Così riduttivamente si intenderebbe la esclusione dal collazione e riduzione prevista nell’ultimo comma dell’art. 768 quater.
24
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
preferibile rispetto a divenirne assegnatario con patto di famiglia: in primo luogo
perché con il patto di famiglia il discendente dovrebbe farsi immediatamente
carico di compensare gli altri legittimari; in secondo luogo perché non è necessariamente preferibile una cristallizzazione del valore dell’azienda al momento
dell’assegnazione, come previsto da disciplina del patto di famiglia, rispetto ad
una valutazione dell’azienda medesima al momento dell’apertura della successione, come previsto dalle regole generali in tema di collazione. La valutazione
immediata dell’azienda, infatti, fa carico al discendente assegnatario del rischio
delle future fortune dell’impresa, mentre la valutazione alla morte del dante causa, conseguente all’adozione dello schema della ordinaria donazione, potrebbe
consentire al discendente donatario di non sopportare il rischio di una propria
cattiva gestione del bene ovvero di una mutata situazione del mercato: potrebbe così godere immediatamente dell’azienda donata, ma rinviare al momento
della morte del donante la valutazione dell’azienda medesima, speculando sulle
eventuali (o procurate) diminuzioni di valore ed essendo tenuto solo allora ad
un computo collatizio di quanto ricevuto (nemmeno dovuto, se avrà cura di rinunziare all’eredità, ma salva l’azione di riduzione).
Se a ciò si dovesse dunque aggiungere la provvisorietà della liquidazione degli altri partecipanti al patto di famiglia, il nuovo istituto sarebbe probabilmente
destinato ad avere una scarsa capacità attrattiva.
È possibile tuttavia un’alternativa interpretazione della nuova norma, con una
lettura che ritengo preferibile perché volta ad assecondare maggiormente le finalità di politica legislativa esplicitate dai lavori preparatori e implicitamente anche dallo stesso intervento europeo da cui in parte ha preso le mosse la novella.
Si tratta cioè di leggere il richiamo - presente nel secondo comma dell’art.
768 quater qui in commento - “agli articoli 536 e seguenti” - come svincolato dalla
ricostruzione del valore della quota di legittima come “quota mobile” (effetto
del computo indicato dall’art. 556 cod. civ.), ma come riferito esclusivamente alle
frazioni aritmetiche previste non già dagli “articoli 536 e seguenti”, ma dai soli
artt. 537 e 542 (gli unici che dettano porzioni frazionarie relative a discendenti e
coniuge).
In altre parole, l’azienda, con valore stimato consensualmente alla data del
patto, verrebbe attribuita ad uno o più discendenti assegnatari, mentre agli altri
legittimari (ulteriori discendenti e coniuge) spetterebbe la quota frazionaria (1/2,
1/3, 1/4 e così via) indicata o nell’art. 537 o nell’art. 542 del valore dell’azienda medesima. Il riferimento contenuto nella norma non sarebbe dunque alla legittima
in senso tecnico e il richiamo degli “artt. 536 ss.” costituirebbe semplice relatio
alle frazioni numeriche ivi indicate dai predetti artt. 537 e 542.
La ricostruzione della nuova disciplina che mi pare preferibile è dunque nel
senso che l’azienda (o le quote di partecipazioni societarie rappresentative di essa9) oggetto del patto di famiglia non entri nella futura successione mortis causa,
9
Poiché il dato che giustifica la speciale disciplina introdotta con la novella, che in parte
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ma sia considerata come una sorta di patrimonio separato attribuito, in modo
perequato, ai discendenti esistenti alla data del patto, al di fuori e prescindendo
(nei limiti anzidetti) dalle regole ordinarie in tema di successioni.
Nel senso della definitività della tacitazione dei partecipanti al patto, in ordine all’azienda che ne è oggetto, militano poi ulteriori argomenti.
La tesi della provvisorietà della tacitazione risultante dal patto – e dunque della ricomprensione nella riunione fittizia di cui all’art. 556 cod. civ. anche dell’oggetto del patto di famiglia - avrebbe dalla sua essenzialmente l’inciso, contenuto
nel terzo comma dell’articolo 768 quater, secondo cui i beni assegnati con il patto
“sono imputati” alle quote di legittima. Ma si tratterebbe, a mio parere, di lettura
equivoca del termine.
Anzitutto, perché pare verosimile che l’impiego di tale termine sia stato fatto
dal legislatore piuttosto con finalità descrittive che tecniche e dunque tale locuzione può intendersi nel senso che le assegnazioni di beni compongono ora per
allora le quote di legittima che spetterebbero ai legittimari sull’azienda oggetto
del patto, in parziale deroga al principio generale per cui la quota di legittima
deve comporre porzioni omogenee di ciascuno dei cespiti facenti parte del patrimonio del de cuius.
In secondo luogo, perché a conferma della definitività della tacitazione di legittima potrebbe invocarsi l’ultimo comma dell’articolo 564 cod. civ., che esenta
da imputazione in senso tecnico ciò che per legge10 è esente da collazione: e proprio l’ultimo comma dell’articolo 768 quater chiarisce, appunto, che quanto ricevuto dei contraenti non è soggetto a collazione.
In terzo luogo, perché anche a ritenere che il termine “imputazione” sia utilizzato dal legislatore con consapevolezza ed esatta proprietà di linguaggio, il suo
impiego può agevolmente giustificarsi con la circostanza che ivi si fa riferimento
a beni che, secondo l’ipotesi base di patto di famiglia, sono assegnati, in tacitazione, da parte dell’assegnatario d’azienda: con tale inciso il legislatore avrebbe
potuto pertanto semplicemente chiarire che tali assegnazioni, da chiunque provenienti e dunque ancorché provenienti dal discendente beneficiario dell’azienda, sono
sacrifica la ordinaria tutela della posizione nei legittimari, è dato dall'interesse meta individuale alla conservazione dell'impresa in senso oggettivo e dunque dell'azienda, ritengo che la latitudine del possibile oggetto del patto, quanto alle partecipazioni societarie,
vada così intesa: non tanto rileva la qualifica formale e soggettiva di imprenditore in capo
all'ascendente, che potrebbe avere la disponibilità di un'azienda senza rivestire la qualità
di imprenditore (avendola ad esempio ricevuta a propria volta per successione ed avendola
data in affitto a terzi), quanto la rappresentatività delle quote, quali beni di secondo grado,
di un'azienda come estrinsecazione dell’impresa in senso oggettivo. Se si conviene con ciò,
si deve ritenere che sicuramente rientrino nell'oggetto del patto i pacchetti di maggioranza o
di controllo di società di capitali, ma altresì che vi possano rientrare quote o partecipazioni
societarie che attribuiscano significativi diritti corporativi e gestori e non esclusivamente
diritti patrimoniali.
10 Ancorché ivi il richiamo sia al capo del codice dedicato originariamente alla collazione, ma
il rinvio mi pare debba essere esteso anche alle nuove norme che incidono sulla collazione,
tra cui il comma 4 dell’art. 768 quater in esame.
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PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
effettuate a comporre una quota di legittima che può qualificarsi tale solo nei
confronti del rapporto successorio con l’ascendente dante causa.
Da ultimo, ribadisco che qualora si dovesse accedere, come non ritengo corretto, alla tesi della provvisorietà della tacitazione risultante dal patto di famiglia, quest’ultimo sarebbe destinato a sicuro insuccesso. Si è detto sopra, infatti,
che già con le regole ordinarie successorie il discendente avrebbe la possibilità
di vedersi attribuita l’azienda con donazione e dispensa da collazione, senza alcun onere di tacitazione degli altri legittimari e con un’alea, riferita al momento
di computo del valore dell’azienda medesima, che probabilmente, nella maggior parte dei casi, sarebbe preferibile rispetto alla determinazione del valore
dell’azienda al momento del patto. Se dunque si vuole dare autonomo spazio al
nuovo istituto, l’onerosità del medesimo a carico dell’assegnatario di azienda (ed
il rischio sulle fortune imprenditoriali di cui si fa carico) devono essere contro
bilanciati dalla certezza e definitività dell’assetto distributivo dato dal patto e
dunque dalla inapplicabilità, quanto all’azienda medesima, dell’art. 556 cod. civ.
Naturalmente, anche così ricostruito, il patto di famiglia non potrà consentire
la successione generazionale nell’azienda in tutti i casi. Soprattutto qualora non
sia possibile ottenere la partecipazione al patto di tutti i legittimari - partecipazione che deve ritenersi esenziale, secondo quanto si è esposto sopra ed in specie
per l’insuperabile utilizzo della locuzione “devono partecipare” con cui si apre
l’articolo 768 quater in commento - potrà pensarsi ad altri alternativi strumenti,
tra cui quello del c.d. family buy out, laddove il candidato futuro capitano di impresa potrà dar vita ad una newco (eventualmente unipersonale) che acquisti a titolo oneroso l’azienda medesima, ottenendo provvista con l’indebitamento della
newco garantito dal cash flow aziendale: acquisto a titolo oneroso che assicurerà la
massima stabilità possibile alla successione nell’azienda medesima.
La lettera del secondo comma qui in esame prevede inoltre che sia il discendente assegnatario a liquidare gli altri partecipanti al contratto con denaro, ovvero in natura.
Appare immediatamente evidente il problema del reperimento della provvista, da parte del discendente assegnatario: trattandosi di assegnazione di bene
produttivo, i mezzi per la liquidazione dei non assegnatari possono in larga misura giungere dai proventi imprenditoriali connessi all’azienda, in modo economicamente analogo al fenomeno del cosiddetto levereged by out. Anzi, interpretando estensivamente la previsione contenuta nell’ultima parte del terzo comma,
che consente un’assegnazione di beni anche con successivo contratto collegato
al patto di famiglia, potrebbe ritenersi possibile che il discendente assegnatario,
concluso il patto di famiglia e concordato il valore dell’azienda assegnata e dunque dell’indennizzo da pagarsi agli altri legittimari, ottenga da un terzo a mutuo
le somme necessarie per liquidare i legittimari con successivo atto di adempimento dell’obbligo contenuto nel patto di famiglia medesimo.
Secondo quanto previsto nell’ultima parte del secondo comma, la liquidazione può poi avvenire, in tutto o in parte, in natura, se vi è accordo tra i contraenti.
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Si pone il problema della necessità che il consenso alla liquidazione in natura sia
reso da tutti i contraenti ovvero esclusivamente dai due diretti interessati, vale a
dire l’assegnatario e il legittimario da tacitare in natura. Ritengo possibile che tale
accordo sia limitato a codesti due soggetti: anzitutto perché non pare ipotizzabile
un interesse contrario e meritevole di tutela da parte degli altri soggetti, considerato che nell’ipotesi qui in esame la tacitazione avverrebbe con beni del discendente assegnatario (o comunque non dell’ascendente disponente); inoltre perché
la tesi contraria non precluderebbe che, stabilita una liquidazione in denaro, il
discendente assegnatario e il legittimario interessato ad una attribuzione in natura si accordino per una datio in solutum, come consentito dall’art. 1197 cod. civ.
4. LA PROVENIENZA E L’ONERE ECONOMICO DEGLI APPORZIONAMENTI
PREVISTI NEL PATTO.
La fattispecie base del patto di famiglia è dunque quella dell’assegnazione, da
parte dell’ascendente, dell’azienda al discendente, il quale a proprio carico deve
liquidare le quote di legittima degli altri legittimari: in termini economici, per
una parte l’azienda perviene al discendente a titolo gratuito (si tratta della porzione relativa alla sua quota di legittima ed a quella disponibile), per la restante
parte a titolo oneroso, pari all’indennizzo pagato dal discendente medesimo agli
altri legittimari.
Tuttavia codesta fattispecie base, descritta dal secondo comma della norma,
non pare escludere l’ammissibilità di sistemazioni del patrimonio familiare in
vita con carattere più ampio, che permettano, nell’ambito delle medesime, una
perequazione dei diritti dei legittimari e del coniuge non necessariamente per il
tramite del discendente assegnatario11.
Le motivazioni che possono indurre ad estendere il novero dei beni ricompre11 Talvolta la stessa situazione patrimoniale dell'ascendente imprenditore potrà consentire un
apporzionamento di tutti i legittimari in pectore da parte dell'ascendente medesimo pur seguendo la lettera dell'articolo 768 bis. Si pensi al caso in cui l'ascendente, con due figli di
cui uno solo abbia vocazioni imprenditoriali, sia titolare di un'azienda composta anche da
una parte di immobili in proprietà. Il padre potrebbe allora scorporare e segregare la parte
immobiliare dell'azienda, conferendola in una newco quale ha ramo di azienda immobiliare destinato a produrre reddito locatizio con opportuni contratti di locazione o affitto (i cui
canoni potranno anche essere strumento per perequare eventuali discordanze di valori nei
due rami di azienda) stipulati a favore di altra società in capo alla quale resterebbe il ramo
di azienda relativo alla produzione industriale. In questo caso il comune ascendente sarebbe
titolare di partecipazioni societarie sia nella società produttiva, sia nella newco immobiliare: entrambe le partecipazioni societarie rappresenterebbero la titolarità di rami di azienda
(produttiva la prima, immobiliare la seconda) e potrebbero, nel pieno rispetto dell'art. 768
bis cit., costituire oggetto di patto di famiglia con la attribuzione rispettivamente al figlio
con vocazioni imprenditoriali ed a quello che ne sia privo. Inoltre, se si ipotizza la avvenuta
premorienza del coniuge ovvero la rinunzia di questi alla propria porzione, come consentito
dall'articolo 768 quater secondo comma, sarebbe possibile, facendo piana applicazione della fattispecie base di patto di famiglia, soddisfare entrambi i figli senza far gravare su alcuno
di essi la tacitazione dell'altro.
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PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
si nel patto di famiglia possono essere le più varie: dalla difficoltà per l’assegnatario di azienda di ottenere la provvista per la liquidazione degli altri legittimari,
alla volontà dell’ascendente di assecondare non solo la vocazione di impresa di
uno dei discendenti, ma magari altresì le vocazioni non imprenditoriali degli
altri legittimari, al condizionamento da parte del coniuge del proprio consenso
al patto di famiglia ad una attribuzione in natura di altri beni dell’ascendente
disponente.
Si può dunque pensare alle ipotesi in cui l’ascendente intenda da un lato assegnare l’azienda ad uno dei propri discendenti e, dall’altro, disporre in modo perequato, e sempre in via definitiva, a favore degli altri discendenti (e del coniuge)
di altri beni propri diversi dall’azienda.
Codesta possibilità mi pare trovi fondamento implicito nel terzo e quarto
comma dell’articolo 768 quater.
Il terzo comma parla infatti di assegnazione di beni agli altri partecipanti
non assegnatari dell’azienda, prevedendo che anche per essi il principio della
stima del valore concordata al momento della stipulazione del patto. La norma
può disciplinare il caso in cui l’assegnazione di beni venga fatta da parte del
discendente assegnatario di azienda; ma non disciplina esclusivamente tale ipotesi. Vi rientra infatti anche quella, qui ipotizzata, che sia lo stesso ascendente
ad assegnare tali beni non costituenti l’azienda agli altri legittimari: infatti solo
rispetto a codesta ipotesi assume significato pregnante quanto previsto nell’ultimo comma dell’articolo. Col disporre che quanto ricevuto dei contraenti non è
soggetto a collazione o riduzione si vuole proprio considerare l’ipotesi in cui vi
siano state a favore di tutti i contraenti assegnazioni di beni da parte del medesimo ascendente disponente: non avrebbe infatti senso parlare di una soggezione
a collazione o a riduzione rispetto ad assegnazioni di beni fatte dal discendente assegnatario di azienda (della cui successione evidentemente non si tratta).
Inoltre si consideri che il secondo comma, che nella prima parte impone all’assegnatario d’azienda di liquidare gli altri partecipanti al contratto, mostra una
netta cesura nell’ultimo periodo, separato dal precedente testo da un punto e
virgola, ove non si parla più di assegnatario di azienda bensì più genericamente
di “contraenti”, quanto alla possibilità di una liquidazione in natura dei non assegnatari di azienda.
Siamo dunque di fronte ad una variante, lasciata l’autonomia privata, dello
schema base di patto di famiglia descritto dal secondo comma dell’articolo 768
quater.
L’ascendente, assecondando magari le differenti vocazioni dei figli o nipoti,
potrà con il medesimo patto assegnare a uno o più di essi l’azienda ed agli altri
(ed al coniuge, salvo che presti rinunzia come consentito dal secondo comma)
ulteriori propri beni diversi dall’azienda. Tutti i beni oggetto del patto di famiglia
dovranno essere valutati consensualmente e tutti insieme costituiranno quel patrimonio separato, sottratto alla futura successione, del quale calcolare le frazioni
aritmetiche previste nell’art. 537 o nell’art. 542, in modo che ciascuno dei parte-
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AIAF QUADERNO 2007/2
cipanti ottenga, con la assegnazione dei beni a sé destinati, la frazione aritmetica
ivi prevista.
Malgrado l’argomento dei lavori preparatori non sia mai decisivo, segnalo
infine che la possibilità da ultimo qui rappresentata, di assegnazioni diverse
dall’azienda da parte del medesimo ascendente, è stata espressamente considerata proprio dal relatore della proposta di legge, on. Buemi: nella seduta in
commissione del 23 settembre 2003 si precisava che con le norme proposte era
disciplinata “l’ipotesi che l’imprenditore, mediante il patto di famiglia o con successivo
contratto ad esso collegato, assegni beni agli altri figli non assegnatari dell’azienda;
in tal caso il valore di detti beni dovrà essere imputato alle loro quote di legittima”; il
medesimo rilievo era poi ribadito nella seduta del 21 luglio 2005.
La tesi, qui prospettata, della possibilità di assegnazioni in natura diverse
dall’azienda da parte dell’ascendente ai partecipanti al patto non assegnatari
dell’azienda medesima consente di attribuire un più pregnante significato alla
previsione, di cui al terzo comma della piccolo 768 quater, di contratti collegati
attuativi dell’originario patto di famiglia. Sarà dunque possibile riferire la previsione non solo all’ipotesi in cui l’assegnatario di azienda abbia necessità di reperire presso terzi la provvista per l’adempimento dell’obbligo di indennizzo
monetario su di sé gravante nello schema base di patto di famiglia12, ma altresì
all’ipotesi in cui l’ascendente effettui per contratto successive attribuzioni reali
di beni ai discendenti (o al coniuge) non assegnatari di azienda, in collegamento
con l’originario patto di famiglia.
In tale ipotesi il collegamento negoziale non assolverebbe esclusivamente
alla tradizionale funzione di comunicazione al contratto collegato dei vizi e
delle vicende relative al contratto principale, ma altresì alla più importante
funzione di consentire il cumulo del valore dei beni oggetto del contratto collegato e dell’azienda oggetto del patto di famiglia, perché sui medesimi vengano computati i valori delle quote frazionarie di cui agli articoli 536 ss. (con
le precisazioni di cui sopra). In difetto della previsione legislativa di codesto
valore del collegamento negoziale, il successivo contratto attributivo di beni
diversi dall’azienda andrebbe qualificato come semplice donazione, soggetta a
collazione (salvo eventuale dispensa valevole nei limiti della disponibile) con
valutazione del bene al momento dell’apertura della successione e soprattutto
soggetta alla aleatorietà della possibile lesione di legittima, dovendosi applicare il principio della quota mobile emergente dall’articolo 556 cod. civ.: ciò
che naturalmente vanificherebbe l’effetto di stabile pianificazione patrimoniale
ricercata dal disponente.
Due ulteriori argomenti depongono nel senso della piena ammissibilità di una
12 In realtà in tale ipotesi il contratto collegato sarebbe piuttosto un atto di adempimento di un
precedente debito, anche se non è possibile escludere per esempio la stipulazione di veri e
propri contratti a favore di terzo: si pensi ad un mutuo (di scopo) contratto dall'assegnatario
di azienda con un terzo mutuante con erogazione diretta a favore di altri partecipanti al patto
di famiglia non assegnatari di azienda.
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PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
variante convenzionale del patto volta a ricomprendervi assegnazioni, ai legittimari non destinatari dell’azienda, di beni (o denaro) anche da parte dell’ascendente stesso.
In primo luogo in tal senso milita l’esigenza di consentire all’autonomia privata di disporre di incentivi per ottenere quella partecipazione al patto da parte di
tutti i legittimari che, come sopra si è concluso, è imprescindibile secondo quanto
disposto dal primo comma dell’articolo 768 quater. Ed invero, malgrado il secondo comma della norma preveda una tacitazione dei legittimari con l’equivalente
della quota di legittima - così delineando una ipotesi base nella quale della quota
disponibile dell’azienda profitterebbe esclusivamente l’assegnatario della stessa
- tale indicazione deve ritenersi esclusivamente un limite minimo delle attribuzioni dei non assegnatari d’azienda. In altre parole, sia per esigenze di equità
che l’ascendente potrebbe sentire come cogenti, sia per incentivare comunque la
partecipazione di tutti i legittimari al patto e dunque la sua stessa conclusione,
l’ascendente dante causa potrebbe ritenere opportuno tacitare gli altri i legittimari cui non è destinata l’azienda con propri beni o denaro corrispondenti al
valore dell’azienda trasmessa o comunque superiori al mero valore delle quote
di legittima calcolate sull’azienda.
Per evitare dunque il verosimile insuccesso pratico del tentativo di conclusione di un patto di famiglia, è giocoforza pensare ad un intervento perequativo
dello stesso disponente a favore di tutti i legittimari, intervento da ritenersi ammissibile perché non impedito esplicitamente da alcuna norma.
Né si dica che esclusivamente la attribuzione dell’azienda sarebbe soggetta
alle regole del patto, mentre la tacitazione degli altri legittimari da parte dello
stesso ascendente dovrebbe qualificarsi come un fascio di donazioni ordinarie
che non possono giovarsi delle regole speciali introdotte dalla novella (tra cui, ad
esempio, quella della determinazione in allora del valore del bene assegnato). Si
tratterebbe infatti di conclusione immotivata: perché non vi è alcuna norma che
ciò prevede; inoltre perché artificiosamente porterebbe a considerare in modo
atomistico le singole attribuzioni contenute nel patto e dunque ad obliterare la
stessa causa del medesimo; infine perché comunque l’enfasi posta dal terzo comma dell’articolo 768 quater in ordine alla possibilità di collegamenti negoziali
anche con atti successivi deve a fortiori consentire di avvincere nel patto anche
tutte le attribuzioni che vengono fatte contestualmente allo stesso.
Da ultimo, argomento a favore della possibilità di tacitazione dei legittimari
non destinatari dell’azienda da parte dello stesso ascendente può trarsi a contrario ed implicitamente dalla menzione, nell’articolo 768 septies, della possibilità
di pattuire una facoltà di recesso convenzionale dal patto. Infatti, per ipotizzare
una piana operatività di tale recesso a favore dell’ascendente, come pure deve
essere ammissibile, si deve probabilmente supporre che questi sia l’autore delle
attribuzioni a favore di tutti i legittimari partecipanti al patto. Infatti un recesso
con efficacia retroattiva e dunque recuperatoria ben si giustifica se tutte le assegnazioni ai legittimari, siano esse l’azienda, siano esse gli altri beni assegnati agli
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AIAF QUADERNO 2007/2
altri partecipanti, provengono dall’ascendente. In tal caso il recesso costituirebbe uno strumento che consente di porre nel nulla, per volontà dell’unico dante
causa, l’intero fascio di attribuzioni da questi disposte; sotto il profilo funzionale, codesto congegno negoziale darebbe ingresso ad interessi in larga misura già valutati positivamente dall’ordinamento con strumenti più tradizionali,
talvolta quantitativamente meno ablativi dell’attribuzione gratuita e comunque
sicuramente applicabili, quantomeno per analogia (per i congegni previsti in
parte speciale in tema di donazione), anche al trasferimento di azienda da parte
dell’ascendente previsto nel patto di famiglia: si pensi alla riserva di usufrutto
sull’azienda, alla riserva di disporre di alcuni cespiti dell’azienda (art. 790 cod.
civ.), alla condizione di reversibilità (art. 791 cod. civ.).
Qualora invece si volesse ipotizzare una facoltà di recesso applicata all’ipotesi
base di patto di famiglia, quella descritta nell’articolo in esame ove la tacitazione
degli altri legittimari avviene con denaro da parte dell’ assegnatario di azienda,
ci troveremmo di fronte a gravi problemi di disciplina e contemperamento degli
interessi dell’ascendente e del discendente destinatario d’azienda. Ed invero consentire all’ascendente di recedere dal patto nel quale abbia esclusivamente attribuito l’azienda ad un discendente ma non abbia poi provveduto a tacitare anche
gli altri legittimari significherebbe - anche a prescindere dai problemi dogmatici
posti dalla ricostruzione del raggio di operatività di un recesso nell’ambito di un
contratto plurilaterale come quello qui in esame - esporre il discendente assegnatario di azienda da un lato alla perdita dell’azienda medesima e, dall’altro, alla
possibilità di non vedersi restituito, dagli altri legittimari, quanto loro versato in
denaro, per incapienza del patrimonio di costoro.
5. L’ESCLUSIONE DA COLLAZIONE E RIDUZIONE DEGLI APPORZIONAMENTI
PREVISTI NEL PATTO.
L’ultimo comma dell’art. 769 quater, col prevedere che quanto ricevuto dei
contraenti non è soggetto a collazione o riduzione, va inteso, come anticipato
sopra, quale indicazione della sottrazione di quanto disposto con il patto di famiglia (e con i contratti collegati) alle regole successorie comuni e dunque in
particolare all’art. 556 cod. civ., consentendo appunto di parlare di patrimonio
separato destinato ad una attribuzione a stralcio con perequazione dei vari successibili in quota fissa, quella frazionaria emergente dagli artt. 537 e 542 cod. civ.
In questo senso possono leggersi i lavori preparatori allorché sia nella relazione
all’originaria proposta di legge in data 8 aprile 2003 sia nelle successive sedute
in commissione (in particolare 21 luglio 2005 alla camera) si precisava che tale
comma “chiude il sistema, prevedendo che quanto pattuito nel contratto non possa essere rimesso in discussione dopo l’apertura della successione, inibendo l’esperimento di
due diritti tipicamente attribuiti al legittimario per far valere le proprie ragioni, cioè la
collazione e la riduzione”.
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PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
6. LA PERSISTENZA DELLO STATUS DI LEGITTIMARIO IN CAPO AL PARTECIPANTE AL PATTO DI FAMIGLIA.
Il legislatore della novella sembra muovere dal presupposto che i partecipanti
al patto di famiglia siano coloro che saranno (e non solo sarebbero) legittimari
dell’imprenditore al momento della sua morte, al più integrati dai legittimari
sopravvenuti di cui all’art. 768 sexies. Si apre dunque il quesito della permanenza
della attribuzione qualora al momento dell’apertura della successione la qualità
di legittimario più non sussista.
Due mi paiono le macroipotesi che potranno essere più ricorrenti.
La prima è quella in cui il beneficiario tacitato nel patto che non sia più tale
all’apertura della successione sia stato un figlio del disponente: sia perché morto
nel frattempo (e dunque premorto rispetto al disponente), sia perché rinunzi alla
delazione ereditaria.
In questo caso il legittimario al momento della successione sarà un discendente (verosimilmente il figlio) dell’originario partecipante al patto, ed avrà acquisito lo status di legittimario per rappresentazione (art. 536, u.c., 467 ss. cod. civ.).
Mi pare allora che, argomentando dal disposto dell’art. 564, 3° co., cod. civ.,
possa sostenersi la inesistenza di un diritto del legittimario per rappresentazione
ad essere indennizzato nuovamente, se il proprio ascendente che egli rappresenta ha già ricevuto in allora la propria liquidazione ex art. 768 quater cod. civ.13
La seconda ipotesi è quella in cui il beneficiario tacitato nel patto che non sia
più tale all’apertura della successione sia stato il (diverso) coniuge del disponente, nuovamente sposatosi, dopo la stipulazione del patto, per premorienza del
precedente coniuge o per intervenuto divorzio.
In questo caso, la considerazione che il coniuge è legittimario necessariamente unico, nella famiglia considerata del codice, porterebbe a concludere nel senso
che una sola indennità sostitutiva della porzione lui riservata debba essere messa
in conto da parte dell’assegnatario di azienda, con la conseguenza che in caso
di “avvicendamento” di coniugi, la indennità ricevuta dall’”originario” coniuge
cessi di avere giustificazione ove questi abbia perduto il proprio status all’apertura della successione. Tra l’interesse dell’ex coniuge a trattenere l’indennizzo e
quello dell’assegnatario di azienda a non pagare due volte (anche al nuovo coniuge) l’indennizzo, mi pare che quest’ultimo debba prevalere, considerato che
la novella tende a consentire una sistemazione definitiva (e dunque anche con
costi definiti) della successione nell’azienda.
Tuttavia qui, in mancanza di chiari indici normativi, la questione mi pare re-
13 Più problematica l’ipotesi in cui l’ascendente che egli rappresenta non abbia ricevuto in allora la propria liquidazione ex art. 768 quater cod. civ., perché vi abbia rinunziato, perché
più difficilmente argomenti potrebbero trarsi dall’art. 564, 3° co., cit. ed esigenze di equità
parrebbero suggerire la persistenza di un diritto di credito in capo al rappresentante (cfr.
commento all’art. 768sexies, § 4).
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sti aperta e proprio per ciò, qualora all’apertura della successione l’originario
coniuge tale più non sia (perché premorto o divorziato), ma non vi sia un nuovo
coniuge, ritengo che l’interprete possa sentirsi più libero (non essendovi un contro-interesse dell’assegnatario di azienda a non pagare due volte l’indennizzo)
di concludere per la stabilità, a favore dell’originario coniuge, della liquidazione
ricevuta.
7. LA PATOLOGIA DEL PATTO: L’ANNULLAMENTO PER VIZIO DEL CONSENSO.
L’art. 768 quinquies primo comma reca una disciplina in larga misura pleonastica, col confermare che il patto di famiglia, al pari di ogni altro contratto,
può essere impugnato dai partecipanti per vizio del consenso secondo le regole
generali di cui agli artt. 1427 ss. cod. civ.
Per assegnare un valore precettivo autonomo a tale norma si può anzitutto rilevare che essa ha l’effetto di escludere implicitamente l’applicazione della
disciplina speciale in tema di vizi della divisione, contratto col quale il patto di
famiglia può essere accostato sotto il profilo dell’intento empirico del disponente14, come del resto era fatto dal legislatore del 1865, allorché, trattando della
divisione d’ascendente, prevedeva, all’art. 1048, ult. parte, che “Se la divisione è
fatta per atto tra vivi, può altresì essere impugnata per lesione oltre il quarto a norma
dell’articolo 1038”.
Così inteso il richiamo all’articolo 1427, esso vale dunque ad escludere l’applicabilità dell’art. 761 che prevede l’annullamento della divisione esclusivamente
per violenza o dolo: a contrario, il richiamo degli artt. 1427 ss. vale allora a confermare la impugnabilità del patto di famiglia per errore.
Inoltre, il primo comma dell’articolo 768 quinquies come sopra ricostruito vale
ad escludere l’applicabilità dell’art. 763 cod. civ. e dunque la rescindibilità del
patto di famiglia per lesione oltre il quarto, così confermandosi la insindacabilità
dal punto di vista oggettivo, a prescindere dalla ricorrenza di vizi del consenso,
dei valori attribuiti convenzionalmente ai beni oggetto del contratto.
Da ultimo, quanto agli effetti dell’eventuale annullamento, sarà assai raro
che la pronuncia costitutiva non travolga l’intero patto di famiglia, in applicazione della regola generale, qui non derogata, dell’art. 1446 cod. civ. sul contratto plurilaterale.
Ulteriore quid novi è dato dal secondo comma, che prevede un termine di
prescrizione breve, di un anno, rispetto a quello quinquennale ordinario. Non è
chiarito quale sia il dies a quo per tale computo. Propenderei per l’applicazione
della regola generale di cui all’art. 1442 cod. civ., considerato da un lato che un ef14 Consapevoli tuttavia che, dal punto di vista giuridico, il patto di famiglia mira a prevenire
una situazione di comunione ereditaria, che la divisione, dal punto di vista giuridico, intende invece sciogliere. La funzione lato sensu divisoria del patto emerge comunque dalla
collocazione sistematica, al termine della disciplina della divisione, del nuovo capo V bis.
34
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
fetto di stabilizzazione del patto è già ottenuto con la riduzione da cinque anni ad
un anno del termine di prescrizione dell’azione e, dall’altro, che il primo comma
richiama gli articoli 1427 e seguenti e dunque mostra di fare riferimento all’intera
disciplina ordinaria dei vizi del consenso ove non espressamente derogato. Si
tratta di interpretazione che trova un elemento di conforto nei lavori preparatori:
nel testo discusso in commissione Camera il 21 giugno 2005 l’articolo 768 sexies
faceva riferimento all’impugnabilità del patto secondo gli articoli 624 e seguenti
cod. civ. - che trattano della impugnazione delle disposizioni testamentarie - precisando che “l’azione si prescrive nel termine di un anno dalla conoscenza del motivo di impugnabilità”. Malgrado poi il testo definitivo abbia fatto riferimento agli
articoli 1427 e seguenti, con maggiore coerenza rispetto alla struttura contrattuale del patto di famiglia piuttosto che alla sua relazione con gli istituti successori,
resta la indicazione della decorrenza del termine per l’ impugnazione dalla conoscenza del vizio del consenso.
Vi è poi il problema posto dall’art. 2941 n. 1 cod. civ., che prevede in via generale la sospensione della prescrizione tra i coniugi. Ritengo tuttavia che tale
norma detti la regola generale per le ipotesi in cui, in rapporti anche contrattuali
ordinari, i coniugi si trovino, per avventura, ad essere controparti.Qualora invece
ci si trovi di fronte a contratti con necessaria partecipazione del coniuge, al quale
è data azione (speciale) di annullamento del contratto medesimo, deve valere il
principio emergente dall’art. 184, 2° co., cod. civ., che non prevede alcuna sospensione del termine di prescrizione15, proprio in considerazione del ricorrere, come
pure nel caso del patto di famiglia avviene, di un contratto ove è imprescindibile
e non occasionale la partecipazione del coniuge.
L’articolo in commento nulla dice poi delle ordinarie azioni di risoluzione
del patto di famiglia, che difficilmente potrebbero dirsi assorbite da quella – pur
speciale nel termine - di annullamento.
8. L’INEDITA ANNULLABILITÀ DEL PATTO PER INADEMPIMENTO DI CUI ALL’ART.
768 SEXIES.
Il secondo comma dell’art. 768 sexies reca una infelice formulazione, disponendo che “l’inosservanza delle disposizioni del primo comma costituisce motivo di impugnazione ai sensi dell’articolo 768 quinquies”. Esso prevede un’ine-
15 In questo senso, Cass., 22 luglio 1987, n. 6369, in Rep. Foro It., 1988, voce Famiglia (regime patrimoniale), n. 55: “Proposta, da uno dei coniugi - in via riconvenzionale - domanda
di annullamento di un negozio traslativo relativo a bene immobile (in regime di comunione
legale) posto in essere dall’altro (conferimento, in società, d’un appartamento), l’eccezione,
formulata con il ricorso per cassazione, di sospensione del termine annuale previsto per
l’esperibilità di tale azione, sotto il profilo che la prescrizione rimane sospesa, tra coniugi, è,
oltreché inammissibile - perché fatta valere, per la prima volta, in sede di legittimità - infondata, atteso che rispetto al principio generale contenuto nell’art. 2941 n. 1 c.c., la norma di
cui all’art. 184, 2º comma, stesso codice, si pone come speciale e derogativa.”
35
AIAF QUADERNO 2007/2
dita ipotesi di annullamento del contratto per inadempimento: infatti la lettera
della norma consente l’applicazione della disciplina dell’annullamento alla inosservanza di disposizioni, quelle del primo comma, che recano per implicito un
obbligo di pagamento in denaro della quota di legittima a favore di coloro che
non hanno partecipato al patto.
La norma introduce evidenti disarmonie nel sistema dei rimedi negoziali:
estende ad un terzo la legittimazione all’annullamento del contratto; consente
il rimedio dell’annullamento per la inosservanza di un obbligo e non già per un
vizio del consenso; nulla dice poi dell’azione di adempimento dell’obbligo di
pagamento in denaro della quota di legittima, previsto nel primo comma dell’art.
768 sexies, che si deve ritenere persistente.
Volendo assegnare un valore precettivo alla ipotesi di annullamento “per inadempimento”, emergente dal combinato disposto degli artt. 768 quinquies e sexies, si può in primo luogo pensare che con codesta disciplina il legislatore abbia
voluto consentire una legittimazione all’impugnazione estesa a tutti partecipanti
al patto e non esclusivamente - come sarebbe stato in applicazione delle norme
sulla risoluzione per inadempimento - a coloro che siano rimasti insoddisfatti
nelle proprie pretese di liquidazione pecuniaria della quota di legittima; in secondo luogo, si può pensare che la scelta del legislatore sia stata quella di dare
rilievo all’inadempimento ex se, come fatto oggettivo, a prescindere dallo stato
soggettivo dell’inadempiente (che, secondo la comune interpretazione degli artt.
1453 ss. cod. civ. è necessaria per la risoluzione del contratto) ed a prescindere
dalla gravità del medesimo (considerata invece dall’art. 1455 cod. civ.).
Aggiungo da ultimo che se si dovesse prestar fede ad una consapevole volontà del legislatore, nell’apprestare codesta disciplina, di potenziare la tutela
dei legittimari non assegnatari di azienda, sarebbe probabilmente possibile fare
applicazione della stessa disciplina anche nelle ipotesi di inadempimento alla
liquidazione dei legittimari non assegnatari di azienda che abbiano partecipato
sin dall’origine al patto.
36
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
LEGISLAZIONE
LEGGE 14 FEBBRAIO 2006, N. 55.
MODIFICHE AL CODICE CIVILE IN MATERIA DI PATTO DI
FAMIGLIA
(PUBBL. SULLA GAZZETTA UFFICIALE DEL 1.3.2006, N.50 - SERIE GENERALE)
Art. 1.
1. Al primo periodo dell’articolo 458 del codice civile sono premesse le seguenti parole:
«Fatto salvo quanto disposto dagli articoli 768-bis e seguenti,».
Art. 2.
1. Al libro II, titolo IV, del codice civile, dopo l’articolo 768 è aggiunto il seguente capo:
«Capo V-bis. Del patto di famiglia
Articolo 768-bis (Nozione). - È patto di famiglia il contratto con cui, compatibilmente
con le disposizioni in materia di impresa familiare e nel rispetto delle differenti tipologie societarie, l’imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l’azienda, e il titolare di
partecipazioni societarie trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote, ad uno o più
discendenti.
Articolo 768-ter (Forma). - A pena di nullità il contratto deve essere concluso per atto
pubblico.
Articolo 768-quater (Partecipazione). - Al contratto devono partecipare anche il coniuge
e tutti coloro che sarebbero legittimari ove in quel momento si aprisse la successione nel
patrimonio dell’imprenditore.
Gli assegnatari dell’azienda o delle partecipazioni societarie devono liquidare gli altri
partecipanti al contratto, ove questi non vi rinunzino in tutto o in parte, con il pagamento
di una somma corrispondente al valore delle quote previste dagli articoli 536 e seguenti; i
contraenti possono convenire che la liquidazione, in tutto o in parte, avvenga in natura.
I beni assegnati con lo stesso contratto agli altri partecipanti non assegnatari dell’azienda,
secondo il valore attribuito in contratto, sono imputati alle quote di legittima loro spettanti; l’assegnazione può essere disposta anche con successivo contratto che sia espressamente dichiarato collegato al primo e purché vi intervengano i medesimi soggetti che
hanno partecipato al primo contratto o coloro che li abbiano sostituiti. Quanto ricevuto
dai contraenti non è soggetto a collazione o a riduzione.
Articolo 768-quinquies (Vizi del consenso). - Il patto può essere impugnato dai parteci-
37
AIAF QUADERNO 2007/2
panti ai sensi degli articoli 1427 e seguenti. L’azione si prescrive nel termine di un anno.
Articolo 768-sexies (Rapporti con i terzi). - All’apertura della successione dell’imprenditore, il coniuge e gli altri legittimari che non abbiano partecipato al contratto possono
chiedere ai beneficiari del contratto stesso il pagamento della somma prevista dal secondo comma dell’articolo 768-quater, aumentata degli interessi legali. L’inosservanza delle
disposizioni del primo comma costituisce motivo di impugnazione ai sensi dell’articolo
768-quinquies.
Articolo 768-septies (Scioglimento). - Il contratto può essere sciolto o modificato dalle
medesime persone che hanno concluso il patto di famiglia nei modi seguenti:
1) mediante diverso contratto, con le medesime caratteristiche e i medesimi presupposti
di cui al presente capo;
2) mediante recesso, se espressamente previsto nel contratto stesso e, necessariamente,
attraverso dichiarazione agli altri contraenti certificata da un notaio.
Articolo 768-octies (Controversie). - Le controversie derivanti dalle disposizioni di cui
al presente capo sono devolute preliminarmente a uno degli organismi di conciliazione
previsti dall’articolo 38 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5».
Sotto il profilo fiscale, si deve tenere presente che ai sensi dell’art. 78 della legge 27 dicembre 2006,
n. 296 (legge finanziaria 2007), i patti di famiglia di cui agli articoli 768-bis e ss. del codice civile
a favore dei discendenti, di aziende o rami di esse, di quote sociali e di azioni, non sono soggetti
all’imposta sulle successioni e donazioni, di cui al Decreto Legislativo 31 ottobre 1990 n. 346 e
successive modificazioni.
38
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
LEGGE 27 DICEMBRE 2006, N. 296
LEGGE FINANZIARIA 2007
- omissis –
Art. 78
Al testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni, di
cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all’articolo 3, è aggiunto, in fine, il seguente comma:
“4-ter. I trasferimenti, effettuati anche tramite i patti di famiglia di cui agli articoli 768-bis
e seguenti del codice civile a favore dei discendenti, di aziende o rami di esse, di quote
sociali e di azioni non sono soggetti all’imposta. In caso di quote sociali e azioni di soggetti di cui all’articolo 73, comma 1, lettera a), del testo unico delle imposte sui redditi,
di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, il beneficio
spetta limitatamente alle partecipazioni mediante le quali è acquisito o integrato il controllo ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, numero 1), del codice civile. Il beneficio si
applica a condizione che gli aventi causa proseguano l’esercizio dell’attività d’impresa o
detengano il controllo per un periodo non inferiore a cinque anni dalla data del trasferimento, rendendo, contestualmente alla presentazione della dichiarazione di successione
o all’atto di donazione, apposita dichiarazione in tal senso. Il mancato rispetto della condizione di cui al periodo precedente comporta la decadenza dal beneficio, il pagamento
dell’imposta in misura ordinaria, della sanzione amministrativa prevista dall’ articolo 13
del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, e degli interessi di mora decorrenti dalla
data in cui l’imposta medesima avrebbe dovuto essere pagata”;
b) all’articolo 8, dopo il comma 1, è inserito il seguente:
“l-bis. Resta comunque ferma l’esclusione dell’avviamento nella determinazione della
base imponibile delle aziende, delle azioni, delle quote sociali”;
c) all’articolo 31, comma 1, le parole: “sei mesi” sono sostituite dalle seguenti: “dodici
mesi”.
39
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PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
2. GLI ATTI DI DESTINAZIONE
41
AIAF QUADERNO 2007/2
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PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
GLI ATTI DI DESTINAZIONE EX
ART. 2645 TER C.C. E ATTUALI
ORIENTAMENTI
_MILENA PINI,
_AVVOCATO, FORO DI MILANO
L’art. 39-novies della l. 23 febbraio 2006, n. 51, di conversione con modifiche
del d.l. 30 dicembre 2005, n. 273, ha introdotto nel codice civile l’art. 2645 ter1.
«Art. 2645-ter (Trascrizione di atti di destinazione per la realizzazione di
interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche
amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche).
Gli atti in forma pubblica con cui beni immobili o beni mobili iscritti in
pubblici registri sono destinati, per un periodo non superiore a novanta anni
o per la durata della vita della persona fisica beneficiaria, alla realizzazione
di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche
amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche ai sensi dell’articolo 1322, secondo comma, possono essere trascritti al fine di rendere opponibile ai terzi il
vincolo di destinazione; per la realizzazione di tali interessi può agire, oltre al
conferente, qualsiasi interessato anche durante la vita del conferente stesso.
I beni conferiti e i loro frutti possono essere impiegati solo per la realizzazione del fine di destinazione e possono costituire oggetto di esecuzione, salvo
quanto previsto dall’articolo 2915, primo comma, solo per debiti contratti per
tale scopo.”
1
Sull'art. 2645-ter c.c., v. Bartoli, Prime riflessioni sull'art. 2645 ter c.c. e sul rapporto fra
negozio di destinazione di diritto interno e trust, in Corr. merito, 206, 697 ss.; Fanticini,
L'articolo 2645-ter del codice civile: "Trascrizione di atti di destinazione per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone a persone con disabilità, a pubbliche
amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche", in Aa. Vv., La tutela dei patrimoni, a cura
di Montefameglio, Santarcangelo di Romagna, 2006, 327 ss.; Franco, Il nuovo art. 2645ter cod. civ., in Notariato, 2006, 315 ss.; Lupoi, Gli "atti di destinazione" nel nuovo art.
2645-ter c.c. quale frammento di trust, in Trusts e attività fiduciarie, 2006, 169 ss.; Oberto,
Atti di destinazione (art. 2645-ter c.c.) e trust: analogie e differenze, in Contratto e impresa/
Europa, 2007; Oberto, Famiglia di fatto e convivenze: tutela dei soggetti interessati e regolamentazione dei rapporti patrimoniali in vista della successione, Famiglia e diritto, 2006,
661 ss. (in particolare par.7 ss., sui rapporti tra vincolo di destinazione ex art. 2645-ter c.c.
e famiglia di fatto).
43
AIAF QUADERNO 2007/2
La nuova norma consente di destinare alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela a favore di un beneficiario, privato o pubblico, per un periodo di
tempo limitato a novanta anni e comunque non eccedente la vita del destinatario, mediante un atto avente forma pubblica che sia regolarmente trascritto ai
fini dell’opponibilità ai terzi, un proprio bene immobile o mobile registrato, con
la conseguenza che i beni conferiti ed i loro frutti possono essere esecutati, salvo
quanto previsto dall’art. 2915, primo comma c.c., per i soli debiti contratti per
tale scopo.
L’effetto è quello di produrre un ampliamento dell’ambito dei c.d. patrimoni
separati o segregati, in quanto il conferente, mediante un atto unilaterale di volontà, può sottrarre un proprio bene immobile o mobile registrato al regime della
garanzia patrimoniale di cui all’art. 2740 c.c..
Infatti dal combinato disposto degli artt. 2645 ter e 2915 primo comma c.c.
(“Atti che limitano la disponibilità dei beni pignorati”, ai sensi del quale “Non
hanno effetto in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori che intervengono
nell’esecuzione, gli atti che importano vincoli di indisponibilità, se non sono stati trascritti prima del pignoramento, quando hanno per oggetto beni immobili o di beni mobili
iscritti in pubblici registri, e, negli altri casi, se non hanno data certa anteriore al pignoramento.”) si evince che il vincolo di destinazione potrà essere opposto ai terzi,
creditori personali o aventi causa del conferente, quando, rispettivamente, il pignoramento dovesse essere successivo alla trascrizione dell’atto di destinazione
o l’acquisto dovesse essere trascritto successivamente alla trascrizione dell’atto di
destinazione stesso.
La norma ha suscitato in dottrina numerosi interrogativi.
Sui concetti di “destinazione per un determinato periodo” e di “vincolo”, contenuti nella norma, non si può che condividere la posizione di chi sostiene che
sono ben distinti da quello di “trasferimento di un diritto”, e pertanto “un bene
può essere vincolato ad uno scopo senza essere trasferito ad un soggetto diverso dal suo
titolare, come avviene, ad esempio, nel fondo patrimoniale su beni dei coniugi o nel trust
autodichiarato, nel quale è lo stesso costituente a porsi quale trustee. Vincolo di destinazione significa che il bene può essere amministrato solo in vista della realizzazione di
quello scopo e che tale bene è aggredibile dai soli creditori i cui diritti si fondano su atti di
gestione compiuti in vista della realizzazione dello scopo medesimo. Ma tutto ciò, con il
trasferimento del bene dal costituente ad un terzo, e con l’eventuale successivo ritrasferimento ad un beneficiario finale, nulla ha a che vedere.” 2.
La Circolare n. 5 del 7 agosto 2006 della Direzione dell’Agenzia del Territorio,
precisa in merito a tale questione che “con gli atti di cui trattasi è possibile costituire
un vincolo di destinazione su di una massa patrimoniale che, pur restando nella titola-
2
44
Oberto, Vincoli di destinazione ex art. 2645-ter c.c. e rapporti patrimoniali tra coniugi, in
Famiglia e diritto, 2/2007, 202.
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
rità giuridica del “conferente”, assume, per la durata stabilita, la connotazione di massa
patrimoniale “distinta” (separata) rispetto alla restante parte del suo patrimonio, proprio
in virtù del vincolo di destinazione impresso e reso opponibile nei confronti dei terzi con
l’esecuzione della formalità di trascrizione. … Detti atti di destinazione producono soltanto effetti di tipo “vincolativo” … infatti, i beni oggetto degli atti di destinazione, pur
venendo “segregati” rispetto alla restante parte del patrimonio del “conferente” - al fine
di garantire la realizzazione degli interessi meritevoli di tutela cui è preordinato il vincolo
- restano comunque nella titolarità giuridica del “conferente” medesimo”.
Quanto alla meritevolezza dell’interesse, l’art. 2645-ter c.c. si limita a a richiamare l’art. 1322, secondo comma, c.c. (che in tema di autonomia contrattuale riconosce alle parti la possibilità di “concludere contratti che non appartengano ai tipi
aventi una disciplina particolare, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli
di tutela secondo l’ordinamento giuridico.”), la cui interpretazione prevalente è nel
senso che la meritevolezza di tutela viene meno solo laddove siano valicati i limiti della liceità, dell’ordine pubblico e del buon costume3.
Una previsione legislativa così ampia induce la preoccupazione di un eventuale uso strumentale o fraudolento della norma, non potendosi escludere la possibilità che un soggetto si serva del vincolo di destinazione come strumento di
protezione patrimoniale personale, costituendo all’interno della massa dei beni
di sua proprietà uno o più patrimoni separati, per metterli al riparo da eventuali
azioni esecutive dei creditori, e ciò nonostante gli strumenti di tutela riconosciuti
a costoro, quali l’azione di simulazione e l’azione revocatoria4.
Peraltro, se da un lato sarebbe auspicabile un controllo sull’effettiva “meritevolezza” dell’interesse che si intende realizzare sottoponendo i beni al vincolo
di destinazione, dall’altro una tale soluzione potrebbe comportare il pericolo di
valutazioni personali del giudicante, condizionate da sue personali convinzioni
sociali, religiose o politiche.
Sulla possibilità di applicazione dell’art. 2645-ter c.c. nell’ambito dei rapporti
tra coniugi o partners, o tra genitori e figli, la giurisprudenza5 ha già iniziato a
3
Cass. civ. Sez. III 06.02.2004 n. 2288, in Guida al Diritto, 2004, 19, 54 “Possono dirsi
diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico, ex articolo
1322, comma 2, del codice civile, tutti i contratti atipici non contrari alla legge, all'ordine
pubblico e al buon costume”; da ultimo, Trib. Trieste 23/9/2005, in Guida al Diritto, 2005,
n. 41, 57
4
Cass. civ. Sez. I 07.03.2005 n. 4933, in Mass. Giur. It., 2005, “Il negozio costitutivo del
fondo patrimoniale, anche quando proviene da entrambi i coniugi, è atto a titolo gratuito,
che può essere dichiarato inefficace nei confronti dei creditori a mezzo di azione revocatoria ordinaria, in quanto rende i beni conferiti aggredibili solo a determinate condizioni
(art. 170 c.c.), così riducendo la garanzia generale spettante ai creditori sul patrimonio dei
costituenti.”
5
Trib. Reggio Emilia 23.3.2007 (decr.) in il Corriere del Merito, 2007, 6, 699, secondo cui
“E' valido, in quanto avente causa lecita, l'accordo tra coniugi, raggiunto in sede di verbale di separazione consensuale, con il quale l'uno trasferisce all'altro, in adempimento
45
AIAF QUADERNO 2007/2
manifestare aperture in tal senso, riconoscendo la liceità di un accordo intervenuto tra i coniugi per il mantenimento dei figli sino al raggiungimento della
loro autosufficienza economica, che prevedeva il trasferimento della quota di
proprietà di alcuni immobili da parte del padre a favore della madre collocataria,
con l’obbligo a carico di questa ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2645-ter c.c.
ad impiegare i frutti degli immobili per il mantenimento della prole stessa6.
È indubbio che in tale ipotesi il vincolo di destinazione offra ai minori una
significativa tutela, sia con riguardo ai frutti dei beni da destinare al loro mantenimento, che all’inalienabilità del bene e all’opponibilità ai terzi.
Inoltre, poiché per la realizzazione degli interessi ai quali è preposto il vincolo
può agire, oltre al conferente, qualsiasi interessato (e, quindi, anche il Pubblico
Ministero o un tutore o un curatore speciale), l’intestatario dei beni non potrà
essere completamente libero di godere e disporre dei cespiti dovendo salvaguardare l’esigenza di mantenimento della prole.
Vi è anche chi sostiene che l’art. 2645-ter c.c. possa “costituire una sorta di
succedaneo del fondo patrimoniale”, “a beneficio della famiglia, cioè a dire di quella
determinata famiglia costituita dai coniugi e dai figli nati e/o nascituri”, essendo possibile per la meritevolezza dell’interesse e per ragioni solidaristiche “collocare
la famiglia nel suo complesso tra uno di quegli “altri enti” cui fa richiamo la norma
citata, magari valorizzando quell’indirizzo che ormai unanimemente considera tanto la
famiglia legittima come quella di fatto quali “formazioni sociali” riconosciute dall’art.
2 Cost.”7.
dell'obbligo di mantenimento dei figli minori, talune porzioni immobiliari, con l'impegno di
quest'ultimo di non alienarli prima della maggiore età dei beneficiari e di destinarne i frutti
in loro favore, e detto accordo, ove trascritto ai sensi dell'art. 2645 ter c.c., è opponibile erga
omnes”.
6
Il decreto 23.3.07 del Trib. di Reggio Emilia richiama in motivazione Cass., 17/6/2004, n.
11342, in Giust. civ., 2005, I, pag. 415, laddove si afferma che ““l’accordo di separazione
che contenga l’impegno di uno dei coniugi, al fine di concorrere al mantenimento del figlio
minore, di trasferire, in suo favore, la piena proprietà di un bene immobile, trattandosi di
pattuizione che dà vita ad un contratto atipico, distinto dalle convenzioni matrimoniali e
dalle donazioni, [è] volto a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento
giuridico, ai sensi dell’art. 1322 cod. civ.”.
7
Oberto, Vincoli di destinazione ex art. 2645-ter c.c. e rapporti patrimoniali tra coniugi, cit.,
secondo il quale “è noto che la tesi ormai prevalente afferma il carattere atipico delle convenzioni e dei relativi regimi patrimoniali: se dunque all'autonomia negoziale è concesso di
liberamente dar vita a convenzioni matrimoniali disegnanti regimi diversi da quelli previsti
dagli artt. 159 ss. c.c., a maggior ragione sarà consentito ai coniugi di avvalersi di strumenti
negoziali tipici (ancorché non previsti da norme tipicamente giusfamiliari) per conseguire
il risultato di ottenere un regime divergente da quelli legislativamente nominati come tali.”.
Né, secondo l’Autore, significative obiezioni possono insorgere “avuto riguardo al carattere
essenzialmente unilaterale dell'atto costitutivo del vincolo”; a maggior ragione “potrà riconoscersi nella creazione del vincolo ex art. 2645-ter c.c., alle condizioni predette, la natura
di convenzione matrimoniale, allorquando il negozio costitutivo nell'interesse della famiglia
assuma una struttura bilaterale o plurilaterale (si pensi alla costituzione di un vincolo su
beni di entrambi i coniugi e/o di terzi, sulla base di un accordo tra tutti i soggetti coinvolti)
e pertanto possa qualificarsi come "convenzione", cioè accordo di due o più soggetti.”
46
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
Altra questione, molto discussa in dottrina, riguarda l’identità o meno tra il
vincolo di destinazione e il trust.
Dopo un primo orientamento, che aveva interpretato l’art. 2645-ter c.c. come
una sorta di trust interno8, sembra ora prevalere la posizione di chi differenzia
i due istituti.
In effetti, mentre l’atto istitutivo del vincolo di destinazione è un atto unilaterale, il trust, nello schema tradizionale, è incentrato sulla partecipazione di due
soggetti: il disponente (settlor) ed il trustee. Tuttavia, è altrettanto vero che esiste
la possibilità per il settlor di dichiararsi trustee dei beni che vengano fatti confluire nel trust (cosiddetto trust autodichiarato) così come non si può escludere
che all’origine del vincolo di destinazione contemplato dall’articolo 2645-ter del
Codice civile vi sia un atto bi- o pluri-laterale9.
Si deve anche tenere presente che mentre i soli beni immobili o mobili registrati possono essere oggetto del vincolo di destinazione di cui all’articolo 2645ter c.c., possono essere inseriti nel trust anche beni diversi, quali partecipazioni
societarie, titoli di credito, etc..
Inoltre, l’atto istitutivo di un vincolo di destinazione prevede la forma pubblica, mentre nel caso del trust le regole sulla forma sono varie, e possono dipendere dalla natura dei beni che formano oggetto dell’atto istitutivo del trust.
Nel testo dell’art. 2645-ter c.c. manca infine ogni riferimento all’obbligazione
fiduciaria, elemento essenziale del trust.
Quanto al regime fiscale, va ricordato che con decreto legge n. 262 del 2006,
successivamente modificato dalla legge di conversione 24 novembre 2006, n.
286, è stata ripristinata l’imposta sulle successioni e donazioni, come disciplinata dal Testo Unico 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente al 25 ottobre 2001.
Contestualmente, ha disposto l’applicazione di tale imposta “…alla costituzione dei vincoli di destinazione…” (decreto legge n. 262 del 3 ottobre 2006, convertito con modificazioni dalla legge n. 286 del 24/11/2007, articolo 2, commi
dal 47 al 49).
La finanziaria 2007 ha poi integrato la disciplina di tale imposta, introducendo, tra l’altro, determinate franchigie in favore dei parenti in linea collaterale e dei portatori di handicap, nonché esenzioni per il trasferimento a favore
dei discendenti, di aziende o rami di esse, di quote sociali o di azioni (articolo
1, commi da 77 a 79).
Attualmente, pertanto, la costituzione dei vincoli di destinazione è soggetta
8
L. F. Risso, D. Muritano, Il Trust. Diritto interno e Convenzione de L'Aja. Ruolo Responsabilità del notaio, Studio approvato dal Consiglio Nazionale del Notariato il 10 febbraio 2006,
sostengono l’orientamento, secondo il quale “a seguito del nuovo articolo 2645 ter il nostro
Stato non può più essere annoverato tra quelli che non prevedono l'istituto del trust e conseguentemente l'articolo 13 della Convenzione de L'Aja non potrebbe più essere invocato
per negare il riconoscimento ad un trust interno.”
9
Ad esempio nell’ipotesi di costituzione del vincolo di destinazione su beni trasferiti nell’ambito di un giudizio di separazione o divorzio; in giurisprudenza v. Trib. Reggio Emilia
23.3.2007 (decr.), cit.
47
AIAF QUADERNO 2007/2
all’imposta sulle successioni e donazioni secondo le disposizioni stabilite all’art.
2, commi da 47 a 49, del decreto legge n. 262 del 2006.
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PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
LEGISLAZIONE
LEGGE 23 FEBBRAIO 2006, N. 51.
CONVERSIONE IN LEGGE, CON MODIFICAZIONI, DEL
DECRETO-LEGGE 30 DICEMBRE 2005, N. 273, RECANTE
DEFINIZIONE E PROROGA DI TERMINI, NONCHÉ
CONSEGUENTI DISPOSIZIONI URGENTI. PROROGA DI TERMINI
RELATIVI ALL’ESERCIZIO DI DELEGHE LEGISLATIVE
(PUBBL. SULLA GAZZETTA UFFICIALE DEL 28.2.2006, N.49 - SERIE GENERALE)
Art. 39-novies.
Termine di efficacia e trascrivibilità degli atti di destinazione per fini meritevoli di
tutela.
1. Dopo l’articolo 2645-bis del codice civile è inserito il seguente:
«Art. 2645-ter (Trascrizione di atti di destinazione per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad
altri enti o persone fisiche).
Gli atti in forma pubblica con cui beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri sono destinati, per un periodo non superiore a novanta anni o per la durata della vita della persona fisica
beneficiaria, alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità,
a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche ai sensi dell’articolo 1322, secondo
comma, possono essere trascritti al fine di rendere opponibile ai terzi il vincolo di destinazione; per
la realizzazione di tali interessi può agire, oltre al conferente, qualsiasi interessato anche durante
la vita del conferente stesso. I beni conferiti e i loro frutti possono essere impiegati solo per la realizzazione del fine di destinazione e possono costituire oggetto di esecuzione, salvo quanto previsto
dall’articolo 2915, primo comma, solo per debiti contratti per tale scopo.»
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AIAF QUADERNO 2007/2
AGENZIA DEL TERRITORIO. CIRCOLARE 7 AGOSTO 2006, N. 5.
ART. 2645-TER DEL CODICE CIVILE - TRASCRIVIBILITÀ DEGLI ATTI
DI DESTINAZIONE PER FINI MERITEVOLI DI TUTELA - MODALITÀ
DI ATTUAZIONE DELLA PUBBLICITÀ IMMOBILIARE
PREMESSA
L’art. 39-novies (Termine di efficacia e trascrivibilità degli atti di destinazione per fini
meritevoli di tutela) del D.L. 30 dicembre 2005, n. 273, aggiunto dalla legge di conversione 23 febbraio 2006, n. 51, ha inserito, dopo l’art. 2645-bis del codice civile, l’art.
2645-ter, avente ad oggetto la trascrizione di atti di destinazione per la realizzazione di
interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche.
La portata innovativa della citata disposizione - entrata in vigore il 1° marzo 2006 - ha
subito innescato un vivace ed articolato dibattito a livello dottrinario, che ha già fatto
emergere posizioni non del tutto allineate in ordine alla corretta individuazione della natura giuridica della peculiare fattispecie negoziale correlata all’art. 2645-ter c.c., nonché
dei suoi possibili profili applicativi.
Poiché, peraltro, alcuni Uffici provinciali hanno già segnalato l’avvenuta presentazione
di alcune richieste di trascrizione di atti ai sensi dell’art. 2645-ter c.c., con la presente Circolare si ritiene opportuno fornire le prime indicazioni, anche di carattere operativo, in
ordine alle relative modalità di attuazione della pubblicità immobiliare, al fine di garantire uniformità e omogeneità di comportamenti in tutto il territorio nazionale.
CARATTERI GENERALI DEGLI ATTI DI DESTINAZIONE DI CUI ALL’ART. 2645TER C.C.
L’art. 2645-ter c.c. dispone che “Gli atti in forma pubblica con cui beni immobili o beni mobili
iscritti in pubblici registri sono destinati, per un periodo non superiore a novanta anni o per la
durata della vita della persona fisica beneficiaria, alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela
riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche ai
sensi dell’articolo 1322, secondo comma, possono essere trascritti al fine di rendere opponibile ai
terzi il vincolo di destinazione; per la realizzazione di tali interessi può agire, oltre al conferente,
qualsiasi interessato anche durante la vita del conferente stesso. I beni conferiti e i loro frutti possono essere impiegati solo per la realizzazione del fine di destinazione e possono costituire oggetto
di esecuzione, salvo quanto previsto dall’articolo 2915, primo comma, solo per debiti contratti per
tale scopo”.
La disposizione in parola, in sostanza, prevede espressamente la possibilità di trascrivere
gli atti in forma pubblica con cui un soggetto (di seguito qualificato come “conferente”)
costituisce, su beni immobili o mobili iscritti in pubblici registri, un vincolo di destinazione finalizzato, per un periodo di tempo determinato (non superiore a novanta anni)
o per la durata della persona fisica beneficiaria, a realizzare interessi meritevoli di tutela
ai sensi dell’art. 1322, secondo comma, c.c., riferibili ai soggetti individuati, peraltro con
ampia formulazione, dalla stessa disposizione (cc.dd. “beneficiari”).
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PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
In estrema sintesi, con gli atti di cui trattasi è possibile costituire un vincolo di destinazione su di una massa patrimoniale che, pur restando nella titolarità giuridica del “conferente”, assume, per la durata stabilita, la connotazione di massa patrimoniale “distinta”
(separata) rispetto alla restante parte del suo patrimonio, proprio in virtù del vincolo di
destinazione impresso e reso opponibile nei confronti dei terzi con l’esecuzione della
formalità di trascrizione.
La fattispecie negoziale correlata alla disposizione in parola, se pure assimilabile, quanto
agli effetti prodotti (di tipo vincolativo), ad istituti giuridici già presenti nel nostro ordinamento – ad esempio, nell’ambito del diritto di famiglia, il fondo patrimoniale (art. 167
e seguenti c.c.), oppure, nell’ambito del diritto societario, i patrimoni destinati a specifici
affari (art. 2447-bis c.c.) – sembra caratterizzata da una connotazione del tutto atipica e
peculiare; infatti, la norma che prevede la trascrivibilità della fattispecie negoziale stessa
(art. 2645-ter c.c.) – unica disposizione di riferimento per la fattispecie - in realtà non prevede né una tipizzazione delle possibili finalità cui è preordinato il vincolo di destinazione costituito con gli atti in parola, né specifiche regole preordinate all’amministrazione o
alla gestione dei beni oggetto di vincolo.
In effetti, la disposizione in esame contiene un generico riferimento alla compatibilità
degli interessi sottesi alla costituzione dei vincoli in parola con l’art. 1322 c.c., che,
come è noto, ammette la stipulazione di contratti atipici, purché “…diretti a realizzare
interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico”.
Il generico riferimento al parametro costituito dagli “…interessi meritevoli di tutela…
ai sensi dell’art. 1322, secondo comma…” - ad avviso di autorevole dottrina - potrebbe,
quindi, rappresentare il vero punctum dolens della nuova disposizione, soprattutto in
relazione alla ineludibile esigenza di conciliare il parametro della meritevolezza degli
interessi cui è preordinata la costituzione del vincolo di destinazione con l’interesse dei
creditori del “conferente” all’integrità della garanzia patrimoniale (secondo il principio
generale contenuto nell’art. 2740 del codice civile).
La seconda parte della disposizione in esame prevede che i beni conferiti - cioè sottoposti
al vincolo di destinazione costituito con gli atti in parola - e i loro frutti possono essere
impiegati solo per la realizzazione del fine di destinazione e possono costituire oggetto di
esecuzione soltanto per debiti contratti per tale scopo, purché, in conformità al disposto
di cui all’art. 2915, comma primo, codice civile, l’atto di disposizione sia stato trascritto
anteriormente al pignoramento.
LE MODALITÀ DI ATTUAZIONE DELLA PUBBLICITÀ IMMOBILIARE
A) PROFILI GENERALI
Delineati i connotati essenziali degli atti di destinazione di cui all’art. 2645-ter c.c., occorre ora fornire alcune indicazioni finalizzate a garantire la corretta attuazione della
pubblicità immobiliare degli atti medesimi.
La possibilità di trascrivere gli atti di destinazione in parola è espressamente prevista
dall’art. 2645-ter c.c. e limitata agli atti di destinazione redatti in forma pubblica (“Gli
atti in forma pubblica…possono essere trascritti al fine di rendere opponibile ai terzi il
vincolo di destinazione…”).
La richiamata disposizione, in sostanza, ha introdotto, per gli atti di cui trattasi, un regime di facoltatività della trascrizione, ancorato al requisito minimo di forma normativamente stabilito (nella specie l’ “atto in forma pubblica”). In relazione a tale ultimo
aspetto, quindi, detta previsione normativa porterebbe ad escludere, in deroga a quanto
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previsto dall’art. 2657 c.c., la trascrivibilità di atti di destinazione redatti con la forma
della scrittura privata autenticata o accertata giudizialmente.
Quanto ai profili di merito, sembra opportuno ribadire preliminarmente la circostanza
che detti atti di destinazione producono soltanto effetti di tipo “vincolativo”. Come già
in parte accennato, infatti, i beni oggetto degli atti di destinazione, pur venendo “segregati” rispetto alla restante parte del patrimonio del “conferente” - al fine di garantire la
realizzazione degli interessi meritevoli di tutela cui è preordinato il vincolo – restano
comunque nella titolarità giuridica del “conferente” medesimo.
Nell’ambito del particolare meccanismo negoziale delineato dall’art. 2645-ter c.c., quindi,
i “beneficiari”, ricoprendo il ruolo di soggetti di riferimento degli interessi (meritevoli)
che il vincolo di destinazione è preordinato a realizzare, non sono destinatari di effetti
traslativi o costitutivi di diritti reali.
B) PROFILI APPLICATIVI
Dal punto di vista prettamente operativo, almeno nella fase di prima applicazione
dell’art. 2645-ter c.c., si ritiene che la peculiare situazione giuridica generata dagli atti di
destinazione in parola possa essere adeguatamente rappresentata, sul piano della pubblicità immobiliare, con l’esecuzione di una formalità di trascrizione redatta sulla base
dei seguenti criteri:
• Quadro A: in attesa di un eventuale adeguamento delle codifiche attualmente disponibili, nel campo “Dati relativi alla convenzione”, va indicato il codice generico “100”,
utilizzando la seguente descrizione: “Atto di destinazione per fini meritevoli di tutela ai
sensi dell’art. 2645-ter c.c.”;
• Quadro C - Soggetti: va utilizzata la sola parte “contro”, con l’indicazione degli estremi
anagrafici o dei dati identificativi del “conferente”, nonché della quota del diritto reale
oggetto dell’atto di destinazione;
• Quadro D: in questo quadro, oltre agli aspetti contenutistici essenziali dell’atto di destinazione (a mero titolo esemplificativo: durata del vincolo, eventuali regole inerenti
all’amministrazione e gestione dei beni oggetto di vincolo, cause e modalità di scioglimento del vincolo medesimo), vanno indicati, analiticamente, i beneficiari degli atti medesimi con i relativi estremi anagrafici, o con tutti i dati identificativi (se trattasi di soggetti impersonali o di enti specificamente determinati), ovvero con i criteri di individuazione (se trattasi di soggetti solo determinabili, riguardando una categoria di persone).
Va, peraltro, chiarito, che l’art. 2645-ter c.c., pur prevedendo espressamente la trascrivibilità nei pubblici registri immobiliari del vincolo in parola, non fornisce alcuna indicazione in ordine alle modalità da seguire per garantire un’adeguata pubblicità anche alle
vicende modificative-estintive del vincolo medesimo.
A tale riguardo, peraltro, va evidenziato che il decorso del periodo vincolativo – con
riferimento ad entrambe le ipotesi normativamente disciplinate (decorso del periodo di
tempo determinato dal “conferente”, non superiore a novanta anni, o durata della vita
della persona fisica beneficiaria) - comporta ex se la cessazione degli effetti giuridici del
vincolo.
Ciononostante, al fine di realizzare una esaustiva informazione della vicenda estintiva
dei vincoli in esame sui registri immobiliari, appare opportuno ipotizzare l’eseguibilità
di una formalità di annotazione a margine della trascrizione dell’atto di destinazione
costitutivo del vincolo medesimo, da qualificare come annotazione di “inefficacia”.
La predetta annotazione, che determina l’inefficacia della formalità principale (nel caso
di specie trascrizione dell’atto di destinazione), sembra infatti preferibile rispetto alla
formalità di annotazione di cancellazione che comporterebbe, invece, l’estinzione giuridica della formalità principale. Da ciò consegue che nei certificati ipotecari dovrà essere
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PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
ricompresa non soltanto la formalità di annotazione di inefficacia, ma anche la formalità
principale (trascrizione dell’atto di destinazione); e tale circostanza, considerata la peculiarità dei vincoli in questione, assume senza dubbio positivo rilievo, consentendo, sul
piano pratico, la possibilità di garantire la conoscibilità permanente delle fasi evolutive
del periodo vincolativo.
In considerazione della delicatezza della materia, nonché della sua portata innovativa e
rilevanza generale si è ritenuto opportuno acquisire sull’argomento l’autorevole parere
del Ministero della Giustizia che, con nota DAG Prot. n. 79177 del 24/7/2006, nel concordare con le indicazioni fornite con la presente Circolare - sia sotto il profilo generale che
più strettamente operativo - ha ravvisato la necessità di apportare alcune integrazioni e
modifiche, peraltro totalmente recepite dal presente testo.
Le Direzioni Regionali sono invitate a vigilare sul puntuale adempimento e sulla corretta
applicazione della presente Circolare.
Firmato: Mario Picardi
L’imposta sulle successioni e donazioni, sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte,
per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione, si applica a
partire dall’entrata in vigore della legge n. 286 del 2006, che ha introdotto l’imposta, cioè a decorrere dal 29 novembre 2006, salvo le modificazioni introdotte dai commi 77 e 78 della finanziaria
2007 che si applicano dal 1° gennaio 2007.
53
AIAF QUADERNO 2007/2
LEGGE 24 NOVEMBRE 2006, N. 286.
CONVERSIONE IN LEGGE, CON MODIFICAZIONI, DEL
DECRETO-LEGGE 3 OTTOBRE 2006, N. 262, RECANTE
DISPOSIZIONI URGENTI IN MATERIA TRIBUTARIA E FINANZIARIA.
(PUBBL. NELLA GAZZETTA UFFICIALE N. 277 DEL 28 NOVEMBRE 2006 - SUPPLEMENTO ORDINARIO N. 223)
LEGGE DI CONVERSIONE
Art. 1.
1. Il decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, recante disposizioni urgenti in materia tributaria
e finanziaria, è convertito in legge con le modificazioni riportate in allegato alla presente
legge.
2. Sono fatti salvi gli effetti prodotti dall’articolo 6 del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262,
nel testo vigente prima della data di entrata in vigore della presente legge.
3. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione
nella Gazzetta Ufficiale.
TESTO DEL DECRETO-LEGGE 262/06
COORDINATO CON LA LEGGE DI CONVERSIONE
(*) Le modifiche apportate dalla legge di conversione sono stampate con caratteri corsivi
-omissisArt. 2.
-omissis47. È istituita l’imposta sulle successioni e donazioni, sui trasferimenti di beni e
diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di
vincoli di destinazione, secondo le disposizioni del testo unico delle disposizioni
concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni, di cui al decreto legislativo 31
ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001, fatto salvo quanto previsto dai commi da 48 a 54.
48. I trasferimenti di beni e diritti per causa di morte sono soggetti all’imposta di cui al
comma 47 con le seguenti aliquote sul valore complessivo netto dei beni:
a) devoluti a favore del coniuge e dei parenti in linea retta sul valore complessivo netto eccedente, per ciascun beneficiario, 1.000.000 di euro: 4 per cento;
b) devoluti a favore degli altri parenti fino al quarto grado e degli affini in linea retta, nonché
degli affini in linea collaterale fino al terzo grado: 6 per cento;
c) devoluti a favore di altri soggetti: 8 per cento.
49. Per le donazioni e gli atti di trasferimento a titolo gratuito di beni e diritti e la
costituzione di vincoli di destinazione di beni l’imposta è determinata dall’applicazione
delle seguenti aliquote al valore globale dei beni e dei diritti al netto degli oneri da cui è gravato il beneficiario diversi da quelli indicati dall’articolo 58, comma 1, del citato testo unico
di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, ovvero, se la donazione è fatta congiunta-
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PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
mente a favore di più soggetti o se in uno stesso atto sono compresi più atti di disposizione a
favore di soggetti diversi, al valore delle quote dei beni o diritti attribuiti:
a) a favore del coniuge e dei parenti in linea retta sul valore complessivo netto eccedente, per
ciascun beneficiario, 1.000.000 di euro: 4 per cento;
b) a favore degli altri parenti fino al quarto grado e degli affini in linea retta, nonché degli
affini in linea collaterale fino al terzo grado: 6 per cento;
c) a favore di altri soggetti: 8 per cento.
50. Per quanto non disposto dai commi da 47 a 49 e da 51 a 54 si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni previste dal citato testo unico di cui al decreto legislativo 31 ottobre
1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001.
51. Con cadenza quadriennale, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze si procede all’aggiornamento degli importi esenti dall’imposta tenendo conto dell’indice del costo
della vita.
52. Sono abrogate le seguenti disposizioni:
a) articolo 7, commi da 1 a 2-quater, del testo unico di cui al decreto legislativo 31 ottobre
1990, n.
346, e successive modificazioni;
b) articolo 12, commi 1-bis e 1-ter, del testo unico di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990,
n. 346;
c) articolo 56, commi da 1 a 3, del testo unico di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n.
346, e successive modificazioni;
d) articolo 13 della legge 18 ottobre 2001, n. 383.
53. Le disposizioni dei commi da 47 a 52 hanno effetto per gli atti pubblici formati, per gli
atti a titolo gratuito fatti, per le scritture private autenticate e per le scritture private non
autenticate presentate per la registrazione dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, nonché per le successioni apertesi dal 3 ottobre 2006. Le stesse
decorrenze valgono per le imposte ipotecaria e catastale concernenti gli atti e le dichiarazioni
relativi alle successioni di cui al periodo precedente.
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AIAF QUADERNO 2007/2
LEGGE 27 DICEMBRE 2006, N. 296
LEGGE FINANZIARIA 2007
- omissis –
Art. 77
All’articolo 2 del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni, dalla
legge 24 novembre 2006, n. 286, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) nel comma 48, dopo la lettera a), e’ inserita la seguente:
“a-bis) devoluti a favore dei fratelli e delle sorelle sul valore complessivo netto eccedente,
per ciascun beneficiario, 100.000 euro: 6 per cento”;
b) nel comma 49, dopo la lettera a), e’ inserita la seguente:
“a-bis) a favore dei fratelli e delle sorelle sul valore complessivo netto eccedente, per ciascun beneficiario, 100.000 euro: 6 per cento”;
c) dopo il comma 49 e’ inserito il seguente:
“49-bis. Se il beneficiario dei trasferimenti di cui ai commi 48 e 49 e’ una persona portatrice di handicap riconosciuto grave ai sensi della legge 5 febbraio 1992, n. 104, l’imposta
si applica esclusivamente sulla parte del valore della quota o del legato che supera l’ammontare di 1.500.000 curo”.
56
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
DECRETO LEGISLATIVO 31 OTTOBRE 1990, N. 346.
TESTO UNICO DELLE DISPOSIZIONI CONCERNENTI L’IMPOSTA
SULLE SUCCESSIONI E DONAZIONI, E SUCC.MODIF.
Titolo I
DISPOSIZIONI GENERALI
Art.1. OGGETTO DELL’IMPOSTA
1. L’imposta sulle successioni e donazioni si applica ai trasferimenti di beni e diritti per
successione a causa di morte ed ai trasferimenti di beni e diritti per donazione o altra
liberalità tra vivi.
2. Si considerano trasferimenti anche la costituzione di diritti reali di godimento, la rinunzia a diritti reali o di credito e la costituzione di rendite o pensioni.
3. L’imposta si applica anche nei casi di immissione nel possesso temporaneo dei beni
dell’assente e di dichiarazione di morte presunta, nonché nei casi di donazione presunta
di cui all’art.26 del testo unico sull’imposta di registro approvato con decreto del Presidente della Repubblica 26-4-1986, n.131.
4. L’imposta non si applica nei casi di donazione o liberalità di cui agli artt. 742 e 783 del
codice civile.
4.bis Ferma restando l’applicazione dell’imposta anche alle liberalità indirette risultanti
da atti soggetti a registrazione, l’imposta non si applica nei casi di donazioni o di altre
liberalità collegate ad atti concernenti il trasferimento o la costituzione di diritti immobiliari ovvero il trasferimento di aziende, qualora per l’atto sia prevista l’applicazione
dell’imposta di registro, in misura proporzionale, o dell’imposta sul valore aggiunto
Art.2. TERRITORIALITÀ DELL’IMPOSTA
1. L’imposta è dovuta in relazione a tutti i beni e diritti trasferiti, ancorché esistenti
all’estero.
2. Se alla data dell’apertura della successione o a quella della donazione il defunto o il
donante non era residente nello Stato, l’imposta è dovuta limitatamente ai beni e ai diritti
ivi esistenti.
3. Agli effetti del comma 2 si considerano in ogni caso esistenti nello Stato:
a) i beni e i diritti iscritti in pubblici registri dello Stato e i diritti reali di godimento ad
essi relativi;
b) le azioni o quote di società, nonché le quote di partecipazione in enti diversi dalle
società, che hanno nel territorio dello Stato la sede legale o la sede dell’amministrazione
o l’oggetto principale;
c) le obbligazioni e gli altri titoli in serie o di massa diversi dalle azioni, emessi dallo Stato
o da società ed enti di cui alla lettera b);
d) i crediti, le cambiali, i vaglia cambiari e gli assegni di ogni specie, se il debitore, il trattario o l’emittente è residente nello Stato;
e) i titoli rappresentativi di merci esistenti nello Stato;
f) i crediti garantiti su beni esistenti nello Stato fino a concorrenza del valore dei beni
medesimi, indipendentemente dalla residenza del debitore;
g) i beni viaggianti in territorio estero con destinazione nello Stato o vincolati al regime
doganale della temporanea esportazione.
4. Non si considerano esistenti nel territorio dello Stato i beni viaggianti con destinazione
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AIAF QUADERNO 2007/2
all’estero o vincolati al regime doganale della temporanea importazione.
Art.3. TRASFERIMENTI NON SOGGETTI ALL’IMPOSTA
1. Non sono soggetti all’imposta i trasferimenti a favore dello Stato, delle regioni, delle
province e dei comuni, né quelli a favore di enti pubblici e di fondazioni o associazioni
legalmente riconosciute, che hanno come scopo esclusivo l’assistenza, lo studio, la ricerca
scientifica, l’educazione, l’istruzione o altre finalità di pubblica utilità.
2. I trasferimenti a favore di enti pubblici e di fondazioni o associazioni legalmente riconosciute, diversi da quelli indicati nel comma 1, non sono soggetti all’imposta se sono
stati disposti per le finalità di cui allo stesso comma.
3. Nei casi di cui al comma 2 il beneficiario deve dimostrare, entro cinque anni dall’accettazione dell’eredità o della donazione o dall’acquisto del legato, di avere impiegato i beni
o diritti ricevuti o la somma ricavata dalla loro alienazione per il conseguimento delle
finalità indicate dal testatore o dal donante. In mancanza di tale dimostrazione esso è
tenuto al pagamento dell’imposta con gli interessi legali dalla data in cui avrebbe dovuto
essere pagata.
4. Le disposizioni del presente articolo si applicano a condizione di reciprocità per gli
enti pubblici esteri e per le fondazioni e associazioni costituite all’estero.
4 bis. Non sono soggetti all’imposta i trasferimenti a favore di movimenti e partiti politici.
4 ter. I trasferimenti, effettuati anche tramite i patti di famiglia di cui agli articoli 768bis e seguenti del codice civile a favore dei discendenti, di aziende o rami di esse, di
quote sociali e azioni non sono soggetti all’imposta.
In caso di quote sociali o azioni di soggetti di cui all’articolo 73, comma 1, lettera a), del
testo unico delle imposte sui redditi di cui al decreto del Presidente della Repubblica
22 dicembre 1986 n. 917, il beneficio spetta limitatamente alle partecipazioni mediante le quali è acquisito o integrato il controllo ai sensi dell’art. 2359, primo comma,
numero 1) del codice civile. Il beneficio si applica a condizione che gli aventi causa
proseguano l’esercizio dell’attività d’impresa o detengano il controllo per un periodo
non inferiore a cinque anni dalla data del trasferimento, rendendo, contestualmente
alla presentazione della dichiarazione di successione o all’atto di donazione, apposita
dichiarazione in tal senso. Il mancato rispetto della condizione di cui al periodo precedente comporta la decadenza dal beneficio, il pagamento dell’imposta in misura ordinaria, della sanzione amministrativa prevista dall’articolo 13 del decreto legislativo 18
dicembre 1997, n. 471, e degli interessi di mora decorrenti dalla data in cui l’imposta
medesima avrebbe dovuto essere pagata.
Art.4. ALIQUOTE
(abrogato)
Art.5. SOGGETTI PASSIVI
1. L’imposta è dovuta dagli eredi e dai legatari per le successioni, dai donatari per le
donazioni e dai beneficiari per le altre liberalità tra vivi.
2. Ai fini dell’imposta sono considerati parenti in linea retta anche i genitori e i figli naturali, i rispettivi ascendenti e discendenti in linea retta, gli adottanti e gli adottati, gli affilianti e gli affiliati. La parentela naturale, se il figlio non è stato legittimato o riconosciuto
o non è riconoscibile, deve risultare da sentenza civile o penale, anche indirettamente,
ovvero la dichiarazione scritta del genitore verificata, se il valore imponibile dei beni o
diritti trasferiti al parente naturale è superiore a lire quarantamilioni, secondo le disposizioni degli artt. 2 e 3 della legge 19-1-1942, n.23 (inerente l’adeguamento dell’imposta
successoria alle quote ereditarie spettanti ai figli naturali).
58
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
Art.6. UFFICIO COMPETENTE
1. Competente per l’applicazione dell’imposta alle successioni è l’ufficio del registro nella
cui circoscrizione era l’ultima residenza del defunto o, se questa era all’estero o non è
nota, l’ufficio del registro di Roma.
2. La competenza per l’applicazione dell’imposta alle donazioni è determinata secondo
le disposizioni relative all’imposta di registro.
Titolo II
APPLICAZIONE DELL’IMPOSTA ALLE SUCCESSIONI
Capo I
DETERMINAZIONE DELL’IMPOSTA
Art.7. DETERMINAZIONE DELL’IMPOSTA
1. I trasferimenti di beni e diritti per causa di morte sono soggetti all’imposta con le seguenti aliquote sul valore complessivo netto dei beni:
a) devoluti a favore del coniuge e dei parenti in linea retta sul valore complessivo netto
eccedente, per ciascun beneficiario, 1.000.000 di euro: 4%;
b) devoluti a favore degli altri parenti fino al quarto grado e degli affini in linea retta,
nonché degli affini in linea collaterale fino al terzo grado: 6%;
c) devoluti a favore degli altri soggetti: 8%.
3. Sull’imposta determinata a norma dei commi 1 (e 2) si applicano, quando ne ricorrono
i presupposti, le riduzioni e le detrazioni stabilite negli articoli 25 e 26.
4. Fino a quando l’eredità non è stata accettata, o non è stata accettata da tutti i chiamati,
l’imposta è determinata considerando come eredi i chiamati che non vi hanno rinunziato.
Art.8. BASE IMPONIBILE
1. Il valore globale netto dell’asse ereditario è costituito dalla differenza tra il valore complessivo, alla data dell’apertura della successione, dei beni e dei diritti che compongono l’attivo ereditario, determinato secondo le disposizioni degli artt. da 14 a 19, e l’ammontare complessivo delle passività deducibili e degli oneri diversi da quelli indicati
nell’art.46, comma 3.
1 bis. Resta comunque ferma l’esclusione dell’avviamento nella determinazione della
base imponibile delle aziende, delle azioni, delle quote sociali.
2. In caso di fallimento del defunto si tiene conto delle sole attività che pervengono agli
eredi e ai legatari a seguito della chiusura del fallimento.
3. Il valore dell’eredità o delle quote ereditarie è determinato al netto dei legati e degli
altri oneri che le gravano, quello dei legati al netto degli oneri da cui sono gravati.
4. Il valore globale netto dell’asse ereditario è maggiorato, ai soli fini della determinazione delle aliquote applicabili a norma dell’art.7, di un importo pari al valore attuale complessivo di tutte le donazioni fatte dal defunto agli eredi e ai legatari, comprese quelle
presunte di cui all’art.1, comma 3, ed escluse quelle indicate all’art.1, comma 4, e quelle
registrate gratuitamente o con pagamento dell’imposta in misura fissa a norma degli artt.
55 e 59; il valore delle singole quote ereditarie o dei singoli legati è maggiorato, agli stessi
fini, di un importo pari al valore attuale delle donazioni fatte a ciascun erede o legatario.
Per valore attuale delle donazioni anteriori si intende il valore dei beni e dei diritti donati
alla data dell’apertura della successione, riferito alla piena proprietà anche per i beni
donati con riserva di usufrutto o altro diritto reale di godimento.
59
AIAF QUADERNO 2007/2
Capo II
BASE IMPONIBILE
Sezione I
ATTIVO EREDITARIO
Art.9. ATTIVO EREDITARIO
1. L’attivo ereditario è costituito da tutti i beni e i diritti che formano oggetto della successione, ad esclusione di quelli non soggetti all’imposta a norma degli artt. 2, 3, 12 e 13.
2. Si considerano compresi nell’attivo ereditario denaro, gioielli e mobilia per un importo pari al dieci per cento del valore globale netto imponibile dell’asse ereditario anche
se non dichiarati o dichiarati per un importo minore, salvo che da inventario analitico
redatto a norma degli artt. 769 e seguenti del codice di procedura civile non ne risulti
l’esistenza per un importo diverso.
3. Si considera mobilia l’insieme dei beni mobili destinati all’uso o all’ornamento delle
abitazioni, compresi i beni culturali non sottoposti al vincolo di cui all’art.13.
Art.10. BENI ALIENATI NEGLI ULTIMI SEI MESI
(abrogato)
Art.11. PRESUNZIONE DI APPARTENENZA ALL’ATTIVO EREDITARIO
1. Si considerano compresi nell’attivo ereditario:
a) i titoli di qualsiasi specie il cui reddito è stato indicato nell’ultima dichiarazione dei
redditi presentata dal defunto, salvo quanto disposto nell’art.12, comma 1, lettera b);
b) i beni mobili e i titoli al portatore di qualsiasi specie posseduti dal defunto o depositati
presso altri a suo nome.
2. Per i beni e i titoli di cui al comma 1, lettera b), depositati a nome del defunto e di
altre persone, compresi quelli contenuti in cassette di sicurezza o altri contenitori di cui
all’art.48, commi 6 e 7, per la azioni e altri titoli cointestati e per i crediti di pertinenza
del defunto e di altre persone, compresi quelli derivanti da depositi bancari e da conti
correnti bancari e postali cointestati, le quote di ciascuno si considerano uguali se non risultano diversamente determinate. Se i cointestatari sono eredi o legatari i beni e i diritti,
salvo prova contraria, si considerano appartenenti esclusivamente al defunto; questa disposizione non si applica per i beni e i diritti cointestati al coniuge che formavano oggetto
della comunione di cui agli artt. 177 e seguenti del codice civile.
3. Le partecipazioni in società di ogni tipo si considerano comprese nell’attivo ereditario
anche se per clausola del contratto di società o dell’atto costitutivo o per patto parasociale
ne sia previsto a favore di altri soci il diritto di accrescimento o il diritto di acquisto ad un
prezzo inferiore al valore di cui all’art.16, comma 1. In tal caso, se i beneficiari del diritto
di accrescimento o di acquisto sono eredi o legatari, il valore della partecipazione si aggiunge a quello della quota o del legato; se non sono eredi o legatari la partecipazione è
considerata come oggetto di un legato a loro favore.
Art.12. BENI NON COMPRESI NELL’ATTIVO EREDITARIO
1. Non concorrono a formare l’attivo ereditario:
a) i beni e i diritti iscritti a nome del defunto nei pubblici registri, quando è provato,
mediante provvedimento giurisdizionale, atto pubblico, scrittura privata autenticata o
altra scrittura avente data certa, che egli ne aveva perduto la titolarità, salvo il disposto
dell’art.10;
b) le azioni e i titoli nominativi intestati al defunto, alienati anteriormente all’apertura
della successione con atto autentico o girata autenticata, salvo il disposto dell’art.10;
c) le indennità di cui agli artt. 1751, ultimo comma, e 2122 del codice civile e le indennità
60
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
spettanti per diritto proprio agli eredi in forza di assicurazioni previdenziali obbligatorie
o stipulate dal defunto;
d) i crediti verso lo Stato, gli enti pubblici territoriali e gli enti pubblici che gestiscono
forme obbligatorie di previdenza e di assistenza sociale, compresi quelli per rimborso
di imposte o di contributi, fino a quando non siano riconosciuti con provvedimento
dell’amministrazione debitrice;
e) i crediti contestati giudizialmente alla data di apertura della successione, fino a quando la loro sussistenza non sia riconosciuta con provvedimento giurisdizionale o con transazione;
f) i crediti ceduti allo Stato entro la data di presentazione della dichiarazione della successione;
g) i beni culturali di cui all’art.13, alle condizioni ivi stabilite;
h) i titoli del debito pubblico, fra i quali si intendono compresi i buoni ordinari del tesoro
e i certificati di credito del tesoro;
i) gli altri titoli di Stato, garantiti dallo Stato o equiparati, nonché ogni altro bene o diritto,
dichiarati esenti dall’imposta da norme di legge;
l) i veicoli iscritti nel pubblico registro automobilistico.
Art.13. BENI CULTURALI
1. I beni culturali di cui agli artt. 1, 2 e 5 della legge 1-6-1939, n.1089, e all’art.36 del decreto del Presidente della Repubblica 30-9-1963, n.1409, sono esclusi dall’attivo ereditario se
sono stati sottoposti al vincolo ivi previsto anteriormente all’apertura della successione e
sono stati assolti i conseguenti obblighi di conservazione e protezione.
2. L’erede o legatario deve presentare l’inventario dei beni di cui al comma 1 che ritiene
non debbano essere compresi nell’attivo ereditario, con la descrizione particolareggiata
degli stessi e con ogni notizia idonea alla loro identificazione, al competente organo periferico del Ministero per i beni culturali e ambientali, il quale attesta per ogni singolo bene
l’esistenza del vincolo e l’assolvimento degli obblighi di conservazione e protezione. L’attestazione deve essere presentata all’ufficio del registro in allegato alla dichiarazione della successione o, se non vi sono altri beni ereditari, nel termine stabilito per questa.
3. Contro il rifiuto dell’attestazione è ammesso ricorso gerarchico al Ministro, il quale
decide sentito il Consiglio nazionale per i beni culturali ed ambientali; la decisione di
accoglimento del ricorso deve essere presentata in copia, entro trenta giorni dalla sua
comunicazione, all’ufficio del registro competente, che provvede al rimborso dell’eventuale maggiore imposta pagata.
4. L’alienazione in tutto o in parte dei beni di cui al comma 1 prima che sia decorso un
quinquennio dall’apertura della successione, la loro tentata esportazione non autorizzata, il mutamento di destinazione degli immobili non autorizzato e il mancato assolvimento degli obblighi prescritti per consentire
l’esercizio del diritto di prelazione dello Stato determinano l’inclusione dei beni nell’attivo ereditario. L’amministrazione dei beni culturali e ambientali ne dà immediata comunicazione all’ufficio del registro competente; dalla data di ricevimento della comunicazione inizia a decorrere il termine di cui all’art.27, comma 3 o comma 4.
5. Per i territori della regione siciliana e delle province autonome di Trento e di Bolzano
agli adempimenti di cui al presente articolo provvedono gli organi rispettivamente competenti.
Sezione II
VALORE DEI BENI E DEI DIRITTI
Art.14. BENI IMMOBILI E DIRITTI REALI IMMOBILIARI
1. La base imponibile, relativamente ai beni immobili compresi nell’attivo ereditario, è
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AIAF QUADERNO 2007/2
determinata assumendo:
a) per la piena proprietà, il valore venale in comune commercio alla data di apertura
della successione;
b) per la proprietà gravata da diritti reali di godimento, la differenza tra il valore della
piena proprietà e quello del diritto di cui è gravata;
c) per i diritti di usufrutto, uso e abitazione, il valore determinato a norma dell’art.17 sulla
base di annualità pari all’importo ottenuto moltiplicando il valore della piena proprietà
per il saggio legale di interesse;
d) per il diritto dell’enfiteuta, il centuplo del canone annuo ovvero, se maggiore, la differenza tra il valore della piena proprietà e la somma dovuta per l’affrancazione; per il
diritto del concedente la somma dovuta per l’affrancazione.
Art. 15. AZIENDE, NAVI E AEROMOBILI
1. La base imponibile, relativamente alle aziende comprese nell’attivo ereditario, è determinata assumendo il valore complessivo, alla data di apertura della successione, dei beni
e dei diritti che le compongono, esclusi i beni indicati nell’art. 12, al netto delle passività
risultanti a norma degli articoli da 21 a 23. Se il defunto era obbligato alla redazione
dell’inventario di cui all’art. 2217 del codice civile, si ha riguardo alle attività e alle passività indicate nell’ultimo inventario regolarmente redatto e vidimato, tenendo conto dei
mutamenti successivamente intervenuti.
2. Il valore delle navi o imbarcazioni e degli aeromobili che non fanno parte di aziende,
è desunto dai prezzi mediamente praticati sul mercato per beni della stessa specie di
nuova costruzione, tenendo conto del tempo trascorso dall’acquisto e dello stato di conservazione.
3. In caso di usufrutto o di uso dei beni indicati nei commi 1 e 2 si applicano le disposizioni dell’art.14, comma 1, lettere b) e c).
Art.16. AZIONI E OBBLIGAZIONI, ALTRI TITOLI, QUOTE SOCIALI
1. La base imponibile, relativamente alle azioni, obbligazioni, altri titoli e quote sociali
compresi nell’attivo ereditario, è determinata assumendo:
a) per i titoli quotati in borsa o negoziati al mercato ristretto, la media dei prezzi di
compenso o dei prezzi fatti nell’ultimo trimestre anteriore all’apertura della successione,
maggiorata dei dietimi o degli interessi successivamente maturati, e in mancanza il valore di cui alle lettere successive;
b) per le azioni e per i titoli o quote di partecipazione al capitale di enti diversi dalle società, non quotate in borsa, né negoziati al mercato ristretto, nonché per le quote di società
non azionarie, comprese le società semplici e le società di fatto, il valore proporzionalmente corrispondente al valore, alla data di apertura della successione, del patrimonio
netto dell’ente o della società risultante dall’ultimo bilancio pubblicato o dall’ultimo inventario regolarmente redatto e vidimato, tenendo conto dei mutamenti sopravvenuti,
ovvero, in mancanza di bilancio o inventario, al valore complessivo dei beni e dei diritti
appartenenti all’ente o alla società al netto delle passività risultanti a norma degli articoli
da 21 a 23, escludendo i beni indicati alle lettere h) e i) dell’art.12;
c) per i titoli o quote di partecipazione a fondi comuni d’investimento, il valore risultante
da pubblicazioni fatte o prospetti redatti a norma di legge o regolamento;
d) per le obbligazioni e gli altri titoli diversi da quelli indicati alle lettere a), b) e c) il
valore comparato a quello dei titoli aventi analoghe caratteristiche quotati in borsa o
negoziati al mercato ristretto o in mancanza desunto da altri elementi certi.
2. In caso di usufrutto si applicano le disposizioni dell’art.14, comma 1, lettere b) e c).
Art. 17. RENDITE E PENSIONI
1. La base imponibile, relativamente alle rendite e pensioni comprese nell’attivo eredita-
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PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
rio, è determinata assumendo
a) il ventuplo dell’annualità, se si tratta di rendita perpetua o a tempo indeterminato;
b) il valore attuale dell’annualità, calcolato al saggio legale di interesse e non superiore
al ventuplo della stessa, se si tratta di rendita o pensione a tempo determinato, se è prevista la cessazione per effetto della morte del beneficiario o di persona diversa, il valore
non può superare quello determinato a norma della lettera c) con riferimento alla durata
massima;
c) il valore che si ottiene moltiplicando l’annualità per il coefficiente applicabile, secondo
il prospetto allegato al Testo unico sull’imposta di registro, approvato con decreto del
presidente della repubblica 26 aprile 1986, n. 131, in relazione all’età della persona alla
cui morte essa deve cessare, se si tratta di rendita o pensione vitalizia; in caso di rendita
o pensione costituita congiuntamente a favore di più persone si tiene conto dell’età del
meno giovane dei beneficiari se è prevista la cessazione con la morte di uno qualsiasi
di essi, dell’età del più giovane se vi è diritto di accrescimento fra loro; se è prevista la
cessazione per effetto della morte di persona diversa dai beneficiari si tiene conto dell’età
di questa.
Art.18. CREDITI
1. La base imponibile, relativamente ai crediti compresi nell’attivo ereditario, è determinata assumendo:
a) per i crediti fruttiferi, il loro importo con gli interessi maturati;
b) per i crediti infruttiferi con scadenza dopo almeno un anno dalla data dell’apertura
della successione, il loro valore attuale calcolato al saggio legale di interesse;
c) per i crediti in natura il valore dei beni che ne sono oggetto;
d) per il diritto alla liquidazione delle quote di società semplici, in nome collettivo e in
accomandita semplice e di quelle a esse equiparate ai fini delle imposte sui redditi, di cui
all’art. 2289 del codice civile, il valore delle quote determinato a norma dell’art.16.
Art.19. ALTRI BENI
1. La base imponibile, relativamente ai beni e ai diritti compresi nell’attivo ereditario
diversi da quelli contemplati nell’art.9, secondo comma, e negli artt. da 14 a 18, è determinata assumendo il valore venale in comune commercio alla data di apertura della
successione.
2. In caso di usufrutto o di uso si applicano le disposizioni dell’art.14, primo comma,
lettere b) e c).
Sezione III
PASSIVITÀ DEDUCIBILI
Art.20. PASSIVITÀ DEDUCIBILI
1. Le passività deducibili sono costituite dai debiti del defunto esistenti alla data di apertura della successione e dalle spese mediche e funerarie indicate nell’art.24.
2. La deduzione è ammessa alle condizioni e nei limiti di cui agli artt. da 21 a 24.
Art.21.
CONDIZIONI DI DEDUCIBILITÀ DEI DEBITI
1. I debiti del defunto devono risultare da atto scritto di data certa anteriore all’apertura
della successione o da provvedimento giurisdizionale definitivo.
2. I debiti inerenti all’esercizio di imprese sono ammessi in deduzione anche se risultano
dalle scritture contabili obbligatorie del defunto regolarmente tenute a norma di legge.
3. Se il defunto non era obbligato alla tenuta di scritture contabili, i debiti cambiari e i
debiti verso istituti di credito o aziende, compresi i saldi passivi dei conti correnti, sono
ammessi in deduzione anche se risultano dalle scritture contabili obbligatorie, regolar63
AIAF QUADERNO 2007/2
mente tenute a norma di legge, del trattario o del prenditore o dell’azienda o istituto di
credito.
4. I debiti derivanti da rapporti di lavoro subordinato, compresi quelli relativi al trattamento di fine rapporto e ai trattamenti previdenziali integrativi, sono deducibili nell’ammontare maturato alla data di apertura della successione, anche se il rapporto continua
con gli eredi o i legatari.
5. I debiti verso lo Stato, gli enti pubblici territoriali e gli enti pubblici che gestiscono forme obbligatorie di previdenza e di assistenza sociale, esistenti alla data di apertura della
successione, nonché i debiti tributari, il cui presupposto si è verificato anteriormente alla
stessa data, sono deducibili anche se accertati in data posteriore.
6. Per debito del defunto si intende anche quello di somme dovute al coniuge divorziato,
a seguito di sentenza di scioglimento di matrimonio o di cessazione di effetti civili dello
stesso.
Art.22. LIMITI ALLA DEDUCIBILITÀ DEI DEBITI
1. Non sono deducibili i debiti contratti per l’acquisto di beni o di diritti non compresi
nell’attivo ereditario; se i beni o i diritti acquistati vi sono compresi solo in parte la deduzione è ammessa proporzionalmente al valore di tale parte.
2. I debiti contratti dal defunto negli ultimi sei mesi sono deducibili nei limiti in cui il
relativo importo è stato impiegato nei modi indicati nell’art.10, terzo comma, lettere d), e)
ed f); negli stessi limiti sono computati, per la determinazione del saldo dei conti correnti
bancari, gli addebitamenti dipendenti da assegni emessi e da operazioni fatte negli ultimi sei mesi. Le disposizioni del presente comma non si applicano per i debiti contratti, le
operazioni fatte e gli assegni emessi nell’esercizio di imprese o di arti e professioni.
3. Nella determinazione del saldo dei conti correnti bancari non si tiene conto degli addebitamenti dipendenti da assegni non presentati al pagamento almeno quattro giorni
prima dell’apertura della successione.
4. I debiti di pertinenza del defunto e di altre persone, compresi i saldi passivi dei conti
correnti bancari cointestati, sono deducibili nei limiti della quota del defunto; le quote
dei condebitori si considerano uguali se non risultano diversamente determinate.
Art.23. DIMOSTRAZIONE DEI DEBITI
1. La deduzione dei debiti è subordinata alla produzione, in originale o in copia autentica, del titolo o provvedimento di cui all’art.21, primo comma, ovvero:
a) di estratto notarile delle scritture contabili obbligatorie del defunto, per i debiti inerenti all’esercizio di imprese;
b) di estratto notarile delle scritture contabili obbligatorie del trattario o del prenditore,
per i debiti cambiari;
c) di attestazione rilasciata dall’amministrazione creditrice, o di copia autentica della
quietanza del pagamento avvenuto dopo l’apertura della successione, per i debiti verso
pubbliche amministrazioni;
d) di attestazione rilasciata dall’ispettorato provinciale del lavoro, per i debiti verso i
lavoratori dipendenti.
2. La deduzione dei debiti verso istituti di credito o aziende, anche se risultanti nei modi
indicati nel primo comma, è subordinata alla produzione di un certificato, rilasciato
dall’ente creditore entro trenta giorni dalla richiesta scritta di uno dei soggetti obbligati
alla dichiarazione della successione e controfirmato dal capo del servizio o dal contabile
addetto al servizio. Il certificato deve attestare l’esistenza totale o parziale di ciascun debito con la specificazione di tutti gli altri rapporti debitori o creditori, compresi i riporti e
le garanzie anche di terzi, esistenti con il defunto alla data di apertura della successione
presso tutte le sedi, agenzie, filiali o altre ripartizioni territoriali dell’azienda o istituto
di credito; per i saldi passivi dei conti correnti dal certificato deve risultare l’integrale
64
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
svolgimento del conto dal dodicesimo mese anteriore all’apertura della successione o, se
precedente, dall’ultimo saldo attivo.
3. La sussistenza dei debiti alla data di apertura della successione, se non risulta da uno
dei documenti di cui ai commi primo e secondo, deve risultare da attestazione conforme
al modello approvato con decreto del Ministro delle finanze, sottoscritta da uno dei soggetti obbligati alla dichiarazione della successione nonché, tranne che per i debiti verso
i dipendenti, dai creditori del defunto ovvero, per le passività indicate nell’art.16, primo
comma, lettera b), dal legale rappresentante della società o dell’ente. Le firme devono
essere autenticate.
4. L’esistenza di debiti deducibili, ancorché non indicati nella dichiarazione della successione, può essere dimostrata, nei modi stabiliti nei commi primo, secondo e terzo, entro
il termine di tre anni dalla data di apertura della successione, prorogato, per i debiti risultanti da provvedimenti giurisdizionali e per i debiti verso pubbliche amministrazioni,
fino a sei mesi dalla data in cui il relativo provvedimento amministrativo o giurisdizionale è divenuto definitivo.
Art.24. SPESE MEDICHE E SPESE FUNERARIE
1. Le spese mediche e chirurgiche relative al defunto negli ultimi sei mesi di vita sostenute dagli eredi, comprese quelle per ricoveri, medicinali e protesi, sono deducibili a
condizione che risultino da regolari quietanze, anche se di data anteriore all’apertura
della successione.
2. Le spese funerarie risultanti da regolari quietanze sono deducibili in misura non superiore a lire due milioni.
Capo III
RIDUZIONI E DETRAZIONI
Art.25. RIDUZIONI DELL’IMPOSTA
1. Se la successione è aperta entro cinque anni da altra successione o da una donazione
avente per oggetto gli stessi beni e diritti, l’imposta è ridotta di un importo inversamente
proporzionale al tempo trascorso, in ragione di un decimo per ogni anno o frazione di
anno; se nella successione non sono compresi tutti i beni e diritti oggetto della precedente successione o donazione o sono compresi anche altri beni o diritti, la riduzione si
applica sulla quota di imposta proporzionale al valore dei beni e dei diritti compresi in
entrambe.
2. Se nell’attivo ereditario sono compresi beni immobili culturali di cui all’art.13, non
sottoposti anteriormente all’apertura della successione al vincolo previsto dall’art.2 della
legge 1° giugno 1939 n.1089, l’imposta dovuta dall’erede o legatario al quale sono devoluti è ridotta dell’importo proporzionalmente corrispondente al 50% del loro valore.
L’erede o legatario deve presentare l’inventario dei beni per i quali ritiene spettante la
riduzione, con la descrizione particolareggiata degli stessi e con ogni notizia idonea alla
loro identificazione, al competente organo periferico del ministero per i beni e le attività
culturali, il quale attesta per ogni singolo bene l’esistenza delle caratteristiche di cui alla
legge 1° giugno 1939, n.1089; l’attestazione deve essere allegata alla dichiarazione della
successione. L’accertamento positivo delle caratteristiche di cui alla predetta legge comporta la sottoposizione dell’immobile al vincolo ivi previsto. Si applicano le disposizioni
dell’art.13, commi 3, 4 e 5.
3. Se nell’attivo ereditario sono compresi fondi rustici, incluse le costruzioni rurali, anche se non insistenti sul fondo, di cui all’art. 39 del Testo unico delle imposte sui redditi
approvato con decreto del presidente della repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, devoluti
al coniuge, a parenti in linea retta o a fratelli o sorelle del defunto, l’imposta dovuta
dall’erede o legatario al quale sono devoluti è ridotta dell’importo proporzionalmente
65
AIAF QUADERNO 2007/2
corrispondente al 40% della parte del loro valore complessivo non superiore a lire 200
milioni. La riduzione compete a condizione che l’erede o legatario sia coltivatore diretto,
che la devoluzione avvenga nell’ambito di una famiglia diretto-coltivatrice e che l’esistenza di questi requisiti risulti da attestazione dell’ufficio regionale competente allegata alla dichiarazione della successione. E’ diretto-coltivatrice la famiglia che si dedica
direttamente e abitualmente alla coltivazione dei fondi e all’allevamento e governo del
bestiame, sempreché la complessiva forza lavorativa del nucleo familiare non sia inferiore al terzo di quella occorrente per le normali necessità della coltivazione del fondo
e dell’allevamento e del governo del bestiame; ai fini del calcolo della forza lavorativa il
lavoro della donna è equiparato a quello dell’uomo.
4. Se nell’attivo ereditario sono compresi immobili o parti di immobili adibiti all’esercizio
dell’impresa, devoluti al coniuge o a parenti in linea retta entro il terzo grado del defunto
nell’ambito di un’impresa artigiana familiare, come definita dalla legge 8 agosto 1985, n.
443, e dall’art. 230-bis del codice civile, l’imposta dovuta dall’erede o legatario al quale sono devoluti è ridotta dell’importo proporzionalmente corrispondente al 40% della
parte del loro valore complessivo non superiore a lire 200 milioni, a condizione che l’esistenza dell’impresa familiare artigiana risulti dall’atto pubblico o dalla scrittura privata
autenticata di cui all’art.5, comma 4, lettera a), del Testo unico delle imposte sui redditi,
approvato con decreto del presidente della repubblica 22 dicembre 1986, n.917,
4-bis. Se nell’attivo ereditario sono compresi, purché ubicati in comuni montani con meno
di 5 mila abitanti o nelle frazioni con meno di mille abitanti anche se situate in comuni
montani di maggiori dimensioni, aziende, quote di società di persone o beni strumentali
di cui all’art.40 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del presidente della repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, trasferiti al coniuge o al parente entro il
terzo grado del defunto, l’imposta dovuta dal beneficiario è ridotta dell’importo proporzionale corrispondente al 40% della parte del loro valore complessivo, a condizione che
gli aventi causa proseguano effettivamente l’attività imprenditoriale per un periodo non
inferiore a cinque anni dalla data del trasferimento. Il beneficiario deve dimostrare detta
condizione entro 60 giorni dalla scadenza del suindicato termine mediante dichiarazione
da presentare presso l’ufficio competente ove sono registrate la denuncia o l’atto; in mancanza di tale dimostrazione il beneficiario stesso è tenuto al pagamento dell’imposta in
misura ordinaria con gli interessi di mora, decorrenti dalla data in cui l’imposta medesima avrebbe dovuto essere pagata, Per il pagamento dell’imposta di successione relativa
all’ipotesi di cui al presente comma si applicano le disposizioni previste dall’art.38.
4-ter. Le agevolazioni di cui al comma 4-bis riapplicano anche in caso di donazioni.
Art.26. DETRAZIONE DI ALTRE IMPOSTE
1. Dall’imposta determinata a norma degli articoli precedenti si detraggono:
(…)
b) le imposte pagate ad uno Stato estero, in dipendenza della stessa successione ed in
relazione a beni esistenti in tale Stato, fino a concorrenza della parte dell’imposta di successione proporzionale al valore dei beni stessi, salva l’applicazione di trattati o accordi
internazionali.
Capo IV
ACCERTAMENTO E LIQUIDAZIONE DELL’IMPOSTA
Art.27. PROCEDIMENTO E TERMINI
1. La successione deve essere dichiarata all’ufficio del registro, a norma degli artt. da 28
a 30, nel termine stabilito dall’art.31.
2. L’imposta è liquidata dall’ufficio in base alla dichiarazione della successione, a norma
dell’art.33, ed è nuovamente liquidata, a norma dello stesso articolo, in caso di successi-
66
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
va presentazione di dichiarazione sostitutiva o integrativa di cui all’art.28, comma 6. La
liquidazione deve essere notificata, mediante avviso, entro il termine di decadenza di tre
anni dalla data di presentazione della dichiarazione della successione o della dichiarazione sostitutiva o integrativa.
3. Successivamente l’ufficio, se ritiene che la dichiarazione, o la dichiarazione sostitutiva o integrativa, sia incompleta o infedele ai sensi dell’art.32, commi 2 e 3, procede alla
rettifica e alla liquidazione della maggiore imposta a norma dell’art.34. La rettifica deve
essere notificata, mediante avviso, entro il termine di decadenza di due anni dalla data
in cui è stata notificata la liquidazione di cui al comma 2.
4. Se la dichiarazione della successione è stata omessa, l’imposta è accertata e liquidata
d’ufficio a norma dell’art.35. Se è stata omessa la dichiarazione sostitutiva o la dichiarazione integrativa di cui all’art.28, comma 6, si procede d’ufficio, rispettivamente, alla
riliquidazione dell’imposta o alla liquidazione della maggiore imposta. L’avviso deve
essere notificato entro il termine di decadenza di cinque anni dalla scadenza del termine
per la presentazione della dichiarazione omessa.
5. Se nelle liquidazioni di cui ai commi 2, 3 e 4 vi sono stati errori od omissioni, l’ufficio
può provvedere alla correzione e liquidare la maggiore imposta che ne risulta dovuta. Il
relativo avviso deve essere notificato entro il termine di decadenza stabilito per la liquidazione alla quali si riferisce la correzione.
6. L’imposta è dovuta anche se la dichiarazione è presentata oltre il termine di decadenza
stabilito nel comma 4; in questo caso le disposizioni dei commi 2, 3 e 5 si applicano con
riferimento a tale dichiarazione.
7. E’ principale l’imposta liquidata in base alle dichiarazioni presentate, complementare
l’imposta o maggiore imposta, liquidata in sede di accertamento d’ufficio o di rettifica,
suppletiva quella liquidata per correggere errori od omissioni di una precedente liquidazione.
Art.28. DICHIARAZIONE DELLA SUCCESSIONE
1. La dichiarazione della successione deve essere presentata all’ufficio del registro competente, che ne rilascia ricevuta; può essere spedita per raccomandata e si considera presentata, in tal caso, nel giorno in cui è consegnata all’ufficio postale, che appone su di essa
o sul relativo involucro il timbro a calendario.
2. Sono obbligati a presentare la dichiarazione: i chiamati all’eredità e i legatari, anche
nel caso di apertura della successione per dichiarazione di morte presunta, ovvero i loro
rappresentanti legali; gli immessi nel possesso temporaneo dei beni dell’assente; gli amministratori dell’eredità e i curatori delle eredità giacenti; gli esecutori testamentari.
3. La dichiarazione della successione deve, a pena di nullità, essere redatta su stampato
fornito dall’ufficio del registro, conforme al modello approvato con decreto del Ministro
delle finanze pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, e deve essere sottoscritta da almeno uno
degli obbligati o da un suo rappresentante negoziale.
4. Se più soggetti sono obbligati alla stessa dichiarazione questa non si considera omessa
se presentata da uno solo.
5. I chiamati all’eredità e i legatari sono esonerati dall’obbligo della dichiarazione se,
anteriormente alla scadenza del termine stabilito nell’art.31, hanno rinunziato all’eredità
o al legato o, non essendo nel possesso di beni ereditari, hanno chiesto la nomina di un
curatore dell’eredità a norma dell’art.528, primo comma, del codice civile, e ne hanno
informato per raccomandata l’ufficio del registro, allegando copia autentica della dichiarazione di rinuncia all’eredità o copia dell’istanza di nomina autenticata dal cancelliere
della pretura.
6. Se dopo la presentazione della dichiarazione della successione sopravviene un evento,
diverso da quelli indicati all’art.13, comma 4, che dà luogo a mutamento della devoluzione dell’eredità o del legato ovvero ad applicazione dell’imposta in misura superiore,
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i soggetti obbligati, anche se per effetto di tale evento, devono presentare dichiarazione
sostitutiva o integrativa. Si applicano le disposizioni dei commi 1, 3 e 8.
7. Non vi è obbligo di dichiarazione se l’eredità è devoluta al coniuge e ai parenti in linea
retta del defunto e l’attivo ereditario ha un valore non superiore a lire cinquantamilioni e
non comprende beni immobili o diritti reali immobiliari, salvo che per effetto di sopravvenienze ereditarie queste condizioni vengano a mancare.
8. La dichiarazione nulla si considera omessa.
Art.29. CONTENUTO DELLA DICHIARAZIONE
1. Dalla dichiarazione della successione devono risultare:
a) le generalità, l’ultima residenza e il codice fiscale del defunto;
b) le generalità, la residenza e il codice fiscale dei chiamati all’eredità e dei legatari, il loro
grado di parentela o affinità col defunto e le eventuali accettazioni o rinunzie;
c) la descrizione analitica dei beni e dei diritti compresi nell’attivo ereditario con l’indicazione dei rispettivi valori;
d) gli estremi degli atti di alienazione a titolo oneroso di cui all’art.10, con l’indicazione
dei relativi corrispettivi;
e) i modi di impiego delle somme riscosse dal defunto a seguito di alienazioni di beni e
assunzioni di debiti negli ultimi sei mesi, con l’indicazione dei documenti di prova;
f) gli estremi delle donazioni fatte dal defunto agli eredi o legatari, comprese quelle presunte di cui all’art.1, comma 3, con l’indicazione dei relativi valori alla data di apertura
della successione;
g) i crediti contestati giudizialmente, con l’indicazione degli estremi dell’iscrizione a ruolo della causa e delle generalità e residenza dei debitori;
h) i crediti verso lo Stato e gli enti pubblici di cui all’art.12, comma 1, lettera e);
i) le passività e gli oneri deducibili, con l’indicazione dei documenti di prova;
l) il domicilio eletto nello Stato italiano dagli eredi o legatari residenti all’estero;
m) il valore globale netto dell’asse ereditario;
n) le riduzioni e detrazioni di cui agli artt. 25 e 26, con l’indicazione dei documenti di
prova.
2. Se il dichiarante è un legatario, dalla dichiarazione devono risultare solo gli elementi
di cui al comma 1, lettere a e b), nonché quelli di cui alle lettere c), i) e n) limitatamente
all’oggetto del legato, alla lettera f) limitatamente alle donazioni a suo favore e alla lettera
l) limitatamente al suo domicilio.
3. Le somme e i valori devono essere indicati con arrotondamento dei relativi importi
alle mille lire, per difetto se la frazione non è superiore a cinquecento lire, per eccesso se
è superiore.
Art.30. ALLEGATI ALLA DICHIARAZIONE
1. Alla dichiarazione devono essere allegati:
a) il certificato di morte o la copia autentica della sentenza dichiarativa dell’assenza o
della morte presunta;
b) il certificato di stato di famiglia del defunto e quelli degli eredi e legatari che sono
in rapporto di parentela o affinità con lui, nonché i documenti di prova della parentela
naturale;
c) la copia autentica degli atti di ultima volontà dai quali è regolata la successione;
d) la copia autentica dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata dai quali risulta l’eventuale accordo delle parti per l’integrazione dei diritti di legittima lesi;
e) gli estratti catastali relativi agli immobili;
f) un certificato dei pubblici registri recante l’indicazione degli elementi di individuazione delle navi e degli aeromobili;
g) la copia autentica dell’ultimo bilancio o inventario di cui all’art.15, comma 1, e all’art.16,
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PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
comma 1, lettera b), nonché delle pubblicazioni e prospetti di cui alla lettera c) dello stesso articolo e comma;
h) la copia autentica degli altri inventari formati in ottemperanza a disposizioni di legge;
i) i documenti di prova delle passività e degli oneri deducibili nonché delle riduzioni e
detrazioni di cui agli artt. 25 e 26.
2. Se il dichiarante è un legatario, alla dichiarazione devono essere allegati soltanto i
documenti di cui al comma 1, lettera a), b) e c), nonché quelli di cui alle lettere successive
limitatamente all’oggetto del legato.
3. I certificati di morte e di stato di famiglia possono essere sostituiti dalle dichiarazioni
di cui all’art.2 della legge 4-1-1968, n.15.
4. Per gli allegati redatti in lingua straniera si applica l’art.11, commi 5 e6, del testo unico
sull’imposta di registro, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 26-41986, n.131.
5. L’ufficio competente, se la dimostrazione delle passività e degli oneri o delle riduzioni
e detrazioni richieste risulta insufficiente, ne dà avviso al dichiarante, invitandolo ad integrarla e, nel caso previsto nel secondo periodo dell’art.23, comma 2, ad esibire in copia
autentica gli assegni indicati nel certificato. I nuovi documenti devono essere prodotti
entro sei mesi dalla notificazione dell’avviso.
6. Per i documenti provenienti da pubbliche amministrazioni che non siano stati rilasciati
entro il termine stabilito per la presentazione della dichiarazione, compresi l’attestazione
di cui all’art.13, comma 2, e le attestazioni o altri documenti relativi alle riduzioni e alle
detrazioni di cui agli artt. 25 e 26, si applica, purché alla dichiarazione sia allegata copia
della domanda di rilascio, la disposizione dell’art.23, comma 4.
Art.31. TERMINE PER LA PRESENTAZIONE DELLA DICHIARAZIONE
1. La dichiarazione deve essere presentata entro dodici mesi dalla data di apertura della
successione.
2. Il termine decorre:
a) per i rappresentanti legali degli eredi o legatari, per i curatori di eredità giacenti e per
gli esecutori testamentari dalla data, successiva a quella di apertura della successione, in
cui hanno avuto notizia legale della loro nomina;
b) nel caso di fallimento del defunto in corso alla data dell’apertura della successione o
dichiarato entro sei mesi dalla data stessa, dalla data di chiusura del fallimento;
c) nel caso di dichiarazione di assenza o di morte presunta, dalla data di immissione nel
possesso dei beni ovvero, se non vi è stata anteriore immissione nel possesso dei beni,
dalla data in cui è divenuta eseguibile la sentenza dichiarativa della morte presunta;
d) dalla scadenza del termine per la formazione dell’inventario, se l’eredità è accettata
con beneficio d’inventario entro il termine di cui al comma 1;
e) dalla data della rinunzia o dell’evento di cui all’art.28, commi 5 e 6, o dalla diversa data
in cui l’obbligato dimostri di averne avuto notizia;
f) dalla data delle sopravvenienze di cui all’art.28, comma 7;
g) per gli enti che non possono accettare l’eredità o il legato senza la preventiva autorizzazione, purché la relativa domanda sia stata presentata entro sei mesi dall’apertura
della successione, dalla data in cui hanno avuto notizia legale dell’autorizzazione;
h) per gli enti non ancora riconosciuti, purché sia stata presentata domanda di riconoscimento e di autorizzazione all’accettazione entro un anno dalla data di apertura della
successione, dalla data in cui hanno avuto notizia legale del riconoscimento e dell’autorizzazione.
3. Fino alla scadenza del termine la dichiarazione della successione può essere modificata con l’osservanza delle disposizioni degli artt. 28, 29 e 30.
4. La presentazione ad ufficio del registro diverso da quello competente si considera avvenuta nel giorno in cui la dichiarazione è pervenuta all’ufficio competente.
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Art.32. IRREGOLARITÀ, INCOMPLETEZZA E INFEDELTÀ
DELLA DICHIARAZIONE
1. La dichiarazione è irregolare se manca delle indicazioni di cui all’art.29, comma 1,
lettere a), b) e c), o non è corredata dai documenti indicati nell’art.30, comma 1, lettere a)
e b), e da quelli indicati nelle successive lettere da c) ad h) di cui ricorrono i presupposti.
In tal caso l’ufficio notifica al dichiarante, mediante avviso, l’invito a provvedere alla
regolarizzazione entro sessanta giorni; la dichiarazione non regolarizzata nel termine si
considera omessa.
2. La dichiarazione è incompleta se non vi sono indicati tutti i beni e i diritti compresi
nell’attivo ereditario, inclusi quelli alienati negli ultimi mesi di cui all’art.10.
3. La dichiarazione è infedele: se i beni e diritti compresi nell’attivo ereditario vi sono
indicati per valori inferiori a quelli determinati secondo le disposizioni degli artt. da 14
a 19 e dell’art.10; se vi sono indicati, sulla base di attestazioni o altri documenti di cui
agli artt. 23 e 24 non conformi a verità, oneri e passività del tutto o in parte inesistenti; se
non vi sono indicate donazioni anteriori o vi sono indicate per valore inferiore a quello
determinato secondo le disposizioni dell’art.8, comma 4.
Art.33. LIQUIDAZIONE DELL’IMPOSTA IN BASE ALLA DICHIARAZIONE
1. L’ufficio del registro liquida l’imposta in base alla dichiarazione della successione, anche se presentata dopo la scadenza del relativo termine ma prima che sia stato notificato
l’accertamento d’ufficio, tenendo conto delle dichiarazioni modificative o integrative già
presentate a norma dell’art.28, sesto comma, e dell’art.31, terzo comma» (così modificato
dall’art.9, comma 1, L.413/94).
1-bis. Se nella dichiarazione di successione e nella dichiarazione sostitutiva o integrativa,
sono indicati beni immobili e diritti reali sugli stessi, gli eredi e i legatari devono provvedere nei termini indicati nell’art.31, alla liquidazione e al versamento delle imposte
ipotecaria e catastale, di bollo, delle tasse ipotecarie e dell’imposta sostitutiva di quella
comunale sull’incremento di valore degli immobili, il suddetto versamento deve essere
effettuato, fino alla data di entrata in vigore del decreto legislativo previsto dall’art. 3,
comma 138, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, concernente la modifica della disciplina
dei servizi autonomi di cassa degli uffici finanziari, mediante delega ad azienda di credito autorizzata o tramite il concessionario del servizio per la riscossione competente in
base all’ultima residenza del defunto o, se questa era all’estero o non nota, al concessionario del servizio per la riscossione di Roma.
2. In sede di liquidazione l’ufficio provvede a correggere gli errori materiali e di calcolo
commessi dal dichiarante nella determinazione della base imponibile e ad escludere»
(così modificato dall’art.9, comma 1, L.413/94.).
a) le passività esposte nella dichiarazione per le quali non ricorrono le condizioni di deducibilità di cui agli artt. 21 e 24 eccedenti i limiti di deducibilità di cui agli artt. 22 e 24,
nonché gli oneri non deducibili a norma dell’art.8, primo comma;
b) le passività e gli oneri esposti nella dichiarazione che non risultano dai documenti
prodotti in allegato alla dichiarazione o su richiesta dell’ufficio;
c) le riduzioni e le detrazioni indicate nella dichiarazione non previste negli artt. 25 e
26 o non risultanti dai documenti prodotti in allegato alla dichiarazione o su richiesta
dell’ufficio.
3. Le correzioni e le esclusioni di cui al secondo comma devono risultare nell’avviso di
liquidazione dell’imposta.
4. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche per la riliquidazione dell’imposta in base a dichiarazione sostitutiva e per la liquidazione della maggiore imposta in
base a dichiarazione integrativa.
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Art.34. RETTIFICA E LIQUIDAZIONE DELLA MAGGIORE IMPOSTA
1. L’ufficio del registro, se ritiene che la dichiarazione della successione, o la dichiarazione sostitutiva o integrativa, sia incompleta o infedele, provvede con lo stesso atto alla
rettifica e alla liquidazione della maggiore imposta, con gli interessi «dalla data di notificazione della liquidazione dell’imposta principale» (così modificato dall’art.9, comma 1,
L.413/94) nella misura del 4,50 per cento per ogni semestre compiuto.
2. L’avviso di rettifica e di liquidazione della maggiore imposta deve contenere:
la descrizione dei beni o diritti non dichiarati, compresi quelli alienati dal defunto negli
ultimi sei mesi, con l’indicazione del valore attribuito a ciascuno di essi o del maggior
valore attribuito a ciascuno dei beni o diritti dichiarati;
l’indicazione delle donazioni anteriori non dichiarate e del relativo valore, o del maggior
valore attribuito a quelle dichiarate;
l’indicazione di criteri seguiti nella determinazione dei valori a norma degli artt. da 14 a
19, 8, quarto comma, e 10;
l’indicazione delle passività e degli oneri ritenuti in tutto o in parte inesistenti, con la
specificazione degli elementi di prova contraria alle attestazioni e agli altri documenti
prodotti dal dichiarante;
l’indicazione delle aliquote applicate e del calcolo della maggiore imposta. Per i beni e i
diritti di cui ai commi terzo e quarto devono essere indicati anche gli elementi in base ai
quali, secondo le disposizioni ivi contenute, ne è stato determinato il valore o il maggior
valore.
3. Il valore dei beni immobili e dei diritti reali immobiliari è determinato dall’ufficio,
avendo riguardo ai trasferimenti a qualsiasi titolo ed alle divisioni e perizie giudiziarie,
anteriori di non oltre tre anni alla data di apertura della successione, che hanno avuto
per oggetto gli stessi immobili o altri di analoghe caratteristiche e condizioni, ovvero al
reddito netto di cui gli immobili sono suscettibili, capitalizzato al tasso mediamente applicato alla detta data e nella stessa località per gli investimenti immobiliari, nonché ad
ogni altro elemento di valutazione, anche sulla base di indicazioni fornite dai comuni.
4. Per la determinazione del valore delle aziende, dei diritti reali su di esse e delle azioni
o quote di cui all’art.16, lettera b), l’ufficio può tenere conto anche degli accertamenti
relativi ad altre imposte e può procedere ad accessi, ispezioni e verifiche secondo le disposizioni relative all’imposta sul valore aggiunto.
5. Non sono sottoposti a rettifica il valore degli immobili iscritti in catasto con attribuzione di rendita dichiarato in misura non inferiore, per i terreni, a settantacinque volte il
reddito dominicale risultante in catasto e, per i fabbricati, a cento volte il reddito risultante in catasto, aggiornati con i coefficienti stabiliti per le imposte sui redditi, né i valori
della nuda proprietà e dei diritti reali di godimento sugli stessi immobili dichiarati in
misura non inferiore a quella determinata su tale base a norma dell’art.14. La disposizione del presente comma non si applica per i terreni per i quali gli strumenti urbanistici
prevedono la destinazione edificatoria.
6. Per i fabbricati dichiarati per l’iscrizione nel catasto edilizio ma non ancora iscritti alla
data di presentazione della dichiarazione della successione la disposizione del quinto
comma si applica a condizione:
a) che la volontà di avvalersene sia espressamente manifestata nella dichiarazione della successione;
b) che in allegato alla domanda di voltura catastale, la quale in tal caso non può essere inviata per posta, sia presentata specifica istanza di attribuzione della rendita, recante l’indicazione degli elementi di individuazione del fabbricato e degli estremi della dichiarazione
di successione, di cui l’ufficio tecnico erariale rilascia ricevuta in duplice esemplare;
c) che la ricevuta, entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla presentazione della
dichiarazione di successione, sia prodotta all’ufficio del registro, il quale ne restituisce un
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esemplare con l’attestazione dell’avvenuta produzione.
6-bis. L’ufficio tecnico erariale, entro dieci mesi dalla presentazione dell’istanza di attribuzione della rendita, invia all’ufficio del registro un certificato attestante l’avvenuta
iscrizione in catasto del fabbricato e la rendita attribuita; se l’imposta era già stata liquidata in base al valore indicato nella dichiarazione della successione e tale valore risulta
inferiore a cento volte la rendita così attribuita e debitamente aggiornata, o al corrispondente valore della nuda proprietà o del diritto reale di godimento, l’ufficio del registro,
nel termine di decadenza di cui al terzo comma dell’art.27, liquida la maggiore imposta
corrispondente alla differenza, con gli interessi di cui al primo comma dalla data di notificazione della precedente liquidazione e senza applicazione di sanzioni.
7. Ai fini dei commi quinto e sesto le modifiche dei coefficienti stabiliti per le imposte
sui redditi hanno effetto per le successioni aperte dal decimo quinto giorno successivo a
quello di pubblicazione dei relativi decreti ministeriali. Le modifiche dei moltiplicatori di
settantacinque e cento volte, previste nell’art.52, quinto comma, del testo unico dell’imposta di registro approvato con decreto del Presidente della Repubblica 26-4-1986, n.131,
operano anche ai fini dei commi predetti e hanno effetto per le successioni aperte dal
decimo quinto giorno successivo a quello di pubblicazione del decreto con il quale sono
disposte.
8. Ai fini della rettifica e della liquidazione della maggiore imposta non si tiene conto
delle differenze di valore relative ai beni indicati nell’art.16, primo comma, lettere b) e d),
e nell’art.19, dei quali sia evidente la scarsa rilevanza.
Art.35. ACCERTAMENTO E LIQUIDAZIONE D’UFFICIO
1. In caso di omissione della dichiarazione della successione l’ufficio del registro provvede all’accertamento dell’attivo ereditario e alla liquidazione dell’imposta avvalendosi dei
dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, compresi quelli desunti
da dichiarazioni considerate omesse a norma degli artt. 28, ottavo comma, e 32, primo
comma. In aggiunta all’imposta sono liquidati, nella misura di cui all’art.34, primo comma, gli interessi dalla data di scadenza del termine entro il quale la dichiarazione omessa
avrebbe dovuto essere presentata.
2. L’avviso di accertamento e liquidazione deve contenere: l’indicazione delle generalità
dei chiamati all’eredità; la descrizione dei beni e dei diritti compresi nell’attivo ereditario,
con l’indicazione dei valori a ciascuno di essi attribuiti e dei criteri seguiti per determinarli a norma degli artt. da 14 a 19, 34, commi terzo e quarto, e 10; l’indicazione del valore e degli estremi delle donazioni anteriori di cui all’art.8, quarto comma; l’indicazione
delle aliquote applicate e del calcolo dell’imposta.
2-bis. La motivazione dell’atto deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche
che lo hanno determinato. Se la motivazione fa riferimento a un altro atto non riconosciuto né ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo
che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale. L’accertamento è nullo se non
sono osservate le disposizioni di cui al presente comma.
3. L’esistenza di passività deducibili e la spettanza di riduzioni e di detrazioni possono
essere dimostrate, nei modi indicati negli artt. 23, commi primo, secondo e terzo, 25 e 26,
entro il termine di sei mesi dalla data di notificazione dell’avviso.
4. Le disposizioni del presente articolo si applicano, salvo il diverso contenuto dell’avviso, anche per la riliquidazione dell’imposta in caso di omissione della dichiarazione
sostitutiva e per la liquidazione della maggiore imposta in caso di omissione della dichiarazione integrativa.
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Capo V
RISCOSSIONE DELL’IMPOSTA
Art.36. SOGGETTI OBBLIGATI AL PAGAMENTO DELL’IMPOSTA
1. Gli eredi sono solidalmente obbligati al pagamento dell’imposta nell’ammontare complessivamente dovuto da loro e dai legatari.
2. Il coerede che ha accettato l’eredità col beneficio d’inventario è obbligato solidalmente
al pagamento, a norma del primo comma, nel limite del valore della propria quota ereditaria.
3. Fino a quando l’eredità non sia stata accettata, o non sia stata accettata da tutti i chiamati, i chiamati all’eredità, o quelli che non hanno ancora accettato, e gli altri soggetti
obbligati alla dichiarazione della successione, esclusi i legatari, rispondono solidalmente
dell’imposta nel limite del valore dei beni ereditari rispettivamente posseduti. Si applica
l’art.58 del testo unico sull’imposta di registro approvato con decreto del Presidente della
Repubblica 26-4-1986, n.131.
4. L’ufficio del registro può chiedere la fissazione di un termine per l’accettazione dell’eredità a norma dell’art.481 del codice civile o la nomina di un curatore dell’eredità giacente
a norma dell’art.528 dello stesso codice.
5. I legatari sono obbligati al pagamento dell’imposta relativa ai rispettivi legati.
Art.37. PAGAMENTO DELL’IMPOSTA
1. Il pagamento dell’imposta principale, dell’imposta complementare con gli interessi di
cui agli artt. 34 e 35 e dell’imposta suppletiva deve essere eseguito entro novanta giorni
da quello in cui è stato notificato l’avviso di liquidazione.
2. Dalla data di scadenza del termine di cui al primo comma decorrono gli interessi di
mora nella misura del 4,50 per cento per ogni semestre compiuto.
3. Non devono essere pagate le somme di importo, comprensivo di interessi e soprattasse, non superiore a lire ventimila.
4. Il contribuente, oltre che in contanti, può pagare con cedole di titoli del debito pubblico
scadute, e nei casi previsti dalla legge anche non scadute, computate per il loro importo
netto, nonché con titoli di credito bancari e postali a copertura garantita.
Art.38. DILAZIONE DEL PAGAMENTO
1. Al contribuente può essere concesso di eseguire il pagamento nella misura non inferiore al 20 per cento delle imposte, delle soprattasse e pene pecuniarie e degli interessi di
mora nei termini di cui all’art.37, primo comma, e per il rimanente importo in rate annuali posticipate. La dilazione, che va richiesta contestualmente ai pagamenti predetti, non
può estendersi oltre il quinto anno successivo a quello dell’apertura della successione e
viene accordata entro novanta giorni dalla data della richiesta stessa.
2. Sugli importi dilazionati sono dovuti, con decorrenza dalla data di concessione della
dilazione, gli interessi a scalare nella misura del nove per cento annuo.
3. La dilazione è concessa a condizione che sia prestata idonea garanzia mediante ipoteca o cauzione in titoli di Stato o garantiti dallo Stato al valore di borsa, o fideiussione
rilasciata da istituto o azienda di credito o polizza fideiussoria rilasciata da impresa di
assicurazioni autorizzata. Gli atti e le formalità relativi alla costituzione e alla estinzione
di queste garanzie sono soggetti all’imposta di registro e ipotecaria in misura fissa.
4. Il contribuente ha in ogni caso diritto di ottenere la dilazione se offre di iscrivere ipoteca su beni o diritti compresi nell’attivo ereditario di valore complessivo superiore di
almeno un terzo all’importo da dilazionare, maggiorato dell’ammontare dei crediti garantiti da eventuali ipoteche di grado anteriore iscritte sugli stessi beni e diritti.
5. Il contribuente, salva l’applicazione delle sanzioni stabilite per il ritardo nel pagamento, decade dal beneficio della dilazione se non provvede al pagamento delle rate scadute
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entro sessanta giorni dalla notificazione di apposito avviso. E’ tuttavia in facoltà dell’ufficio competente di concedere una nuova dilazione.
Art.39. PAGAMENTO DELL’IMPOSTA MEDIANTE CESSIONE DI
BENI CULTURALI
1. Gli eredi e i legatari possono proporre la cessione allo Stato, in pagamento totale o
parziale dell’imposta sulla successione, delle relative imposte ipotecaria e catastale, degli
interessi, delle soprattasse e delle pene pecuniarie, di beni culturali vincolati o non vincolati, di cui all’art.13, e di opere di autori viventi o eseguite da non più di cinquanta anni.
2. La proposta di cessione, contenente la descrizione dettagliata dei beni offerti con l’indicazione dei relativi valori e corredata da idonea documentazione, deve essere sottoscritta a pena di nullità da tutti gli eredi o dal legatario e presentata al Ministero per i
beni culturali e ambientali ed all’ufficio del registro competente, «nel termine previsto
dall’art.37» (così modificato dall’art.9, comma 1, L.413/94) per il pagamento dell’imposta.
La presentazione della proposta interrompe il termine.
3. L’amministrazione dei beni culturali e ambientali attesta per ogni singolo bene l’esistenza delle caratteristiche previste dalle norme indicate nell’art.13, primo comma, e dichiara l’interesse dello Stato ad acquisirlo. L’interesse dello Stato alla acquisizione di
opere di autori viventi o eseguite da non più di cinquanta anni è dichiarato dal competente comitato di settore del Consiglio nazionale per i beni culturali e ambientali.
4. Le condizioni e il valore della cessione sono stabiliti con decreto del Ministro per i beni
culturali e ambientali, sentita un’apposita commissione nominata con decreto del Ministro per i beni culturali e ambientali, presieduta da lui o da un suo delegato e composta
da due rappresentanti del Ministero per i beni culturali e ambientali, da due rappresentanti del Ministero delle finanze e da un rappresentante del Ministero del tesoro. Il
proponente può chiedere di essere sentito dalla commissione personalmente o a mezzo
di un suo delegato.
[5…]
6. Il decreto di cui al quarto comma è emanato entro sei mesi dalla data di presentazione
della proposta di cessione ed è notificato al richiedente. Entro due mesi dalla data di
notificazione del decreto il proponente notifica al Ministero per i beni culturali e ambientali, a pena di decadenza, la propria accettazione con firma autenticata. Il decreto di cui
al quarto comma e la dichiarazione di accettazione costituiscono titolo per la trascrizione
del trasferimento nei registri immobiliari. I beni mobili devono essere consegnati entro i
trenta giorni successivi alla notificazione dell’accettazione.
7. Gli eredi o i legatari, ai fini dell’estinzione del debito tributario, devono produrre
all’ufficio del registro competente, entro sessanta giorni dalla dichiarazione di accettazione, le copie autentiche della stessa e del decreto recante l’indicazione del valore dei
beni ceduti.
8. Il cedente, se il valore dei beni ceduti è inferiore all’importo dell’imposta e degli accessori è obbligato a pagare la differenza; se il valore è superiore, non ha diritto al rimborso.
«L’eventuale differenza deve essere corrisposta entro sessanta giorni dalla produzione
all’ufficio dei documenti di cui al settimo comma» (aggiunto dall’art.23, L.413/91).
9. Il Ministro per i beni culturali e ambientali di concerto con il Ministro delle finanze, se
l’amministrazione dello Stato non intende acquisire il bene offerto in cessione, dichiara
con decreto di cui al quarto comma di non accettare la proposta. Della mancata cessione
il Ministero per i beni culturali e ambientali dà immediata comunicazione all’ufficio del
registro e al proponente; «dalla data di ricevimento della comunicazione decorre il termine di sessanta giorni per il pagamento delle somme di cui al primo comma con applicazione degli interessi nella misura legale decorrenti dalla scadenza del termine previsto
dall’art.31, primo comma» (così modificato dall’art.23, L.413/91).
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Art.40. RISCOSSIONE IN PENDENZA DI GIUDIZIO
1. Il ricorso del contribuente non sospende la riscossione dell’imposta principale. La
somma che risulta pagata in più in base alla decisione della controversia deve essere
rimborsata d’ufficio al contribuente entro novanta giorni da quello in cui la decisione è
divenuta definitiva.
2. L’imposta complementare, se il contribuente propone ricorso, deve essere pagata per
un terzo entro il termine di cui all’art.37, per due terzi dopo la decisione della commissione tributaria di primo grado e per il resto dopo la decisione della commissione tributaria
di secondo grado, in ogni caso al netto delle somme già pagate; l’intendente di finanza,
se ricorrono gravi motivi, può sospendere la riscossione fino alla decisione della commissione tributaria di primo grado.
3. Le somme dovute per effetto delle decisioni di cui al secondo comma devono essere
pagate, in base ad apposito avviso, a norma dell’art.37; se l’imposta liquidata per effetto
della decisione della commissione tributaria è inferiore a quella già
pagata, la differenza deve essere rimborsata d’ufficio al contribuente entro novanta giorni dalla notificazione della decisione.
4. L’imposta suppletiva deve essere pagata, in base ad apposito avviso, per intero dopo
la decisione della Commissione tributaria centrale o della Corte d’appello o dell’ultima
decisione non impugnata.
Art.41. RISCOSSIONE COATTIVA E PRESCRIZIONE
1. Per la riscossione coattiva dell’imposta, delle soprattasse e delle pene pecuniarie si
applicano le disposizioni del titolo III del decreto del Presidente della Repubblica 28-11988, n.43. Lo Stato ha privilegio secondo le norme stabilite dal codice civile. Il privilegio
si estingue con il decorso di cinque anni dalla data di apertura della successione o, in
caso di dilazione del pagamento, dal giorno di scadenza dell’ultima rata ovvero dal giorno in cui si è verificata la decadenza prevista dall’art.27.
2. Il credito dell’amministrazione finanziaria per l’imposta definitivamente accertata si
prescrive in dieci anni.
Art.42. RIMBORSO DELL’IMPOSTA
1. Deve essere rimborsata, unitamente agli interessi, alle soprattasse e pene pecuniarie
eventualmente pagati, l’imposta:
a) pagata indebitamente o risultante pagata in più a norma dell’art.40, commi da 1 a 3;
b) relativa a beni e diritti riconosciuti appartenenti a terzi, con sentenza passata in giudicato, per causa anteriore all’apertura della successione a seguito di evizione o rivendicazione ovvero di nullità, annullamento, risoluzione, rescissione o revocazione dell’atto
di acquisto;
c) pagata in conseguenza di dichiarazione giudiziale di assenza o di morte presunta,
quando lo scomparso fa ritorno o ne è accertata l’esistenza;
d) risultante pagata o pagata in più a seguito di sopravvenuto mutamento della devoluzione ereditaria;
e) pagata da enti ai quali è stata negata l’autorizzazione ad accertare l’eredità o il legato,
ovvero da eredi e legatari se l’ente ottiene tardivamente il riconoscimento legale;
f) risultante pagata in più a seguito di accertamento, successivamente alla liquidazione,
dell’esistenza di passività o della spettanza di riduzioni e detrazioni;
g) risultante pagata in più a seguito di accertamento della parentela naturale successivamente alla liquidazione;
h)risultante pagata in più a seguito della chiusura del fallimento del defunto dichiarato
dopo la presentazione della dichiarazione di successione.
2.Il rimborso, salvo il disposto dell’art.40, commi 1 e 3, deve essere richiesto a pena di
decadenza entro tre anni dal giorno del pagamento o, se posteriore, da quello in cui è sor75
AIAF QUADERNO 2007/2
to il diritto alla restituzione. La domanda deve essere presentata all’ufficio competente,
che deve rilasciarne ricevuta, ovvero essere spedita mediante plico raccomandato senza
busta con avviso di ricevimento.
3. Dalla data di presentazione della domanda di rimborso decorrono gli interessi di mora
di cui all’art. 37, comma 2.
4. Non si fa luogo al rimborso per gli importi, comprensivi di interessi e soprattasse, non
superiori a lire 20 mila; gli importi superiori sono rimborsati per l’intero ammontare.
Capo VI
NORME PARTICOLARI PER LE SUCCESSIONI TESTAMENTARIE
Art. 43 DISPOSIZIONI TESTAMENTARIE IMPUGNATE O MODIFICATE
1.Nelle successioni testamentarie l’imposta si applica in base alle disposizioni contenute
nel testamento, anche se impugnate giudizialmente, nonché agli eventuali accordi diretti
a reintegrare i diritti legittimari, risultanti da atto pubblico o da scrittura privata autenticata, salvo il disposto, in caso di accoglimento dell’impugnazione o di accordi sopravvenuti, dell’art. 28, comma 6, o dell’art.42, comma 2, lettera e).
Art.44 DISPOSIZIONI TESTAMENTARIE CONDIZIONALI
1. L’imposta, se l’istituzione di erede è sottoposta a condizione risolutiva, si applica con
le aliquote proprie dell’erede istituito e, nel caso di avveramento della condizione, con le
aliquote proprie dell’erede subentrante.
2. L’imposta, se l’istituzione di erede è sottoposta a condizione sospensiva, si applica con
le aliquote proprie di quello degli eventuali successibili, compreso l’erede istituito ed
esclusi lo stato e gli enti di cui all’art.3, che è soggetto all’imposta minore, salva l’applicazione della maggiore imposta se l’eredità viene devoluta a persona diversa per effetto
dell’avveramento della condizione.
3. L’imposta, nei casi di legato sottoposto a condizione sospensiva, si applica come se il
legato non fosse stato disposto e, nel caso di avveramento della condizione, si applica
nei confronti del legatario e, nel caso di avveramento della condizione, si applica nei
confronti dell’erede.
4. Le disposizioni testamentarie a favore di nascituri si considerano sottoposte a condizione sospensiva.
Art. 45 SOSTITUZIONE FEDECOMMISSARIA
1. L’imposta, nel caos previsto dell’art.692 del codice civile, si applica nei confronti
dell’istituto su un valore pari a quello dell’usufrutto sui beni che formano oggetto della
sostituzione fedecommissaria.
2.L’imposta, alla morte dell’istituito, si applica nei confronti del sostituito in base al valore dei beni alla data di apertura della successione, ferma restando l’imposta gia applicata
a norma del comma 1.
3. L’imposta, quando la sostituzione non ha luogo, si applica nei confronti dell’istituito
in base al valore della piena proprietà dei beni alla data di apertura della successione,
detraendo l’imposta precedentemente pagata.
Art.46 PRESUNZIONE DI LEGATO
1. Il riconoscimento, contenuto nel testamento, che determinati beni intestati al defunto
o da lui posseduti o che si presumono compresi nell’attivo ereditario appartengono a un
terzo è considerato legato a favore di questo, se non è dimostrato che alla data dell’apertura della successione i beni già gli appartenevano.
2. Il riconoscimento di debito contenuto nel testamento è considerato legato, se l’esistenza del debito non è dimostrata nei modi indicati nell’art.23.
3. L’onere a carico dell’erede o del legatario, che ha per oggetto prestazioni a soggetti terzi
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PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
determinati individualmente, è considerato legato a favore del beneficiario.
Capo VII
DISPOSIZIONI VARIE
Art.47 POTERI DELL’AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA
1. L’ufficio competente, ai fini dell’accertamento e della riscossione, oltre ad avvalersi
delle altre facoltà previste nel presente Testo unico, può:
a) invitare i soggetti obbligati alla presentazione della dichiarazione della successione,
indicandone il motivo, a produrre documenti, o a comparire di persona o per rappresentanza per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell’accertamento;
b) Inviare agli stessi soggetti questionari relativi a dati e notizie di carattere specifico, con
invito a restituirli compilati e firmati;
c) richiedere informazioni ai pubblici ufficiali e agli enti ed uffici pubblici, che sono obbligati a comunicare dati e notizie di cui siano in possesso;
d) dimostrare, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, la simulazione di atti di trasferimento a titolo oneroso anteriori di oltre sei mesi all’apertura della
successione, di atti costitutivi di passività deducibili e di ogni altro atto rilevante ai fini
della determinazione della base imponibile o dell’imposta;
d-bis) dimostrare, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, la sussistenza, l’insussistenza, la simulazione e la dissimulazione di fatti o atti rilevanti ai fini
della determinazione della base imponibile o dell’imposta.
2. Il servizio di vigilanza sulle aziende di credito, su richiesta del ministro delle finanze,
controlla l’esattezza delle certificazioni di cui all’art. 23, comma 2.
Art.48 DIVIETI E OBBLIGHI A CARICO DI TERZI
1. Gli ufficiali dello stato civile devono trasmettere all’ufficio del registro competente, nei
primi 15 giorni di ogni trimestre, l’elenco delle persone residenti nel comune della cui
morte hanno avuto notizia nel trimestre precedente, con l’indicazione dell’indirizzo e
con lo stato di famiglia di ciascuna.
2. Gli impiegati dello stato e degli enti pubblici territoriali e i pubblici ufficiali, con esclusione dei giudici e degli arbitri, non possono compiere atti relativi a trasferimenti per
causa di morte, se non è stata fornita la prova della presentazione, anche dopo il termine
di cinque anni di cui all’art.27, comma 4, della dichiarazione della successione o dell’intervenuto accertamento d’ufficio, e non è stato dichiarato per iscritto dall’interessato che
non vi era obbligo di presentare la dichiarazione. I giudici e gli arbitri devono comunicare all’ufficio del registro competente, entro quindici giorni, le notizie relative a trasferimenti per causa di morte apprese in base agli atti del processo.
3. I debitori del defunto e i detentori di beni che gli appartenevano no possono pagare
le somme dovute o consegnare i beni detenuti agli eredi, ai legatari e ai loro aventi causa, se non è stata fornita la prova della presentazione, anche dopo il termine di cinque
anni di cui all’art.27, comma 4, della dichiarazione della successione o integrativa con
l’indicazione dei crediti e dei beni suddetti, o dell’intervenuto accertamento in rettifica
o d’ufficio, e non è stato dichiarato per iscritto dall’interessato che non vi era obbligo di
presentare la dichiarazione. I debitori del defunto devono comunicare per lettera raccomandata all’ufficio del registro competente, entro dieci giorni, l’avvenuto pagamento dei
crediti di cui all’art.12, lettere d) ed e).
4. Le aziende e gli istituti di credito, le società e gli enti che emettono azioni, obbligazioni,
cartelle, certificati e altri titoli di qualsiasi specie, acne provvisori, non possono provvedere ad alcuna annotazione nelle loro scritture né ad alcuna operazione concernente
i titoli trasferiti per causa di morte, se non è stata fornita la prova della presentazione,
anche dopo il termine di cinque anni di cui all’art.27, comma 4, della dichiarazione della
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AIAF QUADERNO 2007/2
successione o integrativa con l’indicazione dei suddetti titoli, o dell’intervenuto accertamento in rettifica o d’ufficio, e non è stato dichiarato per iscritto dall’interessato che non
vi era obbligo di presentare la dichiarazione.
5. Le dichiarazioni di inesistenza dell’obbligo di presentare la dichiarazione della successione ricevute dai soggetti, di sui ai commi 2, 3 e 4, devono essere trasmesse entro
quindici giorni all’ufficio del registro competente.
6. Le cassette di sicurezza non possono essere aperte dai concessionari, prima che gli
stessi abbiano apposto la loro firma, con l’indicazione della data e dell’ora di apertura,
su apposito registro tenuto dai concedenti in forma cronologica e senza fogli o spazi
bianchi e abbiano dichiarato per iscritto sul registro stesso che le eventuali altre persone
aventi facoltà di aprirle sono tuttora in vita. Le cassette di scurezza, dopo la morte del
concessionario o di uno dei concessionari, possono essere aperte solo alla presenza di u
funzionario dell’amministrazione finanziaria o di un notaio, che redige l’inventario del
contenuto, previa comunicazione da parte del concedente all’ufficio di registro, nella cui
circoscrizione deve essere redatto l’inventario, del giorno e dell’ora dell’apertura.
7. Le disposizioni del comma 6 si applicano anche al caso di armadi, casseforti, borse,
valigie, plichi e pacchi chiusi depositati presso banche o altri soggetti che esercitano tale
servizio.
Art.49. NOTIFICAZIONI
1. Gli avvisi previsti nel presente testo unico sono notificati, nei modi stabiliti in materia
di imposte sui redditi, dagli ufficiali giudiziari, da messi speciali autorizzati a norma di
legge dagli uffici del registro o da messi comunali o di conciliazione.
Capo VIII
SANZIONI
Art.50. OMISSIONE O TARDIVITÀ DELLA DICHIARAZIONE
1. Chi omette di presentare la dichiarazione della successione, quella sostitutiva o la dichiarazione integrativa è punito con la sanzione amministrativa dal 120 al 240% dell’imposta liquidata o riliquidata d’ufficio. Se non è dovuta l’imposta si applica la sanzione
amministrativa da lire 500 mila a lire 2 milioni.
Art.51. INFEDELTÀ NELLA DICHIARAZIONE
1. Chi omette l’indicazione di dati o elementi rilevanti per la liquidazione o riliquidazione dell’imposta o li indica in maniera infedele, ovvero espone passività in tutto o in
parte inesistenti, è punito con sanzione amministrativa dal cento al 200% della differenza
d’imposta. La stessa sanzione si applica, con riferimento all’imposta corrispondente, a
chi rilascia o sottoscrive attestazioni o altri documenti rilevanti per la determinazione
delle passività deducibili contenenti dati o elementi non rispondenti al vero.
2. La sanzione di cui al comma 1 non si applica relativamente all’imposta corrispondente
al maggior valore definitivamente accertato dei beni e diritti diversi da quelli indicati
nell’art.34, comma 5, se il valore accertato non supera di un quarto quello dichiarato.
3. Se l’omissione o l’infedeltà attengono a dati o elementi non incidenti sulla determinazione del tributo, si applica la sanzione da lire 500 mila a lire 2 milioni. La stessa sanzione
si applica per la mancata allegazione alle dichiarazioni dei documenti prescritti o dei
prospetti rilevanti ai fini della liquidazione delle imposte ipotecaria e catastale, di bollo,
delle tasse ipotecarie e dell’imposta sostitutiva di quella comunale sull’incremento di
valore degli immobili, ovvero nel caso di inesattezza o di irregolarità dei prospetti medesimi. La sanzione è ridotta alla metà se si provvede alla regolarizzazione nel termine di
60 giorni dalla richiesta dell’ufficio.
78
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
Art.52. OMISSIONE E TARDIVITÀ DEL PAGAMENTO
(abrogato).
Art.53. ALTRE VIOLAZIONI
1. L’erede o il legatario al quale sono stati devoluti beni culturali è punito, nei casi previsti
nell’art.13, quarto comma, con la sanzione amministrativa dal cento al 200% dell’imposta
o della maggiore imposta dovuta ai sensi dell’ art.32 o dell’art.35, in dipendenza della
inclusione dei beni nell’attivo ereditario o della esclusione della riduzione d’imposta di
cui all’art.25, secondo comma.
2. Chi viola i divieti stabiliti nell’art.48, commi da 2 a 4, o non adempie l’obbligo di cui
al quinto comma dello stesso articolo, è punito con la sanzione amministrativa dl cento
al 200% dell’ l’imposta o della maggiore imposta in relazione ai beni e diritti ereditari ai
quali si riferisce la violazione.
3. In caso di violazione delle disposizioni del sesto comma dell’art.48, i soggetti indicati
nel comma stesso e nel successivo settimo comma, nonché i concedenti o depositari, sono
puniti con sanzione amministrativa da lire 500 mila a 4 milioni applicabile a chi:
a) non ottempera alle richieste dell’ufficio o comunica dati incompleti o infedeli;
b) dichiara di non possedere, rifiuta di esibire o sottrae all’ispezione documenti e scritture, ancorché non obbligatori, dei quali risulti con certezza l’esistenza;
c) rifiuta di sottoscrivere l’attestazione di cui all’art. 23 comma 3, di consegnare agli obbligati alla dichiarazione i titoli delle passività o non permettendo che ne sia fatta copia
autentica; di consegnare o di rilasciare agli stessi gli estratti e le copie autentiche di cui
all’art.23 e all’art. 30, comma 1
4. La sanzione indicata nei commi 2 e 3 è raddoppiata per la violazione di obblighi o di
divieti posti a carico di pubblici ufficiali o di pubblici impiegati, ovvero di banche, società
di credito o di intermediazione o dell’Ente poste italiane. Fino a prova contraria, si presume che autori della violazione siano i legali rappresentanti delle banche, società o enti.
Art.54. DETERMINAZIONE DELLA SANZIONE PECUNIARIA
1. Nella determinazione della sanzione commisurata all’imposta o alla maggiore imposta, questa è assunta al netto delle riduzioni e delle detrazioni di cui agli art. 25 e 26.
Titolo III
APPLICAZIONE DELL’IMPOSTA ALLE DONAZIONI
Art.55. REGISTRAZIONE DEGLI ATTI DI DONAZIONE
1. Gli atti di donazione sono soggetti a registrazione secondo le disposizioni del testo
unico sull’imposta di registro, approvato con decreto del Presidente della Repubblica
26-4-1986, n.131, concernenti gli atti da registrare in termine fisso.
1-bis. Sono soggetti a registrazione in termine fisso anche gli atti aventi a oggetto donazioni, dirette o indirette, formati all’estero nei confronti di beneficiari residenti nello stato. Dall’imposta sulle donazioni determinata a norma del presente titolo si detraggono le
imposte pagate all’estero in dipendenza della stessa donazione e in relazione ai beni ivi
esistenti, salva l’applicazione delle convenzioni contro le doppie imposizioni.
2. Gli atti che hanno per oggetto trasferimenti di cui all’art.3 sono registrati gratuitamente, salvo il disposto del terzo comma dello stesso articolo.
Art.56. DETERMINAZIONE DELL’IMPOSTA
1. Per le donazioni e gli atti di trasferimento a titolo gratuito di beni e diritti e la costituzione di vincoli di destinazione di beni l’imposta è determinata dall’applicazione
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AIAF QUADERNO 2007/2
delle seguenti aliquote al valore globale dei beni e dei diritti al netto degli oneri da
cui è gravato il beneficiario diversi da quelli indicati dall’art. 58, comma 1, del citato
Testo unico di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n.346, ovvero, se la donazione
è fatta congiuntamente a favore di più soggetti o se in uno stesso atto sono compresi
più atti di disposizione a favore di soggetti diversi, al valore delle quote dei beni o
diritti attribuiti:
a)a favore del coniuge e dei parenti in linea retta sul valore complessivo netto eccedente, per ciascun beneficiario, 1.000.000 di euro: 4%;
b) a favore degli altri parenti fino al quarto grado e degli affini in linea retta, nonché
degli affini in linea collaterale fino al terzo grado: 6%;
c) a favore di altri soggetti: 8%.
2. Con cadenza quadriennale, con decreto del ministro dell’economia e delle finanze
si procede all’aggiornamento degli importi esenti dall’imposta tenendo conto dell’indice del costo della vita.
4. Il valore dei beni e dei diritti donati è determinato a norma degli articoli da 14 a19 e
dell’art. 34, commi 3,4 e 5.
5. Si applicano le riduzioni previste nell’art. 25, salvo quanto stabilito nell’art.13, commi
3, 4 e 5 e nell’art. 51, comma 2, e di detrae l’imposta comunale sull’incremento di valore delgi immobili liquidata a seguito di donazione, per ciascun immobile donato, fino
a concorrenza della parte dell’imposta proporzionale al valore dell’immobile stesso. E’
inoltre detratta, se alla richiesta di registrazione dell’atto di donazione è allegata la fattura, l’imposta sul valore aggiunto afferente la cessione.
Art. 56 –bis ACCERTAMENTO DELLE LIBERALITÀ INDIRETTE
1. Ferma l’esclusione delle donazioni o liberalità di cui agli articoli 742 e 783 del codice civile, l’accertamento delle liberalità diverse dalle donazioni e da quelle risultanti da atti di
donazione effettuati all’estero a favore di residenti può essere effettuato esclusivamente
in presenza di entrambe le seguenti condizioni:
a) quando l’esistenza delle stesse risulti da dichiarazioni rese dall’interessato nell’ambito
di procedimenti diretti all’accertamento di tributi;
b) quando le liberalità abbiano determinato, da sole o unitamente a quelle gia effettuate
nei confronti del medesimo beneficiario, un incremento patrimoniale superiore all’importo di 350 milioni di lire
2. Alle liberalità di cui al comma 1 si applica l’aliquota del 7% dal calcolare sulla parte
dell’incremento patrimoniale che supera l’importo di 350 milioni di lire.
3. Le liberalità di cui al comma 1 possono essere registrate volontariamente, ai sensi
dell’art.8 del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, approvato
con decreto del presidente della repubblica 26 aprile 1986, n. 131. In tale caso si applica
l’imposta con le aliquote indicate all’art.56 mentre qualora la registrazione volontaria sia
effettuata entro il 31 dicembre 2001 (prorogato al 30 giugno 2002), si applica l’aliquota
dle 3%.
Art.57. DONAZIONI ANTERIORI
1. Il valore globale netto dei beni e dei diritti oggetto della donazione è maggiorato, ai
soli fini della determinazione delle aliquote applicabili a norma dell’art.56, di un importo
pari al valore complessivo di tutte le donazioni, anteriormente fatte dal donante al donatario, comprese quelle presunte di cui all’art.1, terzo comma, ed escluse quelle indicate
nell’art.1, quarto comma, e quelle registrate gratuitamente o con pagamento dell’imposta
in misura fissa a norma degli artt. 55 e 59. Agli stessi fini, nelle ipotesi di cui all’art.56,
secondo comma, il valore globale netto di tutti i beni e diritti complessivamente donati è
maggiorato di un importo pari al valore complessivo di tutte le donazioni anteriormente
fatte ai donatari e il valore delle quote spettanti o dei beni e diritti attribuiti a ciascuno di
80
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
essi è maggiorato di un importo pari al valore delle donazioni a lui anteriormente fatte
dal donante. Per valore delle donazioni anteriori si intende il valore attuale dei beni e
dei diritti donati; si considerano anteriori alla donazione, se dai relativi atti non risulta
diversamente, anche le altre donazioni di pari data.
2. Negli atti di donazione e negli atti di cui all’art.26 del testo unico sull’imposta di registro, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 26-4-1986, n.131, devono
essere indicati gli estremi delle donazioni anteriormente fatte dal donante al donatario o
ad alcuno dei donatari e i relativi valori alla data degli atti stessi. Per l’omissione, l’incompletezza o l’inesattezza di tale indicazione si applica, a carico solidalmente dei donanti e
dei donatari, la pena pecuniaria da una a due volte la maggiore imposta dovuta.
Art.58. DISPOSIZIONI VARIE
1. Gli oneri da cui è gravata la donazione, che hanno per oggetto prestazioni a soggetti
terzi determinati individualmente, si considerano donazioni a favore dei beneficiari.
2. Per le donazioni sottoposte a condizione si applicano le disposizioni relative all’imposta di registro. Le donazioni a favore di nascituri e quelle a favore di enti di cui all’art.31,
secondo comma, lettere g) e h), si considerano sottoposte a condizione sospensiva.
3. Se nell’atto di donazione è prevista la sostituzione di cui all’art.692 del codice civile si
applicano le disposizioni dell’art.45.
4. Il rimborso dell’imposta pagata spetta anche nei casi di cui all’art.42, primo comma,
lettere b), d) e g).
5. Le disposizioni di questo titolo si applicano, in quanto compatibili, anche per gli atti di
liberalità tra vivi diversi dalla donazione.
Art.59. APPLICAZIONE DELL’IMPOSTA IN MISURA FISSA
1, L’imposta si applica nella misura fissa prevista per l’imposta di registro:
a) per le donazioni di beni culturali vincolati di cui all’art.12 lettera g), a condizione che
sia presentata all’ufficio del registro l’attestazione prevista dall’art.13, comma 2, salvo
quanto stabilito nei commi 3, 4 e 5 dello stesso articolo;
b) per le donazioni di ogni altro bene o diritto dichiarato esente dall’imposta a norma di
legge a eccezione dei titoli di cui alle lettere h) e i) dell’art.12.
(…)
3. Se i beni di cui al presente articolo sono compresi insieme con altri beni o diritti in uno
stesso atto di donazione, del loro valore non si tiene conto nella determinazione dell’imposta a norma dell’art.57.
Art.59-bis ESENZIONE PER I VEICOLI ISCRITTI AL PUBBLICO REGISTRO
AUTOMOBILISTICO
1.Non sono soggette ad imposta, anche nella ipotesi di cui all’articolo 59, comma 3, le
donazioni di veicoli di cui all’articolo 12, comma 1, lettera l).
Art.60. RINVIO
1. Per le modalità e i termini della liquidazione dell’imposta o maggiore imposta determinata a norma degli artt. 56 e 57, per la rettifica del valore dei beni e dei diritti, per
l’applicazione dell’imposta in caso di omissione della richiesta di registrazione, per la
riscossione e il rimborso dell’imposta, per i divieti e gli obblighi a carico di terzi e per le
sanzioni si applicano, in quanto non diversamente disposto in questo titolo e nell’art.34,
commi quarto e ottavo, le disposizioni del testo unico sull’imposta di registro, approvato
con decreto del Presidente della Repubblica 26-4-1986, n.131.
81
AIAF QUADERNO 2007/2
Titolo IV
DISPOSIZIONI TRANSITORIE E FINALI
Art.61. CONSOLIDAZIONE DELL’USUFRUTTO
1. L’imposta relativa alla riunione dell’usufrutto alla nuda proprietà trasferita a titolo
gratuito o per causa di morte si applica solo se la consolidazione dell’usufrutto si è verificata anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica 26-10-1972, n.637. Non si fa luogo a rimborso delle imposte già pagate.
Art.62. AGEVOLAZIONI
1. Restano ferme le agevolazioni previste da altre disposizioni di legge.
82
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
GIURISPRUDENZA
TRIBUNALE REGGIO EMILIA, SEZ. I CIV.,
DECRETO 23.3.2007
in Trusts e attività fiduciarie, 3/2007, p. 419
In sede di modifica delle condizioni di separazione consensuale, il Tribunale riunito in Camera di
Consiglio accoglie l’istanza congiunta delle parti, ritenuta conforme all’interesse della prole, che
prevede l’imposizione del vincolo di destinazione ex art. 2645 ter Codice Civile sui beni immobili
trasferiti dal genitore obbligato al mantenimento dei figli al genitore affidatario.
In tal modo il ricevente non può disporre liberamente di tali beni, in quanto gli immobili non possono
essere ceduti fino al raggiungimento dell’indipendenza da parte dei figli; i frutti prodotti costituiscono
una sicura fonte di reddito per la prole beneficiaria; viene inoltre a realizzarsi una piena ed efficace
garanzia sui beni vincolati rispetto ad atti esecutivi di terzi.
IL TRIBUNALE DI REGGIO EMILIA
SEZIONE PRIMA CIVILE
riunito in Camera di Consiglio nelle persone dei seguenti Magistrati:
- Dr. Roberto Piscopo PRESIDENTE
- Dr. Stefano Scati GIUDICE
- Dr. Giovanni Fanticini GIUDICE RELATORE
nel procedimento n. … Reg. N.C. ex art. 710 cod. proc. civ., promosso da XXX e YYY
− esaminata la documentazione e i verbali del 30/11/2006 e del 22/3/2007,
udita la relazione svolta dal Giudice Relatore Dr. Giovanni Fanticini,
osserva quanto segue
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso del … i coniugi hanno adito il Tribunale per la modifica delle condizioni
di separazione: chiedevano, in particolare, la sostituzione della condizione sub E) del
verbale di separazione consensuale del … (omologato in data …) – la quale prescriveva
a YYY l’obbligo di contribuire al mantenimento dei figli minori versando alla XXX un
assegno mensile di Euro 400,00 (comprensivo di spese straordinarie; somma rivalutabile
secondo indici Istat dall’1/10/2006) – con il trasferimento alla XXX, “in adempimento
all’obbligo di mantenimento dei figli minori”, di immobili (terreni agricoli e fabbricati),
ubicati in … in titolarità del YYY per l’intero o in quota del 50%.
Interveniva, in data …, il Pubblico Ministero
Con provvedimento del …, sentite le parti, il Tribunale osservava che la concorde richiesta di modifica non appariva rispondente all’interesse della prole: difatti, l’obbligo di
83
AIAF QUADERNO 2007/2
mantenimento dei figli minori, precedentemente assunto dal padre con il pagamento di
una somma mensile, veniva – nella domanda – sostituito con il trasferimento alla madre
(affidataria della prole) del compendio immobiliare, ma senza alcuna garanzia sulla destinazione dei cespiti e dei loro frutti (naturali e civili) al mantenimento della prole.
Il Collegio suggeriva alle parti l’apposizione sugli immobili trasferendi di un vincolo di
destinazione (art. 2645-ter cod. civ.) che consentisse di sottrarre i beni alla libera disponibilità della madre e impegnasse gli stessi al preminente interesse dei figli (peraltro, attenuando il rischio di espropriazione da parte di eventuali creditori); conseguentemente,
rimetteva i coniugi innanzi al Giudice Relatore.
All’udienza del … YYY e XXX modificavano l’originaria domanda e, previa produzione
di un aggiornato certificato di destinazione urbanistica relativo ai terreni (in atti), così
concludevano:
“insistono per la modifica consensuale delle condizioni della separazione richiesta con ricorso congiunto ex art. 710 c.p.c. e dichiarano di concordare la modifica della condizione
E) del verbale di separazione coniugi sostituendola con quelle qui di seguito indicate:
1) Il Sig. YYY trasferisce la quota pari al 50% dell’immobile indicato ai punti a), b) e c) e
il 100% dell’immobile indicato al punto d) del presente atto, con questo verbale, alla moglie XXX, la quale accetta, in adempimento all’obbligo di mantenimento dei figli minori,
i seguenti beni immobili:
a) casa di civile abitazione posta in Comune di …, località X, con circostante area cortiliva
di pertinenza in proprietà esclusiva, composta da: al piano terra cucina, pranzo, camera
da letto, bagno, locale caldaia e studio; al primo piano soggiorno, tre camere da letto,
ripostiglio, bagno e terrazzo;al secondo piano un sottotetto. Il tutto con scala interna di
collegamenti confina con via … Agli effetti dell’art. 40, 2 comma della Legge 28/2/1985
n. 47 e sue modificazioni, la parte cedente dichiara che il fabbricato è stato edificato in
base a licenza edilizia n. 80/1970 rilasciata dal Comune di … il … e successiva licenza per
ristrutturazione n. … con certificazione di abitabilità del …, prot....;
b) al piano terra, quali accessori della casa di cui alla lettera a) un’autorimessa, una cantina ed un ripostiglio, al primo piano un vano ad uso ripostiglio, confinanti nell’insieme
con cortile, con ragioni ---. Detto immobile(compreso quello sub a) risulta censito nel
Catasto Fabbricati del Comune di …;
c) appezzamento di terreno esteso circa are novantuno e centiare diciannove,avente la
destinazione urbanistica di cui all’allegato certificato, confinante con ragioni --- Detto
terreno risulta censito nel Catasto terreni del Comune di …;
d) Terreno agricolo senza fabbricati della superficie catastale complessiva di HA 1.17.46
(ettari uno are diciassette e centiare quarantasei), censito nel C.C.T. di detto Comune;
2) che i presenti trasferimenti vengono fatti ed accettati a corpo con tutti i diritti, ragioni,
azioni, accessioni, dipendenze e pertinenze, usi, servitù inerenti a quanto costituito, nello
stato di fatto e di diritto in cui si trovano e così come è stato pacificamente posseduto dal
sig. YYY, ad esso pervenuto per gli immobili di cui ai punti a,b e c. per atto a ministero
Dott. …;
3) che il Sig. YYY per quanto occorrer possa, garantisce la piena proprietà di quanto oggi
assegnato e la sua libertà alla data odierna da pesi, vincoli, privilegi, anche di natura fiscale, sequestri, pignoramenti e/o da oneri comunque pregiudizievoli, ad eccezione della
ipoteca iscritta dal Gruppo
Bancario … a carico degli immobili indicati alla condizione n. 1 punti a) b) e c) a garanzia
del mutuo ipotecario stipulato da entrambi i coniugi che rimane a carico esclusivo della
Sig.ra XXX già dalla sottoscrizione del presente atto sino all’estinzione dello stesso, in
data 12/11/1999, con formalità eseguita presso la conservatoria dei Registri Immobiliari
di Reggio Emilia in data …, R.G. …, R.P. …;
4) Il predetto mutuo gravante sull’immobile sopra descritto viene immediatamente as-
84
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
sunto da XXX che fin d’ora libera il coniuge da ogni inerente e conseguente obbligazione
dando atto di rimanere la solo obbligata all’estinzione del mutuo e alla conseguente cancellazione di ipoteca ed impegnandosi a notificare il presente accollo all’istituto mutuante cui seguirà la notifica del presente verbale che recepirà l’intervenuto accollo;
- che il Sig. YYY, per quanto occorrer possa, presta le più ampie garanzie di legge per il
caso di evizione e/o di molestie;
- Il Sig. YYY dichiara, per quanto occorrer possa, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2834
c.c., di rinunciare alla ipoteca legale di cui all’art. 2817 comma 1 n. 1 c.c.;
5) che gli effetti utili ed onerosi del presente trasferimento decorreranno dalla data del
presente verbale;
6) che le parti chiedono che agli effetti fiscali i predetti trasferimenti di quota di proprietà
dei predetti immobili vengano dichiarati esenti da ogni imposta e tassa ai sensi dell’art.
19 L. 898/70 e succ. modif. (Corte Cost. N. 154/99);
7) ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2645-ter c.c. la sig.ra XXX si obbliga ad impiegare
i frutti degli immobili indicati alla condizione n.1 punti a), b), c) e d) per il pagamento
del mutuo ipotecario iscritto dal Gruppo Bancario … a carico degli immobili indicati alla
condizione n.1 punti a), b), c) e, una volta estinto detto mutuo, ad impiegare i frutti degli
immobili per il mantenimento della prole sino al raggiungimento dell’autosufficienza
economica del più giovane dei figli;
8) ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2645-ter c.c. la sig.ra XXX si impegna, altresì, a non
alienare gli immobili indicati alla condizione n.1 punti a), b), c) e d) sino al raggiungimento dell’autosufficienza economica del più giovane dei figli;
9) La Sig.ra XXX dà atto che YYY ha versato con assegno bancario ricevuto in data … la
somma di euro 1.400,00, di cui euro 400,00 relativa al mantenimento dei figli minori per
il mese di Luglio 2006, ed euro 1.000,00 a saldo di tutti i crediti vantati dalla Sig.ra XXX
nei confronti del Sig. YYY;
10) I canoni di locazione percepiti per l’immobile indicato al punto n. a) b) e c) spetteranno per intero alla Sig.ra XXX;
11) Le parti dichiarano reciprocamente di nulla più pretendere per qualunque titolo o
ragione,fatta eccezione degli adempimenti indicati nelle premesse del presente atto;
12) Le spese del presente procedimento sono compensante tra le parti;
13) restano ferme e confermate le condizioni di cui ai punti A), B), C), D), F), G), H), L),
M) e N) del verbale di separazione del ...”.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Al negozio traslativo degli immobili (sostitutivo della condizione E del verbale di separazione omologato) i coniugi hanno aggiunto le seguenti pattuizioni:
“… ai sensi e per gli effetti di cui all’art.− 2645-ter c.c. la sig.ra XXX si obbliga ad impiegare i frutti degli immobili indicati alla condizione n. 1 punti a), b), c) e d) per il pagamento
del mutuo ipotecario iscritto dal Gruppo Bancario … a carico degli immobili indicati alla
condizione n.1 punti a), b), c) e, una volta estinto detto mutuo, ad impiegare i frutti degli
immobili per il mantenimento della prole sino al raggiungimento dell’autosufficienza
economica del più giovane dei figli”;
“… ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2645-ter c.c. la sig.ra XXX si impegna, altresì, a
non alienare gli immobili indicati alla condizione n. 1 punti a), b), c) e d) sino al raggiungimento dell’autosufficienza economica del più giovane dei figli”.
Spetta ora al Collegio valutare se l’interesse della prole è stato sufficientemente salvaguardato attraverso le pattuizioni suddette e, per fare ciò, occorre esaminare l’applicabilità dell’art. 2645-ter cod. civ. e gli effetti del vincolo impresso.
La menzionata disposizione fa riferimento agli “atti in forma pubblica”.
85
AIAF QUADERNO 2007/2
Poiché è impensabile che il legislatore abbia voluto “esautorare” il contratto (apparentemente escluso dalla norma che riguarda esplicitamente i soli “atti”) e, cioè, lo strumento principe attraverso il quale si esprime l’autonomia negoziale, il riferimento letterale
(“atti”) dell’art. 2645-ter cod. civ. deve intendersi limitato al requisito formale richiesto
per la trascrizione, la quale deve essere effettuata sulla scorta di un “atto pubblico” ai
sensi dell’art. 2699 cod. civ. Proprio per la centralità riconosciuta all’autonomia negoziale
privata, la locuzione impiegata all’inizio dell’articolo 2645-ter cod. civ. deve, perciò, essere riferita al genus dei negozi (atti e contratti) volti ad imprimere vincoli di destinazione
ai beni, purché stipulati in forma solenne; del resto, il successivo richiamo all’art. 1322,
comma 2°, cod. civ. dimostra che la norma concerne certamente anche i contratti.
Nel caso di specie, il verbale dell’udienza del … costituisce atto pubblico ai sensi e per
gli effetti dell’art. 2699 cod. civ. e (previa omologazione dell’accordo) è titolo idoneo alla
trascrizione nei Registri Immobiliari, a norma dell’art. 2657 cod. civ., del negozio di trasferimento di diritti reali immobiliari ivi contenuto (come espressamente riconosciuto da
Cass., 15/5/1997, n. 4306; analogamente, Cass., 30/8/1999, n. 9117).
È soddisfatto, pertanto, il requisito formale.
È evidente, inoltre, che il negozio ha ad oggetto il trasferimento e la destinazione di beni
immobili, come prevede la disposizione (che limita il suo ambito di applicazione agli
immobili e ai beni mobili registrati).
L’art. 2645-ter cod. civ. si riferisce a negozi atipici (ma – si deve ritenere – anche a contratti
con causa normativamente disciplinata) che destinano i beni alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela ai sensi dell’art. 1322, comma 2° cod. civ.: occorre perciò esaminare
la natura dell’accordo raggiunto dai coniugi YYY e XXX sotto i profili della causa e della
validità di questa in relazione alla meritevolezza degli interessi perseguiti.
In giurisprudenza, l’accordo col quale si prevede la corresponsione del contributo al
mantenimento dei figli con un trasferimento immobiliare una tantum anziché con un
assegno periodico è stato considerato, dopo qualche esitazione giurisprudenziale (Trib.
Catania, 1/12/1990, in Dir. Fam. Pers., 1991, pag. 1010: “Poiché la legge sul divorzio non
prevede la corresponsione in unica soluzione del contributo per il mantenimento della
prole e poiché del diritto della prole minorenne al mantenimento da parte dei genitori,
questi ultimi non possono disporre a loro piacimento, non è ammissibile l’assolvimento
dell’obbligo di mantenimento, da parte del genitore non affidatario, mediante donazione
di un cespite immobiliare; legittimamente pertanto il giudice può determinare, in virtù
dei poteri d’ufficio che gli competono, la misura del contributo (periodico) dallo stesso
genitore dovuto in favore della prole”), pienamente lecito e ammissibile (Corte App.
Milano, 6/5 1994, in Fam. Dir., 1994, pag. 667; Trib. Vercelli, 24/10/1989, in Dir. Fam. Pers.,
1991, pag. 1259; Trib. Siracusa, 14/12/2001, in Arch. Civ., 2002, pag. 728).
Il Tribunale osserva che, per quanto attiene alle modalità di adempimento dell’obbligo
di contribuire al mantenimento, all’istruzione e all’educazione dei figli minorenni, prima
della riforma dell’art. 155 cod. civ. disposta dalla Legge 8/2/2006, n. 54, era consueta l’imposizione al genitore non affidatario dell’obbligo di corrispondere all’altro una somma
periodica di denaro; la dottrina, invero, si era interrogata sulla possibilità per il Giudice
di prevedere modalità divergenti da questa, spingendosi ad ammettere, per esempio, la
“destinazione dei frutti di beni e capitali al mantenimento del minore”.
Oggi, il comma 4° dell’art. 155 cod. civ. non sembra lasciare adito a dubbi sul fatto che la
sola modalità di fonte giudiziale per la determinazione del contributo di uno dei genitori
al mantenimento della prole sia costituita dalla previsione, “ove necessario”, della “corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità”.
Affatto diverso è il discorso, però, per quanto attiene alle intese delle parti, in relazione
alle quali il Giudice deve limitarsi ad una mera “presa d’atto” qualora le medesime non
appaiano in contrasto con l’inderogabile principio dell’interesse del minore.
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PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
Si deve perciò concludere sul punto ritenendo che non vi siano, in linea di principio,
ostacoli ad un accordo che preveda la corresponsione del contributo al mantenimento
della prole in un’unica soluzione anziché con assegni periodici. Restano i dubbi (espressi
in dottrina e in giurisprudenza, ma non strettamente attinenti al presente procedimento)
sulla riconducibilità di effetti preclusivi alla prestazione una tantum, in relazione all’inderogabile principio di proporzionalità espresso nell’art. 148 cod. civ.: solo incidentalmente, si osserva che nessuna rinunzia, espressa o tacita, potrebbe escludere la facoltà,
per il genitore affidatario/convivente o per lo stesso figlio maggiorenne ma non ancora
autosufficiente, di far valere le eventuali sopravvenienze per effetto delle quali la prestazione effettuata non dovesse più rispondere ai canoni ex art. 148 cod. civ.
Riguardo alla causa, si rileva che le predette pronunce riguardavano il trasferimento, o
la promessa di trasferimento (qualificata come contratto a favore di terzo), direttamente dal coniuge separando/divorziando ai figli, mentre nel caso de quo il trasferimento
avviene tra i coniugi, seppure con vincolo di destinazione a favore della prole e a titolo
di mantenimento di questa: deve comunque essere riconosciuta la meritevolezza degli
interessi perseguiti.
Si tende a ravvisare la causa dei trasferimenti in favore della prole nella funzione solutoria dell’obbligo di mantenimento, sebbene i prevalenti riferimenti giurisprudenziali
richiamino la causa atipica (ex art. 1322 cod. civ.).
Scartata la tesi della causa solutionis (per difetto di una preventiva predeterminazione
quantitativa dell’obbligazione che il trasferimento andrebbe, in tutto o in parte, ad estinguere), nonché della causa transactionis (per la mancanza di un aliquid datum contrapposto ad un aliquid retentum ed inoltre per l’indisponibilità dei diritti in gioco, attinenti
alle prestazioni ex artt. 30 Cost., 147 e 148 cod. civ.), si può riconoscere nel negozio stipulato dai coniugi YYY e XXX un contratto con causa atipica, tesi richiamata pure dalla
Suprema Corte proprio con riguardo ai negozi relativi alla prole (Cass., 21/12/1987, n.
9500, in Giust. Civ., 1988, I, pag. 1237; Cass., 17/6/2004, n. 11342, in Giust. civ., 2005, I, pag.
415; Cass., 8/11/2006, n. 23801).
La stessa Corte ha poi statuito che “la configurabilità di negozi traslativi atipici, purché
sorretti da causa lecita, trova fondamento nello stesso principio dell’autonomia contrattuale posto dall’art. 1322 comma 2° cod. civ.” (Cass. civ., 9 ottobre 1991, n. 10612, in Riv.
Not., 1991, fasc. 6, pag. 1413).
La causa del trasferimento immobiliare de quo – se inteso come contratto atipico – deve
essere esaminata sotto l’aspetto della meritevolezza degli interessi sottesi.
In proposito, il Tribunale osserva che l’ “immeritevolezza” degli interessi perseguiti è
quasi divenuta “ipotesi di scuola” (tra gli ultimi esempi: Cass., 5/1/1994, n. 75, in Giust.
Civ., 1994, I, pag. 1230 e Cass., 20/9/1995, n. 9975, in Giust. Civ., 1996, I, pag. 73) e che, al
contrario, la “meritevolezza” è stata ampiamente riconosciuta perché “il fondamentale
principio dell’autonomia contrattuale consente alle parti di stipulare, nei limiti imposti
dalla legge, tutte quelle intese negoziali, riconosciute dall’ordinamento giuridico, che
vengano ritenute idonee alla tutela dei rapporti in continua evoluzione” (così Cass., Sez.
Un., 1/10/1987, n. 7341, pluriedita); peraltro, “nella più modesta cornice che, dopo l’adozione della Costituzione, le compete … una volta abbandonato quel criterio dell’ «utilità
sociale» che, nella relazione al codice civile, aveva giustificato la pur contestata adozione
della norma, il giudizio di meritevolezza degli interessi perseguiti col negozio atipico
si riduce, in realtà, ad una valutazione di non illiceità, in cui l’interprete deve limitarsi
all’esame della non contrarietà del negozio alle norme imperative, all’ordine pubblico ed
al buon costume” (recentemente, Trib. Trieste 23/9/2005, in Guida Dir., 2005, n. 41, pag.
57). Anche alla luce di quanto ora esposto, non può quindi dubitarsi della liceità della
causa (il mantenimento della prole) che sorregge il trasferimento immobiliare dal YYY
alla XXX (inoltre, la già menzionata pronuncia di Cass., 17/6/2004, n. 11342 ha espressa-
87
AIAF QUADERNO 2007/2
mente statuito che “l’accordo di separazione che contenga l’impegno di uno dei coniugi,
al fine di concorrere al mantenimento del figlio minore, di trasferire, in suo favore, la piena proprietà di un bene immobile, trattandosi di pattuizione che dà vita ad un contratto
atipico, distinto dalle convenzioni matrimoniali e dalle donazioni, [è] volto a realizzare
interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico, ai sensi dell’art. 1322 cod.
civ.”).
Non manca, poi, dottrina che rinviene nei negozi traslativi in sede di separazione/divorzio una causa tipica: se si tiene conto del carattere di “negoziazione globale” che la coppia in crisi attribuisce al momento della “liquidazione” del rapporto coniugale, di fronte
alla necessità di valutare gli infiniti e complessi rapporti di dare-avere che la convivenza
protratta per anni genera, si può riconoscere un vero e proprio “contratto di definizione
della crisi coniugale” (o, più esattamente, dei suoi aspetti patrimoniali), un negozio tale
da abbracciare ogni forma di costituzione e di trasferimento di diritti patrimoniali compiuti, con o senza controprestazione, in occasione della crisi coniugale.
La ricostruzione dottrinale sembra avvalorata dalla terminologia impiegata dal legislatore, laddove esso si riferisce alle “condizioni della separazione consensuale” (art. 711
cod. proc. civ.) e alle “condizioni inerenti alla prole e ai rapporti economici” in sede
di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio (art. 4, comma 16°,
Legge Divorzio): la lettura coordinata delle predette disposizioni – alla luce della giurisprudenza secondo cui ciascun coniuge ha il diritto di condizionare il proprio assenso
alla separazione a un soddisfacente assetto dei rapporti patrimoniali (Cass., 24/2/1993, n.
2270, in Dir. Fam. Pers., 1994, pag. 563; Cass., 22/1/1994, n. 657, in Dir. Fam. Pers., pag.
868) – consente di attribuire a quel complemento di specificazione (“della separazione”)
un valore non più soltanto soggettivo ma anche oggettivo. In altri termini, “condizioni
della separazione” non sono soltanto quelle “regole di condotta” destinate a scandire il
ritmo delle reciproche relazioni per il periodo successivo alla separazione o al divorzio,
bensì anche tutte quelle pattuizioni alla cui conclusione i coniugi intendono comunque
ancorare la loro disponibilità per una definizione consensuale della crisi coniugale. Sotto
il profilo causale, dunque, i contratti della crisi coniugale (e, segnatamente, i negozi traslativi di diritti tra coniugi in crisi) si caratterizzano per la presenza della causa tipica di
definizione della crisi stessa.
La tesi è stata recentemente accolta dalla Suprema Corte: “Gli accordi di separazione
personale fra i coniugi, contenenti attribuzioni patrimoniali da parte dell’uno nei confronti dell’altro e concernenti beni mobili o immobili, non risultano collegati necessariamente alla presenza di uno specifico corrispettivo o di uno specifico riferimento ai tratti
propri della “donazione”, e … rispondono, di norma, ad un più specifico e più proprio
originario spirito di sistemazione dei rapporti in occasione dell’evento di “separazione consensuale” … il quale, sfuggendo – in quanto tale – da un lato alle connotazioni
classiche dell’atto di “donazione” vero e proprio (tipicamente estraneo, di per sé, ad un
contesto – quello della separazione personale – caratterizzato proprio dalla dissoluzione
delle ragioni dell’affettività), e dall’altro a quello di un atto di vendita (attesa oltretutto
l’assenza di un prezzo corrisposto), svela, di norma, una sua “tipicità” propria la quale
poi, volta a volta, può … colorarsi dei tratti dell’obiettiva onerosità piuttosto che di quelli
della “gratuità”, in ragione dell’eventuale ricorrenza – o meno – nel concreto, dei connotati di una sistemazione “solutorio-compensativa” più ampia e complessiva, di tutta
quell’ampia serie di possibili rapporti (anche del tutto frammentari) aventi significati (o
eventualmente solo riflessi) patrimoniali maturati nel corso della (spesso anche lunga)
quotidiana convivenza matrimoniale” (Cass., 14/3/2006, n. 5473; analogamente, Cass.,
23/3/2004, n. 5741, in Arch. Civ., 2004, pag. 1026).
A maggior ragione, perciò, riconoscendo al negozio traslativo in esame una causa tipica
non può dubitarsi della sua liceità.
88
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
Resta da analizzare la questione (essenziale nel procedimento de quo) relativa alla salvaguardia dell’interesse della prole: difatti, come nel procedimento di separazione consensuale seguita da omologazione (sostanzialmente assimilabile alla presente richiesta di
modifica, avanzata congiuntamente dai coniugi), il controllo giudiziale si traduce in una
verifica della legittimità/opportunità delle condizioni pattuite dai coniugi soprattutto rispetto all’interesse dei figli, che funge da parametro di valutazione anche per le clausole
relative a rapporti patrimoniali.
In linea generale, si rileva che, con la trascrizione nei Registri Immobiliari ex art. 2645-ter
cod. civ. (sulle modalità con cui eseguire la formalità si richiama la Circolare dell’Agenzia del Territorio n. 5 del 7/8/2006), il vincolo di destinazione risulta opponibile erga
omnes, offrendo così ai minori una significativa tutela, sia con riguardo ai frutti dei beni
(da destinare al mantenimento), sia con riguardo all’inalienabilità.
Inoltre, poiché per la realizzazione degli interessi ai quali è preposto il vincolo può agire,
oltre al conferente (il YYY), qualsiasi interessato (e, quindi, anche il Pubblico Ministero
o un tutore o un curatore speciale), l’intestatario dei beni (la XXX) non potrà essere completamente libero di godere e disporre dei cespiti dovendo salvaguardare l’esigenza di
mantenimento della prole.
Infine, è prevista una piena ed efficace garanzia sui beni rispetto agli atti di esecuzione,
addirittura superiore alla previsione di impignorabilità dei beni costituiti in fondo patrimoniale: infatti mentre l’impignorabilità per debiti contratti per scopi estranei o differenti rispetto a quelli individuati nell’atto di destinazione dei beni (e dei relativi frutti)
conferiti ai sensi del nuovo art. 2645-ter cod. civ. appare assoluta, l’art. 170 cod. civ. assoggetta ad esecuzione i beni del fondo patrimoniale anche per debiti contratti per scopi
estranei ai bisogni della famiglia, a condizione che il creditore non sia a conoscenza di
tale ultima circostanza.
Più specificamente, si osserva che il primo vincolo impresso sui beni trasferiti alla XXX
riguarda i loro frutti (che, a norma dell’art. 2645-ter cod. civ., “possono essere impiegati
solo per la realizzazione del fine di destinazione”) e prevede che gli stessi siano destinati
– dopo l’estinzione del mutuo che grava sugli immobili – al mantenimento della prole
sino al raggiungimento dell’autosufficienza economica.
Si tratta, con ogni evidenza, di una pattuizione favorevole per la prole: dopo la liberazione del bene dai gravami relativi al mutuo stipulato dai coniugi acquirenti (e proprio
a questo fine devono in primis essere destinati i frutti), è assicurata ai figli – sino al raggiungimento della loro autosufficienza economica – una fonte sicura di reddito (peraltro
non aggredibile da eventuali creditori della XXX).
Il secondo vincolo è strettamente connesso al primo (l’impiego dei frutti è garantito anche
dalla conservazione della titolarità dei cespiti, la quale consente di goderne e disporne) e
prevede l’inalienabilità del bene sino al raggiungimento dell’autosufficienza economica
della prole: a riguardo, si osserva che l’articolo 2645-ter cod. civ. (norma successiva e
speciale), nel prevedere l’opponibilità ai terzi della predetta inalienabilità (ove trascritta
nei RR.II.), scardina il disposto dell’art. 1379 cod. civ. (“Divieto di alienazione”), il quale
sancisce (rectius, sanciva) che “il divieto di alienare stabilito per contratto ha effetto solo
tra le parti”.
Concludendo, la domanda di modifica congiuntamente avanzata dai coniugi YYY e XXX
può essere accolta, risultando legittimo il trasferimento e rispondendo all’interesse della
prole l’imposizione del vincolo ex art. 2645-ter cod. civ.
P.Q.M.
Il Tribunale
accoglie l’istanza e modifica la condizione sub E) del verbale di separazione consensuale
89
AIAF QUADERNO 2007/2
del … (omologato in data …) conformemente alla domanda avanzata dei coniugi nel
verbale dell’udienza del …
Così deciso il 23/3/2007 nella camera di consiglio della Sezione I del Tribunale di Reggio
Emilia.
Il Presidente
Dott. Roberto Piscopo
Il Giudice Estensore
Dott. Giovanni Fanticini
90
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
TRIBUNALE REGGIO EMILIA,
DECRETO 4.12.2006
in Trusts e attività fiduciarie, “Separazione coniugale e vincolo di destinazione”, 3/2007,
p. 419 ss.
Trattasi del caso già oggetto del decreto emesso dal Tribunale di Reggio Emilia in data 26.03.07.
Nel decreto che sotto si riporta, il Tribunale respinge la domanda di omologa del verbale di separazione consensuale sottoscritto dalle parti in quanto ritenuto non rispondente all’interesse della prole,
e sollecita l’ apposizione del vincolo di destinazione ai beni immobili trasferiti da un coniuge all’altro,
ex art. 2645 ter c.c..
Il Tribunale di Reggio Emilia Sezione Prima Civile
riunito in Camera di Consiglio nelle persone dei seguenti Magistrati:
- Dr. Roberto Piscopo
- Dr. Massimiliano Cenni
- Dr. Giovanni Fanticini
nel proc. N. ... Reg. N.C. ex art. 710 c.p.c., promosso da V S. e B. M.
- ritenuto che l’accordo raggiunto dalle parti all’udienza del 3011112006 non possa essere,
nella sua attuale formulazione, omologato in quanto non rispondente all’interesse della
prole: difatti, l’obbligo di mantenimento dei figli minori, precedentemente assunto dal padre con il pagamento di una somma mensile (come previsto dalla condizione E del verbale
omologato), è stato sostituito con il trasferimento alla madre (affidataria della prole) di un
compendio immobiliare, ma senza alcuna garanzia sulla destinazione dei cespiti e dei loro
frutti (naturali e civili) al mantenimento della prole;
- ritenuto che, interpretando la volontà ultima dei coniugi (che, però, non è stata esplicitata
nel verbale), l’accordo possa essere recepito a condizione che sia apposto con un atto tipico
o atipico in grado di imprimere un vincolo di destinazione ai beni trasferiti dal B. alla \I,
(art. 2645-ter c.c.): infatti, ove venisse impresso ai beni un vincolo di destinazione (ad esempio, obbligo di impiegare i frutti per il mantenimento della prole sino al raggiungimento
dell’autosufficienza economica del più giovane dei figli, obbligo di adibire i beni a casa familiare sino al raggiungimento dell’autosufficienza economica, divieto di alienazione sino
al raggiungimento dell’autosufficienza economica, ecc.) lo stesso consentirebbe di sottrarre
i beni alla libera disponibilità della madre, potrebbe ritenersi conforme al preminente interesse dei figli ed attenuerebbe il rischio di espropriazione da parte di eventuali creditori;
peraltro, il disposto dell’art. 2645-ter c.c. consentirebbe al B. e a qualunque altro interessato
(ad esempio, il Pubblico Ministero) di vigilare sul rispetto del vincolo imposto alla V;
- ritenuto opportuno riconvocare le parti per vagliarne le intenzioni;
fissa l’udienza del 21/2/2007 alle ore 12.30 innanzi al Giudice delegato Dr. Giovanni
Fanticini.
Si comunichi alle parti e al PM. via fax.
91
AIAF QUADERNO 2007/2
TRIBUNALE TRIESTE, UFFICIO DEL GIUDICE TAVOLARE
DECRETO 7.4.06
in Trusts e attività fiduciarie, “Impossibilità di accertare la causa e rigetto della domanda
di intavolazione”, Luglio 2006, p. 417 e ss.
Il giudice tavolare, letta la domanda proposta dal Notaio dott.... di... per conto di ... s.s.,
quale trustee del trust “TRUST.............................”, visti gli atti ed esaminata la documentazione, osserva quanto segue.
A sostegno della domanda di intavolazione del diritto di proprietà di beni immobili a
nome del trustee lo stesso produce un atto pubblico di dotazione del trust, nel quale
le parti stipulanti premettono di avere costituito un trust, di avere nominato trustee la
ricorrente..............., di volere dotare il.........., il trust di un bene immobile di sua proprietà
al fine di perseguire gli scopi del trust stesso, scopi enunciati in una scrittura privata
registrata non prodotta. Nessun’altra pattuizione caratteristica, che consentirebbe di qualificare l’atto di trasferimento alla luce dei tipi ordinari, è contenuta nell’atto stesso, con
il che si deve ritenere che la natura dell’atto sia proprio e solo quella voluta dalle parti
stipulanti, ovvero un atto di dotazione di bene a vantaggio di un trust.
Ciò premesso, non può che dichiararsi la nullità dell’atto per difetto di causa tipica o
atipica meritevole di tutela.
L’atto, per la mancanza di corrispettivo o di spirito di liberalità, non è qualificabile come
vendita o donazione, della quale pure avrebbe la forma. È dichiaratamente definito atto
di dotazione a trust, ma non dissimilmente da quanto già deciso dalla giurisprudenza di
merito in sede di giudizio tavolare, si tratta di atto causalmente astratto che impedisce di
apprezzare la funzione, la meritevolezza di interessi, nel senso di cui si dirà, e la pertinenza dell’operazione rispetto al fine di trust.
Al giudice tavolare, nel doveroso controllo di legittimità formale e sostanziale che caratterizza il suo giudizio, e che gli impone l’accesso diretto e pregnante alla causa del
programma negoziale (accesso di fatto impedito in quest’occasione, così come avvenuto
nel precedente culminato nel rigetto del ricorso tavolare, da parte del giudice tavolare di
Cortina d’Ampezzo, e nel conseguente reclamo al tribunale di Belluno) ai sensi dell’articolo 26 della legge generale sui libri fondiari, nel testo allegato al rd n. 499/1929, viene
offerto un punto di osservazione privilegiato, e per certi versi più ampio di quello del
giudizio ordinario, in quanto sganciato dalla contenziosità e immerso in un’analisi ufficiosa del programma negoziale.
Per quanto sia precisa convinzione del giudice che l’articolo 12 della Convenzione de
L’Aia del 1º luglio 1985 operi direttamente nel tessuto normativo interno, consentendo la
trascrizione dell’atto di trasferimento della proprietà immobiliare a un trustee, tuttavia
questo risultato deve essere verificato in concreto, per saggiare il rispetto dei principi
dell’ordinamento giuridico italiano: ciò sia con riguardo alla dimensione di tipicità del
diritto di proprietà in capo al trustee sia quanto alla trascrivibilità dell’acquisto. Ma per
passare all’analisi delle questioni di fatto, occorrerebbe potere apprezzare il programma
negoziale, anche al fine di esprimere il proprio giudizio di apprezzamento causale e di
meritevolezza.
Già altrove si è sostenuto (decreto del giudice tavolare del tribunale di Trieste dd. 23
settembre 2005, sub g. n. 10804/05) che, quanto all’individuazione dei parametri per l’apprezzamento del programma negoziale, il giudizio di meritevolezza andrebbe confinato
nel mero esame della non contrarietà del negozio alle norme imperative, all’ordine pubblico e al buon costume. È questa una delle più condivisibili chiavi di lettura per spiegare
la mancanza di consapevoli apporti giurisprudenziali all’analisi della norma, una volta
92
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
abbandonato quel criterio dell’”utilità sociale” che, nella relazione al codice civile, aveva
giustificato la pur contestata adozione della norma. Il perseguimento dei valori costituzionali è compito riservato allo stato, e non ai privati, e i principi sovraordinati fungono,
riguardo all’autonomia contrattuale, quali limitazioni inderogabili, più che come finalità
che i contraenti debbano prefiggersi. Se quindi il trust, come tanti altri negozi di importazione extranazionale, non è di per sé e in termini assoluti uno strumento idoneo a determinare squilibri ´macro-economici’, rimanendo sostanzialmente irrilevante in un’ottica
di utilità sociale, allora coerenza vuole che il sindacato dell’autorità giudiziaria debba
concentrarsi, abbandonando i ´massimi sistemi’, sulla liceità in concreto dello strumento
prescelto, per vedere se con la sua adozione ci si sia proposti di derogare a norme imperative e a principi generali.
Ma per fare ciò, grazie alle prerogative riconosciute al giudice tavolare e di cui sopra si
è detto, non ci si può limitare a un apprezzamento in negativo, ma si dovranno altresì
“ricostruire sistematicamente gli effetti” del negozio, per verificare se essi siano rapportabili a quelli previsti dall’ordinamento giuridico, e se si perseguano ulteriori obiettivi
non altrimenti raggiungibili con gli strumenti ordinari, altrimenti rimanendosi all’interno del fenomeno del negozio misto, del collegamento negoziale, della frantumazione e
ricomposizione negoziale. Che si tratti di una valutazione simile se non uguale a quella
imposta dall’articolo 1323 Codice Civile sulla liceità della causa, o se ne diverga qualitativamente o quantitativamente, è una questione per la cui soluzione si può fare rinvio alla
dottrina che anche recentemente ne ha offerto un’attenta analisi.
Questa indagine e questo esame sono in questa circostanza preclusi al giudice, a causa
della mancata produzione dell’atto istitutivo di trust, rimanendo impossibile saggiare
come l’effetto patrimoniale segregativo, il quale immancabilmente caratterizza il trust,
sia stato caratterizzato nella fattispecie negoziale creata dai contraenti, e come il trust
sia regolato dalla legge applicabile, di cui si ignora finanche l’identità. Il giudice non
può quindi analizzare se la legge prescelta dalle parti per la regolamentazione del trust
sia contraria all’ordinamento giuridico italiano, o sia utilizzata dalle parti per attuare
una frode alla legge nazionale; né può verificare se l’iniziativa economica sia in concreto
legittima, ovvero se sussistano “elementi indicativi di un abuso... nel singolo caso concreto”, senza arrestarsi a “una valutazione generale e astratta” (queste espressioni sono
utilizzate da organi giudiziari comunitari).
La specifica qualificazione dell’atto, voluta dalle parti, impedisce anche di esaminare la
possibilità di qualificare lo stesso alla luce della recente normativa introdotta dal decreto
legge 30 dicembre 2005, n. 273, ossia dell’articolo 2645-ter Codice Civile. Ma si ritiene
che, quand’anche la qualificazione fortemente espressa dalle parti (che lascia invece individuare senza dubbio nell’atto una dotazione di trust) fosse ambigua, e consentisse al
giudice, nel suo potere-dovere di qualificare la domanda stessa, non sarebbe possibile
fare uso alcuno di questa anomala disposizione normativa.
La norma, sulla cui interpretazione non è possibile qui soffermarsi, viene a introdurre
nell’ordinamento solo un particolare tipo di effetto negoziale, quello di destinazione (che
per i beni immobili e mobili registrati postula il veicolo formale dell’atto pubblico), accessorio rispetto agli altri effetti di un negozio tipico o atipico cui può accompagnarsi, e
che nel caso di specie manca, come scritto. Con essa, si opina, non si è voluto introdurre
nell’ordinamento un nuovo tipo di atto a effetti reali, un atto innominato, che diventerebbe il varco per l’ingresso del tanto discusso negozio traslativo atipico; non costituisce la
giustificazione legislativa di un nuovo negozio la cui causa è quella finalistica della destinazione del bene alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela. Non c’è infatti alcun
indizio da cui desumere che sia stata coniata una nuova figura negoziale, di cui non si
sa neanche se sia unilaterale o bilaterale, a titolo oneroso o gratuito, a effetti traslativi od
obbligatori.
93
AIAF QUADERNO 2007/2
Essa rappresenta poi una chiara anomalia nel sistema, se è vero che mentre la costituzione di un trust interno merita un giudizio positivo di liceità mercé il semplice rispetto
della Convenzione e del disposto dell’articolo 16 della legge 218 del 1995 (limite dell’ordine pubblico), invece il cittadino italiano che volesse raggiungere lo scopo di vincolare
determinati beni per un certo fine ai sensi dell’articolo 2645-ter Codice Civile dovrebbe
sperare nell’esito positivo del vago giudizio di meritevolezza dell’interesse.
Anche il regime dell’opponibilità del vincolo di destinazione, e in particolare la funzione
della trascrizione o della iscrizione tavolare, appare del tutto ambiguo nel caso di specie:
essa sarebbe, secondo la lettera della norma, quella di “rendere opponibile ai terzi il
vincolo di destinazione”, ma, stante la collocazione della norma, non è a essa applicabile
il disposto dell’art. 2644 cod. civ., il quale solo con riferimento agli atti enunciati nel precedente articolo 2643 Codice Civile stabilisce che gli stessi non hanno effetto riguardo ai
terzi che, a qualunque titolo, abbiano acquistato diritti sugli immobili in base a un atto
trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione degli atti medesimi.
Si rammenta inoltre che, laddove il legislatore ha voluto prevedere una nuova figura di
trascrizione, per collegare a essa gli effetti e superare il problema dell’originaria estraneità a un sistema ormai chiuso (come quello codicistico) l’ha fatto espressamente, come
è accaduto, oltre che nel disciplinare il fondo patrimoniale, anche nell’articolo 2645-bis,
il cui secondo comma stabilisce testualmente quale sia la valenza della trascrizione del
contratto preliminare, nei riguardi delle altre trascrizioni eseguite contro il promettente
alienante. Se fosse corretta l’interpretazione, che qui si nega, secondo cui la norma costituirebbe previsione di un modello di negozio, allora l’operatore dovrebbe subito notare
come il piano di efficacia sostanziale di questo vincolo rimanga tutto da ricostruire.
Per tutte queste ragioni, in difetto di un’apprezzabilità del programma negoziale, in costanza dell’apparente astrazione causale assoluta dell’atto dal quale si intende far promanare un effetto reale tipico, e nell’impossibilità di qualsiasi interpretazione conservativa,
anche con riguardo alla norma di cui all’articolo 2645-ter Codice Civile, si deve negare
pubblicità sotto forma di iscrizione tavolare all’atto o al diritto trasferito.
Trieste, 7 aprile 2006.
Il giudice tavolare
(Dott. Arturo Picciotto)
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PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
IL TRUST
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AIAF QUADERNO 2007/2
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PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
L’APPLICAZIONE DEL TRUST
NELL’AMBITO DEL DIRITTO
DI FAMIGLIA
_MILENA PINI
_AVVOCATO, FORO DI MILANO
Il trust è istituto che trova ormai nel nostro Paese ampia applicazione nell’ambito del diritto di famiglia, per la regolamentazione di rapporti patrimoniali nella
famiglia legittima, come in quella di fatto, sia nel corso della convivenza che nella
fase di separazione e divorzio, o per l’assistenza materiale di minori o di persone
incapaci, o per dare attuazione a particolari disposizioni testamentarie.
Peraltro, l’applicazione del trust, in generale e nello specifico ambito del diritto
di famiglia, è stata, e continua ad essere, oggetto di un vivace dibattito in dottrina
e in giurisprudenza, stanti le numerose e complesse questioni che comporta.
In questi brevi cenni introduttivi alla raccolta della legislazione e della giurisprudenza di maggiore interesse sul tema, di seguito pubblicata, vengono riassunte le nozioni principali e le questioni più controverse, senza alcuna pretesa
esaustiva dell’argomento, per il cui approfondimento si rimanda alla bibliografia
citata.
Il trust è un istituto creato dai tribunali di equità dei paesi della common law,
regolamentato dalla Convenzione adottata a L’Aja il 1° luglio 1985, con la quale
sono stabilite disposizioni comuni relative alla legge applicabile al trust, al fine
di risolvere i problemi relativi al suo riconoscimento. Di fatto, ne attua il riconoscimento negli ordinamenti di civil law privi di una disciplina interna.
L’Italia ha ratificato e reso esecutiva la Convenzione dell’Aja del 1° luglio
1985, con legge 16 ottobre 1989, n. 364, in vigore dal 1° gennaio 1992. Il trust
non ha una disciplina civilistica interna al nostro ordinamento, ma trova tuttavia legittimazione a seguito di detta legge di ratifica. In base all’art. 21 della Convenzione, l’Italia è tenuta a riconoscere, con gli effetti giuridici minimi
previsti dall’articolo 11 della stessa Convenzione, i trust costituiti in paesi che
li regolano nelle rispettive legislazioni, salve restando solo le proprie competenze in tema di ordine pubblico ed in materia fiscale, in forza degli articoli 18
e 19 della Convenzione.
Recentemente, l’articolo 1, commi da 74 a 76 della legge 27 dicembre 2006, n.
296 (legge finanziaria 2007), ha introdotto per la prima volta nell’ordinamento
97
AIAF QUADERNO 2007/2
tributario nazionale disposizioni in materia di trust, includendo i trust tra i soggetti passivi dell’imposta sul reddito delle società (IRES).
In tal modo è stata riconosciuta al trust un’autonoma soggettività tributaria rilevante ai fini dell’imposta tipica delle società, degli enti commerciali
e non commerciali.
Ai sensi dell’art. 2 della Convenzione, per trust si intendono “i rapporti giuridici istituiti da una persona, il costituente - con atto tra vivi o mortis causa - qualora dei
beni siano stati posti sotto il controllo di un trustee nell’interesse di un beneficiario o per
un fine specifico.
Il trust presenta le seguenti caratteristiche:
a) i beni del trust costituiscono una massa distinta e non fanno parte del patrimonio del trustee;
b) i beni del trust sono intestati a nome del trustee o di un’altra persona per
conto del trustee;
c) il trustee è investito del potere e onerato dell’obbligo, di cui deve rendere
conto, di amministrare, gestire o disporre beni secondo i termini del trust e le
norme particolari impostegli dalla legge.”
Secondo quanto previsto dallo stesso art. 2, “il fatto che il costituente conservi
alcune prerogative o che il trustee stesso possieda alcuni diritti in qualità di beneficiario
non è necessariamente incompatibile con l’esistenza di un trust.”.
Nel caso in cui sia lo stesso disponente ad essere designato quale trustee, si dà
luogo ad un trust autodichiarato; in tal caso il vincolo di destinazione sui beni si
forma all’interno dello stesso patrimonio del disponente.
L’art. 3 afferma che la Convenzione è applicabile “solo ai trusts costituiti volontariamente e comprovati per iscritto”, mentre l’art. 6 precisa che “il trust è regolato
dalla legge scelta dal costituente. La scelta deve essere espressa, oppure risultare dalle
disposizioni dell’atto che costituisce il trust o portandone la prova, interpretata, se necessario, avvalendosi delle circostanze del caso.”
Non essendo previsto da una legge nazionale, il trust, nel nostro Paese, è regolamentato da una legge straniera, scelta dal costituente.
Quanto al riconoscimento del trust, l’art. 11 prescrive che:
“Un trust costituito in conformità alla legge specificata al precedente capitolo dovrà
essere riconosciuto come trust. Tale riconoscimento implica quanto meno che i beni del
trust siano separati dal patrimonio personale del trustee, che il trustee abbia le capacità di
agire in giudizio ed essere citato in giudizio, o di comparire in qualità di trustee davanti
a un notaio o altra persona che rappresenti un’autorità pubblica.
Qualora la legge applicabile al trust lo richieda, o lo preveda, tale riconoscimento
implicherà, in particolare:
a) che i creditori personali del trustee non possano sequestrare i beni del trust;
b) che i beni del trust siano separati dal patrimonio del trustee in caso di insol-
98
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
venza di quest’ultimo o di sua bancarotta;
c) che i beni del trust non facciano parte del regime matrimoniale o della successione dei beni del trustee;
d) che la rivendicazione dei beni del trust sia permessa qualora il trustee, in
violazione degli obblighi derivanti dal trust, abbia confuso i beni del trust
con i suoi e gli obblighi di un terzo possessore dei beni del trust rimangono
soggetti alla legge fissata dalle regole di conflitto del foro.”
Al fine di favorirne il riconoscimento, l’art. 15 detta delle regole di salvaguardia delle disposizioni di legge nazionale, in particolare nelle seguenti materie:
a) la protezione di minori e di incapaci;
b) gli effetti personali e patrimoniali del matrimonio;
c) i testamenti e la devoluzione dei beni successori, in particolare la legittima;
d) il trasferimento di proprietà e le garanzie reali;
e) la protezione di creditori in casi di insolvibilità;
f) la protezione, per altri motivi, dei terzi che agiscono in buona fede.
Qualora le disposizioni del precedente paragrafo siano di ostacolo al riconoscimento del trust, il giudice cercherà di realizzare gli obiettivi del trust con altri
mezzi giuridici.
Ne consegue che il trust non può ledere la quota di legittima e più in generale
tutte le norme in materia di successione necessaria, non può violare i diritti dei
minori e degli incapaci, non può modificare gli effetti personali e patrimoniali
del matrimonio, e sono salvaguardate le azioni revocatorie nonché le altre azioni
di diritto nazionale previste a tutela di specifici diritti (ad esempio l’azione di
riduzione a favore dei legittimari1).
Il trust si sostanzia dunque in un rapporto giuridico fondato sul rapporto di
fiducia tra disponente (settlor) e trustee.
Il disponente (settlor) trasferisce, con atto unilaterale, taluni beni o diritti
(anche di credito) a favore del trustee, il quale li amministra con i diritti e i
poteri di un vero e proprio proprietario, nell’interesse del beneficiario o per
uno scopo prestabilito.
Anche nel caso in cui il disponente abbia individuato alcuni beneficiari ai
quali i beni andranno trasferiti in proprietà al termine del trust, costoro ne diverranno giuridicamente titolari in quel dato momento, non potendo, durante la
vita del trust, esserne considerati proprietari.
A sua volta, il trustee ha la titolarità del diritto di proprietà in modo pieno ed
esclusivo, ma l’esercizio di tale diritto è limitato alla gestione e amministrazione
1
Trib. Lucca, 23 settembre 1997, in Foro it., 1998, I, 2007 (nota Brunetti) e 3391 (nota Lupoi), Giur. it., 1999, 69; confermata da App. Firenze, 9 agosto 2001, in T&AF, 2002, 244.
Dinanzi a un trust testamentario chiaramente lesivo dei diritti dell'unica figlia del testatore, il
Tribunale di Lucca ha respinto la domanda di nullità del trust e ha indicato all'attrice la via
dell'azione di riduzione.
99
AIAF QUADERNO 2007/2
dei beni in trust, per il solo perseguimento dello scopo indicato dal disponente
nell’atto istitutivo.
L’effetto principale dell’istituzione di un trust è la segregazione patrimoniale
in virtù della quale i beni conferiti in trust costituiscono un patrimonio separato
rispetto al patrimonio del trustee, con l’effetto che non possono essere escussi dai
creditori del trustee, del disponente o del beneficiario.
Il trust ha una durata massima che dipende dalla legislazione che lo
regolamenta.
L’istituto del trust è indubbiamente lontano dai principi tradizionali del nostro ordinamento civile, realizzando di fatto una situazione in cui la titolarità del
diritto di proprietà è piena, mentre l’esercizio di tale diritto è limitato al perseguimento degli scopi indicati nell’atto istitutivo.
Dottrina2 e giurisprudenza si sono a lungo interrogate sulla legittimità di applicare una legge straniera ad un rapporto giuridico interno, quale in effetti è il
trust nel quale, tutti gli elementi che lo costituiscono sono nazionali (il disponente, i beni in trust, i beneficiari, etc.).
La questione sembra ora superata, anche in considerazione di un orientamento giurisprudenziale3 che si può ritenere prevalente, se non ormai pacifico, che
motiva e sostiene il riconoscimento e la trascrivibilità del cd. trust interno.
La più recente giurisprudenza, in tema di compatibilità astratta del trust con
l’ordinamento civile, ed in particolare con quello tavolare - dando ormai per superata la questione relativa al riconoscimento del cd. trust interno – precisa che
il Giudice Tavolare deve soprattutto valutare lo specifico atto istitutivo del trust
oggetto del procedimento, e dunque:
a. qualificare la tipologia di trust concretamente adottata, al fine di apprezzarne il
programma negoziale secondo il combinato disposto degli artt. 11 e 13 della Convenzio-
2
Lupoi, I trust nel diritto civile, nel Trattato di diritto civile, diretto da Sacco, Torino, 2004;
S. M Carbone, Trust interno e legge straniera, in M. Dogliotti - A. Braun (curr.), Il trust nel
diritto delle persone e della famiglia, Milano, 2003.
3
Sul riconoscimento e la trascrizione del trust, v. Trib. Bologna, 8 aprile 2000, che ha ordinato al Conservatore dei Pubblici Registri Immobiliari, a fronte del diniego dallo stesso
espresso, la trascrizione del trasferimento di proprietà immobiliare dal disponente al trustee
del trustee istituito; Trib. Pisa, 22 dicembre 2001; Trib. Milano, 29 ottobre 2002; Trib. Verona, 8 gennaio 2003; Trib. Bologna, 13 giugno 2003, che ha ordinato al Conservatore del
Registro delle Imprese, a fronte del diniego dallo stesso espresso, l’ iscrizione sul registro di
quote societarie a nome del trustee del trust istituito; Trib. Bologna, 1 ottobre 2003, che nel
giudizio avente ad oggetto la domanda di nullità di un trust cd. interno per contrarietà alle
norme imperative del nostro ordinamento, ha respinto la domanda e affermato l’assoluta
compatibilità dei trusts interni con l’ordinamento giuridico italiano; Trib. Parma,21 ottobre
2003; Trib.Trento, Sezione distaccata di Cavalese, 20 luglio 2004, il decreto è particolarmente importante perché esplicitamente ribadisce che il trust “ha acquisito un diritto di
cittadinanza nel nostro ordinamento”, e ordina l’annotazione della costituzione in trust e
dell’atto istitutivo di trust (il quale contiene la disciplina dalla quale deriva l’effetto segregativo) secondo la legge tavolare.
I provvedimenti sono pubblicati sulla rivista Trusts ed attività fiduciarie.
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PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
ne de L’Aja del 1.7.1985, che consente al giudice di vagliare la compatibilità del trust e
degli atti collegati (nonché della legge straniera prescelta dalle parti) con l’ordinamento
giuridico italiano;
b. effettuare il giudizio di meritevolezza, nei suoi ristretti confini e nel rispetto dell’autonomia contrattuale, approcciando al negozio presumendone la legittimità fino a prova
contraria, essendo lo stesso espressione di libertà di iniziativa economica;
c. verificare se l’atto istitutivo del trust o quelli ad esso geneticamente o funzionalmente collegati contengano pattuizioni che violino norme inderogabili specifiche o principi precettivi dell’ordinamento italiano o di quello estero prescelto dalle parti.4
Avendo riguardo alla sua struttura, il trust può considerarsi come:
• trust “di scopo”, se funzionale al perseguimento di un determinato fine (es. il
trust di garanzia)
• trust “con beneficiario”, quando i beni in trust vengono gestiti nell’interesse di
un determinato soggetto.
Il beneficiario può essere “beneficiario di reddito” e godere delle utilità dei
beni in trust (ad esempio, percepire periodicamente delle somme) oppure “beneficiario finale” dei beni che gli verranno devoluti al termine del trust.
I beneficiari possono essere individuati nell’atto istitutivo o in un secondo
momento, direttamente dal disponente o da un terzo designato (protector); inoltre, possono essere designati nominativamente o quali appartenenti ad una determinata categoria5.
Essi hanno azione verso il trustee per rivendicare i loro diritti.
Nel nostro Paese il trust ha trovato una prima applicazione nella regolamentazione dei rapporti economici e patrimoniali tra coniugi nella separazione
consensuale, mentre ad oggi non si registrano precedenti giurisprudenziali
nell’ambito di procedimenti di separazione o divorzio contenziosi.
Coloro che sostengono la particolare efficacia del trust, a tutela di diritti di natura economica dei coniugi nella separazione e nel divorzio, sottolineano l’effetto
segregativo proprio del trust, che consente di opporre il vincolo ai creditori del
disponente, così garantendo il pagamento delle prestazioni periodiche in favore
del coniuge e/o alla prole anche di contro a possibili azioni esecutive di terzi,
salve eventuali domande revocatorie.
4
Trib. Trieste, Ufficio del Giudice tavolare, decreto 19.9.2007, sul riconoscimento di un trust
per soddisfare le esigenze attuali e future di una coppia non legata da vincolo matrimoniale,
e dei figli, comuni e non; Trib. Trieste, Ufficio del Giudice tavolare, decreto 23.9.2005, di
cui si pubblica il testo nel presente Quaderno.
5
Secondo la Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 48/2007, per "beneficiario individuato"
deve intendersi il beneficiario di "reddito individuato", vale a dire il soggetto che esprime,
rispetto a quel reddito, una capacità contributiva attuale. Secondo l'interpretazione fornita
con la circolare, è necessario, quindi, che "il beneficiario non solo sia puntualmente individuato, ma che risulti titolare del diritto di pretendere dal trustee l'assegnazione di quella
parte di reddito che gli viene imputata per trasparenza".
101
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Il trust costituito nell’ambito della separazione consensuale o del divorzio su
domanda congiunta diviene così lo strumento attraverso il quale determinare le
modalità di adempimento degli obblighi ex artt. 155 e 156 c.c., e art. 5 e 6 l. div., e nel
contempo il mezzo per garantire l’esecuzione degli obblighi di mantenimento6.
Dalla casistica si rileva peraltro che spesso si tratta di trust autodichiarato,
dove uno dei coniugi è stato designato quale trustee. Tale soluzione suscita non
poche perplessità, se si tiene conto della particolare situazione, anche personale
e psicologica, dei coniugi nella fase della crisi del rapporto e della separazione, e
delle possibili finalità strumentali alla sottrazione di beni all’altro coniuge7
Non si può d’altra parte dimenticare che l’istituto del fondo patrimoniale,
previsto nel nostro ordinamento, trova ormai scarsa applicazione a causa della
rigidità della sua struttura e dei suoi limiti, non potendo ad esempio soddisfare
i bisogni della famiglia di fatto, o dei figli naturali, o le esigenze di una persona
non coniugata che voglia provvedere ai bisogni presenti e futuri della propria
famiglia d’origine8.
Sempre più frequente è anche la costituzione di trust per assicurare assisten6
F. Patti, I trusts: utilizzo nei rapporti di famiglia, in Vita notar., 2003, XIV; Dogliotti e Piccaluga, I trust nella crisi della famiglia, in Aa. Vv., Il trust nel diritto delle persone e della
famiglia. Atti del convegno. Genova, 15 febbraio 2003, a cura di Dogliotti e Braun, Milano,
2003.
G. Oberto manifesta invece una posizione critica sull’utilizzo del trust per la regolamentazione dei rapporti patrimoniali tra coniugi, sostenenedo che “se non vi è dubbio che il
trust - sempre, ovviamente, a condizione che lo si ritenga ammissibile nella versione "interna" e salvo l'eventuale esperimento dei rimedi revocatori - consente il vantaggio di una
separazione patrimoniale, in grado di tutelare adeguatamente i creditori delle prestazioni
postmatrimoniali nei confronti dei possibili creditori dell'obbligato, altrettanto condivisibile
non appare l'affermazione secondo la quale l'ordinamento civilistico italiano non offrirebbe
alternative all'istituto di matrice anglosassone per il raggiungimento di siffatta finalità di
garanzia del coniuge separato e della relativa prole.”
Per un approfondimento della posizione di Oberto, v. dell’Autore: Trust e autonomia negoziale nella famiglia, in Famiglia e diritto, 2004, 201 ss., 310 ss.; Il trust familiare, testo
disponibile sul sito:
http://utenti.lycos.it/giacomo305604/milano11giugno2005trust/relazionemilano.htm
7
In dottrina, Viglione, Vincoli di destinazione nell'interesse familiare, Milano, 2005, 128,
secondo il quale appare assai discutibile che i beni del trust siano amministrati dallo stesso
obbligato in favore dell'altra parte; è ben evidente, infatti, che la patologia della relazione
coniugale coincide generalmente con l'instaurarsi di difficili situazioni di conflittualità, tali
da sconsigliare il totale affidamento al coniuge obbligato dei poteri di gestione dei beni;
favorevole invece a tale ipotesi è F. Patti, I trusts: utilizzo nei rapporti di famiglia, in Vita
notar., 2003, XIV, secondo il quale "la istituzione del trust potrebbe trovare una più facile realizzazione con riguardo alla circostanza che potrà essere nominato trustee lo stesso
coniuge proprietario dei beni e obbligato alla prestazione, giacché la natura del trust e la
trascrizione del provvedimento giudiziale non consentiranno atti di disposizione in danno
degli interessi tutelati”
In giurisprudenza, Trib. Bologna, 1 ottobre 2003, in Trusts ed attività fiduciarie, 2004, 67, e
pubblicata per esteso in questo Quaderno, sul caso di trust costituito da un solo coniuge su
beni in comunione legale
8
M. Pini, Autonomia negoziale dei coniugi e patrimonio separato destinato ai bisogni della
famiglia, in Il Merito, Il Sole 24 Ore, 2003, n° 1, novembre, p. 2
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PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
za materiale a persone incapaci9. In dottrina si è rilevato “come il trust si presti
ad assicurare i mezzi necessari al sostentamento, nonché all’assistenza e alle cure
indispensabili, a favore di chi versi in condizioni di disagio o di debolezza per una
pluralità di ragioni, anche dopo la scomparsa dei genitori, del coniuge o dei parenti
più stretti. Attraverso il ricorso al trust, i genitori di un disabile potranno attribuire
ad esempio - già con atto tra vivi - al trustee parte del proprio patrimonio (comprendente anche la nuda proprietà di un immobile: in modo da conservare, vita natural
durante, l’amministrazione ed il godimento del cespite destinato a soddisfare post
mortem i bisogni abitativi del disabile superstite). In ossequio alla volontà espressa
dai disponesti, il trustee disporrà del bene (o del beni) così trasferitogli per il mantenimento, l’assistenza, la cura del congiunto disabile.
Il trustee, in base sempre alle istruzioni contenute nell’atto istituivo, potrà essere tenuto anche ad occuparsi personalmente dell’assistenza materiale del disabile,
ovvero a farsi coadiuvare per tale scopo da personale specialistico. In altri termini,
in ragione della necessità di provvedere alla cura sia degli aspetti economici che di
quelli personali, l’atto istitutivo del trust potrà contenere specifiche indicazioni,
oltre che in ordine alla gestione economica del trust fund, anche relativamente
alla cura personale dell’interessato - per garantire allo stesso condizioni di vita
decorose, un’assistenza qualificata, il soddisfacimento dei bisogni quotidiani e delle
inclinazioni naturali”10.
In materia fiscale, l’Agenzia delle Entrate ha recentemente stabilito che il
trust costituito a favore di un soggetto disabile, allo scopo di garantirne l’assistenza, è da considerarsi un trust senza beneficiari “individuati”, e pertanto
la tassazione del reddito avviene direttamente in capo al trust (risoluzione n.
278/E del 4.10.07).
La raccolta di legislazione e di giurisprudenza che segue, consente di approfondire gli argomenti qui accennati, ed in particolare di esaminare gli aspetti
positivi e problematici del trust applicato nell’ambito del diritto di famiglia.
9
Trib. Genova, G.T., decreto 14 marzo 2006, con nota di A. Venchiarutti, pubblicato anche
sul sito www.personaedanno.it; altri provvedimenti di Giudici Tutelari che autorizzano l’amministratore di sostegno a costituire trust a beneficio di persone incapaci, sono pubblicati su
questo Quaderno.
In dottrina, v. B. Valignani, Amministrazione di sostegno e trust, in G. Ferrando (cur.), L’amministrazione di sostegno, Milano, 2005, 195 ss; G. Garrone, Soggetti deboli in famiglia e
trust quale tutela etica, in Trusts ed attività fiduciarie, 2004, 310 ss; A. Palazzo, Autonomia
privata e trust protettivi, in Trusts ed attività fiduciarie, 2003, 192 ss; S. Bartoli, Trust con
beneficiari incapaci e rispetto delle nostre norme imperative in materia, in Trusts ed attività
fiduciarie, 2003, 560 ss; P. Amenta, Trust a protezione di disabile, in Trusts ed attività fiduciarie, 2000, 616 ss.
10 A. Venchiarutti, La protezione dei soggetti deboli. Trust e amministrazione di sostegno, pubblicato sul sito www.il-trust-in-italia.it
103
AIAF QUADERNO 2007/2
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PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
LEGISLAZIONE
CONVENZIONE ADOTTATA A L’AJA IL 1° LUGLIO 1985,
RELATIVA ALLA LEGGE SUI “TRUSTS” ED AL LORO
RICONOSCIMENTO.
Gli Stati firmatari della presente Convenzione,
considerando che il trust è un istituto peculiare creato dai tribunali di equità dei paesi
della Common Law, adottata da altri paesi con alcune modifiche, hanno convenuto di
stabilire disposizioni comuni relative alla legge applicabile al trust e di risolvere i problemi più importanti relativi al suo riconoscimento;
hanno deciso di stipulare a tal fine una Convenzione e di adottare le seguenti
disposizioni:
Capitolo I
Campo di applicazione
Articolo 1
La presente Convenzione stabilisce la legge applicabile al trust e regola il suo riconoscimento.
Articolo 2
Ai fini della presente Convenzione, per trust s’intendono i rapporti giuridici istituiti da una
persona, il costituente - con atto tra vivi o mortis causa - qualora dei beni siano stati posti
sotto il controllo di un trustee nell’interesse di un beneficiario o per un fine specifico.
Il trust presenta le seguenti caratteristiche:
a) i beni del trust costituiscono una massa distinta e non fanno parte del patrimonio del
trustee;
b) i beni del trust sono intestati a nome del trustee o di un’altra persona per conto del
trustee;
c) il trustee è investito del potere e onerato dell’obbligo, di cui deve rendere conto, di
amministrare, gestire o disporre beni secondo i termini del trust e le norme particolari
impostegli dalla legge.
Il fatto che il costituente conservi alcune prerogative o che il trustee stesso possieda alcuni diritti in qualità di beneficiario non è necessariamente incompatibile con l’esistenza
di un trust.
Articolo 3
La Convenzione si applica solo ai trust costituiti volontariamente e comprovati per iscritto.
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AIAF QUADERNO 2007/2
Articolo 4
La Convenzione non si applica a questioni preliminari relative alla validità dei testamenti o di altri atti giuridici, in virtù dei quali determinati beni sono trasferiti al trustee.
Articolo 5
La Convenzione non si applica qualora la legge specificata al capitolo II non preveda
l’istituto del trust o la categoria di trust in questione.
Capitolo II
Legge applicabile
Articolo 6
Il trust è regolato dalla legge scelta dal costituente. La scelta deve essere espressa, oppure
risultare dalle disposizioni dell’atto che costituisce il trust o portandone la prova, interpretata, se necessario, avvalendosi delle circostanze del caso.
Qualora la legge scelta in applicazione del precedente paragrafo non preveda l’istituzione del trust o la categoria del trust in questione, tale scelta non avrà valore e verrà
applicata la legge di cui all’articolo 7.
Articolo 7
Qualora non sia stata scelta alcuna legge, il trust sarà regolato dalla legge con la quale ha
più stretti legami.
Per determinare la legge con la quale un trust ha più stretti legami, si tiene conto in particolare:
a) del luogo di amministrazione del trust designato dal costituente;
b) della situazione dei beni del trust;
c) della residenza o sede degli affari del trustee;
d) degli obiettivi del trust e dei luoghi dove dovranno essere realizzati.
Articolo 8
La legge specificata agli articoli 6 o 7 regola la validità del trust, la sua interpretazione, i
suoi effetti e l’amministrazione del trust.
In particolare, la legge dovrà regolamentare:
a) la nomina, le dimissioni e la revoca del trustee, la capacità particolare di esercitare le
mansioni di trustee e la trasmissione delle funzioni di trustee;
b) i diritti e gli obblighi dei trustees tra di loro;
c) il diritto del trustee di delegare, in tutto o in parte, l’esecuzione dei suoi obblighi o
l’esercizio dei suoi poteri;
d) i poteri del trustee di amministrare o disporre dei beni del trust, di darli in garanzia e
di acquisire nuovi beni;
e) i poteri del trustee di effettuare investimenti;
f) le restrizioni relative alla durata del trust ed ai poteri di accantonare gli introiti del
trust;
g) i rapporti tra il trustee ed i beneficiari, ivi compresa la responsabilità personale del
trustee verso i beneficiari;
h) la modifica o la cessazione del trust;
i) la ripartizione dei beni del trust;
j) l’obbligo del trustee di render conto della sua gestione.
Articolo 9
Nell’applicazione del presente capitolo aspetti del trust che possono essere trattati a parte,
in parti-colare le questioni amministrative, potranno essere regolati da una legge diversa.
106
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
Articolo 10
La legge applicabile alla validità del trust stabilisce la possibilità di sostituire detta legge,
o la legge applicabile ad un elemento del trust che può essere trattato a parte, con un’altra
legge.
Capitolo III
Riconoscimento
Articolo 11
Un trust costituito in conformità alla legge specificata al precedente capitolo dovrà essere
ricono-sciuto come trust. Tale riconoscimento implica quanto meno che i beni del trust
siano separati dal patrimonio personale del trustee, che il trustee abbia le capacità di
agire in giudizio ed essere citato in giudizio, o di comparire in qualità di trustee davanti
a un notaio o altra persona che rappresenti un’autorità pubblica.
Qualora la legge applicabile al trust lo richieda, o lo preveda, tale riconoscimento implicherà, in particolare:
a) che i creditori personali del trustee non possano sequestrare i beni del trust;
b) che i beni del trust siano separati dal patrimonio del trustee in caso di insolvenza di
quest’ultimo o di sua bancarotta;
c) che i beni del trust non facciano parte del regime matrimoniale o della successione dei
beni del trustee;
d) che la rivendicazione dei beni del trust sia permessa qualora il trustee, in violazione
degli obblighi derivanti dal trust, abbia confuso i beni del trust con i suoi e gli obblighi
di un terzo possessore dei beni del trust rimangono soggetti alla legge fissata dalle regole
di conflitto del foro.
Articolo 12
Il trustee che desidera registrare i beni mobili e immobili, o i documenti attinenti, avrà
facoltà di ri-chiedere la iscrizione nella sua qualità di trustee o in qualsiasi altro modo
che riveli l’esistenza del trust, a meno che ciò non sia vietato o sia incompatibile a norma
della legislazione dello Stato nel quale la registrazione deve aver luogo.
Articolo 13
Nessuno Stato è tenuto a riconoscere un trust i cui elementi importanti, ad eccezione della scelta della legge da applicare, del luogo di amministrazione e della residenza abituale
del trustee, sono più strettamente connessi a Stati che non prevedono l’istituto del trust
o la categoria del trust in questione.
Articolo 14
La Convenzione non ostacolerà l’applicazione di norme di legge più favorevoli al riconoscimento di un trust.
Capitolo IV
Disposizioni generali
Articolo 15
La Convenzione non ostacolerà l’applicazione delle disposizioni di legge previste dalle
regole di conflitto del foro, allorché non si possa derogare a dette disposizioni mediante
una manifestazione della volontà, in particolare nelle seguenti materie:
a) la protezione di minori e di incapaci;
b) gli effetti personali e patrimoniali del matrimonio;
c) i testamenti e la devoluzione dei beni successori, in particolare la legittima;
d) il trasferimento di proprietà e le garanzie reali;
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AIAF QUADERNO 2007/2
e) la protezione di creditori in casi di insolvibilità;
f) la protezione, per altri motivi, dei terzi che agiscono in buona fede.
Qualora le disposizioni del precedente paragrafo siano di ostacolo al riconoscimento del
trust, il giudice cercherà di realizzare gli obiettivi del trust con altri mezzi giuridici.
Articolo 16
La Convenzione non pregiudica le disposizioni legislative del foro che devono essere
applicate anche per situazioni internazionali indipendentemente dalla legge designata
dalle regole di conflitto di leggi.
In casi eccezionali, si può altresì dare effetto alle norme della stessa natura di un altro
Stato che abbia con l’oggetto della contoversia un rapporto sufficientemente stretto.
Ciascuno Stato contraente potrà, mediante una riserva, dichiarare che non applicherà la
disposizione del secondo paragrafo del presente articolo.
Articolo 17
Ai sensi della Convenzione il termine “legge” indica le norme di legge in vigore in uno
Stato, ad eccezione delle regole di conflitto di legge.
Articolo 18
Le disposizioni della Convenzione potranno essere non osservate qualora la loro applicazione sia manifestamente incompatibile con l’ordine pubblico.
Articolo 19
La Convenzione non pregiudicherà la competenza degli Stati in materia fiscale.
Articolo 20
Ogni Stato contraente potrà, in qualsiasi momento, dichiarare che le disposizioni della
Convenzione saranno estese ai trusts costituiti in base ad una decisione giudiziaria.
Tale dichiarazione sarà notificata al Ministero degli Affari Esteri del Regno dei Paesi Bassi ed entrerà in vigore dal giorno di ricevimento della notifica.
L’articolo 31 è applicabile, per analogia, al ritiro di detta dichiarazione.
Articolo 21
Ciascuno Stato contraente potrà riservarsi il diritto di applicare le disposizioni del capitolo III solo ai trusts la cui validità è regolata dalla legge di uno Stato contraente.
Articolo 22
La Convenzione è applicabile ai trusts a prescindere dalla data della loro costituzione.
Tuttavia, uno Stato contraente potrà riservarsi il diritto di non applicare la Convenzione
ad un trust costituito prima dell’entrata in vigore della Convenzione per detto Stato.
Articolo 23
Ai fini di identificare la legge applicabile ai sensi della Convenzione, qualora uno Stato
comprenda varie unità territoriali, ciascuna con le proprie norme di legge per quanto
riguarda il trust, ogni rife-rimento alla legge di detto Stato sarà considerato come relativo
alla legge in vigore nell’unità terri-toriale in questione.
Articolo 24
Uno Stato all’interno del quale varie unità territoriali hanno le proprie norme di legge in
materia di trust non è tenuto ad applicare la Convenzione ai conflitti di legge che interessano unicamente queste unità territoriali.
Articolo 25
La Convenzione non deroga ad alcun altro strumento internazionale di cui uno Stato
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PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
contraente è o sarà parte e che contengono disposizioni sulle materie regolamentate dalla
presente Convenzione.
Capitolo V
Clausole finali
Articolo 26
Ciascuno Stato, al momento della firma, della ratifica, dell’accettazione, dell’approvazione o del-l’adesione, o, al momento di una dichiarazione resa ai sensi dell’articolo 29,
potrà esprimere le riserve previste agli articoli 16, 21 e 22.
Nessun’altra riserva sarà consentita.
Ciascuno Stato contraente potrà, in ogni momento, ritirare una riserva da esso espressa; tale riserva cesserà di avere effetto il primo giorno del terzo mese dopo la notifica
del ritiro.
Articolo 27
La Convenzione sarà aperta alla firma degli Stati che erano membri della Conferenza de
l’Aja di diritto internazionale privato al momento della sua quindicesima sessione.
Sarà ratificata, accettata o approvata e gli strumenti di ratifica, accettazione o approvazione saranno depositati presso il Ministero degli Affari Esteri del Regno dei Paesi Bassi.
Articolo 28
Ogni altro Stato potrà aderire alla Convenzione dopo la sua entrata in vigore in virtù
dell’articolo 30, par. 1.
Lo strumento di adesione sarà depositato esso il Ministero degli Affari Esteri del Reo dei
Paesi Bassi.
L’adesione avrà effetto solo per quanto riguarda i rapporti tra lo Stato aderente e gli Stati
contraenti che non avranno mosso obiezioni alla succitata adesione entro dodici mesi dal
ricevimento della notifica di cui all’articolo 32.
Ogni Stato membro potrà altresì muovere tali obiezioni al momento della ratifica, accettazione o approvazione della Convenzione, successiva all’adesione. Tali obiezioni saranno notificate al Ministero degli Affari Esteri del Regno dei Paesi Bassi.
Articolo 29
Uno Stato che comprenda due o più unità territoriali nelle quali vengono applicati sistemi giuridici diversi, potrà, al momento della firma, della ratifica, dell’accettazione,
dell’approvazione o dell’ade-sione, dichiarare che la presente Convenzione sarà applicata a tutte le sue unità territoriali, o so-lamente a una o più di esse, e potra, in qualunque
momento, modificare detta dichiarazione, for-mulando una nuova dichiarazione. Tali
dichiarazioni saranno notificate al Ministero degli Affari Esteri del Regno dei Paesi Bassi,
e indicheranno espressamente le unità territoriali alle quali si applica la Convenzione.
Se uno Stato non effettuerà dichiarazioni in base al presente articolo, la Convenzione sarà
applicata a tutte le unità territoriali di detto Stato.
Articolo 30
La Convenzione entrerà in vigore il primo giorno del terzo mese dopo il deposito del
terzo strumento di ratifica, accettazione o approvazione previsto dall’art. 27.
Successivamente la Convenzione entrerà in vigore:
a) per ogni Stato che la ratifichi, l’accetti, o l’approvi successivamente, il primo giorno
del terzo mese dopo il deposito del suo strumento di ratifica, di accettazione o di approvazione;
b) per ogni Stato aderente, il primo giorno del terzo mese dopo la scadenza del termine
di cui all’articolo 28;
109
AIAF QUADERNO 2007/2
c) per le unità territoriali alle quali la Convenzione è stata estesa in conformità all’articolo
29, il primo giorno del terzo mese dopo la notifica di cui a detto articolo.
Articolo 31
Ogni Stato contraente potrà denunciare la presente Convenzione mediante notifica formale per iscritto, indirizzata al Ministero degli Affari Esteri del Regno dei Paesi Bassi,
depositario della Convenzione.
La denuncia entrerà in vigore dal primo giorno del mese successivo alla scadenza di un
periodo di sei mesi dopo la data di ricevimento della notifica da parte del depositario, o
ad ogni altra data successiva, specificata nella notifica.
Articolo 32
Il Ministero degli Affari Esteri del Regno dei Paesi Bassi notificherà agli Stati membri della Confe-renza, nonché agli Stati che vi avranno aderito, in conformità alle disposizioni
dell’articolo 28:
a) le firme e le ratifiche, le accettazioni e le approvazioni di cui all’articolo 27;
b) la data alla quale la Convenzione entrerà in vigore in conformità alle disposizioni
dell’articolo 30;
c) le adesioni e le obiezioni alle adesioni di cui all’articolo 28;
d) le estensioni di cui all’articolo 29;
e) le dichiarazioni di cui all’articolo 20;
f) le riserve o i diritti di riserva di cui all’articolo 26;
g) le denunce di cui all’articolo 31.
In fede di che, i sottoscritti, debitamente autorizzati, hanno firmato la presente Convenzione.
Fatto a l’Aja, il 1° luglio 1985, in francese ed inglese, i due testi facenti ugualmente fede,
in un unico esemplare che sarà depositato negli archivi del Governo del Regno dei Paesi
Bassi, e di cui una copia autenticata sarà consegnata, per le vie diplomatiche, a ciascuno
Stato membro della Conferenza de l’Aja di diritto internazionale privato al momento
della sua quindicesima sessione.
110
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
LEGGE 16 OTTOBRE 1989, N. 364.
RATIFICA ED ESECUZIONE DELLA CONVENZIONE SULLA LEGGE
APPLICABILE AI TRUSTS E SUL LORO RICONOSCIMENTO,
ADOTTATA A L’AJA IL 1° LUGLIO 1985
Art. 1
1. Il Presidente della Repubblica è autorizzato a ratificare la convenzione sulla legge applicabile ai trusts e sul loro riconoscimento, adottata a L’Aja il 1° luglio 1985.
Art.2
1. Piena ed intera esecuzione è data alla convenzione di cui all’articolo 1 a decorrere dalla
sua en-trata in vigore in conformità a quanto disposto dall’articolo 30 della convenzione
stessa.
Art.3
1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione
nella Gazzetta Ufficiale.
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AIAF QUADERNO 2007/2
REGOLAMENTO (CE) N. 44/2001 DEL CONSIGLIO, DEL
22 DICEMBRE 2000, CONCERNENTE LA COMPETENZA
GIURISDIZIONALE, IL RICONOSCIMENTO E L’ESECUZIONE
DELLE DECISIONI IN MATERIA CIVILE E COMMERCIALE
GAZZETTA UFFICIALE N. L 012 DEL 16/01/2001 PAG. 0001 – 0023
(Omissis)
Articolo 5
La persona domiciliata nel territorio di uno Stato membro può essere convenuta in un
altro Stato membro:
6) nella sua qualità di fondatore, trustee o beneficiario di un trust costituito in applicazione di una legge o per iscritto o con clausola orale confermata per iscritto, davanti ai
giudici dello Stato membro nel cui territorio il trust ha domicilio;
(Omissis)
Articolo 23
1. Qualora le parti, di cui almeno una domiciliata nel territorio di uno Stato membro,
abbiano attribuito la competenza di un giudice o dei giudici di uno Stato membro a conoscere delle controversie, presenti o future, nate da un determinato rapporto giuridico,
la competenza esclusiva spetta a questo giudice o ai giudici di questo Stato membro.
Detta competenza è esclusiva salvo diverso accordo tra le parti. La clausola attributiva di
competenza deve essere conclusa:
a) per iscritto o oralmente con conferma scritta, o
b) in una forma ammessa dalle pratiche che le parti hanno stabilito tra di loro, o
c) nel commercio internazionale, in una forma ammessa da un uso che le parti conoscevano o avrebbero dovuto conoscere e che, in tale campo, è ampiamente conosciuto
e regolarmente rispettato dalle parti di contratti dello stesso tipo nel ramo commerciale
considerato.
2. La forma scritta comprende qualsiasi comunicazione con mezzi elettronici che permetta una registrazione durevole della clausola attributiva di competenza.
3. Quando nessuna delle parti che stipulano tale clausola è domiciliata nel territorio di
uno Stato membro, i giudici degli altri Stati membri non possono conoscere della controversia fintantoché il giudice o i giudici la cui competenza è stata convenuta non abbiano
declinato la competenza.
4. Il giudice o i giudici di uno Stato membro ai quali l’atto costitutivo di un trust ha
attribuito competenza a giudicare, hanno competenza esclusiva per le azioni contro
un fondatore, un trustee o un beneficiario di un trust, ove si tratti di relazioni tra tali
persone o di loro diritti od obblighi nell’ambito del trust.
5. Le clausole attributive di competenza e le clausole simili di atti costitutivi di trust non
sono valide se in contrasto con le disposizioni degli articoli 13, 17 o 21 o se derogano alle
norme sulla competenza esclusiva attribuita ai giudici ai sensi dell’articolo 22.
(Omissis)
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PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
Articolo 60
1. Ai fini dell’applicazione del presente regolamento una società o altra persona giuridica
è domiciliata nel luogo in cui si trova:
a) la sua sede statutaria, o
b) la sua amministrazione centrale, oppure
c) il suo centro d’attività principale.
2. Per quanto riguarda il Regno Unito e l’Irlanda, per “sede statutaria” si intende il “registered office” o, se non esiste alcun “registered office”, il “place of incorporation” (luogo
di acquisizione della personalità giuridica), ovvero, se nemmeno siffatto luogo esiste, il
luogo in conformità della cui legge è avvenuta la “formation” (costituzione).
3. Per definire se un trust ha domicilio nel territorio di uno Stato membro i cui giudici
siano stati aditi, il giudice applica le norme del proprio diritto internazionale privato.
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AIAF QUADERNO 2007/2
AGENZIA ENTRATE, DIREZIONE CENTRALE NORMATIVA E
CONTENZIOSO.
CIRCOLARE N. 48/E, 6 AGOSTO 2007
TRUST. DISCIPLINA FISCALE RILEVANTE AI FINI DELLE IMPOSTE
SUI REDDITI E DELLE IMPOSTE INDIRETTE
INDICE
PREMESSA
1. BREVI CENNI SULLA NATURA DEI TRUST
2. PRECEDENTI INDICAZIONI DELL’AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA IN MATERIA DI
TRUST
3. DISCIPLINA DEL TRUST AI FINI DELLE IMPOSTE DIRETTE
3.1 La residenza del trust
3.2 Adempimenti del trust
3.3 Il trasferimento dei beni nel trust
3.4 Cessione dei beni in trust
4. DISCIPLINA DEI REDDITI DEL BENEFICIARIO DEL TRUST
4.1 Natura dei redditi attribuiti ai beneficiari
5. DISCIPLINA DEL TRUST AI FINI DELLE IMPOSTE INDIRETTE
5.1 Atto istitutivo del trust (imposta di registro)
5.2 Atto dispositivo (imposta sulle successioni e donazioni sulla costituzione di vincoli di
destinazione)
5.3 Atto dispositivo (imposte ipotecarie e catastali)
5.4 Operazioni effettuate durante il trust
5.5 Trasferimento dei beni ai beneficiari
PREMESSA
L’articolo 1, commi da 74 a 76 della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007,
di seguito “finanziaria 2007”), pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 299 del 27 dicembre
2006, ha introdotto per la prima volta nell’ordinamento tributario nazionale disposizioni
in materia di trust.
Il comma 74 dell’articolo 1 della finanziaria 2007, modificando l’articolo 73 del testo unico
delle imposte sui redditi, approvato dal decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (di seguito, “TUIR”), include i trust tra i soggetti passivi dell’imposta
sul reddito delle società (IRES).
In tal modo è stata riconosciuta al trust un’autonoma soggettività tributaria rilevante ai
fini dell’imposta tipica delle società, degli enti commerciali e non commerciali.
Avendo presente la flessibilità dell’istituto, il legislatore ha individuato, ai fini della imposizione dei redditi, due principali tipologie di trust:
• trust con beneficiari individuati, i cui redditi vengono imputati per trasparenza ai beneficiari stessi,
• trust senza beneficiari individuati, i cui redditi vengono tassati direttamente in capo
al trust.
114
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
I redditi imputati al beneficiario sono stati qualificati come redditi di capitale, con l’inserimento della lettera g-sexies) al comma 1 dell’articolo 44 del TUIR.
Specifiche disposizioni antielusive sono state, inoltre, introdotte al fine di determinare
la residenza fiscale di trust istituiti in paesi che non consentono lo scambio di informazioni.
Con opportune modificazioni apportate all’articolo 13 del decreto del Presidente della
Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, i trust che esercitano attività commerciali sono stati
inclusi tra i soggetti obbligati alla tenuta di scritture contabili.
Infine, in materia di imposizione indiretta, puntuali disposizioni sono state introdotte
• dapprima con l’art. 6 del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 che ha previsto l’applicazione dell’imposta di registro sulla costituzione dei vincoli di destinazione sui beni e
diritti
• poi con la con legge di conversione 24 novembre 2006 n. 286 che, senza convertire la
disposizione dell’art. 6 del decreto, ha invece assoggettato la costituzione dei vincoli di
destinazione sui beni e diritti all’imposta sulle successioni e donazioni
• e in ultimo con la finanziaria 2007 che ha introdotto alcune franchigie ed esenzioni.
1. BREVI CENNI SULLA NATURA DEI TRUST
Il trust è istituto tipico della common law che, per versatilità e flessibilità, si presta alle
finalità più ampie. E’ opportuno considerare che non esiste una specifica tipologia di
trust e che, ai fini dell’analisi dei profili civilistici e fiscali, dopo aver individuato i tratti
comuni ed essenziali della relativa disciplina occorre cogliere volta per volta, nei casi
concreti, le peculiarità dei singoli trust.
Il trust si sostanzia in un rapporto giuridico fondato sul rapporto di fiducia tra disponente (settlor o grantor) e trustee. Il disponente, di norma, trasferisce, per atto inter vivos o
mortis causa, taluni beni o diritti a favore del trustee il quale li amministra, con i diritti e
i poteri di un vero e proprio proprietario, nell’interesse del beneficiario o per uno scopo
prestabilito.
Spesso i trustee sono trust company, vale a dire società che hanno quale oggetto sociale
l’assistenza ai clienti nella istituzione dei trust e nella successiva gestione dei patrimoni.
L’effetto principale dell’istituzione di un trust è la segregazione patrimoniale in virtù
della quale i beni conferiti in trust costituiscono un patrimonio separato rispetto al patrimonio del trustee, con l’effetto che non possono essere escussi dai creditori del trustee,
del disponente o del beneficiario.
Caratterizzato da una dual ownership, vale a dire da una doppia proprietà, l’una ai fini
dell’amministrazione -in capo al trustee- e l’altra, ai fini del godimento - in capo al beneficiario -, il trust esprime un concetto di proprietà non proprio allineato a quello conosciuto nei paesi di civil law. E’ evidente come, in base ai canoni tradizionali del nostro
ordinamento, non sia agevole comprendere un simile sdoppiamento di proprietà, né la
compressione del diritto di godimento dei beni affidati al trustee che ne è il proprietario.
In sostanza, mentre la titolarità del diritto di proprietà è piena, l’esercizio di tale diritto è
invece limitato al perseguimento degli scopi indicati nell’atto istitutivo.
Il trust viene istituito con un negozio unilaterale, cui si affiancano uno o più atti
dispositivi.
115
AIAF QUADERNO 2007/2
Se è lo stesso disponente ad essere designato quale trustee, si dà luogo a un trust autodichiarato; in tal caso il vincolo di destinazione sui beni si forma all’interno dello stesso
patrimonio del disponente.
Qualora il trustee sia soggetto diverso dal disponente, il trasferimento al trust dei beni,
così come la “perdita di controllo” da parte del disponente sui medesimi beni, sono requisiti qualificanti del trust. Il disponente può conservare alcuni poteri (come quello di
sostituire il trustee o nominare altri beneficiari) salvaguardando in ogni caso l’effettività
dell’attribuzione e l’esercizio dei poteri di amministrazione da parte del trustee.
Il trust può presentarsi come:
• trust liberale, con il quale si dispone di assetti familiari e non;
• trust commerciale, utilizzabile, ad esempio, per disporre la segregazione di attività
dell’impresa, spesso a titolo di garanzia.
• trust revocabile (grantor trust), quando il disponente si riserva la facoltà di revocare
l’attribuzione dei diritti ceduti al trustee o vincolati nel trust (nel caso in cui il disponente
sia anche trustee), diritti che, con l’esercizio della revoca, rientrano nella sua sfera patrimoniale.
E’ evidente come in tal caso non si abbia un trasferimento irreversibile dei
diritti e, soprattutto, come il disponente non subisca una permanente diminuzione patrimoniale. Questo tipo di trust, pure ammesso in alcuni ordinamenti, ai fini delle imposte
sui redditi non dà luogo ad un autonomo soggetto passivo d’imposta cosicché i suoi
redditi sono tassati in capo al disponente; ai fini delle imposte indirette, come si dirà, non
si differenzia dagli altri trust.
Avendo riguardo alla sua struttura, il trust può considerarsi come:
• trust “di scopo”, se funzionale al perseguimento di un determinato fine (es. il trust di
garanzia)
• trust “con beneficiario”, quando i beni in trust vengono gestiti nell’interesse di un determinato soggetto.
Il beneficiario può essere “beneficiario di reddito” e godere delle utilità dei beni in trust
(ad esempio, percepire periodicamente delle somme) oppure “beneficiario finale” dei
beni che gli verranno devoluti al termine del trust.
I beneficiari possono essere individuati nell’atto istitutivo o in un secondo momento,
direttamente dal disponente o da un terzo designato (protector); inoltre, possono essere
designati nominativamente o quali appartenenti ad una determinata categoria. Essi hanno azione verso il trustee per rivendicare i loro diritti.
Nel fixed trust il disponente individua i beneficiari con l’atto istitutivo e predetermina la
ripartizione tra gli stessi del patrimonio e del reddito del trust.
Nel trust discrezionale, invece, il disponente si riserva la facoltà di nominare in un momento successivo i beneficiari ovvero rimette al trustee o ad un protector (guardiano)
l’individuazione degli stessi, delle loro rispettive posizioni, delle modalità e dei tempi di
attribuzione dei benefici.
L’atto istitutivo del trust può indicare un protector con il compito di vigilare sull’operato
del trustee.
Il trust non ha una disciplina civilistica interna ma trova tuttavia legittimazione a seguito
116
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
dell’adesione dell’Italia alla Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985, resa esecutiva con
legge 16 ottobre 1989, n. 364 e in vigore dal 1° gennaio 1992.
La Convenzione si pone l’obiettivo di armonizzare le regole del diritto internazionale
privato in materia di trust e, di fatto, ne attua il riconoscimento negli ordinamenti di civil
law privi di una disciplina interna.
Essa individua gli elementi essenziali del trust rilevanti ai fini del riconoscimento da
parte degli Stati firmatari.
L’art. 2 prevede i seguenti elementi essenziali del trust:
• i beni vincolati nel trust sono una massa distinta e non sono parte del patrimonio del
trustee
• i beni vincolati nel trust sono intestati al trustee o ad altro soggetto per conto del trustee
• il trustee è tenuto ad amministrare, gestire e disporre dei beni in trust secondo le indicazioni dettate nell’atto istitutivo del trust e nel rispetto della legge. Il trustee deve
rendere conto della gestione.
L’Italia riconosce i trust che abbiano gli elementi essenziali indicati dall’art. 2. Per effetto
del riconoscimento, i beni in trust restano distinti dal patrimonio personale del trustee
che, a sua volta, acquista la capacità di agire ed essere convenuto in giudizio, di comparire in qualità di trustee davanti a notai o altri rappresentanti di pubbliche istituzioni.
Ai sensi dell’articolo 3, la convenzione si applica solo ai trust la cui istituzione sia provata
per iscritto.
Si ricorda, infine, che la convenzione non dispone sul trattamento fiscale dei trust, il quale rientra nelle competenze dei singoli Stati (art. 19).
2. PRECEDENTI INDICAZIONI DELL’AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA IN MATERIA DI TRUST
Prima dell’intervento attuato con la finanziaria 2007 l’Amministrazione finanziaria aveva fornito alcune sommarie indicazioni in merito al trattamento fiscale dei trust. Si cita
al riguardo la relazione degli ispettori tributari del Secit in materia di “Circolazione dei
trust esteri in Italia”, approvata con delibera n. 37/98 dell’11 maggio 1998, che – nel convalidare la tesi largamente maggioritaria in dottrina- aveva precisato che “il trust rientra
fra gli enti considerati dall’articolo 87 (attuale 73 ndr) del TUIR, quali soggetti autonomi
d’imposta IRPEG. In particolare, qualora il trust abbia la sede legale o amministrativa o
l’oggetto principale dell’attività in Italia e svolga, in via esclusiva o principale, un’attività commerciale, si renderebbero applicabili le disposizioni recate dall’art. 95 (attuale 81
ndr) del TUIR, mentre nel caso di ente non residente o non esercente attività commerciale, si renderebbero applicabili le disposizioni previste dagli artt. 108 (attuale 143 ndr) e
seguenti del medesimo testo unico”.
Anche la prassi amministrativa successiva a tale delibera del Secit (circ del 30/12/2005 n.
55, ris. 17 gennaio 2003 n. 8) si era orientata a qualificare il trust come ente non commerciale ovvero quale ente commerciale nel caso di esercizio di attività d’impresa.
In particolare, era stato affermato che il trust fosse configurabile come un autonomo
soggetto d’imposta IRES, esercente o meno attività commerciale, ai sensi dell’articolo
73, comma 2, del TUIR, ossia come una delle organizzazioni non appartenenti ad altri
soggetti passivi nei confronti dei quali il presupposto dell’imposta si verifica in modo
unitario ed autonomo.
In ogni caso, l’autonoma soggettività tributaria era stata riconosciuta esclusivamente
117
AIAF QUADERNO 2007/2
a quei trust che possedessero le caratteristiche di cui all’articolo 2 della Convenzione
dell’Aja, tra cui, come abbiamo visto, l’effettivo potere di gestione ed amministrazione
dei beni in capo al trustee (cfr. risoluzione n. 8/E del 17 gennaio 2003).
In linea con tale indirizzo interpretativo è anche il provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate dell’8 luglio 2005 riguardante l’applicazione della Direttiva 2003/48/CE
del Consiglio del 3 giugno 2003, in materia di tassazione dei redditi da risparmio sotto
forma di pagamenti di interessi. Tale provvedimento, infatti, ha indicato fra i soggetti
che rientrano nell’ambito applicativo della Direttiva stessa i trust (denominati “entità
residuali”) in qualità di enti, diversi dalle persone fisiche e dalle società, non esercenti
attività commerciali. Diversamente, non sono riconducibili nell’ambito applicativo della Direttiva i trust che esercitano attività commerciali e i cui redditi sono determinati
secondo le regole generali del reddito d’impresa.
3. DISCIPLINA DEL TRUST AI FINI DELLE IMPOSTE DIRETTE
Il comma 74 dell’articolo unico della finanziaria 2007, modificando a tal fine l’articolo 73
del TUIR, ha definitivamente sancito l’appartenenza del trust ai soggetti passivi dell’imposta sul reddito delle società.
In particolare, sono soggetti all’imposta sul reddito delle società:
• i trust residenti nel territorio dello Stato che hanno per oggetto esclusivo o principale
l’esercizio di attività commerciali (enti commerciali);
• i trust residenti nel territorio dello Stato che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali (enti non commerciali);
• i trust non residenti, per i redditi prodotti nel territorio dello Stato (enti non residenti).
Come già accennato, l’art. 73 individua, ai fini della tassazione, due principali tipologie
di trust:
• trust con beneficiari di reddito individuati, i cui redditi vengono imputati per trasparenza ai beneficiari (trust trasparenti)
• trust senza beneficiari di reddito individuati, i cui redditi vengono direttamente attribuiti al trust medesimo (trust opachi).
E’ tuttavia possibile che un trust sia al contempo opaco e trasparente. Ciò avviene, ad
esempio, quando l’atto istitutivo preveda che parte del reddito di un trust sia accantonata
a capitale e parte sia invece attribuita ai beneficiari. In questo caso, il reddito accantonato
sarà tassato in capo al trust mentre il reddito attribuito ai beneficiari, qualora ne ricorrano i presupposti, vale a dire quando i beneficiari abbiano diritto di percepire il reddito,
sarà imputato a questi ultimi.
Dopo aver determinato il reddito del trust, il trustee indicherà la parte di esso attribuito
al trust - sulla quale il trust stesso assolverà l’IRES - nonché la parte imputata per trasparenza ai beneficiari - su cui questi ultimi assolveranno le imposte sul reddito -.
In alternativa all’imposizione in capo al trust o ai beneficiari, taluni redditi di natura
finanziaria sono soggetti a ritenuta a titolo d’imposta o ad imposta sostitutiva. Un trust
che non esercita attività commerciale, compreso, quindi, tra i soggetti di cui all’articolo
73, comma 1, lettera c), e che possiede, ad esempio, titoli soggetti alle disposizioni del
decreto legislativo 1° aprile 1996, n. 239 vede gli interessi, premi ed altri frutti relativi a
detti titoli sottoposti ad imposizione sostitutiva, ai sensi dell’articolo 2 del decreto sopra
richiamato.
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PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
Sono altresì assoggettati a ritenuta d’imposta i redditi delle obbligazioni e titoli similari
indicati nell’articolo 26, comma 1, del DPR n. 600 del 1973 percepiti da trust non esercenti attività d’impresa commerciale. Inoltre, taluni redditi diversi di natura finanziaria
indicati nell’articolo 67, comma 1, lettere da c-bis) a c-quinquies) del TUIR, se percepiti
da trust non commerciali residenti, sono assoggettati ad imposizione sostitutiva delle
imposte sui redditi nella misura del 12,50 per cento.
3.1 LA RESIDENZA DEL TRUST
La residenza del trust è individuata, con taluni adattamenti che tengono conto della natura dell’istituto, secondo i criteri generali utilizzati per fissare la residenza dei soggetti
di cui all’articolo 73 del TUIR.
Ai sensi del comma 3 di tale articolo, un soggetto IRES si considera residente nel territorio dello Stato al verificarsi di almeno una delle condizioni sotto indicate per la maggior
parte del periodo di imposta:
• sede legale nel territorio dello Stato;
• sede dell’amministrazione nel territorio dello Stato;
• oggetto principale dell’attività svolta nel territorio dello Stato.
Considerando le caratteristiche del trust, di norma i criteri di collegamento al territorio
dello Stato sono la sede dell’amministrazione e l’oggetto principale.
Il primo di essi (la sede dell’amministrazione) risulterà utile per i trust che si avvalgono,
nel perseguire il loro scopo, di un’apposita struttura organizzativa (dipendenti, locali,
ecc.). In mancanza, la sede dell’amministrazione tenderà a coincidere con il domicilio
fiscale del trustee.
Il secondo criterio (l’oggetto principale) è strettamente legato alla tipologia di trust. Se
l’oggetto del trust (beni vincolati nel trust) è dato da un patrimonio immobiliare situato
interamente in Italia, l’individuazione della residenza è agevole; se invece i beni immobili sono situati in Stati diversi occorre fare riferimento al criterio della prevalenza. Nel
caso di patrimoni mobiliari o misti l’oggetto dovrà essere identificato con l’effettiva e
concreta attività esercitata.
Per individuare la residenza di un trust si potrà fare utile riferimento alle convenzioni
per evitare le doppie imposizioni.
Come è noto, le convenzioni bilaterali per evitare le doppie imposizioni si applicano alle
persone residenti di uno o di entrambi gli Stati contraenti che, in qualità di soggetti passivi d’imposta, subiscono una doppia imposizione internazionale.
E’ possibile che i trust diano luogo a problematiche di tassazione transfrontaliera con
eventuali fenomeni di doppia imposizione o, all’opposto, di elusione fiscale.
Un trust, infatti, può realizzare il presupposto impositivo in più Stati, quando, ad esempio, il trust fund sia situato in uno Stato diverso da quello di residenza del trustee e da
quello di residenza del disponente e dei beneficiari.
Annoverato, a seguito della modifica dell’art. 73 del TUIR, tra i soggetti passivi d’imposta, ai fini convenzionali il trust deve essere considerato come “persona” (“una persona
diversa da una persona fisica” di cui all’articolo 4, comma 3, modello OCSE di convenzione per evitare le doppie imposizioni) anche se non espressamente menzionato nelle
singole convenzioni.
L’unica convenzione che espressamente comprende i trust tra le persone cui si applica la
convenzione è quella sottoscritta dall’Italia con gli Stati Uniti d’America. La nuova disciplina fiscale contiene, altresì, disposizioni che mirano a contrastare possibili fenomeni di
fittizia localizzazione dei trust all’estero, con finalità elusive.
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AIAF QUADERNO 2007/2
Al riguardo, il comma 3 dell’articolo 73 del TUIR, introduce due casi di attrazione della
residenza del trust in Italia:
1. Si considerano residenti nel territorio dello Stato, salvo prova contraria, i trust e gli
istituti aventi analogo contenuto istituiti in Paesi che non consentono lo scambio di informazioni (paesi non inclusi nella cosiddetta “white list” approvata con decreto del Ministro delle Finanze 4 settembre 1996 e successive modificazioni) quando almeno uno
dei disponenti ed almeno uno dei beneficiari siano fiscalmente residenti nel territorio
dello Stato. La norma menziona gli “istituti aventi analogo contenuto” a quello di un
trust. Si è voluto in questo modo tenere conto della possibilità che ordinamenti stranieri
disciplinino istituti analoghi al trust ma assegnino loro un “nomen iuris” diverso. Per
individuare quali siano gli istituti aventi contenuto analogo si deve fare riferimento agli
elementi essenziali e caratterizzanti dell’istituto del trust. E’ rilevante, inoltre, stabilire in
quale momento la residenza fiscale di un disponente e di un beneficiario attrae in Italia la
residenza fiscale del trust. In primo luogo, non sembra necessario che la residenza italiana del disponente e del beneficiario sia verificata nello stesso periodo d’imposta. Infatti
la residenza del disponente, in considerazione della natura istantanea dell’atto di disposizione, rileva nel periodo d’imposta in cui questi ha effettuato l’atto di disposizione a
favore del trust. Eventuali cambiamenti di residenza del disponente in periodi d’imposta
diversi sono irrilevanti. Per la parte riguardante il beneficiario, la norma è applicabile ai
trust con beneficiari individuati. La residenza fiscale del beneficiario attrae in Italia la residenza fiscale del trust anche se questa si verifica in un periodo d’imposta successivo a
quello in cui il disponente ha posto in essere il suo atto di disposizione a favore del trust.
Ai fini dell’attrazione della residenza in Italia è, infine, irrilevante l’avvenuta erogazione
del reddito a favore del beneficiario nel periodo d’imposta.
2. Si considerano, inoltre, residenti nel territorio dello Stato i trust istituiti in uno Stato
che non consente lo scambio di informazioni quando, successivamente alla costituzione,
un soggetto residente trasferisca a favore del trust la proprietà di un bene immobile o di
diritti reali immobiliari ovvero costituisca a favore del trust dei vincoli di destinazione
sugli stessi beni e diritti. In tal caso, è proprio l’ubicazione degli immobili che crea il
collegamento territoriale e giustifica la residenza in Italia. Nelle due ipotesi considerate
dalla norma, la residenza è attratta in Italia nel presupposto che il trust sia “istituito” in
un Paese con il quale non è attuabile lo scambio di informazioni.
La norma vuole evidentemente colpire disegni elusivi perseguiti attraverso la collocazione fittizia di trust “interni” (trust con disponente, beneficiario e beni in trust nel territorio
dello Stato) in paesi che non consentano lo scambio di informazioni. In buona sostanza,
ai fini dell’attrazione della residenza, rileva il fatto che un trust, caratterizzato da elementi collegati con il territorio italiano (un disponente e un beneficiario residente o immobili
siti in Italia e conferiti da un soggetto italiano) sia “istituito” ossia abbia formalmente
fissato la residenza in un paese non incluso nella white list.
Come conseguenza della presunzione di residenza fiscale nel territorio dello Stato, tutti
i redditi del trust, ovunque prodotti, sono imponibili in Italia secondo il principio del
world wide income. Al contrario, per i trust non residenti, l’imponibilità in Italia riguarda solo i redditi prodotti nel territorio dello Stato ai sensi dell’art. 23 del TUIR. Si ricorda
che sono compresi nella vigente white list i seguenti Paesi: Albania; Algeria; Argentina;
Australia; Austria; Azerbajan; Bangladesh; Belgio; Bielorussia; Brasile; Bulgaria; Canada;
Cina; Corea del Sud; Costa d’Avorio; Croazia; Danimarca; Ecuador; Egitto; Emirati Arabi
Uniti; Estonia; Federazione Russa; Filippine; Finlandia; Francia; Germania; Giappone;
Grecia; India; Indonesia; Irlanda; Israele; Jugoslavia; Kazakistan; Kuwait; Lituania; Lussemburgo; Macedonia; Malta; Marocco; Mauritius; Messico; Norvegia; Nuova Zelanda;
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PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
Paesi Bassi; Pakistan; Polonia; Portogallo; Regno Unito; Repubblica Ceca; Repubblica
Slovacca; Romania; Singapore; Slovenia; Spagna; Sri Lanka; Stati Uniti; Sud Africa; Svezia; Tanzania; Thailandia; Trinidad e Tobago; Tunisia; Turchia; Ucraina; Ungheria; Venezuela; Vietnam; Zambia.
In entrambi i casi di attrazione in Italia di trust non residenti, la norma opera una presunzione relativa di residenza; rimane quindi la possibilità per il contribuente di dimostrare
l’effettiva residenza fiscale del trust all’estero. Ove compatibili, anche le disposizioni in
materia di estero-vestizione delle società previste dall’articolo 73 del TUIR, commi 5-bis
e 5-ter, sono applicabili ai trust ed in particolare a quelli istituiti o comunque residenti
in Paesi compresi nella white list, per i quali non trova applicazione la specifica presunzione di residenza di cui all’articolo 73, comma 3 del TUIR nella versione emendata dalla
finanziaria 2007.
3.2 ADEMPIMENTI DEL TRUST
Quale soggetto passivo d’imposta, sia esso “trasparente” o “opaco”, il trust è tenuto ad
adempiere gli specifici obblighi previsti per i soggetti IRES, ad iniziare dall’obbligo di
presentare annualmente la dichiarazione dei redditi.
Inoltre il trust residente dovrà necessariamente dotarsi di un proprio codice fiscale e,
qualora eserciti attività commerciale, di una propria partita IVA. Tutti gli adempimenti
tributari del trust sono assolti dal trustee.
Il comma 76 dell’articolo unico della finanziaria 2007, nel modificare l’articolo 13 del
d.P.R. n. 600 del 1973, ha incluso fra i soggetti obbligati a tenere le scritture contabili:
• i trust che hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale
(primo comma, lettera b)
• i trust che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale (secondo comma, lettera g).
I trust che hanno per oggetto esclusivo l’esercizio di attività commerciali sono pertanto
obbligati alla tenuta delle scritture contabili previste dall’articolo 14 del decreto citato.
Analogamente, i trust che esercitano attività commerciale in forma non esclusiva sono
obbligati alla tenuta delle scritture contabili secondo le disposizioni di cui all’articolo 20
del decreto.
Come già accennato, il trust è tenuto a presentare le dichiarazioni dei redditi nei modi e
nei tempi stabiliti per i soggetti IRES.
Nei casi in cui il periodo di imposta di un trust trasparente non coincida con l’anno
solare, il reddito da questo conseguito è imputato ai beneficiari individuati alla data di
chiusura del periodo di gestione del trust stesso. Si ipotizzi, ad esempio, un trust con
beneficiari individuati il cui periodo di gestione, in base a quanto stabilito dall’atto istitutivo, sia compreso tra il 1° aprile e il 31 marzo. In tale caso, il trust presenta la propria
dichiarazione entro il 31 ottobre (ultimo giorno del settimo mese successivo a quello di
chiusura del periodo d’imposta, art. 2, comma 2, del d.P.R. 22 luglio 1998, n. 322) e i beneficiari a loro volta dovranno inserire tale reddito nella dichiarazione relativa al periodo
di imposta in cui è terminato il periodo di gestione del trust.
Naturalmente se trustee è una trust company che amministra più trust, dovrà presentare
una dichiarazione per ciascun trust.
Il trust è tenuto altresì ad adempiere gli obblighi formali e sostanziali relativi all’IRAP
previsti dal d.lgs. 15 dicembre 1997 n. 446, in quanto soggetto passivo rientrante, a seconda dell’attività svolta, nelle fattispecie di cui all’articolo 3, comma 1, lettere a) ed e) del
medesimo decreto.
121
AIAF QUADERNO 2007/2
3.3 IL TRASFERIMENTO DEI BENI NEL TRUST
Il trasferimento di beni in un trust ai fini delle imposte sui redditi sconta un trattamento
differenziato che varia in funzione del soggetto che l’effettua (imprenditore o non imprenditore) e della tipologia di bene trasferito.
Qualora il trasferimento riguardi beni relativi all’impresa (beni merce, beni strumentali,
beni patrimoniali), questi fuoriescono dalla disponibilità dell’imprenditore in quanto destinati a finalità estranee all’impresa.
Ciò comporta per il disponente imprenditore il conseguimento di componenti positivi
di reddito da assoggettare a tassazione secondo le disposizioni del TUIR, nonché l’assoggettamento ad IVA ai sensi dell’art. 2, comma 2 n. 5 del d.P.R. n. 633/1972. In particolare,
il trasferimento di beni merce comporterà il conseguimento di un ricavo d’esercizio ai
sensi dell’art. 85, comma 2 del TUIR da quantificare sulla base del valore normale ai sensi
dell’articolo 9, comma 3, del TUIR.
Il trasferimento di beni diversi da quelli che generano ricavi (beni strumentali, beni patrimoniali dell’impresa), invece, genererà plusvalenze o minusvalenze rilevanti ai fini della
determinazione del reddito d’impresa ai sensi degli articoli 58, 86 e 87 del TUIR. Anche
in tali fattispecie il valore da prendere a riferimento per il calcolo della plusvalenza è il
valore normale di cui al citato articolo 9, comma 3.
Ove il trasferimento in trust abbia ad oggetto un’azienda, il relativo profilo fiscale deve
essere esaminato alla luce del disposto dell’articolo 58, comma 1, del TUIR che esclude il
realizzo di plusvalenze in caso di trasferimento d’azienda per causa di morte o per atto
gratuito; in tal caso l’azienda è assunta ai medesimi valori fiscalmente riconosciuti nei
confronti del dante causa. La ratio della norma consente di ritenere che, nel caso di trasferimento dell’azienda in trust, si conservi la neutralità fiscale a condizione che il trustee
assuma l’azienda agli stessi valori fiscalmente riconosciuti in capo al disponente.
Nel caso di beni diversi da quelli relativi all’impresa, il trasferimento al trust, in assenza
di corrispettivo, non genera materia imponibile ai fini della imposizione sui redditi, né in
capo al disponente non imprenditore né in capo al trust o al trustee.
Per quest’ultimo, infatti, anche se imprenditore, non si avranno sopravvenienze attive ex
art. 88, comma 3, lett. b), del TUIR, in quanto i beni trasferiti in trust non si confondono
con il patrimonio dell’imprenditore (trustee) ma, come visto in precedenza, costituiscono
un patrimonio separato.
Qualora il trasferimento dei beni in trust abbia ad oggetto titoli partecipativi il trustee
acquisisce l’ultimo costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione. Tale regime di
neutralità non può, tuttavia, essere garantito nel caso in cui i titoli oggetto del trasferimento siano detenuti nell’ambito di un rapporto amministrato di cui all’articolo 6 del
decreto legislativo 21 novembre 1997, n. 461; nella specie, infatti, il trasferimento dei titoli
dal conto del settlor a quello del trust, poiché indirizzato verso un conto intestato a un
soggetto diverso da quello di provenienza, ricade nell’ipotesi dell’articolo 6, comma 6,
del citato d. lgs. n. 461 del 1997 che assimila tali trasferimenti a cessioni a titolo oneroso.
In tal caso, l’intermediario abilitato applica le relative imposte.
3.4 CESSIONE DEI BENI IN TRUST
Il trattamento fiscale della cessione dei beni durante la vita del trust non presenta particolari problemi operativi, in quanto desumibile dalle ordinarie disposizioni che ai fini
delle imposte sui redditi disciplinano detta operazione.
In particolare, quando le cessioni siano poste in essere nell’esercizio dell’impresa, la relativa disciplina fiscale varia in funzione della categoria di appartenenza del bene ceduto.
Nel caso di cessioni non effettuate nell’esercizio dell’impresa potranno realizzarsi, ricor122
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
rendone i presupposti, le fattispecie reddituali previste dall’articolo 67 del TUIR.
Per la determinazione delle plusvalenze dovrà farsi riferimento ai valori fiscalmente riconosciuti in capo al disponente, fermo restando che il trasferimento dei beni dal disponente al trustee non interrompe il decorso del quinquennio di cui all’articolo 67, mentre nel
caso di cessioni di beni acquistati dal trust si farà riferimento al prezzo pagato.
4. DISCIPLINA DEI REDDITI DEL BENEFICIARIO DEL TRUST
Il comma 74, lettera b), dell’articolo unico della finanziaria 2007 aggiunge al comma 2
dell’articolo 73 del TUIR il seguente periodo: “Nei casi in cui i beneficiari del trust siano
individuati, i redditi conseguiti dal trust sono imputati in ogni caso ai beneficiari in proporzione alla quota di partecipazioni individuata nell’atto di costituzione del trust o in
altri documenti successivi ovvero in mancanza in parti uguali”.
Premesso che il presupposto di applicazione dell’imposta è il possesso di redditi, per
“beneficiario individuato” è da intendersi il beneficiario di “reddito individuato”, vale a
dire il soggetto che esprime, rispetto a quel reddito, una capacità contributiva attuale.
E’ necessario, quindi, che il beneficiario non solo sia puntualmente individuato, ma che
risulti titolare del diritto di pretendere dal trustee l’assegnazione di quella parte di reddito che gli viene imputata per trasparenza.
Infatti, a differenza dei soci delle società trasparenti, che possono autonomamente stabilire i criteri di distribuzione degli utili societari, i beneficiari di un trust non hanno alcun
potere in ordine all’imputazione del reddito del trust, cui provvede unicamente il trustee
sulla base dei criteri stabiliti dal disponente.
L’art. 73 dispone che i redditi siano imputati “in ogni caso” ai beneficiari, cioè indipendentemente dall’effettiva percezione, secondo un criterio di competenza. Tale precisazione si è resa necessaria per coordinare la tassazione per trasparenza del trust con la natura
del reddito attribuito al beneficiario, che è considerato reddito di capitale.
Contrariamente, infatti, al principio di cassa che in via ordinaria informa la determinazione del reddito di capitale, nella tassazione per trasparenza il medesimo reddito viene
imputato al beneficiario indipendentemente dall’effettiva percezione, secondo il principio della competenza economica.
Il reddito imputato per trasparenza verrà tassato secondo le aliquote personali del beneficiario. Naturalmente, l’effettiva percezione dei redditi da parte dei beneficiari rimane
una mera movimentazione finanziaria, ininfluente ai fini della determinazione del reddito.
Ove abbia scontato una tassazione a titolo d’imposta o di imposta sostitutiva in capo al
trust che lo ha realizzato, il reddito non concorre alla formazione della base imponibile,
né in capo al trust opaco né, in caso di imputazione per trasparenza, in capo ai beneficiari.
Ad una doppia imposizione ostano i principi generali dell’ordinamento interno che impediscono l’imposizione in capo a più soggetti passivi di redditi prodotti o realizzati in
dipendenza di uno stesso presupposto (articolo 163 del TUIR).
Sulla base dei medesimi principi, i redditi conseguiti e correttamente tassati in capo al
trust prima della individuazione dei beneficiari (quando il trust era “opaco”), non possono scontare una nuova imposizione in capo a questi ultimi a seguito della loro distribuzione.
Il credito d’imposta per le imposte pagate all’estero in via definitiva, disciplinato dall’articolo 165 del TUIR, spetta al trust nel caso di trust “opaco”.
Qualora, invece, il trust sia “trasparente” ed il reddito sia imputato ai beneficiari, il credito d’imposta spetta ai singoli beneficiari in proporzione al reddito imputato, analoga-
123
AIAF QUADERNO 2007/2
mente a quando disposto dall’articolo 165, comma 9, per le società che hanno optato per
il regime della trasparenza. Infine, nel caso in cui il trust attribuisca solo parte del reddito
ai beneficiari e sia, quindi, in parte opaco e in parte trasparente, la detrazione spetta al
trust e ai beneficiari in proporzione al reddito imputato.
4.1 NATURA DEI REDDITI ATTRIBUITI AI BENEFICIARI
Il comma 75 dell’articolo unico della finanziaria 2007 inserisce all’articolo 44 del TUIR,
dopo la lettera g-quinquies), la lettera g-sexies), secondo cui sono redditi di capitale “i
redditi imputati al beneficiario di trust ai sensi dell’articolo 73, comma 2, anche se non
residenti;”.
Il trust residente imputa per trasparenza i propri redditi:
• ai beneficiari residenti;
• ai beneficiari non residenti.
In tale ultimo caso, il reddito attribuito al beneficiario non residente, viene tassato in Italia: trattandosi di reddito di capitale corrisposto da soggetto residente, infatti, lo stesso si
considera prodotto in Italia ai sensi dell’art. 23, comma 1, lett. b) del TUIR.
Il trust non residente, che è soggetto passivo IRES per i soli redditi prodotti in Italia, imputa per trasparenza tali redditi ai:
• soli beneficiari residenti, quali titolari di redditi di capitale.
5. DISCIPLINA DEL TRUST AI FINI DELLE IMPOSTE INDIRETTE
La struttura giuridica del trust pone in evidenza i seguenti elementi o presupposti impositivi rilevanti agli effetti delle imposte indirette:
1. l’atto istitutivo;
2. l’atto dispositivo;
3. eventuali operazioni compiute durante il trust;
4. il trasferimento dei beni ai beneficiari.
5.1 ATTO ISTITUTIVO DEL TRUST (IMPOSTA DI REGISTRO)
L’atto istitutivo con il quale il disponente esprime la volontà di costituire il trust, che non
contempli anche il trasferimento di beni nel trust (disposto in un momento successivo),
se redatto con atto pubblico o con scrittura privata autenticata, sarà assoggettato all’imposta di registro in misura fissa ai sensi dell’articolo 11 della Tariffa, parte prima, del
d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, quale atto privo di contenuto patrimoniale.
5.2 ATTO DISPOSITIVO (IMPOSTA SULLE SUCCESSIONI E DONAZIONI SULLA COSTITUZIONE DI VINCOLI DI DESTINAZIONE)
L’atto dispositivo con il quale il settlor vincola i beni in trust è un negozio a titolo gratuito.
L’articolo 6 del decreto legge 3 ottobre 2006, n. 262, rubricato “Disposizioni urgenti in
materia tributaria e finanziaria” ha dettato una specifica disciplina per la “…costituzione
di vincoli di destinazione…”, prevedendone l’assoggettamento all’imposta di registro. E’
questo il primo approccio della normativa nazionale al trattamento del trust ai fini delle
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PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
imposte indirette, posto che il trust, per le caratteristiche essenziali che lo contraddistinguono, è riconducibile nella categoria dei vincoli di destinazione.
Il regime fiscale introdotto dal decreto legge n. 262 del 2006 è stato successivamente
modificato dalla legge di conversione 24 novembre 2006, n. 286. Quest’ultima legge, che
non ha convertito il predetto articolo 6 del decreto, ha invece ripristinato l’imposta sulle
successioni e donazioni, siccome disciplinata dal Testo Unico 31 ottobre 1990, n. 346,
nel testo vigente al 25 ottobre 2001. Contestualmente, ha disposto l’applicazione di tale
imposta “…alla costituzione dei vincoli di destinazione…” (decreto legge n. 262 del 3
ottobre 2006, convertito con modificazioni dalla legge n. 286 del 24/11/2007, articolo 2,
commi dal 47 al 49).
Da ultimo, la finanziaria 2007 ha integrato la disciplina dell’imposta in esame, introducendo, tra l’altro, determinate franchigie in favore dei parenti in linea collaterale e dei
portatori di handicap, nonché esenzioni per il trasferimento a favore dei discendenti, di
aziende o rami di esse, di quote sociali o di azioni (articolo 1, commi da 77 a 79).
Attualmente, pertanto, la costituzione dei vincoli di destinazione è soggetta all’imposta
sulle successioni e donazioni secondo le disposizioni stabilite all’art. 2, commi da 47 a 49,
del decreto legge n. 262 del 2006.
Come accennato, il trust comporta la segregazione dei beni del settlor in un patrimonio separato gestito dal trustee (che nel trust autodichiarato - anch’esso rilevante ai fini
dell’imposta in esame - coincide con il settlor).
Il conferimento di beni nel trust (o il costituito vincolo di destinazione che ne è l’effetto)
va assoggettato, pertanto, all’imposta sulle successioni e donazioni in misura proporzionale, sia esso disposto mediante testamento o per atto inter vivos.
Il trust si sostanzia in un rapporto giuridico complesso che ha un’unica causa fiduciaria.
Tutte le vicende del trust (istituzione, dotazione patrimoniale, gestione, realizzazione
dell’interesse del beneficiario, il raggiungimento dello scopo) sono collegate dalla medesima causa.
Ciò induce a ritenere che la costituzione del vincolo di destinazione avvenga sin dall’origine a favore del beneficiario (naturalmente nei trust con beneficiario) e sia espressione
dell’unico disegno volto a consentire la realizzazione dell’attribuzione liberale.
Conseguentemente, ai fini della determinazione delle aliquote, che si differenziano in
dipendenza del rapporto di parentela e affinità (all’art. 2, commi da 47 a 49, del decreto
legge n. 262 del 2006), occorre guardare al rapporto intercorrente tra il disponente e il
beneficiario (e non a quello tra disponente e trustee).
Ai fini dell’applicazione sia delle aliquote ridotte sia delle franchigie, il beneficiario deve
poter essere identificato, in relazione al grado di parentela con il disponente, al momento
della costituzione del vincolo. Ad esempio, per poter applicare l’aliquota del 4% prevista
tra parenti in linea retta, è sufficiente sapere che il beneficiario di un trust familiare sarà
il primo nipote al conseguimento della maggiore età.
Nel trust di scopo, gestito per realizzare un determinato fine, senza indicazione di beneficiario finale, l’imposta sarà dovuta con l’aliquota dell’8% prevista per i vincoli di destinazione a favore di “altri soggetti” (d.l. n. 262/2006 art. 2, comma 48, lett. c).
In applicazione del comma 4-ter dell’art. 3 del d. lgs. 31 ottobre 1990, n. 346 introdotto dal
comma 78 dell’art. 1 della finanziaria 2007, la costituzione del vincolo di destinazione in
un trust disposto a favore dei discendenti del settlor non è soggetto all’imposta qualora
abbia ad oggetto aziende o rami di esse, quote sociali e azioni.
5.3 ATTO DISPOSITIVO (IMPOSTE IPOTECARIE E CATASTALI)
Le modalità di applicazione delle imposte ipotecaria e catastale alla costituzione di vincoli di destinazione, in mancanza di specifiche disposizioni, sono stabilite dal Testo Uni-
125
AIAF QUADERNO 2007/2
co delle imposte ipotecaria e catastale, approvato con d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 347.
Tali imposte sono dovute, rispettivamente, per la formalità della trascrizione di atti aventi ad oggetto beni immobili o diritti reali immobiliari e per la voltura catastale dei medesimi atti. Le stesse imposte sono dovute in misura proporzionale relativamente alla
trascrizione di atti che conferiscono nel trust, con effetti traslativi, i menzionati beni e
diritti.
Pertanto, sia l’attribuzione con effetti traslativi di beni immobili o diritti reali immobiliari al
momento della costituzione del vincolo, sia il successivo trasferimento dei beni medesimi
allo scioglimento del vincolo, nonché i trasferimenti eventualmente effettuati durante il
vincolo, sono soggetti alle imposte ipotecaria e catastale in misura proporzionale.
5.4 OPERAZIONI EFFETTUATE DURANTE IL TRUST
Durante la vita del trust, il trustee può compiere operazioni di gestione del patrimonio.
Eventuali atti di acquisto o di vendita di beni sono soggetti ad autonoma imposizione,
secondo la natura e gli effetti giuridici che li caratterizzano, da esaminare volta per volta
con riferimento al caso concreto.
5.5 TRASFERIMENTO DEI BENI AI BENEFICIARI
La devoluzione ai beneficiari dei beni vincolati in trust non realizza, ai fini dell’imposta
sulle donazioni, un presupposto impositivo ulteriore; i beni, infatti, hanno già scontato
l’imposta sulla costituzione del vincolo di destinazione al momento della segregazione in
trust. Inoltre, poiché la tassazione, che ha come presupposto il trasferimento di ricchezza
ai beneficiari finali, avviene al momento della costituzione del vincolo, l’eventuale incremento del patrimonio del trust non sconterà l’imposta sulle successioni e donazioni al
momento della devoluzione.
6. DECORRENZA
Le disposizioni sui trust introdotte dalla finanziaria 2007 si applicano a partire dal 1°
gennaio 2007, data di entrata in vigore della legge.
Con riguardo all’imposizione diretta, hanno carattere innovativo le norme in materia di
tassazione per trasparenza dei trust, posto che già prima delle disposizioni in esame i
trust erano considerati soggetti IRPEG (e poi IRES) quali enti, commerciali o non commerciali, ai sensi dell’art. 73, comma 2, del TUIR.
126
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
AGENZIA ENTRATE
RISOLUZIONE N. 278 E DEL 4 OTTOBRE 2007
IMPOSTE SUI REDDITI - IRES - TRUST
OGGETTO: Istanza di interpello -art. 11, legge 27 luglio 2000, n.212. TRUST GAMMA
– art. 73 Tuir - Soggettività passiva del trust all’imposta sul reddito delle società
(Trust di scopo istituito a vantaggio di soggetto disabile per assicurare la necessaria
assistenza: configurabile in trust senza beneficiari con attribuzione direttamente dei
redditi)
Con interpello presentato ai sensi dell’articolo 11 della legge 27 luglio 2000, n. 212, la sig.
ra Beta Alfa, quale rappresentante legale e disponente del TRUST GAMMA ha posto il
seguente
QUESITO
Se il TRUST GAMMA possa essere qualificato come soggetto passivo IRES ai sensi
dell’art. 73, comma 1, lett. d) del Tuir, come modificato dall’art. unico, comma 74, della
legge 27 dicembre 2006, n. 297 (legge finanziaria per il 2007).
SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA DALL’ISTANTE
L’istante ritiene che il TRUST GAMMA sia soggetto passivo IRES ex art. 73, comma 1,
lett. d) del Tuir.
In particolare, l’istante è del parere che a decorrere dal 1º gennaio 2007, il reddito conseguito dal trust sia correttamente imputato alla Sig.ra Alfa Gamma, quale beneficiario
individuato del trust, per mezzo del proprio tutore, ai sensi dell’art. 73, comma 2, del
Tuir, secondo cui “Nei casi in cui i beneficiari del trust siano individuati, i redditi conseguiti dal
trust sono imputati in ogni caso ai beneficiari…”
PARERE DELL’AGENZIA DELL’ENTRATE
Come è noto, il comma 74 dell’articolo unico della legge 27 dicembre 2006, n. 297 (legge
finanziaria per il 2007), modificando l’articolo 73 del Tuir, include i trust tra i soggetti
passivi dell’imposta sul reddito delle società (IRES).
Ai fini della imposizione dei redditi, il legislatore, data la versatilità e flessibilità dell’istituto che si presta alle finalità più ampie, ha individuato due principali tipologie di trust:
trust con beneficiari individuati, i cui redditi vengono imputati per trasparenza ai beneficiari stessi; trust senza beneficiari individuati, i cui redditi vengono tassati direttamente
in capo al trust.
Pertanto, per individuare il soggetto cui imputare il reddito conseguito dal trust, occorre
esaminare l’atteggiarsi del singolo trust nel caso concreto.
Ciò premesso, si evidenzia che il trust in esame è un trust irrevocabile cosiddetto “di
scopo”, costituito a favore di un soggetto disabile incapace di intendere e di volere, per
assicurarne “l’assistenza necessaria vita natural durante”, in modo che “in nessun caso
dovrà trascorrere la propria vita in Istituti di Assistenza per invalidi”, come previsto
dall’art. 3 dell’atto istitutivo.
Ai sensi del medesimo art. 3 dell’atto istitutivo, inoltre, ques’ultimo è nominato dal disponente “ beneficiario dei beni del trust”. A tale proposito si osserva, tuttavia, che il soggetto disabile non può correttamente qualificarsi in senso giuridico come “beneficiario
dei beni del trust” in questione, quanto piuttosto dell’assistenza in cui risiede lo scopo
della costituzione del trust. Di conseguenza, a differenza di quanto affermato dall’istan-
127
AIAF QUADERNO 2007/2
te, nella fattispecie in esame il trust non si configura come un trust con “beneficiario”
individuato, ma come un trust senza beneficiari individuati. Il citato art. 3 dell’atto istitutivo, infatti, prevede che “Quando il trust avrà esaurito il suo scopo, il settlor, se vivente,
darà disposizioni al trustee per l’assegnazione dei beni residui; nel caso che il settlor sia
deceduto ovvero, se vivente, sia nell’impossibilità di darle...il trustee dovrà disporre dei
beni residui in favore dei parenti del settlor e del di lui coniuge”.
Pertanto, si è del parere che a decorrere dal 1º gennaio 2007, il reddito conseguito dal
trust sia correttamente imputato al trust stesso.
La risposta di cui alla presente nota, sollecitata con istanza d’interpello presentata alla
Direzione regionale è resa dalla scrivente ai sensi dell’art. 4, comma 1, ultimo periodo,
del D.M. 26 aprile 2001, n. 209.
128
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
DECRETO LEGISLATIVO 21 NOVEMBRE 2007, N. 231
ATTUAZIONE DELLA DIRETTIVA 2005/60/CE CONCERNENTE
LA PREVENZIONE DELL’UTILIZZO DEL SISTEMA FINANZIARIO A
SCOPO DI RICICLAGGIO DEI PROVENTI DI ATTIVITÀ CRIMINOSE
E DI FINANZIAMENTO DEL TERRORISMO NONCHE’ DELLA
DIRETTIVA 2006/70/CE CHE NE RECA MISURE DI ESECUZIONE
PUBBL. NELLA
GAZZETTA UFFICIALE N. 290 DEL 14 DICEMBRE 2007- SUPPL. ORDINARIO N. 268/L
-omissisArt. 12. Professionisti
1. Ai fini del presente decreto per professionisti si intendono:
a) i soggetti iscritti nell’albo dei ragionieri e periti commerciali, nell’albo dei dottori commercialisti e nell’albo dei consulenti del lavoro;
b) ogni altro soggetto che rende i servizi forniti da periti, consulenti e altri soggetti che
svolgono in maniera professionale attività in materia di contabilità e tributi;
c) i notai e gli avvocati quando, in nome o per conto dei propri clienti, compiono qualsiasi operazione di natura finanziaria o immobiliare e quando assistono i propri clienti nella predisposizione o nella realizzazione di operazioni riguardanti:
1) il trasferimento a qualsiasi titolo di diritti reali su beni immobili o attività economiche;
2) la gestione di denaro, strumenti finanziari o altri beni;
3) l’apertura o la gestione di conti bancari, libretti di deposito e conti di titoli;
4) l’organizzazione degli apporti necessari alla costituzione, alla gestione o all’amministrazione di società;
5) la costituzione, la gestione o l’amministrazione di società, enti, trust o soggetti giuridici analoghi;
d) i prestatori di servizi relativi a società e trust ad esclusione dei soggetti indicati dalle
lettere a), b) e c).
2. L’obbligo di segnalazione di operazioni sospette di cui all’articolo 41 non si applica ai
soggetti indicati nelle lettere a), b) e c) del comma 1 per le informazioni che essi ricevono
da un loro cliente o ottengono riguardo allo stesso, nel corso dell’esame della posizione
giuridica del loro cliente o dell’espletamento dei compiti di difesa o di rappresentanza
del medesimo in un procedimento giudiziario o in relazione a tale procedimento, compresa la consulenza sull’eventualità di intentare o evitare un procedimento, ove tali informazioni siano ricevute o ottenute prima, durante o dopo il procedimento stesso.
3. Gli obblighi di cui al Titolo II, Capo I e II, non si osservano in relazione allo svolgimento della mera attività di redazione e/o di trasmissione della dichiarazione dei redditi
e degli adempimenti in materia di amministrazione del personale di cui all’articolo 2,
primo comma, della legge 11 gennaio 1979, n. 12.
129
AIAF QUADERNO 2007/2
PROPOSTA DI LEGGE PRESENTATA AL SENATO IN DATA 28 DICEMBRE
2006, E ASSEGNATA ALLA 2° COMMISSIONE PERMANENTE
(GIUSTIZIA) IN SEDE REFERENTE IL 18 GENNAIO 2007
ISTITUZIONE DEL TRUST DI DIRITTO ITALIANO - DDL1234
SENATO DELLA REPUBBLICA
--- XV LEGISLATURA --N. 1234
DISEGNO DI LEGGE
d’iniziativa del senatore BENVENUTO
COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 28 DICEMBRE 2006
----Istituzione del trust di diritto italiano, in applicazione dell’articolo 6 della Convenzione adottata a L’Aja il 1º luglio 1985, ratificata ai sensi della legge 16 ottobre 1989, n.
364
----Onorevoli Senatori. – L’Italia è stato uno dei primi paesi a ratificare, ai sensi della legge
16 ottobre 1989, n. 364, la Convenzione adottata a L’Aja il 1º luglio 1985 sulla legge applicabile ai trusts e sul loro riconoscimento. Gli altri Stati che a tutt’oggi hanno aderito
alla Convenzione, con le modalità previste dai rispettivi ordinamenti, sono i seguenti:
Australia, Canada, Cina, Liechtenstein, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Regno Unito,
Repubblica di San Marino.
Si ricorda che, ai sensi della Convenzione, per trust si intendono i rapporti giuridici
istituiti da una persona, il disponente (settlor), con atto tra vivi o mortis causa, qualora
determinati beni siano stati posti sotto il controllo di un trustee nell’interesse di un beneficiario o per un fine specifico. Inoltre, in base all’articolo 21 della Convenzione, l’Italia
è tenuta a riconoscere, con gli effetti giuridici minimi previsti dall’articolo 11 della medesima Convenzione, i trust costituiti in paesi che li regolano nelle rispettive legislazioni,
salve restando solo le proprie competenze in tema di ordine pubblico (a cominciare,
ovviamente, dall’antiriciclaggio) ed in materia fiscale, in forza degli articoli 18 e 19 della
Convenzione.
A quest’ultimo proposito, si rileva che il trattamento tributario dei trust di qualsiasi natura è stato di recente introdotto nell’ordinamento italiano dai commi 74, 75 e 76 dell’articolo 1 della legge finanziaria per il 2007 (legge 27 dicembre 2006, n. 296).
Quanto sopra detto rende tanto più indispensabile ed urgente l’introduzione diretta
dell’istituto del trust nella nostra legislazione, così da poter adeguatamente rispondere
alle sfide della concorrenza fra ordinamenti, in un’economia ormai totalmente aperta e
globalizzata, nei confronti in primo luogo dei potenziali disponenti italiani dei trust.
Positivo effetto collaterale, ma certo non secondario, sarà quello di rendere applicabile ai
trust di diritto estero che hanno titolo ad essere riconosciuti in forza della Convenzione,
purché presentino determinati elementi costitutivi collegati al nostro paese, disposizioni
in materia di riciclaggio allineate con quelle che per implicito sono destinate a valere per
i nuovi trust di diritto italiano, così da evitare indebiti ed inammissibili disallineamenti
competitivi da elusione. In tal modo si renderà anche finalmente possibile impedire fondatamente l’attività nel nostro territorio di più o meno sedicenti trust che si fondano su
130
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
assetti normativi e su prassi operative estranei all’area di applicazione della Convenzione
e che nei fatti si rivelano non di rado quali strumenti di aggiramento del quadro giuridico e finanziario interno, che non devono pertanto trovare più oltre ospitalità nel nostro
spazio economico.
Si evidenzia che l’impostazione del presente disegno di legge recepisce per parti significative gli spunti di riflessione e di approfondimento offerti dalla nutrita serie di audizioni che la Commissione finanze della Camera dei deputati ha svolto nella XIII legislatura,
in via propedeutica all’esame della proposta di legge n. 6457, d’iniziativa dei deputati
Rabbito, Benvenuto ed altri. Ne è emersa la comune convinzione che la società fiduciaria,
istituto tipico ed ormai consolidato da svariati decenni di esperienza dell’ordinamento
italiano, rappresenta il trustee di elezione.
Le disposizioni di coordinamento contenute nell’articolo 6 integrano in primo luogo la
legge 30 aprile 1999, n. 130, sulla cartolarizzazione dei crediti, inserendo fra i veicoli utilizzabili i trust di diritto italiano, costituiti al fine esclusivo di partecipare a singole operazioni di cartolarizzazione, secondo prassi operative da tempo affermate e consolidate
nei paesi la cui legislazione già prevede i trust.
In secondo luogo, assoggettano a tassa fissa gli atti di intestazione e di reintestazione
fiduciaria, anche a titolo di trust, dei beni immobili e dei beni mobili registrati, con ciò
rimuovendo una diseconomia tributaria che renderebbe di fatto inapplicabile l’istituto
stesso del trust di diritto italiano.
Il provvedimento non necessita di copertura finanziaria, essendo anzi produttivo del
gettito aggiuntivo generato dal comma 2 dell’articolo 6.
Onorevoli senatori, tali sono la finalità e la sostanza del provvedimento del quale si sollecita la vostra approvazione, nella consapevolezza che l’istituzione del trust di diritto
italiano varrà ad integrare la gamma degli strumenti di natura fiduciaria disponibili sul
nostro mercato.
DISEGNO DI LEGGE
Art. 1.
(Finalità)
1. La presente legge istituisce e disciplina il trust di diritto italiano, ai sensi e per gli effetti
dell’articolo 6 della Convenzione sulla legge applicabile ai trusts e sul loro riconoscimento, adottata a L’Aja il 1º luglio 1985, ratificata ai sensi della legge 16 ottobre 1989, n. 364,
di seguito denominata «Convenzione».
2. In conformità all’articolo 19 della Convenzione, resta fermo il trattamento tributario
dei trust, come disciplinato dall’articolo 1, commi 74, 75 e 76, della legge 27 dicembre
2006, n. 296.
Art. 2.
(Trust di diritto italiano)
1. La costituzione del trust di diritto italiano avviene, a pena di nullità, per atto scritto tra
vivi, anche unilaterale, o mortis causa.
2. L’atto costitutivo di cui al comma 1 contiene, a pena di nullità, l’indicazione del trustee,
come definito ai sensi dell’articolo 2 della Convenzione, da individuare tra le società
fiduciarie di amministrazione autorizzate ai sensi della legge 23 novembre 1939, n. 1966,
che rispondano ai requisiti di forma e di capitale sociali stabiliti con decreto del Ministro
dello sviluppo economico. Il relativo elenco è pubblicato ed aggiornato a cura del Ministero dello sviluppo economico.
3. L’atto costitutivo regola altresì, a pena di nullità:
a) la durata del trust e il regime previsto per gli utili e i proventi;
131
AIAF QUADERNO 2007/2
b) i rapporti tra il trustee e i beneficiari;
c) la modifica e la cessazione del trust e la conseguente destinazione dei beni;
d) le dimissioni e la revoca del trustee e le conseguenti disposizioni;
e) i destinatari, le modalità e la periodicità della rendicontazione.
Art. 3.
(Separazione patrimoniale)
1. I beni del trust costituiscono patrimonio distinto a tutti gli effetti da quello del trustee
e, fino alla loro eventuale attribuzione, dal patrimonio dei beneficiari. Su tale patrimonio
non sono ammesse azioni dei creditori del trustee o degli eventuali depositari. Le azioni
dei creditori dei beneficiari sono ammesse nei limiti dei diritti a questi spettanti al momento nel quale l’azione è intrapresa.
2. Il trustee è legittimato a richiedere iscrizioni, trascrizioni e intestazioni di beni immobili, di beni mobili registrati e di strumenti finanziari del trust o dati a garanzia del trust.
Da tali atti deve risultare, mediante riferimento alle disposizioni della presente legge, la
qualità di trustee.
Art. 4.
(Trustee)
1. Nello svolgimento del proprio incarico, il trustee:
a) può delegare l’esecuzione di specifici compiti e l’esercizio di specifici poteri ad altri soggetti, i quali rispondono nei confronti dei beneficiari in solido con il trustee delegante;
b) può agire esclusivamente nei limiti ed alle condizioni definiti nell’atto istitutivo del
trust;
c) può amministrare i beni del trust disponendone nei limiti indicati nell’atto istitutivo
del trust. In assenza di disposizioni espresse, i beni non possono essere dati in garanzia
né possono essere acquistati nuovi beni immobili;
d) può effettuare gli investimenti necessari per l’amministrazione del trust, conferendo
incarichi a soggetti abilitati;
e) rende conto della propria attività ai soggetti indicati nell’atto istitutivo del trust, con la
periodicità indicata nell’atto stesso ed in ogni caso almeno annualmente.
2. I beneficiari di un trust e tutti coloro che comunque abbiano diritto di agire contro il
trustee in tale sua qualità possono:
a) sostituirsi al trustee per esercitare i diritti e le azioni che spettano al trustee contro i
terzi;
b) domandare l’annullamento di qualsiasi negozio traslativo compiuto dal trustee in violazione delle disposizioni dell’atto istitutivo del trust o della presente legge.
3. Al numero 1) del primo comma dell’articolo 2659 del codice civile sono aggiunte, in
fine, le seguenti parole: «; ove una parte abbia agito nella qualità di trustee, la denominazione del trust e la data della sua istituzione, nonché il numero di codice fiscale e le
generalità del trustee».
4. Al numero 1) del secondo comma dell’articolo 2660 del codice civile sono aggiunte, in
fine, le seguenti parole: «; ove il bene sia istituito in trust, le generalità del defunto e la
denominazione e la data di istituzione del trust, nonché il numero di codice fiscale e le
generalità del trustee».
Art. 5.
(Vigilanza. Disposizioni penali)
1. Con decreto del Ministro dello sviluppo economico, sono definite le misure idonee
alla separazione organizzativa e contabile delle attività di trustee, cui devono attenersi i
soggetti di cui all’articolo 2, comma 2.
2. Il Ministro dello sviluppo economico dispone la sospensione del trustee che sia assog-
132
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
gettato a liquidazione coatta amministrativa o ad altra procedura concorsuale o per il
quale siano venuti meno i requisiti di cui all’articolo 2, comma 2, e adotta le conseguenti
disposizioni per l’amministrazione dei beni conferiti in trust da parte di un commissario,
nel rispetto delle disposizioni dell’atto costitutivo del trust. Ove, decorsi non oltre novanta giorni dalla nomina del commissario, occorra sostituire definitivamente il trustee e non
siano applicabili le disposizioni dell’atto costituivo del trust, il Ministro dello sviluppo
economico richiede al presidente del tribunale del luogo in cui il trustee aveva sede la
nomina di un altro trustee. Il presidente del tribunale, sentito il disponente del trust,
provvede entro i successivi dieci giorni.
3. Il commissario ed il nuovo trustee di cui al comma 2 possono compiere gli atti di cui
all’articolo 4, comma 2.
4. Ove un trust istituito in conformità alla legge di un altro Stato sia riconosciuto ai sensi
del capitolo III della Convenzione, al trustee si applicano le disposizioni degli articoli 2,
3, 3-bis e 5 del decreto-legge 3 maggio 1991, n. 143, convertito, con modificazioni, dalla
legge 5 luglio 1991, n. 197, e successive modificazioni, in materia di prevenzione dell’utilizzazione del sistema finanziario a scopo di riciclaggio, purché sia realizzata almeno una
delle seguenti condizioni:
a) l’Italia costituisce il luogo di amministrazione del trust, ovvero della residenza o del
domicilio di almeno uno dei disponenti o dei beneficiari;
b) almeno uno dei beni del trust è situato in Italia.
5. Agli effetti dell’articolo 18 della Convenzione, è vietata nel territorio dello Stato l’attività di trustee diversi da quelli di cui all’articolo 2, comma 2, della presente legge o da
quelli riconosciuti ai sensi del capitolo III della Convenzione. La violazione del divieto è
punita con la reclusione da sei mesi a quattro anni e con la multa da un quarto alla metà
del valore dei beni istituiti in trust.
Art. 6.
(Norme di coordinamento)
1. All’articolo 7, comma 1, della legge 30 aprile 1999, n. 130, è aggiunta in fine la seguente
lettera:
«b-bis) alle cessioni a trust di diritto italiano costituiti al fine esclusivo di partecipare a
singole operazioni di cartolarizzazione».
2. L’intestazione di beni immobili e di beni mobili registrati ad una società fiduciaria
autorizzata ai sensi della legge 23 novembre 1939, n. 1966, e la loro reintestazione al fiduciante sono soggette a tasse di registro, ipotecaria e catastale in misura fissa. I redditi, le
plusvalenze e gli altri proventi derivanti dai beni intestati si considerano conseguiti dal
fiduciante.
L’intestazione alla società fiduciaria è trascritta indicando la natura fiduciaria dell’atto.
133
AIAF QUADERNO 2007/2
134
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
GIURISPRUDENZA
A) APPLICAZIONE DEL TRUST NELL’AMBITO DELLA SEPARAZIONE
E DEL DIVORZIO
TRIBUNALE MILANO,
VERBALE DI SEPARAZIONE CONSENSUALE E RELATIVO DECRETO DI OMOLOGA DEL 7.6.06
in Trusts e attività fiduciarie, “Separazione consensuale dei coniugi, trust e vincolo del
trust sui beni costituiti in fondo patrimoniale”, Ottobre 2006, p. 575 e ss.
TRIBUNALE DI MILANO
VERBALE AI SENSI DELL’ART. 711 COD. PROC. CIV.
Oggi 6 aprile 2006 in Milano. Innanzi al Presidente Dott. Ezio Siniscalchi.
A seguito di decreto di convocazione sono comparsi i Signori:
PE nata a... il... residente in Milano, Via... Professione casalinga
Titolo di studio licenza media superiore Codice fiscale...
e
C.M. nato a... il... residente in Milano, Viale... Professione dottore commercialista
Titolo di studio laurea Codice fiscale...
Coniugi sposati a … il... in separazione di beni; con due figli: B. nata in data... e A. nato
in data...
Il Presidente sente i coniugi e ne tenta la conciliazione, ma questa non riesce. I coniugi
dichiarano di volersi separare consensualmente alle seguenti condizioni:
CONDIZIONI
1. i coniugi vivranno separati nel mutuo reciproco rispetto;
2. il figlio minore A. è affidato congiuntamente ai genitori e vivrà nell’alloggio di Milano
via... con la madre e la sorella B.;
3. i genitori eserciteranno congiuntamente la potestà sul figlio minore A. e assumeranno
insieme le decisioni di maggior importanza per la sua educazione, istruzione e crescita;
4. il padre potrà incontrare e tenere con sé A. quando lo desideri compatibilmente con
gli impegni scolastici e non del figlio stesso e tenendo conto dell’organizzazione di vita
della madre; in ogni caso, il padre potrà tenere con sé A. a week end alternati; per 15
giorni consecutivi durante le vacanze estive e per metà delle vacanze natalizie, ad anni
alterni durante le vacanze pasquali; per ogni altro ulteriore periodo di vacanza i genitori
assumeranno di volta in volta gli accordi;
5. il padre per contribuire al mantenimento del figlio minore si obbliga a corrispondere
alla madre in via anticipata entro il giorno 5 di ogni mese, fino al raggiungimento dell’au-
135
AIAF QUADERNO 2007/2
tonomia economica dello stesso, l’importo complessivo di € 1.200,00 (milleduecento)
omnicomprensivo di tutte le spese ordinarie; assegno soggetto a rivalutazione annuale
istat a decorrere dal 1 aprile 2007; per le spese straordinarie i genitori assumeranno di
volta in volta accordi per la ripartizione dell’onere;
6. il padre si fa carico di provvedere direttamente al mantenimento della figlia B.,
maggiorenne;
7. il Signor C.M. si obbliga inoltre a farsi direttamente carico delle spese condominiali
ordinarie e straordinarie, di ogni onere fiscale (ICI, TARSU, etc.) relativo sia all’unità
immobiliare destinata ad abitazione principale dei figli A. e B., conviventi con la madre,
sia dell’unità immobiliare destinata a casa di vacanza della famiglia;
8. il Signor C.M. per concorrere al mantenimento della moglie si obbliga a corrisponderle
un assegno mensile di E 2.500,00 (duemilacinquecento), in via anticipata entro il giorno 5
di ogni mese, da rivalutarsi annualmente secondo gli indici istat a decorrere dal 1 aprile
2007; l’assegno si deve intendere al netto delle imposte che saranno a carico del marito;
9. inoltre i coniugi sul presupposto che:
hanno costituito fra gli stessi un fondo patrimoniale con atto in data... n... Rep. Dott...
Notaio in Milano, ivi registrato il... al n..., trascritto nei pubblici registri ed annotato a
margine dell’atto di matrimonio, destinando a far fronte ai bisogni della famiglia beni
immobili e un bene mobile loro appartenenti;
desiderano perpetuare i benefici connessi al fondo patrimoniale anche per il caso in cui
il fondo stesso dovesse cessare (scioglimento del vincolo coniugale per morte o divorzio
e raggiungimento della maggior età del figlio attualmente minore);
desiderano assicurare ai figli B. e A. lo stesso tenore di vita goduto in costanza di convivenza dei genitori sino a che non avranno completato il ciclo di studi e avranno raggiunto l’autonomia economica;
nel contempo desiderano ulteriormente segregare i beni conferiti nel fondo patrimoniale
per sottrarli alle proprie vicende personali e successorie e, in generale, per poter trarre
da essi utilità, sia direttamente sia indirettamente, da destinare ai bisogni della famiglia,
considerato inoltre che:
il rapporto giuridico che consente di realizzare tale finalità è il TRUST,
al riconoscimento dei trust istituiti in Italia e sottoposti a una legge straniera si applicano le disposizioni della Convenzione de L’Aja del 1/7/1985, ratificata in forza della
legge 16.10.1989 n. 364 ed entrata in vigore il 1/1/1992, e si tratta di realizzare una esigenza meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico italiano, per cui non trova
applicazione la riserva prevista dall’art. 13 della citata Convenzione,
ai sensi dell’art. 6 della citata Convenzione il soggetto che istituisce un trust può scegliere la legge dalla quale il trust sarà disciplinato,
il diritto inglese ammette la possibilità di vincolare beni in trust mediante dichiarazione
unilaterale del Disponente, senza che ciò sia seguito da trasferimento dei beni a un terzo, cosicché il Disponente assuma egli stesso la qualifica di Trustee.
Tanto premesso e considerato, i Signori PE e C.M., d’ora in poi “Disponenti”, dichiarano
di istituire, e con il presente atto irrevocabilmente istituiscono, il Trus t denominato
TRUST B & A
(d’ora in poi “Trust”) regolato dalle seguenti disposizioni:
Art. 1 Finalità del Trust
A. La finalità del Trust è perpetuare i benefici connessi al fondo patrimoniale anche per i
casi in cui il fondo stesso dovesse cessare mantenendo il vincolo di destinazione impresso ai beni del fondo per soddisfare i bisogni della famiglia assicurando ai figli B. e A.,
alla madre e, ove necessario, al padre, lo stesso tenore di vita goduto in costanza di convivenza dei genitori, sino a che i figli non avranno completato il ciclo di studi e avranno
raggiunto l’autonomia economica.
136
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
Art. 2 Beneficiari del Trust
A. Il termine “Beneficiari” indica gli attuali componenti il nucleo familiare dei
Disponenti.
Art. 3 Il Fondo in trust: i Beni in trust
A. I Disponenti, in virtù della facoltà prevista nell’atto di costituzione del Fondo patrimoniale, unanimemente vincolano nel Fondo in trust i seguenti beni:
1) immobili di spettanza del Signor C.M. per l’usufrutto generale vitalizio e di spettanza
della Signora PE per la nuda proprietà:
a) in Comune di Milano, alla Via..., unità immobiliare ad uso abitazione al piano terzo, composta di sei locali e servizi, con annessi e pertinenti vano di cantina e spazio
di solaio al piano sottotetto; censita all’Agenzia del Territorio di Milano - Catasto dei
Fabbricati del predetto Comune, al foglio... - particella... - via...- P / S1 - Z.C. 2 - CAT.
A/ - Cl - vani 9 - Rendita € ; confini in senso orario dell’unità immobiliare ad uso
abitazione: stabile di Via..., particella già... e vano scala comune; appartamento al sub...;
vano scala e cortile comuni: muro di confine con la casa di Via..., particella già...; Via...
Confini del vano cantina: a nord-est: cantina sub. 4; a sud-est muro perimetrale verso
il cortile: a sud-ovest: cantina al sub 6; a nord-ovest: corridoio comune: confini dello
spazio di solaio: a nord-est: area di solaio “g”; a sud, est: corridoio comune; a sud-ovest:
area di solaio “i”; a nord-ovest: muro perimetrale verso la Via...
b) in Comune di ….(Ge), alla via … a parte del condominio denominato “...”, in... - unità immobiliare ad uso abitazione al primo piano, numero interno 29 e catastalmente
numero interno 3, composta da tre locali e servizi; censita all’Agenzia del Territorio di
Genova - Catasto dei Fabbricati del Comune di … al foglio..., particella..., sub...,... - cat.
A/3, cl. 4. vani 3,5 - Rendita catastale € … Confini: a tre lati muri perimetrali su distacchi e dal quarto lato appartamento n. …
Con la rispettiva quota di comproprietà a ciascuno dei beni spettanti sugli enti, spazi e
servizi comuni degli stabili di cui ciascuno fa parte.
2) mobili di proprietà di entrambi i coniugi in ragione di 12 carati ciascuno: imbarcazione da diporto a motore iscritta all’ufficio Circondariale Marittimo di Savona nominativo internazionale nome... - sigla e numero iscrizione modello … - ditta costruttrice
… lunghezza f. t. 11,02 metri - larghezza f. t. 3,96 metri - stazza lorda 14,95 tonnellate.
Apparato motore: numero motori 2 - AB Volvo … - matricola... e...; ditta costruttrice
Volvo Penta - modello … anno di fabbricazione 2004; tipo entrobordo Diesel - entrambi
a quattro tempi, cilindrata 5475 ciascuno, della potenza massima di 234 CV cavalli fiscali
39 (ciascuno);
3) mobili di proprietà della moglie PE:
la quota di nominali € 9.690,00 (€ novemilaseicentonovanta) pari al 95% (novantaci nquepercento) del capitale della società... costituita in Italia e con sede in Milano, Viale...,
capitale sociale di € 10.210,00 (€ diecimiladuecentodieci), iscritta al Registro Imprese di
Milano al numero..., C.F_
B. Sono “Beni in trust” i suddetti beni immobili e mobili, ogni altro bene o diritto che i
Disponenti vincolino in trust, ogni reddito scaturente da tali beni e diritti, ogni loro trasformazione, permutazione, sostituzione, incremento, surrogazione.
C. È in facoltà dei Disponenti di procedere ad ulteriori apporti di beni mobili o
immobili.
D. I Beni in Trust sono separati dal patrimonio proprio di un Trustee e del Trustee, costituiscono una massa distinta, non sono in alcun caso aggredibili dai loro creditori né dai
creditori dei Disponenti in forza della legge applicabile e secondo il disposto dell’art. 11
della Convenzione de LAja del 1 luglio 1985, ratificata con Legge 36411989.
Art. 4 Legge regolatrice del Trust
A. Il Trust è regolato dalla legge inglese. Essa è la legge applicabile al Trust, alla sua vali-
137
AIAF QUADERNO 2007/2
dità, alla sua amministrazione e all’interpretazione di queste disposizioni.
B. Peraltro, le obbligazioni e la responsabilità del Trustee sono disciplinate cumulativamente dalla legge inglese e. dalla legge italiana.
C. Per l’applicazione della legge italiana il Trustee è considerato quale gestore di beni che,
sebbene di sua proprietà, sono destinati a soddisfare esclusivamente interessi di terzi e a
essere loro trasferiti al termine del trust.
D. La validità, l’efficacia e l’opponibilità degli atti del Trustee posti in essere in Italia o
riguardanti beni immobili siti in Italia sono regolati dalla legge italiana.
Art. 5 Durata del Trust
A. Per Durata del Trust si intende il periodo:
1. il cui termine iniziale è la data della omologazione delle condizioni della separazione
consensuale alle quali la presente istituzione di trust accede
2. il cui termine finale è il decorso di 10 (dieci) anni dal termine iniziale.
Art. 6 Il Trustee e la successione nell’ufficio
A. Trustee del Trust sono i Disponenti. B. 11 termine “Trustee” individua chi riveste l’ufficio di trustee; in caso di più persone indica ciascuna di esse.
C. In caso di morte, dimissioni o sopravvenuta incapacità
l. di uno degli attuali Trustee, la funzione è esercitata dal superstite;
2. di entrambi gli attuali Trustee, la funzione è assunta dal Dr. C.R, Commercialista di
Milano, domiciliato via...
3. in mancanza, il Trustee è nominato dal Presidente del Collegio notarile di Milano.
D. Un trustee che cessi dall’ufficio perde ogni diritto sui Beni in Trust in favore di colui o
coloro che gli succedono nell’ufficio.
E. Chi cessa dall’ufficio:
1. pone in essere senza indugio ogni comportamento necessario per consentire al Trustee
di esercitare i diritti spettanti al trustee sui Beni in trust;
2. consegna al Trustee i Beni in trust e ogni documento riguardante il Trust che sia in
suo possesso, gli fornisce ogni ragguaglio i1 trustee gli richieda e in genere lo pone in
grado, per quanto in suo potere, di prendere possesso dei beni in trust e di assolvere le
obbligazioni inerenti l’ufficio;
3. pub fare e trattenere copie dei documenti che consegna, ma unicamente per avvalersene in caso di azioni proposte contro di lui.
F. In caso di morte di un trustee i suddetti diritti e obbligazioni fanno capo ai suoi eredi.
Art. 7 Spettanza dei beni in trust
A. Sopraggiunto il termine finale della Durata del Trust, i Beni in trust sono trasferiti di
diritto:
1. ai Disponenti, se viventi, attribuendo a ciascuno di essi i Beni in trust secondo la rispettiva provenienza;
2. in mancanza, agli eredi di ciascun Disponente per la quota allo stesso spettante ai quali
soltanto da quel momento appartengono.
B. II Trustee cura qualunque trasferimento e adempimento necessario per rendere tale
appartenenza giuridicamente opponibile ai terzi.
Art. 8 Poteri del Trustee
A. I1 Trustee:
1. ha, rispetto ai Beni in trust, ogni potere e diritto del proprietario e quindi
anche capacità processuale attiva e passiva;
2. può comparire nella sua qualità di trustee dinanzi a Notari e pubbliche autorità;
3. può rivolgersi all’Autorità Giudiziaria per ottenerne direttive.
B. Il Trustee svolge le proprie funzioni personalmente.
Art. 9. Amministrazione del Trust
A. Fintanto che duri il vincolo nascente dal Fondo patrimoniale
138
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
1. gli atti di amministrazione non richiedono il concorso del Trustee;
2. gli atti di disposizione
- non richiedono il concorso del Trustee qualora siano preordinati al reimpiego nel Fondo patrimoniale,
- richiedono il previo consenso del Trustee in caso diverso;
3. gli atti che gravano o vincolano o sottopongono a garanzia beni inclusi nel Fondo patrimoniale richiedono il previo consenso del Trustee.
B. Successivamente, nel corso della Durata del Trust il Trustee può:
1. impiegare reddito del Trust:
a. per manutenzioni, riparazioni e migliorie dei beni inclusi nel Fondo in trust; b. pagare
imposte e altre spese che sarebbero altrimenti da soddisfare tramite il Fondo in trust,
purché contesti le pretese ragionevolmente contestabili;
2. destinare i Beni in trust a soddisfare le esigenze abitative e di vacanza dei Beneficiari;
3. impiegare qualsiasi altro Bene in trust a beneficio della famiglia sino a che i figli non
saranno autonomi ed economicamente indipendenti.
Art. 10 Secretazione
A. Il Trustee tiene i Beni in trust separati sia dai propri che da qualunque altro bene del
quale sia trustee o fiduciario e distintamente identificabile. Inoltre:
1. quando si tratti di beni iscritti in registri, pubblici o privati, il Trustee ne richiede l’iscrizione al proprio nome in qualità di trustee o in altro modo che palesi l’esistenza del
Trust;
2. ogni conto bancario e ogni contratto stipulato dal Trustee sono al nome del Trustee
nella sua qualità di trustee o in altro modo che palesi l’esistenza del Trust e ogni somma
è depositata nei conti così denominati.
B. I Beneficiari possono chiedere che il giudice accerti che determinati beni o diritti sono
inclusi fra i Beni in trust.
Art. 11. Giurisdizione e competenza
A. Ogni controversia sulla validità o gli effetti del Trust o sui diritti o obbligazioni di
qualunque soggetto menzionato in questo Strumento è sottoposta esclusivamente alla
magistratura italiana, foro di Milano.
B. Ogni procedimento perché siano date direttive al Trustee è proposto esclusivamente
dinanzi alla magistratura italiana, foro di Milano; qualora essa declini di provvedere, alla
magistratura inglese.
Art. 12 Forma degli atti: Modificazioni
A. Ogni comunicazione, nomina e consenso per i quali né la legge applicabile né questo
Strumento prescrivano alcuna forma deve essere fatto per iscritto e accompagnato dalla
prova della sua ricezione.
B. Il Trustee con il consenso unanime dei Beneficiari può, per atto autentico, modificare
qualsiasi disposizione di questo Strumento qualora ritenga che la modificazione sia opportuna per meglio attuare le finalità del Trust.
***
10. I coniugi dichiarano che le conseguenze patrimoniali della separazione sono regolamentate nel presente verbale e con l’istituzione del “TRUST B. & A”; si danno pertanto
reciprocamente atto di aver definito ogni questione patrimoniale e di non aver nulla a
che pretendere l’uno dall’altro, salvo quanto qui previsto e pattuito.
(PF) (C.M.)
IL PRESIDENTE
Autorizza i coniugi a vivere separati alle condizioni sopra trascritte ed ordina la rimessione degli atti al PM. per il suo parere sulla omologazione.
I1 Presidente
***
139
AIAF QUADERNO 2007/2
IL TRIBUNALE DI MILANO
Sezione IX Civile
Riunito in Camera di Consiglio nelle persone dei Signori
Dr. E. Siniscalchi Presidente Dr. MT Bruno Giudice Dr. M. Frediani Giudice
Ha emesso il seguente decreto di omologazione della separazione personale consensuale
fra i coniugi indicati nel verbale che precede.
Udita la relazione del Presidente; rilevato che nel verbale del 06/04/2006 i coniugi PE e
C.M. hanno dichiarato di se
pararsi consensualmente alle condizioni ivi indicate; considerato che tali condizioni non
trovano ostacolo nella legge e che le formalità prescritte sono state tutte osservate; visto
l’art. 711 cp.c.
OMOLOGA
per ogni effetto di legge il verbale della separazione personale dei coniugi. Ordina l’annotazione sull’atto di matrimonio.
TRIBUNALE PORDENONE,
VERBALE DI SEPARAZIONE CONSENSUALE E RELATIVO DECRETO DI OMOLOGA DEL 20.12.2005
in Trusts e attività fiduciarie, “Omologazione di accordo di separazione consensuale e
trust”, Marzo 2006, p. 247 e ss.
TRIBUNALE DI PORDENONE
VERBALE DI TENTATIVO DI CONCILIAZIONE
nella procedura per separazione consensuale promossa da:
A., nato a... iI... B., nata a... il...
Coniugi per matrimonio contratto il ~~~
Oggi 21/11/2005,avanti al Presidente ff. del Tribunale dott.ssa Manica Velletti, sono presenti i coniugi di cui al ricorso.
Il Presidente (sente, prima disgiuntamente e successivamente congiuntamente, i coniugi
per il tentativo di conciliazione.
A., dichiara: confermo Ia domanda. Percepisco mensilmente curo... circa come produttore televisivo.
B., dichiara: confermo la domanda. Gestisco un bar-ristorante.
II Giudice dà atto che il tentativo di conciliazione ha dato esito negativo. Ricompaiono
i coniugi entrambi assistiti dall’avv. A. Liberti e dall’avv. Oreste Giambellini, i quali depositano atto da allegare al presente verbale e contenente parte integrale dello stesso
nel quale vengono riprodotte le condizioni della separazione dando atto della avvenuta
costituzione del Trust con contestuale trasferimento degli immobili siti in...
II Presidente ff. autorizza i coniugi a vivere separati e dispone altresì che abbiano attuazione tutte le clausole concordate nel foglio allegato al presente verbale e contenente
parte integrante dello stesso di cui si riserva l’omologa.
Dispone ammettersi gli atti al P.M. per il parere
II Giudice
(Dott.ssa Monica Velletti)
CONDIZIONI
I) I coniugi vivranno separati nel reciproco rispetto.
140
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
2)Il sig. B. proseguirà ad abitare nell’appartamento, già casa coniugale, sito in... Via...,
stante che la Sigra B., già a far data dal..., si è trasferita nel Comune di ~~~
3) A scioglimento della comunione legale dei beni esistente tra i Sigg.ri A. e B. sugli
immobili dagli stessi acquistati durante il matrimonio nei Comuni di..., i medesimi si
impegnano:
a) per quanto riguarda tutte le unità immobiliari site nel Comune di... ed acquistate con
atto... n... di rep. Notaio.., nonché can atto... n... di rep. Notaio..., il Sig. A. si impegna, entro 30 giorni dalla data di omologa della separazione, a trasferire alla Sig.ra B. la propria
quota pari al 50% di piena proprietà di dette unità immobiliari;
b) per quanto riguarda il diritto di usufrutto sull’appartamento sito in... Via.., acquistato
con atto... n... di rep. Notaio..., la Sig.ra B. si impegna, entro 30 giorni dalla data di omologa della separazione, a rinunciare alla propria quota di usufrutto con conseguente contestuale accrescimento in capo al Sig. A. del diritto di usufrutto sull’intera unità abitativa;
da parte sua, il sig. B., entro il termine sopra indicato, si impegna a trasferire, a favore dei
figli sigg.ri C. e D., il predetto diritto di usufrutto con riserva a proprio favore del diritto
di abitazione sua vita natural durante;
c) per quanto riguarda tutte le unità immobiliari site nel Comune di... ed acquistate con
atto... n... di rep. Notaio nonché con atto... n. di rep. stesso Notaio, i Sigg.ri A. e B. dichiarano di aver provveduto in data... con atto n... di rep. Notaio Luigi Francesco Risso a
conferire, in esecuzione a quanto previsto al punto c) del ricorso per separazione, ciascuno per La rispettiva quota, il diritto di piena proprietà dei predetti immobili in un trust
irrevocabile che ha quali beneficiari la propria discendenza comune, ossia i Sigg.ri C. e D.
nonché quale Trustee persona di fiducia di entrambe le parti ed il cui strumento e stato
formalizzato con atto in pari data n... di rep. stesso Notaio.
4) I coniugi dichiarano di rinunciare, l’uno nei confronti dell’altro, all’assegno alimentare
e/o di mantenimento, essendo allo stato i medesimi del tutto autosufficienti da un punto
di vista economico.
5) I coniugi si danno sin d’ora reciproco consenso ed assenso al rilascio e/o rinnovo dei
rispettivi passaporti e documenti validi per l’espatrio.
TRIBUNALE ORDINARIO DI PORDENONE
Il giorno...
riunito in Camera di consiglio nelle persone di
Dott. Antonio Lazzaro
presidente
Dott. Liana Zoso
giudice
Dott. Monica Velletti
giudice
Ha pronunciato il seguente
DECRETO
ritenuto che i coniugi
A.
Nato il... a...
B.
Nata il... a...
Matrimonio celebrato il... a...
si sono separati consensualmente avanti il Presidente di questo Tribunale in data...;
che le condizioni della separazione appaiono conformi alla legge;
V. o il parere favorevole del P M.; V.o l’art. 711 c.p.c.;
ordina che il presente decreto sia trasmesso a cura della cancelleria in copia autentica per
141
AIAF QUADERNO 2007/2
l’annotazione ai sensi dell’art. 69 1ett. D d.p.r 3-11-2000 n 396 ordinamento dello stato
civile all’ufficiale dello stato civile del comune di...
(Atto n° 732 P I... serie... anno 1980)
OMOLOGA
La separazione consensuale dei predetti coniugi alle condizioni di cui al ricorso e confermate con il verbale dell’udienza citata e ciò a tutti gli effetti di legge;
ORDINA
che il presente decreto sia trasmesso a cura della cancelleria in copia autentica all’ufficiale dello stato civile del comune di...
TRIBUNALE MILANO,
VERBALE DI SEPARAZIONE CONSENSUALE E RELATIVO DECRETO DI OMOLOGA DEL 23.2.2005
in Rivista del notariato, 2005, 4, 851
E’ omologabile il verbale della separazione personale consensuale fra coniugi tra le cui
condizioni sia contemplato anche che uno dei coniugi istituisca in trust (che preveda
come trustee lo stesso disponente) un immobile di sua proprietà con la finalità di adibirlo
ad abitazione della figlia e dell’altro coniuge, con previsione dell’obbligo di trasferimento
dello stesso immobile alla figlia al compimento dei trent’anni di quest’ultima.
TRIBUNALE MILANO,
SENTENZA 20.10.02
in Trusts e attività fiduciarie, “Il Tribunale di Milano revoca i trustee e ne nomina di
nuovi”, Aprile 2003 p. 265 e ss.
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato in data 8.3.2000 l’attore conveniva in giudizio avanti al
Tribunale di Milano la ex moglie [convenuta] per ivi sentirla dichiarare decaduta per
conflitto di interessi “con le beneficiarie dal diritto di amministrare il... Trust con conseguente nomina di altro amministratore nonché che la convenuta” non ha il diritto a
pretendere dal patrimonio del Trust il pagamento di un appartamento di mq. 200 in via
Gesù a Milano...”.
Chiedeva, inoltre, che la [convenuta] fosse “tenuta a rendere puntualmente conto al coamministratore di come vorrà spendere i redditi del Trust “qualora nelle more del giudizio avesse rilasciato l’immobile di via del Gesù”.
Esponeva parte attrice: a) che in data 29.12.95 veniva pronunciata sentenza di divorzio
n.7021 dalla Corte Suprema di Giustizia in Londra; b) che fra le condizioni del divorzio
era stato previsto la costituzione di un Trust per amministrare nell’interesse delle figlie
minori l’abitazione familiare che aveva acquistato sul territorio inglese e che era rimasta
nella disponibilità dell’affidataria; c) che nel 1998 l’ex moglie decideva di rientrare in
Italia con le bambine, avendo trovato lavoro a Roma; d) che in data 18.12.98 venivano
modificati i patti dell’atto costitutivo del Trust (Settlement dei 23.9.97) con la previsione
142
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
di una locazione a terzi dell’ex casa coniugale ed utilizzo del ricavato anche per sostenere
i canoni dell’abitazione romana utilizzata dalla ex moglie e dalle figlie; d) che nel 1999
la [convenuta] si trasferiva con le bambine a Milano fissando la propria residenza in un
immobile prestigioso di via Gesù; e) che la convenuta aveva violato le regole di correttezza verso il coamministratore e verso il patrimonio omettendo di documentare le spese
che pretendeva essere rimborsate dal capitale depositato presso la Barclays Bank quale
liquidità del Trust.
Si costituiva parte convenuta eccependo preliminarmente il difetto di giurisdizione e, nel
merito, chiedendo il rigetto delle domande.
In via riconvenzionale, formulava poi una contrapposta istanza di decadenza dell’ex marito “dalla carica di trustee per breach of trust” con nomina di un sostituto nonché di ordine” di cessare immediatamente ogni azione volta alla modifica di quanto stabilito nella
sentenza di divorzio e nell’atto costitutivo del trust... e di sottoscrivere immediatamente
i documenti necessari al trasferimento dei fondi del Trust...”.
Precisava la [convenuta] che l’immobile interessato al Trust era sito a Londra e che l’ex
marito era sempre stato informato delle spese da lei sostenute; b) che [l’attore] non aveva
collaborato alla gestione del Trust “omettendo anche di compiere atti necessari alla gestione stessa”.
Con atto depositato in data 16.2.2001 parte convenuta si costituiva con un nuovo difensore che, richiamandosi alle tesi difensive già dedotte anche in via preliminare, sottolineava
che i proventi del Trust erano stati bloccati da controparte.
Con ricorso depositato in data 3.4.2001 parte attrice proponeva ricorso ex art. 700 c.p.c.
chiedendo l’autorizzazione a compiere diverse operazioni nell’interesse del Trust lamentando una difficoltà di gestione.
Instaurato il contraddittorio, il ricorso veniva discusso all’udienza ex art. 183 c.p.c. e
rigettato con provvedimento riservato depositato in, data 31.3.2001.
Con analogo provvedimento depositato in data 17.12.2001 veniva rigettato l’ulteriore
ricorso ex art. 700 c.p.c. presentato sempre da parte attrice e nominato un ausiliario ai
sensi dell’art. 68 c.p.c. e 14 legge n. 218/95.
Avverso tale provvedimento, nella parte relativa alla reiezione della richiesta cautelare,
veniva proposto reclamo e con ordinanza collegiale in data 1.2.2001 la richiesta veniva
disattesa.
Concessi i termini ex art. 184 c.p.c., depositata la relazione da parte dell’ausiliario, costituitasi parte convenuta con un nuovo difensore, operati differimenti dell’udienza onde
acconsentire alle parti di approfondire soluzioni transattive emerse nel corso delle comparizioni parti, la causa veniva trattenuta a decisione.
Motivi della decisione
Ai Trust costituiti volontariamente o comprovati per iscritto trova applicazione la Convenzione dell’Aja firmata in data 1.7.85 (resa esecutiva in Italia con legge 16.10.1989 n.
364 in vigore dal 1.1.1992) ed i rapporti giuridici oggetto della presente causa ben possono annoverarsi fra quelli indicati nell’art. 2 della predetta Convenzione, ove si evidenzia
che con il termine Trust ci si riferisce ai “rapporti giuridici istituiti da una persona, il
costituente - con atto tra vivi o mortis causa qualora dei beni - siano stati posti sotto il
controllo di un trustee nell’interesse di un beneficiano o per un fine specifico”.
Con un Consent Order emesso dal Giudice Kirkwood in data 18.7.96, nell’ambito
della causa di divorzio n. 7021/95 intentata dalle attuali parti avanti all’Alta Corte
di Giustizia - Divisione della Famiglia -, su accordo era stato previsto che [l’attore]
dovesse trasferire la proprietà dell’immobile (appartamento del terzo e quarto piano) ubicato in Harrington Gardens Londra SW7 (registro e HM del Catasto Immobiliare al titolo NLG552318 e compreso e determinato da un lease datato 10.4.1986
tra Aylmer Square Investements Lùnited e Woodsends Investiments Limited per la
143
AIAF QUADERNO 2007/2
rimanenza del periodo di 99 anni a partire dal 25.12.1984 nonché di 2269 azioni nella
Harrington Gardens Management Company Limited) intestandola congiuntamente
alla ex moglie [convenuta] e facendosi carico delle spese inerenti alla costituzione
dell’amministrazione fiduciaria (Trust), di cui gli ex coniugi assumevano la veste di
amministratori nell’interesse delle due figlie minori... e...
Secondo le indicazioni previste dal citato Consent Order, l’atto istitutivo del Trust
veniva stipulato in data 23.9.97 con richiamo alle disposizioni del Trust of Land and
Appointment of Trustee Act del 1996 e con espressa previsione, quanto alle modalità
di amministrazione: a) di un’occupazione dell’immobile da parte dell’ex moglie “vita
natural durante e purché lei, una o entrambe le figlie, lo staff domestico o ospiti solamente temporanei occupino e usino l’immobile nel rispetto delle successive clausole
4 e 5”; b) il godimento a titolo gratuito e con onere della beneficiaria di sopportare
solo le spese condominiali ed il canone per il godimento del suolo si cui l’immobile
de quo insisteva - Ground Rent - (art. 3.1.1.); e) amministrazione congiunta dei genitori nominati trustees in favore delle figlie (art. 3.2) e che il patrimonio del Trust “sarà
detenuto fiduciariamente a favore e della ricorrente e del resistente in modo assoluto”
(art. 3.4.); d) il potere di nominare un nuovo trustee, in sostituzione di uno dei coniugi,
richiedeva l’approvazione scritta dell’altro, approvazione che non poteva essere ragionevolmente rifiutata (art. 11.1.); e) con successivi atti i trustees potevano modificare i poteri
loro conferiti dall’atto costitutivo.
Con successivo atto, sottoscritto in data 18.12.1998, gli ex coniugi avevano previsto accordi supplementari secondo cui: a) l’immobile di Londra veniva concesso in locazione
a terzi per un periodo di due anni mentre la convenuta - che per motivi di lavoro si era
trasferita con le figlie a Roma - occupava l’appartamento in affitto all’uopo reperito; b) il
canone ricavato dalla locazione dell’immobile di Londra veniva considerato quale quota
capitale ed, al netto delle imposte, doveva essere impiegato per la copertura di spese
elencate in ordine di priorità nell’art. 1; c) per la gestione del ricavato e delle spese venivano costituiti uno o più conti correnti; d) allo scadere di un biennio gli accordi supplementari cessavano di avere vigore (art. 6).
Ciò premesso l’eccezione pregiudiziale di difetto di giurisdizione dispiegato da parte
convenuta nelle conclusioni del primo atto difensivo è infondata e, per tanto, deve essere
disattesa.
L’art. 3 della legge 31.5.1995 n. 218 prevedendo che la giurisdizione del Giudice Italiano
sussista “quando il convenuto è domiciliato o residente in Italia o via ha un rappresentante che sia auto. rizzato a stare in giudizio a norma dell’art. 77 c.p.c.” ha abbandonato
la divisione tra cittadini italiani e cittadini stranieri, che aveva caratterizzato le precedenti
disposizioni, ed ha introdotto il principio innovatore (per qualsiasi controversia salve le
azioni reali su immobili all’estero) del collegamento fra il soggetto che è convenuto in
giudizio e lo Stato di residenza o domicilio.
Accanto a tale criterio generale vi sono poi una serie di ipotesi nelle quali l’art. 3 stabilisce
comunque la sussistenza della giurisdizione italiana e, per quello che ci interessa, al II
comma contempla un espresso richiamo ai criteri stabiliti dalle sezioni 2, 3 e 4 del titolo
11 della Convenzione di Bruxelles in data 27.9.1968 circa la competenza giurisdizionale
ed esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale e ciò limitatamente alle
materie comprese nel campo di applicazione della Convenzione quale risultante dal suo
art 1.
Parimenti l’art. 2 della Convenzione di Bruxelles per le controversie con elementi di estraneità aveva individuato nel domicilio delle persone convenute nel territorio dello Stato
contraente il criterio generale e solo, in via alternativa (art. 5 e per quello che ci interessa
punto 6), erano stati previsti fori speciali avanti ai quali il convenuto a prescindere dal
domicilio “può essere citato”.
144
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
Nella fattispecie per cui è causa non è contestato che all’atto dell’introduzione del presente giudizio (art. 5 C.P.C.) la convenuta fosse già residente o, comunque, domiciliata
sul territorio italiano e, più precisamente, in Milano ove attualmente ancora dimora con
le figlie minori.
Affermata la giurisdizione di questo Giudice, occorre accertare la legge sostanziale applicabile alla fattispecie oggetto di causa e che presenta elementi di estraneità.
Per una corretta soluzione della questione occorre muovere l’analisi dalla già citata Convenzione dellAja, che all’art. 6 evidenzia nella volontà del costituente (di sottoporre il
Trust ad un determinato ordinamento) un criterio di collegamento e solo laddove tale
scelta di legge sia inefficace o manchi si dovrà avere riguardo ai criteri oggettivi posti
dal successivo art. 7 (contenete l’elenco di una serie di elementi che l’interprete deve
considerare al fine di determinare il diritto applicabile): criteri posti in un implicito ordine di importanza che, tuttavia, non vincolano il Giudice quanto alla sequenza rigorosa
dell’ordine stesso.
Dai lavori preparatori della Convenzione dell’Aja si evince che i criteri elencati, la cui rilevanza deve essere valutata dall’interprete con riferimento a quelli esistenti al momento
della costituzione del Trust, evidenziano: a) che il luogo di amministrazione rileva solo in
quanto sia stato espressamente designato dal costituente; b) che la collocazione dei beni
ha un’importanza determinante per i Trust aventi ad oggetto beni immobili.
Nell’atto costitutivo del... Trust non emerge alcuna scelta da parte del costituente in ordine al diritto applicabile ed al momento della sottoscrizione della dichiarazione i criteri
(immobile oggetto del Trust sito in Londra, residenza dei trustees e amministrazione del
Trust in Londra) deponevano inequivocabilmente per un rinvio all’ordinamento inglese,
che deve intendersi applicabile nel suo complesso senza poter limitare il richiamo ad una
singola norma interpretata separatamente dal sistema in cui si iscrive (principio dell’integralità del richiamo secondo il diritto internazionale privato).
Ritenuta l’applicabilità del diritto inglese occorre quindi individuare la materia del contendere, il cui ambito è stato nel corso del giudizio modificato e con la precisazione delle
conclusioni - rassegnate all’udienza del 21.2.2002 - circoscritto alle contrapposte richieste di rimozione dei coniugi dalla carica di amministratore (parte attrice ha formulato
domanda di rimozione dell’ex moglie e parte convenuta di decadenza con conseguente
rimozione dell’ex marito).
Superflue appaiono le. considerazioni dedotte da parte convenuta nella memoria di replica ex art. 190 c.p.c. circa la domanda attorea, formulata in via principale, atteso che a
prescindere dal diverso tenore letterale delle conclusioni rassegnate nell’arto introduttivo è incontroverso che la volontà dell’attore sia sempre stata quella di estromettere la ex
moglie dall’amministrazione fiduciaria, che in base al negozio costitutivo doveva essere
esercitata congiuntamente.
La mancata reiterazione, in sede di conclusioni definitive, delle altre domande formulate da parte attrice di accertamento dell’assenza di un diritto in capo alla convenuta al
rimborso del canone della casa di Milano (sita in via del Gesù) e dell’obbligo di rendiconto della trustee [convenuta] nonché quelle dedotte da parte convenuta, in via riconvenzionale, ai punti a e b della comparsa di costituzione del primo difensore esimono il
Tribunale da ogni valutazione nel merito.
Nell’ordinamento inglese l’art. 41 del Trustee Act del 1925 prevede un espresso potere del
Giudice di rimuovere i trustees per giusta causa, su loro richiesta o su istanza dei beneficiari, “qualora sia opportuno o se sia inopportuno difficoltoso o non agevole provvedere
(alla revoca) senza l’assistenza della Corte di emanare un provvedimento di nomina di
un nuovo trustee in sostituzione o in aggiunta di uno o più trustee esistenti” (affidavit
di Clara Trounson dello Studio RadcliffelsLeBrasseur e membro della Society of Trusts
and Estate Planning Pratictioners e dell’ACTAPS - doc. 4Ìa e 5 pag. 8 allegati alla rela-
145
AIAF QUADERNO 2007/2
zione dell’ausiliario del Giudice); potere subordinato alla mancata previsione di un atto
volontario di nomina previsto dal negozio costitutivo del Trust, ed all’accertamento di
una violazione del Trust o comunque degli obblighi che caratterizzano l’ufficio privato
dei trustees.
Quanto a tale ultimo profilo, l’art. 2 della Convenzione dell’Aia sottolinea che il trustee è
“investito del potere ed onerato dell’obbligo, di cui deve rendere conto, di amministrare
gestire o disporre dei beni secondo i termini del Trust e le norme particolari impostategli
dalla legge”, ed in base ai principi di common law esplicando i relativi compiti con l’uso
di un elevato grado di diligenza nell’attenersi all’atto istitutivo, con obbligo di imparzialità (obbligo di mantenersi equidistante fra gli interessi dei singoli beneficiari), con obbligo
di custodire i beni in modo da conservarne l’integrità materiale e giuridica nonché con
obbligo di tenere una corretta contabilità.
Inoltre ai sensi della legge codificata (art. 6 TLAT 1996) i trustees hanno, quanto alla
gestione degli immobili conferiti in Trust, tutti i poteri del pieno proprietario e nel loro
esercizio sono soggetti al “duty of care” previsto dal TA 2000 che impone azioni nel miglior interesse dei beneficiari.
Nella fattispecie per cui è causa, ritiene questo Giudice che entrambi i genitori si siano
sottratti al dovere di lealtà e correttezza (particolarmente elevato trattandosi di un’amministrazione fiduciaria) che l’ufficio di trustee imponeva, attuando una serie di comportamenti contrari al concetto inglese di “good faith” (agire onestamente e ragionevolmente) e sicuramente inidonei a raggiungere lo scopo del Trust con inevitabile pregiudizio
quantomeno delle posizioni soggettive delle minori.
Sulla scorta dei fatti dedotti in giudizio risultano violati: a) l’obbligo di conservazione
dell’immobile; b) l’obbligo di tenere un’adeguata contabilità; c) l’obbligo di imparzialità.
Si osserva, infatti, che l’immobile di Londra non solo è da tempo privo di un’adeguata
manutenzione finalizzata alla conservazione del valore della proprietà (omissione imputabile ad entrambi i trustees) ma per il veto espresso dall’ex moglie, la quale aveva
accarezzato l’idea di trasferirsi con le minori nuovamente in Inghilterra, non è stato reso
produttivo di reddito con la concessione a terzi di una nuova locazione.
Quanto all’obbligo di urta corretta contabilità (violazione imputabile ad entrambi i trustees) dalla relazione dell’ausiliario si evince che l’immobile di Harrington Gardens è
soggetto al pagamento delle tasse sui redditi all’Amministrazione Finanziaria (Inland
Revenue) per ogni anno fiscale (nel Regno Unito la scadenza per ogni anno fiscale è fissata il 5 aprile e con possibilità di pagamento posticipato - entro il 31 gennaio dell’anno
successivo - con la previsione di una sanzione pecuniaria).
Per l’anno fiscale con scadenza 5.4.99 l’onere è stato adempiuto in ritardo (doc. 17 e ss.
di parte attrice) e per i due anni fiscali successivi omessa la dichiarazione (cfr. Ammenda comminata dalla Inland Revenue in data 28.2.2001 per l’omessa dichiarazione anno
fiscale con scadenza 5.4.2000 sussistendo l’obbligo anche in ipotesi di improduttività di
redditi dell’immobile come indicato nell’affidavit).
Sempre con riferimento alla violazione dell’obbligo indicato sub b), occorre anche evidenziare che gli ex coniugi non hanno provveduto a saldare le spese concernenti l’attività
professionale svolta dallo studio JF Chown proprio con riferimento agli adempimenti
fiscali e le informazioni da dare all’Amministrazione inglese sulla scorta di un accordo
fra i trustees mai raggiunto (cfr. doc. 17 e ss. di parte attrice).
Il trustee [attore] relativamente all’obbligo di imparzialità non ha poi tenuto in debito
conto che la posizione della ex moglie, quale beneficiaria del Trust in quanto conduttrice
vitalizia dell’immobile, gli impediva di entrare in conflitto di interessi con la stessa e gli
imponeva di tenere conto con equidistanza dei diritti di tutti i beneficiari (art. 6 del TALT
1996): ciò appare tanto più vero se si considera che il... Trust non prevedeva una deroga
all’obbligo di amministrazione congiunta dei trustees.
146
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
In definitiva gli ex coniugi con i rispettivi comportamenti, dettati dal esasperata conflittualità che ancora li lega hanno contribuito entrambi a pregiudicare un’appropriata
gestione del Trust sulla base del semplice criterio di ragionevolezza ben avrebbero potuto delegare terzi, come per altro più volte nelle more del giudizio suggerito da questo
Giudice, i propri poteri di trustees in modo da uscire da quella situazione stallo che la
loro incapacità di determinarsi serenamente aveva comportato delega volontaria è stata
espressamente regolata nel Trust Act del 1925 per singoli atti e ciò indipendentemente
che l’attività comporti esercizio di un potere discrezionale).
A fronte di un siffatto pregiudizio delle posizione delle beneficiarie ed in difetto di atti
volontari, il Tribunale deve rimuovere gli attuali trustees nominarne nuovi in sostituzione, così esercitando quel potere integrativo (inherent jurisdiction cfr. affidavit pag. 8 e
ss.) previsto nell’ordinamento inglese.
Le considerazioni sino ad ora svolte rendono superflue l’espletamento dell’attività istruttoria richiesta anche in sede precisazione delle conclusioni.
Richiamato l’affidavit, quanto al numero dei trustees in ipotesi di Trust immobiliare, ritiene il Tribunale nominare quale nuovo amministratore 1’Honorary Legal Advisor del
Consola Britannico di Milano, Avv. Corabi Lu (già ausiliario del Giudice in questo procedimento), il quale - per la conoscenza professionale e l’equilibrio mostrati nell’espletamento dell’incarico - assicura un’adeguata capacità di adempiere agli obblighi derivanti
all’amministrato dall’atto costitutivo; attività che dovrà svolgere con l’altro trustee nominato Avv. Giovanna Ghielmetti del Foro Milano ed appartenente al medesimo studio
legale.
I nuovi trustees dovranno agire congiuntamente per raggiungere lo scopo del Trust
nell’interesse delle beneficiarie con particolare riferimento alla posizione delle minori
così esercitando tutti i poteri desumibili dal negozio costitutivo (e su. censivo atto) nonché dai principi normativi e di common law che disciplinano materia.
Appare superfluo prescrivere alle parti in causa, non solo nella loro qualità di trustees
rimossi ma soprattutto di genitori esercenti la potestà sulle beneficiarie minori, di collaborare con i nuovi amministratori in modo da consentire loro una proficua e celere
amministrazione fiduciaria.
I trustees nominati in sostituzione, pur non essendo professionali (lay) hanno giusta previsione di questo Giudice diritto ad un compenso per l’attività che andranno a svolgere,
in base alle tariffe forensi previste per l’attività stragiudiziale, oltre al rimborso delle spese debitamente documentate (properly e quindi non originate da comportamenti dolosi
o colposi); rimborso che potrà essere prelevato direttamente dal capitale del Trust il cui
patrimonio comprende non solo l’immobile di Londra ma anche gli investimenti e la
liquidità che di volta in volta ne formano parte. Al riguardo si osserva che con la relazione dell’ausiliario è stato indicato un saldo al dicembre 2001 del conto corrente presso la
Barclays Bank intestato al Trust pari a E 71118,72.
La regola tradizionale dell’onerosità per l’attività svolta dal trustee solo in ipotesi specifiche (e il trustee rientra in particolari categorie - quali pubblic trustee, Judical trustee e
trust companies -, se il trust fund si trova in uno stato estero in cui è previsto l’incarico
oneroso, se ciò è previsto dall’atto costitutivo, se sono stati stipulati accordi in tal senso
tra gli amministratori ed i beneficiari ed, infine, se lo prevede l’autorità giudiziaria) non è
stata superata dal Trustee Act del 2000 (entrato in vigore il 1.2.2001) le cui sections 28-33
hanno modificato solo il regime relativo ai professional trustee, cui compete sempre un
compenso salva contraria disposizione del negozio costitutivo.
L’esito della causa esonera questo Giudice dal valutare la richiesta ex art. 96 c.p.c. avanzata dalla convenuta e la reciproca soccombenza consente di dichiarare integralmente
compensate fra le parti le spese di lite, ivi comprese quelle liquidate nel corso del giudizio per l’elaborato dell’ausiliario ai sensi dell’art. 52 disp. att. C.P.C.
147
AIAF QUADERNO 2007/2
Tali conclusioni ex art. 92 c.p.c. appaiono tanto più vere se si considera la peculiarità della
materia oggetto di controversia, che nel nostro ordinamento non risulta ancora avere
avuto un’adeguata elaborazione giurisprudenziale, e la circostanza che relativamente al
reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c. il Tribunale aveva già provveduto alla liquidazione
delle relative spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale di Milano definitivamente pronunciando ogni diversa domanda, eccezione e
deduzione disattesa così provvede;
a) rimuove [l’attore] e [la convenuta] dall’incarico di trustees del... Trust e nomina in loro
sostituzione l’Avv. Luca Corabi e l’Avv. Giovanna Ghielmetti con studio in Milano via
San Senatore -611;
b) dichiara cessata la materia del contendere relativamente all’ulteriore domanda formulata di parte attrice con l’atto introduttivo;
c) rigetta le ulteriori domande formulate dalle parti;
d) manda alla cancelleria di comunicare copia della presente sentenza ai nuovi trustees
nominati Avv. Luca Corabi e Avv. Giovanna Ghielmetti con studio in Milano via San
Senatore 611;
e) dichiara le spese di lite integralmente compensate fra le parti;
f) pone definitivamente a carico delle parti, nella misura del 50%, le spese liquidate
all’ausiliario nel corso del giudizio.
148
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
B) APPLICAZIONE DEL TRUST A TUTELA DELLA PERSONA
INCAPACE E DEL MINORE
TRIBUNALE GENOVA, GIUDICE TUTELARE,
DECRETO 14.3.06
in Trusts e attività fiduciarie, “Concessione all’amministratore di sostegno dell’autorizzazione all’istituzione di un trust in favore di disabile”, Luglio 2006, p. 415 e ss.; La
nuova giurisprudenza civile commentata, 2006, 12; Giurisprudenza di merito, 2006, 12,
2644
IL GIUDICE TUTELARE
a scioglimento della riserva di cui al verbale che precede ha pronunciato il seguente
provvedimento;
vista l’istanza di nomina di amministratore di sostegno a favore di FM., nato a... l’...,
residente in..., Via... n..., proposta dalla moglie, signora P.R.;
sentiti, all’udienza del 7.3.2006, la ricorrente, lo stesso beneficiario, nonché il figlio, signor
FE., affetto da “sindrome dissociativa di innesto in soggetto cerebropatico”, ed invalido
civile al 100%;
dato atto che la ricorrente ha confermato la sua disponibilità ad essere nominata amministratore di sostegno del marito, soluzione condivisa anche dal figlio E., mentre il
beneficiario della procedura, pur nei limiti connessi alla sua patologia, si è espresso favorevolmente nei riguardi della moglie;
vista la documentazione medica in atti da cui risulta che il signor FM. è affetto da “malattia di Alzheimer”, e che egli non risulta in grado di compiere gli atti quotidiani della
vita;
ritenuto che, stante la situazione sopra precisata ricorrono in pieno i presupposti per
l’applicazione del nuovo istituto dell’amministrazione di sostegno;
ritenuto, del resto, che l’istituto dell’interdizione è divenuto ormai residuale, atteso che
il nuovo art. 414 c.c. dispone che possono essere interdette le persone che versano “in
condizioni di abituale infermità di mente che li rende incapaci di provvedere ai propri
interessi”, ma solo quando ciò “è necessario per assicurare loro adeguata protezione”;
ritenuto che, trovandosi il signor EM., convenientemente accudito dalla moglie presso la
sua abitazione, non sussistono quelle esigenze di protezione che, in astratto, potrebbero
rendere legittimo il ricorso all’istituto dell’interdizione;
ritenuto, ancora, che la legge n. 6/2004 si caratterizza proprio per avere affrontato “il
tema dell’agire giuridico” introducendo opportunamente una “concezione relazionale
della prossimità con (...) soggetti vicini”, in modo da favorire la creazione di una migliore
relazione con il mondo esterno, con la precisazione che la ricorrente nella sua veste di
amministratore, stante il suo stretto rapporto di parentela con il beneficiario, agirà certamente nel pieno rispetto dei suoi bisogni, e delle sue aspirazioni, rivolgendosi al giudice
tutelare ove ciò sia necessario ai sensi della vigente normativa;
ritenuto che le facoltà dell’amministratore di sostegno saranno meglio specificate nel
prosieguo del provvedimento, con la precisazione che la signora P.R., nella sua qualità,
deve intendersi fin d’ora autorizzata a istituire il trust denominato “E.” (allegato al ricorso), dotando il trust anche del bene immobile indicato in ricorso (appartamento sito in...,
149
AIAF QUADERNO 2007/2
Via... n...) per la quota di proprietà del coniuge beneficiario della presente procedura;
ritenuto, d’altra parte, che il contenuto del trust è opportunamente volto a tutelare non
solo il beneficiario (garantendogli il miglior regime di vita possibile unitamente alle cure
e all’assistenza necessarie), ma anche il figlio unico E., le cui problematiche sono state sopra illustrate (obiettivo che certamente rispondeva alle aspettative del signor FM.,
quando le sue migliori condizioni di salute gli consentivano una più lucida visione delle
sue esigenze e di quelle del figlio);
ritenuto, in argomento, che ormai da tempo la migliore dottrina e la giurisprudenza
assolutamente prevalente hanno riconosciuto la compatibilità tra il trust e il nostro
ordinamento giuridico (corre l’obbligo di ricordare che la Convenzione dell’Aja del
1° luglio 1985, relativa alla legge applicabile al trust, è entrata in vigore in Italia il 1°
gennaio 1992), e che, proprio grazie all’avvenuto riconoscimento del c.d. trust interno,
questo istituto ha trovato interessanti applicazioni proprio nella materia della tutela
dei soggetti deboli;
ritenuto, da ultimo, che lo stesso legislatore, con l’art. 39 novies della recentissima legge 23 febbraio 2006, n. 51 (che converte il D.L. 30 dicembre 2005, n. 303) ha introdotto
nel codice civile l’art. 2645 ter, in tema di trascrizione di atti di destinazione per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela riguardanti anche “persone con disabilità”,
che fa espresso riferimento al conferimento, mediante atti in forma pubblica, di beni
(immobili o mobili iscritti in pubblici registri) destinati “per la durata della vita della
persona fisica beneficiarla alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela”, riferibili
appunto a soggetti disabili;
ritenuto che tale innovazione normativa configura un istituto frutto dell’autonomia privata, conformemente alla previsione di cui all’articolo 1322, secondo comma, c.c., la cui
riferibilità al trust (pur non nominato) è di tutta evidenza con la conseguenza di legittimare anche per via legislativa il citato pensiero di dottrina e giurisprudenza prevalenti
riguardo la compatibilità del trust con il nostro ordinamento se diretto a perseguire interessi meritevoli di tutela.
P.Q.M.
Visti gli artt. 404 e segg. C.p.C.;
nomina la signora P.R., nata a...,1’..., res. in..., Via... n.., amministratore di sostegno, a
tempo indeterminato, di EM., nato a... 1’..., residente in...,Via... n.
determina come segue l’oggetto dell’incarico: 1) assistenza personale anche per il tramite di terze persone; 2) riscossione, accredito e gestione (per quanto riguarda l’ordinaria
amministrazione) della pensione e dell’indennità di accompagnamento di spettanza del
beneficiario, con facoltà di compiere in nome e per conto dello stesso tutte le pratiche,
amministrative e non, volte a migliorare la sua situazione previdenziale e dunque patrimoniale; 3) sottoscrizione di qualunque documento o dichiarazione in nome e per conto
del beneficiario ove questi non sia in grado di sottoscriverlo; 4) stipula, in nome e per
conto del beneficiario, di qualunque negozio e/o contratto che comporti l’assunzione di
obbligazioni a carico del predetto, ivi compreso l’istituzione del trust denominato “E.”
allegato al presente ricorso, e di tutti gli atti da esso discendenti, parte dei quali richiamati nella parte motiva del presente decreto; 5) gestione dei risparmi del beneficiario tenuto
conto delle sue esigenze e di quelle relative al bene immobile di cui egli è comproprietario; 6) apertura e/o chiusura di qualunque conto corrente, con delega all’amministratore
di sostegno che potrà operarvi liberamente, movimentando altresì eventuali risparmi e/o
titoli, nell’ambito di una gestione ordinaria, sotto la sua responsabilità e con obbligo di
rendiconto;
atti che l’amministratore può compiere in nome e per conto della beneficiaria: tutti quelli
necessari per far fronte all’oggetto dell’incarico come sopra precisato, con la precisazione
150
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
che per gli atti di straordinaria amministrazione l’amministratore di sostegno dovrà essere autorizzato dal giudice tutelare;
limiti delle spese sostenibili con le risorse del beneficiario: importo della pensione e
dell’eventuale indennità di accompagnamento, nonché di eventuali risparmi;
atti che il beneficiario dell’amministrazione di sostegno può compiere da solo: atti della
vita quotidiana nei limiti delle sue attuali condizioni fisiche;
rendiconto annuale: a far data dal marzo 2007.
Dispone
la trasmissione del presente provvedimento all’Ufficiale di Stato civile, e la sua annotazione a cura della Cancelleria nel Registro delle Amministrazioni di sostegno.
Fissa
per il giuramento dell’amministratore di sostegno nominato il giorno... alle ore 9.20, davanti a sé.
Efficacia immediata.
TRIBUNALE MODENA, GIUDICE TUTELARE,
DECRETO 11.8.05
in Trusts e attività fiduciarie, “Nomina dell’amministratore di sostegno e autorizzazione all’istituzione di un trust”, Ottobre 2006, pag. 581 e ss.
(omissis)
Premesso
(a) Con ricorso depositato in data 15/6/05, Mario, Dorina, Alcide, Leonardo, Gianna, Ebe,
Rolando, Liliano..., Franca..., e Bruna... hanno chiesto la nomina di amministratore di sostegno a Colombo— precisando di esaurirne il novero dei parenti entro il quarto grado,
altri non essendovene in vita.
(b) A supporto della richiesta sono state addotte, e documentate, infermità psichiche consistenti in una oligofrenia medio grave tale da rendere la persona non autonoma e proprio per questo stabilmente residente, da anni, presso la “Comunità...” di via...
(c) Secondo parte istante queste disabilità determinerebbero, per il Signor Colombo...
l’impossibilità totale e stabile di provvedere ai propri interessi con conseguente necessità di sostegno per sostituirlo nel compimento dei seguenti atti: (1) riscossione delle
due pensioni mensili e dell’indennità di accompagnamento, per complessivi euro...
circa, (2) utilizzo di queste rendite per le esigenze ordinarie della persona e l’ordinaria
amministrazione dei suoi beni, (Colombo... che non possiede immobili, è titolare di un
conto corrente presso la Cassa di Risparmio di... su cui vengono versate le rendite mensili, è intestatario, presso lo stesso Istituto, di un deposito titoli - attualmente cointestato
a Mario... e ad Alcide... - con provvista attuale di circa euro..., è cointestatario, ancora e
sempre con Mario... ed Alcide... di un secondo conto corrente presso Unicredit di..., Filiale di... su cui vengono versati i frutti dei titoli), (3) presentazioni di istanze per richieste
di assistenza, (4) presentazione delle dichiarazione dei redditi e sottoscrizioni di atti di
natura fiscale.
(d) In sede di ricorso “i nominandi Amministratori” propostisi nelle persone di Mario...
e Franca..., hanno chiesto poi l’autorizzazione a costituire un “trust”, in favore del beneficiario e secondo lo schema negoziale prodotto avente ad oggetto i valori mobiliari tutti
pervenutigli dalla intervenuta sua nomina di erede universale della madre Maria...
151
AIAF QUADERNO 2007/2
Osservato e deliberato
(a) In sede di esame del beneficiario, effettuato da questo Giudice in data 4/8/05, è emerso
che lo stesso, solo moderatamente orientato nel tempo e nello spazio, si trova, a causa
delle sovraricordate, e constatate, patologie di affezione, in uno stato di concreta ed effettiva impossibilità di compiere in modo autonomo gli atti di cui in premessa.
(b) Vanno perciò ravvisati, nella fattispecie, allo stato e con riserva di ogni diversa e futura regolamentazione rapportata alle eventuali variazioni della situazione di disabilità
oggi appurata, i presupposti di legge che, pur nell’attenta ablazione minima della capacità d’agire dell’interessato, giustificano che gli si nomini un amministratore di sostegno
con potere di compiere in Suo nome e per conto gli atti di cui alla parte dispositiva.
(c) In vista delle finalità che lo qualificano, l’incarico va attribuito, rebus sic stantibus, a
tempo indeterminato. Considerato e ritenuto
(a) Sempre in data 4/8/05 sono stati sentiti i ricorrenti Mario... e la di lui moglie Franca...
nonché Alcide... che hanno ribadito le proposte istanze; quest’ultimo ha confermato l’assenso, già espresso in atto introduttivo al pari di quello degli altri parenti firmatari a che
la nomina dell’amministratore sia fatta nelle persone di Mario... e Franca... dichiaratisi,
per parte loro e come già detto, disponibili.
(b) Il beneficiario ha espresso adesione convinta e apparentemente cosciente alla attivazione dell’istituto nonché sulla designazione delle persone degli amministratori.
(c) Non sono emerse esigenze di cura e protezione della persona tali da legittimare il
ricorso ai residuali, ed ormai eccezionali, istituti dell’interdizione o dell’inabilitazione
dopo l’avvenuta introduzione nell’ordinamento di quello generale costituito dall’amministrazione di sostegno.
(d) Mentre non si è evidenziata, per un verso, controindicazione alcuna alla designazione di Mario... e Franca... quali amministratori di sostegno, la designazione viene valutata, per l’altro e da parte di questo Giudice, come la più idonea, nello specifico contesto
fattuale, per sopperire alle esigenze di vita ed economiche del beneficiario e per porre
in essere ogni iniziativa utile per la cura della sua persona; la duplice nomina comporta
poteri disgiunti per ogni atto di ordinaria amministrazione e poteri obbligatoriamente
congiunti per tutti quelli di straordinaria amministrazione.
Per l’effetto, notiziato il Pubblico Ministero, peraltro non intervenuto all’udienza.
Nomina
il Sig. Mario..., nato a... e la sig.ra Franca..., nata a... entrambi residenti in... amministratori di sostegno con poteri disgiunti quanto agli atti e/o negozi di ordinaria amministrazione ed obbligatoria
mente congiunti quanto a quelli di straordinaria amministrazione del Sig. Colombo...
nato a... e dom., a... c/o Alloggio... con le seguenti prescrizioni:
1) L’incarico è a tempo indeterminato. 2) Gli amministratori di sostegno avranno il potere
di compiere, in nome e per conto del beneficiario, le seguenti operazioni:
- riscossione delle pensioni mensili, dell’indennità di accompagnamento e di ogni altro
emolumento di spettanza del beneficiario rilasciando quietanza;
- utilizzo delle suddette rendite nei limiti degli oneri mensili necessari per le esigenze
ordinarie della persona assistita e l’ordinaria amministrazione dei suoi beni;
- pagamento di ogni spesa ordinaria, nonché delle rette della Comunità...;
- compimento di quanto si renderà necessario per le esigenze di protezione e per i bisogni e le richieste del beneficiario;
- presentazione di istanze ad Uffici ed Enti Pubblici per la richiesta di assistenza economica c/o sanitaria;
- presentazione della dichiarazione dei redditi e sottoscrizione di altri atti di natura
fiscale.
3) Letto lo schema negoziale prodotto in allegato al ricorso, il Giudice Tutelare (a) auto-
152
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
rizza gli amministratori di soste gno, ad istituire, in forza delle facoltà loro concesse dalla
convenzione de L’Aja 1 giugno 1985 ratificata con l. 16 ottobre 1989, n. 364 e secondo lo
schema negoziale stesso, un «trust” a beneficio di Colombo... avente ad oggetto i valori
mo
biliari tutti pervenutigli a seguito dell’intervenuta nomina di erede universale della madre Maria...; (b) dispone che gli amministratori provvedano a devolvere in “trust” (allo
scopo di accantonare quote di risparmi per fronteggiare eventuali spese future straordinarie del beneficiario) le somme residue degli emolumenti tutti di quest’ultimo una volta
pagati oneri gestionali ordinari a carico del medesimo e rette della comunità alloggio.
4) Gli amministratori di sostegno dovranno riferire per iscritto entro la fine di febbraio di
ogni anno solare al Giudice Tutelare circa l’attività svolta nel corso dell’annata precedente e le condizioni di vita personale e sociale del beneficiario; nello stesso termine saranno
tenuti al deposito di rendiconto.
5) Gli amministratori di sostegno dovranno chiedere l’autorizzazione al Giudice Tutelare
per gli atti indicati negli artt. 374, 375 e 376 del codice civile e sono soggetti all’obbligo di
informare tempestivamente il beneficiario circa gli atti da compiere, nonché il Giudice
Tutelare in caso di dissenso con esso.
6) Il beneficiario conserva la facoltà di compiere senza l’amministratore di sostegno gli
atti necessari a soddisfare le esigenze della vita quotidiana; a sua indispensabile tutela
ne viene disposta ablazione di capacità di compiere atti di straordinaria amministrazione
senza autorizzazione di questo Giudice Tutelare per il tramite degli amministratori di
sostegno.
Decreto esecutivo per legge.
TRIBUNALE FIRENZE, GIUDICE TUTELARE,
DECRETO 8.4.04
in Trusts e attività fiduciarie, “Il Giudice tutelare autorizza l’istituzione di trust con
beni di un minore disabile”, Ottobre 2004, p. 567 e ss.
TRIBUNALE Dl FIRENZE
UFFICIO DEL GIUDICE TUTELARE
RICORSO EX ART. 320 TERZO
COMMA CC
Il Dott..., nato a... il... e la Dott.ssa..., nata a... il..., nella loro qualità di genitori esercenti
la potestà sul minore Sig..., nato a... il... e residente a... (...), via... n..., rappresentati e difesi dall’Avv. Saverio Bartoli, elettivamente domiciliati presso il suo studio in Firenze,
via Antonio Giacomini n. 30, come da procura a margine del presente atto, PREMESSO
CHE
1) Dal matrimonio dei ricorrenti coniugi... sono nati due figli:... in data... (e quindi ormai maggiorenne) ed... in data...
2)..., a causa di lesioni irreversibili subite durante il parto, risulta affetto da una assai
grave forma di tetraparesi spastica con distonia e disartria, che è per lui fonte di difficoltà di apprendimento e di relazione, tanto che è stato riconosciuto invalido civile al
100% e gli è stata riconosciuta un’indennità di accompagnamento (cfr documentazione
medica; all. 1).
153
AIAF QUADERNO 2007/2
3) Poiché le lesioni irreversibili di cui al punto 2) sono state causate da condotta negligente del medico che operò al momento del parto e della struttura sanitaria di cui egli
faceva parte,... ha a suo tempo ricevuto un’ingente somma a titolo di risarcimento del
danno, la quale, con l’autorizzazione del Giudice Tutelare, è stata per gran parte investita in vario modo e per una piccola parte giace su un c/c.
4) Più precisamente, le attuali disponibilità finanziarie di... ammontano ad curo
486.400,68, dei quali curo 126.717,36 sono investiti in BTP, curo 194.471,76 in obbligazioni (dei quali curo 18.714,55 nelle tristemente note obbligazioni “...”), curo 25.806,04
in fondi ed curo 41.948,36 costituiscono il saldo attivo del suo c/c (cfr resoconto Cassa
di Risparmio di... e relativo estratto conto; all. 2).
5) In considerazione della modestia degli attuali rendimenti dei titoli di stato, del rischio cui è attualmente esposta una parte consistente del portafoglio di... e, più in generale, della non confortante situazione dei mercati finanziari, sarebbe intendimento dei
genitori di... quello di assicurargli un futuro caratterizzato dalla maggiore tranquillità
e sicurezza economica rappresentate dall’investimento di buona parte delle sue disponibilità in immobili di pregio e di sicura reddittività.
6) A tale scopo, pertanto, in data 21/11/2003 il Dott... padre di..., ha stipulato in proprio
con la società... s.r.l. i due contratti preliminari che seguono:
a) Un contratto preliminare (all. 3) di acquisto, per sé o personale o società da nominare, di un quartiere ad uso ufficio posto in... al piano terreno rispetto a Corso... ed al
piano seminterrato rispetto a..., con accesso diretto dal civico n... della prima via e dal
civico n..._ della seconda via (cfr altresì perizia giurata del Geom..., all. 4).
Il prezzo pattuito dalle parti è pari ad curo 150.000 oltre Ivo, il Dott... ha già versato la
prevista caparra di curo 40.000 (cfr all. 3, clausola 6) e la stipula del rogito è prevista entro
il 30/4/2004 (cfr all. 3, clausola 10).
b) Un contratto preliminare (all. 5) di acquisto, per sé o personale o società da nominare,
di un quartiere ad uso abitazione posto in..., al piano terreno rialzato, con accesso dal...
n... (cfr altresì perizia giurata del Geom..., all. 4).
Il prezzo pattuito dalle parti è pari ad curo 605.000 oltre Ivo (cfr. all. 5, clausola 6), il
Dott... ha già versato la prevista caparra di euro 160.000 (cfr all 3, clausola 6) e la stipula
del rogito è prevista entro il 30/4/2004 (cfr all. 3, clausola 10).
7) Nel contratto di cui al punto 6 lettera a), alla clausola 10, la società promittente la vendita ha preventivamente consentito che l’acquisto della piena proprietà dell’immobile ad
uso ufficio sia eventualmente effettuato dal minore Sig..., legalmente rappresentato dai
genitori e munito dell’autorizzazione del giudice tutelare.
8) Nel contratto di cui al punto 6 lettera b), alla clausola 10, la società promittente la
vendita ha preventivamente consentito che l’acquisto dell’usufrutto di detto immobile
sia eventualmente effettuato dal trustee di un trust istituito (previo conferimento in esso
della somma necessaria a detto acquisto) dal minore Sig..., legalmente rappresentato dai
genitori e munito dell’autorizzazione del giudice tutelare, avente quale unico beneficiario di reddito, vita natural durante, lo stesso minore.
9) Si evidenzia fin d’ora quanto segue: a) I ricorrenti, allo scopo di ulteriormente avvantaggiare il figlio, intendono partecipare assieme a lui, anch’essi in qualità di disponenti,
all’istituzione del trust di cui al punto 8 lettera b), mediante conferimento nel medesimo
della somma necessaria all’acquisto della nuda proprietà dell’immobile.
b) Appare opportuno che trustee del trust di cui al punto 8 lettera b), sia la Sig.ra..., sorella del minore..., sia perché essa è legata al fratello da un profondo rapporto affettivo, sia
perché essa prenderà la residenza nell’immobile in oggetto (ciò che è invece impossibile
per il minore..., sia per le sue condizioni di salute sia perché nel Comune di..., luogo di
sua residenza, egli gode di tutta una serie di consolidati servizi pubblici e relazioni umane), in tal modo consentendo il conseguimento delle agevolazioni prima casa in occasio-
154
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
ne dell’acquisto dell’immobile che essa effettuerà come trustee.
c) Per effetto dell’istituzione del trust in oggetto, insomma:
cl - Il minore verserà alla sorella e trustee Sig.ra... la somma necessaria affinché quest’ultima acquisti, appunto come trustee, l’usufrutto dell’immobile de quo;
c2 - 1 ricorrenti, genitori del minore, titolari dell’ulteriore somma necessaria all’acquisto
della nuda proprietà dell’immobile de quo, la verseranno alla sorella e trustee Sig.ra...
affinché quest’ultima acquisti, appunto come trustee, la nuda proprietà dell’immobile
de quo;
c3 - 11 trust in oggetto, come si è detto, avrà quale unico beneficiario di reddito, vita natural durante, il minore;
c4 - La Sig.ra... risulterà quindi intestataria - come trustee del trust - tanto della nuda proprietà quanto dell’usufrutto di tale bene, nel quale sarà residente: il prezzo della piena
proprietà di quest’ultimo, pertanto, sarà complessivamente di curo 605.000 oltre Iva al
4% invece che al 10% (stante, come detto, la spettanza dell’agevolazione prima casa), cioè
pari ad curo 629.200.
10) Si evidenzia altresì fin d’ora che l’acquisto dell’usufrutto da parte del trust istituendo
(come da successivo punto 12, lettere c) e seguenti) avverrà per un prezzo, comprensivo
di Iva al 4%, corrispondente al valore di detto diritto risultante dalla perizia giurata in
atti (all. 4), cioè per curo 483.393,75 (corrispondenti ad curo 464.801,68 oltre Iva al 4% per
curo 18.592,07), ma comporterà per il trust (e dunque per il minore) un esborso di soli
curo 323.393,75, dovendosi da tale prezzo detrarre la caparra di curo 160.000 già versata
dal Dott... come da precedente punto 6 lettera b).
11) Con la stipula dei due contratti preliminari di cui ai punti 6, 7 e 8, pertanto, il Dott...
ha posto le premesse affinché il figlio minore... realizzi quel profittevole investimento
immobiliare di cui si è detto al punto 5.
12) Più precisamente, vi è a questo punto l’opportunità di compiere, nell’interesse del
minore, l’operazione che segue:
a) Disinvestimento delle disponibilità del minore nella misura di curo 140.000. b) Impiego della somma di cui sub a) per l’acquisto della piena proprietà dell’immobile ad uso
ufficio di cui al punto 6 lettera a).
Tale è, infatti, il residuo prezzo da corrispondere, al netto della caparra di curo 40.000
già versata dal Dott..., in relazione a detto immobile (il prezzo pattuito è infatti di curo
150.000 oltre Iva - che per l’immobile ad uso ufficio è del 20% - cioè curo 180.000; cfr ali.
3, clausola 6).
c) Ulteriore disinvestimento delle disponibilità del minore nella misura di curo 323.393,75
(tale è la residua somma necessaria, come si è detto al punto 10, per l’acquisto dell’usufrutto dell’immobile ad uso abitazione di cui al punto 6 lettera b).
d) Istituzione, da parte del minore e dei suoi genitori ricorrenti, di un trust di contenuto
conforme a quello della bozza in atti (all. 6), cioè nel quale (come si è anticipato al punto
9):
dl - l’ufficio di trustee è ricoperto (gratuitamente) dalla Sig.ra...;
d2 - il minore conferisce la somma di cui si è appena detto sub c) - cioè curo 323.393,75
- somma che il trustee dovrà impiegare nell’acquisto, dalla società... s.r.l. dell’usufrutto
dell’immobile ad uso abitazione cui al punto 6 lettera b);
d3 - i genitori del minore ricorrenti conferiscono nel trust la residua somma necessaria
al pagamento del prezzo per l’acquisto, dalla società... s.r.l., del medesimo immobile ad
uso abitazione cui al punto 6 lettera b) (considerato che il prezzo dell’immobile, come si
è visto al punto 9 lettera c, è pari ad curo 629.200, e che da tale prezzo deve detrarsi sia
quanto il Dott... ha già versato a titolo di caparra, cioè curo 160.000 come si è visto al punto 6 lettera b, sia quanto il minore conferisce nel trust, cioè curo 323.393,75, ne discende
che i genitori del minore ricorrenti conferiranno nel trust l’importo di curo 145.806,25);
155
AIAF QUADERNO 2007/2
d4 - l’ufficio di Guardiano è ricoperto (gratuitamente) dai genitori del minore; d5 - il trust
termina (cfr sua clausola 8) alla morte del minore;
d6 - il minore è beneficiario del reddito vita natural durante e titolare dell’ulteriore diritto patrimoniale indicato nella clausola 42 del trust.
13) Un acquisto dell’immobile ad uso ufficio di cui al punto 12 lettere a) e h), comportante
per il minore un esborso di curo 140.000, risulta manifestamente utile per il minore, sia
perché l’immobile de quo ha un valore di mercato pari al ben maggiore importo di curo
281.100 (cfr perizia giurata; ali. 4 alla pag. 8), sia perché detto immobile, ubicato in un
quartiere prestigioso del centro della città, potrà agevolmente ed in modo profittevole
essere locato a terzi.
14) L’istituzione del trust di cui ai punti 8 lettera b), 9 e 12 lettere c) e d), comportante
un conferimento nel medesimo, da parte del minore disponente, di curo 323.393,75 a
fronte dell’acquisto, da parte di costui, della qualifica di beneficiario vita natural durante
dei redditi prodotti dall’immobile ad uso abitazione di cui al punto 6 lettera b) (nonché
dell’ulteriore diritto patrimoniale indicato nella clausola 42 del trust), risulta manifestamente utile per il minore in quanto:
a) Come risulta dalla perizia giurata in atti (ali. 4 pag. 8), il valore dell’usufrutto vitalizio
dell’immobile ad uso abitazione in oggetto è pari ad curo 483.393,75, cioè ad un importo ben maggiore di quello (pari - ripetersi - ad curo 323.393,75) conferito nel trust dal
minore.
Il Dott..., padre del minore, ha infatti già versato (come si è detto al punto 6) una caparra
di curo 160.000.
b) Per le ragioni già esposte al punto 9, l’acquisto potrà godere dell’agevolazione prima
casa.
c) Per effetto dell’istituzione del trust, come risulta dagli artt. 2 e 11 della Convenzione
de I2Aja sulla legge applicabile ai trust e sul loro riconoscimento, ratificata dallo stato
italiano con legge 364/1989 ed entrata in vigore in data 1/1/1992, il bene conferito in
trust (cioè l’immobile ad uso abitazione di cui al punto 6 lettera b) costituirà oggetto di
un patrimonio separato e come tale, in particolare, esso sarà inaggredibile non solo dai
creditori del trustee, ma anche da quelli del beneficiario minore... (che però godrà delle
utilità economiche di detto bene) per tutta la durata della vita di quest’ultimo.
15) Per incides, all’esito delle operazioni di disinvestimento di cui al punto 12 il minore
non solo avrà realizzato profittevoli investimenti immobiliari, ma resterà titolare altresì
di talune disponibilità finanziarie.
Dalle originarie disponibilità di curo 486.400,68 (all. 2), risulteranno infatti impiegati curo
140.000 per l’acquisto dell’immobile ad uso ufficio ed curo 323.393,75 per l’istituzione del
trust concernente l’immobile ad uso abitazione, per così complessivi curo 463.393,75, così
residuando complessivi curo 23.006,93 (cui si devono aggiungere gli importi delle cedole
maturati medio tempore).
A tale ultimo riguardo, i ricorrenti evidenziano che 1’emittendo provvedimento autorizzativo dovrà tener conto:
- dell’impossibilità (per le ragioni che sono ormai di pubblico dominio) di un disinvestimento dello obbligazioni “...” (il cui controvalore attuale ammonta ad curo 18.714,55);
- dell’opportunità che il dossier titoli relativo alle obbligazioni “...” dei minore venga
trasferito dalla Cassa di Risparmio di... (dove trovasi attualmente) alla Banca... (agenzia
di piazza...), istituto presso il quale il Dott..., padre del minore, già ha aperto un dossier
titoli personale contenente proprie obbligazioni “...” (il passaggio del dossier dalla CR...
alla Banca..., pertanto, consentirebbe di risparmiare sulle spese di tenuta dei titoli “...”
del minore, accorpandoli in un unico dossier con quelli del padre);
- del fatto che l’operazione descritta nel presente ricorso comporta per il minore non solo
gli esborsi necessari al pagamento del prezzo dell’immobile uso ufficio (curo 140.000) ed
156
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
al conferimento in trust (curo 323.393,75), ma anche quelli relativi alle varie spese connesse (ad esempio, quelle notarili).
In tale ottica, pertanto, i ricorrenti chiedono che 1’emittendo provvedimento autorizzi il
disinvestimento dei titoli (con esclusione delle obbligazioni “...”, da trasferirsi presso la
su indicata agenzia di Banca...) ed il prelievo di importi dal
fino a concorrenza almeno dell’importo di curo 470.000
16) Per incides, la partecipazione di minori ad atti istitutivi di trust è già stata ritenuta
ammissibile ed autorizzata in giurisprudenza (cfr Trib. Perugia - Ufficio del Giudice Tutelare 16/4/2002; ali. 7). 17) Si segnala altresì l’urgenza nel provvedere, considerato che i
termini per la stipula dei contratti definitivi di vendita scadono il 30/4/2004 e che l’operazione autorizzanda è di una certa complessità.
Da tale urgenza discende altresì l’opportunità di munire il provvedimento dell’immediata efficacia.
Tanto premesso, gli esponenti
RICORRONO
All’Ill.mo Sig. Giudice Tutelare ex art. 320 terzo comma cc, affinché lo stesso si compiaccia, con provvedimento immediatamente esecutivo vista l’urgenza, di autorizzare i
ricorrenti, in nome e per conto del minore:
1) al disinvesimento dei seguenti importi:
A) di curo 140.000 per l’acquisto dell’immobile ad uso ufficio di cui al preliminare ali. 3
al presente ricorso;
B) di curo 323.393,75 per l’istituzione del trust concernente l’immobile ad uso abitazione
di cui al preliminare ali. 5 al presente ricorso, in conformità alla bozza di atto istitutivo
di cui all’allegato 7 al presente ricorso, a condizione che, contestualmente all’istituzione
di detto trust, i genitori del minore a propria volta conferiscano nel medesimo trust la
somma residua necessaria al pagamento del prezzo di tale immobile (cioè una somma
non inferiore ad curo 145.806,25);
C) di una somma ulteriore rispetto a quelle sub A) e sub B), atta a coprire le spese connesse a dette operazioni (somma che i ricorrenti indicano in almeno curo 7.000);
2) ad accettare la qualità di beneficiario del trust in oggetto ed i connessi diritti.
3) a trasferire il dossier titoli relativo alle obbligazioni “...” dalla Cassa di Risparmio di...
alla Banca..., agenzia di piazza... onde consentire al minore, per le ragioni esposte, un
risparmio sulle spese di tenuta di detto dossier.
Con indicazione, quanto ai provvedimenti sub 1), delle modalità di disinvestimento.
Si allegano: 1) documentazione medica; 2) resoconto CR...; 3) preliminare di vendita
21/11/2003 relativo all’immobile uso ufficio; 4) perizia giurata di stima; 5) preliminare
di vendita 21/11/2003 relativo all’immobile uso abitazione; 6) bozza dell’atto istitutivo
del trust; 7) decisione del Trib. Perugia - Ufficio del Giudice Tutelare 16/4/2002. Firenze,
7/4/2004 Avv. Saverio Bartoli
IL GIUDICE TUTELARE
Visto, si autorizza. Efficacia immediata.
Firenze, 8 aprile 2004
157
AIAF QUADERNO 2007/2
TRIBUNALE BOLOGNA, GIUDICE TUTELARE,
DECRETO 3.12.03
in Trusts e attività fiduciarie, “Istituzione di legato a favore di minorenne e trust”,
Aprile 2004, p. 254 e ss.
IL GIUDICE TUTELARE
Letto il ricorso depositato in data 29/10/03 da B. C. A. e C. I. esercenti la potestà sul minore B. V. nato a Bologna il...; esaminati i documenti allegati;
ritenuto conveniente per il minore accettare il legato,
visto l’art. 320 C.C.
AUTORIZZA
Gli istanti, nella predetta qualità, ad accettare in nome e per conto del minore suddetto
il legato indicato nel ricorso, da intendersi qui integralmente trascritto, come da disposizioni testamentarie del defunto B. F.
Pone il tutto sotto la personale esclusiva responsabilità dei ricorrenti; con esonero di ogni
altro soggetto al riguardo.
Quanto poi alla istanza diretta alla costituzione di un trust a mezzo dell’esecutore testamentario nominato, osserva questo Giudice Tutelare che l’istituto di recente istituzione
nel nostro ordinamento si configura come un beneficio per il minore destinatario del
legato. Deve evidenziarsi, infatti, la c. d. segregazione dei beni (oggetto del legato) e la
loro intestazione al trustee (nel caso di specie l’esecutore testamentario), elementi questi
indispensabili perché si possa parlare dell’istituto in questione, rappresentano una ulteriore garanzia per il minore affinché i beni oggetto del legato gli vengano consegnati al
raggiungimento della maggiore età. L’assenza poi di qualsiasi obbligo per il beneficiario
del lascito comporta la superfluità di una specifica valutazione in ordine al vantaggio che
consegue al minore, ad opera di questo Giudice. - Il minore, infatti, vedrà i propri beni
protetti, se pure gestiti dal trustee, il quale dovrà gestirli nel suo interesse, né stante la
caratteristica dell’istituto, vi è timore che vi possa essere confusione tra il patrimonio del
trustee e i beni conferiti nel trust.
Si rende, invece, necessario che la costituzione del trust sia espressamente autorizzata da
questo Giudice Tutelare poiché i beni (oggetto del legato) andranno trasferiti al trust con
un atto dispositivo ad opera non già del minore, che non ne ha la capacità giuridica, ma
di coloro che esercitano la potestà genitoriale.
I1 patrimonio segregato andrà gestito dal trustee, tramite il trust cui devono esser trasferiti i beni dei genitori esercenti la potestà sul minore.
Non vi è, infatti, la copia del testamento in atti e non può, in assenza di una specifica disposizione, che non viene menzionata nel ricorso, ritenersi che il de cuius, con la nomina
dell’esecutore testamentario intendesse che lo stesso si adoperasse per la costituzione del
trust, ma solamente che eseguisse le sue volontà espresse.
I beni, pertanto, andranno dall’esecutore testamentario consegnati ai genitori che vengono autorizzati a disporne costituendo un trust limitato nel tempo sino al conseguimento
della maggiore età del minore B. V
P.Q.M.
Autorizza i signori C. l. e B. C. A. alla costituzione di un trust, di cui diverrà trustee il dr.
Antonello Montanari, esecutore testamentario del defunto prof. F. B., al fine di garantire
la conservazione dei beni oggetto del legato in favore del loro figlio minore V. B. nato a
Bologna il... sino al raggiungimento della maggiore età dello stesso.
Dispone l’immediata efficacia del presente decreto ex art. 741 C. P. C.
158
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
TRIBUNALE PERUGIA, GIUDICE TUTELARE,
DECRETO 16.4.02
in Trusts e attività fiduciarie, “Adesione di una minorenne al trust delle sorelle”, Ottobre 2002, p. 584 e ss
La signora..., nata a... il... e residente in..., in qualità di genitore esercente la potestà sulla figlia minore..., nata a..., e residente in...; rappresentata e difesa dall’Avv. Francesco
Depretis e presso lo stesso elettivamente domiciliata in Perugia, Via Baldeschi n. 2 in
forza di procura speciale a margine del presente atto;
premesso:
- che l’istante è coniuge legalmente separata di..., nato a Perugia il... e residente a...;
- che i coniugi hanno convenuto la separazione consensuale, omologata dal Tribunale
di Perugia con decreto in data..., stabilendo l’affidamento delle figlie..., ... (queste due
oggi maggiorenni) ed... alla madre (cfr. ricorso per separazione personale, verbale di
comparizione dei coniugi dinanzi al Presidente del Tribunale, decreto di omologazione: doc. l);
- che l’istante è Trustee del Trust... istituito con atto autenticato nelle sottoscrizioni dal
Notaio Risso di Genova in data 27.11.2001 Rep.n.16.299, registrato a Genova, Agenzia
delle Entrate Ufficio di Genova 1, il 29.11.2001 al N.1766 (doc.2).
Disponenti e beneficiarie (sia delle rendite che della destinazione finale dei beni) sono...
ed..., le quali nell’atto istitutivo hanno espresso l’auspicio che la sorella minore... si unisca a loro, quale disponente e beneficiaria, con atto di adesione al Trust.
Scopo del Trust è quello di costituire un patrimonio nel comune interesse, gestito in
maniera unitaria, così da prevenire conflitti familiari e al termine assicurare a ciascun
beneficiario una unità immobiliare in piena ed esclusiva proprietà;
- che il Trust... è proprietario e intestatario di titoli per un valore di €... (cfr. estratti
CREDEM: doc.3-4); inoltre è proprietario e intestatario di n. 39.600 quote da L. 1.000
ciascuna, pari complessivamente al 99% del capitale sociale della società..., avente sede
nel Comune di..., proprietaria di un complesso immobiliare residenziale nel Comune
di..., costituito da villa con terreno annesso, e di un appartamento con garage in... (cfr.
certificato catastale: doc.6);
- che è aspirazione della minore..., ormai sedicenne, aderire al Trust..., unendosi alle
sorelle per la realizzazione dello scopo del Trust;
- che per la realizzazione di detto scopo è necessario dotare il Trust di un patrimonio e
di mezzi adeguati, accrescendo quelli di cui è già titolare;
- che le sorelle..., sono comproprietarie per quote uguali di una porzione di fabbricato
con garage e fondo in..., distinta al Catasto Fabbricati al Foglio...
Le medesime sono inoltre comproprietarie, sempre per quote uguali, di un appartamento di civile abitazione sito in..., distinto al NCEU al foglio...;
- che è intendimento di... ed... ed aspirazione di... vendere gli immobili di... ed ottenere
che siano inclusi nei beni in Trust il ricavato della vendita e la proprietà dell’appartamento di...;
- che appare inoltre conveniente per la minore... vendere la propria quota di 1/3 della
proprietà dell’appartamento di... al Trustee affinché venga inclusa tra i beni in Trust;
- che il Trustee condivide questo programma, in quanto necessario alla realizzazione
dello scopo del Trust, che si estenderebbe alla minore... per effetto della sua adesione
al Trust;
- che l’istante, quale genitore esercente la potestà, ritiene all’evidenza utile l’adesione
della figlia minore... al Trust ed il trasferimento allo stesso della quota di prezzo della
159
AIAF QUADERNO 2007/2
vendita degli immobili di... e della quota di comproprietà dell’appartamento di...
Ed infatti, per tale via la minore diverrebbe beneficiaria, delle rendite, del godimento e
della destinazione finale dei beni già in Trust ed inoltre dei beni che il Trust acquisterà,
conseguendo una condizione patrimoniale nettamente superiore a quella attuale (costituita dalla quota di 1/3 dei due appartamenti di... e dalla quota di 1/3 dell’appartamento di...); per altro verso la mancata partecipazione al Trust penalizzerebbe fortemente la
minore... rispetto alle sorelle, considerata l’entità del patrimonio del Trust;
- che per quanto concerne i beni che i1 Trust acquisterà l’istante ha in corso trattative,
attualmente in fase avanzata di definizione, per l’acquisto di un grande fabbricato in
Perugia, che comprende più unità abitative delle quali una sarà destinata al godimento
della minore mediante costituzione di usufrutto a favore della stessa per tutta 1a durata della sua vita.
L’usufrutto sarà costituito sul seguente immobile:
porzione di fabbricato da cielo a terra in..., con corte adiacente, distinto al catasto
fabbricati al foglio...; il cui giusto valore è stimato, quanto alla piena proprietà, in €
413.165,22 (cfr. perizia giurata Geom. Cesaretti: doc.9/bis);
- che il giusto valore degli immobili di... di cui la minore è comproprietaria per 1/3 risulta
dalla perizia giurata redatta dal Geom. Romolo Cesaretti di Petrignano di Assisi in data
14 marzo 2002 (doc.10).
La perizia determina il valore degli immobili, con riferimento alla quota intera, in complessivi € 88.400,00 all’attualità;
- che il giusto valore della quota di comproprietà pari ad 1/3 dell’appartamento di... di
cui è titolare la minore può essere stimato, con riferimento alla rendita catastale, in €
25.000,00;
- che il Trustee impiegherà la quota di prezzo che sarà ricavato dalla vendita degli immobili di Ponte San Giovanni e della quota di comproprietà dell’appartamento di..., di
spettanza della minore, per la realizzazione del programma edilizio sopra indicato e
per l’acquisto del diritto di usufrutto in capo alla minore sull’immobile sopra indicato,
mentre regolerà l’uso dell’appartamento di... tra le tre figlie; il tutto rendendo conto al
Giudice Tutelare relativamente alla quota della figlia minore... e fino al raggiungimento
della maggiore età da parte della stessa;
- che per l’acquisto dell’usufrutto esiste conflitto di interessi per l’istante e si chiede che
sia nominata quale curatore speciale...;
- tanto premesso, l’istante
RICORRE
all’Ill.mo sig. Giudice Tutelare presso il Tribunale di Perugia e
chiede
che voglia con decreto avente efficacia immediata:
a) autorizzare l’istante a stipulare, in nome e per conto della figlia minore..., l’atto di adesione al Trust... nella qualità di disponente e beneficiaria delle rendite, del godimento e
della destinazione finale dei beni in Trust;
b) autorizzare l’istante a stipulare, in nome e per conto della figlia minore..., l’atto o gli atti
di vendita degli immobili di..., per prezzi non inferiori al valore risultante dalla perizia
giurata di stima, e l’atto di vendita della quota di 1/3 di comproprietà dell’appartamento
di..., di cui è titolare la minore, per un prezzo non inferiore ad € 25.000,00, con facoltà di
riscuotere e quietanzare la relativa quota di prezzo o dei prezzi spettante alla minore e
di trasferire al Trustee la suddetta quota di prezzo o dei prezzi di vendita affinché venga
inclusa tra i beni in Trust;
c) autorizzare il nominando curatore speciale a stipulare, in nome e per conto della minore..., l’atto di acquisto del diritto di usufrutto per tutta la durata della vita della minore
stessa sul fabbricato sito in... meglio descritto nelle premesse, e con impiego, per il pa-
160
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
gamento del prezzo, dei mezzi del Trust, per il prezzo da determinarsi sulla base della
perizia di stima;
d) con obbligo per l’istante di rendere conto al Giudice Tutelare degli impieghi del ricavato dalla vendita o dalle vendite, per la quota spettante alla minore, e dell’uso dell’appartamento di..., fino al raggiungimento della maggiore età da parte della minore.
Con osservanza.
Si allegano i documenti indicati nell’atto.
Perugia, 10.04.2002
M. C. C.
IL GIUDICE TUTELARE,
letta l’istanza ed esaminata la documentazione acquisita ed esibita, rilevata l’utilità evidente dell’operazione prospettata nel suo complesso, autorizza quanto sopra richiesto ai
punti a) b) e c) con efficacia immediata alle seguenti condizioni e precisazioni:
1) in merito alla vendita di cui alla lettera b) il tutto dovrà avvenire per un prezzo (relativamente alla quota parte della minore) non inferiore a quello di perizia;
2) in merito all’acquisto dell’usufrutto di cui alla lettera c) per un prezzo non superiore a
quello di perizia, valore massimo sul quale dovrà essere calcolato il relativo coefficiente
di usufrutto;
3) sempre in merito al punto c), rilevato il conflitto di interessi indicato in ricorso, per il
compimento degli atti richiesti e conseguenti si nomina curatore speciale della minore la
signora... nata a... il... che viene espressamente autorizzata ad intervenire e sottoscrivere
i relativi atti notarili;
4) per tutte le somme di denaro che dovessero residuare e che verranno pertanto immesse nel trust, pone obbligo alla sig.ra M. C. C. di rendicontare costantemente questo Giudice con la precisazione che qualora il trustee intendesse utilizzare dette somme dovrà
richiederne a questo Giudice espressa autorizzazione in tal senso.
Il presente decreto è immediatamente efficace con esonero dei Conservatori Immobiliari
competenti da ogni responsabilità al riguardo.
TRIBUNALE BOLOGNA,
DECRETO 8.4.2000
in Trust ed attività fiduciarie, n. 3/2000.
La disposizione con cui il testatore dichiara di lasciare in eredità al fiduciario, in proprietà assoluta, ogni suo avere, ma a beneficio della figlia, va interpretata non come una
sostituzione fedecommissaria, ma come disposizione istitutiva di trust; la lesione delle
aspettative del legittimario non determina la nullità del trust, ma la possibilità riapplicare le disposizioni di diritto interno strumentali alla reintegrazione della quota riservata
ai legittimari.
161
AIAF QUADERNO 2007/2
C) RICONOSCIMENTO ED EFFETTI DEL TRUST.
TRIBUNALE TRIESTE, UFFICIO DEL GIUDICE TAVOLARE,
DECRETO 19.9.2007
Riconoscimento di trust per soddisfare le esigenze attuali e future di una coppia non
legata da vincolo matrimoniale, e dei figli, comuni e non.
Il giudice tavolare, letta la domanda proposta dagli Avvocati … per conto di …, quale
trustee del …, visti gli atti ed esaminata la documentazione, osserva quanto segue.
Doveroso appare il rinvio al proprio provvedimento dd. 23.9.2005, sub g.n. 10804/05,
quanto alla indicazione delle linee generali di orientamento dell’Ufficio in tema di compatibilità astratta del trust con l’ordinamento civile, ed in particolare con quello tavolare.
Muovendo quindi nel solco di quel provvedimento, e dando per risolti tutta una serie
di problemi che, a giudizio dello scrivente, sono stati ampiamente superati dal diritto
vivente, occorrerà:
a. qualificare la tipologia di trust concretamente adottata, al fine di apprezzarne il programma negoziale secondo il combinato disposto degli artt. 11 e 13 della Convenzione de
L’Aja del 1.7.1985, che consente al giudice di vagliare la compatibilità del trust e degli atti
collegati (nonché della legge straniera prescelta dalle parti) con l’ordinamento giuridico
italiano;
b. effettuare il giudizio di meritevolezza, nei suoi ristretti confini e nel rispetto dell’autonomia contrattuale, approcciando al negozio presumendone la legittimità fino a prova
contraria, essendo lo stesso espressione di libertà di iniziativa economica;
c. verificare se l’atto istitutivo del trust o quelli ad esso geneticamente o funzionalmente
collegati contengano pattuizioni che violino norme inderogabili specifiche o principi precettivi dell’ordinamento italiano o di quello estero prescelto dalle parti.
Oltre a queste linee di indagine occorrerà infine, a seguito dell’innovazione normativa
di cui all’art. 2645 ter cod. civ., confrontarsi con la nuova – presunta - figura degli atti di
destinazione, per verificare se ed in che modo operi una relazione tra i due istituti.
Ciò posto, si premette come, nel dichiarato intento di superare alcune riconosciute omissioni, ed in quello verosimile di colmare le lacune presenti negli atti già predisposti e
conservati presso l’ufficio tavolare dopo il rigetto sub g.n. 3996/06, alla domanda tavolare
è stata di fatto assegnata una funzione di auspicata eterointegrazione dei negozi stessi, avendo i ricorrenti operato una descrizione delle finalità del programma negoziale
prescelto; ciò ovviamente non è ammissibile, dovendo gli atti essere da sé soli idonei al
raggiungimento degli scopi: non di meno il ricorso tavolare può fungere da utile riferimento ermeneutico.
Si procede quindi nell’ordine elencato.
Qualificazione della tipologia di trust concretamente adottata.
Fino a quando del trust non verrà data disciplina sotto il profilo civilistico, ma si continuerà solo a presupporre la sua esistenza con norme di settore o ambito limitato (ad
esempio, tributarie), il trust stesso rimarrà un negozio atipico. Le considerazioni sulla
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PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
natura delle norme della convenzione de L’Aja del 1.7.1985, la tipizzazione effettuata
da altri ordinamenti, nonché il rinvio a tali realtà da parte di quello italiano, lungi dal
conferire tipicità al trust rappresentano, nondimeno, tappe del percorso logico giuridico
che deve compiere l’interprete per dare sistemazione e copertura a vicende economiche
che, nel rispetto del principio di completezza dell’ordinamento giuridico, devono trovare
comunque regolamentazione.
Per apprezzare allora il programma negoziale e vagliare la compatibilità del trust e degli
atti collegati (nonché della legge straniera prescelta dalle parti) con l’ordinamento giuridico italiano, occorre guardare con attenzione all’assetto di interessi delle parti stipulanti:
l’accesso alla causa è del resto tipico del giudizio tavolare, come altrove si è sostenuto e
come è pacifico in dottrina. Ovviamente, trattandosi di fattispecie atipica, l’accezione di
causa non può essere quella statica e tradizionale della cd. teoria oggettiva, formalmente
accolta dal codice del 1942, svincolata dagli scopi delle parti, quella cioè di “funzione
economico-sociale del negozio riconosciuta rilevante dall’ordinamento ai fini di giustificare la tutela dell’autonomia privata” (così nella relazione del guardasigilli al re).
Essa può e deve essere oggi particolarmente apprezzata, ed al riguardo soccorrono le
esemplari considerazioni della recente giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione (Sent. n. 10490 del 2006), che l’elemento negoziale ha definito quale “sintesi degli
interessi reali che il contratto stesso è diretto a realizzare (al di là del modello, anche tipico, adoperato). Sintesi (e dunque ragione concreta) della dinamica contrattuale, si badi,
e non anche della volontà delle parti. Causa, dunque, ancora iscritta nell’orbita della
dimensione funzionale dell’atto, ma, questa volta, funzione individuale del singolo, specifico contratto posto in essere, a prescindere dal relativo stereotipo astratto, seguendo
un iter evolutivo del concetto di funzione economico-sociale del negozio che, muovendo
dalla cristallizzazione normativa dei vari tipi contrattuali, si volga alfine a cogliere l’uso
che di ciascuno di essi hanno inteso compiere i contraenti adottando quella determinata,
specifica (a suo modo unica) convenzione negoziale”.
L’indagine sulla causa del trust rischierebbe però di essere compromessa in partenza, se
si rimanesse inviluppati tra il tentativo inutile di individuare una causa tipica, e quello
illegittimo di sostituire con i motivi la funzione del negozio. In altri termini: non esiste
la causa di trust direttamente ed immediatamente rilevante per l’ordinamento giuridico
italiano, e non esisterà fin quando essa non sarà normativamente prevista, ma esistono
solo l’effetto di segregazione e gli altri elementi che caratterizzano usualmente o necessariamente il trust in altri ordinamenti.
Tali elementi immancabili sono, secondo la miglior dottrina, il trasferimento del diritto
al trustee o la dichiarazione unilaterale di trust; la segregazione, appunto; l’affidamento;
l’esistenza di beneficiari o di uno scopo, con conseguente funzionalizzazione del diritto
trasferito al trustee; l’esistenza di un rapporto fiduciario in virtù del quale risolvere profili di conflitto di interesse.
Partendo da qui, e rammentando che l’atipicità del negozio non impone sempre un affanno qualificatorio, si conferma la precedente opinione di questo giudice secondo cui
l’interprete potrà fermarsi alla mera individuazione, all’interno del negozio atipico, dei
suoi parametri generali (id est: indagare la sua efficacia obbligatoria o traslativa, la natura corrispettiva o unilaterale o gratuita, l’aleatorietà o commutatività, e così oltre), per
poi verificare il suo funzionamento in base alle regole normative di riferimento, anche se
straniere, o adattare al caso di specie le regole generali dell’ordinamento interno, ovvero
quelle che, essendo comuni alle figure negoziali maggiormente similari a quella atipica,
vengono a rappresentarne impronte caratterizzanti. Non occorrerà quindi una perfetta
sincronia strutturale o effettuale con i negozi tipici, ma sarà sufficiente la mera possibilità
di condurre il negozio atipico a categorie – anche solo effettuali - apprezzate dall’ordina-
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AIAF QUADERNO 2007/2
mento. Si rammenterà, del resto, che la Suprema Corte di Cassazione abbia ammesso la
configurabilità di negozi traslativi atipici, purché sorretti da causa lecita, fondandola sul
principio dell’autonomia contrattuale di cui all’art. 1322 comma 2 cod. civ. (Cass., sez. 3,
sent. 9.10.1991 n. 10612).
b. Il giudizio di meritevolezza.
Il discorso sulla ricerca della causa viene a questo punto a fondersi con l’apprezzamento
degli interessi perseguiti. È già stata espressa in altra sede la convinzione della dottrina assolutamente dominante sul tema della meritevolezza di interessi, e molto è stato
scritto su questo dimenticato, frainteso e spesso travisato concetto: ciò anche di recente,
a commento dell’art. 2645 ter cod. civ.. È qui solo il caso di rammentare come l’art. 1322,
co. 2, cod. civ., una volta scomparso il regime e l’ideologia che lo avevano fortemente
voluto nel codice sostanziale, non costituisca più una pseudo-clausola generale, che «si
presterebbe a meraviglia a mettere i contraenti a discrezione del giudice, il quale potrebbe togliere valore ad ogni contratto valido, col pretesto che il suo fine non è socialmente
apprezzabile»: si rinvia al provvedimento già citato per le considerazioni di supporto.
Invece il concetto al quale si rimane fedeli, e che viene ad integrare le considerazioni
di cui al punto a. sulla causa, è quello di meritevolezza come giudizio di verifica del
programma negoziale, volto ad analizzare se i suoi effetti siano rapportabili a quelli
previsti a livello categoriale dall’ordinamento giuridico, oppure se si perseguano ulteriori obiettivi non altrimenti raggiungibili con gli strumenti ordinari: in questo caso
si avrà un negozio atipico, meritevole di tutela sempre che la sua causa non sia illecita;
altrimenti si rimarrà all’interno del fenomeno del negozio misto, del collegamento negoziale, della frantumazione e ricomposizione negoziale, dove il giudizio di meritevolezza
è già stato in astratto compiuto dal legislatore.
Poste queste due premesse, si muove all’analisi della fattispecie concreta, e quindi in
primo luogo dell’atto istitutivo del trust.
Non essendo possibile riportare i 44 articoli, e le sottovoci, che compongono il complesso atto, si considerano qui di seguito quelli maggiormente caratterizzanti, al fine della
qualificazione dell’operazione negoziale: la sensazione è che si tratti tuttavia di opera di
difficile attuazione, in considerazione della scarsa linearità del programma negoziale.
Questi quindi i principali punti:
al punto 5 della premessa i disponenti esprimono la loro volontà di creare un patrimonio separato, in analogia con il fondo patrimoniale, per soddisfare le esigenze attuali
e future di entrambi; il riferimento ai figli – comuni e non - della coppia, non legata
da vincolo matrimoniale, viene alla luce solo al punto 4, in sede di individuazione dei
beneficiari del trust, in relazione sia al reddito che alla destinazione finale dei beni;
- al punto 11, nella parte III dell’atto su “i beneficiari” si prevede che le disposizioni in
favore dei beneficiari sono oggetto di “Protective Trust” secondo la legge regolatrice del
Trust (Trustee Act, 1925, sect. 33), ed i relativi diritti sono indisponibili e vengono meno
sia in caso di disposizione, qualora il titolare sia dichiarato fallito o se su di esso si compiano atti conservativi o di esecuzione;
al punto 19 si dispone che il trustee – sulla cui figura si tornerà – abbia tutti i poteri in
ordine ai beni in trust ad eccezione di quelli di disporre di beni immobili o partecipazioni
societarie, di costituire garanzie reali, di stipulare contratti che attribuiscano il godimento di beni in trust (salvo che a favore dei beneficiari);
al punto 27.3. si prevederebbe che il trustee sia revocabile solo in forza d’atto congiunto
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PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
tra il guardiano ed i disponenti: ma si tratta di disposizione da leggere congiuntamente con il negozio collegato costitutivo della società semplice che funge da trustee:
essa è di totale e paritaria partecipazione dei due disponenti, e vi è preposto un socio
d’opera, revocabile in qualsiasi momento (art. 7.3. del contratto costitutivo di società
semplice, “il socio d’opera può essere escluso su richiesta anche di un solo socio di capitale”): escludere il socio d’opera determinerebbe che la società semplice rimarrebbe
trustee, ma i disponenti ed i beneficiari del trust sarebbero al tempo stesso i suoi unici
soci e rappresentanti, e quindi coloro che formano anche formalmente la volontà del
trustee;
al punto 35.1. si statuisce che il reddito del trust, assolto ogni costo, è “a discrezione del
trustee, sentito il guardiano, accumulato nel trust o distribuito ai beneficiari o parte
accumulato e parte distribuito: in caso di distribuzione spetta al trustee decidere discrezionalmente a vantaggio di quale beneficiario”. In relazione di subordinazione logica sta
la successiva previsione di cui all’art. 36.1. in base alla quale, “ove il trustee accerti” (ma
rimane ovviamente libero discrezionalmente di farlo in base al disposto che precede)
“che qualcuno fra i beneficiari abbia necessità di somministrazione di mezzi finanziari per ragioni di studio, malattia o di sopravvenute difficoltà nella vita ordinaria,
egli è tenuto ad impiegare il reddito del trust, corrente o previamente accumulato, per
devolvergli o impiegare direttamente le somme di denaro necessarie”;
ai punti 38.1. e 38.2. si disciplina il godimento di beni immobili da parte dei beneficiari
e il possibile riassetto di eventuali sperequazioni fra gli stessi beneficiari in relazione a
tale godimento;
- ai punti 39. e seguenti si legge della disciplina per la destinazione finale dei beni in trust,
nella quale, tuttavia, si dà per scontato che i beni debbano essere frazionati in quote, nel
mentre alla cessazione della destinazione è ovvio e naturale che i beni tornino ai disponenti, a meno che non si sia verificato un fenomeno successorio;
al punto 44.1. si stabilisce che qualora una o più clausole dell’atto siano invalide esse
devono esse sostituite con altre valide, conformi alla legge applicabile e non in contrasto
con il riconoscimento da parte della legge italiana, che ottengano gli effetti il più possibile
simili a quelli delle clausole invalide, evitando di travolgere la validità dell’atto stesso;
al punto 44.2., come extrema ratio, si rinviene che, qualora non fosse ritenuto legittimo
il trust, esso dovrà essere riconosciuto come società semplice di fatto tra trustee e guardiano, ambedue soci d’opera (con le particolarità sopra viste), ed i beni in trust saranno
beni della società.
Da questo sommario esame possono essere tratte le prime conseguenze.
Malgrado l’espressa definizione operata dalle parti, quello in questione non è un Protective Trust, e la clausola sub 11 è illegittima, in quanto viola il principio di ordine
pubblico, proprio del diritto inglese regolatore dell’atto, che vieta che il beneficiario
sia la stessa persona del disponente: nell’atto si prevede che i disponenti siano i primi
beneficiari del reddito e, salvo in caso di morte, gli esclusivi beneficiari dei beni. Ma
in via logicamente prioritaria osta al riconoscimento di un Protective Trust la circostanza
che sussiste piena ed incontrollabile discrezionalità del trustee nella distribuzione dei
redditi derivanti dal trust, sia quanto all’an che al quomodo, come desumibile dalla lettura del punto 35.1. dell’atto istitutivo.
In considerazione del fatto che le parti disponenti hanno voluto istituire come trustee
una società semplice, di cui loro stessi sono esclusivi e paritari soci di capitale ed
un terzo soggetto è socio d’opera, e poiché lo schermo della società semplice sembra
molto fragile, conviene quindi, in un’ottica conservativa del negozio non estranea alla
volontà dei disponenti, eliminare la clausola e verificare cosa resta di questo trust.
Visto nella nuova dimensione, e nella generica connotazione voluta dalle parti ed ul-
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AIAF QUADERNO 2007/2
teriormente illustrata nel ricorso tavolare, sembrerebbe potersi invocare la figura dei
Family Trusts, ma anche - per lo meno quanto alla distribuzione del reddito - quella dei
Discretionary Trusts, attesa la piena discrezionalità del trustee sul se ed a chi distribuire
reddito; invece, quanto alla ripartizione finale, sembra che di discrezionalità non ve ne
sia in concreto, atteso che l’unico bene al momento affidato al trustee (oltre alla dotazione
di € 100,00) è l’immobile di cui si dirà, e che esso andrà ai disponenti (o al disponente
che l’ha conferito, non essendo chiara la clausola). Per altro verso, la previsione di cui al
punto 38.2. sulla possibilità di concessione in godimento di beni immobili a vantaggio
dei beneficiari, sembra evocare quelle particolari categorie di trusts in cui si attribuiscono
diritti diversi da rendite o beni capitali. Una considerazione che pure si potrebbe trarre in
base ad un’analisi complessiva delle clausole dell’atto istitutivo, tenendo in debito conto
la qualità di tutti i soggetti coinvolti nella vicenda, è che in realtà si potrebbe essere al
cospetto di un trust di protezione patrimoniale, connotato ad colorandum da finalità
di protezione familiare: uno di quei trust, insomma, in cui il disponente crea una situazione in cui “having the cake and eating too”, ove sostanzialmente difetta qualsiasi
affidamento del diritto al trustee.
Ferma però la convinzione che fino a prova contraria il trust deve stimarsi lecito, e riservata ad altra ed eventuale indagine di diverso giudice la questione di una possibile
simulazione o illegittimità di causa, o quella di una violazione dei diritti dei creditori a
cagione di un atto di dotazione in frode agli stessi, non rimane che qualificare l’operazione compiuta, nei limiti sopra esposti.
Il fine dichiarato dai disponenti è quello di “soddisfare le esigenze attuali e future di
entrambi”, con eventuale distribuzione dei redditi ai beneficiari, con futura ripartizione
dei beni alla cessazione del trust, e con obbligo del trustee di somministrare “mezzi finanziari per ragioni di studio, malattia o di sopravvenute difficoltà nella vita ordinaria”
ai beneficiari che ne abbiano necessità.
Potrebbe quindi ritenersi legittima una qualificazione del negozio come Family Trust,
ancorché manchi qualsiasi considerazione in ordine all’intento delle parti disponenti di
mantenere una unitarietà dei beni all’interno della famiglia nucleare; sono poi dettate disposizioni contrastanti e poco comprensibili in merito al riparto finale dei beni, stante la
difformità dei punti 4.2. e ss. e di quelli 39. e ss.; non è chiaro come debbano essere ripartiti i beni apportati da un singolo disponente (come nel caso dell’immobile qui conferito),
né appaiono nitide le regole di distribuzione, la cui unica linea ispiratrice appare l’assoluta discrezionalità del trustee; inoltre manca qualsiasi apporto in ordine all’individuazione della disciplina dell’amministrazione dei beni, dichiaratamente destinati al soddisfacimento di interessi anche di minorenni: il ruolo del guardiano non potrà che essere
di secondo piano, in quanto istituzionalmente dovranno essere fatte salve le prerogative
del giudice tutelare. Infine nessun indice ermeneutico a vantaggio della qualificazione di
questo come di un Family Trust può trarsi dalla scelta del trustee, non trattandosi di un
soggetto dotato di particolari attitudini che lascino intendere, ad esempio, una selezione
da parte dei disponenti attuata sulla base delle capacità professionali o morali di amministrare beni o interessi per il raggiungimento dei fini preposti.
Quello adottato – quindi - si avvicina molto ad uno schema individuato dalla dottrina nell’analisi pratica degli Asset Protection Trust che abbiano ad oggetto immobili,
come tali non trasferibili off-shore: anche nel caso in esame – come in quelli usualmente commentati con sfavore dalla dottrina ed oggetto di esame giudiziario - è stata
seguita la traccia della costituzione di una società alla quale conferire i beni di cui i
disponenti si sono intesi spogliare, con nomina del fiduciario quale amministratore
unico, ma con possesso completo del capitale o delle quote da parte del disponente,
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PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
così da esercitare un controllo completo sul bene pur non figurandone direttamente trustee. Ciò è quanto successo, se si analizza il contratto costitutivo della società
semplice, alla quale è espressamente inibito lo svolgimento di attività d’impresa, ed
il cui oggetto sociale appare essere il possesso e la gestione di beni mobili, immobili e
partecipazioni o quote o di altri strumenti finanziari, sia in proprio che quale trustee.
Soci di capitale sono i soli disponenti, nel mentre un terzo viene indicato come socio
d’opera e come gestore e rappresentante della società nei confronti dei terzi: egli può
essere escluso su richiesta anche di uno solo dei soci di capitale. In caso di aggressione
del capitale sociale da parte dei creditori, viene mantenuto il potere di voto in capo al
socio, diventato socio d’opera; sono poi previste ipotesi di accrescimento per casi come
la morte del socio o lo scioglimento del rapporto sociale. I patti sociali possono essere
modificati a maggioranza dei soci di capitali (disposizione inattuabile). Con espressa
pattuizione si prevede che la società semplice non potrà mai essere considerata comunione di godimento, ma al più società in nome collettivo irregolare.
La società semplice trustee, indubbiamente dotata di soggettività giuridica, è in completo controllo dei suoi soci di capitale, i quali formalmente hanno concesso un potere di
rappresentanza pieno ed indiscutibile: di fatto però sono titolari anche in via disgiunta
del potere di revocarlo. Si potrebbe in concreto intuire una dipendenza della società trustee da quei soggetti che fisicamente sono al tempo stesso i disponenti del bene in trust,
i suoi primi beneficiari di rendite e dei beni stessi, nonché i soli soci di capitale della
società in questione.
Ma i limiti dell’indagine non potrebbero consentire, in difetto dell’interesse di un controinteressato, di spingersi oltre nell’analisi; e ciò anche sulla base di un ulteriore argomento, di carattere forse più suggestivo che ermeneutico: i disponenti avrebbero potuto
infatti seguire la strada, più diretta ma al tempo stesso meno accattivante, del trust autodichiarato, senza dare adito a tanti dubbi sulla loro reale volontà.
Gli stessi ristretti limiti di analisi consentono di censurare come meramente irrilevante
la clausola flee (o anche conosciuta come flight) di cui all’art. 8.2. che consentirebbe una
migrazione del trust verso leggi straniere regolatrici che, in prosieguo, si mostrassero più
consone all’utilità dei beneficiari: più propriamente il fenomeno riguarda lo spostamento
materiale del trust ma, trattandosi di trust fondamentalmente destinato a ricevere in dotazione beni immobili, lo stesso effetto speravano di ottenere gli stipulanti prevedendo
un disinvolto cambio in corsa delle leggi regolatrici.
Sul presupposto, quindi, che si possa trattare di un trust discrezionale, di ispirazione
familiare, occorre verificare se, al di là delle mere definizioni, sussistano elementi per
ritenere meritevole di tutela la scelta negoziale.
Volontà dei disponenti è quella di creare un patrimonio separato in analogia con il
fondo patrimoniale, obiettivo questo non realizzabile direttamente per non essere i
disponenti sposati.
È noto come ai conviventi more uxorio non vengano riconosciuti diritti connaturati
all’esistenza di un rapporto duraturo e stabile, ma che – non di meno - la tutela della prole e degli assetti patrimoniali nell’interesse degli stessi costituiscano importanti chiavi di
interpretazione ai fini che ne occupano.
Si ritiene che l’assenza di un vincolo parentale e di una situazione di certezza di rapporti
giuridici, in nome della quale spesso i giudici di legittimità e lo stesso giudice delle leggi hanno dichiarato manifestamente infondate o rigettato questioni di incostituzionalità
dell’assetto normativo, non impediscano nel caso di specie di ritenere meritevole lo strumento in questione al fine di concedere una tutela, altrimenti inesistente, ai genitori ed ai
figli, nati prima o in costanza di questo rapporto di fatto.
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AIAF QUADERNO 2007/2
Si intende cioè dire che la segregazione di un patrimonio nel dichiarato intento di apprestare una tutela economica e di assistenza ad una famiglia di fatto, che non sarebbe
altrimenti assicurabile in forme neanche lontanamente simili a quelle del fondo patrimoniale, rappresenta quel quid che consente di ritenere apprezzabile lo strumento innominato, e dare così ingresso al trust in questione, nei limiti di indagine di questo giudice.
Proprio questo valore perseguito, e cioè la tutela della prole familiare, costituisce quel
rilevante elemento che aveva indotto la giurisprudenza costituzionale a dichiarare l’incostituzionalità dell’art. 6 della legge 27 luglio 1978, n. 392, nella parte in cui non prevedeva
la successione nel contratto di locazione al conduttore che avesse cessato la convivenza
quando vi fosse prole naturale; non a caso lo stesso presupposto – questa volta in negativo - della ricorrenza di figli ha recentemente indotto la stessa corte a negare il diritto
alla prosecuzione nel rapporto locatizio al convivente more uxorio in assenza di prole (C.
Cost., ord. n. 204 del 2003, rel. CONTRI).
E nel nome della tutela della prole è possibile anche superare la problematica dei rapporti del trust con la disposizione di cui all’art. 2645 ter cod. civ..
Molto si è detto e scritto al riguardo, e sia l’ambito di questo provvedimento che la circostanza di avere altrove espresso le proprie convinzioni sulla operatività della norma
impediscono una analisi approfondita della stessa. Basti quindi evidenziare come a proprio giudizio “la norma sia valsa a legittimare l’esistenza nell’ordinamento giuridico di
un particolare tipo di effetto negoziale, quello di destinazione, che per i beni immobili
e mobili registrati postula il veicolo formale dell’atto pubblico”; “…siamo al cospetto di
un ulteriore effetto negoziale, che può essere partecipe delle fattispecie causali traslative
tipiche (e forse anche di quelle ad effetti obbligatori e di quelle atipiche)” e quindi non
“…ci troviamo davanti ad un nuovo negozio la cui causa è quella finalistica della destinazione del bene alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela”.
In un primo momento la norma era stata giudicata - da chi scrive - sostanzialmente inutile, se non dannosa, in ragione degli ormai acquisiti equilibri interpretativi raggiunti
sul tema della meritevolezza di interessi. L’opinione potrebbe però essere parzialmente
rimeditata alla luce del contributo offerto, recentemente, da autorevole dottrina, la quale
ha proposto una lettura costituzionalmente orientata della norma in questione, riconoscendole “il significato di estendere la sfera operativa dell’autonomia privata”. Mentre
in precedenza i casi di separazione tra legal e equitable ownership erano tipizzati normativamente, ora la “giustificazione idonea” potrebbe essere rinvenuta proprio in quegli
interessi meritevoli di tutela cui fa riferimento la norma.
Nell’individuazione di questi criteri, però, per non abbandonarsi alla discrezionalità dei
giudici, occorre individuare il concetto di meritevolezza in questione: e ciò soprattutto perché, a volere intenderlo nel modo fin qui condiviso dalla assoluta maggioranza
della dottrina e – nei fatti concreti – dalla giurisprudenza, si finirebbe per determinare
una illegittimità costituzionale della norma. Invero non sarebbe giustificabile una potenzialità astratta e sempre valida alla separazione di assetti proprietari, laddove lo stesso
legislatore l’ha voluta e disciplinata, in precedenza, solo per talune e specifiche ipotesi.
Propone quindi l’Autore, così dando nuovo impulso alla tesi di altra dottrina, di leggere
la norma quale “strumento di selezione di valori”. Vi sarà meritevolezza rilevante ai
fini della separazione qualora l’interesse perseguito sia prevalente rispetto a quello dei
creditori e degli aventi causa. Del resto non qualsiasi interesse individuale poteva legittimare tale separazione, neanche mercè lo strumento normativo, in quanto – sottolinea
ancora la condivisibile dottrina – l’art. 43, co. 2, Cost. tollera le limitazioni del diritto
di proprietà solo qualora in tal modo sia assicurata la sua funzione sociale. La proposta esegetica è quindi quella di rifarsi al sistema costituzionale per l’individuazione dei
valori in nome dei quali operare la separazione: beni ed interessi non necessariamente
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PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
collettivi, purché non meramente patrimoniali; corrispondenti, cioè, a valori della persona costituzionalmente garantiti, sulla falsariga di quelli selezionati dalla giurisprudenza
della Suprema Corte di Cassazione come meritevoli di ristoro ai sensi dell’art. 2059 cod.
civ.. In conclusione, dubitando della apprezzabilità della norma quale clausola generale
dell’ordinamento, l’Autore ne postula una limitazione anche soggettiva, nel senso della
necessaria “estraneità dell’interesse perseguito alla persona del proprietario gravato”,
pur limitando le conseguenze negative al caso in cui tale interesse sia “esclusivamente”
proprio di tale soggetto.
Queste considerazioni, largamente riportate, sono in buona parte compatibili con il proprio convincimento che, in termini generali, l’interesse meritevole di tutela di cui all’art.
1322, co. 2, cod. civ. sia e resti altro; e che la meritevolezza del trust vada individuata
secondo i cennati parametri di idoneità al raggiungimento di uno scopo altrimenti non
raggiungibile dalle parti nell’espletamento della loro autonomia negoziale.
Ne rimane anche confermata la differenza tra trust ed atti di destinazione: il primo quale
negozio causalmente ben definito, ancorché tipizzato solo per rinvio agli ordinamenti
che lo disciplinano; e i secondi quali entità paranegoziali che, con una parafrasi “biogiuridica”, potremmo definire “opportuniste” in quanto, in difetto di struttura vitale propria, devono aderire ad altre fattispecie negoziali per potere dispiegare, sfruttando la
loro struttura, gli effetti riconosciuti dall’art. 2645 ter cod. civ..
Ritiene oggi questo il giudice di cogliere l’invito avanzato da larga parte della dottrina di
non relegare nell’oblio la norma, di rinvenire comunque in essa un significato, a dispetto
della contorta formulazione. Se quindi si deve dare all’istituto lo spazio che merita, si
deve opinare che la norma venga ad operare su un piano per così dire esterno: la sua presenza nel sistema giuridico potrebbe avere come conseguenza quella di rappresentare un
limite all’incondizionato ingresso nell’ordinamento italiano al trust: oltre ai precedenti
parametri, l’interprete si deve porre la domanda se debba essere rispettato anche quello
nuovo imposto dall’art. 2645 ter cod. civ..
Il disposto recentemente introdotto, in altri termini, potrebbe venire ad operare in modo
complementare, ma non perciò meno rilevante, rispetto al trust. L’esistenza di una norma
che consenta la separazione patrimoniale purché si perseguano interessi meritevoli di tutela, così come identificati in base alla interpretazione che sopra è stata riportata, farebbe
si che oggi – al di fuori delle ipotesi di scissione tipizzate legalmente – potrebbe non essere più legittimo attuare a nessun titolo, e quindi neanche a titolo di trust, una separazione
con finalità esclusivamente egoistiche e patrimoniali, motivata cioè da interessi non solo
esclusivamente economici ma anche assolutamente individuali.
Pur cosciente del fatto che la lettura dei valori costituzionali, o di supposta rilevanza
costituzionale, può essere in buona misura soggettiva, e che si corra il rischio di riproporre- come avvenuto intorno agli anni ‘70 dello scorso secolo - sotto nuove spoglie quel pericoloso vaglio discrezionale da parte dei giudici, scollegato dai limiti legali posti all’autonomia negoziale, stima comunque il giudice che in presenza di un valore di rilevanza
primaria o costituzionale tutelato mediante la separazione stessa, ovvero di un interesse
patrimoniale non individuale ed egoistico, sarà certamente difficile negare ammissibilità
al trust. Non è dunque un caso che la stessa dottrina sopra ampiamente riportata giunga alla nostra medesima finale considerazione della ammissibilità di una separazione
patrimoniale a tutela della famiglia di fatto, peraltro seguendo la strada originale sopra
esposta.
Ma non sarà automaticamente e sempre vera la deduzione contraria, e cioè che in assenza di tali valori dichiarati, o in presenza di interessi esclusivamente egoistici e patrimoniali, si debba dare risposta negativa in termini generali ed astratti all’ammissibilità di un
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trust. È in altri termini vero che in nome di beni/interessi superindividuali sarà possibile
sacrificare quello, altrettanto generale, della tutela dei creditori, altrimenti pregiudicato
dalla separazione stessa; nondimeno, anche un trust attuato per la semplice ragione di
protezione del proprio patrimonio, per fini non dichiaratamente illeciti, potrebbe meritare l’apprezzamento in forza della più volte ribadita presunzione di legittimità delle pattuizioni negoziali: ciò sempre che lo strumento negoziale consenta di perseguire ulteriori
obiettivi non altrimenti raggiungibili con gli strumenti ordinari. Queste considerazioni
sono – si pensa - in linea con i limiti di apprezzamento tipici del giudizio tavolare che,
in presenza di una causa lecita e di un programma negoziale meritevole di tutela (nel
senso si spera ormai chiaramente delimitato) non può negare alle vicende di rilevanza
immobiliare la pubblicità richiesta: altrove si giocherà la partita del concreto vaglio del
programma negoziale; altrove si potrà e dovrà, ad esempio, controllare che la dotazione
iniziale o sopravvenuta del trust non sia manifestamente sovrabbondante rispetto alle
finalità perseguite, dissimulandosi in tal modo un reale intento di segregazione patrimoniale dietro la cortina di un interesse di rango più elevato, ma meramente apparente.
Tornando all’analisi della documentazione dimessa, un ultimo dato negoziale sul quale riflettere è la mancanza di espressione di consenso da parte del trustee nell’ambito
dell’atto di dotazione, atto al quale ha – singolarmente – partecipato, firmandolo, ma senza manifestare volontà alcuna. Dalla lettura accurata dell’atto stesso non traspare alcuna
clausola negoziale di accettazione della dotazione elargita da uno dei due disponenti,
proprietario esclusivo del bene.
L’atto in questione non sembrerebbe poter essere qualificato in via immediata come unilaterale, come invece accade in caso di trust autodichiarato: occorre quindi, al fine di
verificare la validità del negozio giuridico e di stabilire la regolamentazione dei rapporti
economici tra le parti, stabilire se l’intento delle parti sia stato quello di arricchire una
sola di esse, oppure quello di dare attuazione ad un programma negoziale di cui l’atto
costituisce parte non autonoma (si veda, per una diversa fattispecie che pure consente di
rinvenire la medesima ratio decidendi, Cass., sez. 2, sent. n. 5397 del 2.6.1999). Nel primo
caso, in difetto di accettazione espressa nell’atto pubblico, anche qualora si potesse rinvenire nei rimanenti atti una qualsivoglia espressione di consenso negoziale da parte del
trustee, ciò comunque non impedirebbe di ravvisare nello stesso una donazione inefficace o imperfetta in assenza di accettazione: solo la volontà del donante avrebbe i necessari
requisiti di forma, ma non quella del donatario.
Se invece, come si ritiene, la dotazione del trust non costituisce atto di liberalità, ma
schema di trasferimento causalmente e necessariamente informato al programma
negoziale di cui fa parte, allora sarebbe sufficiente una accettazione non riversata nella forma dell’atto pubblico. È evidente che questa seconda sia la lettura che si impone,
difettando nell’atto di disposizione - e da parte del conferente - qualsiasi intendimento di arricchire il trustee, soggetto che di quel bene non potrà liberamente godere, ma
che dovrà amministrarlo con precisi obblighi e responsabilità, in cambio di un minimo
corrispettivo.
Se così è, e se si rammenta che il procedimento in affari tavolari è procedimento giurisdizionale di volontaria giurisdizione, sembra di potersi richiamare l’insegnamento per
il quale anche “con riferimento ai contratti per i quali è prevista la forma scritta “ad substantiam”, il contraente che non abbia sottoscritto l’atto può perfezionare il negozio con
la produzione in giudizio del documento al fine di farne valere gli effetti contro l’altro
contraente sottoscrittore, o manifestando a questi con un proprio atto scritto la volontà di
avvalersi del contratto” (da ultimo, Cass., sez. 2, sent. n. 22223 del 17.10.2006). Il ricorso
tavolare, presentato dai procuratori difensori del ricorrente come da mandato a margine,
contro il proprietario del bene rappresenta quindi il requisito formale minimo che con-
170
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
sente di individuare una accettazione della dotazione immobiliare del trust: è chiaro il
riferimento al disposto dell’art. 1333 cod. civ..
Si prende comunque atto della tesi dottrinaria alla quale più volte si è fatto rinvio, la quale evidenzia come, in caso di contratto gratuito ma non liberale, in considerazione della
presenza di un preciso interesse dell’alienante, “il vincolo si costituisca per effetto della
sola dichiarazione del proprietario gravato, una volta resa conoscibile dal beneficiario, se
non segua entro congruo termine il rifiuto”.
c. Verifica della contrarietà ai principi inderogabili dell’ordinamento giuridico.
Non sussiste nell’atto istitutivo del trust o in quelli ad esso geneticamente o funzionalmente collegati alcuna pattuizione che, in modo rilevante ai fini del presente giudizio
tavolare, violi norme inderogabili specifiche o principi precettivi dell’ordinamento italiano o di quello estero prescelto dalle parti. L’eliminazione delle clausole illecite sopra individuate non determina la compromissione dell’intero atto, né una sostanziale
modificazione.
In conclusione si ritiene che, pur in presenza di tutte le controverse questioni e le non
modeste lacune degli atti, la domanda meriti accoglimento.
Quanto alle disposizioni di carattere tavolare, deve essere precisato che la disposizione
dell’art. 11 della Convenzione esonera dall’indagine sullo status e sul regime patrimoniale familiare del trustee. Si rende poi evidente come l’elemento negoziale accidentale
e tipizzato, quale è il termine finale di cui all’art. 7, vada annotato insieme all’atto che lo
contiene, ai sensi dell’art. 20 h) della legge generale sui libri fondiari, nel testo allegato al
R.D. 499/1929.
Giova inoltre confermare che, in regime tavolare, la nota problematica sulla natura obbligatoria o reale dei vincoli imposti al trustee assume valenza piuttosto teorica. Infatti
al giudice tavolare spetta il potere-dovere di concedere l’iscrizione tavolare solo se, ai
sensi dell’art. 94, co. 1 n. 2, della legge generale sui libri fondiari, nel testo allegato al
R.D. 499/1929, “non sussiste alcun giustificato dubbio sulla capacità personale delle parti
di disporre dell’oggetto a cui l’iscrizione si riferisce o sulla legittimazione dell’istante”.
Qualora, quindi, il trustee decidesse di alienare il bene costituito in trust, o creare altri diritti reali di godimento o garanzia senza rispettare i limiti posti a suo carico, ad esempio
cedendolo a terzi diversi dal beneficiario, il giudice tavolare dovrebbe negare l’iscrizione
tavolare a favore dell’alienatario, senza porsi tanto il problema della natura reale o personale dei vincoli violati, afferendo comunque essi alla capacità di disporre del bene: non si
dimentichi che il regime tavolare sconosce l’istituto della vendita a non domino.
Tutto ciò premesso, il giudice tavolare, in accoglimento del ricorso
ORDINA
In c.c. di Aurisina presso la P.T. 1966
Intavolare il diritto di proprietà dal nome di: YYY (nato a _____) a nome di XXX s.s., in persona dell’amministratore pro tempore, quale trustee del “TRUST YYY e SEMPRONIA”,
2) Annotare il termine di cui all’art. 7 dell’atto istitutivo del trust.
IL GIUDICE TAVOLARE
(Dott. Arturo Picciotto)
171
AIAF QUADERNO 2007/2
TRIBUNALE REGGIO EMILIA, UFFICIO ESECUZIONI IMMOBILIARI,
ORDINANZA 14.5.07
Sospensione dell’esecuzione sui beni del trustee (nel caso di specie, coincidente con il
disponente) oggetto di pignoramento
Nella procedura esecutiva immobiliare n. … R.G. Esecuzioni
promossa da … S.P.A. contro YYY
IL GIUDICE DELL’ESECUZIONE
sciogliendo la riserva formulata all’udienza dell’8/5/2007,
viste le difese delle parti, esaminata la documentazione in atti,
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
Preliminarmente giova rilevare che al Giudice dell’Esecuzione spetta, in questa fase,
soltanto una verifica del fumus delle ragioni addotte dall’opponente, mediante un esame sommario degli elementi acquisiti, al fine di adottare una decisione sull’istanza di
sospensione; detta premessa è doverosa a fronte delle estese doglianze della creditrice
opposta sulla validità del trust costituito sui beni aggrediti col pignoramento, doglianze
che – proprio per la natura della presente decisione – non possono essere qui compiutamente affrontate e che (come si dirà anche nel prosieguo) dovranno trovare adeguata
trattazione nel giudizio di merito relativo all’opposizione.
La ALFA, intendendo soddisfare coattivamente il proprio credito nei confronti di YYY
(derivante da decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo emesso nei confronti della
società BETA S.a.s., di cui il YYY è socio accomandatario), ha pignorato beni immobili
intestati a YYY.
YYY – “in qualità di trustee” (pag. 1 del ricorso in opposizione) – ha contestato il diritto di procedere ad esecuzione forzata perché i beni, già trasferiti in trust (e, quindi,
in un patrimonio separato da quello del disponente e da quello personale dello stesso
trustee) con atto trascritto nei RR.II. anteriormente al pignoramento, non potevano
essere assoggettati ad azione esecutiva; in particolare, l’opponente osservava che era
stato istituito un trust “interno” (il quale presenta “elementi soggettivi e obiettivi legati
a un ordinamento che non qualifica lo specifico rapporto come trust, nel senso accolto
dalla Convenzione, mentre esso è regolato da una legge straniera che gli attribuisce la
qualificazione”) e “autodichiarato” (in cui, cioè, coincidono le figure del disponente
e del trustee) in garanzia dei creditori della BETA; contestualmente all’opposizione ha
avanzato istanza di sospensione del processo esecutivo ex art. 624 comma 1° c.p.c.
La citata disposizione prevede il potere del Giudice dell’Esecuzione di sospendere il processo esecutivo, sia nel caso di opposizione all’esecuzione proposta dal debitore sia in
caso di opposizione di terzo. In questa fase, appare superfluo, perciò, qualificare l’azione
proposta dal YYY come opposizione ex art. 615 comma 2° c.p.c. o come opposizione ex
art. 619 c.p.c.:
nella prima ipotesi l’opposizione corrisponderebbe al nomen iuris attribuito dall’opponente, ma si osserva che, nel caso de quo, il YYY (il quale ha mutato il titolo in base al
quale è proprietario dei beni: prima proprietario in senso strettamente civilistico e poi
proprietario quale trustee) agisce espressamente come trustee a tutela del trust-fund,
aggredito da parte di un creditore personale del disponente, non considerato dall’atto di
pignoramento quale trustee (appare, quindi, prima facie preferibile la tesi dell’opposizione di terzo). La suddetta questione potrà semmai assumere rilievo nel processo di cognizione dato che, secondo le prime letture conseguenti alle modifiche del 2006, il richiamo
172
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
dell’art. 619 c.p.c. all’art. 616 c.p.c. riguarda solo i provvedimenti per l’instaurazione del
giudizio di merito e non anche l’inciso “La causa è decisa con sentenza non impugnabile” (con conseguente proponibilità dell’appello nelle opposizioni di terzo).
Rispetto ai concetti di proprietà e di garanzia patrimoniale tradizionalmente conosciuti
nel nostro ordinamento, la caratteristica più rilevante del trust (si fa qui riferimento alla
generica categoria del trust shapeless, delineata dall’art. 2 della Convenzione de L’Aja)
è che i beni o diritti oggetto del trust (detti trust property o trust estate o trust fund)
costituiscono un patrimonio separato da quello del trustee e inattaccabile dai suoi
creditori; a maggior ragione i beni non possono essere aggrediti dai creditori del disponente, dato che i cespiti sono “usciti” dalla sua sfera di appartenenza a seguito del
trasferimento al trustee o, come in questo caso, del mutamento del titolo.
La cosiddetta “segregazione patrimoniale” (sopra descritta) è tratto saliente ed essenziale del trust e, secondo l’art. 11 della “Convenzione sulla legge applicabile ai trusts e
sul loro riconoscimento” adottata a L’Aja l’1/7/1985 (ratificata dall’Italia – senza riserve
– con la Legge 9/10/1989 n. 364) ed entrata in vigore l’1/1/1992, costituisce l’effetto minimo del riconoscimento di un trust costituito in conformità alla sua legge regolatrice
(così statuisce il menzionato art. 11: “A trust created in accordance with the law specified
by the preceding Chapter shall be recognized as a trust. Such recognition shall imply, as a
minimum, that the trust property constitutes a separate fund …” ovvero “Un trust istituito in conformità alla legge determinata in base al capitolo precedente sarà riconosciuto
come trust. Tale riconoscimento implica, quanto meno, che i beni in trust rimangano
distinti dal patrimonio personale del trustee”).
Nel caso di specie, il YYY è sia disponente sia trustee del trust (...), istituito secondo la
Trusts (Jersey) Law del 1984 (successivamente emendata dalla Trusts (Amendment) (Jersey) Law del 1989, dalla Trusts (Amendment No. 2) (Jersey) Law del 1991, dalla Trusts
(Amendment No. 3) (Jersey) Law del 1996 e, recentemente, dalla Trusts (Amendment
No. 4) (Jersey) Law del 2006) con atto pubblico dell’11/3/2005, con cui sono anche stati
trasferiti al trustee i cespiti, mobili e immobili, del disponente (uno actu, quindi, è stato
istituito il trust e posto in essere il negozio di dotazione patrimoniale al trustee); il predetto atto pubblico è stato trascritto nei RR.II. il 24/3/2005, ben prima del pignoramento
immobiliare notificato il 31/10/2006–6/11/2006 e trascritto nei RR.II. il 14/11/2006.
Come è stato osservato in dottrina, la nozione di trust contenuta nel primo paragrafo
dell’art. 2 della Convenzione de L’Aja è assai ampia, dato che la norma afferma l’esistenza di un trust allorché il trustee abbia il “controllo” sui beni, senza cioè esigere che vi sia
un “trasferimento” di beni a costui: non è richiesta, dunque, per aversi un trust ai sensi
della menzionata Convenzione, una distinzione soggettiva tra il disponente e il trustee essendo sufficiente che i beni siano posti “sotto il controllo” di quest’ultimo. Tra
l’altro, lo stesso art. 2, all’ultimo comma (la Convenzione consente al settlor di riservarsi
“rights and powers”, locuzione mal tradotta nella versione ministeriale con “prerogative”) non esclude in linea di principio una coincidenza tra due soggetti del trust, purché
ciò sia consentito dalla legge regolatrice prescelta dal disponente (nel caso, è pacifico che
la Trusts (Jersey) Law permetta la costituzione di trust autodichiarati).
Dal riconoscimento del trust, istituito in conformità alla legge regolatrice (e su questo
si tornerà in seguito), deriva (automaticamente) l’effetto segregativo nel patrimonio del
trustee e la conseguente impossibilità per i creditori di quest’ultimo di attaccare i beni
trasferiti; inoltre, per effetto del trasferimento al trustee, nessun diritto sui beni in trust
spetta più al disponente.
173
AIAF QUADERNO 2007/2
Perciò sia considerando il YYY come disponente, sia reputandolo trustee del trust (...),
deve escludersi il diritto della ALFA di assoggettare ad esecuzione forzata i beni immobili costituiti in trust.
La conclusione a cui si è pervenuti non è nuova neanche per la giurisprudenza italiana,
dato che già il Tribunale di Brescia, con la sentenza del 12/10/2004 (in Trusts e Attività
Fiduciarie, 2005, pag. 83), ha stabilito che il creditore del disponente non può aggredire, con azione esecutiva di espropriazione, i beni che il debitore ha trasferito al trustee
con atto avente data certa anteriore al pignoramento: il Giudice, superate le questioni
riguardanti l’ammissibilità dell’istituto nell’ordinamento interno, ha respinto le istanze
del creditore pignorante affermando che i beni trasferiti in proprietà al trustee del trust
“sono segregati, non appartengono né al settlor né al trustee e pertanto sottratti e inattaccabili dai rispettivi creditori”.
Analogamente, in un procedimento cautelare per sequestro, il Tribunale di Siena,
con ordinanza del 16/1/2007 (in Trusts e Attività Fiduciarie, 2007, pag. 266), ha statuito
che “i creditori personali del trustee non possono aggredire i beni del trust e dunque
questi beni non sono neppure sequestrabili o pignorabili alla stessa stregua dei beni
costituiti in fondo patrimoniale, fino a che sia vigente ed operativo il vincolo del trust
o fino a che il vincolo non venga caducato per effetto di annullamento o revocazione
del negozio costitutivo”.
Simili considerazioni si rinvengono anche nella pronuncia del Tribunale (penale) di Venezia del 4/1/2005 (in Trusts e Attività Fiduciarie, 2005, pag. 245), ove si legge che “la
peculiarità della situazione porta ad affermare che il trustee è titolare di un diritto reale
senza … esserne proprietario … Il trustee è titolare di un diritto reale non nell’interesse
proprio, ma nell’interesse altrui … Non vi è la nascita di un nuovo diritto reale, né uno
sdoppiamento del diritto di proprietà, ma il semplice trasferimento di un diritto reale da
un soggetto ad un altro che accetta detto trasferimento come collegato – e questo è essenziale – ad un obbligo di amministrazione e di gestione”.
Apprezzabilmente la difesa della creditrice opposta non contesta in maniera sterile l’ammissibilità (tout court) del trust “interno” nell’ordinamento italiano: su tale questione
si è invece arenata la prima giurisprudenza, ma il problema è da intendersi ormai superato dalle numerose pronunce (ex multis, la sentenza del Tribunale Bologna n. 4545
dell’1/10/2003, in Trusts e Attività Fiduciarie, 2004, pag. 67) che hanno riconosciuto
all’istituto del trust un “diritto di cittadinanza nel nostro ordinamento” (così Tribunale di Trento – Sezione distaccata di Cavalese, decreto 20/7/2004, in Trusts e Attività
Fiduciarie, 2004, pag. 574) e dalla ratio legis sottesa all’approvazione dell’art. 2645-ter
c.c., che ha tolto quasi tutte le frecce dalla faretra dei detrattori del trust interno (anche se,
in dottrina, un autore è rimasto assolutamente impermeabile alla novità e ha continuato
a far congetture sulla “ben nota e spregiudicata lobby del trust interno, assecondata da
giudici non rigorosi”).
Nel proprio scritto difensivo la ALFA affronta in concreto lo specifico atto istitutivo del
trust (...), contestando (o, quantomeno, mettendo in dubbio) la possibilità di procedere al
suo riconoscimento (ai sensi dell’art. 13 della Convenzione de L’Aja), la sua conformità
alla legge regolatrice e la validità del limite così introdotto all’applicazione di disposizioni interne ritenute inderogabili (art. 15 del testo convenzionale).
Ai fini di valutare il fumus dell’opposizione, è necessario, perciò, esaminare “un po’ più
da vicino” il trust in questione: il programma negoziale che si prefigge, la sua aderenza
alla Trusts (Jersey) Law e la compatibilità con i principi inderogabili del diritto italiano.
Ai sensi dell’art. 13 della Convenzione de L’Aja è possibile negare il riconoscimento
di un trust “interno” (il cui “centro di gravità”, cioè, non presenta elementi di estraneità
174
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
rispetto all’ordinamento italiano, sebbene la disciplina sia costituita da una legge regolatrice straniera) nel caso in cui il ricorso all’istituto e alla disciplina straniera appaia
fraudolento, tale per cui il riconoscimento appaia ripugnante all’ordinamento: “Rientra anche nei poteri del giudice, dunque, fare applicazione dell’art. 13; tuttavia, l’utilizzo
di detta norma, lungi dall’essere obbligatorio o – al contrario – «capriccioso», potrà avvenire soltanto in maniera conforme alla ratio del legislatore della ratifica e, quindi, anche
in ossequio al principio di salvaguardia dell’autonomia privata, al solo fine di evitare il
riconoscimento di trust «interni» che siano disciplinati da legge straniera con intenti abusivi e/o fraudolenti … non sarà sufficiente rilevare la presenza di un trust i cui elementi
significativi siano più intensamente collegati con lo Stato italiano per disapplicare la legge scelta per la sua disciplina e per la sua costituzione evitando di riconoscerne gli effetti,
ma sarà, invece, necessario desumere un intento in frode alla legge, volto, cioè, a creare
situazioni in contrasto con l’ordinamento in cui il negozio deve operare” (così Tribunale
Bologna, sentenza 1/10/2003 n. 4545, in Trusts e Attività Fiduciarie, 2004, pag. 67).
Si deve dunque valutare se l’atto istitutivo del trust è (o non è) portatore di interessi
che sono meritevoli di tutela per l’ordinamento giuridico senza limitarsi alla semplice
definizione dello “scopo”, ma estendendo l’analisi al “programma” che si è prefissato
il disponente nel momento in cui ha deciso di dar vita al trust (così anche Tribunale di
Trieste – 23 settembre 2005, in Guida al Diritto, 2005, n. 41, pag. 57).
In altri termini, occorre esaminare la meritevolezza della causa “concreta” del trust
(quella “astratta”, del trust “amorfo” delineato nella generica formulazione dell’art. 2
della Convenzione, è già stata definita e riconosciuta dal legislatore della Legge 364/1989,
di ratifica della Convenzione de L’Aja): come sostiene la dottrina, “la causa del negozio
istitutivo di trust è il programma della segregazione di una o più posizioni soggettive
o di un complesso di posizioni soggettive unitariamente considerato (beni in trust) affidate al trustee per la tutela di interessi che l’ordinamento ritiene meritevoli di tutela
(scopo del trust)”.
È ovvio che l’esame sommario condotto in questa fase non può compiutamente affrontare ed esaurire ogni possibile profilo (attività doverosa nel giudizio di merito), ma sin
d’ora può affermarsi – proprio nell’ambito del giudizio sulla sussistenza del fumus
dell’opposizione – che non sembra che il riconoscimento del trust de quo sia ripugnante
all’ordinamento italiano.
La più autorevole dottrina sulla materia ha sostenuto che il trust è, rispetto al nostro
ordinamento, uno strumento residuale, al quale ricorrere quando gli ordinari strumenti
civilistici non consentono di conseguire il medesimo obiettivo, che, però, deve rappresentare interessi meritevoli di tutela e non ripugnanti per il sistema.
Nell’atto istitutivo dell’11/3/2005 non si fa mistero del programma negoziale perseguito:
il YYY, amministratore e socio accomandatario della BETA S.a.s. (posta in liquidazione),
ha inteso, col trust, “favorire la liquidazione armonica della società, prevenendo azioni
giudiziarie e procedure concorsuali” e, per raggiungere tale finalità, ha segregato i propri beni personali nominandosi trustee nell’interesse dei creditori della BETA, che hanno
così assunto la qualità di beneficiari del trust.
Schematizzando: i beni del socio accomandatario sono posti sotto il controllo del trustee,
il quale li conserva (non può cederli se non espressamente autorizzato dall’Autorità Giudiziaria), gestisce e amministra nell’interesse dei creditori della BETA e – nel caso in cui
la società non sia in grado di soddisfare interamente le ragioni creditorie al momento
della data di liquidazione – deve anche venderli per pagare il debito residuo.
-omissis-
175
AIAF QUADERNO 2007/2
Il breve excursus sugli accordi di ristrutturazione (certamente non esaustivo) serve per
dimostrare che l’istituzione del trust de quo appare finalizzata ad un interesse meritevole di tutela: quello di proteggere il patrimonio per evitare che creditori free-riders, rimasti estranei all’accordo di ristrutturazione, che vantano crediti contestati (è incontroversa
la pendenza di opposizione avverso il decreto ingiuntivo azionato dalla ALFA), possano
costituire diritti di prelazione (ipoteche) o agire in executivis sui cespiti, facendo naufragare il negozio concluso con la maggioranza, nonostante l’assicurazione di un loro “regolare pagamento” (secondo autorevole dottrina, la locuzione impiegata dall’art. 182-bis
L.F. deve intendersi come “pagamento integrale”, non potendo significare “pagamento
alla scadenza”, formula inapplicabile ai crediti scaduti che sono, in situazione di crisi,
la maggior parte) e l’omologazione da parte del Tribunale (in assenza di qualsivoglia
opposizione).
Il programma negoziale del trust (...) appare mirato ad introdurre un temporaneo blocco
delle azioni esecutive e cautelari individuali, effetto garantito dalla legislazione nazionale per il solo concordato preventivo, e, lungi dal voler essere strumento per frodare i
creditori o per eludere la par condicio (tanto che sembra arduo ipotizzare l’esito favorevole di un’azione revocatoria), individua proprio questi ultimi quali beneficiari; peraltro,
il conferimento in trust fornisce una suppletiva garanzia di non dispersione dei beni ed
attribuisce ai creditori beneficiari un controllo sull’operato del trustee che difetta, invece, nell’accordo di ristrutturazione (laddove i creditori sono esposti anche ad operazioni
di sottrazione/occultamento della garanzia patrimoniale che possono trovare rimedio, a
volte, solo con l’esperimento di una lunga e costosa azione revocatoria).
Anche nei lavori preparatori della riforma del diritto fallimentare era stata esaminata la
possibilità di configurare (oltre all’obbligatorietà per tutti i creditori dell’accordo omologato) una “protezione del patrimonio da iniziative cautelari ed azioni esecutive di terzi
estranei all’accordo” con un effetto di blocco fino alla conclusione del procedimento di
omologazione. Se è vero che la proposta non è stata trasfusa nel testo legislativo poi entrato in vigore, de iure condendo è già stata predisposta la bozza di un decreto legislativo
che prevede la temporanea “copertura” del patrimonio del debitore che voglia accedere
agli accordi di ristrutturazione (di ciò danno notizia i quotidiani specializzati: Il Sole 24
Ore, 18/4/2007, pag. 31; Italia Oggi, 19/4/2007, pag. 32).
Non può escludersi, perciò, l’astratta meritevolezza degli interessi sottesi al trust in questione, che mira ad assicurare effetti che l’ordinamento già riconnette ad istituti similari e
che già sono allo studio del legislatore anche per gli accordi di ristrutturazione.
Tra l’altro, la finalità di proteggere il patrimonio nell’ambito di una concordata soluzione della crisi dell’impresa (e, cioè, la segregazione dei beni al fine di assicurare la
loro destinazione alla massa dei creditori) è già stata apprezzata dal Tribunale di Parma che, con la sentenza del 3/3/2005 (in Trusts e Attività Fiduciarie, 2005, pag. 409), ha
omologato un concordato preventivo misto con cui i beni di terzi (garanti dell’adempimento del concordato e soggetti diversi dal debitore assoggettato alla procedura)
erano stati trasferiti al commissario giudiziale, nominato trustee (così eliminando il
rischio, per i creditori del concordato, di eventi – ad esempio, azioni esecutive per debiti
del garante, iscrizioni ipotecarie, cessione degli stessi beni, concessioni in ulteriori garanzie – potenzialmente idonei a ridurre o eliminare la garanzia offerta: i creditori del
disponente, infatti, non possono soddisfarsi su un bene che non è più nella disponibilità
di questo, i creditori del trustee subiscono l’effetto segregativo del negozio, i creditori beneficiari ricevono quanto statuito dal settlor durante la pendenza del trust e, allo
scioglimento di questo, partecipano alla ripartizione finale secondo quanto disposto con
l’atto istitutivo).
Per quanto sinora esposto, non pare prima facie che il programma negoziale di questo
specifico trust possa essere considerato ripugnante per il sistema italiano, sebbene
176
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
questo non preveda ordinari strumenti civilistici che consentano di conseguire il medesimo obiettivo (e proprio in questo sta la residualità del trust rispetto agli istituti
offerti dall’ordinamento interno).
L’analisi non può fermarsi qui: può accadere, infatti, che lo scopo di un trust apparentemente lecito e meritevole di tutela nasconda in realtà un obiettivo ripugnante per
l’ordinamento. Questa ipotesi è destinata ad inficiare l’atto istitutivo tout court, quando lo scopo ripugnante (ad esempio, l’intento di frodare i creditori) sia il solo effettivo
scopo del trust e il trustee si disinteressi completamente dello scopo apparente: in tal
caso, l’atto di trust non sarà altro che una pura simulazione (sham secondo il diritto
inglese).
Il trust è sham (fasullo, simulato e, per il diritto anglosassone, nullo e inefficace) quando il trustee agisce solo al fine di soddisfare lo scopo reale (ad esempio, limitandosi a
tenere occultato il patrimonio del disponente ai suoi creditori e disinteressandosi dei
beneficiari ai quali dovrebbe invece corrispondere un mantenimento; in proposito,
High Court of Justice of England and Wales – Chancery Division, sentenza 10/6/1994,
Midland Bank Plc v. Wyatt, in Trusts e Attività Fiduciarie, 2003, pag. 299. Altro esempio
di sham trust si rinviene nella pronuncia della High Court of Justice of England and Wales – Family Division, sentenza 3/12/2004, Minwalla v. Minwalla, in Trusts e Attività Fiduciarie, 2006, pag. 273, nella quale il Giudice ha statuito che “affinché un trust sia sham
non è necessaria un’intesa fra disponente e trustee, ma è sufficiente che il disponente non
avesse la minima intenzione di seguire le norme sui trust e che, nel corso del rapporto, il
trustee sia stato acquiescente nei suoi confronti”).
Anche la simulazione rientra tra le difese della ALFA (che, nelle conclusioni della memoria difensiva qualifica “senza mezzi termini” il trust (...) come “atto simulato ovvero
compiuto in pregiudizio delle ragioni creditorie”).
Vari sono gli indizi che potrebbero suffragare l’ipotesi di uno sham trust: la coincidenza tra disponente e trustee e la contemporanea assenza di un guardiano, la riserva al disponente del diritto di abitazione (gratuito) sui beni immobili conferiti e, non essendo
stato depositato il “libro degli eventi del trust” né il rendiconto del trustee, l’assoluta
incertezza sull’effettiva attività svolta dal trustee, con particolare riferimento al dovere
di informare i beneficiari delle vicende del trust (in proposito, come osserva autorevole
dottrina, “è ineludibile il diritto dei beneficiari di essere messi a conoscenza dell’esistenza
del trust in loro favore … la conoscenza dell’atto di trust consente ai beneficiari di esercitare tutti i diritti che discendono da tale loro posizione e quindi verificare in qualsiasi
momento che il trustee rispetti lo scopo del trust e le volontà espresse dal disponente …
un trust con beneficiari, non resi edotti circa l’esistenza del trust, configura uno di quegli
indizi che potrebbero concorrere a far ritenere il trust una mera simulazione”).
I soli “indizi” di uno scopo che potrebbe essere ripugnante (“to set up a screen to shield
his resources from other claims” per dirla con il Giudice Singer J. della High Court of Justice of England and Wales – Family Division, sentenza 3/12/2004, Minwalla v. Minwalla,
in Trusts e Attività Fiduciarie, 2006, pag. 273), tuttavia, non sono sufficienti a considerare
tamquam non esset l’atto di trust (trascritto) il cui scopo apparente (salvo quanto sopra
detto) sembra meritevole di tutela; necessariamente il loro esame deve essere rinviato al
giudizio di merito e alle risultanze dell’istruttoria che lì sarà svolta.
Rispetto all’art. 13 della Convenzione de L’Aja, le contestazioni che richiamano gli artt.
15, 16 e 18 del testo convenzionale si muovono su un piano diverso: le predette disposizioni non riguardano il problema del riconoscimento (che, peraltro, concerne solo i trust
177
AIAF QUADERNO 2007/2
cc.dd. interni) e considerano i trust riconosciuti (anche quelli interni) che producano effetti contrastanti con norme inderogabili o di applicazione necessaria della lex fori o con
principi di ordine pubblico: in tali casi l’applicazione della legge straniera dovrà “cedere
il passo” a quella della legge interna.
La ALFA individua, quale principio generale inderogabile, l’unitarietà della garanzia patrimoniale sancita dall’art. 2740 c.c.
Non sembra necessario ripetere le numerose ragioni che hanno indotto la giurisprudenza a ritenere che l’art. 2740 c.c. non costituisca più, da anni, un principio supremo ed
inderogabile del nostro ordinamento (così Tribunale Bologna, sentenza 1/10/2003 n. 4545,
in Trusts e Attività Fiduciarie, 2004, pag. 67: “l’unitarietà della garanzia patrimoniale
di cui all’art. 2740 c.c. non può valere come un «dogma sacro ed intangibile» del nostro
ordinamento”): l’espressa previsione dell’art. 11 della Convenzione de L’Aja (la quale, introducendo quale effetto minimo la distinzione del patrimonio in trust, assume su questo
punto la natura di norma di diritto materiale uniforme), la limitazione della responsabilità stabilita dalla Legge n. 364 del 1989 (conformemente alla riserva di legge dell’art. 2740
cod. civ.), le numerose deroghe legislative (che sono persino giunte a configurare – con
gli artt. 2447-bis e seguenti c.c. – ulteriori limitazioni della responsabilità per soggetti che
già godono di una responsabilità limitata).
A queste si aggiunge la recente entrata in vigore dell’art. 2645-ter c.c.: le condizioni per
addivenire alla trascrizione e all’opponibilità di atti (melius, contratti), anche atipici, con
cui beni immobili o mobili registrati sono destinati alla realizzazione dei più variegati
interessi meritevoli di tutela ai sensi dell’art. 1322 comma 2° c.c. (norma che non costituisce alcun argine perché – stando ai precedenti giurisprudenziali – consente di formulare soltanto un giudizio di non illiceità degli scopi prefissati), inducono a ritenere che
sia stata definitivamente “aperta la porta” dell’ordinamento ai più disparati vincoli di
destinazione impressi dall’autonomia privata, senza pretendere che gli interessi sottesi
siano già selezionati come meritevoli di riconoscimento da una norma positiva. In altri
termini, sembra proprio che la riserva di legge prevista dal comma 2° dell’art. 2740 c.c.
(già derogata da innumerevoli normative speciali) sia stata definitivamente svuotata di
significato dall’articolo 2645-ter c.c.
Inoltre, la menzionata disposizione, successiva e speciale rispetto all’art. 1379 c.c. (pure
richiamato dalla difesa dell’opposta con riguardo al regolamento del trust (...)), nel prevedere l’opponibilità ai terzi del vincolo di destinazione trascritto, scardina il disposto
del “Divieto di alienazione”, il quale sancisce (o, forse, sarebbe meglio dire: “sanciva”)
che “il divieto di alienare stabilito per contratto ha effetto solo tra le parti”.
Ad un primo e sommario esame, dunque, non emerge il denunciato contrasto con norme
inderogabili della lex fori.
In ogni caso, deve escludersi che il potere di negare il riconoscimento del trust (ai sensi dell’art. 13 della Convenzione de L’Aja) e/o di dichiararne la nullità perché sham e/o
di privare di effetti l’applicazione della Convenzione per contrasto con norme inderogabili del diritto interno o con l’ordine pubblico (ai sensi degli artt. 15, 16 e 18 della
Convenzione de L’Aja) possa essere esercitato dal Giudice dell’Esecuzione nell’ambito della decisione (adottata con ordinanza emessa a seguito di una cognizione sommaria) sull’istanza di sospensione ex art. 624 comma 1° c.p.c.
La creditrice opposta ha sostenuto, nella propria memoria difensiva, che l’effetto segregativo previsto dall’art. 11 della Convenzione de L’Aja non si sarebbe prodotto nel caso
di specie perché il trust non è stato “istituito in conformità alla legge determinata” dal
disponente a norma dell’art. 6 del testo convenzionale: in particolare, si è affermata l’invalidità – ai sensi degli artt. 10A e 10B (in realtà, dopo le recenti modifiche normative, il
178
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
riferimento deve essere rivolto all’art. 12) della Trust (Jersey) Law – del “trust di scopo,
non caritatevole, privo di un guardiano (enforcer)”.
La difesa è interessante (la difformità della legge regolatrice impedirebbe di considerare
come segregati i cespiti aggrediti col pignoramento) ma muove da un presupposto apparentemente errato: la qualificazione del trust (...) come “trust di scopo”.
È “di scopo” quella categoria di trust “che non sono destinati ad avvantaggiare una o
più persone identificate o identificabili, più precisamente quei trusts rispetto ai quali, per
come il trust è configurato, non può esistere alcun soggetto legittimato ad agire contro il
trustee per tutelare un interesse proprio”.
Nel modello anglosassone i trust di scopo possono perseguire soltanto fini caritatevoli
(a vantaggio della collettività o di una categoria di persone non determinate); perciò, un
trust di scopo retto dalla legge inglese istituito per fini non caritatevoli (non–charitable
purposes) è da ritenersi inesorabilmente nullo. Diversa è la disciplina che regola il trust
(...): infatti, la Trust (Jersey) Law ammette l’istituzione di trust di scopo che perseguono
fini individuali e non caritatevoli, ma richiede – a pena di nullità – la presenza costante e
ininterrotta di un guardiano (enforcer), che possa agire nei confronti del trustee inadempiente (per evitare che il trust sia lasciato “in balia della mera volontà incontrollata ed
incontrollabile del trustee”; in giurisprudenza, Tribunale di Trieste – 23 settembre 2005,
in Guida al Diritto, 2005, n. 41, pag. 57). Con esempi tratti dalla dottrina inglese, sono
“di scopo” i trust istituiti “per preservare la pace tra le nazioni” o “per l’abolizione della
vivisezione”, dove nessun soggetto ha un sufficiente interesse per far rispettare il trust
(“where no individual clearly has sufficient interest to enforce the trust”).
Si ricava dall’art. 1 della Trust (Jersey) Law la definizione di beneficiario: “«beneficiary»
means a person entitled to benefit under a trust or in whose favour a discretion to distribute property held on trust may be exercised” (in italiano: “«beneficiario» significa
un soggetto avente diritto ad ottenere dei vantaggi in forza di un trust oppure nel cui
interesse possa essere esercitato il potere discrezionale di una attribuzione di beni in
trust”). La massima dottrina sulla Legge di Jersey afferma: “sono beneficiari di un trust
tutti coloro i quali abbiano potenziali benefici dal trust”; un altro giurista precisa: “chiunque abbia diritti da un trust può essere definito come un beneficiario”. Peraltro, ai sensi
dell’art. 10 della vigente Trust (Jersey) Law (da leggersi in combinato disposto con l’art.
1) “il beneficiario deve essere identificabile … per riferimento a una categoria”.
Perciò, se il trust, ancorché istituito per una finalità, è costituito a vantaggio diretto o
indiretto di una o più persone (identificabili anche con riferimento alla categoria di appartenenza), deve intendersi rispettato il beneficiary principle (consacrato sin dalla pronuncia di Sir William Grant MR in Morice v. Bishop of Durham del 1804: “there must
be somebody, in whose favour the court can decree performance”, ossia “dev’esserci un
soggetto a cui favore possa essere ordinato l’adempimento”), che risulta violato non già
dalla presenza di uno scopo, ma solo dall’assenza di un soggetto legittimato a richiedere
l’adempimento delle obbligazioni al trustee.
Il trust (...) manca di un enforcer, ma – ad avviso di questo Giudice dell’Esecuzione –
deve essere considerato un trust con beneficiari: infatti, l’atto istitutivo (all’art. 3) individua soggetti (appartenenti alla categoria dei creditori della BETA) dotati di poteri e prerogative, le quali, pur non concretandosi in pretese dirette sui beni in trust (ma, semmai,
sul ricavato dalla loro vendita), sono altrettanto importanti per la vita del trust (come il
diritto di informazione, il diritto di rendiconto verso il trustee ed eventualmente, nei limiti in cui ciò è consentito, il diritto di accesso ai documenti del trust) e idonee a formare
il sostrato “proprietario” della posizione dei beneficiari (inteso come trust property sulla
quale hanno l’equitable interest).
Anche sotto questo profilo, comunque, spetterà al giudizio di merito fornire una definitiva qualificazione del negozio.
179
AIAF QUADERNO 2007/2
Riguardo alla trascrizione del trust de quo, la creditrice intervenuta GAMMA S.p.A. ha
rilevato che la stessa è avvenuta in epoca anteriore all’entrata in vigore dell’art. 2645ter c.c. (introdotto dall’articolo 39-novies della Legge 23/2/2006 n. 51, di conversione del
Decreto-Legge 30/12/2005 n. 273, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 28/2/2006, n. 49),
sottintendendo l’invalidità/inefficacia della formalità pubblicitaria.
La doglianza (seppur implicita) è infondata.
In primis, si osserva che l’art. 2645-ter c.c. non menziona espressamente il trust e non
costituisce la norma che ne legittima la trascrizione: al più, può costituire una mera
conferma delle molteplici pronunce giurisprudenziali che già avevano ammesso la
trascrizione dei trust (anche di quelli di scopo o autodichiarati che, invece, secondo
le prime letture dottrinali, sembrano esclusi dall’ambito di applicazione della citata
disposizione).
In secondo luogo, l’art. 12 della Convenzione de L’Aja (e, quindi, della Legge 364/1989)
statuisce: “Il trustee che desidera registrare beni mobili o immobili o i titoli relativi a tali
beni, sarà abilitato a richiedere l’iscrizione nella sua qualità di trustee o in qualsiasi altro
modo che riveli l’esistenza del trust, a meno che ciò sia vietato dalla legge dello Stato
nella quale la registrazione deve aver luogo ovvero incompatibile con essa”; è evidente
che nel nostro ordinamento il sistema pubblicitario della trascrizione nei pubblici registri
costituisce lo strumento attraverso il quale rendere manifesto ed opponibile il vincolo
costituito.
Inoltre (e soprattutto), poiché “il trustee è l’unico titolare dei beni e dei conseguenti poteri di gestione e disposizione propri del diritto di proprietà, sia pure qualificata”, anche
al di là del disposto dell’art. 12 della Convenzione, non può che discendere dal riconoscimento ex lege dell’istituto l’obbligo di consentire la trascrizione dell’acquisto a favore del
trustee: in assenza di trascrizione, infatti, l’effetto segregativo (che è essenziale nel trust)
risulterebbe inopponibile ai terzi (così il Tribunale di Bologna nel decreto del 28/4/2000,
in Trusts e Attività Fiduciarie, 2000, pag. 372). In altri termini, se il vincolo che consente
di costituire un patrimonio separato rispetto a quello del trustee non godesse di pubblicità e non potesse quindi essere opposto, quale significato potrebbe darsi alla ratifica di
una Convenzione internazionale che prevede al suo art. 11, quale effetto minimo ed automatico del riconoscimento, proprio la distinzione dei beni in trust da quelli del trustee?
La giurisprudenza degli ultimi anni ha confermato la trascrivibilità nei RR.II.: oltre al
citato decreto del 28/4/2000 del Tribunale di Bologna, si annoverano i provvedimenti del
Tribunale di Chieti – decreto 10/3/2000 (in Trusts e Attività Fiduciarie, 2000, pag. 372),
del Tribunale di Pisa – decreto 22/12/2001 (in Trusts e Attività Fiduciarie, 2002, pag. 241),
del Tribunale di Milano – decreto 29/10/2002 (in Trusts e Attività Fiduciarie, 2003, pag.
270), del Tribunale di Verona – decreto 8/1/2003 (in Trusts e Attività Fiduciarie, 2003, pag.
409), del Tribunale di Parma – decreto 21/10/2003 (in Trusts e Attività Fiduciarie, 2004,
pag. 73). Anche nel regime tavolare è stata generalmente ammessa la pubblicità dei trust:
Tribunale di Trento – Sezione distaccata di Cavalese – decreto 20/7/2004 (in Trusts e Attività Fiduciarie, 2004, pag. 574), Tribunale di Trento – Sezione distaccata di Cles – 7 aprile
2005 (in Trusts e Attività Fiduciarie, 2005, pag. 406), Tribunale di Trieste – 23 settembre
2005 (in Guida al Diritto, 2005, n. 41, pag. 57; quest’ultima pronuncia è particolarmente
significativa perché supera le obiezioni mosse dal Tribunale di Belluno col decreto del
25/9/2002, in Trusts e Attività Fiduciarie, 2003, pag. 255).
Si tratta di provvedimenti con pregevoli motivazioni (alle quali si rimanda, non essendo
necessario – in questa sede – ripercorrere le argomentazioni logico-giuridiche da ciascuno addotte) che ammettono la trascrizione dei trust “interni” e dei trust autodichiarati
(ove la trascrivibilità è generalmente riconosciuta richiamando l’affinità dell’istituto al
180
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
fondo patrimoniale, pacificamente trascrivibile ai sensi dell’art. 2647 c.c.)
Concludendo, l’opposizione non appare prima facie (ed impregiudicata una diversa valutazione all’esito del giudizio di opposizione, anche alla luce delle eventuali domande riconvenzionali dell’opposta) sfornita di fumus, dovendosi fortemente dubitare del
diritto della ALFA di procedere all’espropriazione dei beni pignorati, precedentemente
costituiti in trust.
P.Q.M.
visti gli artt. 624 e 616 c.p.c.,
SOSPENDE
la procedura esecutiva immobiliare n. 200/2006 R.G. Esecuzioni promossa da ALFA
S.p.A. contro YYY
FISSA
termine perentorio al 30/9/2007 per l’introduzione del giudizio di merito, secondo le modalità previste in ragione della materia e del rito, previa iscrizione a ruolo della causa, a
cura della parte interessata, osservati i termini a comparire di cui all’articolo 163-bis c.p.c.
(o altri se previsti) ridotti della metà
MANDA la Cancelleria per la comunicazione alle parti.
Reggio Emilia, 14 maggio 2007
Il Giudice dell’Esecuzione
Dott. Giovanni Fanticini
TRIBUNALE BOLOGNA,
SENTENZA 20.3.06
in Trusts e attività fiduciarie, “Responsabilità del trust per le obbligazioni contratte da
un terzo”, Ottobre 2006, p. 579 e ss.
(omissis)
nella causa civile iscritta al n... del Ruolo Generale dell’anno 2004, promossa da:
… s.r l. elettivamente domiciliata in Bologna, via Monte Grappa 3, presso e nello studio
dell’avv. Gabriella Luca che la rappresenta e difende
- ricorrente
contro
…s.r.l. non in proprio ma in qualità di trustee del trust “Figli di...”
elettivamente domiciliata in Bologna, Via …, presso e nello studio dell’avv. Antonella
Vannacci che la rappresenta e difende
- resistente
In punto a: PAGAMENTO CANONE DI LOCAZIONE
CONCLUSIONI
Il Procuratore della ricorrente chiede e conclude:
“Ogni contraria istanza ed eccezione respinta e previa ogni opportuna declaratoria,
accertato che la sig.ra T. A. ved. C. ha rilasciato anticipatamente e senza alcun preavviso
e consenso della proprietà i locali siti in Bologna via... di proprietà della ditta …;
accertato che il Trust Figli di... in persona del legale rappresentante pro- tempore gestisce
181
AIAF QUADERNO 2007/2
il patrimonio dei C. e pertanto è tenuto a rispondere dei debiti contratti dalla sig.ra T.
A.;
dichiarare lo stesso Trust Figli... in persona del legale rappresentante responsabile del
grave inadempimento;
condannare di conseguenza il convenuto a versare alla ditta ricorrente i canoni di locazione a partire dal mese di aprile 2002 fino al mese di settembre 2002 compreso per un
importo totale di € 11.163,18 oltre interessi convenzionali pari al tasso ufficiale di sconto
maggiorato di tre punti oltre spese condominiali di € 824,89 oltre al risarcimento dei danni pari ad € 7.456,06 pari alle spese sostenute per la riparazione della porta basculante del
garage ed al ripristino dell’appartamento rilasciato e così in totale per € 19.547,09 detratto
il deposito cauzionale di € 5.577,73 per un totale di € 13.969,36 oltre interessi legali o di
quella diversa somma che dovesse risultare di giustizia, con rivalutazione monetaria ed
interessi;
condannare il Trust Figli di... al rimborso delle spese, diritti ed onorari del presente giudizio con sentenza esecutiva per legge”.
Il Procuratore della resistente chiede e conclude:
“In ipotesi: dichiarare la nullità dell’atto introduttivo, per incertezza sulla parte
convenuta;
In ipotesi gradata: dichiarare la irregolare notifica dello stesso;
In tesi: voglia dichiarare l’assoluta carenza di legittimazione passiva della TRUST srl nel
procedimento n.../04 promosso dinanzi a codesto Giudice.
Con vittoria di spese, diritti ed onorari di causa”.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 18.2.2004 la ditta ... S.r.l., in qualità di proprietaria e locatrice
di un immobile ad uso abitativo sito in Bologna via..., chiedeva, previo accertamento
dell’unilaterale e non autorizzato rilascio del bene da parte della conduttrice T. A. e previo altresì accertamento dell’obbligo del Trust Figli di... di rispondere dei debiti contratti
dalla medesima, condannare il Trust stesso al pagamento dei canoni di locazione dal
mese di aprile 2002 sino al mese di settembre 2002, con gli interessi legali, nonché al risarcimento dei danni corrispondenti alle spese sostenute per il ripristino dell’immobile,
con consequenziale condanna alle spese processuali.
Assumeva parte ricorrente che la conduttrice aveva rilasciato l’immobile previo invio
di disdetta in data 5.7.2002 contravvenendo alla clausola che prevedeva la naturale scadenza del contratto al 30.9.2005 e rimanendo morosa nel pagamento dei canoni dal mese
di aprile 2002; che la proprietà aveva reperito un nuovo conduttore solo nel mese di settembre 2002; che la conduttrice T. aveva procurato danni all’immobile; che il patrimonio
della sig. T. veniva gestito dal Trust convenuto.
Si costituiva la Trust s.r.l. non in proprio ma quale trustee del Trust “Figli di...” eccependo la mancanza di legittimazione passiva di quest’ultimo in quanto privo di personalità
giuridica e nel merito chiedendo il rigetto delle domande attoree attesa l’estraneità del
patrimonio costituente la dotazione del Trust Figli di... rispetto alle obbligazioni patrimoniali facenti capo direttamente alla sig. T., madre dei soggetti beneficiari del Trust.
La causa veniva decisa all’udienza del 17.11.2005 con la lettura immediata del dispositivo
in udienza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Esaminata preliminarmente, deve disattendersi la preliminare eccezione di difetto di
legittimazione passiva: difatti, benché impropriamente sotto il profilo lessicale, l’individuazione in ricorso della controparte nel “Trust Figli di... in persona del Legale rappresentante pro-tempore” realizza esattamente la vocatio in jus della parte convenuta secon-
182
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
do la volontà della parte ricorrente la quale, difatti, riteneva di poter far valere le proprie
ragioni sul patrimonio costituente la dotazione del Trust medesimo.
La circostanza che tale patrimonio non costituisca un soggetto autonomo di imputazione
giuridica e non abbia, quindi, giuridicamente un legale rappresentante ma rappresenti
solo un patrimonio separato rispetto a quello personale del trustee, cioè del soggetto
(persona fisica o giuridica) cui è demandata l’amministrazione di esso resta priva di effetti e rilevanza qualora, come nel caso di specie, ci sia stata in giudizio la costituzione del
trustee ed il pieno esercizio da parte di questi dei poteri difensivi.
Nel merito, le domande del ricorrente sono infondate.
Dall’atto istitutivo del Trust “Figli di...” si evince chiaramente che il fine del Trust è l’amministrazione dei beni costituenti la dotazione di esso nell’interesse dei soli beneficiari A.
ed A. C. S., figli appunto di M. C. e della di lui vedova T. A.
Pertanto, per le obbligazioni contratte direttamente dalla sig. T. quest’ultima è l’unica a
doverne rispondere patrimonialmente, essendo invece del tutto irrilevante che nei contatti stragiudiziali il precedente trustee del Trust convenuto abbia operato in maniera tale
da far ingenerare nella parte ricorrente il convincimento erroneo che quelle obbligazioni
sarebbero state onorate ricorrendo alle disponibilità economiche del Trust.
L’assoggettamento del patrimonio costituente la dotazione del Trust al soddisfacimento
di obbligazioni non contratte nell’interesse dei beneficiari è, infatti, assolutamente estraneo alle facoltà ed ai poteri riconosciuti al trustee dall’atto istitutivo del trust.
Conclusivamente, l’adempimento del debito - se ed in quanto esistente - della sig. T. in
ordine al pagamento dei canoni dovuti per la locazione dell’immobile di proprietà della
parte ricorrente ed al risarcimento dei danni arrecati all’immobile medesimo doveva essere chiesto alla stessa sig. T. e non già al Trust “Figli di...”.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate, d’ufficio, come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale di Bologna, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, eccezione,
deduzione disattesa, così provvede:
1) Rigetta la domanda di cui al ricorso;
2) Dichiara tenuta e condanna parte ricorrente alla refusione delle spese di lite in favore
della parte convenuta che liquida d’ufficio in complessivi € 1.100,00 di cui € 700,00 per
onorari, € 400,00 per diritti, oltre spese generali, cpa ed iva come per legge.
TRIBUNALE TRIESTE, UFFICIO DEL GIUDICE TAVOLARE,
DECRETO 23.9.05
Il notariato, 2006, 1, 10; Trusts e attività fiduciarie, 2006, 1, 83
Il giudice tavolare, letta la domanda proposta dal Notaio dott. Xxx per conto di yyy,
quale trustee del trust “www”, visti gli atti ed esaminata la documentazione, osserva
quanto segue.
Benché l’istituto del trust, inteso in termini necessariamente generali ed astratti, sia stato
recepito dall’ordinamento giuridico italiano fin dal 1° gennaio del 1992, dopo l’adesione
di Regno Unito, Italia ed Australia alla Convenzione de L’Aja del 1.7.1985, rimane tuttora
aperto il dibattito – che qui non si ritiene necessario affrontare – sulla natura delle norme
così introdotte: se cioè si tratti di prescrizioni di diritto uniforme sostanziale, ovvero di
regole di diritto internazionale privato, caratterizzate peraltro da alcune peculiarità di-
183
AIAF QUADERNO 2007/2
rettamente connesse all’originalità dell’istituto al quale si riferiscono.
Le numerose pronunzie giudiziarie di merito, quasi tutte favorevoli all’applicazione del
trust, rendono in parte obsoleta sia questa problematica, che, più in generale, la stessa
contrapposizione dottrinaria sull’astratta compatibilità dell’istituto con la tradizione giuridica italiana: la diatriba, dopo un rapido sviluppo caratterizzato da toni di confronto
poco consoni ad un dibattito scientifico, si è piegata su se stessa, senza produrre risultati
di sintesi, acuendo progressivamente le divergenze sino a creare due vere e proprie correnti in irriducibile contrasto.
In ogni caso, il superamento della tesi sulla presunta irriconoscibilità di un trust interno, conseguente alla qualifica della Convenzione (o meglio, della legge di ratifica)
come norma di diritto internazionale privato, sembra ormai adeguatamente giustificato dalla giurisprudenza di merito (per tutte, Tribunale di Bologna, sent. 1.10.2003,
Landini/Trombetti e Sofir S.r.l., pluriedita).
Numerose ed inequivoche sono peraltro le tracce della penetrazione dell’istituto a livello di prassi applicativa, forense e non: il riferimento al “diritto vivente”, così disdegnato da una nota dottrina, fermamente critica nei confronti del trust, richiede oggi un
nuovo grado di apprezzamento, in questo come in altri settori del diritto. Non ha mancato di sottolinearlo la Suprema Corte di Cassazione (Cass., Sez. un., sent. 11096/2002)
che, premiando proprio un “orientamento giurisprudenziale - già diritto vivente - che
inquadrava l’assegnazione della casa familiare tra i diritti personali di godimento”, ha
evidenziato la volontà del legislatore di creare “una nuova tipologia di atti trascrivibili”
proprio al fine di rendere opponibili tali diritti.
Gli sforzi e le linee di tensione, che si possono individuare nei provvedimenti resi
dalla giurisprudenza di merito nei settori più disparati (dal diritto di famiglia a quello
fallimentare, dal diritto successorio a quello societario), testimoniano della scelta degli operatori pratici di affrancarsi da posizioni preconcette e di principio per verificare
in concreto l’utilità dello strumento, la liceità e la meritevolezza di tutela dell’istituto,
indubbiamente estraneo al nostro ordinamento giuridico.
Non viene più colta l’impellente necessità di individuare un concetto unitario di trust, o
di forzare il suo inquadramento nelle figure negoziali tradizionali, con acrobatici collegamenti tra istituti o delicate operazioni di genetica giuridica, frantumando e ricomponendo molecole negoziali alla ricerca di una tipizzazione impossibile.
Per quanti sforzi si possano fare, il trust - che pure alberga nell’ordinamento positivo italiano, per le ragioni sopra esposte - sfugge ad ogni qualificazione, è mutevole d’assetto,
è teleologicamente versatile, dimostrandosi in grado di tutelare, in modo pieno e soddisfacente, interessi ed obiettivi che fino a ieri potevano essere perseguiti in maniera
parziale, meno diretta o efficace.
Nel caso in esame, si è al cospetto di un atto istitutivo di un trust interno di scopo, il cui
programma negoziale vale a costituire – al tempo stesso – il fine del trust e la giustificazione dell’atto di trasferimento immobiliare di cui si chiede pubblicità tavolare: diviene
quindi operativo il combinato disposto degli artt. 11 e 13 della Convenzione de L’Aja del
1.7.1985, che consente al giudice di vagliare la compatibilità del trust e degli atti collegati
(nonché della legge straniera prescelta dalle parti) con l’ordinamento giuridico italiano;
inoltre, la richiesta di dare pubblicità tavolare al trasferimento immobiliare effettuato a
favore del trustee determina la diretta applicazione, nell’ordinamento giuridico italiano,
dell’art. 12 della Convenzione.
Al giudice tavolare, nel doveroso controllo di legittimità formale e sostanziale che caratterizza il suo giudizio, e che gli impone l’accesso diretto e pregnante alla causa del
programma negoziale (accesso di fatto impedito in occasione di un precedente culminato nel rigetto del ricorso tavolare, da parte del giudice tavolare di Cortina d’Ampezzo,
e nel conseguente reclamo al Tribunale di Belluno, nel cui provvedimento - si ritiene
184
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
sommessamente - possono leggersi alcuni spunti per una plausibile decisione favorevole
al reclamante, qualora gli elementi portati all’esame dei giudici fossero stati diversi) ai
sensi dell’art. 26 della legge generale sui libri fondiari, nel testo allegato al R.D. 499/1929,
viene offerto un punto di osservazione privilegiato, e per certi versi più ampio di quello
del giudizio ordinario, in quanto sganciato dalla contenziosità ed immerso in un’analisi
ufficiosa del programma negoziale.
Questa occasione di approccio al trust consente, considerate anche le peculiarità del caso
di specie, di muoversi lungo la strada che prima la giurisprudenza, sulla scorta della
dottrina, e poi il legislatore hanno solcato con i loro provvedimenti, ponendo in essere
un’inarrestabile disgregazione dei tradizionali assetti proprietari.
Questo cammino non può essere qui ripercorso nelle sue singole fasi, che vanno dal riconoscimento alla successiva regolamentazione della multiproprietà, alla disciplina dei
fondi pensionistici, a quella dei beni gestiti da società fiduciarie, alla cartolarizzazione
dei crediti: conviene piuttosto rinviare alla dottrina, ed ai non pochi provvedimenti giudiziari, che ne hanno individuato i connotati più importanti in termini di atipicità degli
istituti, di legittimità delle segregazioni dei patrimoni, di parcellizzazione del diritto di
proprietà, di ampliamento dell’ambito applicativo della trascrizione.
A quest’ultimo riguardo si nota, e se ne farà applicazione concreta con questo provvedimento, che oggetto della pubblicità immobiliare non è di per sé l’atto, quanto il suo effetto, nel senso che la trascrizione dell’atto è solo strumentale al fine dell’opponibilità
ai terzi della vicenda circolatoria che all’atto si ricollega.
La tassatività delle norme sulla trascrizione (in un parallelismo con il sistema pubblicitario del libro fondiario che, più avanti, si avrà modo di verificare come perfettamente
lecito) va riguardata non già sotto il profilo dell’atto, ma sotto quello degli effetti. L’art.
2645 cod.civ., nello stabilire che deve rendersi pubblico, agli effetti previsti dall’articolo
precedente, “ogni altro atto o provvedimento che produce in relazione ai beni immobili
o a diritti immobiliari taluno degli effetti dei contratti menzionati nell’art. 2643”, pone
appunto un principio di tipicità di risultati e non di atti, nel senso che va trascritto (ed
in regime tavolare va iscritto) qualsiasi atto che, pur non rientrando nello schema dei
contratti, degli atti o provvedimenti o delle sentenze indicati nell’art. 2643 cod.civ., tuttavia produca uno o più degli effetti ad essi rapportabili. Ma quanto alla tipologia effettuale, già quasi quarant’anni fa la Suprema Corte di Cassazione (Cass., Sez. 1, sent.
n. 3664 del 11.11.1969) aveva esplicitato come gli effetti non dovessero essere del tutto
identici a quelli dei contratti menzionati nell’art 2643 cod civ., potendo essere anche e
solamente similari. In logica prosecuzione dell’insegnamento, Cass. Sez. 2, sent. n. 11250
del 14.11.1997 ha poi precisato che merita pubblicità “il negozio … finalizzato ad incidere
sul regime dominicale della “res” e, in particolare, su diritti considerati dall’ordinamento
inerenti al bene immobile oggetto della convenzione negoziale e, pertanto, in assenza di
contrario titolo, appartenenti al proprietario - o ai proprietari - dell’immobile medesimo”
(nella fattispecie, si trattava della riserva, da parte del costruttore di uno stabile, del diritto di proprietà del lastrico di copertura e del relativo “ius inaedificandi”). In altri termini,
tutto ciò che limita e comprime strutturalmente il diritto reale deve essere suscettibile di
pubblicità (in tal senso anche Cass., Sez. 2, sent. n. 213 del 10.1.1994 che, avviando a soluzione un contrasto in seno alla Suprema Corte, ha invocato un’interpretazione estensiva
dell’art. 2653 n. 1 cod. civ., al fine di assentire la trascrizione di una domanda giudiziale
diretta ad imporre il rispetto dei limiti legali della proprietà).
Per quanto sia precisa convinzione del giudice che l’art. 12 della Convenzione operi direttamente nel tessuto normativo interno, consentendo la trascrizione dell’atto di
trasferimento della proprietà immobiliare ad un trustee, tuttavia questo risultato deve
essere verificato in concreto, per saggiare il rispetto dei principi dell’ordinamento giuridico italiano: ciò sia con riguardo alla dimensione di tipicità del diritto di proprietà in
185
AIAF QUADERNO 2007/2
capo al trustee, sia quanto alla trascrivibilità dell’acquisto. Ma prima di passare all’analisi
delle questioni di fatto, vanno ora esplicitati i parametri cui si farà riferimento per l’apprezzamento del programma negoziale e quali siano i confini dello stesso giudizio di
meritevolezza.
Si sostiene infatti da parte di specifica dottrina, la quale ha esaminato l’istituto del trust
interno con riferimento alle varie figure negoziali regolate dall’ordinamento italiano, che
all’inquadramento del trust in un negozio atipico, diretto a realizzare interessi meritevoli
di tutela, ostino sia il principio del numerus clausus dei diritti reali che l’impossibilità,
per definizione, di integrare le possibili lacune negoziali facendo ricorso a figure tipizzate di negozi. Sembra però questa l’occasione per prendere le distanze da quella “furia tipizzatrice” che suole ricondurre ogni negozio atipico allo schema tipico ad esso maggiormente somigliante, applicandogli poi brandelli di quella disciplina: l’atipicità del negozio
non impone sempre un affanno qualificatorio, un identikit di genetica giuridica, potendo
bensì l’interprete fermarsi alla mera individuazione, all’interno del negozio atipico, dei
suoi parametri generali (id est: efficacia obbligatoria o traslativa, natura corrispettiva o
unilaterale o gratuita, aleatorietà o commutatività, e così oltre), per poi adattare al caso
di specie le regole generali dell’ordinamento, o quelle che, essendo comuni alle figure
negoziali maggiormente similari a quella atipica, vengono a rappresentarne impronte indelebili. Non occorrerà quindi una perfetta sincronia strutturale o effettuale con i negozi
tipizzati, ma sarà sufficiente la mera possibilità di condurre il negozio atipico a categorie
apprezzate dall’ordinamento. Si rammenterà, del resto, che la Suprema Corte di Cassazione ha ammesso la configurabilità di negozi traslativi atipici, purché sorretti da
causa lecita, fondandola sul principio dell’autonomia contrattuale di cui all’art. 1322
comma 2 cod. civ. (Cass., Sez. 3, sent. 9.10.1991 n. 10612).
Le considerazioni che seguono, in ordine alla tipicità del diritto di proprietà del trustee,
saranno esposte quando le esigenze di motivazione richiederanno di affrontare i singoli
momenti di emersione della problematica: oltre a quanto già scritto sulla disgregazione
dei tradizionali assetti proprietari, si rinvia alla parte più strettamente tavolare del presente provvedimento.
Ciò detto quanto all’individuazione dei parametri per l’apprezzamento del programma
negoziale (per la cui approfondita analisi si rinvia oltre), e venendo ai confini del giudizio di meritevolezza, giova rimarcare come la norma di cui all’art. 1322 cod. civ. vada
collocata nella più modesta cornice che, dopo l’adozione della Costituzione, le compete
secondo parte della dottrina, la quale giunge a parificare questo giudizio a quello di liceità: l’interprete dovrebbe dunque limitarsi all’esame della non contrarietà del negozio
alle norme imperative, all’ordine pubblico ed al buon costume. È questa una delle più
condivisibili chiavi di lettura per spiegare la mancanza di consapevoli apporti giurisprudenziali all’analisi della norma, una volta abbandonato quel criterio dell’”utilità sociale”
che, nella relazione al codice civile, aveva giustificato la pur contestata adozione della
norma.
L’analisi sommaria delle principali e più recenti sentenze della Suprema Corte di Cassazione in materia conferma che della norma viene operata una lettura ambigua, tutto
sommato rapportabile ad altri e più ricorrenti istituti, che non a quello - pur ampiamente
sbandierato - della “meritevolezza di interesse” (v. Cass., Sez. 1, sent. n. 75 del 5.1.1994
che riporta all’assenza di meritevolezza quella che, in realtà, sembra essere l’inidoneità
in concreto della causa negoziale; Cass., Sez. 1, sent. n. 9975 del 20.9.1995 che sanziona,
con la nullità per mancata realizzazione di interesse meritevole di tutela, un negozio che
limitava le possibilità del socio di liberarsi delle proprie quote, ritenendolo però in concreto contrasto con il principio dell’ordinamento che vieta l’assunzione di obbligazioni
di durata indeterminata; Cass., Sez. 3, sent. n. 982 del 28.1.2002 che ha ritenuto la meritevolezza di una particolarissima pattuizione, in considerazione della “assimilabilità” del
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PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
negozio atipico alla commissione gratuita).
Se è vero, secondo il tradizionale insegnamento della Corte Costituzionale, che l’autonomia contrattuale è solo indirettamente tutelata dall’art. 41 Cost. e deve comunque
cedere di fronte a motivi di ordine superiore (economico e sociale) considerati rilevanti dalla Costituzione, è però altrettanto incontroverso che il perseguimento dei valori
costituzionali è compito riservato allo Stato, e non ai privati, e che i principi sovraordinati fungono, riguardo all’autonomia contrattuale, quali limitazioni inderogabili, più
che come finalità che i contraenti debbano prefiggersi.
Se quindi il trust, come tanti altri negozi di importazione extranazionale, non è di per sé
ed in termini assoluti uno strumento idoneo a determinare squilibri “macro-economici”, rimanendo sostanzialmente irrilevante in un’ottica di utilità sociale, allora coerenza
vuole che il sindacato dell’autorità giudiziaria debba concentrarsi – abbandonando i
“massimi sistemi” - sulla liceità in concreto dello strumento prescelto, per vedere se
con la sua adozione ci si sia proposti di derogare a norme imperative ed a principi
generali. Per fare ciò, grazie alle prerogative riconosciute al giudice tavolare e di cui sopra si è detto, non ci si potrà limitare ad un apprezzamento in negativo, ma si dovranno
altresì “ricostruire sistematicamente gli effetti” del negozio, per verificare se essi siano
rapportabili a quelli previsti dall’ordinamento giuridico, e se si perseguano ulteriori
obiettivi non altrimenti raggiungibili con gli strumenti ordinari, altrimenti rimanendosi all’interno del fenomeno del negozio misto, del collegamento negoziale, della frantumazione e ricomposizione negoziale di cui si è scritto.
Che si tratti di una valutazione simile se non uguale a quella imposta dall’art. 1323 cod.
civ. sulla liceità della causa, o se ne diverga qualitativamente o quantitativamente, è una
questione per la cui soluzione si può fare rinvio alla dottrina che anche recentemente ne
ha offerto un’attenta analisi. Preme solo precisare che con riguardo al trust non appare
sussistere il rischio di globalizzante dominio di una nuova lex mercatoria, in quanto a
regolamentare il trust sono pur sempre i legislatori nazionali, i loro ordinamenti giuridici
ed i relativi apparati giudiziari, e non “gli uffici legali delle grandi multinazionali”.
Queste considerazioni sui limiti dell’indagine sulla meritevolezza dell’assetto di interessi
risultano confortate dalla constatazione che l’effetto patrimoniale segregativo, il quale
immancabilmente caratterizza il trust, deriva non solo dalle singole fattispecie negoziali create dai contraenti, ma ancor prima (direttamente ai sensi dell’art. 11 o, in via
mediata, ai sensi dell’art. 2) dalle previsioni normative che la Convenzione de l’Aja
impone - nei noti limiti - di riconoscere.
Si tratta però – in forza della previsione di cui all’art. 13 della Convenzione - anche di
analizzare se la legge prescelta dalle parti per la regolamentazione del trust sia contraria all’ordinamento giuridico italiano, o sia utilizzata dalle parti per attuare una frode
alla legge nazionale: ma tutto ciò dovrà essere sindacato in una precisa prospettiva,
da non abbandonare a priori. Si rammenterà infatti che, essendo l’adozione di un trust
un’espressione di iniziativa economica di cittadini o di enti (tali essendo i settlors nell’atto in esame) europei, l’esercizio di questa libertà fondamentale va considerato legittimo
fino a che non si provino (o non vengano colti d’ufficio, quando l’analisi sia compiuta in
un procedimento inaudita altera parte, come quello tavolare) “elementi indicativi di un
abuso … nel singolo caso concreto”, senza arrestarsi ad “una valutazione generale ed
astratta” (queste espressioni sono utilizzate da organi giudiziari comunitari).
In sintesi: sia l’autonomia negoziale, espressione diretta di libertà fondamentale garantita dal Trattato sull’Unione Europea (tutelata a livello costituzionale solo indirettamente, in quanto l’art. 41, comma primo, Cost., protegge l’autonomia negoziale come
mezzo di esplicazione della più ampia libertà di iniziativa economica, che si esercita
normalmente in forma di impresa – sent. n. 268 del 22-30/06/1994, est. Mengoni), la quale
si concreti nell’istituzione del trust, sia il riconoscimento della legge straniera concre-
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AIAF QUADERNO 2007/2
tamente regolatrice del rapporto di trust, devono formare oggetto di apprezzamento giudiziario: ma questo giudizio rimane caratterizzato, per utilizzare l’espressione
adottata da prestigiosa dottrina, da un “favor validitatis del trust”, fondato – oltre che
sulle considerazioni sopra svolte – anche sugli art. 6.2 (validità della scelta del tipo di
trust, qualora disciplinato dalla legge di rinvio) e 14 (applicabilità extraconvenzionale
di leggi più favorevoli al riconoscimento di trust) della Convenzione.
Fatta questa necessaria premessa, si osserva che quello in esame è un trust cd. interno
(nazionali essendo i suoi protagonisti, i beni impiegati per la sua istituzione, il luogo
nel quale di realizzerà concretamente l’obiettivo che le parti si sono prefisse), è un trust
di scopo, non caritatevole, e senza beneficiario (v. art. 10 del negozio sull’appartenenza
finale dei beni in trust in cui si individuano, tassativamente e senza possibili alternative,
nei disponenti stessi i soggetti destinatari finali del bene immobile trasformato e del denaro eventualmente residuato, una volta raggiunto (o nell’impossibilità di raggiungere)
lo scopo del trust.
Le parti hanno scelto, come legge regolatrice di questo trust, la Trust Jersey law 1984 as
amended 1996, sancendo comunque che le obbligazioni e le responsabilità del trustee
siano disciplinate cumulativamente dalla legge italiana e da quella di Jersey, devolvendo
alla giurisdizione italiana ed alla competenza del Foro di Trieste ogni controversia relativa all’istituzione, alla validità o agli effetti del trust.
Quanto alla sua prima caratteristica, ritiene questo giudice tavolare non più dubitabile la
possibilità di adottare lo strumento del trust cd. interno (le argomentazioni dottrinarie
e giurisprudenziali a sostegno sono talmente puntuali e diffuse da poter essere semplicemente richiamate, condividendole, nella coscienza di non potere ad esse aggiungere
nulla di originale), se non foss’altro per non discriminare, in modo incostituzionale, il
cittadino italiano da quello straniero che decidesse di istituire un trust in tutto e per tutto “italiano” tranne che per la di lui cittadinanza e per la legge regolatrice. È questo un
argomento suggestivo, forse meno profondo dogmaticamente degli altri comunemente
spesi, e pur tuttavia capace di mostrare con evidenza la sterilità dei tentativi di negare
legittimità all’istituto del trust interno.
Con riguardo alla qualifica di trust di scopo, non charitable, si osserva che la tipologia
negoziale è sanzionata con la nullità dal diritto inglese, ma è stata oggetto di recenti
e ripetuti interventi normativi da parte di altri legislatori di common law nell’ultimo
ventennio, nella perpetua rincorsa delle nuove forme di contrattazione e delle prassi
emergenti.
La crisi del concetto di “charity”, per un verso, e la necessità di individuare (per operazioni di natura per lo più finanziaria) un “centro di controllo di un’operazione che non
sia al tempo stesso un centro di profitto”, hanno determinato il sorgere ed il prolificare
di questo schema, all’interno del quale sono già stati colti alcuni elementi invariabili ed
imprescindibili: si tratta della presenza di uno scopo chiaro e lecito da perseguire; della
necessità di un enforcer dotato di particolari poteri di controllo; dell’assenza di beneficiari, cioè di soggetti dotati dei poteri e delle prerogative ad essi tradizionalmente spettanti:
ciò in quanto di beneficiari, o di destinatari, si potrà parlare al momento in cui – e solo
se – l’operazione si sarà perfezionata e lo scopo sarà stato perseguito.
Per adeguarsi ad altri Paesi (Bahamas, Cook Islands, Cipro, Belize, Cayman Islands, e
tanti altri) ed alla tumultuosa normazione in tema di trust di scopo, Jersey ha emendato
la propria già apprezzata legge fondamentale del 1984, inserendo tra gli altri l’art. 10
A (“trusts for non-charitable purposes”) al fine di rimuovere la sanzione di invalidità
che, tradizionalmente, affettava i casi di istituzione di un trust di scopo non caritatevole: ciò ha fatto imponendo - però - la nomina immancabile di un enforcer che, nel caso
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PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
di specie, esiste ed è dotato di poteri. La legge in questione, nel suo complesso, e nelle singole previsioni applicabili alla fattispecie, non contiene principi o regole contrarie
all’ordine pubblico italiano.
Tornando, in modo analitico e non più solo sistematico, all’analisi del programma negoziale, si osserva che il Comune di YYY e la Fondazione xxx, con le rispettive dotazioni
immobiliare e mobiliare, intendono perseguire lo scopo di realizzare un’area destinata all’accoglienza dei bambini da 3 a 12 mesi, così da consentire alle famiglie di
usufruire di un nuovo servizio pubblico. Con il pieno trasferimento a suo favore della
proprietà del bene immobile da modificare e degli importi di denaro da impiegare, il
trustee viene investito di quanto gli serve per la realizzazione dello scopo, con precisi
obblighi di rendicontazione, particolarmente puntuali a causa della natura pubblica
del bene immobile e dell’entità dei fondi da impiegare. Le sue prerogative appaiono
quelle tradizionalmente riconosciute in negozi del genere, con l’ovvio divieto – però - di
alienare o diversamente gravare i beni in trust perché ciò determinerebbe l’irrealizzabilità del programma negoziale.
Sembra del tutto intuibile che questi fini particolari non risultano perseguibili in altro
modo, sia da parte del Comune di YYYY che della Fondazione xxx, se non a mezzo
dell’istituzione di un trust.
Quanto all’ente territoriale, la presumibile carenza di fondi, il vincolo posto dagli strumenti dell’evidenza pubblica, e tutte le implicazioni connesse alla gestione di fondi pubblici, determinerebbero un irrigidimento delle scelte progettuali ed esecutive, ed un
ovvio allungamento dei tempi di realizzazione. Quanto alla Fondazione xxx, lo scopo
in oggetto non poteva essere raggiunto neanche con la costituzione di una società strumentale, ai sensi dell’art. 3 del D.Lgs. 153/1999 e della successiva normativa di settore, e
ciò in quanto il bene oggetto dell’intervento non è di proprietà o in disponibilità esclusiva della Fondazione stessa, bensì è bene pubblico.
Passando al momento di verifica della liceità delle singole previsioni negoziali, ritiene
il giudice tavolare che non emerga alcuna violazione della legge di Jersey, e pertanto
possa dichiararsi in concreto la validità ed efficacia del trust, ai sensi dell’art. 3 della
Trust Jersey law 1984.
In particolare:
il trust “esiste” in conformità a quanto previsto dall’art. 2 lett. b) della Trust Jersey law
1984;
vi è un trasferimento effettivo di beni (art. 8), nel rispetto della lex rei sitæ (come si dirà
a proposito della peculiare natura del bene immobile), ed in misura sufficiente per il
perseguimento dello scopo [art. 50, 1), lett. a)];
lo scopo del trust appare lecito e soprattutto ha natura sostanziale – in osservanza della
Trust Jersey law 1984 as amended 1996, nella sua interpretazione generalmente accettata,
che esclude la legittimità di un trust con scopo “interno” (nel senso che il trust dovrebbe venir meno a causa dell’errore del settlor nel disporre del “beneficial interest”) -, in
quanto lo scopo è quello materiale dell’ingrandimento dell’edificio destinato ad ospitare
l’asilo comunale;
non sussiste l’invalidità di cui all’art. 10, anche perché si tratta di fattispecie derogatoria,
sussumibile nella previsione dell’art. 10 A;
i doveri del guardiano, come quelli del trustee, sono dettagliatamente previsti nell’atto di
trust: rimane una lacuna, integrabile ai sensi dell’art. 1374 cod. civ., nel senso che al difetto
di espressa previsione dell’obbligo del trustee di consentire al guardiano di accedere alla
documentazione contabile (trattandosi di trust di scopo non caritatevole) supplisce l’immediata e necessitata applicazione della norma (apparentemente inderogabile) di cui all’art.
189
AIAF QUADERNO 2007/2
25, lett. d), ultimo inciso, della Trust Jersey law 1984, come novellata (amendement n.3);
la durata del trust è ampiamente inferiore al secolo;
è prevista la remunerazione del trustee, peraltro in misura non nota;
i rapporti con i terzi e le forme di pubblicità sono adeguatamente disciplinati;
vi è disciplina dettagliata in ordine alla distribuzione dei beni al termine del trust o in
caso di anticipazione o estinzione.
L’atto istitutivo del trust non contiene poi pattuizioni che violino norme inderogabili
specifiche o principi precettivi dell’ordinamento italiano: sarebbe mera esercitazione accademica quella di affrontare la tematica del contrasto del trust con la norma dell’art.
2740 cod. civ., viste le peculiarità del programma e, soprattutto, della natura del bene
immobile e dei soggetti disponenti.
Quanto alla Fondazione xxx, l’attività espletata rientra tra quelle statutarie, nel rispetto
della normativa di settore, essendo perseguito uno scopo di chiara utilità sociale, e in
osservanza dei principi di economicità di gestione.
Quanto al Comune di Duino-Aurisina, la natura del bene immobile, appartenente al patrimonio indisponibile dell’ente territoriale, impone una riflessione.
Sembra ormai acquisito, in dottrina e giurisprudenza, che il bene patrimoniale indisponibile non sia una res di per sé insuscettibile di appartenere ad altri all’infuori della
Pubblica Amministrazione, come accade per il demanio; è piuttosto un bene la cui strumentalità caratterizza e demarca i limiti della sua stessa commerciabilità, nel senso che
di esso si può disporre l’attribuzione in godimento al privato ma solo nel rispetto del
pubblico interesse, e sotto forma di un diritto condizionato (Cass., Sez. un., sent. n. 11491
del 22.11.1993 sull’utilizzo della concessione-contratto). Orbene, il diritto tavolare trasferito in capo al trustee è caratterizzato da indubbia impronta proprietaria, ma è particolarmente conformato, è funzionalmente vincolato al perseguimento dello scopo, oltre ad
essere temporalmente e condizionatamente delimitato. Infatti la vicenda traslativa non
trova altra giustificazione se non quella della sua totale ed assorbente tensione alla realizzazione finale del programma negoziale; il bene trasferito non può essere diversamente
utilizzato, non può essere alienato o diminuito, ed il suo temporaneo e condizionato
passaggio di proprietà non determina la diminuzione o la cessazione dell’attività pubblica, che viene disimpegnata nella parte di asilo non interessata dai lavori: l’alienazione
non è quindi di ostacolo, ma è finalizzata alla migliore futura realizzazione dell’interesse
pubblico. Si richiamano qui le precisazioni contenute nella delibera del Comune di YYY
(allegato “B” all’atto istitutivo di trust), in cui si descrive l’obiettivo della “realizzazione
dell’ampliamento in tempi estremamente ridotti rispetto al normale iter procedurale”
grazie all’istituzione del trust, e si attesta che “il trustee durante l’esecuzione dei lavori di
ampliamento … metterà a disposizione del Comune l’attuale sede dell’asilo nido in modo
da non incidere sulla funzionalità del servizio”.
Per queste ragioni, apprezzando le motivazioni che hanno spinto l’amministrazione pubblica a deliberare la stipula del trust e del contestuale atto di trasferimento, si ritiene che
non sussista violazione della norma di cui all’art. 828, comma 2, cod. civ., né la nullità del
negozio ex art. 1418 cod. civ..
Terminando, vanno analizzate le problematiche squisitamente tavolari del ricorso in
oggetto.
L’atto di trasferimento di proprietà dal settlor al trustee, per un tempo massimo di due
anni dalla data dell’atto costitutivo e salvo il verificarsi di una serie di condizioni risolutive non meramente potestative, merita – ed anzi impone - la forma più completa di
pubblicità tavolare, quella dell’intavolazione.
La merita in quanto si è comunque al cospetto di una vicenda derivativo-costitutiva
inter vivos che non sembra affatto legittimo limitare alla forma meno pregnante della
pubblicità-notizia, sotto forma di annotazione, dovendo piuttosto culminare nell’inta-
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PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
volazione del diritto reale, in quanto il programma negoziale stesso lo postula per la
realizzazione di fini leciti, e perché lo strumento prescelto lo consente. La previsione di
cui all’art. 12, comma 2, del R.D. 499/1929 (sulla applicabilità delle norme che in regime
ordinario stabiliscono la pubblicità immobiliare, “in quanto non vi osti la diversa natura
delle iscrizioni”) non è di ostacolo alla pubblicità nel libro fondiario; infatti, quand’anche
si negasse l’immediata e diretta operatività dell’art. 12 della Convenzione de L’Aja del
1.7.1985, l’effetto ostensivo discenderebbe dalla previsione dell’art. 20, lett. h), della legge
generale sui libri fondiari, nel testo allegato al R.D. 499/1929, secondo cui deve formare
oggetto di annotazione tavolare qualsiasi “atto o fatto, riferentesi a beni immobili, per il
quale le leggi estese, quelle anteriori mantenute in vigore o quelle successive richiedano
o ammettano la pubblicità - con la precisazione fondamentale e spesso trascurata - a
meno che questa debba eseguirsi nelle forme dell’art. 9 della presente legge” (ossia sotto
forma di iscrizione dei relativi diritti reali). Poiché siamo al cospetto del trasferimento
del diritto di proprietà, ossia del diritto reale per eccellenza e quindi di un diritto tavolare, tale situazione giuridica soggettiva deve essere intavolata, e non semplicemente
annotata insieme al suo titolo. Se invero ci si limitasse all’annotazione del titolo, ne deriverebbe che il trustee non potrebbe disporre (nel caso, retrocedendolo) del diritto reale
immobiliare nel modo più ampio possibile – pur nei limiti dei poteri e del programma
negoziale –, in quanto non sussisterebbe la “continuità tavolare” tra il soggetto tavolarmente iscritto e l’alienante trustee, essendo solo annotato l’atto traslativo; ed ancora, un
creditore, il quale non potesse effettuare iscrizioni a peso della proprietà (mai intavolata
o prenotata a nome) del trustee, sarebbe - questo sì! – un creditore ingiustamente pregiudicato. Legittima quindi è la richiesta di intavolazione dello specifico e concreto diritto di
proprietà in capo al trustee.
La pubblicità tavolare si impone anche per altra ragione e sotto diversa forma. Chiunque
si trovi ad interferire giuridicamente con questo diritto tavolare – chè tale è il diritto di
proprietà del trustee -, deve poter conoscere i suoi limiti e quelli della legittimazione del
suo titolare, ai sensi dell’art. 94, comma 1, n. 2, della legge generale sui libri fondiari, nel
testo allegato al R.D. 499/1929. La pubblicità di tali limiti è una esigenza intimamente
connessa al sistema tavolare, a garanzia dei traffici e dei crediti, proprio come lo è lo speculare dovere di rifiutare pubblicità di tutto ciò che è ultroneo rispetto alla vicende reali
o di rilevanza immobiliare. Nel caso di specie, e senza che ciò possa valere sempre ed in
ogni fattispecie di trust, quelle pattuite non sono limitazioni di carattere personale, connesse agli specifici rapporti tra disponenti e trustee, ma veri e propri connotati strutturali
del diritto reale, di cui è doverosa la pubblicità. In altri termini: solo una forma di diritto
di proprietà di queste fattezze è idonea a consentire la realizzazione del programma negoziale che i disponenti si sono prefissi, e tali sembianze devono essere pubblicizzate in
via diretta ed immediata.
Rimane quindi da precisare se la qualità di trustee in capo all’alienatario debba essere
solo annotata nel foglio “B” della proprietà, ovvero se debba essere direttamente l’intavolazione nel libro fondiario ad indicare la condizione di trustee dell’acquirente.
Come sopra espresso, ritiene il giudice tavolare che nel caso di specie, in considerazione
della speciale provenienza del bene, del programma vincolato, delle caratteristiche del
trust di scopo, e quindi per tutte le ragioni sopra evidenziate, si sia al cospetto di una
particolare forma di proprietà che imponga di esplicitare subito e direttamente i limiti
che la caratterizzano: il diritto tavolare, quale risultante dall’atto istitutivo di trust, deve
essere quindi iscritto in capo al trustee in tale qualità. In casi diversi, nei quali la vicenda
traslativa costituisca - ad esempio - il momento più rilevante del programma negoziale,
e non un mero strumento per il miglior raggiungimento del vero scopo del trust, queste
conclusioni potrebbero non essere più valide, rimanendo i vincoli mere clausole obbligatorie, non conformanti il diritto reale.
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AIAF QUADERNO 2007/2
Giova solo precisare che, in regime tavolare, la nota problematica sulla natura obbligatoria o reale dei vincoli imposti al trustee assume valenza piuttosto teorica. Infatti
al giudice tavolare spetta il potere-dovere di concedere l’iscrizione tavolare solo se, ai
sensi dell’art. 94, co. 1 n. 2, della legge generale sui libri fondiari, nel testo allegato al
R.D. 499/1929, “non sussiste alcun giustificato dubbio sulla capacità personale delle parti
di disporre dell’oggetto a cui l’iscrizione si riferisce o sulla legittimazione dell’istante”.
Qualora, quindi, il trustee decidesse di alienare il bene costituito in trust senza rispettare
i limiti posti a suo carico, ad esempio cedendolo a terzi diversi dal beneficiario, il giudice
tavolare dovrebbe negare l’iscrizione tavolare a favore dell’alienatario, senza porsi tanto
il problema della natura reale o personale dei vincoli violati, afferendo comunque essi
alla capacità di disporre del bene: non si dimentichi che il regime tavolare sconosce l’istituto della vendita a non domino.
Si precisa infine che la disposizione dell’art. 11 della Convenzione esonera dall’indagine
sullo status e sul regime patrimoniale familiare del trustee.
Gli elementi negoziali accidentali e tipizzati, quali il termine finale e le condizioni di cui
agli artt. 5, 9 e 10 dell’atto di trust, vanno annotati insieme all’atto che li contiene, ai sensi
dell’art. 20 h) della legge generale sui libri fondiari, nel testo allegato al R.D. 499/1929.
Tutto ciò premesso, il giudice tavolare, in accoglimento del ricorso, così
DECRETA
a) escorporare dal ct. 2° della xxx del Comune Censuario di xxx d’iscritta ragione del xxx,
la p.c. xxx pascolo e la p.c. xxx scuola e formare con le stesse il ct. 1° della nuova xxx del
Comune xxx;
b) intavolare il diritto di proprietà del ct. 1° della PT. xxx del Comune xxx a nome di xxx
(nato a xxx il xxx), quale trustee del trust “xxx”, con l’annotazione delle condizioni e dei
termini di cui agli artt. 5, 9 e 10 dell’atto di trust.
Trieste, 23 settembre 2005
Il conservatore
Il Giudice tavolare
(Dott. Arturo Picciotto)
TRIBUNALE FIRENZE,
SENTENZA DEL 2.7.05
in Trusts e attività fiduciarie, “Ammissibilità del Trust interno nell’ordinamento
italiano”(beni in comunione ereditaria), Gennaio 2006, p. 89 e ss.
(omissis)
B) Nel merito:
1. Ammissibilità del ricorso all’istituto del trust nel nostro ordinamento, anche nella forma del trust interno.
Ritiene il Giudice che debba essere esaminata in primo luogo l’eccezione di nullità in
punto di ammissibilità del c.d. Trust interno, che assume carattere preliminare. Si osserva in primo luogo che con il riconoscimento della convenzione adottata a L’Aja in data
1.7.1985, avvenuta con legge n. 364 del 1989, il nostro stato ha inteso esplicitamente riconoscere l’ammissibilità nel nostro ordinamento dell’istituto del trust - istituto giuridico
proprio dei paesi di Common Law - individuando da un lato la legge applicabile (artt.
6-9), dall’altro la riconoscibilità nel nostro ordinamento (art. 11-14) nonché i requisiti
192
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
minimi per il riconoscimento (artt. 3-5) e le caratteristiche fondamentali (art 2). In particolare all’art. 2 la Convenzione ha definito i trust come “rapporti giuridici istituiti da una
persona, il costituente - con atto tra vivi o mortis causa - qualora dei beni siano stati posti
sotto il controllo di un trustee nell’interesse di un beneficiario o per un fine specifico”
specificando che “Il trust presenta le seguenti caratteristiche: a) i beni del trust costituiscono una massa distinta e non fanno parte del patrimonio del trustee; b) i beni del trust
sono intestati a nome del trustee o di un’altra persona per conto del trustee; c) il trustee
è investito del potere e onerato dell’obbligo, di cui deve rendere conto, di amministrare
gestire o disporre dei beni secondo i termini del trust e le norme particolari impostegli
dalla legge. Il fatto che il costituente conservi alcune prerogative o che il trustee stesso
possieda alcuni diritti in qualità di beneficiario non è necessariamente incompatibile con
l’esistenza di un trust.”
Dalle parole utilizzate emerge con evidenza l’ampiezza e la genericità della definizione
del trust, accentuata dall’uso di una terminologia atecnica, tale da far ritenere il trust,
negli ampi confini delimitati dalla convenzione, una categoria alla quale possono essere
ricondotti molteplici istituti giuridici degli Stati contraenti, ciò che richiede un attento
esame degli atti istitutivi dei trust, per accertarne l’effettiva riconducibilità all’ampio (tanto da essere stato definito “amorfo”) schema di cui alla convenzione. Siffatto esame è peraltro necessario anche al fine di verificare l’assenza di contrasto con norme inderogabili
di legge, o di applicazione necessaria o di ordine pubblico, in quanto in tal caso ai sensi
degli artt. 15, 16 e 18 trova applicazione la legge interna, mentre non vi sono altri limiti
che il trust incontri nel nostro ordinamento, non avendo lo stato italiano inteso formulare
riserve in sede di ratifica.
Sussiste contrasto tra le parti circa l’ammissibilità del c.d. “trust interno”, figura che ricorre allorquando, come nel caso di specie, si sia in presenza di un trust istituito da
un cittadino italiano, su beni siti nel territorio italiano a favore di beneficiari italiani,
residenti in Italia, e anche i trustees siano di nazionalità italiana e residenti in Italia,
e solo la legge scelta dal disponente sia straniera, nel caso di specie essendo prevista
l’applicazione della legge inglese.
I1 contrasto tra le parti sul punto muove dai diversi argomenti, come ampiamente sviluppati dalla dottrina nonché in alcune pronunce di merito.
La tesi che escluderebbe l’ammissibilità dei trust interni si fonda principalmente su argomenti di natura internazional-privatistica. Si sostiene in primo luogo che poiché l’art.
6 della convenzione citata stabilisce il principio della libertà di scelta della legge applicabile al trust, la scelta presupporrebbe l’esistenza di una fattispecie caratterizzata da
elementi di internazionalità per giustificare l’intervento del diritto internazionale privato, che non opera laddove non vi sarebbe alcun conflitto possibile di leggi, trovando
applicazione la legge del foro. Si ricorda che l’art. 5 della convenzione, qualora la legge
determinata dal disponente non preveda l’istituto del trust come definito dall’art. 2 non
potrebbe darsi luogo al riconoscimento come trust del rapporto giuridico, localizzato
nell’ordinamento la cui legge è applicabile. Ma in proposito deve obiettarsi che qualora
ci si trovi innanzi ad una convenzione di diritto uniforme relativa a norme di diritto
internazionale privato riferite ad obbligazioni contrattuali, la scelta della legge applicabile è normalmente consentita, a prescindere dalla c.d. internazionalità del rapporto, in
quanto rientra di massima nell’autonomia negoziale la facoltà di scelta della disciplina
applicabile al rapporto. Va piuttosto osservato che si sostiene ancora che la costruzione
di un trust retto dal diritto inglese, quando tutti gli elementi sostanziali della fattispecie si riferiscono all’ordinamento italiano, potrebbe essere considerata una costruzione
abusiva che non potrebbe condurre alla deroga di disposizioni imperative del diritto italiano. In proposito rileva il Giudice che tale argomento non vale ad escludere
l’ammissibilità in astratto del trust interno, ma impone piuttosto un’analisi pregnante
193
AIAF QUADERNO 2007/2
degli atti istitutivi del trust per verificare l’eventuale sussistenza, in concreto in deroga
a disposizioni imperative, ineludibili dall’autonomia privata. La quale però deve essere
rispettata ogni qual volta, entro il limite predetto, e dunque legittimamente, cerchi di
realizzare un particolare risultato negoziale, anche ricorrendo a tecniche, pure diverse
e nuove, maggiormente consone al raggiungimento dello scopo negoziale, in particolare, con riferimento al trust, in relazione ad operazioni economiche non adeguatamente
regolabili con il ricorso agli schemi classici della fiducia e del mandato. Occorrerà dunque in concreto valutare l’assenza di contrasto con norme imperative del diritto nazionale oltre che la meritevolezza dell’interesse perseguito.
Va quindi ricordato che ai sensi dell’art. 11 della convenzione il riconoscimento del
trust implica come contenuto minimo “che i beni dei trust siano separati dal patrimonio personale del trustee, che il trustee abbia la capacità di agire in giudizio ed essere
citato in giudizio, o di comparire in qualità di trustee davanti ad un notaio o altra
persona che rappresenti un’autorità pubblica”, in particolare impedendo l’aggressione dei beni del trust da parte dei creditori del trustee. Ciò in quanto la segregazione
rispetto al patrimonio del trustee è l’effetto naturale del trust, in quanto i beni in trust
sono beni ai quali è impressa una specifica destinazione, che prevale rispetto a pretese
confliggenti.
Da tale norma ben può ricavarsi che il trust non dia in realtà luogo ad una scissione
del diritto di proprietà, rigorosamente individuato nel suo contenuto unitario dall’art.
832 c.c., ma crea un rapporto dialettico tra due coesistenti diritti su uno stesso bene,
il “legal estate” - ai fini dell’amministrazione - e l’“equitable estate” - ai fini del godimento, secondo i tratti tipici del trust nel diritto inglese, il cui regime è il risultato della
coesistenza nell’ordinamento inglese di due distinti ordini di regole: la common law
e 1’equity. Tali ordini interagiscono nell’istituto del trust - e nella delimitazione fra la
competenza del diritto comune e quella dell’equity la determinazione del diritto di
proprietà spetta al diritto comune, mentre spetta all’equity stabilire quali siano i comportamenti contrari alle norme di coscienza - e fanno sì che la questione circa chi sia il
proprietario del trust sia in realtà mal posta, dovendosi attribuire piuttosto rilievo al
fatto che l’attribuzione patrimoniale programmata dal disponente abbia carattere di coessenzialità rispetto ad uno scopo specificamente perseguito, senza che vi sia in realtà
una “doppia proprietà”, ma una sola proprietà, mentre i diritti del beneficiario di un
trust (la sua equitable ownership), sarebbero posti a carico del trustee, e non ricavati
dal suo diritto, ciò che escluderebbe ogni possibile contrasto con l’art. 832 c.c.
Si osserva ancora che il trust interno non potrebbe ammettersi per contrasto con l’art.
2740 c.c., quale norma italiana inderogabile o di applicazione necessaria: ma in proposito deve ritenersi che l’effetto segregativo è previsto proprio dalla convenzione in
deroga all’ordinamento e che l’art. 11 della L.364/89 deve ritenersi eccezione di fonte
legislativa al principio della responsabilità limitata. Peraltro la possibilità di costituire
patrimoni separati - quale è il trust - non è estranea al nostro ordinamento (si pensi, a
titolo esemplificativo, agli artt. 1707, 167, 1881, 1923, 490, 2117 c.c., oltre che all’art. 3
della legge 23.3.1983 n. 77; all’art. 22 D.lgs. 24.2.1998 n. 58; oltre che all’art. 2447 bis sui
“patrimoni destinati ad uno specifico affare”), ciò che smentisce la portata di principio
generale di ordine pubblico attribuita all’art. 2740 c.c. (Cfr. Tribunale Bologna 1.10.2003
n. 4545).
Non vi sono dunque effettivi ostacoli ordinamentali all’ammissibilità di trust interni,
che si deve per contro affermare sulla base dell’art. 6 della Convenzione che stabilisce
la libertà di scelta della legge applicabile al trust, e dell’art. 11 che prevede l’obbligo
per gli stati di riconoscere gli effetti del trust nei rispettivi ordinamenti una volta che
il trust sia stato costituito in conformità a questa legge, senza che l’Italia abbia posto,
come avrebbe potuto, alcuna limitazione.
194
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
L’ammissibilità in linea di principio del trust interno si ricava inoltre dall’art. 13, da
interpretarsi quale norma di chiusura, che nonostante la regola generale di ammissibilità dettata dalla convenzione, consente di non riconoscere un trust interno - ossia un
trust “i cui elementi importanti, ad eccezione della scelta della legge da applicare, del
luogo di amministrazione e della residenza abituale del trustee sono più strettamente
connessi a Stati che non prevedono l’istituto del trust o la categoria del trust”. Ciò
che è possibile accada allorché, nonostante le limitazioni dell’art. 15 e nonostante gli
ordinari rimedi del diritto interno contro gli atti dispositivi in pregiudizio dei diritti dei
terzi, uno specifico trust per un insieme di circostanze produca effetti inaccettabili per
l’ordinamento.
Deve dunque riconoscersi l’ammissibilità in astratto del ricorso a trust interno da parte di
F.F., salvo valutare in concreto validità ed efficacia dell’atto dispositivo.
2. Effetti della sentenza di divisione e sussistenza della comproprietà al momento dell’atto istitutivo del trust.
L’attore ha eccepito in primo luogo la nullità dell’atto istitutivo del trust F. in quanto il
disponente avrebbe sottoposto nel trust “gli immobili ed i mobili allo stesso attribuiti con
la citata sentenza del Tribunale di Firenze n. 2972/2000”, in quanto avrebbe in tal modo
disposto, come beni di sua esclusiva proprietà, di immobili che, al contrario alla data del
31.1.2001 erano in proprietà comune con l’ing. C. F., addirittura per una quota minoritaria
(13/27) rispetto a quella maggioritaria (14/27) in capo a quest’ultimo. Secondo l’assunto
dell’attore ciò sarebbe avvenuto sulla base dell’erroneo e illegittimo presupposto per il
cui il Tribunale con la predetta sentenza “sciogliendo la comunione ereditaria nascente
dalla successione del padre del disponente sig. C. F.... ha assegnato al disponente la piena
proprietà di alcuni immobili oltre ad alcuni beni mobili” (premesse dell’atto 31.1.2001).
Nell’atto si legge inoltre che “il disponente desidera costituire e ricomprendere da subito
nel trust come sopra istituito tutti gli immobili a lui assegnati con la citata sentenza”.
Poiché la sentenza di primo grado, impugnata, è priva di provvisoria esecutività, ad avviso dell’attore, permane allo stato la medesima e non mutata situazione comproprietaria
su tutti i beni immobili costituiti in trust, con tutti i connessi diritti dell’attore, comproprietario di maggioranza, negati o emulativamente compressi dalle controparti, se non
azzerati con l’atto impugnato.
L’assunto dell’attore circa l’assenza di provvisoria esecutività della sentenza di primo
grado, con conseguente permanere allo stato della situazione di comproprietà, deve essere condiviso, considerato che, per giurisprudenza pacifica della S. C. “L’anticipazione
dell’efficacia della sentenza rispetto al suo passaggio in giudicato ha riguardo soltanto al
momento della esecutività della pronuncia, con la conseguenza (atteso il nesso di correlazione necessaria tra condanna ed esecuzione forzata) che la disciplina dell’esecuzione
provvisoria di cui all’art. 282 cod. proc. civ. trova legittima attuazione soltanto con riferimento alle sentenze di condanna, le uniche idonee, per loro natura, a costituire titolo
esecutivo, postulando il concetto stesso di esecuzione un’esigenza di adeguamento della
realtà al “decisum” che, evidentemente, manca sia nelle pronunce di natura costitutiva
che in quelle di accertamento (Cass. Sez. I, sent. n. 1037 del 06-02-1999).
Va quindi osservato con riferimento alla pronuncia di divisione, a cui fanno rinvio le
condizioni apposte all’atto istitutivo del trust, che “Il principio della natura dichiarativa
della sentenza di divisione opera esclusivamente in riferimento all’effetto distributivo,
per cui ciascun condividente è considerato titolare, sin dal momento dell’apertura della
successione, dei soli beni concretamente assegnatigli e a condizione che si abbia una
distribuzione dei beni comuni tra i condividenti e le porzioni a ciascuno attribuite siano
proporzionali alle rispettive quote; non opera invece, e la sentenza produce effetti costitutivi, quando ad un condividente sono assegnati beni in eccedenza rispetto alla sua quota, in quanto rientranti nell’altrui quota” (Cass. Sez. II, sent. n. 9659 del 24-07-2000) e che
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AIAF QUADERNO 2007/2
«In tema di divisione giudiziale, una volta passata in giudicato la sentenza con la quale
è stato disposto lo scioglimento della comunione e siano stati determinati i lotti questi
entrano da quel momento a far parte del patrimonio di ciascuno degli ex comunisti se
pure, nel caso ne sia disposto il sorteggio, l’individuazione in concreto di costoro abbia
luogo successivamente in concomitanza con tale adempimento di carattere puramente
formale, onde qualsiasi evento si verifichi nel frattempo a vantaggio o in danno dei beni
costituenti ciascun singolo lotto, si verifica a vantaggio od in danno dell’ex comunista
cui lo stesso verrà assegnato in sede di sorteggio, senza che tali accadimenti possano più
minimamente influire sulla determinazione della composizione dei lotti e dar luogo ad
ulteriori aggiustamenti o conguagli” (Cass. Sez. II, sent. n. 7129 del 25-05-2001).
3. L’istituzione di trust e la sottoposizione nel trust degli immobili e dei mobili attribuiti
a F.F. con la sentenza di scioglimento della comunione.
Con atto del 31.1.2002 F.F. premesso che il tribunale di Firenze con sentenza n. 2972/2000
in data 20 giugno-15 novembre 2000, sciogliendo la comunione ereditaria nascente dalla
successione del padre del Disponente signor C. F. aveva assegnato al disponente la piena
proprietà di alcuni immobili oltre ad alcuni beni mobili; che la sentenza non era passata
in giudicato e sarebbe stata presumibilmente appellata (come infatti è avvenuto), dichiara
di desiderare “che il complesso dei beni ricompresi nel lotto che sarà a lui definitivamente
assegnato con sentenza definitiva sia mantenuto unito nel tempo per essere attribuito ai
figli delle sue figlie quando essi raggiungeranno un’età da lui giudicata idonea per poterne opportunamente godere, affidandone la gestione a persone degne di fiducia per la
loro migliore amministrazione e conservazione” e “a tale scopo il disponente istituisce il
trust contenuto nel documento che viene allegato a questo atto sotto la lettera A”. Il disponente dichiarava altresì di desiderare “costituire e ricomprendere da subito nel trust
come sopra istituito tutti gli immobili a lui assegnati con la citata sentenza o alternativamente quelli che dovessero essergli attribuiti con la sentenza definitiva”. Precisava che
in base alla legge inglese applicabile e alla convenzione: a) i beni del trust costituiscono
una massa distinta, non fanno parte e sono separati dal patrimonio del disponente e del
trustee, non fanno parte del suo regime matrimoniale o della sua successione; b) i creditori personali del trustee, del disponente e dei beneficiari non possono aggredire i beni
del trust”. Dava quindi atto (art. 2) che 2.2.a “gli immobili attribuiti in piena proprietà al
disponente con la citata sentenza sono costituiti in trust sotto la condizione risolutiva che
tale sentenza non passi in giudicato e la sentenza definitiva modifichi la composizione
degli immobili attribuiti al disponente; 2.2.b gli altri immobili oggetto della stessa comunione ereditaria sono costituiti in trust sotto la condizione sospensiva e limitatamente a
quelli che siano ricompresi nel lotto attribuito al disponente con sentenza definitiva”. Veniva stabilito altresì che “in conseguenza di questo atto il patrimonio sottoposto al trust
costituisce un patrimonio separato e su di esso il disponente cessa di avere ed esercitare
ogni responsabilità, potere e diritto proprietario, responsabilità, diritti e poteri che da
questo momento saranno assunti ed esercitati da trustee pro tempore non nell’interesse
proprio ma nell’esclusivo interesse dei fini e dei beneficiari del trust”.
Venivano quindi specificati i beni ricadenti nel trust sotto condizione risolutiva che la
sentenza non fosse modificata, ricomprendendovi il fabbricato... il fabbricato di via... e i
fondi ad uso negozi di via...
Venivano specificati quali beni oggetto della comunione ereditaria, sotto la condizione
sospensiva e limitatamente a quelli che siano ricompresi nel lotto definitivamente attribuito al disponente, il palazzo..., nella sentenza di primo grado attribuito a C. F.
Si osserva che nella premessa dell’allegato A), il cui tenore è parzialmente difforme dalla premessa dell’atto si dà atto che il Tribunale di Firenze con la medesima sentenza
15.11.2000 avrebbe riconosciuto che al disponente compete la quota di 13/27 sui beni relitti, e al figlio C. la quota di 14/27, e che “il disponente desidera che la sua quota di 13/27
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PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
dei beni inclusi nelle citate successioni sia mantenuta unita nel tempo allo scopo di pervenire ai figli delle sue figlie, quando essi saranno in età di poterli opportunamente godere” aggiungendo che “il disponente trasferisce in questo momento al Trustee appresso
nominato la somma di lire dieci milioni”. Sono quindi individuati come “beni in trust” la
somma di cui in Premessa; i beni immobili inclusi nella quota di 13/27 delle successioni
di cui in Premessa. Si ribadisce che i beni in trust sono separati dal patrimonio proprio
del trustee e non sono in alcun caso aggredibili né dai suoi creditori né dai creditori del
disponente, e che i diritti e le obbligazioni del trustee sono disciplinate cumulativamente
dalla legge inglese e dalla legge italiana e che “per l’applicazione della legge italiana, il
trustee è considerato quale gestore di beni che, sebbene di sua proprietà, sono destinati
a soddisfare esclusivamente interessi altrui e ad essere trasferiti ai beneficiari”, trasferimento da attuare al termine del trust.
Si dispone altresì che “il trustee dispone dei beni in trust senza alcuna limitazione che
non risulti in questo strumento”, e che il reddito del trust, come tale intendendosi “ogni
frutto dividendo, interesse o altra utilità prodotto dai Beni in trust o percepito dal trustee” è “a discrezione del trustee accumulato nel trust o distribuito ai beneficiari del
reddito o parte accumulato e parte distribuito; in caso di discrezione spetta al trustee
decidere discrezionalmente a vantaggio di quale beneficiario”.
4. Tanto premesso in linea di principio in punto di effetti della sentenza di scioglimento
della comunione - con la conseguenza che permane immutata allo stato, e fino al passaggio in giudicato della sentenza di divisione, la comunione ereditaria sui beni che sono
stati sottoposti nel trust - e richiamati i tratti salienti dell’atto istitutivo del trust F., rileva
il Giudice che non può negarsi, in linea di principio, la possibilità per il comproprietario
di disporre della propria quota. Così come deve riconoscersi la possibilità di disporre anche di singoli beni purché, in tal caso, sotto condizione sospensiva che al momento dello
scioglimento della comunione i beni gli vengano assegnati, ogni qual volta la divisione
abbia carattere dichiarativo, cosicché i beni si considerano di proprietà divisa dei singoli
ab origine, operando la divisione retroattivamente cioè ex tunc e non ex nunc. Si osserva
che nel caso di specie dal tenore complessivo dell’atto e dalla menzione separata dei beni
oggetto del trust si ricava che si versa in tale seconda ipotesi, ossia che si tratta non già di
disposizione della quota della comunione, bensì dei singoli beni in essa ricadenti, nella
loro specifica individuazione, distinti gli uni dagli altri.
Rileva quindi il Giudice che per contro non possono ritenersi ammissibili atti di disposizione di singoli beni sotto condizione risolutiva, dei quali il singolo non può pacificamente disporre senza l’assenso del comproprietario - considerato che nella comunione
pro indiviso il diritto di ciascun partecipante investe l’intera cosa. Tanto meno ciò è possibile allorché l’atto, nella configurazione del trust, apponga un vincolo di separazione
patrimoniale a beni ricadenti nella comunione, in palese pregiudizio dei diritti del comproprietario, tanto più a fronte della facoltà del trustee di disporre dei beni senza alcun
vincolo diverso da quelli derivanti dal trust.
Si tratta in tal caso di un atto di disposizione privo di qualsivoglia efficacia, in quanto il
trasferimento di un bene in comunione a terzi, è atto collettivo, e il negozio dispositivo,
non essendosi formata la volontà da parte di tutti gli aventi diritto - oltre che volto ad attuare un trasferimento di bene in comunione senza il consenso di uno dei comproprietari
ed in pregiudizio dei suoi diritti - è radicalmente nullo.
Ritiene quindi il Giudice che la nullità del negozio, in relazione ad uno degli oggetti
alternativi contemplati, ed in particolare con riferimento ai beni attribuiti dalla sentenza
di primo grado, non ancora passata in giudicato, che al momento istitutivo si indicava
passibile di appello non già dal disponente ma dal comproprietario C. F., produca la
nullità dell’intero atto istitutivo del trust.
Deve infatti ricordarsi che l’intento dichiarato dal disponente è nel senso “che il comples-
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AIAF QUADERNO 2007/2
so dei beni ricompresi nel lotto che sarà a lui definitivamente assegnato con sentenza definitiva sia mantenuto unito nel tempo per essere attribuito ai figli delle sue figlie quando
essi raggiungeranno un’età da lui giudicata idonea per poterne opportunamente godere,
affidandone la gestione a persone degne di fiducia per la loro migliore amministrazione
e conservazione”. Al contempo egli provvedeva alla costituzione e ricomprensione “da
subito nel trust come sopra istituito tutti gli immobili a lui assegnati con la citata sentenza o alternativamente quelli che dovessero essergli attribuiti con la sentenza definitiva”.
Orbene tenuto conto dell’effetto di segregazione perseguito, non solo rispetto al restante
patrimonio del trustee, ma anche del disponente e della volontà di dare innanzitutto
attualità ed efficacia immediata all’istituzione del trust, essendo in via principale prevista una condizione risolutiva, per i beni già attribuiti, lo scopo dell’atto istitutivo non
possa essere efficacemente realizzato sotto la condizione sospensiva in relazione a beni
provvisoriamente attribuiti dalla sentenza all’altro condividente e senza alcun manifestato intento da parte del disponente di ottenere un mutamento dell’assegnazione dei
beni in sede di divisione. In proposito deve piuttosto rilevarsi una specifica volontà di
F. F. manifestata nel corso dei molteplici giudizi tra le parti di esercitare in via esclusiva
l’azienda alberghiera..., il cui fabbricato risulta a lui assegnato nella sentenza di divisione
invocata nell’atto istitutivo del trust, ed in particolare nella parte sottoposta a condizione
risolutiva, tanto da aver tenacemente sostenuto in giudizio di esserne proprietario esclusivo, ciò che è stato radicalmente escluso nel giudizio definitivo a seguito della pronuncia della Cassazione n. 10008/96.
È poi di palmare evidenza che il trust perderebbe in radice la sua ragion d’essere avuto
riguardo allo scopo perseguito, ove fosse limitato alla somma di L.10.000.000.
Per le ragioni predette ad avviso del Giudice deve ritenersi che il trust non sarebbe stato
istituito senza quella sua parte colpita da nullità con conseguente propagazione della
nullità all’intero atto.
La domanda principale di nullità proposta da C. R. viene dunque accolta.
Appare a questo punto opportuno rilevare che la declaratoria di nullità investe direttamente l’atto dispositivo con cui è stato istituito il trust, che a ben vedere prescinde
dal fatto che l’atto inerisse ad un trust, impregiudicata restando, perché assorbita dalla
pronuncia di nullità, ogni ulteriore questione sollevata circa l’intento abusivo in concreto
perseguito tramite il ricorso al trust.
All’accoglimento della domanda, trattandosi di atto trascritto, consegue ex art. 2655 c.c.
l’ordine al Conservatore dei Registri Immobiliari di Firenze la trascrizione della presente
sentenza.
(omissis)
TRIBUNALE TRENTO,
DECRETO TAVOLARE DEL 20.7.04, “ANNOTAZIONE DI UN TRUST INTERNO
NEL REGISTRO TAVOLARE”
in Trusts e attività fiduciarie, Ottobre 2004, p. 573 e ss.
DECRETO TAVOLARE
LETTA la domanda del dott. Marco Dolzani Notaio in Trento, per conto di... nato a... il...
- residente a...
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PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
VISTO l’atto contenente istituzione di trust e sottoposizione e vincolo nel trust di beni
immobili dd. 16.12.2003 - con allegato Atto istitutivo del Trust... (rep. 18.980 - racc. 9.530
dott. Luigi Francesco Risso Notaio in Genova) - in corso di registrazione VISTA la L. 16.10.1989 n. 364 “Ratifica ed esecuzione della convenzione sulla legge applicabile ai trusts e sul loro riconoscimento, adottata a L’Aja il 1° luglio 1985”
PREMESSO:
L’istituto dei trust in seguito alla L. 364/89 (entrata in vigore il 1° gennaio 1992) con la
quale veniva ratificata da parte dello Stato italiano la Convenzione dell’Aja del 1985, ha
acquisito un diritto di cittadinanza nel nostro ordinamento.
I trust volontariamente istituiti sono l’unica categoria di trusts ammessa nel nostro
ordinamento, nonostante l’esperienza dei Paesi di Common Law rechi anche altre categorie di trusts.
La dottrina più tradizionale ha definito questo modello di trust convenzionale con l’aggettivo di “amorfo” poiché in esso non sono contenute disposizioni sostanziali uniformi volte a dare una compiuta definizione dell’istituto.
La Convenzione (art. 2) indica i requisiti minimi affinché si possa affermare di essere
in presenza di un trust e cioè: il rapporto giuridico in base al quale un soggetto, disponente, si spoglia della proprietà di parte o di tutti i suoi beni, con atto tra vivi o mortis
causa e lo pone sotto il controllo di un trustee; l’obbligo di questi di amministrarli
nell’interesse di una o più persone (beneficiary-beneficiari) o per un fine specifico.
L’effetto più importante prodotto dall’istituzione del trust è rappresentato dalla “segregazione patrimoniale”, per la quale i beni posti in trust costituiscono un patrimonio separato rispetto ai beni residui che compongono il patrimonio del disponente e
del trustee. Ne deriva, quale principale conseguenza giuridica, che qualunque vicenda
personale e patrimoniale che colpisca queste figure non travolge mai i beni in trust.
La segregazione fa sì che i beni in trust non possano essere aggrediti dai creditori personali del trustee, del disponente e dei beneficiari; in altri termini, i beni in trust risultano quindi efficacemente sottoposti ad un vincolo di destinazione (in sostanza sono
destinati al raggiungimento dello scopo prefissato dal disponente nell’atto istitutivo) e
ad un ulteriore vincolo di separazione (cioè sono giuridicamente separati sia dal patrimonio residuo del disponente sia da quello del trustee).
Uno dei punti di più difficile comprensione è rappresentato dalla dicotomia fra legge
applicabile e riconoscimento.
Si può comprendere questo passaggio se si tiene presente che l’Italia non ha una norma
di diritto positivo che dia disciplina all’istituto del trust.
Da tale fatto consegue che la legge applicabile ad un atto di trust non possa mai essere
quella italiana, mentre è senz’altro l’Italia lo Stato dove si chiederà il riconoscimento
dell’atto.
In pratica succede che un trust posto in essere secondo la Convenzione, regolato da
una legge straniera rispetto all’ordinamento dove se ne chiede il riconoscimento, deve
essere riconosciuto valido e produttivo di effetti nello Stato dove in concreto deve operare. Ciò produce ovviamente la contemporanea sinergia della legge dello Stato estero
richiamata, in qualità di legge applicabile, delle norme inderogabili e dei principi di
ordine pubblico dello Stato dove il trust è riconosciuto.
L’art. 11 della Convenzione prevede il riconoscimento per ogni trust costituito in conformità ad una legge specifica; tale riconoscimento non è però obbligatorio, posto che
il successivo art. 13 riconosce il potere, allo Stato che dovrebbe provvedere al riconoscimento, di rifiutarlo se gli elementi costitutivi del trust, all’infuori della legge regolatrice richiamata, rimandano ad un diverso ordinamento che non conosca l’istituto.
Questa eventualità è prevista dalla Convenzione per salvaguardare la sovranità dello
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Stato chiamato al riconoscimento.
Al contrario, infatti, è da ritenersi possibile e lecito, proprio in base alla Convenzione,
procedere al riconoscimento di un trust interno, intendendosi con ciò un trust i cui
elementi costitutivi siano tutti nazionali (trustee, disponente, beneficiari e beni in trust
italiani) con unico e necessario elemento di estraneità, per le ragioni suddette, la legge
applicabile, ad esempio quella inglese.
Nell’ipotesi in cui un trust, oltre alla legge applicabile, abbia anche altri elementi di
estraneità, quali beni esteri o beneficiari o disponenti, non rientra fra i trust interni,
ma è un trust che è sempre riconosciuto nel nostro ordinamento per effetto del Diritto
Internazionale Privato (D.I.P) e della Convenzione.
Teoricamente lo Stato italiano potrebbe non riconoscere un trust interno, argomentando semplicemente in base alla facoltà riconosciuta dal citato art. 13.
A parere, invece, della dottrina, ed anche di alcune decisioni giurisprudenziali, prima
tra tutte quella del Trib. di Bologna, I sez. vg. del 28.4.2000, ciò deve escludersi.
Se infatti fosse negata validità ai trust interni, regolati da legge straniera, si arriverebbe
al paradosso per il quale sarebbe obbligatorio riconoscere in Italia trusts istituiti da
stranieri, aventi ad oggetto beni siti in Italia e regolati da una legge estera, e, al contrario, negare riconoscimento al trust costituito da cittadino italiano, con evidenti profili
di incostituzionalità ex art. 3 della Costituzione.
Al fine di favorirne il riconoscimento, la Convenzione detta all’art. 15 una serie di
clausole di salvaguardia, riconducibili alle norme di applicazione necessaria, relative
alla legge applicabile, alle norme di ordine pubblico interno dello Stato che provvederà al riconoscimento ed infine, alle cosiddette norme di ordine pubblico internazionale (art. 15, comma 1, e 16, in combinato disposto con l’art. 17 della legge 31 maggio
1995 n. 281 recante “Riforma del sistema italiano di Diritto Internazionale Privato” e
l’art. 18 della Convenzione).
La mancata modifica di alcune norme interne in materia di tipicità dei diritti reali
e di trascrizione ha comportato problemi interpretativi in materia di proprietà e di
trascrizione.
La tipicità del diritto di proprietà e dei diritti reali minori è da tempo oggetto di dibattito e discussione, ben prima dell’evento del trust. Al riguardo si rileva come istituti
da poco vigenti nel nostro ordinamento, quali su tutti la multiproprietà, hanno già
efficacemente iniziato un’opera di demolizione di tale principio.
A questo logico passaggio se ne deve aggiungere un altro: il trust non da luogo in
alcun modo ad uno sdoppiamento del diritto di proprietà. I beni in trust sono solo e
soltanto del trustee con un vero e proprio trasferimento avente natura reale.
Allo stesso modo però il trustee subisce una compressione del suo diritto di godimento dei beni in trust del tutto legittimato dall’art. 832 c.c. ai sensi del quale: “il
proprietario ha diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo”.
E difatti il godimento sui beni in trust effettuato dal trustee - legittimo titolare degli
stessi - altro non è che un diverso modo di godere e disporre dei suoi beni, che la legge gli consente, come diritto soggettivo assoluto, proprio del disposto dell’art. 832.
In altri termini, mentre la titolarità del diritto di proprietà è piena, l’esercizio di tale
diritto è invece limitato al perseguimento degli scopi indicati nell’atto istitutivo. Ma
tale limitazione ha la sua fonte in un legittimo atto di autonomia negoziale del trustee, che acconsente a divenire tale con atto frutto della sua libera volontà dispositiva,
meritevole di protezione nel nostro ordinamento ai sensi dell’art. 1322 c.c.
L’art. 12 della Convenzione consente al trustee di richiedere la trascrizione dei beni
in trust nella sua qualità di trustee, a meno che ciò non sia incompatibile con l’ordinamento giuridico.
La trascrizione deve essere effettuata perché una norma internazionale speciale con-
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PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
cede alla parte il potere di richiederla e, altresì, perché il trust produce parte degli
effetti tipici dei contratti di cui all’art. 2643 e ss. c.c.
RITENUTO pertanto che l’art. 12 della Legge 364/89 ha introdotto nel nostro ordinamento una nuova fattispecie pubblicizzabile, non essendoci disposizioni espresse né
principi generali che configurino un divieto di trascrizione del trust.
Relativamente alla distinzione, anche sul piano della pubblicità immobiliare, tra effetti traslativi ed effetti vincolistici del trust, si può affermare che la pubblicità dell’effetto traslativo trova la sua giustificazione negli art. 2643 e 2645 c.c., mentre per gli
effetti vincolistici è ipotizzabile una applicazione analogica dell’art. 2647 dettato in
materia di fondo patrimoniale.
Relativamente al trust di cui alla presente istanza, trattarsi di trust interno o domestico, in quanto gli elementi significativi (salvo la legge di disciplina) sono collegati ad
uno stato “no trust” (localizzazione dei beni, residenza dei beneficiari e del settlor...);
a tale proposito la Convenzione non indica quale presupposto per la sua applicazione la presenza di elementi di estraneità ulteriori rispetto alla scelta della legge
straniera.
Posto che il trust interno sorge in conseguenza della scelta, libera e legittima ex art. 6
della Convenzione, da parte del settlor di una legge regolatrice idonea, in forza degli
art. 15, 16 e 18, qualora il trust produca effetti contrastanti con norme inderogabili o
principi di ordine pubblico, l’applicazione della legge straniera sarà sostituita dalla
legge interna.
Dall’esame della documentazione prodotta, non vi sono evidenti motivi per censurare la richiesta pubblicità del trust in oggetto.
ACCERTATO infine, con riferimento alla richiesta di pubblicità del trust, che:
1) trattasi di trust ai sensi della Convenzione dell’Aja,
2) l’atto presenta i requisiti formali previsti dalla legge,
3) i vincoli di cui alla pubblicità richiesta nascono dalla Legge (art. 11 e 12 della Convenzione), sono pertanto vincoli legali e presentano il carattere di realità in quanto ineriscono direttamente ai beni in trust con efficacia erga omnes,
4) la pubblicità del trust consente la conoscibilità ai terzi dell’effetto segregativo proprio
dell’istituto,
5) l’art. 20 h) Legge Tavolare consente alle norme giuridiche che non trovano un proprio
corrispondente specifico per la pubblicità nella Legge Tavolare di esplicare i loro effetti
anche nel sistema tavolare, fermo restante il limite della “compatibilità”,
6) nella L. 364/89 non si ravvisa alcuna incompatibilità con il sistema tavolare, trattandosi
di pubblicizzare il fatto che l’acquisto o la destinazione di un determinato immobile è
avvenuto non in nome proprio o per utilità propria, ma nella qualità di trustee, al fine di
garantirne la segregazione,
7) l’art. 12 della Convenzione non può non trovare applicazione anche nei territori a
regime tavolare, per non creare una illogica disparità di trattamento con i trustee di beni
immobili soggetti a trascrizione presso le Conservatorie dei RR-II.
RITENUTO infine, nel merito della tecnica tavolare di annotazione, che si debba annotare la “costituzione” in trust, in quanto dall’ art. 11 della L. 364/89 si ricava che un
trust “costituito” in conformità alla legge dovrà essere “riconosciuto” come trust. Tale
riconoscimento implica che i beni in trust siano “separati” dal patrimonio personale del
trustee. Scopo dell’annotazione è proprio quello di dare pubblicità all’effetto segregativo
dell’istituto, con la conseguenza che eventuali future iscrizioni pregiudizievoli potranno
essere accolte se richieste contro il trust... o contro il trustee..., rigettate invece se richieste
contro la persona fisica...,
201
AIAF QUADERNO 2007/2
VISTA la Legge Tavolare,
ORDINA
In PT... - nel fogli B delle porzioni... della p. ed... - con collegata la comproprietà della
pm...-:
l’ANNOTAZIONE della costituzione in TRUST di questo corpo tavolare, ai sensi dell’art.
11 della L. 368/89 e dell’atto contenente istituzione di trust dd. 16.12.2003.
TRIBUNALE BOLOGNA, SEZ. I CIV.,
SENTENZA 1.10.2003, N. 4545
(Trust costituito da un coniuge, con beni in comunione legale, in pendenza del giudizio
di separazione personale)
Svolgimento del processo
Con atto di citazione del …2000, xxx conveniva in giudizio T.G.e la Società Fiduciaria
yyy; l’attrice affermava:
1) che era pendente presso la Corte d’Appello di Bologna una causa di separazione
giudiziale dal coniuge (la sentenza di I grado era stata pronunciata dal Tribunale di
Bologna il 21/5/1999);
2) che con atto del 29/9/1999, registrato in data 26/10/1999, il marito aveva istituito un
trust conferendo al trustee Società Fiduciaria il potere di disporre, amministrare e gestire alcuni beni immobili che venivano contestualmente affidati (e trasferiti) per tale
scopo (in particolare, la porzione del fabbricato denominato “…”, in piena ed esclusiva
proprietà di T.G.. …, ubicato in Bologna, la quota di ½, in comunione indivisa con la
stessa, di porzioni del fabbricato sito in … con le relative pertinenze e, infine, la quota di
½, in comunione indivisa, di porzioni del fabbricato sito in …).
Nell’atto introduttivo l’attrice sosteneva che i predetti beni formavano oggetto della comunione legale tra i coniugi, la quale non poteva ritenersi cessata con la sentenza di
separazione resa in I grado stante la pendenza del giudizio di appello, e che l’atto di
disposizione realizzato era pertanto invalido. Specificamente, l’attrice chiedeva: a) di dichiarare la nullità del trust istituito in quanto inammissibile nell’ordinamento italiano sia
per la scelta della legge inglese in carenza di elementi di internazionalità, sia per il contrasto con la norma imperativa interna di cui all’art. 2740 c.c.; b) in subordine, di dichiarare la nullità dell’atto di disposizione delle quote della comunione legale riguardanti gli
immobili in … e … trattandosi di beni indisponibili ex art. 1346 c.c. e, rappresentando la
violazione dell’art. 184 c.c., di annullare il trasferimento al trustee dell’appartamento in
… Bologna.
Con comparsa depositata il …2000, si costituiva nel giudizio il T.G.., che si difendeva
sostenendo che
a) nonostante il diverso orientamento della giurisprudenza di legittimità, la comunione
legale doveva ritenersi cessata (come afferma una parte della dottrina e dei giudici di
merito) sin dal …1994, giorno in cui i coniugi erano comparsi all’udienza ex art. 708 c.p.c.
(nel corso della quale il Presidente aveva autorizzato i coniugi a vivere separati);
b) secondo la tesi esposta, l’immobile sito in Bologna, acquistato dal convenuto il …1994,
non poteva essere assoggettato al regime di comunione legale mentre erano pienamente
legittimi gli atti di disposizione di quote della comunione ordinaria sorta a seguito dello
202
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
scioglimento della comunione legale; anche aderendo al diverso orientamento secondo
cui il regime di comunione legale cessa col passaggio in giudicato della sentenza di separazione personale ma con effetto ex tunc dalla presentazione del ricorso, dovevano
ritenersi pienamente validi gli atti compiuti dal T.G.;
c) in subordine, l’appartamento in Bologna era stato acquistato con denaro proveniente
dalla vendita di cespiti personali del convenuto (il quale, tra l’altro, si riservava di chiederne conguaglio in altro giudizio);
d) l’atto istitutivo di trust era da considerarsi pienamente valido e legittimo, sia perché il predetto istituto, di origine anglosassone, è stato espressamente riconosciuto dalla
legislazione italiana (Convenzione de L’Aja dell’1/7/1985, recepita con legge di ratifica
del 16/10/1989 n. 364) come confermato anche dalla giurisprudenza (proprio sul trust in
questione, Trib. Bologna 18/4/2000), sia perché, salva l’applicazione dell’art. 1419 comma
1° c.c., la pretesa invalidità riguarderebbe solo alcune delle disposizioni del settlor. Il T.
G. rassegnava le proprie conclusioni domandando il rigetto di tutte le domande svolte
dall’attrice.
Con comparsa depositata il …/2000 si costituiva nel giudizio anche la Società Fiduciaria,
che deduceva, in primis, la carenza di interesse ad agire in capo all’attrice relativamente
alla domanda principale avanzata: difatti, a parere della società convenuta, dato che il
trust istituito dal T. G. riguardava un complesso di beni (ulteriori rispetto a quelli oggetto
di causa) trasferiti con effetti reali alla Società Fiduciaria, divenuta titolare degli stessi
in qualità di trustee, l’attrice non aveva alcun interesse né a rilevare la presunta nullità
di un complesso negozio ben più ampio ed articolato rispetto alla pretesa attorea, né a
contestare l’ammissibilità nell’ordinamento dell’effetto segregativo che non coinvolge la
posizione del T. G. (settlor), ma, semmai, quella della Società Fiduciaria (trustee).
Riguardo alla validità del trust in questione, la Società Fiduciaria, contestando le conclusioni avverse, rilevava elementi di estraneità nella cittadinanza e residenza (Repubblica
di San Marino) di uno dei beneficiari e nella residenza (sempre in San Marino) del disponente e illustrava con dovizia di particolari dottrina e giurisprudenza sull’argomento.
Infine, la Società Fiduciaria, aderendo alle ulteriori deduzioni ed eccezioni del T. G.,
chiedeva di dichiarare inammissibili e/o infondate le domande dell’attrice relative alla
validità del trust.
-omissisAll’udienza dell’…/2003 le parti precisavano le proprie conclusioni (riportate in epigrafe); il Giudice tratteneva la causa in decisione assegnando i termini di rito per le comparse conclusionali e le repliche.
Motivi della decisione
1. Deve essere esaminata preliminarmente l’eccezione della convenuta Società Fiduciaria che ha obiettato la carenza di interesse dell’attrice in merito alla contestazione della
validità del trust.
L’interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. va considerato con riguardo alla domanda proposta
nel giudizio e nell’ambito dello stesso, ovvero con riferimento al vantaggio che l’istante
si è ripromesso nel proporre la domanda (da ultimo, Cass. 24/5/2003 n. 8236).
La verifica sulla sussistenza della menzionata condizione dell’azione, poi, non può che
svolgersi in astratto valutando l’intento finale o, con altra terminologia, il bene della vita
a cui aspira il richiedente, indipendentemente dalla fondatezza delle allegazioni e delle
argomentazioni addotte a sostegno della domanda giudiziale: in altre parole, l’interesse
ad agire prescinde dalla validità delle tesi sostenute e deve essere ritenuto sussistente
qualora dall’ipotetico accoglimento delle istanze possa conseguire un vantaggio giuridicamente apprezzabile per l’istante.
Nel caso de quo, l’attrice ha prospettato la nullità del trust perché, secondo le argomen-
203
AIAF QUADERNO 2007/2
tazioni attoree, lo stesso non sarebbe riconducibile alla disciplina dettata dalla Convenzione de L’Aja, non avrebbe elementi di estraneità tali da giustificare la scelta della legge
inglese come norma regolatrice del negozio (con conseguente inoperatività della succitata Convenzione) e, inoltre, i suoi effetti sarebbero in contrasto con l’art. 2740 c.c., che - si
assume - è norma imperativa ed inderogabile dell’ordinamento italiano.
La Società Fiduciaria lamenta che la questione di nullità con riferimento all’art. 2740 c.c.
è richiamata a sproposito in quanto l’attrice non vanta alcun diritto di credito verso il
coniuge disponente, né ha rapporti di debito-credito con il trustee (il fenomeno segregativo, difatti, si limita ad impedire che i beni, effettivamente ceduti dal settlor, entrino nel
patrimonio personale del trustee e quindi che gli stessi possano mai costituire oggetto di
garanzia patrimoniale da parte di terzi creditori personali del trustee stesso); aggiunge
che la questione sollevata riguarda l’intero negozio di trust e non si limita ai beni sui
quali la L. M. accampa pretese.
A parere di questo Giudice l’attrice ha un interesse tutt’altro che astratto a sostenere la
nullità del trust, perché le sue critiche si dirigono nei confronti dell’istituto nel suo complesso e, recependo alcune indicazioni della dottrina (oramai minoritaria), sottolineano
profili di presunta incompatibilità del trust (e soprattutto del trust c.d. “interno”) con
l’ordinamento nazionale; ciò vale anche con riferimento alla pretesa contrarietà all’art.
2740 c.c., la quale diviene rilevante ove si discuta dell’ “importazione” o, melius, del riconoscimento del trust assoggettato a legge straniera in relazione alle categorie giuridiche
“tradizionali” di un Paese di civil law.
Se le argomentazioni della … fossero accoglibili (e, come si vedrà, non è questo il caso;
tuttavia, come già detto, si deve prescindere dall’esame della fondatezza della domanda
per compiere l’esame ex art. 100 c.p.c.), il negozio sarebbe affetto da radicale e totale
nullità (si potrebbe addirittura parlare di una sua estraneità all’ordinamento), e, quindi,
all’avvenuto trasferimento degli immobili al trustee non potrebbe riconoscersi alcuna efficacia e tutti i beni (e, in particolare, quegli immobili sui quali l’attrice vanta diritti ex artt.
177 ss. c.c.) “rientrerebbero” nel patrimonio del disponente come oggetto - sempre secondo le tesi attoree - della comunione legale (in realtà, il termine “rientrerebbero” è usato
in senso atecnico perché la sanzione di nullità priverebbe di effetti il trasferimento ab
origine e quindi non potrebbe propriamente parlarsi di beni “usciti” dal patrimonio).
E’ dunque innegabile che … abbia interesse a sollevare la questione di nullità del trust,
impregiudicata, però, ogni considerazione (nel merito) sulla bontà delle tesi addotte a
sostegno della domanda principale.
2. Venendo al merito, a più di dieci anni dall’entrata in vigore della Convenzione de L’Aja
dell’1/7/1985 (resa esecutiva con la L. 364/1989 e vigente dall’1/1/1992), può ritenersi
ampliamente superata la tesi che prospetta la contrarietà all’ordinamento italiano del
trust (come osserva un’autorevole dottrina, sarebbe più opportuno parlare di trusts al
plurale, ma - con larga approssimazione giuridica e in ossequio alle regole grammaticali
del nostro Paese - è possibile proporre una nozione dell’istituto al singolare, astratta ed
onnicomprensiva, facendo riferimento al trust “shapeless” o “amorfo” descritto nell’art.
2 del testo convenzionale) e la sua conseguente irriconoscibilità: ne danno conferma
sia il vivace dibattito dottrinale (che, in alcuni casi, ha raggiunto toni polemici e persino
rissosi tra i sostenitori e i detrattori di una o dell’altra teoria), nel quale la stragrande
maggioranza degli autori si è schierata su posizioni favorevoli all’istituto, sia le numerose pronunce giurisprudenziali, che, quasi unanimemente, hanno risolto in senso
positivo la questione della compatibilità col nostro ordinamento (per un panorama
delle decisioni che, anche incidentalmente, hanno affrontato vicende attinenti all’istituto
del trust: Trib. Milano 27/12/1996; Trib. Genova 24/3/1997; Trib. Lucca 23/9/1997; Corte
App. Milano 6/2/1998; Pret. Roma 13/4/1999; Trib. Roma 8/7/1999; Trib. Chieti 10/3/2000;
204
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
Trib. Bologna 18/4/2000; Trib. Perugia 26/6/2001; Corte App. Firenze 9/8/2001; Trib. Pisa
22/12/2001; Trib. Perugia 16/4/2002; Trib. Firenze 23/10/2002; Trib. Milano 29/10/2002; Trib.
Verona 6/12/2002; Trib. Roma 4/4/2003; Trib. Bologna 28/5/2003,; Trib. Bologna 16/6/2003;
in senso sfavorevole all’istituto, Trib. Santa Maria Capua Vetere 14/7/1999 e Trib. Belluno
25/9/2002).
Conformemente ad altri precedenti giurisprudenziali (Trib. Lucca 23/9/1997; Corte App.
Milano 6/2/1998; Trib. Bologna 18/4/2000, che ha ordinato al Conservatore dei RR.II. di
trascrivere proprio l’atto di cui si discute in questa sede; Trib. Pisa 22/12/2001), questo
Giudice ritiene che “definire illecito l’istituto del trust è, in diritto, carente di significato
ove solamente si consideri essere il nostro Paese parte della Convenzione de L’Aja del 1°
luglio 1985 sulla legge applicabile ai trust e sul loro riconoscimento … Non è revocabile in
dubbio, infatti, che gli Stati firmatari della Convenzione, pur considerando il trust come
un “istituto peculiare creato dai tribunali di equità dei paesi di common law”, hanno
espressamente convenuto di stabilire “disposizioni comuni relative alla legge applicabile
ai trust” e di risolvere in nuce “i problemi più importanti relativi al suo riconoscimento”
… dimostrando quindi di considerare l’istituto, sia pure per il tramite delle disposizioni
suddette, non incompatibile con gli ordinamenti interni”.
In altri termini, sostenere che il trust è inconciliabile col diritto positivo italiano non
ha significato perché, per addivenire a tale conclusione, bisognerebbe affermare che
tutta la legge 16 ottobre 1989 n. 364 si ha per non scritta.
Queste prime considerazioni fanno giustizia anche di alcune delle obiezioni formulate
dal Tribunale di Belluno (decreto del 25/9/2002) nel precedente giurisprudenziale citato
dalla difesa dell’attrice: non è possibile, infatti, sanzionare con la nullità l’atto di trasferimento dei beni dal settlor al trustee in quanto “negozio astratto di trasferimento” (si
legge nel menzionato decreto che “facendo riferimento ai tipi negoziali propri del nostro
ordinamento non si vede a quale schema causale le parti abbiano voluto fare riferimento
per operare la costituzione dei beni in trust [… mentre] il nostro ordinamento prevede la
causa come requisito di validità del contratto [… e] non ammette in via di principio negozi astratti”), sia perché, anche secondo la più recente lettura dottrinale degli artt. 1324
e 1322 c.c. (che sembra ammettere la costituzione di atti unilaterali atipici), “la configurabilità di negozi traslativi atipici, purché sorretti da causa lecita, trova fondamento nello stesso principio dell’autonomia contrattuale posto dall’art. 1322 comma 2° c.c.” (così
Cass. 9/10/1991 n. 10612), sia (e soprattutto) perché la causa del trasferimento, che è ben
lungi dall’essere “astratto”, si deve rinvenire nel collegato negozio istitutivo di trust (che
si concretizza nei suoi scopi proprio attraverso il predetto trasferimento) per il quale la
meritevolezza degli interessi realizzati è stata ex lege sancita dalla Convenzione de L’Aja
del 1985 e dalla disciplina legislativa che ne ha dato esecuzione.
L’art. 6 della Convenzione de L’Aja stabilisce: “Il trust è regolato dalla legge scelta dal
disponente”.
Nel caso de quo, che riguarderebbe un trust c.d. “interno” (e cioè - secondo la definizione dottrinale - un trust che ha la localizzazione preponderante dei suoi beni, la sede,
la sua amministrazione e la residenza dei beneficiari e del settlor in un ordinamento diverso da quello scelto dalle parti per disciplinarlo), l’attrice sostiene che la scelta
effettuata dal disponente non può essere libera ed incondizionata, perché, essendo la
Convenzione de L’Aja una convenzione di diritto internazionale privato, essa contiene
norme la cui operatività richiede, come presupposto necessario, la presenza nella fattispecie concreta di elementi oggettivi di estraneità ulteriori rispetto alla mera volontà del
disponente di scegliere la legge straniera (deve trattarsi, quindi, di un trust “straniero”)
e, inoltre, perché l’art. 13 della Convenzione costituisce un insormontabile ostacolo al
riconoscimento di un trust i cui elementi significativi siano strettamente collegati ad uno
Stato non-trust.
205
AIAF QUADERNO 2007/2
La premessa è corretta: nel caso di specie gli unici elementi di estraneità al nostro ordinamento (oltre alla legge inglese prescelta per la disciplina del negozio) sono dati dal
domicilio del disponente e dalla residenza e cittadinanza di uno soltanto dei tre beneficiari, mentre sono legati all’Italia il luogo di amministrazione del trust designato dal
disponente (in Bologna), l’ubicazione dei beni trasferiti (in Bologna, … e …, limitando
l’analisi agli immobili in controversia), il domicilio del trustee (in Bologna), il luogo dove
deve essere realizzato lo scopo del trust (gestione degli stabili trasferiti, divisione degli
stessi, esecuzione delle volontà testamentarie del settlor relativamente a beni ubicati sul
territorio italiano, ecc.). Questi ultimi criteri, indicati dall’art. 7 della Convenzione per determinare la legge con cui il trust ha il collegamento più stretto nel caso in cui questa non
sia stata individuata dal disponente (e non è questo il caso), possono essere qui impiegati
come parametri definiti ex lege (L. 364/1989) per giungere alla conclusione che siamo in
presenza di un c.d. trust “interno” o “domestico”.
Sono tuttavia errate le conseguenze che l’attrice (nonché parte della dottrina e la menzionata pronuncia Tribunale di Belluno 25/9/2002) trae dalla precedente considerazione:
difatti, da qui (e, cioè, dal carattere “interno” del negozio) a sostenere l’automatica impossibilità di riconoscere gli effetti di un trust i cui elementi significativi (salvo la legge
di disciplina) non presentano caratteri di estraneità rispetto all’ordinamento italiano, “il
passo è troppo lungo”.
Al contrario, è elemento sicuro, che emerge dalla Convenzione, l’assoluta libertà di scelta
della legge regolatrice del trust da parte del settlor (secondo autorevole dottrina “la libertà incondizionata del disponente … costituisce il pilastro della Convenzione de L’Aja”);
infatti:
- non ha senso affermare che la Convenzione riguarda esclusivamente i trust
“stranieri”
La Convenzione non indica quale presupposto per la sua applicazione la presenza di elementi di estraneità ulteriori rispetto alla scelta della legge straniera applicabile, purché il
diritto applicabile ex art. 6 (o, eventualmente, ex art. 7) della Convenzione conosca il trust
o la categoria di trust in questione, secondo l’espressa prescrizione dell’art. 5; proprio
quest’ultima disposizione conferma che l’unico presupposto applicativo della disciplina
convenzionale (e del consequenziale riconoscimento del trust istituito) è la specificazione
di una legge secondo le disposizioni del Capitolo II.
Ragionando sul significato da attribuire al concetto di trust “straniero”, da una parte,
pare scontato che il riconoscimento del trust (artt. 11 ss. Convenzione) postula l’esistenza
di un fenomeno giuridico estraneo al diritto interno (quale è, pacificamente, l’istituto del
trust); dall’altra, poiché i lavori preparatori della Convenzione - sui quali di dirà in seguito - hanno escluso qualsiasi limitazione legata al sito dei beni in trust o alla nazionalità/
residenza del disponente o dei beneficiari, il “riconoscimento” può prospettarsi anche
quando il trust è soltanto regolato da una legge straniera e questo è l’unico elemento di
estraneità, necessario e sufficiente, per farsi applicazione della disciplina convenzionale
e delle norme di conflitto in essa contenute.
In definitiva, “non esiste il trust che, retto da una legge straniera, sia “non abbastanza
straniero” per alcun effetto previsto dalla Convenzione”: questa trova il presupposto
della propria applicazione tutte le volte che un trust si trovi a spiegare effetti in un
ordinamento diverso da quello dal quale è disciplinato. Del resto, la stessa previsione
dell’art. 13, relativo alla facoltà concessa agli Stati di escludere il riconoscimento dei
cc.dd. trust “interni”, sta proprio a significare che, almeno in linea di principio, detti
trust sono compresi nell’ambito di applicazione della disciplina di cui alla Convenzione de L’Aja.
Altro problema (sul quale si tornerà in seguito), differente e logicamente successivo rispetto a quello della determinazione della legge applicabile, riguarda gli esiti del ricono-
206
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
scimento del trust e le preclusioni al riconoscimento o all’efficacia previste dalla stessa
Convenzione qualora la scelta del disponente sia “abusiva” e, cioè, quando i suoi effetti
determinino, nel Paese con cui il trust presenta i collegamenti più stretti, l’elusione di
norme imperative inderogabili con atto negoziale (art. 15) e/o di norme di applicazione
necessaria (art. 16) oppure quando gli effetti appaiano in manifesto contrasto con l’ordine pubblico (art. 18) o, infine, in tutti i casi in cui il riconoscimento sia “ripugnante” per
l’ordinamento (art. 13).
- l’art. 6 della Convenzione (la cui operatività discende dall’estraneità della legge regolatrice prescelta) non prevede alcun limite in relazione ai legami oggettivi e soggettivi
intercorrenti tra gli elementi del rapporto fiduciario e la legge regolatrice
Si è voluto leggere nel testo convenzionale una limitazione, come se l’art. 6 avesse parole
che non ha: “Il trust è retto dalla legge scelta dal disponente, purché egli appartenga a
uno Stato che conosce il trust”.
In realtà, dall’esame dei lavori preparatori si può ricavare l’esatto contrario: il problema di stabilire se la legge applicabile al trust potesse essere scelta dal disponente
prescindendo da qualsiasi elemento di internazionalità fu espressamente affrontato
dai redattori del testo convenzionale. Furono respinte sia la proposta di imporre un
legame tra la scelta della legge regolatrice e il disponente o l’oggetto del trust, sia
quella di introdurre la possibilità per gli Stati di apporre una specifica riserva sui trust
“interni” in sede di ratifica (secondo alcuni, tale soluzione è stata poi trasferita nell’art.
13), sia quella di richiedere un vincolo tra la disciplina eletta e specifici elementi della
fattispecie (cittadinanza o domicilio o residenza del settlor, luogo dove il trust deve
essere amministrato o dove sono ubicati i beni o dove si realizza lo scopo principale), sia quella “minor” di limitare la libertà di scelta ai soli trust aventi caratteri di
“internazionalità” (intendendo così escludere l’operatività della scelta nel solo caso
in cui l’unico elemento di estraneità fosse costituito dalla designazione della legge
straniera).
La voluntas politica dei redattori, obiettivata nel testo convenzionale, è invece univocamente percepibile nel senso di consentire la piena utilizzazione dell’istituto, allorché esso sia assoggettato - anche ad opera della sola scelta del costituente - alla legge di
uno Stato che la disciplina, e di precluderne, di contro, l’impiego abusivo ed elusivo.
- la Convenzione prevede espressamente (artt. 6 comma 2° e 7) dei criteri di collegamento “subordinati”, nel caso in cui non sia stata effettuata la scelta della legge regolatrice o questa sia caduta su un ordinamento che non conosce il trust o quel tipo di
trust
Secondo il dettato legislativo la scelta del settlor può essere talmente discrezionale da
riguardare persino un ordinamento non-trust: tuttavia, in tale caso (e solo in tale caso!) è
possibile prescindere dalla volontà del disponente, privarla di effetti e ricorrere ai criteri
di collegamento elencati nell’art. 7 comma 2°.
La stessa Convenzione, dunque, ammette che la scelta della disciplina regolatrice
possa cadere su una qualsiasi normativa che conosce il trust e solo gradatamente, ed
esclusivamente nelle ipotesi previste dagli artt. 6 comma 2° e 7 comma 1°, prevede che
la legge sia quella con cui il negozio presenta collegamenti più stretti: ciò dimostra
inequivocabilmente che la designazione operata dal settlor è, in linea di principio,
assolutamente libera e che solo in casi “patologici” (e al fine di “salvare” l’atto) la
legge applicabile è vincolata a criteri di connessione diversi dalla mera voluntas del
disponente (e, cioè, da: luogo di amministrazione del trust designato dal disponente,
ubicazione dei beni in trust, domicilio/residenza del trustee, luogo dove deve essere
realizzato lo scopo del trust).
In definitiva, pare chiaro che se il testo della Convenzione avesse voluto vincolare la
discrezionalità del settlor sulla legge regolatrice ad elementi di collegamento con i sog-
207
AIAF QUADERNO 2007/2
getti o l’oggetto del trust, non avrebbe attribuito a tali elementi una funzione meramente
sussidiaria relegandoli al ruolo di “surrogati” della volontà inespressa o male espressa
(proprio queste sono le ipotesi degli artt. 6 comma 2° e 7 comma 1°)
- non può, nel contempo, negarsi validità a trust interni regolati da legge straniera e
riconoscere in Italia gli effetti di trust che presentino altri elementi di estraneità
Sarebbe paradossale che l’ordinamento italiano volesse pervenire al riconoscimento
in Italia di trust istituiti da stranieri con legge straniera aventi ad oggetto beni siti in
Italia e, al contrario, intendesse disconoscere trust aventi le medesime caratteristiche
costituiti dai propri cittadini.
Se questa fosse la soluzione voluta dal legislatore, essa presterebbe il fianco a rilievi di
incostituzionalità sia per la propria intrinseca irragionevolezza, sia per l’ingiustificata
disparità di trattamento generata: spetta alla giurisprudenza, quindi, fornire un’interpretazione della normativa che sia in linea coi citati parametri costituzionali.
A ciò si aggiunge che l’analisi compiuta sulle disposizioni non può prescindere dalla
comprensione delle finalità che si è proposto il nostro Paese ratificando la Convenzione
de L’Aja (sostiene giustamente uno dei redattori del testo convenzionale che “capire la
ratio politica delle norme è il primo compito di ogni interpretazione che non sia asfittica
e deviante”): se l’Italia ha sottoscritto (come primo Paese di civil law) la Convenzione sul
trust è, nella sostanza, per accrescere la propria capacità di attrarre investimenti dall’estero; tale scopo sarebbe evidentemente frustrato se proprio i cittadini italiani, per potere
godere dei benefici tipici dell’istituto (solo sommariamente indicati nell’art. 11), dovessero istituire i propri trust in paesi stranieri (utilizzando, quale elemento di estraneità,
la residenza del trustee) così trasferendo all’estero la gestione ed amministrazione di
capitali e immobili.
- la libertà di scelta della legge applicabile al rapporto negoziale, indipendentemente dalla presenza di elementi di più stretto collegamento con un certo ordinamento,
è un principio non estraneo al sistema di diritto internazionale privato (interno e
convenzionale)
L’art. 3 della Convenzione di Roma del 19/6/1980 (resa esecutiva con la L. 975/1984), in
materia di legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, prevede espressamente per
le parti la “libertà di scelta” (secondo la locuzione impiegata nella rubrica della norma)
della legge regolatrice del contratto; inoltre, l’art. 57 della legge 31 maggio 1995 n. 218
compie un rinvio recettizio al suddetto testo convenzionale introducendo il suo contenuto tra le norme di conflitto interne.
Qualche autore ha voluto scorgere nel combinato disposto degli artt. 57 L. 218/1995 e
3 Convenzione di Roma la disciplina che sancisce anche per il trust la libertà di scelta
della legge regolatrice; la tesi non pare condivisibile perché l’istituto de quo non sembra
agilmente riconducibile alla categoria dei contratti trattandosi pur sempre di un negozio
unilaterale.
Tuttavia, può trarsi dalle disposizioni menzionate una conferma di quanto sinora sostenuto a proposito dell’assoluta libertà di scelta sancita dalla Convenzione de L’Aja:
può tranquillamente ritenersi principio acquisito dall’ordinamento internazionale ed
interno (in virtù del richiamo effettuato dalle vigenti norme di diritto internazionale
privato e della prevalente interpretazione data all’ormai abrogato art. 25 comma 1°,
ultima parte, delle preleggi) quello che garantisce la libera volontà delle parti del negozio in ordine alla normativa da applicare allo stesso.
Non solo: il comma 3° della citata disposizione fa esplicitamente salva la possibilità di
designare liberamente una disciplina legislativa anche quando “tutti gli altri dati di fatto
si riferiscano a un unico Paese” (in tal caso, si potrebbe parlare di un contratto “interno”
o “domestico”), purché ciò non pregiudichi l’applicazione delle norme imperative (nel
significato spiegato dal testo convenzionale) del “Paese di più stretto collegamento”.
208
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
L’art. 13 della Convenzione sul trust recita: “Nessuno Stato è tenuto a riconoscere un
trust i cui elementi significativi, ad eccezione della scelta della legge applicabile, del luogo di amministrazione o della residenza abituale del trustee, siano collegati più strettamente alla legge di Stati che non riconoscono l’istituto del trust o la categoria del trust in
questione”.
Sostiene la difesa dell’attrice (con il Tribunale di Belluno e alcuni autori) che la menzionata disposizione precluda in maniera assoluta il riconoscimento dei trust “interni”.
L’interpretazione radicale fornita dalla L. M. non è accoglibile: essa si porrebbe in contrasto con le considerazioni sinora svolte sulla libertà di scelta della legge regolatrice
evidenziando un’insanabile contraddizione tra l’art. 6 e l’art. 13, perché la presenza di
elementi di stretto collegamento con l’ordinamento non-trust dovrebbe condurre ineluttabilmente - secondo la tesi attorea - al mancato riconoscimento di un negozio la cui legge
regolatrice, straniera, è stata correttamente determinata dal costituente in base alla Convenzione. Inoltre, e soprattutto, la spiegazione fornita contrasterebbe con il dato letterale
del testo convenzionale, il quale è formulato in chiave “permissiva” (come “possibilità”
di non riconoscere) e non come “obbligo di disconoscimento” dei trust “domestici” (il
testo originale della disposizione recita: “Aucun Etat n’est tenu de reconnaître…” e “No
State shall be bound to recognize…”).
Diverse interpretazioni sono state date all’art. 13.
Secondo alcuni autori la disposizione è rivolta esclusivamente ai legislatori degli Stati aderenti e costituisce una clausola di salvaguardia, normalmente inserita nelle convenzioni internazionali, che consente a chi lo desideri di paralizzare, in sede di ratifica,
alcuni effetti del testo che ci si appresta a rendere operativo nel proprio ordinamento.
Difettando nella legge di ratifica italiana (L. 364/1989) una specifica disposizione che precluda, per volontà del legislatore, il riconoscimento dei trust “interni” ed essendo questi
ultimi ricompresi nell’ambito di applicazione della Convenzione de L’Aja, la scelta della
legge applicabile operata in tali casi dal settlor potrà essere disattesa esclusivamente per
le ragioni espressamente previste dalla normativa uniforme (artt. 15, 16 e 18).
Secondo un’altra opinione - che questo Giudice ritiene preferibile e da condividere - la
disposizione, come ogni norma di diritto internazionale privato, non può che riguardare
lo Stato come soggetto internazionale, il quale, legittimato dalla norma, potrà intervenire
(o non farlo) o con un proprio strumento normativo o con le applicazioni concrete della
disciplina da parte dei giudici e delle autorità amministrative.
Rientra anche nei poteri del giudice, dunque, fare applicazione dell’art. 13; tuttavia, l’utilizzo di detta norma, lungi dall’essere obbligatorio o - al contrario - “capriccioso”, potrà
avvenire soltanto in maniera conforme alla ratio del legislatore della ratifica e, quindi, anche in ossequio al principio di salvaguardia dell’autonomia privata, al solo fine di
evitare il riconoscimento di trust “interni” che siano disciplinati da legge straniera con
intenti abusivi e/o fraudolenti. In altri termini, non sarà sufficiente rilevare la presenza
di un trust i cui elementi significativi siano più intensamente collegati con lo Stato
italiano per disapplicare la legge scelta per la sua disciplina e per la sua costituzione
evitando di riconoscerne gli effetti, ma sarà, invece, necessario desumere un intento in
frode alla legge, volto, cioè, a creare situazioni in contrasto con l’ordinamento in cui il
negozio deve operare.
Proprio questa, in definitiva, pare essere l’interpretazione più corretta da dare all’art. 13
della Convenzione: quella di “norma di chiusura” (sul punto, oltre al prevalente orientamento dottrinale, Tribunale di Bologna, decreto 16/6/2003).
Difatti, mentre il Capitolo IV della Convenzione de L’Aja introduce un meccanismo (parallelo a quello previsto dall’art. 3 comma 3° della Convenzione di Roma del 1980) di
salvaguardia delle norme inderogabili, di applicazione necessaria o di ordine pubblico
della lex fori (artt. 15, 16 e 18) e si muove nel campo degli effetti conseguenti al riconosci-
209
AIAF QUADERNO 2007/2
mento, l’art. 13 si pone sul diverso piano del riconoscimento stesso del trust (Capitolo II
della Convenzione) quale fenomeno di applicazione di una legge straniera. In sostanza,
mentre gli artt. 15, 16 e 18 non frappongono in linea di principio alcun ostacolo al riconoscimento dei trust e si limitano ad escludere la produzione di certi specifici effetti contrastanti con particolari norme interne, l’art. 13 non può essere considerato come strumento
volto a garantire l’applicazione della lex fori perché a ciò provvedono già le succitate
disposizioni.
La disposizione in esame, piuttosto, concerne il riconoscimento stesso dell’istituto e,
quindi, il principale fenomeno disciplinato dalla Convenzione; ciò vale soprattutto per i
c.d. trust “interni”, la cui esistenza e validità dipendono dalla scelta della legge straniera
e dal suo riconoscimento.
Poiché il trust “interno” non può essere ritenuto invalido ex se per la carenza di elementi di estraneità (si rinvia alle considerazioni sopra svolte a proposito della libertà
di scelta della legge regolatrice ex art. 6), né per il suo contrasto con norme inderogabili o di applicazione necessaria o di ordine pubblico (a garanzia delle quali presiedono
gli artt. 15, 16, 18, che, però, incidono sugli effetti di un trust già riconosciuto), l’unica
possibile e ragionevole soluzione ermeneutica (a meno di non voler dare all’art. 13
un’interpretatio abrogans degli artt. 6 e 11) è quella, appunto, di considerare la disposizione come una “norma di chiusura della Convenzione” (paragonabile all’art. 1344
c.c.), che mira a cogliere le fattispecie che sfuggono alle norme di natura specifica: in
altri termini, l’art. 13 costituisce l’estremo ed eccezionale rimedio apprestato per i casi
in cui le modalità e gli scopi di un trust, i cui effetti sfuggono alle previsioni degli artt.
15, 16 e 18, siano comunque valutati dal giudice come ripugnanti ad un ordinamento
che non conosca quella particolare figura di trust, ma nel quale tuttavia il negozio
esplichi in concreto i suoi effetti.
Il percorso logico da seguire è, dunque, il seguente: i trust “interni” sorgono in conseguenza della scelta, da parte del settlor, di una legge regolatrice idonea; la scelta è da
ritenersi libera e legittima ex art. 6 della Convenzione; secondo la regola generale di
cui all’art. 11, i trust istituiti in conformità alla legge determinata in base al Capitolo II
(e, quindi, anche i trust “domestici”) devono essere riconosciuti come tali; in forza degli artt. 15, 16 e 18, qualora i trust riconosciuti producano effetti contrastanti con norme
inderogabili o di applicazione necessaria della lex fori o con principi di ordine pubblico del foro, l’applicazione della legge straniera dovrà cedere il passo a quella della
legge interna; infine, ex art. 13, qualora un trust “interno”, regolato da legge straniera,
produca effetti ripugnanti per l’ordinamento che non siano colpiti dagli artt. 15, 16 e
18, è possibile negare tout court il riconoscimento (il quale sarebbe, a tali condizioni,
inesigibile).
Dal momento che la questione sollevata dall’attrice non riguarda celati intenti frodatori
del disponente (mai allegati né dimostrati), ma si limita a sostenere che il trust “interno”
non può trovare riconoscimento nell’ordinamento italiano in forza dell’art. 13 della Convenzione, per le considerazioni sopra svolte l’eccezione di invalidità deve essere, anche
sotto questo profilo, respinta.
L’ulteriore argomentazione invocata dalla … per sostenere l’invalidità ed inoperatività
del trust in questione concerne il presunto contrasto dell’istituto con l’art. 2740 c.c., assunto come norma dell’ordinamento di applicazione necessaria o inderogabile per volontà
negoziale o, addirittura, come principio di ordine pubblico economico (per il quale eventuali limitazioni di responsabilità ed effetti segregativi dell’unitarietà patrimoniale del
debitore sono ammessi soltanto in via eccezionale e nei soli casi previsti dalla legge).
La tesi dell’attrice è infondata; infatti:
- l’effetto segregativo prodotto dal trust nel patrimonio del trustee trova una sua legittimazione in virtù di specifiche disposizioni previste nella Convenzione de L’Aja ed
210
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
introdotte nell’ordinamento italiano con la legge di esecuzione
L’effetto segregativo, tipico ed essenziale nella struttura del trust, non è conseguenza
della mera volontà delle parti, bensì discende da specifiche disposizioni normative:
l’art. 11 della Convenzione de L’Aja (come il suo omologo della legge 364/1989) afferma inequivocabilmente che “Tale riconoscimento implica, quantomeno, che i beni in
trust rimangano distinti dal patrimonio personale del trustee”.
Secondo un’accreditata dottrina, l’art. 11 (come pure l’art. 12) si inserisce in una convenzione di diritto internazionale privato come norma di diritto materiale uniforme: la
disposizione in esame, a differenza di tutte le altre del testo convenzionale (che sono norme uniformi di diritto internazionale privato), è regola di diritto sostanziale che non si
limita a dettare le condizioni per il riconoscimento di un trust “straniero” (nel significato
sopra illustrato), ma disciplina, direttamente ed immediatamente, gli effetti minimi che
il riconoscimento deve produrre, in modo omogeneo, in ogni ordinamento degli Stati
contraenti.
Sulla scorta di questa osservazione non si può ritenere che le ipotesi, eccezionali ed
eventuali, dettate dagli artt. 15, 16 e 18 per sostituire con la lex fori alcuni effetti “aberranti” del trust riconosciuto, possano estendersi sino a paralizzare l’effetto segregativo, espressamente sancito come “effetto necessario minimo” dall’art. 11.
A ciò si aggiunge che, secondo la gran parte degli autori, la stessa legge di ratifica ha
introdotto nell’ordinamento una deroga all’art. 2740 c.c. (il quale - giova ricordarlo - consente limitazioni di responsabilità “nei casi stabiliti dalla legge”).
L’art. 11 della L. 364/1989, successivo e speciale rispetto alla disposizione codicistica, ben
può costituire, dunque, l’eccezione (di fonte legislativa) al principio della responsabilità
illimitata (sul punto, Trib. Verona 8/1/2003).
Infine, merita rilievo l’interpretazione logico-teleologica del testo convenzionale: darebbe luogo ad un’assurda contraddizione pensare che lo Stato italiano (o qualsiasi altro
Paese contraente) si sia obbligato, con la ratifica, a riconoscere l’effetto segregativo del
trust (art. 11) e, nel contempo, abbia voluto paralizzarlo con norme di diritto interno
(come l’art. 2740 c.c.) astrattamente inquadrabili nelle fattispecie ostative al riconoscimento degli effetti del trust nell’ordinamento interno (artt. 15, 16, 18); se questo fosse stato l’intento del legislatore, sarebbe stato più semplice per l’Italia non aderire per niente
alla Convenzione de L’Aja.
- la separazione dei beni in trust da quelli personali del trustee trova la sua fonte negli
artt. 2 e 11 della Convenzione de L’Aja che hanno inserito nell’ordinamento una nuova
forma di “proprietà”
Con altra argomentazione (più complessa rispetto alle precedenti), un’autorevole dottrina spiega che l’effetto segregativo si verifica perché i beni conferiti in trust non entrano
nel patrimonio del trustee se non per la realizzazione dello scopo indicato dal settlor e
col fine specifico di restare separati dai suoi averi (pena la mancanza di causa del trasferimento). Pertanto, non può parlarsi di acquisizione al patrimonio del trustee di detti
beni (nemmeno come beni futuri): si tratta, insomma, di una proprietà “qualificata” o
“finalizzata”, introdotta dagli artt. 2 e 11 della Convenzione de L’Aja in aggiunta a quella conosciuta dal codice civile del 1942 (che, in realtà, già prevede fattispecie analoghe
nell’art. 1707, nell’istituto del fondo patrimoniale inserito con la riforma del 1975, e, infine, nel nuovo art. 2447-bis).
La non applicabilità dell’art. 2740 c.c., dunque, emerge direttamente dagli artt. 2 e 11
della Convenzione che identificano in modo esclusivo la fonte della segregazione nella “proprietà qualificata” del trustee e forniscono una nuova lettura del concetto di
“patrimonio”.
- nel nostro ordinamento sono sempre più numerose le disposizioni legislative derogatorie all’art. 2740 c.c., il quale, quindi, non può assurgere al rango di supremo (e
211
AIAF QUADERNO 2007/2
come tale inderogabile) principio di ordine pubblico economico
Come già detto, l’effetto principale ed essenziale del trust è quello di segregare una posizione soggettiva e destinarla ad una specifica finalità, con l’effetto - tutt’altro che secondario - di renderla intangibile ai creditori del trustee.
La possibilità di costituire patrimoni autonomi (o separati) non costituisce affatto un’assoluta novità per il nostro ordinamento: l’art. 1707 c.c. prevede un meccanismo di separazione per i beni mobili o i crediti acquistati in proprio dal mandatario per conto del
mandante in forza di atto avente data certa anteriore al pignoramento; gli artt. 167 ss. c.c.
vincolano alle esigenze della famiglia i beni costituiti in fondo patrimoniale, sui quali
possono soddisfarsi solo i creditori indicati all’art. 170 c.c.; ex art. 1881 c.c. può divenire
“patrimonio separato” (e non aggredibile) la rendita vitalizia costituita a titolo gratuito
nei limiti del bisogno alimentare del beneficiario; l’art. 1923 c.c. sottrae le somme dovute dall’assicuratore (per assicurazione sulla vita) all’azione esecutiva dei creditori del
contraente o del beneficiario, frantumando l’unicità del patrimonio; significativamente,
l’art. 490 c.c. statuisce che “l’effetto del beneficio d’inventario consiste nel tener distinto
il patrimonio del defunto da quello dell’erede”; l’art. 2117 c.c. (richiamato dal D.Lgs.
124/1993) consente la creazione di “patrimoni di destinazione” (così definiti da Cass.
2824/1975) come fondi speciali per la previdenza e l’assistenza.
Ancor più pregnanti sono gli esempi di “segregazione” offerti dalla legislazione speciale
più recente (sul punto, Trib. Bologna, decreto 18/4/2000): l’art. 3 della legge 23/3/1983
n. 77 sui fondi comuni di investimento immobiliare (ora abrogato dal D.Lgs. 58/1998)
prevedeva: “ciascun fondo comune costituisce patrimonio distinto a tutti gli effetti dal
patrimonio della società di gestione e da quelli dei partecipanti, nonché da ogni altro
fondo gestito dalla medesima società di gestione. Sul fondo non sono ammesse azioni dei
creditori della società gerente”; la norma suddetta è stata ripresa ed ampliata dal testo
unico in materia di intermediazione finanziaria (D.Lgs. 24/2/1998 n. 58) il quale, all’art.
22 (rubricato “Separazione patrimoniale”), stabilisce che “nella prestazione dei servizi di
investimento e accessori gli strumenti finanziari e le somme di denaro dei singoli clienti,
a qualunque titolo detenuti dall’impresa di investimento, dalla società di gestione del
risparmio o dagli intermediari finanziari iscritti … nonché gli strumenti finanziari dei
singoli clienti a qualsiasi titolo detenuti dalla banca, costituiscono patrimonio distinto a
tutti gli effetti da quello dell’intermediario e da quello degli altri clienti. Su tale patrimonio non sono ammesse azioni dei creditori dell’intermediario o nell’interesse degli stessi,
né quelle dei creditori dell’eventuale depositario o sub-depositario o nell’interesse degli
stessi”; l’art. 4 del già menzionato D.Lgs. 21/4/1993 n. 124, riformato dalla legge 335/1995,
stabilisce che “fondi pensione possono essere costituiti … attraverso la formazione con
apposita deliberazione di un patrimonio di destinazione, separato ed autonomo, nell’ambito del patrimonio della medesima società od ente, con gli effetti di cui all’articolo 2117
del codice civile”; la disposizione dell’art. 3 della legge 130/1999 prevede che “i crediti
relativi a ciascuna operazione [di cartolarizzazione di crediti] costituiscono patrimonio
separato a tutti gli effetti da quello della società e da quello relativo alle altre operazioni. Su ciascun patrimonio non sono ammesse azioni da parte di creditori diversi dai
portatori dei titoli emessi per finanziare l’acquisto dei crediti stessi”; statuizioni analoghe a quella ora richiamata sono previste dalle leggi sulla cartolarizzazione dei crediti
INPS (art. 13 L. 448/1998, come modificato dalla L. 402/1999) e sulla privatizzazione del
patrimonio immobiliare pubblico (art. 2 L. 410/2001); da ultimo, la recente riforma del
diritto societario ha inserito nel codice civile l’art. 2447-bis sui “patrimoni destinati ad
uno specifico affare” che, come sostiene un autore, consente alle società di realizzare un
trust autodichiarato dato che l’art. 2447-quinquies c.c. esclude la possibilità per i creditori
societari di far valere diritti su quel fondo così costituito.
212
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
Concludendo questa rassegna normativa, il Giudice rileva che il fenomeno della separazione patrimoniale è ricorrente nella legislazione speciale e anche in quella “tradizionale” e tale circostanza sembra dunque smentire la portata di principio generale di
ordine pubblico attribuita all’art. 2740 c.c., il quale pone come eccezionali le ipotesi
di limitazione della responsabilità patrimoniale (un autore afferma che il rapporto
è stato addirittura “capovolto”): proprio per l’univocità dei più recenti interventi del
legislatore, la segregazione patrimoniale non può più essere considerata un “tabù” e,
di contro, l’unitarietà della garanzia patrimoniale di cui all’art. 2740 c.c. non può valere
come un “dogma sacro ed intangibile” del nostro ordinamento.
Per tutte le considerazioni sin qui svolte, il trust “interno” costituito da T. G. (settlor) che
vede la convenuta Società Fiduciaria come trustee non può essere tacciato di invalidità:
esso soddisfa i requisiti richiesti dalla Convenzione de L’Aja per il suo riconoscimento
(con la conseguente realizzazione degli effetti propri del negozio secondo la legge scelta
dal disponente oltre che della segregazione rispetto al patrimonio del trustee ex art. 11),
non appare contrastante con norme imperative inderogabili o di applicazione necessaria
o con principi di ordine pubblico e, anche in assenza di qualsivoglia allegazione dell’attrice, non può dirsi costituito in frode all’ordinamento interno.
La domanda principale di... deve essere, pertanto, rigettata.
3. Fermo restando quanto detto sulla validità ed efficacia dell’atto istitutivo di trust, occorre ora esaminare la questione relativa al trasferimento dei beni dal settlor al trustee,
atto che nel citato negozio trova causa, ma che ne è separato logicamente (anche se non
materialmente in questo caso).
La validità del trasferimento deve essere sindacata in base alla normativa interna come
prevede, tra l’altro, l’art. 4 della Convenzione de L’Aja: in particolare, l’attrice sostiene
che la cessione al trustee sia contraria alle norme del codice civile sul regime di comunione legale tra coniugi, avendo il T. G. disposto illegittimamente di beni rientranti
nell’elencazione di cui all’art. 177 c.c.
E’ indispensabile, prima di passare all’esame delle doglianze della …, stabilire se i beni
sui quali l’attrice avanza pretese costituiscano oggetto di comunione legale oppure no:
data per pacifica tra le parti la vigenza del regime patrimoniale di comunione in costanza di matrimonio (peraltro, il matrimonio è stato celebrato il …1975 e non risulta che i
coniugi abbiano optato, all’entrata in vigore della L. 151/1975, per il diverso regime di
separazione dei beni) e rilevato il carattere inequivoco dell’art. 191 c.c. secondo cui “la
comunione si scioglie … per la separazione personale”, si rilevano, nella causa, opposte
interpretazioni sul momento in cui sia avvenuto il mutamento di status dei coniugi...
L’attrice sostiene che la separazione personale si sia realizzata con il passaggio in giudicato della sentenza della Corte d’Appello di Bologna (emessa il 20/6/2001 e passata
in giudicato nel novembre dello stesso anno), mentre il convenuto offre interpretazioni
alternative facendo risalire la separazione giudiziale (o, quantomeno, i suoi effetti) e lo
scioglimento della comunione legale alla comparizione dei coniugi nell’udienza ex art.
708 c.p.c. (in data …1994) o alla presentazione del ricorso per la separazione.
L’accoglimento dell’una o dell’altra tesi non è questione di poco conto se si considerano
le circostanze del caso concreto: il trasferimento al trustee di ½ degli immobili in … e … è
visto come un’illecita cessione di quote della comunione legale dalla … e come una legittima disposizione di quote di comunione ordinaria (sorta in seguito alla separazione) dal
T. G.; inoltre, l’attrice sostiene che lo stabile in … Bologna (acquistato dal T. G. con atto del
…1994 registrato il …1994 e, quindi, nel corso del giudizio di I grado sulla separazione
personale) sia oggetto di comunione legale perché comprato in vigenza di tale regime,
mentre il convenuto afferma l’esatto contrario e così difende anche l’atto di conferimento
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AIAF QUADERNO 2007/2
nel trust (realizzato il …1999 e registrato il …/1999 e, quindi, in pendenza dell’appello
proposto dall’odierna attrice).
Riguardo al momento in cui si verifica la separazione personale tra i coniugi, questo
Giudice ritiene di aderire all’orientamento “granitico” della giurisprudenza di legittimità secondo il quale la separazione personale che produce lo scioglimento della comunione è quella consensuale omologata o quella giudiziale consacrata nella relativa
sentenza passata in giudicato, mentre nessuna efficacia sullo status possono spiegare i
provvedimenti presidenziali resi nell’udienza ex art. 708 c.p.c. (Cass. 7/5/1987 n. 4325;
Cass. 29/11/1990 n. 560; Cass. 11/7/1992 n. 8463; Cass. 17/12/1993 n. 12523; Cass. 7/3/1995
n. 2652; Cass. 18/9/1998 n. 9325; Cass. 5/10/1999 n. 11036; Cass. 27/2/2001 n. 2844); peraltro, la predetta interpretazione giurisprudenziale trova conferma anche nell’insegnamento della Corte Costituzionale (ordinanza del 22/6/1988-7/7/1988 n. 795) secondo cui
“non solo la separazione di fatto dei coniugi, ma nemmeno i provvedimenti temporanei
ex art. 708 cod. proc. civ. non sono previsti dall’art. 191 come cause di scioglimento della
comunione [mancando] in questi casi un accertamento formale definitivo della cessazione dell’obbligo di convivenza e di reciproca collaborazione … Il carattere temporaneo del
provvedimento presidenziale impedisce che la situazione dei coniugi provvisoriamente
autorizzati a vivere separatamente nelle more del giudizio di separazione possa essere
equiparata a quella dei coniugi legalmente separati, e dunque esclude che il perdurare per essi del regime di comunione dei beni possa costituire una violazione dell’art. 3
Cost.”
Nel sistema normativo che regola il regime patrimoniale della famiglia, come l’atto di
matrimonio vale a costituire la comunione legale fra i coniugi, così la sentenza di separazione produce l’effetto di scioglierla: se non appaiono idonee ad incidere su tale assetto
patrimoniale la separazione consensuale e di fatto, cui non faccia seguito il decreto di
omologazione o una convenzione matrimoniale, così, egualmente, nessun effetto può derivare dal provvedimento emesso, ex art. 708 c.p.c., dal Presidente del Tribunale nel procedimento di separazione, non solo per il carattere provvisorio di questo provvedimento
(la cui esecutività, per il combinato disposto degli artt. 474 c.p.c. e 189 disp. att. c.p.c.,
dura finché non sia concluso il processo di separazione ovvero non intervenga una sua
modifica), ma anche perché incapace, per il suo stesso contenuto, di incidere comunque
nel regime della comunione legale, il cui scioglimento, anche a tutela dell’affidamento
dei terzi, è collegato, nella previsione normativa (art. 191 c.c.) e secondo un’interpretazione sistematica, all’unico atto idoneo ad accertare formalmente e definitivamente la cassazione dell’obbligo di convivenza e di reciproca collaborazione e, cioè, al passaggio in
giudicato della relativa sentenza (da qualificarsi - secondo la dottrina e la giurisprudenza
citata - come sentenza costitutiva “i cui effetti non possono prodursi se non dal momento
in cui questa passa in giudicato”).
L’assunto della retroattività della separazione dall’epoca dell’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 708 comma 3° c.p.c. (nell’ipotesi dell’autorizzazione dei coniugi
all’interruzione della convivenza), sia pure con limitato riguardo alla comunione legale, non è conciliabile con la natura temporanea di tali provvedimenti, revocabili e
modificabili in corso di giudizio, connotazione che è “in radice” ostativa alla ricollegabilità ad essi dello scioglimento della comunione, tenendo conto che la comunione
medesima non può cessare “allo stato”, salva successiva diversa determinazione, e
che, comunque, un bene non può essere di proprietà di uno solo o di entrambi i coniugi sulla base di scelte provvisorie ed urgenti, a posteriori emendabili.
Inoltre, dall’espressa previsione dell’art. 193 comma 4° c.c. (che fa retroagire al momento
della domanda gli effetti della separazione giudiziale dei beni), è lecito desumere che
tale norma si sia resa necessaria per derogare al principio secondo il quale le sentenze
costitutive producono effetti solo al passaggio in giudicato (in pratica: ubi lex voluit,
214
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
dixit): poiché l’art. 191 c.c. non contiene un’omologa norma derogatoria, il menzionato
principio deve trovare piena applicazione.
Infine, in ordine all’osservazione del convenuto sul venir meno, dopo i suddetti provvedimenti ex art. 708 c.p.c., del sostrato logico della comunione, nonché sull’incongruenza
della sua estensione a beni acquistati quando il rapporto coniugale è già entrato in crisi,
va considerato che le relative circostanze potrebbero giustificare scelte diverse del legislatore (e ne dà conto la difesa del T. G. producendo proposte legislative di riforma), ma
non autorizzano il superamento dell’inequivoco tenore di norme, che fanno coincidere
la durata della comunione con la durata del matrimonio (art. 177 c.c.), non quindi della
convivenza, e contemplano poi, in via di deroga, solo il sopraggiungere della separazione (art. 191 c.c.).
Concludendo, per le considerazioni sin qui esposte e fatte salve le precisazioni dei successivi capi di questo provvedimento, si deve ritenere che nella vigenza del regime di
comunione legale tra i coniugi …:
A) sia stato compiuto l’acquisto della porzione di … a Bologna;
B) il T. G. abbia disposto del predetto fabbricato e delle quote di ½ sugli stabili di … e …,
conferendoli nel trust con atto del …/1999 registrato in data …/1999.
E’ corollario della conclusione ora tratta il fatto che i fabbricati in … formassero oggetto
della comunione legale anche nel momento in cui il T. G. ne ha disposto.
Non altrettanto pacifica è la definizione dell’appartenenza alla comunione dell’appartamento in … a Bologna, perché il convenuto, nelle proprie difese, ha eccepito che l’immobile deve essere considerato bene personale ex art. 179 comma 1° lett. f) e comma
2° c.c.: si impone, pertanto, l’accertamento di tale affermazione, che, qualora verificata,
ricondurrebbe l’atto di disposizione compiuto dal T. G. nella fattispecie disciplinata dagli
artt. 185 e 217 c.c. ed eliminerebbe “in radice” il presupposto (artt. 177 lett. a) e 184 c.c.)
su cui si fonda la pretesa dell’attrice.
4. La regula iuris dell’art. 179 lett f) c.c. stabilisce che “non costituiscono oggetto della
comunione e sono beni personali del coniuge … i beni acquisiti con il prezzo del trasferimento dei beni personali sopraelencati o col loro scambio, purché ciò sia espressamente
dichiarato all’atto dell’acquisto”; il comma 2° della medesima disposizione soggiunge:
“L’acquisto di beni immobili … effettuato dopo il matrimonio, è escluso dalla comunione, ai sensi delle lettere c), d), ed f) del precedente comma, quando tale esclusione risulti
dall’atto di acquisto se di esso sia stato parte anche l’altro coniuge”.
T. G. sostiene di aver acquistato (in data …1994 e al prezzo di Lire 530.000.000) la porzione di … in via … a Bologna utilizzando denaro proveniente dal prezzo di vendita
della propria quota (2/3) di proprietà dello stabile di via …Bologna (avvenuta il …1994
per l’importo complessivo di Lire 300.000.000) e dal mutuo ipotecario stipulato in data
…/1994 per la somma di Lire 200.000.000, successivamente estinto (il …/1997) grazie alla
vendita dell’altro cespite immobiliare personale di via …- Bologna (avvenuta il …/1997
per l’importo complessivo di Lire 140.000.000).
Esaminando l’atto del …/1994 (documento nr. 3 dell’attrice) si può agevolmente rilevare che … all’epoca coniugata col T. G., per quanto illustrato al capo precedente) non
ha partecipato alla compravendita, che nessuna affermazione è stata fatta dall’odierno
convenuto sulla provenienza del denaro impiegato per l’acquisto e, infine, che T. G. ha
espressamente dichiarato “di essere coniugato, ma in corso di separazione giudiziale
dalla propria coniuge”.
Plurime ragioni, in diritto e in fatto, portano ad escludere che l’immobile de quo costituisca bene personale del convenuto ex art. 179 lett. f) c.c.:
- l’odierna attrice non ha partecipato all’atto del …1994 rendendo la dichiarazione rico-
215
AIAF QUADERNO 2007/2
gnitiva richiesta dall’art. 179 c.c.
Dall’analisi della lettera dell’art. 179 c.c., si evince che, nel caso di acquisto di beni mobili
con lo scambio di beni personali o col prezzo derivante dall’alienazione di beni personali,
il coniuge acquirente ha l’onere di dichiarare la provenienza personale del denaro o del
bene utilizzato (comma 1°), mentre, nel caso di beni immobili o di beni mobili registrati,
in luogo della dichiarazione del coniuge acquirente, occorre la partecipazione del coniuge non acquirente all’atto e la sua dichiarazione di riconoscimento che il denaro o il bene
utilizzato per l’acquisto appartiene personalmente all’altro coniuge (comma 2°, limitatamente all’ipotesi di reinvestimento di denaro personale o scambio di bene personale).
Sul significato e sulla natura delle dichiarazioni previste dal 1° e dal 2° comma dell’art.
179 c.c. c’è vivace controversia in dottrina e giurisprudenza.
Secondo un primo orientamento, che si fonda sia sulla lettera della legge sia sulla valorizzazione della comunione legale come regime generale dei rapporti patrimoniali tra
coniugi, la dichiarazione della provenienza personale del denaro o del bene oggetto dello
scambio è condizione necessaria (ma non sufficiente: l’altra condizione è data dall’effettiva ricorrenza dei presupposti della surrogazione) affinché il bene venga sottratto alla
comunione legale. Se il coniuge acquirente (nell’ipotesi del comma 1°) omette di dichiarare che il denaro o il bene utilizzato per l’acquisto è personale, il bene acquisito ricadrà
inevitabilmente in comunione legale (in mancanza della dichiarazione, si deve ritenere
che il coniuge acquirente abbia voluto attribuire alla comunione legale il prodotto della
surrogazione di beni personali; così, Tribunale Milano 21 dicembre 1981); il medesimo
effetto deriverà dalla mancata partecipazione del coniuge non acquirente all’atto di acquisto per riconoscere la natura personale dell’acquirendo immobile o bene mobile registrato e la sua esclusione dalla comunione legale (comma 2°).
L’orientamento opposto alla tesi ora delineata è seguito dalla Suprema Corte (Cass., Sez.
II, 8 febbraio 1993 n. 1556, a proposito di beni immobili; Cass., Sez. I, 18 agosto 1994 n.
7437, riguardo a beni mobili non registrati), secondo cui la predetta partecipazione (per
gli immobili e i beni mobili registrati) non è necessaria per non far ricadere il bene acquistato in comunione legale, quando sia obiettivamente certo che l’acquisto realizzi il
reinvestimento di denaro o beni personali (Cass. 1556/93, che ammette a dimostrare che,
pur non avendo il coniuge preso parte all’atto e reso la dichiarazione ricognitiva sulla
natura personale dei denari versati o dei beni trasferiti per l’acquisto, la provenienza personale effettivamente sussisteva), mentre (per i beni mobili) la dichiarazione del coniuge
acquirente ha lo scopo di rendere conoscibile ai terzi ed all’altro coniuge la provenienza
del denaro o del bene utilizzato solo nel caso in cui possa essere obiettivamente incerto
se l’acquisto realizzi il reinvestimento di denaro avuto in donazione o in eredità o come
frutto dello scambio di beni ugualmente personali.
La tesi del Supremo Collegio muove evidentemente da un presupposto ideologico: i beni
acquistati per effetto del reinvestimento di beni personali risentono ontologicamente di
tale provenienza ed assumono automaticamente anch’essi natura personale per una sorta di “caratteristica genetica”, consistente appunto nella derivazione personale del denaro o del bene utilizzato come prezzo dell’acquisto; così, se proprio il coniuge intende
includere nella comunione legale il bene acquistato deve fare intervenire anche l’altro coniuge all’atto dell’acquisto, in modo che entrambi si rendano cointestatari del bene (nella
sentenza Cass. 7437/1994, si giunge infatti a sostenere che per conseguire l’obiettivo di
far passare, al momento del reinvestimento, i beni personali in comproprietà dell’altro
coniuge, il coniuge acquirente “non ha altro che da consentire la cointestazione del bene
anche all’altro coniuge, mezzo questo molto più chiaro e consapevole rispetto a quello
consistente semplicemente nell’omettere la dichiarazione di cui alla lettera f) dell’art. 179
c.c., ben potendo tale omissione essere dovuta a pura dimenticanza o, comunque, a fattori estranei alla volontà di mettere in comunione anche beni che, invece, si avrebbe il
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PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
diritto di conservare come personali”).
Questo Giudice ritiene di non poter aderire all’orientamento della Suprema Corte
espresso nella sentenza dell’11 febbraio 1993 n. 1556, perché esso non appare conforme alla ratio della legge, alla sua lettera ed al coordinamento sistematico dei diversi
istituti vigenti in materia di rapporti patrimoniali tra coniugi.
La ratio della normativa sulla comunione legale consiste nel rendere entrambi i coniugi vicendevolmente partecipi delle questioni patrimoniali, a differenza della separazione dei beni, in cui, invece, ciascun coniuge (fermi gli obblighi di contribuzione
nell’interesse della famiglia) mantiene un proprio patrimonio separato ed un’autonomia dispositiva in relazione ad esso.
L’art. 177 lett. a) c.c. contiene una norma di carattere generale che sancisce l’appartenenza
alla comunione legale di tutti gli acquisti compiuti dai coniugi anche separatamente.
Rispetto a tale precetto normativo, l’art. 179 c.c. opera in senso meramente limitativo e,
di conseguenza, la riduzione dell’ambito della norma non dovrebbe effettuarsi oltre il
puntuale disposto della norma stessa, che sancisce un preciso onere formale al fine di
consentire l’esclusione dell’acquisto dalla comunione legale.
Nel regime di separazione dei beni, i coniugi sono ovviamente liberi di rendersi congiuntamente acquirenti di un bene, stabilendo, così, una comunione ordinaria sul medesimo.
La considerazione svolta dalla Suprema Corte - secondo la quale il coniuge può consentire l’inclusione in comunione legale del reinvestimento di beni personali mediante
la cointestazione del bene - potrebbe essere interamente riproposta nella fattispecie di
coniugi in regime di separazione, con la conseguenza che, nella prospettiva della Corte,
i beni personali sembrerebbero non costituire tanto un limite oggettivo alla comunione
legale, ma piuttosto l’oggetto di un distinto regime di separazione, che opererebbe tra i
coniugi contestualmente e parallelamente alla comunione legale. Così opinando, la previsione normativa secondo cui, in regime di comunione legale, gli acquisti compiuti dai
coniugi separatamente ricadono in comunione (art. 117 lett. a) c.c.) si rivelerebbe un’affermazione di mero principio, posto che, a fronte di qualsivoglia acquisto, occorrerebbe,
di volta in volta, accertare se esso sia stato compiuto nell’ambito dei beni o dei proventi
oggetto della comunione oppure di quelli appartenenti personalmente ed esclusivamente al coniuge e facenti parte, pertanto, di un separato patrimonio personale.
Sono evidenti, infine, le ripercussioni di una tale conclusione nei confronti della tutela
dei terzi e, in particolare, dei creditori della comunione legale, ai quali potrebbero opporsi le limitazioni ex art. 190 c.c. in assenza di qualsivoglia regime pubblicitario: difatti,
i creditori per le obbligazioni ex art. 186 c.c. non potrebbero mai fare affidamento su un
immobile acquistato separatamente dal coniuge in regime di comunione legale, perché
si potrebbe dimostrare, anche a posteriori ed in contrasto con le emergenze dell’atto trascritto, che la mancata partecipazione dell’altro coniuge all’acquisto non esclude la natura personale del bene e in tal caso l’immobile (personale) potrebbe rispondere dei debiti
della comunione solo nei limiti dell’art. 190 c.c.
La partecipazione del coniuge all’atto di acquisto e l’assenso all’esclusione del bene
dalla comunione legale costituiscono, dunque, ex art. 179 comma 2° c.c., requisiti necessari affinché il bene acquistato separatamente possa essere considerato personale
(come detto, l’altro requisito è l’effettiva ricorrenza della surrogazione); ne dà conferma anche un recente precedente giurisprudenziale (Cass. Sez. I 27/2/2003 n. 2954) che
così statuisce: “Perché il bene acquistato (mobile o immobile) sia escluso dalla comunione occorre che la causa di esclusione, oltre a sussistere effettivamente, risulti anche
dall’atto. E ciò per un’evidente ragione di tutela dell’affidamento da parte dei terzi”.
Per quanto esposto, la mancata partecipazione di …, coniuge in comunione legale, all’atto di acquisto compiuto il …1994 da T. G. e l’omissione della dichiarazione ricognitiva
sull’origine personale del denaro impiegato impediscono di annoverare l’appartamento
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AIAF QUADERNO 2007/2
di via … a Bologna tra i beni personali del convenuto: anch’esso, come gli immobili in
…e … costituisce (melius, costituiva all’epoca dell’atto dispositivo del 29/9/1999) oggetto
della comunione legale tra i coniugi.
- non ricorrono i presupposti della surrogazione (art. 179 c.c.) perché il bene non risulta
acquisito con il prezzo del trasferimento di beni personali
La tesi secondo cui il denaro ricevuto a mutuo dalla Carimonte nel 1994 per l’acquisto
dell’appartamento in … (documento nr. 5 del convenuto) costituirebbe “bene personale”
perché detto mutuo è stato ripianato (nel 1997) col versamento di una somma percepita
dalla vendita dello stabile di via …-Bologna (avvenuta, appunto, nel 1997) non ha fondamento: un bene è personale perché acquistato coi frutti della cessione di un altro cespite
personale e, per il tenore letterale della disposizione (che - come detto - richiede anche la
partecipazione dell’altro coniuge e un’espressa dichiarazione al momento dell’acquisto),
tale ultimo trasferimento deve essere necessariamente avvenuto in un tempo anteriore;
in altri termini, un bene comprato da un coniuge in comunione non può divenire “personale” a posteriori per effetto di un’operazione di cessione di beni personali realizzata
dopo l’atto di acquisto (nel caso, dopo ben 3 anni) sol perché l’acquisto è stato reso intanto possibile dall’ “intermediazione temporale” di un istituto di credito.
Pur volendo aderire a tale ardita tesi (contraddetta anche dalla tassatività delle ipotesi di
esclusione ex art. 179 c.c.: Cass. 2954/2003), la conclusione in fatto non muta: ammettendo
(in via meramente ipotetica) che l’introito per la cessione dei beni personali sia stato di
complessive Lire 340.000.000 (come emerge dagli atti di vendita dei 2/3 dello stabile di
via …-Bologna e dell’intero fabbricato in via …-Bologna), l’appartamento in … è stato
acquistato per Lire 530.000.000, somma che rende manifesta l’insufficienza del denaro
acquisito dai trasferimenti di beni propri per il compimento dell’acquisto del …/1994.
Anche per tali ragioni, dunque, non può in alcun modo ritenersi sussistente il legame
descritto dall’art. 179 comma 1° lett. f) e comma 2° c.c. tra i beni parafernali del convenuto
e l’immobile de quo, il quale, al contrario, è da annoverarsi tra i beni della comunione
legale tra i coniugi.
5. Una volta stabilito che tutti gli immobili per cui è causa formavano oggetto della comunione legale (che, secondo Cass. Sez. II 2/2/1995 n. 1252, prescinde rigorosamente dal
dato formale, ossia dall’intestazione formale dei beni nei pubblici registri) quando il T.
G. ne ha disposto conferendoli nel trust, restano da esaminare le conseguenze di tale
disposizione che è avvenuta senza l’autorizzazione della moglie (come risulta evidente
dall’atto istitutivo di trust, documento nr. 2 dell’attrice).
L’attrice sostiene la nullità assoluta della cessione delle quote della comunione legale sui
fabbricati in …e …e l’annullabilità del trasferimento dello stabile in … a Bologna.
Riguardo alla prima tesi (dell’annullabilità si parlerà nel capo successivo), si osserva che
non rientra tra gli atti di disposizione, che possono essere compiuti dai coniugi in comunione legale, l’alienazione dell’intera “quota” spettante a ciascun coniuge sul patrimonio
complessivo: la comunione legale non può essere considerata una fattispecie di contitolarità di diritti, sicché il complesso patrimoniale, costituito dall’insieme dei cespiti facenti
parte delle categorie indicate nell’art. 177 c.c., non è oggetto di un sovraordinato diritto di
ciascun coniuge, che differisca dal diritto avente ad oggetto ciascun bene. Anche in una
prospettiva di “contitolarità”, d’altra parte, la Corte Costituzionale (sentenza n. 311/1988)
ha sottolineato che i coniugi sono solidalmente titolari, in quanto tali, di un diritto avente
ad oggetto i beni della comunione e che la quota non rappresenta un elemento strutturale dell’istituto. Conseguentemente, deve escludersi che il coniuge possa alienare ad
un terzo la sua partecipazione nella comunione legale, determinando l’inconcepibile
effetto giuridico di una comunione legale tra soggetti non coniugi.
Costituisce autorevole avallo delle suesposte considerazioni la recente sentenza Cass. Sez.
218
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
I 19/3/2003 n. 4033 (che riprende le argomentazioni già svolte in Cass. Sez. II 14/11/1997 n.
284): “La peculiarità della comunione legale dei beni tra coniugi … consiste nel fatto che
questa, a differenza della comunione ordinaria, come ha affermato la Corte Costituzionale con la sentenza 10/3/1988 n. 311 nel dichiarare infondata la questione di legittimità
dell’art. 184 cod. civ., non è una comunione per quote in cui ciascuno dei partecipanti
può disporre del proprio diritto nei limiti della quota, bensì una comunione senza quote
nella quale i coniugi sono solidamente titolari di un diritto avente per oggetto i beni di
essa e non è ammessa la partecipazione di estranei, sicché la quota, caratterizzata dalla
indivisibilità e dalla indisponibilità, ha soltanto la funzione di stabilire la misura entro
cui tali beni possono essere aggrediti dai creditori particolari (art. 189 c.c.), la misura
della responsabilità sussidiaria di ciascuno dei coniugi con propri beni personali verso
i creditori della comunione (art. 190 c.c.) e, infine, la proporzione in cui, sciolta la comunione, l’attivo e il passivo saranno ripartiti tra i coniugi o i loro eredi (art. 194 c.c.), (Cass.
284/97).
Ne consegue che, nei rapporti con i terzi, ciascun coniuge, mentre non ha diritto di
disporre della propria quota, perché ciò avrebbe l’inconcepibile effetto di far entrare
nella comunione degli estranei, può tuttavia disporre, in forza di detta titolarità solidale dell’intero bene comune (Cass. 284/97).
Alla luce di tale principio va osservato che il codice civile stabilisce, nell’ambito della
comunione familiare, una disciplina differenziata per gli atti relativi ai beni immobili ed
ai mobili registrati rispetto a quelli relativi a tutti gli altri beni ed in particolare a quelli
mobili.
Per i primi, l’art. 184 comma 1 c.c., prevede per il loro compimento il consenso dell’altro
coniuge, conformemente al modulo dell’amministrazione congiuntiva adottato dall’art.
180, comma 2, cod. civ. per gli atti di straordinaria amministrazione. Tale consenso si
pone come negozio (unilaterale) autorizzativo, ma non nel senso di atto che attribuisce
un potere, bensì nel senso di atto che rimuove un limite all’esercizio di tale potere, con
l’ulteriore conseguenza che esso rappresenta un requisito di regolarità del procedimento
di formazione dell’atto di disposizione la cui mancanza, ove si tratti di bene immobile
o di bene mobile registrato, si traduce in un vizio del negozio da far valere, giusta il
disposto del citato art. 184, entro l’anno dalla data di effettiva conoscenza dell’atto e, in
ogni caso, dalla data della sua trascrizione oppure, ove l’atto non sia stato trascritto (o
non sia trascrivibile) e non se ne sia avuta conoscenza prima dello scioglimento della
comunione, dalla data di tale scioglimento (Cass. 284/97). … Tale disposizione corrisponde alla natura peculiare della comunione legale dinanzi evidenziata in virtù della
quale ciascun coniuge dispone della piena titolarità di disposizione del bene comune per
l’intero che, se per quanto concerne i beni immobili e quelli mobili registrati necessita del
consenso dell’altro coniuge al fine di non rendere l’atto dispositivo annullabile, essendo
tale atto equiparato ad un atto di straordinaria amministrazione ai sensi dell’art. 180 c.c.
e come tale sottoposto a particolare vincolo cautelativo da parte del legislatore per impedire che uno dei coniugi possa unilateralmente depauperare il patrimonio familiare”.
Nel caso de quo, tuttavia, non si verte nell’ipotesi di cessione dell’intera quota di comunione legale (atto certamente nullo), bensì nella fattispecie di cessione di una quota
su singoli beni facenti parte della comunione dei quali il T. G., proprio in forza delle
suddette osservazioni, avrebbe potuto disporre anche per l’intero.
Rileva un’autorevole dottrina, che in tale ipotesi, non si configura uno scioglimento della
comunione legale relativamente al bene oggetto dell’atto di alienazione, bensì un atto di
alienazione, riguardante un bene della comunione, non già per l’intero ma nei limiti di
una quota: sarebbe illogico ritenere che - mentre l’alienazione di un intero bene, da parte
di uno solo dei coniugi, è valida ed efficace (salve, in ipotesi, le conseguenze dell’art. 184
c.c.) - l’alienazione di una quota di quello stesso bene sia, al contrario, assolutamente
219
AIAF QUADERNO 2007/2
inefficace; peraltro, nulla impedisce ai coniugi di essere comproprietari di beni insieme a
terzi, salva l’applicazione del regime di comunione legale relativamente alla quota posseduta. Difatti, se i coniugi possono ab origine detenere in comunione legale quote di un
bene, allo stesso modo è ammissibile che un bene, in precedenza oggetto di comunione
legale per l’intero, divenga, poi, oggetto di comproprietà con terzi. Nel caso in cui l’alienazione della quota sia compiuta da uno dei coniugi separatamente, valgono le conseguenze stabilite dall’art. 184 c.c. per le alienazioni solitarie (coi limiti temporali previsti
per l’impugnazione): i rapporti giuridici tra i coniugi ed il terzo comproprietario saranno
regolati, a loro volta, dalle norme sulla comunione ordinaria, restando operante, invece,
il regime di comunione legale quanto alla quota ancora appartenente ai coniugi.
Con altre parole, poiché il coniuge è “proprietario solidale” del bene in comunione
(Corte Cost. 311/1988), lo stesso è legittimato a disporne a favore di un terzo per l’intero o anche in parte (nella misura di 1/2, ma anche di 1/3 o di 1/4); ove l’atto dispositivo
sia stato compiuto in carenza dell’autorizzazione ex art. 184 c.c., l’altro coniuge potrà,
entro un anno, ottenerne l’annullamento; in mancanza di impugnazione, tuttavia la
cessione si consoliderà col duplice effetto di “restringere” l’oggetto della comunione
legale alla quota residua e di costituire una comunione ordinaria tra il terzo da un lato
e i due coniugi dall’altro (come si esprime la dottrina,infatti, “nessuno può concepire
una comunione legale tra soggetti che non siano coniugi, ma nessuno può impedire,
parimenti, che i coniugi possiedano, in comunione legale, una quota di comproprietà di
beni intestati, per le restanti quote, a terzi; conseguentemente, non si può escludere che
una situazione di comproprietà ordinaria tra i coniugi ed un terzo, salva l’applicazione
dell’art. 184 c.c., possa essere il frutto di un atto di alienazione compiuto da uno dei coniugi senza il consenso dell’altro”).
Non può, dunque, ritenersi nullo il trasferimento, realizzato dal T. G., delle quote
di ½ sugli immobili di …: tale atto è, piuttosto, annullabile (alle condizioni previste
dall’art. 184 c.c.) e - come si vedrà - nel caso specifico la diversa qualificazione data alla
causa di invalidità non influisce in maniera sostanziale sulla decisione finale.
Invero, la … ha chiesto l’annullamento del trasferimento delle quote sui citati edifici adducendo a fondamento della domanda pretese ragioni di nullità e non di annullabilità;
tuttavia, conformemente al costante orientamento giurisprudenziale (da ultimo Cass.
Sez. Lav. 16/7/2002 n. 10316), si ritiene che, qualora non si pongano a fondamento della
pronuncia fatti giuridici costitutivi diversi da quelli dedotti dall’attore e dibattuti nel giudizio (così integrando o sostituendo in tutto o in parte gli elementi della causa petendi),
l’accoglimento della domanda sulla base di una categoria d’invalidità diversa da quella
prospettata dalla parte non costituisca violazione dell’art. 112 c.p.c., ma, piuttosto, concreto esercizio del potere/dovere di riqualificazione della domanda attribuito al giudice
in base al principio iura novit curia (art. 113 c.p.c.).
6. Tutti gli immobili sui quali verte la causa sono assoggettati al medesimo regime patrimoniale di comunione legale e, parimenti, al sistema previsto ex lege per la loro amministrazione: ex art. 180 comma 2° c.c. il compimento degli atti eccedenti l’ordinaria
amministrazione è attribuito ai coniugi congiuntamente.
Seguendo il filone giurisprudenziale che ha individuato come atti di straordinaria amministrazione non soltanto quelli di alienazione di beni, ma anche, più in generale, quelli
che possano comunque incidere direttamente o indirettamente sul patrimonio (la promessa di vendita di bene immobile, secondo Cass. 21/12/2001 n. 16177; la riscossione
dell’indennità di espropriazione di un fondo comune, per Corte App. Napoli 19/6/1993; il
conferimento di un immobile in società, in base a Cass. 22/7/1987 n. 6369), questo Giudice
ritiene che il trasferimento dei suddetti stabili nel trust, che - come già detto - comporta
l’uscita del bene dal patrimonio del settlor, debba essere considerato atto eccedente
220
PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
l’ordinaria amministrazione, anche in ragione del rilevante valore economico dei beni
affidati al trustee.
Emerge chiaramente dagli atti (e, anzi, è proprio questo il presupposto dell’azione
dell’attrice) che l’atto istitutivo di trust, col quale T. G. ha pure trasferito al trustee gli
immobili per cui è causa, è stato compiuto in assenza di autorizzazione del coniuge
(nell’atto notarile si legge, tra l’altro, che il settlor “.dichiara di essere coniugato, ma
giudizialmente separato dalla propria coniuge”; documento nr. 2 dell’attrice).
Il disposto dell’art. 184 c.c. è inequivocabile: “Gli atti compiuti da un coniuge senza il
necessario consenso dell’altro coniuge e da questo non convalidati sono annullabili se
riguardano beni immobili … L’azione può essere proposta dal coniuge il cui consenso era
necessario entro un anno dalla data in cui ha avuto conoscenza dell’atto e in ogni caso
entro un anno dalla data di trascrizione”.
Poiché l’attrice ha agito nel termine previsto dalla norma (il trust è stato istituito il
29/9/1999, mentre l’azione giudiziale è stata intrapresa con atto di citazione notificato il
3/7/2000), il conferimento in trust degli immobili che formavano oggetto della comunione (l’appartamento di Bologna e le quote, ciascuna di ½, sui fabbricati in … e in
…) deve essere annullato, ferma restando la validità delle altre disposizioni del settlor
(non contestate in questa sede).
7. Per la novità e la complessità delle questioni che sono state sollevate da tutte le parti e
affrontate nel corso del giudizio, pare opportuno, ex art. 92 comma 2° c.p.c., compensare
integralmente le spese di lite.
P.Q.M.
IL TRIBUNALE DI BOLOGNA - SEZIONE PRIMA CIVILE
definitivamente pronunciando sulla causa nr. …/2000 R.G. promossa da … nei confronti
di T. G. e di Società Fiduciaria, con sentenza provvisoriamente esecutiva per legge, ogni
altra e diversa domanda, istanza, eccezione e difesa disattesa e respinta, così provvede:
· rigetta la domanda principale avanzata dall’attrice e dichiara la validità ed efficacia
dell’atto istitutivo di trust compiuto il …/1999 e registrato in data …1999;
· annulla il trasferimento, realizzato da T. G. al trustee Società Fiduciaria (con atto del
…1999 a ministero del Notaio Dr. … registrato al 3° Ufficio delle Entrate di Bologna il
…/1999 al nr. … - serie 1A), limitatamente alla porzione del fabbricato denominato “…”,
ubicato in Bologna, alla quota di ½ delle porzioni del fabbricato sito in …di Bologna con
le relative pertinenze e alla quota di ½ delle porzioni del fabbricato sito in …;
compensa, per intero, le spese del giudizio tra tutte le parti.
Bologna, lì 30 settembre 2003
Il Giudice Dr.ssa Anna Maria Drudi
Sentenza redatta con la collaborazione del Dott. Giovanni Fanticini, uditore giudiziario
221
AIAF QUADERNO 2007/2
TRIBUNALE VERONA,
DECRETO DELL’8.1.03, “TRUST AUTO-DICHIARATO: ART. 2740 C.C. E TRASCRIZIONE”
Trusts e attività fiduciarie, Luglio 2003, p. 409 e ss.
Il Tribunale,
sciogliendo la riserva, osserva quanto segue:
1. La prima questione da esaminare è l’eccezione di improcedibilità sollevata dall’Agenzia del Territorio.
(omissis)
L’eccezione di improcedibilità deve essere, pertanto, disattesa.
2. Nel merito, oggetto della presente decisione è la questione della trascrivibilità nei Registri Immobiliari di un atto descritto, nella nota di trascrizione, come “costituzione in
trust di beni immobili” e qualificato come trust agli effetti della Convenzione dell’Aia
del 1° luglio 1985, ratificata con legge del 16 ottobre 1989, n. 364. Nell’ambito del presente procedimento non vengono in rilievo questioni attinenti alla validità dell’atto,
ma, assunta la appartenenza tipologica del detto atto al genus trust di cui alla citata
Convenzione, unicamente quella della sua trascrivibilità nei Registri Immobiliari.
Il Conservatore ha ravvisato una situazione di giuridica incertezza sul rilievo che l’atto
“non pare [...] sia atto soggetto a trascrizione ex artt. 2643 e segg. C.C.”.
Effettivamente, adottando questa ottica, non sembra seriamente contestabile che la costituzione in trust di un bene immobile non rientra in alcuna delle previsioni contenute
negli artt. 2643 e segg. cod. civ. Ma ciò non significa che l’atto non sia trascrivibile.
Trattandosi di norme di legge ordinaria, in linea di principio nulla impedisce che la trascrizione di altri atti, diversi da quelli previsti dalle citate norme del codice civile, possa
essere prevista o consentita in base a leggi speciali. Nel caso del trust, anzi, si deve partire dalla premessa che, trattandosi di un istituto estraneo al nostro ordinamento (che
non lo disciplina) e utilizzabile in ambito nazionale solo grazie al suo “riconoscimento”
per effetto della ratifica di una Convenzione internazionale, la trascrizione di un atto
di tal genere è per definizione al di fuori delle regole generali che disciplinano la trascrizione, che ovviamente fanno riferimento a contratti, atti o provvedimenti previsti
e disciplinati dalla legge nazionale. La Repubblica Italiana ha riconosciuto il trust, ma
non lo ha disciplinato con proprie norme interne, per cui l’atto così denominato è per
definizione disciplinato dalla legge di un altro paese.
Detto questo, le prospettive che si aprono per la soluzione della questione sono sostanzialmente due: o si rinviene nella stessa Convenzione dell’Aia una norma che prevede
o, comunque, consente la trascrizione; o, nell’eventuale silenzio della Convenzione, risultando impossibile una decisione in base ad una precisa disposizione di legge (interna o no), resta aperto il ricorso all’analogia. A quest’ultimo proposito si deve dire che,
se pure il trust è per definizione un istituto di diritto straniero, il suo riconoscimento
comporta, comunque, per necessità, problemi di inserimento o adattamento alla realtà
giuridica nazionale nel senso, quanto meno, di una inevitabile interazione con istituti
del diritto nazionale (tra cui la trascrizione). Per cui la questione della trascrivibilità
dell’atto non potrebbe mai essere risolta in negativo sulla base della mera osservazione
che né la legge straniera applicabile (nella specie, la legge inglese) né alcuna specifica
disposizione di legge italiana prevedono la trascrizione dell’atto istitutivo di un trust.
Una tale risposta, in difetto di una previa indagine in ordine alla natura intrinseca del
trust che ne escludesse, in ipotesi, gli effetti reali, equivarrebbe, infatti, a negare di fatto
ogni effetto al riconoscimento dell’istituto e, quindi, a considerare tamquam non esset
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PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
la legge di ratifica della relativa Convenzione internazionale (ciò che comunque non
sfuggirebbe ad un sospetto di illegittimità costituzionale).
Seguendo l’indicata linea di indagine, si osserva, da un lato, che è la stessa Convenzione dell’Aja a indicare la via “virtuosa” per il superamento del problema laddove,
all’art. 12, prevede la possibilità di “richiedere l’iscrizione [...] che riveli l’esistenza del
trust, a meno che ciò non sia vietato o sia incompatibile con la legislazione dello Stato
nel quale la registrazione deve aver luogo”; e, dall’altro, che la nostra legge sicuramente
(e ovviamente) non pone alcun divieto alla trascrizione di un atto qualificato come istitutivo di trust. Nella nostra legge si potrebbe, se mai, rinvenire nell’art. 2740 cod. civ. un
divieto alla stessa stipulazione di un atto del genere. La caratteristica precipua del trust,
infatti, non è tanto il trasferimento della proprietà del bene dal disponente al trustee
(mancante nella concreta fattispecie, in cui la stessa persona è ad un tempo disponente e
trustee), quanto la separazione (o “segregazione”) dei beni costituiti in trust dal restante
patrimonio del proprietario. Per cui, se il trust non fosse stato - con la ratifica della Convenzione dell’Aia - riconosciuto nel nostro Stato, non sarebbe dubbio che un tale atto
incontrerebbe, nel nostro ordinamento, il divieto posto dall’art. 2740 cod. civ.. Ma, una
volta superato tale divieto, non se ne incontra alcun altro che riguardi specificamente la
trascrizione dell’atto. La quale non è neppure incompatibile con qualche norma di legge
interna. L’idea che l’intera disciplina della trascrizione poggi su un principio (peraltro,
solo implicito) di tassatività degli atti trascrivibili è stata da tempo abbandonata, per cui
il solo fatto che nessuna norma di legge preveda (ovviamente) la trascrizione dell’atto
istitutivo di trust non implica né un divieto di tale trascrizione né la sua incompatibilità
con il sistema. Già in forza di queste considerazioni, il solo riferimento all’art. 12 della
Convenzione dell’Aia appare sufficiente a giustificare l’accoglimento del reclamo. Ad
abundantiam, si possono propone due ulteriori considerazioni: 1) il previsto assoggettamento a trascrizione dell’atto istitutivo del fondo patrimoniale (art. 2647 cod. civ.), che
è la figura più vicina al trust che il nostro ordinamento positivo conosca, dimostra in
positivo che la ammissione alla formalità della trascrizione dell’atto istitutivo del trust
non solo non è incompatibile con alcuna norma di legge, ma è anzi coerente e conforme
al sistema; 2) se neppure questo fosse ritenuto sufficiente a far ricavare la soluzione del
problema direttamente dall’art. 12 della Convenzione dell’Aia, si sarebbe in presenza di
una lacuna del sistema ed allora, non restando che il ricorso all’analogia, non si potrebbe
non vedere proprio nell’art. 2647 cod. civ. la norma applicabile “anche” al trust ai sensi
dell’art. 12, II comma delle preleggi.
Il reclamo va, pertanto, accolto e, per l’effetto, la riserva con cui è stata eseguita la formalità deve aversi come non apposta.
P.Q.M.
Accoglie il reclamo e conseguentemente dichiara senza effetto la riserva apposta alla
trascrizione dell’atto datato 3 luglio 2002 n. 218419/29424 rep. Not. Lebano Pasquale, formalità eseguita presso l’Agenzia del Territorio di Verona il 12 agosto 2002 n. 34420 R. G.
e 23786 R. P.
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AIAF QUADERNO 2007/2
TRIBUNALE PISA,
DECRETO DEL 22.12.01, “TRASCRIZIONE DI TRUST DICHIARATO UNILATERALMENTE”
in Trusts e attività fiduciarie, Aprile 2002, p. 241 e ss.
(Omissis)
In fatto
Il notaio … ottenuta la trascrizione con riserva di un atto di istituzione di un trust da
lui ricevuto, chiede che la riserva venga eliminata, sostenendo la piena trascrivibilità
dell’atto stesso in Italia ai sensi della Convenzione de L’Aja dell’1/7/1985, ratificata con L.
16110/1989 n. 364, ormai in vigore da molti anni.
Il ricorso risulta depositato nel termine di cui all’art. 113-ter DA.
L’Agenzia del Territorio resiste prospettando ragioni ostative attinenti sia all’istituto del
trust che alla normativa sulla pubblicità immobiliare.
L’atto in discussione, prodotto in copia, risulta posto in essere da una cittadina italiana
residente in Italia, che ha incaricato e impegnato se stessa a gestire in Italia un trust avente ad oggetto un bene immobile sito in Italia, conservato nella proprietà di lei medesima,
ma destinato al soddisfacimento delle esigenze del fratello di lei, a sua volta cittadino
italiano residente in Italia. Per dichiarazione espressa della disponente (punto 8 dell’atto:
“Legge regolatrice del trust”), “II trust è regolato dalla legge inglese”.
In diritto
La particolarità del caso è rappresentata dalle circostanze sopra elencate, che rendono
l’atto in discussione italiano sotto tutti gli aspetti, escluso soltanto quello della legge regolatrice, e palesemente non in linea con i principi tradizionali e sanciti in tema di responsabilità patrimoniale, primo fra tutti quello dell’art. 2740 C.C. È questo infatti uno
dei principali argomenti utilizzati dalla resistente, ed è forse questa la ragione per la
quale le parti precisano che non vi sono precedenti in termini, in effetti non rinvenuti dal
Tribunale, mentre è pacifico che sono stati presentati per la trascrizione e sono stati anche
trascritti in Italia atti istitutivi di trust comportanti trasferimento dei beni assoggettati al
vincolo.
In effetti, sono palesi le difficoltà di coordinamento e di armonizzazione con parecchie
norme di legge italiane, se si considera che, secondo lo schema più diffuso nei Paesi che
regolano l’istituto, modellato sulla elaborazione anglosassone nella specie esplicitamente
richiamata, con la imposizione del vincolo di trust i beni divengono, con riferimento alla
persona del loro titolare: insequestrabili, sottratti a pignoramento e fallimento, insensibili
al regime matrimoniale e successorio (art. 11 Conv.). Ma queste difficoltà si riproducono
in relazione a qualsiasi trust e così l’argomento che se ne vuol trarre, anziché dimostrare
l’inammissibilità di una fattispecie singolare, finisce con l’annullare se stesso ponendosi
in totale conflitto con la norma di legge e regola l’asserita singolarità nell’ambito di una
mera suggestione. La separazione o, come si dice più spesso e anche nell’atto in esame,
la “segregazione” dei beni nel patrimonio del loro titolare è dato caratteristico e qualificante di ogni trust, sicché l’art. 2740 e le altre norme invocate precluderebbero l’esistenza
giuridica per il nostro ordinamento di qualsiasi trust, mentre c’è la legge di ratifica che
sancisce il contrario, facendo eccezione soltanto in relazione all’ordine pubblico (nel
senso ristretto dell’art. 18 Conv.) e a determinate categorie di esigenze, specificamente
elencate nella stessa Convenzione ratificata (art. 15). Ne consegue che, pur foriero di
problemi giuridici e pratici tutt’altro che trascurabili, il trust “internazionale” va riconosciuto dal nostro ordinamento in generale, senza distinguere se i beni siano del
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PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST
disponente o meno e se vi sia contestuale trasferimento dal primo al secondo, il che
non è imprescindibile neppure se i due soggetti sono distinti. Sembra più agevole una
simile conclusione quando vengono in gioco persone o beni stranieri, ma alla luce della
normativa specifica non possono farsi tali distinzioni, e non si saprebbe neppure quali
considerare discriminanti, fra le tante variabili possibili.
E’ ugualmente suggestiva la trasposizione delle difficoltà sul piano della normativa
pubblicitaria, ed anzi in pratica su questo piano vi saranno ben poche occasioni in cui
emergeranno problemi in sede di trascrizione, perché verrà trascritto l’atto di trasferimento ed esso costituirà il vincolo per introdurre nei registri anche menzione del
regolamento del trust, risultato del quale ci si accontenterà e che è indubbiamente già
auspicabile sia nell’interesse del trust stesso, sia dei terzi. Ma il problema della trascrivibilità in sé (dell’atto costitutivo) del vincolo di trust rimane, non ontologicamente
diverso anche in quei casi comuni, perché si tratta della pubblicità (dell’atto costitutivo)
del vincolo non nei confronti dell’eventuale autore di un trasferimento o costituzione
di diritti reali, bensì nei confronti di colui che risulterà titolare del bene o diritto, non
importa se per effetto del trasferimento o per conservazione della titolarità pregressa.
È di immediata percezione e pacifico, quindi da accennare soltanto, che l’atto qui in
esame delinea per iscritto un trust volontario con gli elementi caratterizzanti indicati
dalla Convenzione (artt. 2 e 3), e dunque la fattispecie è di massima compresa nel regolamento convenzionale (art. 1). Il trust, senza eccezione per questo tipo di trust, è
previsto dall’ordinamento inglese esplicitamente invocato (artt. 5 e 6; vi è anzi chiara
traccia di un principio di “favor” negli artt. 6, 7, 14); non si identificano (ammesso che
rilevino in sede di trascrizione e non occorrano appositi giudizi) motivi di invalidità
dell’atto costitutivo in sé considerato, posto che anch’esso è soggetto non alle regole italiane ma a quelle inglesi (art. 8) e non risulta confliggente con esigenze ostative
(art. 15). Dunque, questo specifico trust deve considerarsi “riconosciuto” in Italia, in
virtù di quell’unico ma espansivo elemento di estraneità all’ordinamento italiano che
è rappresentato dal richiamo alla legge inglese. Riconoscimento significa nel mondo
giuridico attribuzione di effetti, in ordine ai quali Convenzione e Legge di ratifica non
pongono limiti al di là di quelli già accennati.
La Convenzione, oltre al riconoscimento dei trust cosiddetti “internazionali”, non introduce e non obbliga gli Stati contraenti ad introdurre negli ordinamenti interni la
previsione ed il regolamento nazionale dell’istituto del trust; all’art. 12, con norma che,
si ricorda, è anch’essa legge dello Stato italiano, attribuisce però (si segue la traduzione
ufficiale) al “trustee che desidera registrare i beni mobili o immobili, o i documenti attinenti,...
facoltà di richiedere la iscrizione nella sua qualità di trustee o in qualsiasi altro modo che riveli
l’esistenza del trust, a meno che ciò non sia vietato o sia incompatibile a norma della legislazione dello Stato nel quale la registrazione deve aver luogo”. Dove le parole “registrazione” e
“iscrizione” indicano qualunque tipo previsto di pubblicità, secondo un’interpretazione pressoché unanime basata sulla provenienza di uno dei termini dal francese, che in
relazione a quell’ordinamento non distingue la trascrizione; ne è conferma l’uso fungibile dei due termini, il riferimento fungibile ai beni mobili e immobili e ai documenti,
l’indeterminatezza esplicita delle modalità.
Non sembra contestabile che la “facoltà” sostanzi un diritto potestativo, al quale deve
corrispondere un obbligo dei soggetti deputati alla pubblicità. È invece discusso che
la norma valga ad istituire un regime di trascrizione (facoltativa, per definizione) del
trust in Italia. Dal punto di vista della Convenzione, si tratta di un problema che può
atteggiarsi differentemente ma senza differenze logiche riguardo a ciascuno Stato firmatario. L’apertura a tutti i possibili oggetti e modi, espressa nell’art. 12, mostra chiaramente che la Convenzione, e di conseguenza la legge di esecutività, intende utilizzare,
adattandosi, tutti i possibili sistemi di pubblicità, non istituire un sistema comune, nep-
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AIAF QUADERNO 2007/2
pure minimo, del quale oltretutto dovrebbe fornire qualche lineamento, invece assente.
Dovrebbe disegnare una disciplina minima, proprio perché i diversi ordinamenti non
coincidono quanto ad estensione, oggetto e modalità della pubblicità, tanto è vero che
proprio in Italia essa ha un’estensione modestissima al di fuori della materia immobiliare ed offre quindi al trust e contro di esso un presidio decisamente insufficiente.
Ma, pur seguendo l’interpretazione riduttiva che attribuisce alla norma dell’art. 12 la
funzione di abilitare il trustee ad accedere alle sole forme di pubblicità esistenti nei
singoli Paesi, appare forzato negare che essa integri almeno la semplice previsione di
una nuova fattispecie ammessa alla registrazione nei limiti degli istituti presenti negli
ordinamenti interni, così aprendo la via per insediare anche il trust nel mondo chiuso
della pubblicità come esistente in Italia. Questa osservazione risulta di importanza decisiva per chi intenda il sistema pubblicitario italiano governato da criteri di rigorosa
tassatività; è a maggior ragione efficace, se tale rigore si neghi, o se ne riconosca il
superamento.
È vero che il legislatore, via via che crea o prende in considerazione nuovi istituti, usa
disporre con norme espresse la relativa eventuale estensione della pubblicità (e questo sembra aver fatto rendendo applicabile in Italia l’art. 12); ma la linea di tendenza
segnata da tante innovazioni del genere è quella di un progressivo superamento delle
categorie delimitanti l’ambito della pubblicità, se tassatività vi sia stata originariamente. Si supera il corollario della personalità giuridica e persino di una qualunque soggettività (fallimento, fondo patrimoniale), si supera il corollario dei diritti reali (locazioni
ultranovennali, assegnazione dell’abitazione nella separazione e nel divorzio, fondo
patrimoniale) e di qualunque vero diritto (vincoli sulla proprietà: v. art. 18 settimo
comma L. n. 47/85). Opporre la tassatività al trust risulta quanto meno anacronistico,
in presenza di una disposizione come l’art. 12.
Quanto ai limiti interni alla norma, è evidente che non c’è disposizione espressa né
principio dal quale dedurre un divieto di trascrizione del trust, dato che, una volta riconosciuto l’istituto, la pubblicità - qualunque ne sia l’effetto - realizza prima di tutto un
interesse dei terzi, generale e convergente con l’interesse pubblico. Altrettanto arduo è
individuare ragioni di incompatibilità, specialmente considerando quanto affine sia e in
quante affini maniere possa manifestarsi l’istituto del fondo patrimoniale, la cui fonte
negoziale è soggetta in ogni caso, ove si tratti di immobili, a trascrizione per espressa
norma dell’art. 2647 C.C. La fattispecie sostanziale del fondo patrimoniale, con la segregazione di alcuni beni e la successiva possibilità di aggiungerne altri in un vincolo di
destinazione, senza necessità di trasferimenti, è estremamente affine a quella del trust; la
sua disciplina pubblicitaria, sebbene meglio espressa senza le genericità di uno strumento multinazionale, è sostanzialmente corrispondente a quella dell’art. 12 Conv.: prevede
soltanto la trascrizione indiscriminata, senza curarsi di precisarne le modalità.
Non sembra che problemi di natura semplicemente organizzativa ed attuativa possano
paralizzare l’applicazione di una legge. In ogni caso, non possono essere addotti addirittura come ragioni di incompatibilità di quella legge con l’ordinamento dello Stato. Tali
ragioni, anche senza una riserva esplicita, avrebbero dovuto creare altrettante resistenze
alla trascrizione del fondo patrimoniale (o più precisamente del suo atto costitutivo),
dalla quale invece si trae la migliore conferma della compatibilità della trascrizione del
trust ed anche una estensibile indicazione circa le modalità della medesima.
Deve pertanto accogliersi il reclamo.
P. T. M.
Il Tribunale, accogliendo il ricorso, dispone che a cura del Conservatore dei Registri Immobiliari di Pisa sia eliminata la riserva apposta alla trascrizione dell’atto.
(omissis)
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Finito di stampare nel mese di febbraio 2008
presso la Tipolitografia Quatrini Archimede e figli snc - Viterbo
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