Trattamento endoscopico dell’Esofago di Barrett. L’esofago di Barrett (EB) è una condizione precancerosa che colpisce i tessuti dell'esofago come esito di uno stato infiammatorio prolungato, generalmente dovuto alla risalita dei succhi gastrici dallo stomaco, come accade nei pazienti affetti da reflusso gastroesofageo. Tale condizione si caratterizza con l’evidenza endoscopica di metaplasia intestinale (cioè la presenza di un tessuto ben differenziato che si trova in una sede ectopica) in esofago, confermata dall’analisi istologica. L’EB rappresenta il principale fattore di rischio per lo sviluppo di adenocarcinoma esofago-cardiale. Si stima che approssimativamente il 10-30% della popolazione soffra di reflusso gastroesofageo e si pensa che tra questi, circa il 10% sia a rischio di sviluppare l’esofago di Barrett. Nei pazienti con EB, il rischio di sviluppare grave displasia o adenocarcinoma è 30-125 volte più alto rispetto al rischio nella popolazione sana. La diagnosi precoce della displasia e della neoplasia è tra gli obiettivi più importanti dell’endoscopia digestiva. Ai pazienti con EB viene consigliato di sottoporsi a monitoraggio endoscopico regolare per l’accertamento di una displasia o di un tumore maligno. Il prelievo endoscopico di campioni bioptici dai quattro quadranti a intervalli di 1-2 cm sull’intera lunghezza dell’esofago di Barrett rappresenta oggi lo standard per l’individuazione di una displasia o di un tumore maligno (“protocollo di Seattle”). Il trattamento dell’esofago di Barrett dipende dall’istologia dei campioni bioptici prelevati in endoscopia, che può rivelare un EB non-displastico, una displasia di basso grado, una displasia di alto grado o la presenza di un’ adenocarcinoma. In caso di displasia è ipotizzabile l’asportazione completa dell’area metaplastica per interrompere la sequenza displasia-tumore e consentire la corretta riepitelizzazione dell’esofago. Gli obiettivi della terapia endoscopica consistono nell’effettuare l’ablazione o l’asportazione dell’intero segmento di Barrett riuscendo comunque a preservare l’esofago. Tra le varie terapie ablative endoscopiche disponibili, l’ablazione a radiofrequenza (RFA) è attualmente considerata quella più promettente, poiché la RFA consente di ottenere elevati tassi di eradicazione della displasia e della metaplasia intestinale con complicanze minime. Altre tecniche ablative includono quella con elettrocoagulazione termica, la laserterapia e la terapia con argon plasma. La coagulazione termica della mucosa di Barrett può essere eseguita mediante sonde termiche bipolari con una percentuale complessiva di successo del 75%, con complicanze molto rare. La mucosa è trattata fino ad ottenere una uniforme coagulazione biancastra, ed il trattamento è ripetuto mensilmente fino ad ottenere l’ablazione dell’epitelio di Barrett. L’ablazione con laserterapia prevede l’utilizzo di due tipi di laser: Nd:YAG (1064 nm; profondità di azione 3-4 mm) e KTP (532 nm; profondità di azione 1 mm). La percentuale di eradicazione ottenuta con questa tecnica si aggira intorno al 70-80%, con complicanze riportate dello 0-17%. L’Argon Plasma Coagulator (APC) è uno strumento utilizzato per la coagulazione termica dei tessuti, inizialmente impiegato per la chirurgia open e laparoscopica. Questa tecnica si è dimostrata molto efficace poichè permette l’applicazione del gas ionizzato perpendicolare e tangenziale alla parete, con estensione in profondità molto limitata (0.8-3 mm) in relazione ad un marcato effetto essiccativo, con maggiore dispersione dell’azione termica negli strati superficiali. Il rischio di perforazione viscerale di questa metodica è pressoché nullo, dato che l’effetto termico dipende dalla distanza operativa sonda-tessuto dall’angolo di applicazione. Il successo di questa tecnica si aggira intorno al 73%. In generale, sono necessarie circa 2-4 sedute di elettrocoagulazione plasmatica ad argon ad intervalli settimanali per l’ablazione dell’epitelio di Barrett. Nelle fasi precoci della lesione è prevista l’escissione della mucosa dell’esofago con la tecnica della mucosectomia endoscopica (EMR). Tale tecnica prevede di infiltrare con la soluzione salina la mucosa per farla “rigonfiare”, quindi la mucosa rigonfia viene aspirata dentro un cappuccio endoscopico e si procede con il taglio mediante l’ansa diatermica, cioè si “incappia” con una specie di laccio la mucosa e si fa passare una corrente elettrica che consente di ottenere il taglio e contemporaneamente la coagulazione della parte che si sta asportando. Il maggior vantaggio della EMR è rappresentato dalla radicalità della resezione, cioè dalla contemporanea asportazione di mucosa e sottomucosa. Sicuramente questa tecnica è la più largamente utilizzata, data anche la scarsa incidenza di complicanze emorragiche e/o perforative. Avendo a disposizione diverse tecniche endoscopiche, è importante capire quale sia l’approccio ottimale per questo tipo di lesioni. Dr. Sara Ramponi, Unità di Oncologia, Ospedale Sandro Pertini, Roma Dr. Maddalena Zippi, Unità di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva, Ospedale Sandro Pertini, Roma