Nuovi media e integrazione sociale - Digilander

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AS 03 [2005] 195-206
Studi e ricerche
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Marco Gui *
Nuovi media
e integrazione sociale
Interrogativi sulla frammentazione
dei consumi mediali
D
a quando sono nati, i mezzi di comunicazione di massa hanno rappresentato un fatt o re di coesione per le società. In molti
Paesi hanno contribuito all’unificazione linguistica; dovunque hanno garantito
una condivisione informativa e culturale che oggi è un fattore importante della
nostra convivenza sociale e politica. Questa funzione integrativa è insita nella definizione stessa di «media di massa», la cui caratteristica principale è la
capacità di raggiungere con lo stesso messaggio e nello stesso momento gruppi
ampi ed eterogenei di ascoltatori.
Nel caso particolare della televisione italiana, ma in modo simile nei Paesi europei, l’audience ha raggiunto trasversalmente la quasi totalità della popolazione nazionale e soprattutto è stata fino a ora concentrata su un numero molto limitato di canali. Essendo il medium di gran lunga più pervasivo, la televisione ha esercitato un ruolo centrale nel panorama mediale italiano, ha dettato i
temi di discussione anche agli altri media e ha fatto da fulcro del dibattito e
delle tendenze.
Conseguentemente, individui appartenenti a contesti sociali diversi, soprattutto se nella stessa fascia d’età, sono cresciuti con consumi mediali molto
simili. Lo stesso ruolo coesivo dei media di massa ha esposto il sistema della
comunicazione a rischi rilevanti come l’oscuramento delle voci minoritarie, la
tendenza al controllo politico dell’informazione, il rischio del «pensiero unico».
Tuttavia ha anche fatto sì che i media siano diventati, insieme al comune riferimento alla Costituzione, all’istruzione pubblica, al servizio militare, alle feste
nazionali, un fattore di coesione tra gruppi che hanno, al di fuori di questi ambiti, esperienze molto diverse.
Oggi, sebbene per molti aspetti le conseguenze della «cultura di massa»
siano tutt’altro che in declino, le nuove tecnologie della comunicazione co* Dottorando di ricerca in Società dell’informazione (specializzazione in Sociologia dei nuovi media)
nell’Università di Milano-Bicocca.
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minciano a far intravedere un panorama diverso. Grazie soprattutto alla digitalizzazione dei segnali, ma anche all’utilizzo della fibra ottica e dei satelliti, le
possibilità di offerta e consumo mediale aumentano esponenzialmente.
Caratteristica fondamentale dei nuovi media è che essi si
servono dello standard di trasmissione digitale e non di
quello tradizionale analogico. Mentre quest’ultimo, come
dice il nome, si serve della variazione di grandezze fisiche
analoghe a quelle reali (per esempio la pressione esercitata
dall’emissione orale sulla membrana del telefono), lo stan dard digitale trascrive numericamente i segnali che vengono ritradotti una volta arrivati a destinazione. La codificazione numerica rende più efficienti i canali di comunicazione, cosicché l'ampiezza di banda necessaria a trasmettere
un attuale canale analogico come Rai Uno è sufficiente a
ospitarne quattro o cinque di digitali.
Il fenomeno della convergenza 1 tra le reti di comunicazione che ne deriva rende inoltre possibile l’interazione tra emittenti e riceventi.
Il pubblico si troverà così a potersi ritagliare delle «diete mediali» personalizzate in un panorama di offerta praticamente illimitato e il consumo dipenderà sempre più dalle preferenze individuali e sempre meno da una offerta
centralizzata. Al limite, ogni persona avrà la possibilità di selezionare una dieta mediale che non si sovrapponga per nulla a quella di un altro e che sia continuamente ristrutturata da nuove combinazioni di prodotti comunicativi. Questa attività di selezione può comportare una differenziazione significativa del
consumo mediale tra persona e persona, e, ciò che conta forse di più, tra gruppo e gruppo. Gli effetti di questo sono già in parte visibili analizzando i dati
degli ascolti televisivi e danno luogo al fenomeno chiamato «frammentazione
delle audience»; un fenomeno che, per inciso, spaventa molto i pubblicitari
perché mette in crisi la loro più grande risorsa, un canale unico di contatto generale e indistinto con i consumatori.
Ma, a parte le preoccupazioni commerciali, ci sono in questa tendenza degli aspetti meno immediatamente rilevabili, che fanno intravedere cambiamenti anche radicali dei profili della comunità mediatica, e quindi di quelli
della società. Quale forma di integrazione sociale può svilupparsi in una società in cui il consumo di comunicazione è sempre più personalizzato e frammentato e c’è perciò sempre meno condivisione informativa? E ancora: quali
effetti produrrà tutto questo sulla nostra democrazia?
1 La convergenza è il fenomeno che unifica le reti della telefonia, delle comunicazioni di massa e delle
comunicazioni di dati, in conseguenza del fatto che esse adottano tutte lo standard di codificazione e trasmissione digitale. I mezzi che utilizzano queste diverse reti (il telefono, la radio, la TV, il computer) diventano
così intercambiabili. Ad esempio, la nuova TV digitale sarà in grado, connettendosi con Internet, di inviare
messaggi e richieste dello spettatore alle emittenti televisive.
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La frammentazione delle audience e la personalizzazione del consumo mediale si innestano in un quadro di cambiamento sociale che da tempo presenta
caratteri di disintegrazione. Le principali analisi teoriche dei cambiamenti sociali avvenuti negli ultimi decenni pongono l’accento sulla disaggregazione degli individui e dei gruppi dalle istituzioni e dagli ambienti propri delle società
moderne. Man mano che diventa più chiaro il panorama del consumo mediale
dopo l’avvento dei cosiddetti «nuovi media», da più parti ci si interroga sulle
conseguenze sociali e culturali di un aumento della difficoltà per i media nello strutturare il nucleo coesivo della società, proprio quando essa sta perdendo
alcuni punti di riferimento tradizionali.
1. Frammentazione delle audience
In un recente documento interno della britannica BBC (British Broadcasting Corporation), una tra le più prestigiose televisioni pubbliche del mondo,
si legge che sempre di più il pubblico britannico si aspetta di ricevere servizi
televisivi su misura per le proprie richieste 2. In Gran Bretagna, dove più del
50% della popolazione ha accesso alla nuova televisione digitale, questa possibilità è già in parte realtà. Freeview, la televisione digitale gratuita, offre già
30 canali in più rispetto alla tradizionale TV analogica. Inoltre, la tradizionale
fruizione di programmi irradiati contemporaneamente verso tante persone
(broadcasting) sarà presto affiancata dalla scelta personale dello spettatore in
un menu di trasmissioni disponibili (unicasting). Alla BBC emerge già esplicitamente una tendenza che riguarda tutto il mondo occidentale e che in Italia è
solo all’inizio: nel campo della televisione, il medium di massa per eccellenza,
l’avvento della TV digitale, terrestre e satellitare, sta moltiplicando il numero
di canali a disposizione del telespettatore.
Da un punto di vista teorico, se si considera costante l’attenzione del pubblico, l’aumento dei canali implica la diminuzione dell’audience media per ciascuno di essi. All’aumentare delle scelte possibili, cioè, la vecchia audience
di massa si frammenta in tanti piccoli gruppi di destinatari. Il sociologo dei media Dennis McQuail propone 3, per definire gli stadi successivi di questo processo, quattro modelli della distribuzione delle audience, che vanno dall’unitarietà alla dispersione (Fig. 1, p. 198).
Nel primo modello, quello unitario, vige la massima concentrazione delle
audience, il pubblico è unico. In questa situazione, non solo è molto limitata la
differenziazione esterna (il ventaglio di canali diversi a disposizione), ma anche
la differenziazione interna (la presenza all’interno di un canale di programmazioni rivolte a pubblici diversi) ha poca rilevanza. Ciò significa quindi che il mo2 Cfr Building public value. Renewing the BBC for a digital world, 2004, disponibile all’indirizzo
<www.bbc.co.uk/thefuture/pdfs/bbc_bpv.pdf>.
3 Cfr MCQUAIL D., Analisi dell’audience, il Mulino, Bologna 2001, 184 s.
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I quattro stadi
della frammentazione del pubblico
Figura 1
Modello unitario
Modello del pluralismo
(diversità nell’unità)
Modello centro-periferia
(unità nella diversità)
Modello della dispersione
(frammentazione)
FONTE:
MC QUAIL D., Analisi dell’audience,
cit., 184.
dello di pubblico a cui i media si rivolgono è indistinto, e sulla base di esso viene offerto un cosiddetto contenuto generalista (modellato su quello che George
Gilder chiama «minimo comune denominatore») 4. In Italia il modello unitario si
attaglia molto bene alla fase iniziale della storia della televisione (anni Cinquanta e Sessanta), dominata dall’attività della prima televisione pubblica.
Nel modello del pluralismo cresce limitatamente la diversificazione esterna, ma soprattutto compaiono i primi segni di diversificazione interna. La programmazione comincia cioè ad avere target diversificati, sempre all’interno di
una cornice unitaria. Compaiono per esempio le programmazioni diurne e quelle notturne, le differenze regionali, oppure specifiche programmazioni rivolte in
maniera privilegiata a un certo pubblico.
Nel terzo modello, denominato «centro-periferia» , «la moltiplicazione
dei canali rende possibili alternative aggiuntive e concorrenziali al di fuori della cornice unitaria. Diviene possibile consumare una dieta televisiva che differisca significativamente dalla maggioranza o da quella principale» 5. È questo
il modello che nasce con i media commerciali ed è quello, a detta di McQuail,
ancora in atto. Nell’ultimo stadio, il modello della «dispersione», si ha «la
frammentazione e la disintegrazione del nucleo centrale. L’ascolto è distribuito
su molti canali diversi secondo schemi non fissati, e si hanno esperienze di
ascolto condivise solo sporadicamente» 6.
L’avvento delle nuove tecnologie della comunicazione si inserisce quando
il terzo stadio, il modello centro-periferia, è già affermato. Tuttavia esso ne velocizza potenzialmente l’evoluzione verso il modello della dispersione, renden-
4
Cfr G ILDER G., La vita dopo la televisione, Castelvecchi, Roma 1995.
MC QUAIL D., Analisi dell’audience, cit., 184.
6 Ivi.
5
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Schema 1
Quattro modelli del rapporto comunicativo
Controllo dell’informazione
centrale
individuale
Controllo dell’accesso
(tempo e scelta
del contenuto)
centrale
individuale
Allocuzione
Registrazione
Consultazione
Conversazione
FONTE: B ORDEWIJK B. – VAN KAAM B., «Towards a New Classification of Tele-information Services», cit.
do questo scenario sempre più possibile in linea teorica (anche se ancora molto
lontano da una effettiva realizzazione).
In questa modellizzazione, McQuail ha in mente soprattutto il mondo della
televisione e considera l’evoluzione soprattutto come ampliamento quantitativo
dell’offerta mediale, cioè più canali tra i quali scegliere. I media digitali, tuttavia, aggiungono a questo incremento quantitativo della possibilità di inviare e
ricevere segnali anche un cambiamento qualitativo, indotto dall’emergere di
forme diverse di interattività sia con il mezzo di comunicazione sia con gli altri
utenti. I nuovi media agiscono cambiando anche qualitativamente i rapporti
mediali. Per comprendere appieno cosa può significare oggi la «frammentazione delle audience» occorre prendere in esame anche questo secondo aspetto.
Bordewijk e Van Kaam hanno proposto una classificazione dei tipi di rapporto comunicativo che risulta utile per capire come i nuovi media possano
cambiare qualitativamente il consumo mediale 7. Utilizzando le due variabili
chiave del controllo dell’informazione e del controllo dell’accesso (tempo e
scelta del contenuto), essi definiscono quattro tipologie di relazione mediale, a
seconda che le variabili siano controllate dall’utente individuale oppure da un
centro mediale, come ad esempio una emittente televisiva (Schema 1).
a) L’allocuzione è la relazione mediale in cui un centro controlla sia l’accesso sia l’informazione veicolata. L’incarnazione principale del modello allocutorio sono i network televisivi nazionali, in cui l’emittente controlla i contenuti e li veicola in un unico momento. La tipologia di pubblico che ne deriva
dipende, quindi, dalla fonte centrale sia per l’acquisizione dell’informazione,
sia per le modalità di accesso ad essa. La relazione allocutoria è tipica del paradigma della comunicazione di massa, dove vige un rapporto comunicativo
unidirezionale da uno a molti, un mercato limitato di offerta mediale e ridotte
possibilità di feedback. In realtà, il modello di McQuail, di cui si è parlato sopra
(Fig. 1), descrive l’evoluzione degli ascolti limitatamente a questo tipo di rapporto comunicativo, incarnato soprattutto dalla televisione. Ma vediamo quali
sono gli altri possibili rapporti mediali e come i nuovi media li rendano possibi7
Cfr BORDEWIJK B. – VAN KAAM B., «Towards a New Classification of Tele-information Services», in Inter media, 14 (1986) 16-21.
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li e operanti nelle nuove diete mediali, cosicché essi iniziano a rappresentare
una parte rilevante dell’esperienza mediale quotidiana.
b) La relazione consultiva si ha quando il controllo dell’informazione è
centralizzato, ma il pubblico (sarebbe forse meglio dire in questo caso l’utenza)
sceglie i contenuti specifici (tra quelli proposti), il tempo e il luogo della loro
acquisizione. Si può far rientrare in questa categoria la consultazione di un sito
Internet, ad esempio la ricerca dell’orario di partenza di un treno.
c) Nella relazione «conversazionale» il controllo è individuale per entrambe le variabili. Nel pubblico risiedono sia l’informazione sia il controllo sul
suo accesso. È questo il caso dei gruppi di discussione o delle cosiddette «comunità virtuali».
d) Infine la registrazione si ha quando una rete interconnessa di utenti individuali può essere tenuta sotto controllo da un centro, che sorveglia gli scambi
di informazione, ne tiene traccia e gestisce le informazioni così raccolte. Questo
è il caso, ad esempio, della registrazione centrale delle chiamate telefoniche, ma
può spiegare anche il fenomeno dei forum contenuti all’interno di siti Internet,
spesso utilizzati dai gestori anche per carpire informazioni sugli utenti.
Se utilizziamo i concetti di Bordewijk e Van Kaam per descrivere il quadro
d’innovazione portato dai nuovi media, possiamo dire che le nuove tecnologie
della comunicazione hanno segnato la fine del monopolio del modello allocutorio e hanno esteso le relazioni comunicative su ognuna delle altre tre tipologie di relazione.
La frammentazione delle audience sui nuovi canali descritta da McQuail si
mescola oggi con l’aumento delle tipologie di relazioni mediali descritte da Bordewick e Van Kaam. L’estrema proiezione di queste due tendenze è una situazione in cui si combina lo stadio finale della frammentazione («dispersione» nel
modello di McQuail) e, in più, i nuovi media rompono il monopolio del modello
allocutorio, moltiplicando anche le tipologie di rapporti comunicativi su questi
canali. Pur lontano da una effettiva realizzazione, questo esito è oggi tecnicamente possibile.
2. Consumo dei media e società
Abbiamo preso in considerazione le prospettive di sviluppo dei media che
stanno portando a un regime di abbondanza qualitativa e quantitativa dell’offerta. In un tale panorama diventa più importante l’attività di selezione tra le
proposte mediali e le persone sono sempre più direttamente coinvolte nella
creazione della propria «dieta mediale». Ma su cosa si fonderanno le scelte alla base delle diverse «diete»? Possiamo dividere le motivazioni in due categorie che traducono in maniera molto diversa il significato della frammentazione
delle audience 8.
8
Cfr G RINTA E., «Audience», in Aggiornamenti Sociali, 12 (2002) 859-862.
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Da un lato abbiamo i fattori individuali, che possono dar luogo a una
frammentazione del pubblico che potremmo definire «casuale». Ognuno, cioè,
seleziona l’offerta secondo i propri gusti, passioni e circostanze contingenti. Se
questo fosse il caso, pur restando preoccupante per i pubblicitari, la frammentazione delle audience non rappresenterebbe un nuovo fronte di differenziazione stabile.
Più rilevanti per la loro potenzialità di influsso sulla società sono invece le
scelte dettate da fattori sociali, che possono dar luogo a una frammentazione
«sistematica», che raggrupperebbe cioè in modo stabile persone appartenenti a
certi segmenti o gruppi sociali. Le persone tenderebbero in questo caso a selezionare i consumi mediali secondo il contesto in cui sono inserite, oltre che in
base alle proprie caratteristiche socio-demografiche, dando luogo a pubblici
sempre più sovrapponibili a segmenti della società già caratterizzati da altri
motivi di differenziazione.
È ancora presto per dire se i fenomeni di frammentazione che stanno gradualmente emergendo saranno più dell’uno o dell’altro tipo. In Italia siamo ancora in una fase iniziale e, se si eccettua Internet, deve ancora nascere un’alternativa rilevante al consumo televisivo tradizionale, come sono ad esempio in
altri Paesi la TV via cavo o la TV digitale terrestre e satellitare. Esistono tuttavia, nel mutamento sociale in atto, delle tendenze che sembrano poter declinare la frammentazione delle audience nella sua versione «sistematica».
a) Interpretazioni delle dinamiche sociali recenti
Le categorie con cui, a livello sociologico, sono stati interpretati i cambiamenti sociali iniziati nell’ultima parte del XX secolo sono le più diverse. Tuttavia molte di esse riflettono lo sradicamento e la frammentazione che vivono oggi i sistemi sociali occidentali.
Guardando al nostro recente passato, si può notare che nel sistema di organizzazione del capitalismo che è stato definito «fordismo» dalle scienze dell’organizzazione, e di cui oggi si discute la fine (post-fordismo), esisteva una generale tendenza alla inclusione e alla omogeneizzazione sociale. Questo può
sembrare paradossale se si pensa al carattere molto più marcato di alcuni fronti di divisione presenti nella società fordista, prima fra tutte quella di classe,
ma anche di genere e di ideologia politica. Tuttavia le divisioni erano regolate
in modo da essere incluse in un unico sistema, quello che è stato definito «capitalismo organizzato» 9.
Nel passaggio al post-fordismo si manifesta invece una rilevante disomogeneizzazione dei comportamenti rispetto alla fase precedente, sia quelli di
9 Cfr, ad esempio, OFFE C., Disorganized Capitalism: Contemporary Transformations of Work and Poli tics, MIT Press, Cambridge (MA) 1985; oppure LASH S. – U RRY J., The End of Organized Capitalism, University
of Wisconsin Press, Madison (WI) 1987.
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consumo, in passato influenzati da un’offerta basata sulla standardizzazione, sia
anche quelli familiari e sociali.
Il famoso sociologo inglese Anthony Giddens 10 ha descritto il fenomeno di
perdita del legame con le istituzioni e i valori tradizionali con il termine disembedding (sradicamento). Egli descrive anche il fenomeno opposto, da lui chiamato re-embedding (ri-radicamento), che avviene in reazione alla perdita di
contesti collettivi che guidino l’esperienza individuale. I fenomeni di re-embedding producono però forme nuove di socialità, molto più mutevoli nel tempo e
formate da legami più contingenti e labili.
Per descrivere le modalità di creazione di queste nuove aggregazioni, molti
osservatori hanno usato il concetto di «rete», sia nel suo significato di infrastruttura di comunicazione, sia vista come un nuovo modo di stabilire relazioni
sociali, economiche e politiche. La rete, così intesa, è un insieme di nodi senza
un centro ordinatore, in cui i rapporti si possono riorganizzare continuamente a
seconda delle circostanze e delle convenienze del momento. Il sociologo Manuel Castells dà al primo libro della sua ormai famosa trilogia il titolo La nascita della società in rete 11. In questa società, dice l’autore, gli attori (persone,
aziende, istituzioni) si collegano tra loro in forma di reti, e non si organizzano
più in grandi strutture statali o economiche. Essi non sono più vincolati alla vicinanza geografica o ai confini nazionali e sono liberi di formare legami complessi e variati di cooperazione. La finanza globale rappresenta, ad esempio,
una forma di agire economico sconnessa dai contesti territoriali e sociali degli
investimenti finali. La rete diventa il modo più efficiente di relazionarsi, al punto che i vecchi parametri associativi e universalistici della società industriale
costituiscono più un ostacolo allo sviluppo che non un fattore propulsivo 12.
Anche la teorizzazione di Castells mette in luce alcuni orientamenti che
possono essere letti come parte di una tendenza verso la disomogeneizzazione.
Le élite sociali, dice l’autore, si connettono globalmente in reti dominanti e
tendono a disconnettersi dal territorio che sta loro intorno. Un esempio è quello
delle nuove metropoli globali, dove la classe dominante intrattiene rapporti
stretti con i propri pari di altre metropoli del globo, ma si separa completamente dalle popolazioni locali delle periferie degradate, perché non funzionalmente
necessarie oppure perché socialmente dirompenti.
L’organizzazione a rete, paradossalmente, offre maggiori possibilità di separazione tra segmenti diversi della società, in quanto prevale l’interesse a collegare nodi simili tra loro che possano facilmente produrre valore attraverso la
cooperazione in un certo momento. Le funzioni dominanti tendono a isolarsi e
non partecipano a un sistema integrato come quello creato dal capitalismo for10
Cfr GIDDENS A., Le conseguenze della modernità, il Mulino, Bologna 1994.
CASTELLS M., La nascita della società in rete, UBE, Milano 2002. Cfr anche ALBINI C., «Abitare la “società in rete”», in Aggiornamenti Sociali, 3 (2004) 195-204.
12 Cfr MINGIONE E., Sociologia della vita economica, Carocci, Roma 1997, 137.
11
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dista. Dall’altra parte, tra quanti restano esclusi dai network dominanti tendono
a svilupparsi fenomeni culturali di reazione, che cercano di recuperare il
contatto con il proprio territorio e le proprie tradizioni.
Le teorizzazioni del cambiamento sociale che abbiamo brevemente citato
tracciano, pur nelle loro diversità, un panorama sostanzialmente concordante:
le nuove reti globali sradicano le relazioni sociali dai loro tradizionali contesti
universalistici (istituzioni, Stati, partiti, appartenenze religiose). Si formano, in
contrapposizione a queste, relazioni sociali che cercano di recuperare il radicamento perduto, seppure in forme nuove. C’è insomma, nella società in rete,
una maggiore difficoltà a comprendere in un unico sistema stabile le diverse
parti della società.
b) Ruolo dei nuovi media
Questa riorganizzazione dei gruppi, slegata dai confini geografici e sociali
tradizionali, costituisce un terreno fertile di incontro con le possibilità di creare
ambienti di comunicazione separati offerte dalle nuove tecnologie della comunicazione. E questo a maggior ragione per il fatto che i rapporti mediali costituiscono una parte crescente delle relazioni delle persone e dei gruppi, e le reti
si costituiscono sempre di più attorno a rapporti mediati dalla tecnologia .
La sociologa dei media Leah Lievrouw fa notare come il senso del declino
di un’ampia partecipazione sociale sia cresciuto contemporaneamente alla proliferazione dei nuovi media 13. Invece del «villaggio globale» di cui parlava
McLuhan, sembra che si stia costituendo un panorama di «nuove tribù» chiuse in loro stesse, che non partecipano al discorso pubblico né costituiscono movimenti sociali. Lievrouw ha preso in esame le modalità con cui le nuove tecnologie della comunicazione possono essere usate per creare o rafforzare ambienti di interazione o subculture separate.
In un successivo lavoro 14 l’autrice esplicita il concetto che le nuove tecnologie possono spingere verso la differenziazione nelle società contemporanee.
Il ruolo tradizionale dei mass media — dice — è spesso stato percepito come
integrativo, manifestazione dell’interesse comune, della politica maggioritaria,
dei movimenti sociali affermati, della produzione e del consumo di massa. Oggi, al contrario, i nuovi media sembrano talvolta favorire di più la distinzione, la
differenza, il punto di vista di una minoranza, gli interessi locali, una politica
dell’interesse specifico, la produzione e il consumo di nicchia.
Tuttavia, sostiene Lievrouw, la società si adatterà al cambiamento portato
dalle nuove tecnologie della comunicazione riducendo gli ambiti di comunicazione condivisa, ma senza pregiudicare la sopravvivenza del sistema. In que13 Cfr LIEVROUW L., «Our Own Devices: Heterotopic Communication, Discourse and Culture», in The
Information Society, 2 (1998) 83-96.
14 Cfr LIEVROUW L., «New media and the “pluralization of life-worlds”», in New media & society, 3 (2001) 7-28.
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st’ottica la condivisione informativa spinta, fino a oggi garantita dai media di
massa, non è indispensabile per la vita di una società, e può anzi essere ridotta
senza grossi rischi.
Più allarmistica è invece la riflessione che il giurista dell’Università di
Chicago Cass Sunstein propone nel suo Republic.com 15. L’autore si interroga
sui danni che la comunicazione su Internet può portare alla comunità sociale,
proiettando all’estremo alcune sue caratteristiche. Anche qui è centrale l’idea
che la scelta mediale differenzia dei gruppi di utenti — Sunstein li chiama en claves — isolandoli nel contempo dall’esterno. Attraverso i servizi di «Daily
me» 16, ad esempio, le persone cominciano a richiedere anticipatamente di
essere informate su argomenti di loro interesse, circoscrivendo le proprie fruizioni mediali ad ambiti sempre più personalizzati.
Sunstein pone molta attenzione sui rischi di ciò che chiama perfect filte ring, cioè sulla possibilità data dalle nuove offerte mediali di scegliere in anticipo cosa si vuole vedere, gli argomenti sui quali si vuole essere informati, le
fonti da cui si vuole ricevere comunicazione. Per l’autore, la sopravvivenza stessa della democrazia necessita imprescindibilmente di esperienze comuni e richiede che i cittadini siano esposti a idee e argomentazioni che non avrebbero
scelto in anticipo. Quindi, dato che nell’economia dell’esperienza umana la parte vissuta tramite i media è sempre più rilevante, salvaguardare le esperienze
comuni significa anche garantire gli spazi per comuni esperienze mediali.
Il sociologo dei media Jan Van Dijk descrive invece un panorama dove gli
effetti della frammentazione mediale sono in parte compensati da altri fattori 17.
È vero — dice Van Dijk — che la sfera pubblica diventerà sempre più complessa, essendo formata da molte reti in parte sovrapposte. In essa i media svolgeranno un ruolo sempre più importante. Tuttavia le diverse reti mediali, che
incrocieranno vecchi e nuovi media, manterranno dei denominatori comuni, e
i temi di discussione continueranno a essere condivisi. Secondo Van Dijk, cioè,
il potere di agenda setting 18 continuerà a essere esercitato dagli attori sociali
rilevanti, anche se la discussione sarà poi frammentata in diversi ambienti mediali. Inoltre, l’infrastruttura che si determinerà sarà così fortemente interconnessa e i diversi ambienti avranno tali potenziali interscambi che sarà difficile
che alcuni di essi si isolino completamente da influssi esterni.
15
Cfr SUNSTEIN C., Republic.com, Princeton University Press, Princeton (NJ) 2001.
Cfr NEGROPONTE N., Being Digital, Vintage Books, New York (NY) 1993. L’autore chiama «Daily me» il
risultato della estrema personalizzazione dei servizi di informazione, dove tutto ciò che si riceve risponde a
una scelta di interessi fatta anticipatamente dall’utente. Il risultato è un quotidiano personalizzato.
17 Cfr VAN D IJK J., Outline of a Multilevel Theory of the Network Society (testo della lezione inaugurale di
accettazione della cattedra di Sociologia della Società dell’informazione all’Università di Twente, Olanda, 1
novembre 2001, disponibile in <www.gw.utwente.nl/vandijk/index.htm>).
18
Nella sociologia della comunicazione si definisce agenda setting la capacità dei media più importanti, in primo luogo la televisione, di dettare i temi sui quali l’opinione pubblica discute. Il potere di agenda set ting è molto importante nella comunicazione politica, dove risulta in molti casi determinante per una parte politica riuscire a spostare l’attenzione su tematiche dove la propria posizione è più forte.
16
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Lo stesso Van Dijk afferma però l’esistenza di alcuni rischi del nuovo assetto della comunicazione. Egli nota, ad esempio, che la parzialità nella selezione
dei messaggi mediali, particolarmente quando anche il mercato seguirà questa
tendenza, farà nascere molte offerte di informazione per conservatori, liberali e
socialisti, che tenderanno ad assecondare i gusti degli acquirenti, ma poche
fonti indipendenti e critiche. Queste ultime sono garantite meglio da un regime di audience indifferenziata come è quella dei network televisivi nazionali.
Questi contributi rendono evidente che sta iniziando un dibattito intorno al
modo in cui i nuovi tipi di consumo mediale influenzeranno la nostra società, le
nostre relazioni e addirittura i nostri sistemi politici, toccando, come dice Sunstein, il concetto stesso di democrazia. Se i media ci danno le possibilità di
differenziazione descritte nell’introduzione e la società sta cambiando in modo
disancorato dalle istituzioni tradizionali e, ancora, le relazioni sociali gestite
tramite i media stanno crescendo di numero e importanza, allora sta forse nascendo un nuovo fronte di differenziazione sociale che prima non era rilevante.
3. Conclusioni
La sfera pubblica delle nostre società sta diventando sempre più complessa e frammentata, come effetto combinato del mutamento sociale globale e delle possibilità offerte dai nuovi mezzi di comunicazione. Questi ultimi moltiplicano i canali di trasmissione, permettono l’interazione tra gli utenti, che possono relazionarsi in ambienti separati e personalizzare le proprie fruizioni, tolgono attenzione alle comunicazioni di massa che hanno tradizionalmente garantito la coesione degli Stati nazionali.
Abbiamo visto alcune posizioni sull’esito di questa tendenza. Si va dall’allarmismo per una frammentazione della cultura e delle opinioni (Sunstein),
allo scetticismo sul grado effettivo di frammentazione mediale che ne risulterà
(Van Dijk). Infine c’è chi, pur convinto della tendenza verso la frammentazione
insita nei nuovi media, considera la società capace di adattamento fisiologico
a una situazione in cui la condivisione comunicativa è minore (Lievrouw).
Se finora questo dibattito è stato riservato agli specialisti, è probabile che
esso si allarghi man mano che il cambiamento del consumo mediale mostrerà la
sua rilevanza sociale sul lungo periodo. Come di fronte a qualsiasi novità importante, la politica deve interrogarsi sugli esiti possibili di questi cambiamenti,
chiedersi se è praticabile e opportuno guidare questo processo, e quali siano i
margini di intervento e gli attori in grado di utilizzarli. A nostro avviso, sono due
i fronti principali sui quali la politica può giocare un ruolo importante.
Il primo riguarda le forme della convivenza civile. Essa si basa in maniera rilevante, soprattutto nelle società moderne, sulla condivisione informativa e sulla partecipazione, anche passiva, a un discorso pubblico. All’aumentare
della complessità dell’offerta di comunicazione, è importante che i media pubblici sappiano mantenere una centralità nella rete delle relazioni mediali. Essi
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Marco Gui
devono da un lato continuare a proporre quei contenuti di interesse pubblico
che nessun’altra istituzione può offrire, dall’altro fungere da collegamento tra
gli stimoli delle diverse aree della sfera pubblica che altrimenti rischiano di restare tra loro scollegate. Il nuovo sistema dei media, costituito sempre più da
reti frammentate, ha bisogno di snodi dove esse possano venire in contatto. Il
servizio pubblico è chiamato per primo a svolgere questa funzione.
Se questo significa per gli Stati nazionali trasformarsi e adattarsi a un ruolo che già svolgono, per le nuove entità sovranazionali si tratta invece di edificare ex novo una rilevanza comunicativa che è imprescindibile per creare un
senso di appartenenza diffuso. Pensiamo soprattutto all’Unione Europea, molto
bisognosa di sviluppare contesti mediali comuni che escano dai circoli chiusi
delle élite politiche e amministrative. Una maggiore centralità mediale dei temi
e dei simboli europei si può ottenere, ad esempio, creando un canale televisivo
comune, che riesca ad imporre l’agenda mediatica europea ai canali nazionali e
si ponga come fulcro del dibattito nelle istituzioni e nelle società dell’Unione.
Certamente una simile proposta è vincolata, oltre che a una forte volontà politica, a una qualche risoluzione del problema della lingua comune.
Il secondo fronte di intervento politico riguarda le nuove disuguaglianze
aperte dai nuovi media 19. Avere una certa dieta mediale significherà avere accesso o no ad alcune informazioni e partecipare a specifici eventi sociali. Per di
più, mentre i media di massa erano limitati allo svago e alla informazione generale, i nuovi media sono gli stessi con cui si lavora, ci si informa, si partecipa alla vita dei gruppi sociali. Attività molto diverse «convergono» cioè nell’utilizzo
degli stessi strumenti comunicativi e i media divengono molto più pervasivi nella quotidianità. La selezione di una certa dieta mediale avrà perciò una rilevanza molto maggiore rispetto alle limitate scelte d’uso dei vecchi mass media e influenzerà (e sarà influenzata da) la vita culturale, professionale, sociale di una
persona. La selezione strategica delle offerte dei nuovi media si basa sulle risorse culturali e sociali individuali e può perciò generare nuove disuguaglianze,
quasi del tutto assenti nell’utilizzo dei vecchi media di massa analogici. Se nell’era della TV si poteva ritenere che la sua fruizione fosse immediata e naturale
per tutti, è probabile che invece i nuovi media definiranno una nuova stratificazione culturale. L’utilizzo dei media avrà una parte sempre più fondamentale
nell’accesso alla cultura e deve perciò poter contare su una attenzione corrispondente nell’offerta pubblica di formazione.
Alla società dell’informazione spetta il compito difficile ma avvincente di
guidare il potenziale di innovazione delle nuove tecnologie della comunicazione, perché le persone e la società possano fruire pienamente dei loro benefici.
19
Il dibattito internazionale sul cosiddetto «digital divide» affronta a diversi livelli i nuovi fronti di disuguaglianza prodotti dai nuovi media. Per una sintesi critica cfr NORRIS P., Digital Divide: Civic Engagement,
Information Poverty, and the Internet Worldwide, Cambridge University Press, Cambridge (MA) 2001; FEMMINIS S., «Digital divide», in AGGIORNAMENTI S OCIALI (ed.), Lessico oggi, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ), 63-69.