la legislazione antimonopolistica

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INSEGNAMENTO DI:
DIRITTO COMMERCIALE
“LA LEGISLAZIONE ANTIMONOPOLISTICA”
PROF. RENATO SANTAGATA DE CASTRO
Università Telematica Pegaso
La legislazione antimonopolistica
Indice
1
CONCORRENZA PERFETTA E MONOPOLIO----------------------------------------------------------------------- 3
2
LA DISCIPLINA ITALIANA E COMUNITARIA. --------------------------------------------------------------------- 7
3
LE SINGOLE FATTISPECIE. LE INTESE RESTRITTIVE DELLA CONCORRENZA. -------------------- 9
4
(SEGUE): ABUSO DI POSIZIONE DOMINANTE E ABUSO DI DIPENDENZA ECONOMICA.--------- 11
5
(SEGUE): LE CONCENTRAZIONI. ------------------------------------------------------------------------------------- 13
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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La legislazione antimonopolistica
Concorrenza perfetta e monopolio
Contemporanea presenza sul mercato di una pluralità di operatori economici in competizione
fra loro per rispondere alla domanda di beni e servizi proveniente dalla collettività, con conseguente
frazionamento dell'offerta fra più imprese nessuna delle quali sia singolarmente in grado di
condizionare il prezzo delle merci vendute. Piena mobilità dei fattori produttivi che assicuri il pronto
adeguamento della produzione alle richieste del mercato. Corrispondente piena mobilità della
domanda da parte dei consumatori, liberi di orientare le proprie scelte verso i prodotti più convenienti per qualità e prezzo. Assenza di ostacoli all'ingresso di nuovi operatori in ogni settore della
produzione e della distribuzione, nonché di accordi fra le imprese operanti che falsino la libertà di
competizione economica.
È questo il modello ideale di funzionamento del mercato teorizzato dagli economisti: la
cosiddetta concorrenza perfetta. Modello ideale e perfetto in quanto la concorrenza spinge verso una
generale e progressiva riduzione sia dei costi di produzione sia dei prezzi di vendita; sole armi di cui
le singole imprese dispongono per conquistare la clientela e sopravvivere in una situazione in cui
l'offerta globale e i prezzi non sono da loro né condizionabili né condizionati. Modello perfetto
altresì in quanto assicura la «naturale» eliminazione dal mercato delle imprese meno competitive,
stimola il progresso tecnologico e l'accrescimento dell'efficienza produttiva delle imprese, determina
la più razionale utilizzazione delle limitate risorse e il raggiungimento del grado più elevato possibile
di benessere economico e sociale.
Tutto molto bello, ma con un «piccolo» difetto. La concorrenza perfetta è appunto solo un
modello ideale e teorico. La realtà è diversa e spesso radicalmente diversa. Nei settori strategici della
produzione, la linea di tendenza è verso un regime di mercato sempre più lontano dalla concorrenza
perfetta e ciò per il concomitante operare di situazioni oggettive e soggettive che ostacolano o
comprimono la libertà di iniziativa economica di ciascun soggetto. Ed invero, la non omogenea
distribuzione territoriale delle risorse naturali, gli ingenti investimenti di capitali richiesti dalla moderna produzione industriale di massa, la scarsa mobilità della mano d'opera, l'impossibilità in certi
settori di produrre a costi competitivi se non si raggiungono dimensioni imprenditoriali cospicue,
sono tutti fattori che, per un verso, limitano vistosamente la libertà di accesso al mercato di nuovi
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operatori e, per altro verso, spingono le imprese già operanti ad accrescere le proprie dimensioni, a
concentrarsi ed a collegarsi.
Le imprese dedite alla produzione industriale di massa diventano perciò sempre meno
numerose e sempre più grandi dando così vita in taluni settori a situazioni di oligopolio; ad un
mercato cioè caratterizzato dal controllo dell'offerta da parte di poche grandi imprese. D'altro canto,
gli imprenditori concorrenti molto spesso preferiscono raccordo all'incerta competizione per
prevalere gli uni sugli altri. Essi perciò stipulano patti volti a limitare la reciproca concorrenza;
intese con le quali si dividono i mercati di sbocco, predeterminano i prezzi da praticare, le quantità
da produrre globalmente e la quota spettante a ciascuno di essi. Il regime concorrenziale del mercato
è così profondamente alterato. E fra concentrazioni ed intese anticoncorrenziali si può arrivare fino
al punto che tutta l'offerta di un dato prodotto è controllata da una sola impresa o da poche grandi
imprese coalizzate, arbitre di fissare a piacimento il relativo prezzo e di conseguire elevati margini di
profitto a scapito degli interessi generali della collettività.
Di fronte a tali tendenze della realtà, è evidente che il riconoscimento legislativo della libertà
di iniziativa economica privata e della conseguente libertà di concorrenza è presupposto necessario
ma non sufficiente perché si instauri un regime oggettivo di mercato caratterizzato da un sufficiente
grado di concorrenza effettiva. Necessaria è anche una regolamentazione giuridica della concorrenza
che impedisca il formarsi ed il perpetuarsi di situazioni di monopolio o di quasi monopolio. Al
riguardo è però da intendersi con chiarezza.
Concentrazioni e pratiche limitative della concorrenza sono fenomeni che sovente rispondono
ad esigenze oggettive del sistema economico e che non si pongono necessariamente in contrasto col
funzionamento concorrenziale del mercato; Anzi, riduzione numerica ed accrescimento delle
dimensioni delle imprese possono costituire talvolta strumento indispensabile per ridurre i costi e per
evitare eccessi di produzione che il mercato non è in grado di assorbire. Parimenti, anche fra le intese
limitative della concorrenza una visione realistica induce a distinguere le «buone» dalle «cattive»: la
concorrenza sfrenata può talvolta arrecare al mercato ed alla collettività danni maggiori di un
accordo teso. Ne consegue che la salvaguardia del regime di concorrenza non può essere perseguita
attraverso una rigida ed aprioristica preclusione delle situazioni e delle pratiche limitative della
concorrenza. È fuori dubbio però che tali fenomeni vanno tenuti sotto controllo, nonché ostacolati e
repressi quando degenerano in situazioni monopolistiche palesemente in contrasto con l'interesse
generale.
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Non può poi essere trascurato un ulteriore ordine di fattori che può comportare compressioni
della libertà di iniziativa economica privata e del modello concorrenziale di mercato. L'una e l'altro
trovano infatti fondamento e limite nel pubblico interesse: l'art. 2595 cod. civ. dispone che «la
concorrenza deve svolgersi in modo da non ledere gii interessi dell'economia nazionale» e l'art. 41,
2° comma, della Costituzione ribadisce che l'iniziativa economica privata è sì libera, ma «non può
svolgersi in contrasto con l'utilità sociale...». Perciò, se il funzionamento concorrenziale del mercato
tendenzialmente coincide con l'interesse collettivo, situazioni oggettive e/o obiettivi di politica
economica e sociale dei pubblici poteri possono in concreto imporre limitazioni legislative vistose ed
anche radicali della libertà di concorrenza, sia soggettiva sia e di riflesso oggettiva.
La ricerca di un faticoso punto di equilibrio fra il modello teorico ed utopico della piena e
perfetta concorrenza e la realtà operativa, sovente orientata verso situazioni di oligopolio o di
monopolio, costituisce perciò la linea direttiva di fondo che ispira la disciplina della concorrenza nei
sistemi giuridici ad economia libera.
Fissato il principio guida della libertà di concorrenza, il legislatore italiano:
1.
consente limitazioni legali della stessa per fini di «utilità sociale» ed anche la creazione
di monopoli legali in specifici settori di interesse generale;
2.
ricollega alla stipulazione di determinati contratti divieti di concorrenza fra le parti,
finalizzati al corretto svolgimento del rapporto cui accedono ed alla tutela degli
interessi patrimoniali del beneficiario del divieto stesso;
3.
consente limitazioni negoziali della concorrenza, ma ne subordina nel contempo la
validità al rispetto di condizioni che non comportino un radicale sacrificio della liberta
di iniziativa economica attuale e futura;
4.
assicura, infine, l'ordinato e corretto svolgimento della concorrenza attraverso la
repressione degli atti di concorrenza sleale.
Subito va invece ricordato che per lungo tempo il sistema italiano della concorrenza si era
contraddistinto per una vistosa lacuna: la mancanza di una normativa antimonopolistica, finalizzata
al controllo dei fenomeni che possono determinare posizioni di prepotere economico sul mercato ed
alla repressione degli abusi che esse possono generare. Esigenza questa, per contro, avvertita e
soddisfatta in pressoché tutti gli ordinamenti giuridici dei paesi ad economia industriale avanzata.
E vero che a partire dalla metà degli anni cinquanta la lacuna era parzialmente colmata dalla
diretta applicabilità nel nostro ordinamento della disciplina antitrust dettata dai Trattati istitutivi
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della Comunità Economica Europea. Tale normativa però consentiva e consente di colpire solo le
pratiche che possono pregiudicare il regime concorrenziale del mercato comune europeo, non quelle
che incidono esclusivamente sul mercato italiano.
Da qui l'esigenza di colmare tale vuoto affiancando alla normativa comunitaria una normativa
antimonopolistica nazionale. Ed il vuoto è stato colmato, dopo lunghi anni di dibattito, dalla legge
10-10-1990, n. 287, recante norme per la tutela della concorrenza e del mercato.
Tale legge ha infatti introdotto una disciplina antimonopolistica nazionale a carattere
generale; disciplina che si affianca a quella comunitaria e nel contempo integra, sul piano nazionale,
la normativa specifica precedentemente emanata per i settori dell’editoria e per quello
radiotelevisivo.
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La disciplina italiana e comunitaria.
La libertà di iniziativa economica e la competizione fra imprese non possono tradursi in atti e
comportamenti che pregiudicano in modo rilevante e durevole la struttura concorrenziale del
mercato.
È questo il principio cardine della legislazione antimonopolistica dell'Unione Europea.
La relativa disciplina, direttamente applicabile alle imprese italiane, è volta a preservare il
regime concorrenziale del mercato comunitario e a reprimere le pratiche anticoncorrenziali che
pregiudicano il commercio fra Stati membri. La Commissione della Comunità Europea vigila sul
rispetto di tali normative, adotta i provvedimenti necessari per reprimere i comportamenti
anticoncorrenziali vietati ed irroga le sanzioni pecuniarie previste dalla legislazione comunitaria.
È questo il principio cardine oggi recepito anche dalla legislazione antimonopolistica italiana
generale, volta a preservare il regime concorrenziale del mercato nazionale e a reprimere i comportamenti anticoncorrenziali che incidono esclusivamente sul mercato italiano. Per le imprese
operanti nei settori dell'editoria ed in quello radiotelevisivo trova inoltre applicazione la specifica
disciplina volta a garantire il pluralismo dell'informazione di massa impedendo l'assunzione di
posizioni di dominio nei relativi mercati.
La legge 287/1990 ha istituito un apposito organo pubblico indipendente — l'Autorità garante
della concorrenza e del mercato — che vigila sul rispetto della normativa antimonopolistica, oggi
con competenza estesa a tutti i settori economici, dato che sono state abrogate le prerogative prima
riconosciute alla Banca d'Italia in tema di concorrenza nel mercato bancario. Per il settore delle
assicurazioni, l'Autorità garante deve sentire preventivamente l'Isvap. Infine, per il settore
dell'editoria e della radiodiffusione dopo la riforma del 1997 la relativa autorità di vigilanza
provvede ad applicare la normativa di settore, mentre esprime il proprio parere sui provvedimenti
dell'Autorità garante della concorrenza, alla quale è affidata la competenza in merito all'applicazione
al settore della normativa antitrust generale.
L'Autorità garante è investita di ampi poteri di indagine ed ispettivi, adotta i provvedimenti
antimonopolistici necessari ed irroga le sanzioni amministrative pecuniarie previste dalla legge.
Contro i provvedimenti amministrativi dell'Autorità può essere proposto ricorso giudiziario, per il
quale è competente esclusivamente il Tar Lazio. Le azioni di nullità e di risarcimento dei danni,
nonché i ricorsi diretti ad ottenere provvedimenti di urgenza, vanno invece promossi dinanzi alla
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Corte di appello competente per territorio. Si omette quindi il primo grado di giudizio dinanzi al
tribunale.
Identici sono i fenomeni pericolosi per la struttura concorrenziale del mercato posti sotto
controllo sia dalla disciplina comunitaria sia da quella nazionale : le intese; gli abusi di posizione
dominante; le concentrazioni. Da qui l'esigenza di un coordinamento fra le due normative, che il
legislatore italiano ha realizzato riconoscendo posizione preminente e sovraordinata alla disciplina
comunitaria. E ciò sotto un duplice profilo.
La normativa interna è infatti applicabile solo se tali fenomeni non ricadono nell'ambito di
applicazione della normativa comunitaria. La disciplina italiana ha perciò carattere residuale: è circoscritta alle pratiche anticoncorrenziali che hanno rilievo esclusivamente locale e che non incidono
sulla concorrenza nel mercato comunitario. Per queste ultime è invece applicabile solo il diritto
comunitario della concorrenza, anche se l'originaria competenza esclusiva in materia della
Commissione Ce sta progressivamente cedendo il passo all'applicazione decentrata della normativa
comunitaria da parte delle autorità nazionali. Oggi infatti si prevede che siano le autorità nazionali ad
applicare la disciplina comunitaria sulle intese e sugli abusi di posizione dominante, salvo che la
Commissione non ritenga opportuno occuparsi personalmente del caso.
Inoltre, non solo le situazioni vietate dalla legge italiana sono individuate assumendo come
modello le corrispondenti disposizioni dell'ordinamento comunitario, ma è espressamente stabilito
che esse vanno interpretate in base ai principi dell'ordinamento comunitario. È quindi possibile
procedere ad un esame unitario delle stesse.
I principi dell'ordinamento comunitario sono inoltre destinati a prevalere anche
nell'interpretazione dell'art. 8 della legge 287/1990 che definisce l'ambito soggettivo di applicazione
della disciplina antimonopolistica italiana: imprese private, imprese pubbliche e a prevalente
partecipazione statale, con esclusione delle imprese in posizione di monopolio legale e di quelle che
gestiscono servizi di interesse economico generale.
In particolare va segnalato che nell'ampia nozione di impresa elaborata dalla giurisprudenza
comunitaria rientrano anche gli esercenti professioni intellettuali, che per il nostro ordinamento non
sono imprenditori. Ne consegue che gli stessi devono essere compresi fra i soggetti ai quali è
applicabile la disciplina antimonopolistica italiana e comunitaria. O, se si preferisce, che ai fini della
normativa antitrust anche i professionisti intellettuali e gli artisti sono imprenditori.
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Le singole fattispecie. Le intese restrittive della
concorrenza.
Come anticipato, tre sono i fenomeni rilevanti per la disciplina antimonopolistica nazionale e
comunitaria:
1) le intese restrittive della concorrenza;
2) gli abusi di posizione dominante;
3) le concentrazioni.
Le intese sono comportamenti concordati fra imprese volti a limitare la propria libertà di
azione sul mercato. Ad esempio, accordi con cui si fissano prezzi uniformi o si contingenta la
produzione.
In particolare, sono considerati intese:
a) gli accordi fra imprese;
b) le deliberazioni di consorzi, di associazioni di imprese e di altri organismi similari,
anche se adottate ai sensi di disposizioni statutarie e regolamentari;
c) le «pratiche concordate» fra imprese. Figura residuale quest'ultima volta ed evitare che
sfuggano al divieto di intese restrittive della concorrenza i comportamenti concertati
che non derivano da accordi espressi. Vi rientra perciò ogni forma di coordinamento
dell'attività delle imprese che si traduce in comportamenti paralleli, consapevolmente
adottati mediante contatti diretti o indiretti.
Non tutte le intese anticoncorrenziali sono però vietate. Vietate sono infatti solo le intese che
«abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco
della concorrenza» all'interno del mercato o in una sua parte rilevante. Sono quindi lecite le
cosiddette intese minori, quelle intese cioè che per la struttura del mercato interessato, le
caratteristiche delle imprese operanti e gli effetti sull'andamento dell'offerta non incidono sull'assetto
concorrenziale del mercato.
La legge elenca cinque tipi di intese espressamente vietate, sempreché restringano la
concorrenza in modo rilevante, ma l'elencazione ha valore esemplificativo. Rientrano perciò fra le
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intese vietate non solo quelle fra produttori, ma anche gli accordi commerciali fra produttori e
distributori che prevedono clausole di esclusiva idonee a produrre un effetto di chiusura del mercato.
Le intese vietate sono nulle ad ogni effetto. Chiunque, indipendentemente dall'iniziativa
dell'Autorità, può agire in giudizio per farne accertare la nullità, anche prima che gli effetti restrittivi
della concorrenza si siano prodotti. L'Autorità, a sua volta, accerta con apposita istruttoria le infrazioni commesse, adotta i provvedimenti per la rimozione degli effetti anticoncorrenziali già
prodottisi ed irroga le sanzioni pecuniarie. Può però chiudere l'istruttoria senza accertare l'infrazione,
quando l'impresa assuma impegni tali da far cessare profili anticoncorrenziali contestati. Può inoltre
ridurre o non applicare del tutto la sanzione alle imprese che, ravvedendosi, forniscano informazioni
decisive o utili per la scoperta di un'intesa illecita di cui hanno fatto parte.
Analogamente a quanto previsto dalla disciplina comunitaria, il divieto di intese
anticoncorrenziali rilevanti non ha però carattere assoluto. L'Autorità può infatti concedere esenzioni
temporanee, purché ricorrano le condizioni specificate dalla legge. In particolare, si deve trattare di
intese che migliorano le condizioni di offerta sul mercato e producono un sostanziale beneficio per i
consumatori in termini di aumento della produzione, di miglioramento qualitativo della stessa o della
distribuzione, di progresso tecnico. E comunque necessario che non sia eliminata la concorrenza da
una parte sostanziale del mercato.
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4 (Segue): Abuso di posizione dominante e abuso
di dipendenza economica.
Il secondo fenomeno preso in considerazione dall'ordinamento nazionale e comunitario è
l'abuso di posizione dominante da parte di una o più imprese.
Eccezion fatta per il settore dei mezzi di comunicazione di massa e purché sia rispettata la
normativa sulle concentrazioni, vietato non è il fatto in sé dell'acquisizione di una posizione
dominante sul mercato o in una parte rilevante dello stesso; la circostanza cioè che l'impresa sia in
grado di esercitare un'influenza preponderante sul mercato e di agire senza dovere tener conto delle
reazioni dei concorrenti. Vietato è solo lo sfruttamento abusivo di tale posizione dominante,
individuale o collettiva, con comportamenti lesivi dei concorrenti e dei consumatori, capaci di
pregiudicare la concorrenza effettiva.
Nella valutazione della posizione dominante un ruolo decisivo gioca perciò l'individuazione,
merceologica e geografica, del mercato rilevante. Questo «comprende tutti i prodotti e/o servizi che
sono considerati intercambiabili o sostituibili dal consumatore, in ragione delle caratteristiche dei
prodotti, dei loro prezzi e dell'uso al quale sono destinati» e abbraccia quella zona, geograficamente
circoscritta, in cui le imprese fornitrici si pongono fra loro in rapporto di concorrenza.
L'individuazione del mercato rilevante non sempre è tuttavia agevole, anche per la tendenza
dell'Autorità a frammentare lo stesso.
I comportamenti tipici che possono dar luogo ad abuso di posizione tipici dominante sono
identificati, a titolo esemplificativo, negli stessi comportamenti che possono formare oggetto di
intese vietate. Perciò, ad un'impresa in posizione dominante è in particolare vietato di:
1.
imporre, direttamente od indirettamente, prezzi o altre condizioni contrattuali
ingiustificatamente gravose;
2.
impedire o limitare la produzione, gli sbocchi o gli accessi al mercato, lo sviluppo
tecnico a danno dei consumatori;
3.
applicare nei rapporti commerciali condizioni oggettivamente diverse per prestazioni
equivalenti;
4.
subordinare la conclusione di contratti all'accettazione di prestazioni supplementari che
non abbiano alcuna connessione con l'oggetto del contratto stesso.
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Il divieto di abuso di posizione dominante non ammette eccezioni. Accertata l'infrazione, con
procedura analoga a quella prevista per le intese, l'Autorità competente ne ordina la cessazione
prendendo le misure necessarie. Infligge inoltre sanzioni pecuniarie identiche a quelle stabilite per le
intese e, in caso di reiterata inottemperanza, l'Autorità italiana può anche disporre la sospensione
dell'attività dell'impresa fino a trenta giorni.
Nel contempo è oggi vietato nell'ordinamento nazionale, come in quello di altri paesi, anche
l'abuso dello stato di dipendenza economica nel quale si trova un'impresa, cliente o fornitrice,
rispetto ad una o più altre imprese anche in posizione non dominante sul mercato.
Si intende per dipendenza economica «la situazione in cui una impresa sia in grado di
determinare, nei rapporti commerciali con un'altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di
obblighi». Essa è valutata tenendo conto anche delle reali possibilità per la parte che ha subito
l'abuso di reperire sul mercato alternative soddisfacenti.
II patto attraverso il quale si realizza l'abuso di dipendenza economica è nullo ed espone al
risarcimento dei danni nei confronti dell'impresa che ha subito l'abuso. Inoltre, l'Autorità garante
applica le sanzioni previste per l'abuso di posizione dominante qualora ravvisi che l'abuso di
dipendenza economica abbia rilevanza per la tutela della concorrenza e del mercato.
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(Segue): Le concentrazioni.
Il terzo ed ultimo fenomeno posto sotto controllo dalla legislazione antimonopolistica è
costituito dalle operazioni di concentrazione fra imprese.
In base alla normativa nazionale generale, che ricalca con marginali differenze il
Regolamento Ce, si ha concentrazione quando:
1.
due o più imprese si fondono dando cosi luogo ad un'unica impresa;
2.
due o più imprese, pur restando giuridicamente distinte, diventano un unica entità
economica; sono cioè sottoposte, con qualsiasi mezzo, ad un controllo unitario che
consente di esercitare, anche congiuntamente, un'influenza determinante sull'attività
produttiva delle imprese controllate;
3.
due o più imprese indipendenti costituiscono un'impresa societaria comune.
Le imprese comuni sono però sottratte alla disciplina delle concentrazioni quando abbiano
come scopo principale il coordinamento dei comportamenti concorrenziali delle imprese
partecipanti.
Diversi sono quindi gli strumenti giuridici che possono dar luogo ad un'operazione di
concentrazione: fusione, scissione, acquisto di un'azienda, di una partecipazione azionaria di
controllo e cosi via. Identico è però il risultato economico ultimo : l'ampliamento della quota di
mercato detenuta da un'impresa, realizzato attraverso operazioni che comportano la stabile riduzione
del numero delle imprese indipendenti operanti nel settore. E da escludersi perciò che la disciplina
delle concentrazioni trovi applicazione quando le imprese partecipanti fanno già parte di uno stesso
gruppo.
E inoltre espressamente escluso che si abbia concentrazione quando una banca o un istituto
finanziario acquistano una partecipazione di controllo in un'impresa al fine di rivenderla sul mercato,
purché non esercitino il diritto di voto per tutto il periodo di possesso delle azioni, che comunque
non deve durare oltre 24 mesi.
Le concentrazioni costituiscono un utile strumento di ristrutturazione e non sono di per sé
vietate in quanto rispondono all'esigenza di accrescere la competitività delle imprese. Diventano però
illecite e vietate quando diano luogo a gravi alterazioni del regime concorrenziale del mercato. Pericolo questo che ovviamente sussiste solo per le concentrazioni di maggior dimensione.
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E perciò stabilito che le operazioni di concentrazione che superano determinate soglie di
fatturato devono essere preventivamente comunicate rispettivamente all'Autorità italiana o alla Commissione Ce, ai fine di valutare se esse comportano la costituzione o il rafforzamento di una
posizione dominante che elimina o riduce in modo sostanziale e durevole la concorrenza sul mercato
nazionale o comunitario o in una parte rilevante degli stessi.
Se l'Autorità ritiene di dover indagare sulla liceità della concentrazione, apre un'apposita
istruttoria che deve essere conclusa nel termine perentorio di 45 giorni. Nel frattempo può ordinare
alle imprese interessate di sospendere la realizzazione della concentrazione.
Terminata l'istruttoria, l'autorità può senz'altro vietare la concentrazione se ritiene che la
stessa comporta la costituzione o il rafforzamento di una posizione dominante con effetti distorsivi
per la concorrenza stabili e durevoli. In alternativa, può autorizzarla prescrivendo le misure
necessarie per impedire tali conseguenze. Qualora la concentrazione sia stata già realizzata, prescrive
le misure necessarie a ripristinare condizioni di concorrenza effettiva e ad eliminare gli effetti
distorsivi. In presenza di rilevanti interessi generali dell'economia nazionale, l'Autorità può tuttavia
eccezionalmente autorizzare anche concentrazioni altrimenti vietate, in conformità dei criteri
generali fissati preventivamente dal Governo.
Pesanti sanzioni pecuniarie, che possono giungere fino al 10% del fatturato delle imprese
interessate, sono inflitte dall'Autorità se la concentrazione vietata viene ugualmente eseguita o se le
imprese non si adeguano a quanto dalla stessa prescritto per eliminare gli effetti anticoncorrenziali
della concentrazione già eseguita.
Diversamente dalle intese, non è però sancita la nullità delle operazioni che hanno dato luogo
ad una concentrazione vietata e, benché il punto sia controverso, escluderei che a tale conclusione si
possa pervenire in via interpretativa. Ai terzi resta perciò solo la possibilità di richiedere il
risarcimento dei danni in via giudiziaria, fermo restando che l'Autorità può imporre il compimento di
operazioni inverse a quelle che hanno determinato una concentrazione vietata.
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