1 POTENZIALI ELETTROMAGNETICI Le onde piane sono soluzioni libere delle equazioni di Maxwell, ovvero sono campi elettromagnetici che possono esistere in tutto lo spazio anche in assenza di sorgenti. Tuttavia interessano anche (e soprattutto) le soluzioni forzate, ovvero le soluzioni prodotte da correnti elettriche (e magnetiche), in particolare da quelle impresse. Come abbiamo visto dal teorema di Poynting, infatti, sono tali correnti che forniscono potenza al campo e, in definitiva, possono produrlo. Ci occuperemo principalmente del campo dovuto a correnti elettriche, rimandando a più avanti quello dovuto a correnti magnetiche1 . Consideriamo allora delle correnti elettriche (impresse o indotte) J in un mezzo equivalente al vuoto. Per semplicità considereremo anzi direttamente il vuoto, ma basterà introdurre i valori di ε e µ per ottenere, se necessario, i risultati validi nel caso di altri mezzi. Le equazioni di Maxwell da risolvere sono allora ∇ × E = −jωµ0 H ∇ × H = jωε0 E + J ∇ · ε0 E = ρ ∇ · µ0 H = 0 (1) Possiamo esprimere la soluzione generale di tali equazioni in termini di potenziali elettromagnetici. Infatti, dalla quarta equazione delle (1) segue l’esistenza di una funzione vettoriale A(r) tale che µ0 H = ∇ × A (2) Sostituendo poi nella prima segue ∇ × E = −jω∇ × A ∇ × (E + jωA) = 0 e quindi il vettore E + jωA è irrotazionale2 . Esiste quindi una funzione scalare φ(r) tale che E + jωA = −∇φ (3) E = −jωA − ∇φ 1 ∇×A H= µ0 (4) Qualunque campo dovuto a sorgenti solo elettriche (eventualmente nulle) può quindi essere espresso mediante i due potenziali A e φ, detti potenziale vettore e potenziale scalare. Noti i potenziali, i campi si ottengono semplicemente per derivazione 1 Grazie alla sovrapposizione degli effetti, il campo di entrambe le correnti può essere calcolato come somma del campo delle sole correnti elettriche e di quello delle sole correnti magnetiche 2 Questa relazione è più generale di quella elettrostatica (E è conservativo) e ad essa si riduce se ω=0 1 Notiamo subito che, per un dato campo, esistono più coppie di potenziali possibili. Siano A e φ una coppia di potenziali per un certo campo. Poichè il rotore di un gradiente è nullo, allora anche A0 = A + ∇ψ fornisce lo stesso campo magnetico di A, qualunque sia la funzione scalare ψ(r). Per ottenere lo stesso campo elettrico occorre modificare anche il potenziale vettore. Per ottenere che A0 e φ0 , essendo φ0 un potenziale scalare modificato, forniscano lo stesso campo elettrico dei potenziali originari A e φ occorre imporre −jωA − ∇φ = −jωA0 − ∇φ0 = −jω (A + ∇ψ) − ∇φ0 e risolvendo ∇φ0 = ∇φ − jω∇ψ φ0 = φ − jωψ Quindi tutte le coppie di potenziali possibili sono date da A0 = A + ∇ψ φ0 = φ − jωψ (5) al variare della funzione arbitraria ψ(r). Le (5) prendono il nome di trasformazioni di gauge, e mostrano che, almeno nella fisica classica, solo i campi, e non anche i potenziali, hanno realtà fisica. D’altra parte usare i potenziali fa guadagnare un grado di libertà (la scelta di ψ) che può essere utile per semplificare la soluzione dei problemai elettromagnetici. Per ricavare i potenziali, possiamo utilizzare le due equazioni di Maxwell inomogenee, che non soso state ancora impiegate. Cominciamo a sostituire le (4) nella seconda delle (1). Ricordando che la permeabilità magnetica µ0 è costante, e quindi può essere portata fuori dall’operatore ∇, che è una derivata, si ha: ∇× 1 ∇×A µ0 = jωε0 (−jωA − ∇φ) + J 1 ∇ × ∇ × A = ω 2 ε0 A − jωε0 ∇φ + J µ0 ∇ × ∇ × A = ω 2 ε0 µ0 A − jωε0 µ0 ∇φ + µ0 J Ricordando che ∇ × ∇ × A = ∇∇ · A − ∇2 A, cambiando di segno e raccogliendo i termini, si ottiene infine ∇2 A + β 2 A = ∇∇ · A + jωε0 µ0 ∇φ − µ0 J h i = ∇ ∇ · A + jωε0 µ0 φ − µ0 J (6) p essendo β = ω 2 ε0 µ0 la costante di propagazione dello spazio libero. Analogamente dalla terza delle (1) segue ∇2 φ = −jω∇ · A − 2 ρ ε0 (7) Le (6,7) sono le equazioni per i potenziali, ma sono equazioni accoppiate. Poichè però i potenziali possono essere variati secondo le (5) lasciando inalterati i campi (e le equazioni (6,7), ovviamente nei nuovi potenziali), cerchiamo, se esiste una nuova coppia di potenziali che conduce ad equazioni disaccoppiate. Una possibilità per disaccoppiare tali equazioni è di cercare se esiste un ψ a cui corrispondono dei potenziali A0 e φ0 per cui l’espressione in parentesi quadra della (6) si annulli. Imponiamo allora che ∇ · A0 + jωε0 µ0 φ0 = 0 Usando le trasformazioni di gauge segue ∇ · A + ∇ · ∇ψ + jωε0 µ0 φ + jωε0 µ0 − jωψ = 0 ∇ · A + ∇2 ψ + jωε0 µ0 φ + β 2 ψ = 0 Quest’ultima è la cercata equazione per ψ ∇2 ψ + β 2 ψ = −∇ · A − jωε0 µ0 φ in cui a secondo membro c’è un termine noto. Poichè ψ fa variare i potenziali, ma non i campi, esso non richiede alcuna condizione al contorno e quindi l’equaizone precedente ha sempre infinite soluzioni. Pertanto esisterà sempre una coppia di potenziali3 A e φ per cui vale la gauge di Lorentz ∇ · A + jωε0 µ0 φ = 0 (8) Sostituendo la (8) nella (6), e ∇·A, ricavato dalla (8), nella (7), si ottengono le equazioni ai potenziali, nella gauge di Lorentz4 ∇2 A + β 2 A = −µ0 J (9) ρ ∇2 ψ + β 2 ψ = − ε0 Si noti che sia le tre componenti cartesiane di A, sia φ, soddisfano alle stesse equazioni. Le (9) sono dette equazioni delle onde (o equazioni di Helmholtz ). Le (9) sono equazioni disaccoppiate, e quindi più semplici da risolvere. Inoltre la seconda delle (9) non è necessaria in quanto, noto A, il potenziale scalare φ può essere ottenuto tramite derivate dalla gauge di Lorentz (8). Infatti in molti casi le relazioni tra campi e potenziali sono espresse direttamente in termini della sola A 1 1 ∇∇ · A = −jω A + 2 ∇∇ · A E = −jωA + jωε0 µ0 β (10) 1 H= ∇×A µ0 sostituendo φ dalla (8). 3 In realtà, per quanto detto prima, queste coppie sono infinite 4 In modo analogo si può dimostrare che esistono potenziali che soddisfano la gauge di Coulomb ∇ · A = 0, che conduce a equazioni parzialmente disaccoppiate, e, se ρ = 0, potenziali che soddisfano alla gauge φ = 0 3 2 DIPOLO ELEMENTARE Con il termine dipolo elementare si indica una sorgente di estensione spaziale molto piccola (rispetto a λ), costituita da una densità di corrente orientata in una unica direzione, e costante con essa. Assumiamo l’asse z lungo la direzione della densità di corrente. Allora anche la corrente I sarà rivolte lungo z, e sarà costante in un tratto ∆z pari alla lunghezza del dipolo elementare. La ampiezza della sorgente sara’ data dal prodotto I∆z. Per spiegare l’uso del termine dipolo per tale sorgente, notiamo che la corrente J può essere ottenuta come corrente che scorre all’esterno di un filo, ovvero di un cilindretto di C.E.P. lungo ∆z e di raggio molto più piccolo della lunghezza, purchè alle due estremità del filo siano posti due serbatoi di cariche, ad esempio due dischi metallici di raggio piccolo rispetto a λ ma grande rispetto a ∆z, che formino le due armature di un condensatore in grado di accumulare cariche. Con tale condensatore, è posFig 1: Filo (a sinistra) e sibile che la corrente sul filo sia costante, anzichè andipolo elementare (a destra) nullarsi alle estremità. Se confrontiamo le due situazioni di Fig. 1, notiamo che nella figura a sinistra la corrente (che scorre verticalmente sul filo) deve necessariamente annullarsi alle due estremità del filo. Invece la presenza dei due dischi nel dipolo elementare riportato a destra evita che , alle estremità della parte verticale, la corrente debba annullarsi. Poichè il filo è poi molto corto, possiamo applicare i principi di Kirchhoff, concludendo che la corrente è costante su tutto il filo. Applichiamo l’equazione di continuità alla regione tratteggiata di Fig. 2, che contiene l’armatura superiore del condensatore. Sia Q la carica immagazinata nella armatura, e I la corrente nel dipolo elementare, che entra nella regione tratteggiata. Si ha allora jω Q + (−I) = 0 I da cui segue I jω La carica accumulata nella armatura nel DT vale q(t) = |Q| cos ωt + φ Q= Fig 2: Equazione di continuità essendo φ la fase di Q. Sull’altra armatura la carica sarà pari a −q(t). Si ha quindi un dipolo elettrico oscillante, di momento, nel DT , pari a q(t) ∆z, e quindi, nel DF , dato da 1 I ∆z (11) jω Ovviamente le armature devono accumulare questa carica q(t) senza produrre una d.d.p. apprezzabile. Occorre quindi un condensatore di capacità elevata (che non sarebbe ottenibile P = Q ∆z = 4 con un semplice filo, senza armature). La corrente di un dipolo elementare viene approssimata con un impulso di Dirac spaziale. Se scegliamo l’asse z allineato con la corrente, e indichiamo con rD la posizione del dipolo, la densità di corrente corrispondente a un dipolo vale JD (r) = I∆z δ(r − rD ) iz (12) 3 POTENZIALE VETTORE DI UN DIPOLO ELEMENTARE L’equazione d’onda (9) per il potenziale vettore di un dipolo elementare posto nell’origine può essere scritta come ∇2 A + β 2 A = −µ0 I∆z δ(r) iz ed è una equazione inomogenea. Conviene cominciare a cercare una soluzione della equazione completa, che dipenda direttamente da JD . Poichè l’operatore ∇2 è un operatore scalare, esprimendo A in componenti cartesiane, segue ∇2 A = (∇2 Ax )ix + (∇2 Ay )iy + (∇2 Az )iz e quindi esiste un integrale particolare che ha solo componente z. L’equazione d’onda diventa quindi ∇2 Az + β 2 Az = −µ0 I∆z δ(r) (13) e avrà, per la simmetria del termine noto, una soluzione funzione solo di r = |r|. Tenendo conto di questo, possiamo sviluppare il ∇2 ottenendo 1 d 2 dAz r + β 2 Az = −µ0 I∆z δ(r) (14) r 2 dr dr Introduciamo una nuova incognita A0 , dipendente solo da r, definita da rAz = A0 . Derivando quest’ultima si ha dAz dA0 dAz dA0 = =⇒ A0 + r 2 =r dr dr dr dr Derivando ancora quest’ultima espressione segue Az + r dA0 d d2 A0 dA0 2 dAz + +r r = dr dr dr dr dr 2 =⇒ d d2 A0 2 dAz r =r dr dr dr 2 Sostituiamo nella (14) ovvero 1 d2 A0 A0 r + β2 = −µ0 I∆z δ(r) r 2 dr 2 r 5 1 r d2 A0 2 + β A 0 = −µ0 I∆z δ(r) dr 2 (15) Per r 6= 0 la (15) è una equazione omogenea, ed ha come soluzione e−jβr ejβr +C (16) r r I due termini della (16) sono due onde (confronta il paragrafo sulla propagazione di onde piane) che viaggiano in direzione radiale, il primo verso r = +∞ e il secondo invece da r = +∞ verso r = 0. Quindi il primo termine è prodotto da sorgenti al finito, mentre il secondo può solo essere prodotto da sorgenti poste all’infinito. Poichè l’unica sorgente è posta in r = 0, occorre prendere C = 0. Il valore di B dipende invece dalla ampiezza del dipolo. Per calcolarlo sostituiamo Az (r) nella equazione (13). Risulta A0 (r) = B e−jβr + C ejβr =⇒ Az (r) = B 1 1 1 1 = B ∇2 e−jβr + 2∇e−jβr · ∇ + e−jβr ∇2 ∇2 Az = B∇2 e−jβr r r r r 1 2 −jβr 1 −jβr −jβr =B ∇ e + 2∇e · ∇ − 4πe δ(r) r r per le proprietà della delta spaziale di Dirac (vedi App. 1). Ovviamente, sempre per queste proprietà, il termine esponenziale va calcolato in r = 0 e vale quindi 1. I primi due termini, regolari, compensano β 2 Az e quindi segue, sostituendo nella (13), −4Bπδ(r) = −µ0 I∆z δ(r) =⇒ B= µ0 I∆z 4π (17) Il potenziale vettore dipendente dal dipoloè quindi e−jβr µ0 I∆z iz (18) 4π r Nella (18), r è la distanza tra il punto campo, dove si richiede il potenziale vettore, e il punto sorgente, dove è il dipolo (finora posto in r = 0). Se il dipolo è posto in rD , il potenziale vettore è ancora dato da (18), ma r = |r − rD |. A partire dalla (18), si può poi calcolare il campo per derivazione, usando le (10). La (18) fornisce una ulteriore informazione importante: il potenziale vettore del dipolo è allineato col dipolo stesso. Quindi il potenziale vettore, in un dato punto, è sempre proporzionale, mediante una funzione scalare detta funzione di Green (o risposta impulsiva), all’ampiezza del dipolo: # # " " µ0 e−jβ|r−rD | A(r) = I∆z iz = g(|r − rD |) I∆z iz 4π |r − rD | A(r) = essendo g(|r − rD |) = la funzione di Green. µ0 e−jβ|r−rD | 4π |r − rD | 6 4 CAMPO DI UN DIPOLO ELEMENTARE In un sistema di riferimento sferico, il campo nel punto P = (r, θ, ϕ), prodotto da un dipolo elementare di ampiezza I∆z, parallelo ed equiverso all’asse z e posto nell’origine è1 1 1 ζ I∆z + e−jβr 2 cos θ Er = j 2λ r jβr (jβr)2 1 ζ I∆z 1 + Eθ = j e−jβr sin θ 1+ (19) 2λ r jβr (jβr)2 I∆z 1 Hϕ = j 1+ e−jβr sin θ 2λ r jβr Queste espressioni valgono in tutto lo spazio (fatta eccezione per il punto in cui si trova il dipolo), ma sono abbastanza complesse, soprattutto da interpretare. Tuttavia tali espressioni si possono semplificare nei due casi di punto campo P lontano dal dipolo, βr 1 o vicino al dipolo βr 1. Se βr 1 si possono trascurare, nelle parentesi quadre della (19), tutti i termini rispetto a 1, e quindi anche Er rispetto a Eθ . In tal caso il campo diventa ζ I∆z −jβr e sin θ 2λ r (20) 1 I∆z −jβr e sin θ = Eθ Hϕ = j 2λ r ζ ovvero i campi variano con r allo stesso modo, e sono entrambi ortogonali alla direzione radiale (campi trasversi). In termini vettoriali, dalla (20) segue Eθ = j −jβr E = ζ H × ir (21) La presenza del fattore e mostra che il campo di un dipolo elementare si propaga, e si propaga in direzione radiale. Infatti, nel DT , tale fattore diventa i h Re e−jβr ejωt = cos βr − ωt ovvero identifica una onda che viaggia in direzione radiale (dal dipolo verso l’infinito). Il campo (20) è quindi una onda sferica, con superfici equifase e equiampiezza sferiche. 1 Le stesse espressioni in termini di momento di dipolo P = I∆z/jω si ottengono sostituendo il primo fattore delle espressioni seguenti con j ζ jωP ζωP β2P ζ I∆z =j =− =− 2λ r 2λ r 2λ r 4πε0 r I∆z jωP ωP β 2 ωP j =j =− =− √ 2λ r 2λ r 2λ r 4π ε0 µ0 r 7 Se però osserviamo il campo (20) solo in una regione limitata dello spazio, le superfici sferiche equifase e equiampiezza sono indistinguibili da superfici piane. Infatti una sfera di raggio R grande risulta indistinguibile dal suo piano tangente, se osservata in una zona di dimensioni piccole rispetto a R. Ne segue che in una zona limitata dello spazio l’onda sferica (20) è indistinguibile da una onda piana, in quanto non solo ha superfici equifase e equiampiezza piane, ma vale anche la (21), che è la relazione tra i campi di una onda piana. Ovviamente, come si vede dalla (21), l’onda piana viaggia in direzione radiale (nel punto di osservazione). Poichè vale la sovrapposizione degli effetti, anche il campo di più dipoli, ovvero il campo di una qualunque distribuzione di correnti1 , purchè di estensione spaziale limitata, ha, per βr → ∞, le stesse proprietà del campo di un dipolo. In particolare tale campo è una onda piana che viaggia verso l’infinito, e inoltre devono valere lim r|E| < ∞ lim r|H| < ∞ r→∞ r→∞ (22) lim r E−ζ H × ir = 0 r→∞ Le (22), e in particolare l’ultima di queste, prendono il nome di condizioni di Sommerfeld, o condizioni di radiazione all’infinito. Il significato fisico di queste condizioni è che, all’infinito, sia E, sia H devono essere infinitesime almeno del primo ordine, mentre la differenza E−ζ H×ir deve esserlo di ordine superiore al primo 2 . Passando al caso di campo vicino βr 1, allora nella parentesi quadra possiamo trascurare tutti i termini rispetto all’ultimo, e porre anche e−jβr ' 1. Le (19) diventano allora ζ I∆z Er = j 2λ r 1 jβr 2 2 cos θ 2 ζ I∆z 1 Eθ = j sin θ 2λ r jβr 1 I∆z sin θ Hϕ = j 2λ r jβr (23) Si vede immediatamente che, nelle (23), il campo E ed il campo H vanno all’infinito (per r → 0) in modo diverso, e in particolare il campo magnetico è un infinito di ordine inferiore. Tuttavia, non è possibile confrontare direttamente i due campi, che hanno unità di misura diverse. Tuttavia, se consideriamo il campo lontano (o una onda piana), notiamo che, per esso |E| = |ζH|. D’altra parte, una onda piana esiste in assenza di sorgenti, e quindi è ciascun campo che produce l’altro. Possiamo quindi cocncludere che, in una onda piana, i due campi hanno la stessa “grandezza”. Pertanto, il modo giusto di confrontare campo elettric e magnetico è di confrontare |E| e |ζH|. Per il campo vicino di un dipolo elementare si ha 1 Una qualunque distribuzione di correnti può sempre essere decomposta nella sovrapposizione di dipoli elementari 2 In realtà andrebbe anche aggiunto che le componenti radiali dei campi Er ed Hr devono essere di ordine superiore al primo. 8 p √ |E| sin2 θ + 4 cos2 θ 1 1 + 3 cos2 θ 1 = = |ζH| sin θ βr sin θ βr Il primo fattore è maggiore di 1, ed il secondo è molto maggiore di 1. Ne segue che vicino a un dipolo |E| 1 =⇒ |E| |ζH| |ζH| e quindi il campo è essenzialmente elettrico (il campo magnetico è, entro certi limiti, trascurabile). Se esprimiamo il campo elettrico della (23) in termini di momento di dipolo P = I∆z/jω , si ottiene ζ jωP −1 1 1 ζω 1 1 2 cos θ = 3 P 2 cos θ = P 2 cos θ 2 2λ r (βr) 2r λβ β 4πr 3 ε0 1 1 ζω ζ jωP −1 1 1 sin θ = 3 Eθ = j P sin θ = P sin θ 2 2λ r (βr) 2r λβ β 4πr 3 ε0 Er = j (24) essendo λ β = 2π e ω ζ = β r ω µ0 = √ ε0 ω µ0 ε0 r 1 1 µ0 = √ ε0 µ0 ε0 ε0 Le espressioni (24) del campo di un dipolo elementare oscillante a frequenza ω sono analoghe3 a quelle del campo elettrostatico di un dipolo costante. Va però tenuto presente che queste ultime sono valide a qualunque distanza, mentre le (24) esprimono il campo del dipolo oscillante solo se βr 1 ovvero se r λ. Questo conferma che, per regioni di dimensioni piccole rispetto a λ, è possibile usare le leggi dei campi statici, e quindi i principi di Kirchhoff. 5 DIPOLO CORTO Un dipolo elementare è di difficile realizzazione, a causa delle capacità terminali. Dato che l’andamento del campo di un dipolo dipende essenzialmente dal fatto che la corrente è concentrata in una regione molto piccola rispetto a λ (e dalla direzione della corrente stessa), conviene quindi esaminare se una sorgente costituita solo dai due fili verticali (quindi senza condensatore) sia utilizzabile come dipolo, ovviamente nella ipotesi che la sua lunghezza 2` sia molto piccola rispetto a λ. 3 Naturalmente le (24) esprimono il campo, oscillante a frequenza ω, di un dipolo oscillante p(t) = P0 cos ωt, e non quelle di un dipolo costante. Tuttavia, se consideriamo il campo (24) nel DT otteniamo P0 [2 cos θir + sin θiθ ] cos ωt E= 4πε0 r3 Quest’ultima espressione è valida sia per ω = 0 qualunque sia r, sia per ω 6= 0, e r λ. 9 La struttura che consideriamo è riportata in Fig. 1. Sappiamo che in regioni piccole rispetto a λ possiamo utilizzare i principi di Kirchhoff. Nel nostro caso questi ci dicono che I(`) = I(0), e poichè I(`) è necessariamente nulla, allora anche la corrente sulla antenna è nulla. Quindi, apparentemente, una tale sorgente non funziona. In realtà, i principi di Kirchhoff sono una ottima approssimazione, ma sempre una approssimazione. E una approssimazione non è utilizzabile quando il risultato approssimato è nullo. Pertanto, essendo I(0) = IA 6= 0, ci sarà una corrente non nulla sulla antenna. Essendo comunque l’antenna molto piccola tale corrente (non potendo essere costante) varierà linearmente con z: I(z) = IA z +l IA I(z) 0 -l Fig 1: Geometria e corrente di un dipolo corto |z| 1− ` (25) Conseguenza di questo fatto è che vi sarà una carica accumulata lungo l’antenna. Se consideriamo un tratto ∆z posto alla ascissa z, su di esso vi sarà una carica q(z) ∆z. Per calcolarla consideriamo l’equazione di continuità della carica: d carica contenuta dt corrente uscente = − che nel DF , e nel nostro caso, diventa h i I(z + ∆z) + − I(z) = −jωq(z) ∆z (26) Risolvendo per la carica, e usando la (25), si ha q(z) = 1 dI(z) 1 −IA 1 ∆z = ∆z −jω dz −jω ` (27) La carica q(z) e quella q(−z) costituiscono un dipolo di momento 2zq(z). Il momento totale di dipolo sarà quindi Ptot = Z 0 ` IA 2zq(z) dz = jω` Z 0 ` 2z dz = IA ` IA ` 2 2 = jω` 2 jω (28) L’espressione di Ptot è simile a quella (11) del momento di dipolo di un dipolo elementare, ma il fattore geometrico coinvolto è la metà della lunghezza totale della sorgente. Ciò in quanto la carica, per un dipolo corto, è distribuita lungo tutta la sorgente, e non concentrata alle estremità. Il campo di un dipolo corto è quindi lo stesso di un dipolo elementare (se la corrente ha la stessa direzione), a patto di usare come ampiezza della sorgente IA `. 10 6 POTENZA IRRADIATA DA UN DIPOLO La potenza attiva irradiata da un dipolo (corto o elementare) può essere calcolata come flusso della parte reale del vettore di Poynting su una superficie qualunque che racchiude il dipolo 1 . Conviene allora utilizzare una sfera di raggio R0 per semplicità. Il vettore di Poynting di un dipolo ha due componenti: S= 1 1 1 1 E × H∗ = [Er ir + Eϑ iϑ ] × Hϕ∗ iϕ = Er Hϕ∗ (−iϑ ) + Eϑ Hϕ∗ ir 2 2 2 2 (29) Sostituendo le espressioni dei campi si ha, per le due componenti di S " #∗ 2 # " 2 2 1 ζ|I| h 1 1 1 1 + 1+ sin2 θ 1+ S · ir = Eϑ Hϕ∗ = 2 2 4λ2 R02 jβR0 jβR0 jβR0 " #∗ 2 # " 1 1 1 1 ζ|I|2 h2 1 ∗ S · iϑ = − Er Hϕ = 1+ 2 cos θ sin θ + 2 2 4λ2 R02 jβR0 jβR0 jβR0 (30) dove si è indicato con h la lunghezza del dipolo elementare oppure la semilunghezza nel caso di un dipolo corto. Il prodotto dei due termini in parentesi quadra vale, rispettivamente " 1 1+ + jβR0 1 jβR0 2 # " 1− 1 jβR0 # 2 2 3 1 1 1 1 1 − − + − =1+ jβR0 jβR0 jβR0 jβR0 jβR0 3 3 1 1 = 1−j =1− jβR0 βR0 " # 2 # " 1 1 1 1− + jβR0 jβR0 jβR0 2 2 3 1 1 1 1 + − − = jβR0 jβR0 jβR0 jβR0 3 3 1 1 1 1 − −j = = −j jβR0 jβR0 βR0 βR0 (31) Sϑ è puramente immaginaria, quindi lo squilibrio tra le energie non è uniforme rispetto a θ. Molto più interessante è invece la componente radiale. La parte reale e quella immaginaria di S · ir valgono 1 La superficie può essere qualunque in quanto non vi è nè dissipazione, nè sorgenti all’esterno del dipolo 11 S r · ir = 1 ζ|I|2 h2 sin2 θ ir 2 4λ2 R02 1 ζ|I|2 h2 sin2 θ ir S i · ir = − 2 4λ2 R02 1 βR0 3 1 ζ|I|2 h2 1 =− sin2 θ ir 2 4(2π)2 β R05 (32) Risulta dS = R02 dΩ = R02 sin θdθdφ e quindi la potenza irradiata vale 1 ζ|I|2 h2 Sr · ir dS = sin2 θ R02 sin θdθdφ 2 4λ2 R02 I 1 ζ|I|2 h2 8π 1 ζ|I|2 h2 2 sin θ sin θdθdφ = = 2 4λ2 2 4λ2 3 Possiamo esprimere la potenza irradiata come Pi = I I 1 2πζ 2 Pi = |I| 2 3 2 h λ (33) (34) h . λ Da un punto di vista pratico sembrerebbe che, per irradiare una certa potenza, possa scegliere in modo arbitrario |I| e h, col vincolo che il prodotto resti costante. In realtà le antenne, specie a bassa frequenza, sono realizzate con materiali non ideali: si ha quindi una dissipazione per effetto Joule, proporzionale a |I|2 . L’efficienza di radiazione η, definita da da cui notiamo che la potenza, oltre ad essere proporzionale a |I|2 , aumenta al crescere di Potenza irradiata Potenza irradiata + Potenza dissipata risulta quindi tanto maggiore quanto più piccola è la corrente. Quiesto è uno dei motivi che spinge a scegliere il valore di h il più grande possibile, compatibilmente con i vincoli realizzativi. In realtà occorrerebbe anche essere certi che l’antenna sia ancora un dipolo elementare o corto, il che richiede h λ, ma, almeno qualitativamente, la potenza irradiata aumenta (fissata |I|) con le dimensioni anche per antenne differenti. Possiamo anche esprimere la potenza irradiata in termini di momento di dipolo P . Essendo jωP = Ih, si trova sostituendo η= 1 2πζ 2 Pi = ω |P |2 2 3 2 1 λ (35) β ω 1 = = , essendo c la velocità della luce nel vuoto. Sostituendo λ 2π 2πc 1 ζ ω 4 |P |2 (36) Pi = 2 6πc2 La dipendenza della potenza irradiata da ω 4 , fissato |P |, è, ad esempio, responsabile del colore azzurro del cielo. La luce solare polarizza le molecole d’aria, trasformandole in dipoli elettrici che reirradiano. La potenza reirradiata nel blu, λ = 400 nm, è 16 volte più grande di quella reirradiata nel rosso, λ = 800 nm, e quindi nella luce diffusa verso la terra è presente solo la prima. Consideriamo infine l’energia immagazinata attorno al dipolo. Possiamo calcolare la differenza tra le energie come flusso della parte immaginaria del vettore di Poynting tra due Ora 12 sfere di raggio R0 ed R1 > R0 . Poichè sulla sfera interna il versore normale è −ir , anche qui interessa solo la componente radiale di S. La potenza reattiva uscente vale allora Pre = − 1 2 1 = 2 = I 1 ζ|I|2 h2 1 1 ζ|I|2 h2 1 2 2 sin θ R sin θdθdφ + sin2 θ R02 sin θdθdφ 1 5 2 2 4(2π) β R1 2 4(2π)2 β R05 I ζ|I|2 h2 1 1 sin2 θ sin θdθdφ − 3 4(2π)2 β R03 R1 ζ|I|2 h2 1 1 − 3 6πβ R03 R1 I (37) in quanto l’integrale vale 8π/3. La potenza reattiva è sempre positiva, e quindi l’energia elettrica immagazinata è maggiore di quella magnetica immagazinata e anzi l’energia immagazzinata è quasi del tutto elettrica. Inoltre c’è energia solo molto vicino al dipolo, in quanto la potenza reattiva decade molto rapidamente. 13 7 TEOREMA DI RECIPROCITÀ Vedi file aggiuntivo IIIa 8 ESISTENZA E UNICITA’ Le leggi che regolano il campo elettromagnetico sono state espresse nella forma di equazioni differenziali. Le suddette equazioni sono lineari, nel dominio della frequenza. Quando si ha a che fare con equazioni differenziali ha senso porsi, oltre al problema della ricerca delle soluzione e della loro proprietà, che sono stati discussi nei capitoli precedenti, anche il problema della esistenza e unicità della soluzione. Per quanto riguarda l’esistenza, assumiamo che le nostre equazioni, in quanto rappresentanti coerentemente un fenomeno fisico, abbiano comunque una soluzione. Viceversa, per ottenere l’unicità di una certa soluzione, dovremo imporre alla soluzione stessa delle ulteriori condizioni, che ricaveremo ovviamente anch’esse dalle proprietà fisiche del fenomeno. Tali condizioni aggiuntive dipenderanno inoltre anche dal dominio (DT o DF ) in cui scriviamo le equazioni. Nei prossimi paragrafi vedremo in dettaglio quali sono queste condizioni aggiuntive. Esiste comunque uno stretto legame tra le condizioni che assicurano l’unicità di una soluzione e la sua esistenza, o meglio la sua possibile non–esistenza. Supponiamo infatti che, per ottenere l’unicità della soluzione, si debba imporre un insieme di condizioni {C1 , . . . , CN }, che indichiamo simbolicamente con C. Ciò significa che esisterà una sola soluzione delle equazioni di Maxwell che soddisfa a tutte le condizioni di C . Supponiamo ora di voler cercare una soluzione EU , HU che soddisfi non solo a tutte le condizioni di C , ma anche ad una condizione aggiuntiva CA , ad esempio E(rx ) = 0. Da quanto detto, esiste una sola soluzione, Eu (r) che soddisfa a C. Quindi, relativamente al campo elettrico nel punto scelto rx , possono verificarsi due casi: se EU (rx ) è nullo, allora EU soddisfa anche a CA , se invece EU (rx ) 6= 0 la soluzione EU non soddisfa a CA e quindi non esiste alcuna soluzione che soddisfi a tutte le condizioni di {C1 , . . . , CN , CA } . Pertanto imporre una, o più, condizioni aggiuntive ad un insieme di condizioni sufficienti per l’unicità impedisce di avere soluzioni (a meno che la condizione aggiuntiva non sia già compresa nell’unica soluzione, e divenga quindi pleonastica). 14 9 IL SIGNIFICATO DELL’UNICITA’ Dai corsi di analisi matematica è noto il significato del concetto di unicità della soluzione di una equazione differenziale ordinaria. Esattamente lo stesso significato vale anche per le equazioni di Maxwell nel DT , nonostante queste ultime siano equazioni a derivate parziali. Per il DF , invece, visto che tali equazioni regolano la soluzione a regime per sorgenti sinusoidali isofrequenziali, il significato del concetto di unicità è, come vedremo, completamente diverso. Per il DT dire che una soluzione E(r, t), H(r, t) è unica in un dato intervallo di tempo, (T0 , T1 ), e dominio spaziale, Z, significa che non vi possono essere (in tale intervallo e dominio) due diverse coppie di funzioni (E, H) che soddisfano le equazioni di Maxwell (con le eventuali sorgenti) e un insieme sufficiente di condizioni aggiuntive. Per brevità, evitiamo di discutere qui tali condizioni aggiuntive, e per esse rimandiamo, per esempio, a [1]. Tra le condizioni di unicità nel DT vogliamo qui ricordare solo necessità di imporre una condizione iniziale, ovvero di dover richiedere che, all’istante iniziale T0 , i campi in tutto il dominio Z assumano un ben preciso valore: E(r, 0) = E0 (r), H(r, 0) = H0 (r) ∀r ∈ Z (38) dove E0 (r) e H0 (r) sono funzioni indipendenti e largamente arbitrarie. Ben diverso il discorso per il DF , in quanto una soluzione E(r), H(r) nel DF non è la soluzione di una equazione differenziale, ma solo una sua parte e precisamente la soluzione a regime delle equazioni di Maxwell nel DT , nella ipotesi di sorgenti sinusoidali isofrequenziali. Ciò significa che occorre considerare sorgenti che varino come cos(ω0 t + φ) applicate a partire dall’istante iniziale T0 = −∞. All’istante attuale tali sorgenti daranno luogo a una soluzione E(r, t), H(r, t), la cui parte a regime ER (r, t) = Re E(r)ejω0 t (39) HR (r, t) = Re H(r)ejω0 t può espressa tramite i fasori (dipendenti da r) E(r), H(r). Naturalmente, fissate le sorgenti, la soluzione completa E(r, t), H(r, t) sarà unica se assegnamo opportune condizioni, comprese le condizioni iniziali E(r, −∞), H(r, −∞). E, altrettanto naturalmente, tale soluzione dipenderà dalle condizioni iniziali. È quindi possibile che la soluzione a regime (39), essendo una parte della soluzione totale, dipenda anche essa dalle condizioni iniziali a T0 = −∞ Per definizione, diremo allora che la soluzione nel DF è unica se la soluzione a regime è indipendente dalle condizioni iniziali, e viceversa. Più formalmente, una qualunque soluzione con sorgenti sinusoidali può sempre essere espressa come somma di due termini E(r, t) = ET (r, t) + EF (r, t) (40) (e analogamente per H(r, t)) , in cui ET , detta soluzione transitoria, dipende dalle condizioni iniziali mentre EF è sinusoidale e indipendente dalle condizioni iniziali 1 [1] Franceschetti: Campi Elettromagnetici, Boringhieri 1 La decomposizione (40) segue dalla teoria delle equazioni differenziali lineari: EF è un integrale particolare della equazione completa, mentre ET è l’integrale generale della equazione omogenea associata. 15 Se lim ET (r, t) = 0 t→∞ ∀r ∈ Z (41) allora EF costituisce l’unica soluzione a regime, qualunque siano le condizioni iniziali, (unicità nel DF ). Se invece la (41) non è valida, allora la soluzione a regime dipende dalle condizioni iniziali. Tuttavia mentre il termine EF è sempre alla frequenza ω0 delle sorgenti, la parte dipendente dalle condizioni iniziali ET può contenere o non contenere un termine alla medesima frequenza ω0 . Mentre nel primo caso non vi è unicità nel DF , nel secondo caso l’unicità sussiste ancora in quanto la parte alla frequenza ω0 della soluzione a regime deriva solo da EF ed è quindi indipendente dalle condizioni iniziali. Va infine rimarcato che se si riesce a determinare, in un modo qualunque, una coppia di funzioni vettoriali Ex , Hx che soddisfano sia le equazioni di Maxwell, sia ad un insieme di condizioni sufficienti per l’unicità, allora tale coppia di funzioni è l’unica soluzione del nostro problema. 10 UNICITA’ NEL DOMINIO DELLA FREQUENZA Consideriamo il problema di determinare il campo elettromagnetico in una regione Z dello spazio, contenente eventualmente delle sorgenti. Il mezzo che riempie Z può essere omogeneo o non omogeneo. La unicità della soluzione si può dimostrare, essendo le equazioni lineari, supponendo, per assurdo, l’esistenza di due soluzioni distinte E1 , H1 e E2 , H2 , e poi dimostrando che tali soluzioni devono necessariamente coincidere, ovvero che la loro differenza E(r) = E1 (r) − E2 (r) H(r) = H1 (r) − H2 (r) (42) dev’essere identicamente nulla. D’altra parte la soluzione differenza E(r), H(r) è ancora soluzione delle equazioni di Maxwell, ma con sorgenti di valore pari alla differenza tra quelli della prima soluzione e quelli della seconda soluzione. E poichè le due soluzioni E1 , H1 e E2 , H2 sono prodotte dalle stesse sorgenti, la soluzione differenza E(r), H(r) è prodotta da sorgenti nulle. Conviene quindi cominciare a esaminare in quali casi un campo elettromagnetico in una regione Z, in assenza di sorgenti, deve essere necessariamente nullo. Infatti, ognuno di questi casi si tradurrà immediatamente in un insieme di condizioni sufficienti per l’unicità. Naturalmente cercheremo soluzioni che sono continue a tutte le interfacce, o che soddisfano le corrette condizioni di discontinuità in presenza di correnti superficiali. È necessario inizialmente fare una prima distinzione tra i problemi interni, in cui la regione Z è limitata, e i problemi esterni in cui la regione Z è tutto lo spazio, oppure è comunque illimitata, poichè questi due problemi vanno esaminati separatamente. Nel caso di problemi interni, il dominio Z è racchiuso da una, o più , superfici al finito, che nel complesso costituiscono la frontiera di Z. Per un problema esterno, invece, Z può avere varie tipologie: • Z è tutto lo spazio • Z è un semispazio (o un quadrante, o l’interno di un cono) 16 • Z è uno dei volumi dei punti preecedenti, da cui sono stati tolti uno o più domini limitati. La frontiera di Z in un problema esterno è quindi costituita da una porzione (di estensione angolare finita, eventualmente tutta) della sfera all’infinito1 , da una o più superfici (ma anche nessuna) che terminano all’infinito (es, semipiani, superfici di un cono, etc.) e eventualmente da una o più superfici al finito. Le condizioni sufficienti complete variano caso per caso, e verranno trattate nei paragrafi successivi. L’unica condizione generale (che nel seguito chiameremo condizione al finito ) è relativa alle superfici tutte al finito, sia che delimitino un problema interno, sia che siano una parte eventuale della frontiera di Z in un problema esterno. La condizione al finito è costruita nel modo seguente: a) La parte di frontiera di Z costituita da superfici al finito è divisa (più precisamente partizionata) in una o più zone; b) Per ciascuna zona Zi viene assegnata una delle seguenti condizioni 1) il valore del campo elettrico tangente: Etan = E0i , con E0i noto e il pedice tan che indica il componente di E tangente alla superficie; 2) il valore del campo magnetico tangente: Htan = H0i , con H0i noto; 3) una condizione di impedenza Etan − Zs Htan × in = Ezi con Ezi noto, Zs una grandezza complessa (eventualmente variabile punto per punto di Zi ) con parte reale non negativa ed in normale uscente dalla superficie; 4) una condizione di ammettenza Htan − Ys in × Etan = Hyi , duale di quella del punto 3). Tutte le condizioni 1–4) possono essere inomogenee o omogenee (ovvero le grandezze note, e variabili punto per punto, E0i , H0i , . . ., possono essere diverse da zero oppure nulle. Come detto prima, noi lavoreremo sul problema differenza, cercando condizioni che garantiscono che l’unica soluzione di questo problema sia quella nulla. Se sul problema originario imponiamo una qualunque delle condizioni 1–4), allora la soluzione del problema differenza deve soddisfare esattamente la stessa condizione, ma sempre omogenea, essendo la differenza di due condizioni uguali. 11 CONDIZIONI DI UNICITA’ NEL PROBLEMA INTERNO Iniziamo a considerare i problemi interni. Si ha unicità della soluzione se, oltre alla condizione al finito, esistono perdite all’ interno, ovvero sulla frontiera di Z. Quindi una soluzione (quella differenza) in assenza di sorgenti, con condizioni al finito omogenee, è certamente nulla se vi sono perdite. In assenza di perdite, può essere nulla oppure no (e quindi non abbiamo informazioni sulla unicità). Per la dimostrazione, partiamo dal teorema di Poynting per il campo differenza E(r), H(r) (42) 1 Si intende per sfera all’infinito una sfera di raggio grande a piacere. 17 I S Sr · in dS + ω 2 Z Z ε2 |E|2dV + Z Z σ 2 1 |E| dV = − Re 2 2 Z Z E · J∗0 dV = 0 (43) in cui S è la frontiera di Z e il secondo membro è nullo per l’assenza di sorgenti. Per quanto riguarda il primo integrale, si ha 1 1 E × H∗ · in = Etan × H∗tan · in 2 2 in quanto contribuisce alla componente normale del vettore di Poynting solo la parte tangente dei vettori di campo, per le proprietà del prodotto misto. Nel caso delle condizioni 1 o 2 del paragrafo precedente, segue che S · in = S · in = 0 (44) Se invece vale una condizione di impedenza, allora, sempre per le proprietà del prodotto misto, 1 ∗ 1 1 1 ∗ Etan = |Etan |2 S · in = Etan · Htan × in = Etan · ∗ 2 2 Zc 2Zc∗ da cui segue, essendo Re[Zc ] ≥ 0, che 1 Zc 2 Re [S · in ] = Re |Etan | = Re |Etan |2 ≥ 0 2Zc∗ 2|Zc |2 (45) Pertanto il primo integrale a primo membro della (43) è sempre maggiore o uguale a zero. In particolare è maggiore di zero solo se assegnamo condizioni di impedenza con Zc a parte reale positiva, altrimenti è sempre nullo. Poichè anche gli altri integrali della (43) sono maggiori o uguali a zero, deve risultare necessariamente Z Z σ 2 2 ε2 |E| dV = 0 |E| dV = 0 (46) Z 2 Z e I Sr · in dS = 0 (47) S Se ci sono perdite interne al volume Z 2 , allora almeno una delle due costanti ε2 = Im[ε] e σ è maggiore di zero. L’unico modo per cui il relativo integrale sia nullo, come richiesto da (46), è che E ≡ 0 in tutto Z. Allora anche H ≡ 0 in tutto Z, essendo il rotore di un campo, quello elettrico, identicamente nullo. Il campo differenza è identicamente nullo, e c’è quindi l’unicità del problema di partenza. Se non vi sono perdite interne, allora gli integrali della (46) sarebbero nulli anche se il campo fosse diverso da zero (assenza di unicità) . Non si ha quindi, dalle (46) nessuna informazione 2 La dimostrazione fatta richiede perdite in tutto il volume. Tuttavia basta che le perdite siano presenti solo in una regione, purchè di volume maggiore di zero (ovvero non solo su di una superficie). La dimostrazione di questo caso è però molto più complessa. 18 In assenza di perdite interne, comunuqe, l’unicità c’è se vi sono perdite sulle pareti, ovvero se Re[Zc ] è strettamente maggiore di zero3 . In tal caso, infatti, sostituendo (45) in (47) Zc Re Sr · in dS = |Etan |2 dS = 0 2 2|Z | c S S I I =⇒ Etan ≡ 0 su S (48) e dalla condizione di impedenza segue che anche Htan ≡ 0 su S. Per dimostrare che in tal caso il campo interno è identicamente nullo, e quindi c’è unicità, utilizziamo ancora il teorema di reciprocità tra il campo differenza E(r), H(r) ed il campo ED (r), HD (r) prodotto da un dipolo elementare JD (r) = I∆z δ(r − rD ) iD posto in rD interno a Z, e con iD qualunque. Possiamo anzi scegliere il campo del dipolo calcolato in spazio libero, dato quindi dalle (19) (con r = |r − rD |). Dal teorema di reciprocità segue Z I h i E(r) · JD (r) dV E × HD − ED × H · in dS = − Z S ovvero, per le proprietà degli integrali di flusso di dipendere solo dalle componenti tangenti del campo I h S i Etan × HD − ED × Htan · in dS = −I∆z Z Z E(r) · iD δ(r − rD ) dV = −I∆z E(rD ) · iD per le proprietà della delta di Dirac. Nel nostro caso Etan ≡ 0 e Htan ≡ 0 su S. Quindi il primo membro e nullo e segue E(rD ) · iD = 0 Per la arbitrarietà di rD e iD , segue che il campo elettrico ( e di conseguenza quello magnetico) sono identiamente nulli dentro Z, e quindi si ha unicità. Per concludere il discorso notiamo che se non vi sono perdite interne, nè perdite sulla frontiera, allora non abbiamo informazioni sulla unicità. In tal caso, infatti, il campo differenza può essere diverso da zero. Di conseguenza potrebbero esistere due (o più soluzioni) diverse dello stesso problema. Se la condizione al finito è del tipo 1) o 2) del paragrafo precedente, comunque, possiamo caratterizzare meglio la non unicità. Infatti in tal caso per il campo differenza vale la (44) I I Si · in dS = 0 Sr · in dS = 0 e S · in = 0 =⇒ S S Quest’ultima relazione implica che, per il campo differenza, le energie elettriche e magnetiche sono uguali. Una tale soluzione viene detta risonante. Pertanto, in assenza di sorgenti, e assegnando sulla frontiera solo componenti tangenti dei campi, non vi è unicità, ma due soluzioni differiscono necessariamente per una soluzione risonante. 3 Deve essere Re[Zc ] > 0 su tutta la frontiera di Z per la dimostrazione che segue. Tuttavia, anche in questo caso basta che Re[Zc ] > 0 valga su di una parte, di area finita, della superficie, con una dimostrazione che è però più complessa 19 12 CONDIZIONI DI UNICITA’ NEL PROBLEMA ESTERNO Come abbiamo visto, le condizioni necessarie per l’unicità sono (quasi tutte) imposte sulla frontiera di Z. Pertanto le differenze tra un problema esterno e un problema interno dipendono, in primo luogo, dalla diversità di tale frontiera. La frontiera di Z in un problema esterno può essere costituita da tre tipi distinti di superfici a) una porzione della superficie all’infinito (eventualmente tutta); b) una o più superfici completamente al finito; c) una o più superfici al finito che però si chiudono all’infinito. Di esse, comunque, gli insiemi b) e c) possono essere anche vuoti. Le condizioni che occorre imporre per avere l’unicità dipendono dalla superficie. Sulla superficie all’infinito occorre imporre le condizioni di Sommerfeld (22). Sulle eventuali superfici tutte al finito vanno imposte le stesse condizioni al finito usate anche per il problema interno. Infine, sulle eventuali superfici di tipo c) vanno ancora imposte le condizioni al finito, ma queste devono essere compatibili con le condizioni all’infinito. In tali ipotesi, si ha unicità. Se, ad esempio, ci interessa l’unicità in un semispazio, sul piano di delimitazione del semispazio possiamo assegnare, ad esempio, la componente tangente del campo elettrico E0i . Questo termine noto però ora non è più arbitrario, ma deve andare a zero almeno come r −1 (o r −2 , a seconda di quale componente consideriamo) andando verso l’infinito, in quanto le condizioni di Sommerfeld prescrivono questo comportamento all’infinito. Se sul piano assumiamo un sistema di riferimento polare R, φ, un E0i costante è inaccettabile, mentre sono accettabili un E0i il cui modulo valga |E0i | = Kr −2 , con K costante, ovvero un E0i = K 0 r −1 iφ . E’ invece inaccettabile un E0i = K 0 r −1 ir , perchè la componente radiale non può essere infinitesima solo del primo ordine. La dimostrazione è simile, salvo differenze tecniche, a quella del problema interno. La condizione di Sommerfeld assicura che il flusso del vettore di Poynting sulla superficie all’infinito si può scrivere come (vedi (48)) I I 1 |Etan |2 dS (49) Re S · in dS = 2ζ S S ed è reale e non negativo. La (47) è ancora valida e segue che, su S, il campo elettrico, e di conseguenza quello magnetico, è un infinitesimo di ordine 2 (maggiore di quello prescritto dalla condizione di Sommerfeld). Ciò basta a garantire l’unicità. Fisicamente, la condizione di Sommerfeld assicura che se il campo è diverso da zero, allora manda potenza verso l’infinito. L’infinito si comporta quindi come pozzo di potenza e quindi gioca il ruolo delle perdite nel garantire l’unicità. 20 13 TEOREMA DI EQUIVALENZA Vedi file aggiuntivo IIIa 14 TEOREMA DELLE IMMAGINI Vedi file aggiuntivo IIIb 21 APPENDICE 1: DISTRIBUZIONI TRIDIMENSIONALI La distribuzione δ(t − t0 ) di Dirac rappresenta, nel caso monodimensionale, grandezze che risultano concentrate in t0 . È ovviamente possibile, e utile, rappresentare, mediante enti matematici analoghi, grandezze concentrate nello spazio a 3 dimensioni. In particolare, per rappresentare una quantità concentrata in r − r 0 è possibile usare la distribuzione δ tridimensionale δ(r − r 0 ) che ha le dimensioni di m(−3) . In coordinate cartesiane, posto r = x, y, z e r 0 = x0 , y0 , z0 , vale la relazione δ(r − r0 ) = δ(x − x0 ) · δ(y − y0 ) · δ(z − z0 ) in cui a secondo membro vi è il prodotto di δ monodimensionali. Le proprietà più utilizzate di δ(r − r0 ) sono (analogamente al caso monodimensionale) f (r)δ(r − r0 ) = f (r0 )δ(r − r0 ) Z V δ(r − r0 ) dV = 1 0 r0 ∈ V r0 ∈ /V Per la prima relazione occorre che f (r) sia continua in r0 . Nella seconda, qualora r 0 sia sulla frontiera di V, va specificato se r0 appartiene o no al dominio di integrazione. Anche su δ(r − r 0 ) si possono definire operazioni differenziali (sia derivate parziali semplici, sia tramite l’operatore ∇), e integrali, tra cui la trasformata di Fourier: Z δ(r − r 0 )e−jk·r dV = e−jk·r0 utilizzando le proprietà base della distribuzione δ. Si può inoltre dimostrare 1 che ∇2 1 1 = −4π δ(r − r0 ) |r − r0 | Tale relazione è in realtà già nota dalla elettrostatica, collegando il potenziale di una carica puntiforme alla sua densità di carica, tramite l’equazione di Poisson 22 INDICE 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. App. 1. POTENZIALI ELETTROMAGNETICI . . . . . . . . . DIPOLO ELEMENTARE . . . . . . . . . . . . . . . POTENZIALE VETTORE DI UN DIPOLO ELEMENTARE CAMPO DI UN DIPOLO ELEMENTARE . . . . . . . DIPOLO CORTO . . . . . . . . . . . . . . . . . . POTENZA IRRADIATA DA UN DIPOLO . . . . . . . TEOREMA DI RECIPROCITÀ . . . . . . . . . . . . ESISTENZA E UNICITA’ . . . . . . . . . . . . . . . IL SIGNIFICATO DELL’UNICITA’ . . . . . . . . . . UNICITA’ NEL DOMINIO DELLA FREQUENZA . . . . CONDIZIONI DI UNICITA’ NEL PROBLEMA INTERNO CONDIZIONI DI UNICITA’ NEL PROBLEMA ESTERNO TEOREMA DI EQUIVALENZA . . . . . . . . . . . . TEOREMA DELLE IMMAGINI . . . . . . . . . . . . DISTRIBUZIONI TRIDIMENSIONALI . . . . . . . . . 23 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 . 4 . 5 . 6 . 9 10 14 14 14 16 17 19 21 21 22