medicina Farmaci a DNA Dopo anni di false partenze, una nuova generazione di vaccini e medicine per HIV, influenza e altre malattie difficili da trattare sta affrontando i trial clinici di Matthew P. Morrow e David B. Weiner Stuart Bradshaw D ieci anni fa, alcuni ricercatori dei National Institutes of Health misero a confronto due nuovi e promettenti tipi di vaccino per capire quale dei due poteva offrire la protezione migliore contro il virus dell’immunodeficienza umana (HIV) che causa l’AIDS. Uno dei due era costituito da anelli di DNA chiamati plasmidi, ciascuno dei quali aveva un gene per una delle cinque proteine dell’HIV. L’obiettivo di questo vaccino era innescare la produzione di proteine virali nei soggetti vaccinati, in modo da provocare una reazione protettiva da parte delle cellule immunitarie. Il secondo vaccino invece sfruttava un altro virus, l’adenovirus, come vettore per un singolo gene dell’HIV che codifica per una proteina virale. L’idea era di usare un virus «sicuro» per catturare l’attenzione delle cellule immunitarie, orientando la reazione verso la proteina dell’HIV. All’epoca, uno di noi (Weiner) lavorava sui vaccini a DNA già da otto anni e sperava di ottenere una chiara dimostrazione della capacità dei plasmidi di immunizzare contro un patogeno. Ma i risultati furono un duro colpo per chi puntava su questa prima generazione di vaccini a DNA. I soggetti del primo test mostrarono una risposta immunitaria debole o nulla alle cinque proteine dell’HIV, mentre chi aveva ricevuto il vaccino basato sull’adenovirus manifestò reazioni più forti. Ai ricercatori parwww.lescienze.it ve chiaro che gli adenovirus fossero i candidati migliori per lo sviluppo di vaccini per l’HIV. I risultati non sorpresero del tutto chi si occupava di vaccini a DNA, visto che altri trial clinici avevano mostrato deboli risposte, ma delusero comunque perché c’erano buoni motivi per credere che i vaccini a plasmide fossero sicuri ed efficaci. Convinti che l’idea di partenza restasse valida, i ricercatori hanno fatto un passo indietro, tornando a studiare come migliorare l’efficacia della tecnologia. E oggi questi sforzi stanno dando dei frutti. Una nuova generazione di vaccini basati su plasmidi sta dimostrando, negli animali e nell’uomo, che si può indurre la risposta desiderata mantenendo la sicurezza e le altre caratteristiche che rendono così attraente la scelta del DNA. L’uso stesso della tecnologia a DNA si sta espandendo verso altre forme di terapia immunitaria e come mezzo per somministrare farmaci. Nella loro forma matura, vaccini e terapie basati sul DNA potrebbero funzionare per il trattamento di diverse malattie che per ora non hanno cure efficaci. Oggi come ieri, una buona idea Nei primi anni novanta, quando l’idea di usare il DNA per l’immunizzazione cominciò a prendere piede, la sua elegante semplicità fu subito evidente. I componenti fondamentali del vaccino, cioè i in sintesi ■ Da tempo che si spera in un successo di vaccini e terapie basati su anelli di DNA detti plasmidi nella cura e la prevenzione delle malattie, ma i primi test si sono stati deludenti. ■ Recenti miglioramenti dei plasmidi e nuovi metodi di somministrazione ne hanno però aumentato enormemente l’efficacia. ■ Vaccini e terapie usati oggi per gli animali e nelle ultime fasi delle sperimentazioni sull’uomo dimostrano che i plasmidi stanno raggiungendo il loro potenziale. LE SCIENZE 91 Gene selezionato Geni virali Plasmide Che siano pensati per curare o per prevenire una malattia, i farmaci a DNA sono fatti di plasmidi – piccoli anelli di DNA – progettati per veicolare un determinato gene nelle cellule. Una volta che i plasmidi sono all’interno, le cellule producono la proteina codificata dal gene. Nel caso di un vaccino antivirale a DNA (illustrazione), le proteine virali prodotte stimolano una risposta immunitaria che previene l’infezione futura da parte di quel virus. PRODUZIONE DELLE PROTEINE DEL VACCINO Un vaccino a DNA somministrato attraverso la pelle entra, o «transfetta», le cellule dell’epidermide e alcune cellule immunitarie. Le cellule transfette producono la proteina virale codificata dal plasmide, cioè un antigene. Un numero sempre più grande di cellule immunitarie ingloba le proteine dell’antigene che escono dalle cellule transfette. Antigene Plasmidi del vaccino Linfonodo Cellula dell’epidermide Cellule transfette LE RISPOSTA DELLE CELLULE IMMUNITARIE Le cellule immunitarie che portano l’antigene (le cosiddette cellule presentanti l’antigene) si spostano verso i linfonodi, dove l’interazione con altre cellule immunitarie produce anticorpi e linfociti T killer su misura per le proteine virali e per ogni virus che le esibirà in futuro. LE SCIENZE Cellula presentante l’antigene Cellule immunitarie Anticorpi Linfociti T killer Virus bloccati plasmidi costruiti per introdurre geni che codificano per una o più proteine di un patogeno, avrebbero indotto le cellule del paziente a produrre quelle proteine, ma non avrebbero avuto le istruzioni per produrre l’intero patogeno, così il vaccino non avrebbe potuto dar vita al patogeno stesso. Quando un plasmide entra in una cellula ospite – la cosiddetta transfezione – i meccanismi che di norma decodificano il DNA leggono il gene del plasmide, producendo la proteina desiderata, che poi può essere rilasciata all’esterno della cellula in modo molto simile alle particelle virali. Fuori dalla cellula, le proteine specifiche del patogeno sono riconosciute dal sistema immunitario come estranee. Il sistema immunitario quindi può essere «convinto» del fatto che l’organismo sia infetto, innescan- 92 Cellule immunitarie 506 ottobre 2010 le analisi per capire che cosa è andato storto: molti indizi sembrano indicare che l’adenovirus sia stato un importante fattore di insuccesso. Nei soggetti con una preesistente immunità all’AdHu5 (un comune virus del raffreddore), il sistema immunitario potrebbe aver attaccato il vaccino. Rimane ancora da capire perché alcuni soggetti vaccinati siano risultati più suscettibili all’infezione da HIV. La rinascita del dna Precision Graphics Virus do il riconoscimento e le reazioni immunitarie a lungo termine contro la proteina estranea. L’introduzione di un solo anello di DNA che trasporta un gene può dunque indurre l’immunità. Oltre alla loro sicurezza e semplicità, i vaccini a DNA offrono una serie di vantaggi. La loro produzione è molto più veloce rispetto ad altri vaccini tradizionali, come quello dell’influenza, che richiedono la manipolazione e la coltura di virus «vivi», in un processo che dura un minimo di 4-6 mesi. Il DNA è stabile a temperatura ambiente, quindi i vaccini a DNA non necessitano di una refrigerazione costante, uno dei problemi per il trasporto e l’immagazzinamento di molti vaccini, specialmente nei paesi in via di sviluppo. Per chi progetta i vaccini, il DNA ha un altro vantaggio che negli ultimi anni ha avuto un peso nel riaprire la porta a questa tecnologia. Il sistema immunitario non riconosce come estranei i plasmidi, quindi tecnicamente il vaccino non provoca alcuna risposta immunitaria. Solo le proteine codificate dai plasmidi, una volta prodotte dalle cellule, attirano l’attenzione delle sentinelle immunitarie. In questo modo, i plasmidi si possono usare più volte nello stesso paziente per somministrare diversi geni senza il rischio che l’organismo sviluppi l’immunità nei confronti del vettore del DNA e attacchi il vaccino. Purtroppo, nei primi test sui vaccini a DNA la debolezza della risposta immunitaria rappresentò un problema serio. La ragione principale probabilmente era l’esiguo numero di cellule raggiunte dai plasmidi; inoltre, quelle poche cellule non producevano una sufficiente quantità delle proteine codificate. Il risultato era una stimolazione insufficiente del sistema immunitario. Ma la tecnologia concorrente incontrò un problema ancora peggiore. Nel 2007, l’azienda farmaceutica Merck aveva avviato la sperimentazione di un vaccino per l’HIV che sfruttava un adenovirus (AdHu5) per trasportare i geni del virus dell’HIV. Alla luce della forte risposta immunitaria suscitata dagli adenovirus in precedenti studi, il trial (chiamato STEP) aveva acceso molte speranze e interessi. Erano coinvolti circa 3000 soggetti HIV-negativi, che avevano ricevuto il vaccino o il placebo. Con il progredire del trial, però, emerse una differenza preoccupante tra i due gruppi: i soggetti che avevano ricevuto il vaccino non erano protetti meglio rispetto a quelli che avevano ricevuto il placebo. Anzi, erano più vulnerabili. Alla fine, su 914 pazienti vaccinati, 49 erano diventati HIV-positivi, mentre nel gruppo del placebo il risultato era stato di 33 HIV-positivi su 922. Il trial è stato interrotto nell’estate del 2009, e sono ancora in corso Precision Graphics Come funzionano i farmaci a DNA Negli anni che hanno portato al trial STEP, chi era rimasto convinto del potenziale della piattaforma a DNA ha lavorato sodo per risolvere i complessi problemi che avevano limitato l’efficacia della prima generazione di vaccini basati su plasmidi. Gli sforzi si sono concentrati sul miglioramento di ogni aspetto dell’attività dei plasmidi: nuovi metodi per farli entrare nelle cellule, nuovi modi per produrre una maggiore quantità di proteine, e l’aggiunta di elementi che aumentano la risposta immunitaria alle proteine codificate dai vaccini. I nuovi metodi di somministrazione dei vaccini sono tra i risultati più importanti ottenuti, perché raggiungono un numero molto più grande di cellule, tra cui le cellule immunitarie, che inglobano il plasmide. Per esempio, cerotti transdermici e altri sistemi senza aghi, come Gene Gun o il Bioject, che usano l’aria compressa per iniettare il vaccino, introducono i plasmidi nell’epidermide, dove c’è un’alta concentrazione di sentinelle immunitarie dette «cellule presentanti l’antigene». Questi metodi spingono fisicamente i plasmidi in molte più cellule rispetto all’iniezione con l’ago. Per ottenere un risultato simile con un ago nel muscolo o nella pelle, l’iniezione può essere seguita dall’elettroporazione, una serie di scariche elettriche che causano l’apertura temporanea dei pori nella membrana cellulare, facilitando l’entrata dei plasmidi. L’elettroporazione può aumentare di 1000 volte l’assorbimento dei plasmidi da parte delle cellule. Anche i costrutti gene-plasmide sono stati migliorati, perfezionando la sequenza di DNA dei geni trasportati. Per esempio, l’ottimizzazione dei codoni modifica l’espressione delle istruzioni del gene in modo che siano eseguite più velocemente dalla cellula. Nel codice genetico, gli amminoacidi (i mattoni delle proteine) sono specificati da gruppi di tre «lettere» di DNA che compongono un codone. Alcuni amminoacidi sono codificati da più di un codone, ma in genere le cellule favoriscono uno solo dei codoni sinonimi, traducendolo con più efficienza rispetto agli altri. Scegliere i codoni ottimali aumenta quindi la produzione cellulare della proteina desiderata. Ulteriori revisioni della sequenza genica possono migliorare stabilità e acwww.lescienze.it Aumentare il potere del DNA Le tecnologie che potenziano l’efficacia dei vaccini e delle terapie basati sui plasmidi hanno rinnovato la speranza per il successo dell’approccio a DNA. I miglioramenti aumentano l’assorbimento dei plasmidi da parte delle cellule, incrementano la produzione delle proteine per cui codificano i plasmidi e intensificano la risposta immunitaria a queste proteine. SOMMINISTRAZIONE MIGLIORATA Iniezione senza ago Sistemi a elettroporazione Alto assorbimento da parte delle cellule Cellula immunitaria Cellule dell’epidermide Cellule dell’epidermide Cellule dei muscoli Alto assorbimento da parte delle cellule I sistemi senza ago fanno arrivare il vaccino nell’epidermide, dove sono concentrate le cellule immunitarie. Rispetto all’ago, gli iniettori introducono una quantità maggiore di plasmidi nell’epidermide e nelle cellule immunitarie. Poro temporaneo Una stimolazione elettrica, detta elettroporazione, può aumentare l’assorbimento dei plasmidi somministrati con un ago. La stimolazione causa l’apertura temporanea di pori cellulari da cui entrano i plasmidi. Progettazione ottimizzata dei plasmidi Le istruzioni per sintetizzare una proteina codificate da un plasmide si possono specificare con diverse sequenze di «lettere» di DNA. Tuttavia, scegliere determinate sequenze può aumentare la quantità di proteine generate. La migliore sequenza genica Alta produzione di proteine Gene adiuvante Gene dell’antigene Migliorata stimolazione immunitaria I geni dei plasmidi possono codificare per sostanze che stimolano le cellule immunitarie, dette adiuvanti. Gli adiuvanti prodotti insieme agli antigeni incrementano le risposte immunitarie al vaccino. Migliorata risposta immunitaria alla proteina curatezza degli RNA messaggero trascritti dai geni e letti dalla cellula per assemblare la proteina, e possono accelerare la produzione della proteina. La prima sequenza genica trascritta dalla cellula è la cosiddetta sequenza leader, che si trova vicina all’inizio di ogni gene e codifica per la parte iniziale di una proteina: l’ottimizzazione di questa sequenza può migliorare la stabilità delle proteine risultanti. Alcune sequenze leader possono anche avere la funzione di marcatore, segnalando alla cellula la proteina da produrre: un risultato utile perché permette alle cellule immunitarie di trovare le proteine estranee all’interno e all’esterno delle cellule transfette. Le due opzioni suscitano diversi tipi di risposte immunitarie, e la loro combinazione migliora l’immunità generata dal vaccino. LE SCIENZE 93 94 LE SCIENZE Una tecnologia multiuso La capacità di introdurre in sicurezza i geni nelle cellule e di far produrre in modo efficace proteine alle cellule apre la strada a numerose potenziali terapie. In realtà, molti trattamenti basati sul DNA sono più avanti dei vaccini a DNA nella corsa a un uso clinico diffuso. Diversamente dai farmaci classici ,che spesso si basano su piccole molecole, le terapie a DNA veicolano un gene per trattare una malattia. Ma a differenza delle terapie geniche tradizionali, il plasmide non si integra in modo definitivo nel genoma del paziente e non resta in modo definitivo nelle cellule. In questo modo si evitano le complicazioni che hanno ostacolato lo sviluppo delle terapie geniche. 506 ottobre 2010 Dimostrare il potenziale del DNA Attualmente sono in fase di studio su esseri umani vaccini e terapie basate su plasmidi per numerose malattie, e alcuni prodotti sono già stati approvati per gli animali. La tabella qui sotto elenca una selezione dei prodotti in fase di sperimentazione sull’uomo e le corrispondenti malattie, o i prodotti veterinari già in commerci. PRODOTTO OBIETTIVO TERAPEUTICO NELLE SPERIMENTAZIONI CLINICHE SULL’UOMO IN COMMERCIO (per gli animali) Vaccini per prevenire malattie ■ HIV ■ Influenza ■ V irus Trattamenti che stimolano la risposta immunitaria per malattie già in corso ■ Epatite ■ Melanoma Terapie che producono le proteine necessarie ■ Insufficienza (3 vaccini) (2 vaccini) Nile Virus (cavalli) della necrosi ematopoietica infettiva (salmoni di allevamenti) C (cani) ■ Tumori indotti dal virus del papilloma umano al fegato ■ Melanoma ■ Tumore cardiaca congestizia di crescita da immunodeficienza combinata grave legata al cromosoma X ■ Patologie circolatorie degli arti (3 trattamenti) ■ Melanoma ■ D eficit Ritorno al futuro Negli ultimi dieci anni, sono state concluse o avviate decine di sperimentazioni cliniche sull’uomo di terapie e di vaccini a DNA. In particolare, le versioni a plasmide dei vaccini influenzali mostrano alcuni benefici già evidenziati dall’approccio a DNA. Un vaccino anti-influenzale sviluppato dal nostro gruppo, attualmente in fase di sperimentazione umana, si è dimostrato efficace nel proteggere cavie animali da ceppi più comuni di influenza e dall’influenza aviaria H5N1. Il vaccino dà questa protezione a largo spettro perché i plasmidi contengono le cosiddette «sequenze consenso» dei geni dei virus influenzali, grazie a cui le proteine virali somigliano alle proteine di molti ceppi influenzali diversi tra loro. Questi vaccini potrebbero mettere fine alle discrepanze tra i vaccini dell’influenza stagionale e i ceppi influenzali che emergono ogni anno. Il ceppo influenzale H1N1 dell’anno scorso, che ha causato una pandemia globale ha sottolineato l’urgenza di un nuovo approccio ai vaccini. Una versione sperimentale a DNA di vaccino per H1N1 prodotta dall’azienda farmaceutica VICAL è stata messa a punto in sole due settimane a maggio 2009. Se fosse stato testato e autorizzato in anticipo, il vaccino si sarebbe potuto produrre in grande quantità almeno due mesi prima della disponibilità www.lescienze.it ■ West ■ HIV gica a DNA evidenzia il potenziale delle piattaforme a DNA di nuova generazione nei casi in cui altri approcci hanno fallito. Dall’alto in basso: Klaus Boller, Photo Researchers, Inc.; James Cavallini, Photo Researchers, Inc.; Steve Gschmeissner, Photo Researchers, Inc. Matthew P. Morrow e David B. Weiner lavorano insieme all’Università della Pennsylvania, dove Morrow è un ricercatore postdottorato. Dieci anni di ricerca sull’HIV hanno portato Morrow a studiare vaccini e immunoterapie a DNA. Weiner, professore di patologia e medicina, è direttore del progetto di ricerca sui vaccini e la terapia genica dell’università. Pioniere della tecnologia dei vaccini a DNA, Weiner è stato il primo a far arrivare vaccini basati su plasmide fino alla sperimentazione clinica. Inoltre è stato consulente della Food and Drug Administration e di aziende che fanno ricerca sui farmaci basati su plasmidi. Come capita spesso con le nuove tecnologie, i primi successi delle terapie basate su plasmidi sono stati ottenuti negli animali. Nei maiali, per esempio, è stata già autorizzata una terapia per prevenire gli aborti spontanei. Somministrato alle scrofe gravide sfruttando l’elettroporazione, il plasmide entra nelle cellule, che in seguito producono un ormone per il rilascio dell’ormone della crescita che a sua volta aiuta la sopravvivenza dei feti. Il successo di questi trattamenti è interessante anche perché per animali così grandi è necessaria una sola iniezione, il che promette bene per terapie umane. Attualmente sono in corso diversi trial clinici per terapie destinate all’uomo (si veda la tabella nella pagina a fronte). In uno, per esempio, si veicolano geni che codificano per fattori di crescita in grado di attivare cellule staminali per la cura dell’insufficienza cardiaca congestizia. Un altro trial sta testando un plasmide che codifica per il fattore di crescita IGF-1, allo scopo di curare il deficit di crescita in pazienti con immunodeficienza combinata grave legata al cromosoma X. Una terza sperimentazione riguarda un problema circolatorio, l’ischemia critica degli arti, difficile da trattare. Questa terapia sfrutta fattori codificati da un plasmide per far crescere nuovi vasi sanguigni, nella speranza di prevenire la necessità di un’amputazione. Una diversa categoria di trattamenti, nota come immunoterapia biologica a DNA, combina i migliori aspetti di terapie e di vaccini a DNA veicolando un gene che induce l’organismo a sviluppare una risposta immunitaria contro una malattia in corso, come un tumore o un’infezione virale cronica. Per esempio, un trial riguarda DNA che codifica per proteine virali in modo da indurre le cellule immunitarie ad attaccare i tumori causati dal virus del papilloma umano (HPV). I risultati iniziali mostrano che il 50 per cento dei pazienti sviluppa la risposta delle cellule T alle proteine dell’HPV e che oltre il 90 per cento produce alti livelli di anticorpi. Un altro trial sta testando un’immunoterapia a DNA contro il virus dell’epatite C. I significativi risultati preliminari di entrambi i trial sono incoraggianti, attualmente infatti non sono disponibili terapie immunitarie efficaci né per i tumori dovuti a HPV né per l’epatite C. In quest’ambito, le applicazioni veterinarie sono ancora più avanzate, e una terapia a DNA che si è dimostrata efficace contro il melanoma nei cani sta suscitando molto interesse tra chi si occupa di cancro nell’uomo. Il trattamento contro il melanoma canino, prodotto da Merial, aumenta di sei volte la sopravvivenza media dei cani con melanoma in stato avanzato rispetto a quelli che non ricevono la terapia. Questa immunoterapia biolo- Cortesia Matthew P. Morrow (Morrow); cortesia David B. Weiner (Weiner) gli autori Un ultimo importante miglioramento riguarda gli adiuvanti, sostanze aggiunte ai vaccini per potenziare la risposta immunitaria. In alcuni casi, un adiuvante può indirizzare la risposta immunitaria, per esempio favorendo la produzione di cellule T, che cercano e distruggono le cellule infettate da un patogeno, invece della produzione di anticorpi, che cercano di bloccare l’ingresso dei patogeni nelle cellule. Un composto chiamato Vaxfectin, per esempio, ha aumentato di 200 volte la risposta anticorpale a un vaccino a DNA contro l’influenza. Un altro adiuvante, il Resiquimod, è usato con vaccini a DNA per provocare una risposta immunitaria forte che includa sia gli anticorpi sia le cellule T. Un altro interessante aspetto della tecnologia per i vaccini a DNA è che non bisogna aggiungere gli adiuvanti alla formulazione finale del vaccino, eliminando così eventuali problemi nel mantenimento della giusta emulsione e della stabilità del composto: i ricercatori possono inserire il gene per la molecola dell’adiuvante nel plasmide del vaccino. Le cellule che inglobano il plasmide produrranno l’adiuvante insieme alle proteine del vaccino. Quando gli adiuvanti codificati dai geni sono aggiunti ai vaccini a DNA, anche nel caso in cui il plasmide sia stato già ottimizzato, come descritto prima, l’adiuvante può incrementare ulteriormente la risposta immunitaria di cinque o più volte. Questi vaccini basati su plasmidi progettati sono molto diversi dai semplici costrutti che codificavano proteine dei primi anni della piattaforma a DNA. Con l’ottimizzazione dei plasmidi e il miglioramento dei metodi di somministrazione, questa tecnologia era pronta per il ritorno all’inizio del trial STEP. Inoltre, l’approccio basato sul DNA promette di andare oltre la classica vaccinazione, e si potrebbe sfruttare per somministrare farmaci e terapie immunitarie contro i tumori. ■ Morte del vaccino standard. I primi trial sull’uomo stanno portando a risultati incoraggianti. Il potenziale dei vaccini e delle terapie a DNA per malattie che non hanno alternative efficaci ha rimesso in corsa il DNA anche per il vaccino contro l’HIV. In un trial clinico si sta sperimentando Pennvax-B, vaccino che contiene tre geni virali dell’HIV e geni che codificano per molecole adiuvanti somministrato per elettroporazione. Altri due vaccini sono testati in una strategia che sfrutta i plasmidi per indurre le cellule immunitarie a riconoscere le proteine dell’HIV, per poi somministrare un altro tipo di vaccino che potenzia la prima risposta immunitaria. Uno di essi, GeoVax, è somministrato con un vaccino di potenziamento basato su un virus chiamato «virus vaccinico Ankara modificato». Il Vaccine Research Center dei National Institutes of Health sta testando un diverso vaccino a DNA per l’HIV, usando come potenziamento uno dei due vaccini contro l’HIV basati sull’adenovirus. Il fatto che molti vaccini e terapie a DNA siano già usati negli animali e siano alle ultime fasi di sperimentazione nell’uomo per malattie difficili da trattare mostra quanto lontana sia arrivata la tecnologia dei plasmidi. I grandissimi progressi fatti in questo campo negli ultimi dieci anni hanno portato alla sperimentazione clinica di alcuni dei più creativi approcci a vaccini e terapie. Sotto questo aspetto, chi di noi ha puntato su questa tecnologia fin dall’inizio, non può che essere orgoglioso nel vederla emergere da un’infanzia difficile e guardare a un luminoso futuro. ■ dei feti (maiali) ➥ Letture DNA Vaccines for HIV: Challenges and Opportunities. Hokey D.A. e Weiner D.B., in« Springer Seminars in Immunopathology», Vol.28, n. 3, pp. 267-279, novembre 2006. Electroporation of Synthetic DNA Antigens Offers Protection in Nonhuman Primates Challenged with Highly Pathogenic Avian Influenza Virus. Laddy D.J. e altri, in «Journal of Virology», Vol.83, n. 2, pp. 4624-4630, maggio 2009. DNA Vaccines: Precision Tools for Activating Effective Immunity Against Cancer. Rice J. e altri, in «Nature Reviews Cancer», Vol.8, n. 2, pp.108-120, febbraio 2008. LE SCIENZE 95