Position paper ANMCO: I nuovi anticoagulanti orali nella

Position paper ANMCO:
I nuovi anticoagulanti orali nella prevenzione
del tromboembolismo nella fibrillazione atriale:
scenari clinici e prospettive future
Federico Nardi1 (Coordinatore), Michele Massimo Gulizia2 (Coordinatore), Furio Colivicchi3 (Coordinatore),
Maurizio Giuseppe Abrignani4, Stefania Angela Di Fusco3, Andrea Di Lenarda5, Giuseppe Di Tano6,
Luigi Moschini6, Carmine Riccio7, Paolo Verdecchia8, Iolanda Enea9
S.O.C. Cardiologia, Ospedale Castelli, Verbania
U.O.C. Cardiologia, Ospedale Garibaldi-Nesima, Azienda di Rilievo Nazionale e Alta Specializzazione “Garibaldi”, Catania
3
U.O.C. Cardiologia-UTIC, Presidio Ospedaliero San Filippo Neri, Roma
4
U.O.C. Cardiologia-UTIC, Ospedale Civile Sant’Antonio Abate, Erice (TP)
5
S.C. Centro Cardiovascolare, Azienda Sanitaria Universitaria Integrata, Trieste
6
U.O. Cardiologia, Istituti Ospitalieri, Cremona
7
Prevenzione e Riabilitazione Cardiopatico, A.O. Sant’Anna e San Sebastiano, Caserta
8
Medicina Interna, Ospedale di Assisi, Assisi (PG)
9
U.O.C. Medicina d’Urgenza, A.O.R.N. S. Anna e S. Sebastiano, Caserta
1
2
Revisori del Documento
Riccardo Cappato, Giuseppe Di Pasquale, Marcello Disertori, Massimo Grimaldi,
Antonio Raviele, Massimo Zoni Berisso
Consensus Document Approval Faculty
in Appendice
It is now 4 years since the introduction of the new direct oral anticoagulants into clinical practice. Therefore, the Italian Association of Hospital Cardiologists (ANMCO) has deemed necessary to update the previous position paper on the prevention of thromboembolic complications in patients with non-valvular atrial
fibrillation, which was published in 2013. All available scientific evidence has been reviewed, focusing
on data derived from both clinical trials and observational registries. In addition, all issues relevant to the
practical clinical management of oral anticoagulation with the new direct inhibitors have been considered.
Specific clinical pathways for optimal use of oral anticoagulation with the new directly acting agents are
also developed and proposed for clinical implementation. Special attention is finally paid to the development of clinical algorithms for medium and long-term follow-up of patients treated with new oral direct
anticoagulants.
Key words. Anticoagulation; Apixaban; Atrial fibrillation; Dabigatran; Edoxaban; Rivaroxaban.
G Ital Cardiol 2016;17(9 Suppl 1):3S-28S
Gli autori dichiarano nessun conflitto di interessi.
Per la corrispondenza:
Dr. Federico Nardi S.O.C. Cardiologia, Ospedale Castelli, ASL VCO, Via Fiume 18, 28922 Verbania
e-mail: [email protected]
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F Nardi et al
1. Fondamenti per il clinico pratico. . . . . . . . . . . . .
1.1 Elementi di farmacologia clinica dei nuovi
anticoagulanti orali . . . . . . . . . . . . . . . .
1.2 Efficacia e sicurezza dei nuovi anticoagulanti orali. . . . .
1.3 Interazioni farmacologiche. . . . . . . . . . . . .
1.4 Gestione delle emorragie in terapia con i nuovi
anticoagulanti orali . . . . . . . . . . . . . . . .
2. Indicazioni generali per l’uso dei nuovi anticoagulanti
orali nella pratica clinica . . . . . . . . . . . . . . . .
2.1 Le diverse forme di fibrillazione atriale . . . . . . . . .
2.1.1 Dabigatran . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.1.2 Rivaroxaban. . . . . . . . . . . . . . . . .
2.1.3 Apixaban. . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.1.4 Edoxaban . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.2 Selezione dei pazienti . . . . . . . . . . . . . . .
2.2.1 Quali pazienti devono essere trattati con
anticoagulanti. . . . . . . . . . . . . . . .
2.2.2 Come scegliere tra antagonisti della vitamina K
e nuovi anticoagulanti orali. . . . . . . . . . .
2.3 Vi sono differenze tra i singoli nuovi anticoagulanti orali?. .
2.4 Piani terapeutici . . . . . . . . . . . . . . . . .
3. Come riconoscere la fibrillazione atriale non valvolare. . . . .
3.1 Criteri clinici. . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.2 Definizione operativa per la pratica clinica. . . . . . . .
4. Cosa possiamo fare nella fibrillazione atriale valvolare
e nel paziente con protesi valvolare. . . . . . . . . . . .
5. Come comportarsi dopo un primo episodio di fibrillazione
atriale
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
5.1 Stratificazione del rischio, score e limiti. . . . . . . . .
6. Ruolo dell’imaging nella stratificazione del rischio
tromboembolico. . . . . . . . . . . . . . . . . . .
7. Come organizzare il follow-up dei pazienti in trattamento
con i nuovi anticoagulanti orali . . . . . . . . . . . . .
7.1 Un percorso strutturato e “ragionevole” . . . . . . . .
7.2 Parametri di laboratorio da controllare . . . . . . . . .
7.3 Documenti da fornire al paziente . . . . . . . . . . .
8. Gestione della terapia anticoagulante nel paziente
candidato a procedure chirurgiche . . . . . . . . . . . .
9. Riassunto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
10. Appendice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
11. Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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ABBREVIAZIONI E ACRONIMI
ACC
American College of Cardiology
AFFIRMAtrial Fibrillation Follow-up Investigation of Rhythm
Management
AHA
American Heart Association
AIACAssociazione Italiana di Aritmologia e
Cardiostimolazione
AIFA
Agenzia Italiana del Farmaco
ANMCO
Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri
aPTT
tempo di tromboplastina parziale attivato
ARISTOTLEApixaban for Reduction in Stroke and Other
Thromboembolic Events in Atrial Fibrillation
ASSERT
Atrial Fibrillation Reduction Atrial Pacing Trial
AVK
antagonisti della vitamina K
CrCl
clearance della creatinina
dTT
tempo di trombina diluito
EHRA
European Heart Rhythm Association
ENGAGE AF- Effective Anticoagulation with Factor Xa Next
TIMI 48Generation in Atrial Fibrillation - Thrombolysis in
Myocardial Infarction 48
ESC
Società Europea di Cardiologia
FA
fibrillazione atriale
FXa
fattore X attivato
HR
hazard ratio
HRS
Heart Rhythm Society
IC
intervallo di confidenza
INR
international normalized ratio
ISTH
International Society on Thrombosis and Haemostasis
MMG
medico di medicina generale
NAO
nuovi anticoagulanti orali
NICE
National Institute for Health and Care Excellence
PCC
concentrato del complesso protrombinico
P-gpP-glicoproteina
PT
tempo di protrombina
RE-LYRandomized Evaluation of Long-Term Anticoagulation
Therapy
ROCKET AFRivaroxaban Once Daily Oral Direct Factor Xa Inhibition
Compared with Vitamin K Antagonism for Prevention of
Stroke and Embolism Trial in Atrial Fibrillation
RR
rischio relativo
SPAF
Stroke Prevention in Atrial Fibrillation
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SSN
TAO
TIA
TTR
Servizio Sanitario Nazionale
terapia anticoagulante orale
attacco ischemico transitorio
tempo in range terapeutico
1. FONDAMENTI PER IL CLINICO PRATICO
1.1 Elementi di farmacologia clinica dei nuovi anticoagulanti orali
La terapia anticoagulante si è arricchita progressivamente
nell’arco degli ultimi anni di numerose nuove opzioni. Diversi
farmaci con azione diretta su alcuni dei fattori presenti nella
cascata enzimatica della coagulazione si sono aggiunti di recente alle eparine e agli antagonisti della vitamina K (AVK).
Un uso clinico appropriato di questi nuovi agenti terapeutici richiede un’adeguata conoscenza delle loro caratteristiche
farmacologiche. In questa sede ci concentreremo sui cosiddetti “nuovi anticoagulanti orali” (NAO). La loro introduzione nella pratica clinica del nostro Paese risale ormai a oltre 2
anni fa; pertanto, una più corretta definizione sarebbe quella
di “inibitori orali diretti della coagulazione”1. Questi farmaci,
infatti, diversamente dagli AVK, agiscono in modo diretto e
selettivo, inibendo un singolo fattore della cascata coagulativa (Figura 1).
Dal punto di vista farmacodinamico si possono distinguere due classi di NAO1,2: (1) gli inibitori diretti della trombina
(dabigatran) e (2) gli inibitori diretti del fattore X attivato (FXa)
(rivaroxaban, apixaban ed edoxaban). Le principali caratteristiche farmacologiche dei diversi NAO sono sintetizzate nella
Tabella 1. Nel complesso, questi farmaci condividono alcuni
caratteri fondamentali:
–– assenza di significativi effetti su aggregazione piastrinica
ed emostasi primaria;
–– parametri farmacodinamici prevedibili e stabili nel tempo
(biodisponibilità, emivita, picco plasmatico dopo somministrazione orale);
–– ridotto potenziale di interazione con alimenti e farmaci di
uso comune.
L’insieme di questi elementi determina una minima variabilità nella risposta individuale, consente l’uso in dosi fisse e
supera il problema del controllo dell’assetto coagulativo nel
tempo. Si deve poi sottolineare che il rapido inizio d’azione
li rende particolarmente utili nella gestione della terapia anticoagulante in pazienti con fibrillazione atriale (FA). Questo
particolare aspetto, infatti, consente l’avvio del trattamento
senza la necessità di ricorrere inizialmente ad agenti da somministrare per via parenterale (“bridging” con eparina sodica
non frazionata o eparine a basso peso molecolare). Entro un
massimo di 2-4h, infatti, i NAO garantiscono già un’efficace
azione anticoagulante. La loro azione, inoltre, termina rapidamente e il ripristino del normale assetto coagulativo richiede
tempi brevi (mediamente 12-24h in caso di normale funzionalità renale)1,2.
Come detto, la stabilità farmacocinetica e farmacodinamica dei NAO rende inutile, inopportuna e potenzialmente
fuorviante la verifica dell’assetto coagulativo. Infatti, i risultati
dei comuni test della coagulazione non sono utili alla valutazione e alla monitorizzazione dell’effetto dei singoli farmaci.
Tuttavia, in alcune circostanze può essere necessaria la stima
dell’impatto di questi farmaci sulla coagulazione, come, ad
esempio, in caso di eventi emorragici o di interventi chirurgici in emergenza. Nella Tabella 2 sono riportati gli effetti dei
Figura 1 NAO nella prevenzione del tromboembolismo nella FA
Inibitori del Fa ore Xa
 Rivaroxaban
 Apixaban
 Edoxaban
Inibitori della Trombina
 Dabigatran
Pro‐Trombina
(II)
Trombina
(IIa)
Fibrinogeno
(I)
Fibrina
(Ia)
Figura 1. Sito d’azione dei nuovi anticoagulanti orali sulla cascata coagulativa.
NAO sui vari test coagulativi e la loro possibile utilità
diversi
pratica3. Si deve, comunque, precisare che la valutazione dei
singoli test deve sempre tenere conto della distanza dall’ultima assunzione del farmaco e dell’emivita dell’agente considerato. Un test effettuato entro 3-6h dall’ultima assunzione sarà
condizionato, verosimilmente, dal picco di concentrazione del
farmaco. Al contrario, esami condotti a distanza di 12-24h
dall’ultima somministrazione potranno essere utili alla verifica
dell’effetto residuo del farmaco.
1.2 Efficacia e sicurezza dei nuovi anticoagulanti orali
La FA è l’aritmia cardiaca sostenuta più comune ed è presente nel 2% circa della popolazione generale del nostro Paese4. La presenza di questa aritmia comporta un rischio medio
di ictus cerebrale pari a circa il 4-5% per anno, superiore di
oltre 5 volte rispetto a quanto rilevabile nei soggetti che ne
sono privi5,6. Per oltre 60 anni gli AVK sono stati il principale presidio terapeutico in molte patologie ad elevato rischio
tromboembolico, tra le quali la FA. Gli studi clinici randomizzati e controllati hanno dimostrato che gli AVK riducono del
64% il rischio relativo di ictus (riduzione assoluta del 2.8%
in prevenzione primaria e dell’8.5% in prevenzione secondaria) rispetto al placebo nei pazienti con FA non valvolare5.
Negli ultimi anni, dopo la presentazione di 4 grandi trial
di fase III, i NAO sono emersi come una valida alternativa agli
AVK7-10. Nel loro insieme, infatti, i 4 studi hanno dimostrato la “non inferiorità” dei NAO rispetto al warfarin, aprendo
la strada a nuove possibilità di intervento per la prevenzione
degli eventi embolici nella FA non valvolare (Tabella 3). In particolare, considerati nel loro insieme e confrontati con il trat-
tamento convenzionale con il warfarin11, i NAO sono risultati
in grado di ottenere:
–– un’ulteriore riduzione del 19% del rischio combinato di
ictus ed eventi embolici (rischio relativo [RR] 0.81, intervallo di confidenza [IC] 95% 0.73-0.91; p<0.0001);
–– un’ulteriore riduzione del 10% del rischio di morte da tutte le cause (RR 0.90, IC 95% 0.85-0.95; p=0.0003).
Per quanto riguarda la sicurezza dei NAO rispetto al trattamento convenzionale con warfarin, l’aspetto di maggiore
rilievo emerso nei grandi studi di fase III è la consistente riduzione del rischio di eventi emorragici cerebrali11. In effetti, la
terapia con i NAO riduce il rischio di incorrere in una emorragia cerebrale durante terapia anticoagulante del 52% (RR
0.48, IC 95% 0.39-0.59; p<0.0001). D’altro canto, negli studi
clinici la terapia con i NAO si accompagna ad un modesto incremento dei rischio di emorragie digestive, che si pone, tuttavia, ai limiti della significatività statistica (RR 1.25, IC 95%
1.01-1.55; p=0.04).
I dati dei grandi studi registrativi sono stati sostanzialmente confermati nelle diverse indagini osservazionali condotte
dopo l’introduzione dei NAO nella pratica clinica. Informazioni molto confortanti, infatti, emergono dal confronto tra
warfarin e NAO nel cosiddetto “mondo reale”12-16. Tutti gli
studi di osservazione mostrano una coerente superiorità dei
NAO rispetto al warfarin in termini di riduzione degli eventi
cerebrovascolari ed embolici12-16. Anche la sicurezza, inoltre,
risulta superiore per i NAO rispetto al warfarin12-16. In particolare, la terapia con i NAO comporta invariabilmente un
minor rischio di eventi emorragici, tanto maggiori che minori,
G ITAL CARDIOL | vol 17 | SUPPL 1 AL N 9 2016
5S
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Tabella 1. Principali caratteristiche farmacologiche dei nuovi anticoagulanti orali.
Dabigatran
Rivaroxaban
Apixaban
Edoxaban
Meccanismo d’azione Inibitore diretto della
trombina
Inibitore diretto del fattore
Xa
Inibitore diretto del
fattore Xa
Inibitore diretto del fattore
Xa
Profarmaco
Sì
Convertito da esterasi nella
forma attiva
No
No
No
Biodisponibilità
6-7%
70% senza il cibo
>90% con il cibo
50-66%
60%
Legame con proteine
plasmatiche
35%
90-95%
80-90%
40-50%
Picco plasmatico dopo 1-2h
somministrazione
orale
2-4h
1-3h
1-2h
Emivita
12-17h
Incremento in caso di
disfunzione renale (23-35h)
5-9h
Incremento con l’età e in
caso di disfunzione renale
(11-13h)
8-15h
Incremento con l’età e
in caso di disfunzione
renale
10-14h
Incremento con l’età e in
caso di disfunzione renale
Eliminazione renale
80-85%
35%
25-30%
35% della dose
somministrata e 50% di
quella assorbita
Eliminazione non
renale
15-20%
65%
70-75%
50%
Dializzabilità
Sì
No
No
No
Assunzione
Raccomandata con il cibo
Con o senza cibo
Le capsule devono essere
assunte intatte; in caso di
rottura della capsula può
aumentare la biodisponibilità
Con o senza cibo
Con o senza cibo
Interazione con
citocromi epatici
No
Sì
Sì
Modesta
Interazione con P-gp
Sì
Sì
Sì
Sì
Dosaggio
150 mg bid
20 mg/die in monosomministrazione
5 mg bid
60 mg/die in monosomministrazione
110 mg bid per:
–– età >80 anni
–– GFR 30-50 ml/min
–– terapia con verapamil
–– alto rischio emorragico
(HAS-BLED >3)
15 mg/die per:
–– GFR 15-50 ml/min
–– alto rischio emorragico
(HAS-BLED >3)
2.5 mg bid in caso siano
presenti 2 dei seguenti
criteri:
–– età >80 anni
–– peso <60 kg
–– GFR 15-30 ml/min
30 mg/die per GFR 15-50
ml/min
Epatopatia cronica (classe
Child-Pugh B e C)
GFR <30 ml/min
Uso forti inibitori P-gp
(dronedarone, ketoconazolo,
ciclosporine, itraconazolo)
Epatopatia cronica (classe
Child-Pugh B e C)
GFR <15 ml/min
Uso forti inibitori/attivatori
P-gp e citocromo P450
3A4 (inibitori delle proteasi
HIV, carbamazepina,
fenobarbitale,
ketoconazolo, ciclosporine)
Epatopatia cronica
(classe Child-Pugh B e C)
GFR <15 ml/min
Uso forti inibitori/
attivatori P-gp e
citocromo P450 3A4
(inibitori delle proteasi
HIV, carbamazepina,
fenobarbitale,
ketoconazolo,
ciclosporine)
Epatopatia cronica severa
GFR <15 ml/min
Uso forti inibitori P-gp,
carbamazepina (cautela),
fenobarbitale (cautela)
Controindicazioni
–– peso ≤60 kg
–– terapia concomitante
con:
• ciclosporina
• dronedarone
• eritromicina
• ketoconazolo
GFR, velocità di filtrazione glomerulare; P-gp, P-glicoproteina.
incluse le emorragie digestive14,15, anche se per queste ultime
esistono alcuni dati discordanti. Dalla pratica clinica emergono, pertanto, forti conferme in favore dell’uso dei NAO nei
pazienti con FA non valvolare.
6S
G ITAL CARDIOL | vol 17 | SUPPL 1 AL N 9 2016
1.3 Interazioni farmacologiche
Le interazioni farmacologiche esercitate dai NAO sono generalmente di entità inferiore rispetto a quelle esercitate dai tradizionali AVK. Allo scopo di inquadrare correttamente questo
NAO nella prevenzione del tromboembolismo nella FA
Tabella 2. Effetti dei diversi nuovi anticoagulanti orali sui test coagulativi e loro possibile utilità pratica (in corsivo le informazioni relative ai test
di maggiore utilità).
Dabigatran
Rivaroxaban
Apixaban
Edoxaban
INR
Non utilizzare.
Genera valori inattendibili.
Non utilizzare.
Genera valori inattendibili.
Non utilizzare.
Genera valori
inattendibili.
Non utilizzare.
Genera valori inattendibili.
Tempo di
protrombina (PT)
Non utilizzare.
Genera valori inattendibili.
Prolungato in modo non
prevedibile.
Valori normali escludono un
effetto del farmaco.
Prolungato in modo non
prevedibile.
Valori normali escludono
un effetto del farmaco.
Prolungato in modo non
prevedibile.
Valori normali escludono un
effetto del farmaco.
Tempo di
tromboplastina
parziale attivato
(aPTT)
Prolungato.
Fornisce una valutazione
qualitativa dell’effetto del
farmaco.
Valori normali escludono un
effetto del farmaco.
Valori superiori a 2 volte la
norma a 12h dall’ultima dose
suggeriscono un aumentato
rischio emorragico.
Può essere prolungato in
modo non prevedibile.
Può essere lievemente
prolungato in modo non
prevedibile.
Può essere prolungato in
modo non prevedibile.
Tempo di trombina
diluito (dTT)
Prolungato con una
correlazione lineare con la
concentrazione del farmaco.
Valori normali escludono un
effetto del farmaco.
Non utilizzare.
Genera valori inattendibili.
Non utilizzare.
Genera valori
inattendibili.
Non utilizzare.
Genera valori inattendibili.
Tempo di ecarina
(ECT)
Prolungato con una
correlazione lineare con la
concentrazione del farmaco.
Valori normali escludono un
effetto del farmaco.
Valori superiori a 3 volte la
norma a 12h dall’ultima dose
suggeriscono aumentato
rischio emorragico
Non utilizzare.
Genera valori inattendibili.
Non utilizzare.
Genera valori
inattendibili.
Non utilizzare.
Genera valori inattendibili.
Valutazione
dell’attività antiXa con metodo
cromogenico
Non utilizzare.
Genera valori inattendibili.
Fornisce informazioni
quantitative sulla presenza
e concentrazione del
farmaco.
Non disponibili dati
sui valori soglia che
comportano un aumento
del rischio emorragico.
Fornisce informazioni
quantitative
sulla presenza e
concentrazione del
farmaco.
Non disponibili dati
sui valori soglia che
comportano un aumento
del rischio emorragico.
Fornisce informazioni
quantitative sulla presenza
e concentrazione del
farmaco.
Non disponibili dati
sui valori soglia che
comportano un aumento
del rischio emorragico.
aspetto, è bene tenere presente alcuni punti fondamentali
relativi all’assorbimento, metabolismo ed eliminazione dei diversi NAO.
Come è schematizzato in Figura 2, tutti i NAO sono assorbiti a livello intestinale, con una biodisponibilità estremamente variabile dal 3-7% (dabigatran) al 100% (rivaroxaban,
qualora somministrato durante i pasti). Il dabigatran viene
assorbito come dabigatran etexilato (inattivo), convertito nel
fegato e nel plasma a dabigatran attivo, il quale viene eliminato per circa l’80% per via renale e solo in minima parte
per via epatica, senza interferire con il sistema dei citocromi
P45017. Il rivaroxaban viene rapidamente assorbito dall’intestino in forma attiva e metabolizzato per circa il 65% nel fegato
con impegno del sistema dei citocromi P3A4, P3A5 e P2J2,
in assenza di metaboliti attivi18. L’apixaban viene ampiamente assorbito nel tratto intestinale in forma attiva (per il 50%
nella parte distale del tenue e nel colon ascendente) e viene
metabolizzato per circa il 73% nel fegato con impegno del
sistema dei citocromi essenzialmente P3A4, P3A5, in assenza
di metaboliti attivi19. L’edoxaban viene rapidamente assorbito
nel tratto gastrointestinale e metabolizzato all’incirca per il
50% nel fegato, seppure con scarso impegno del sistema dei
citocromi P3A420, e per il 50% nel rene21.
Tutti i NAO sono substrati per la P-glicoproteina (P-gp),
importante glicoproteina di membrana formata da 1280
aminoacidi ed appartenente alla famiglia dei trasportatori di
membrana ABC (ATP-binding cassette), funzionante come
pompa di efflusso transmembranico dei suoi substrati dall’interno all’esterno delle cellule. La P-gp consiste di due metà
omologhe che includono 6 substrati transmembrana e un sito
in grado di legare in quanto il trasporto transmembranico dei
substrati richiede consumo di energia. La P-gp, inizialmente
identificata nelle cellule tumorali e ritenuta meccanismo causa di resistenza ai farmaci antineoplastici, è presente in molti
tessuti normali, funzionando finalisticamente come agente
protettivo contro sostanze potenzialmente tossiche per l’ambiente intracellulare. La P-gp è in grado di trasportare una
notevole varietà di composti chimici strutturalmente anche
molto diversi tra loro, molti dei quali sono anche substrati per
l’isoenzima CYP3A4. La P-gp limita l’assorbimento di diversi
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Tabella 3. Gli studi di fase III sui nuovi anticoagulanti orali.
Dabigatran
Rivaroxaban
Apixaban
Edoxaban
Studio
N. pazienti
Età (anni)
Sesso femminile
Fibrillazione atriale parossistica
RE-LY
18 113
72 ± 9
37%
32%
ROCKET AF
14 266
73 [65-78]
40%
18%
ARISTOTLE
18 201
70 [63-76]
35%
15%
ENGAGE AF-TIMI 48
21 105
72 [64-78]
38%
25%
CHA2DS2-VASc score
Medio 2.1
0-1: 32%
2: 35%
3-6: 33%
Medio 3.5
0-1: 0%
2: 13%
3-6: 87%
Medio 2.1
0-1: 34%
2: 36%
3-6: 30%
Medio 2.8
0-1: 0%
2: 47%
3-6: 53%
Disegno dello studio
PROBE (prospective,
randomized, openlabel, blinded endpoint
evaluation)
Doppio cieco - double
dummy
Doppio cieco - double
dummy
Doppio cieco - double
dummy
Endpoint primario
Incidenza di ictus o
embolia sistemica
Incidenza di ictus o
embolia sistemica
Incidenza di ictus o
embolia sistemica
Incidenza di ictus o
embolia sistemica
Pazienti randomizzati
a warfarin
6022
7013
9081
7036
INR target nei pazienti
randomizzati a warfarin
2.0-3.0
2.0-3.0
2.0-3.0
2.0-3.0
TTR mediano nei pazienti
randomizzati a warfarin
67%
58%
66%
68%
Dosaggio NAO
150 mg bid (n=6076),
oppure
110 mg bid (n=6015)
20 mg/die in
mono-somministrazione
(n=7131)
5 mg bid (n=9120)
Riduzione della dose
a 15 mg/die in caso di
CrCl 30-49 ml/min
Riduzione della dose a
2.5 mg bid nei pazienti
che presentavano almeno
2 dei seguenti fattori di
rischio:
–– età >80 anni
–– severa riduzione della
funzione renale,
–– peso <60 kg
60 mg/die in
mono-somministrazione
(n=7035), oppure
30 mg/die in
mono-somministrazione
(n=7034)
Follow-up mediano (anni)
2.0
1.8
1.9
2.8
Endpoint primario
(eventi/100 pazienti/anno)
Dabigatran 150: 1.12%
Dabigatran 110: 1.54%
Warfarin: 1.72%
Rivaroxaban: 1.7%
Apixaban: 1.27%
Warfarin: 2.2%
Warfarin: 1.60%
Edoxaban 60 mg: 1.18%
Edoxaban 30 mg: 1.61%
Warfarin: 1.5%
Analisi
Intention-to-treat
Per protocol
Intention-to-treat
Intention-to-treat
modificata
P di non inferiorità dei NAO
vs warfarin
p<0.001 per entrambi i
dosaggi
p<0.001
p<0.001
p<0.001 per il dosaggio
di 60 mg
p=0.005 per il dosaggio
di 30 mg
P di superiorità dei NAO
vs warfarin
p<0.001 per il dosaggio
di 150 mg
p=0.01
p=0.02 per il dosaggio di
60 mg
Ictus emorragico
(eventi/100 pazienti/anno)
Dabigatran 150: 0.12%
Dabigatran 110: 0.10%
Warfarin: 0.38%
p<0.001 per entrambi i
dosaggi
Rivaroxaban: 0.26%
Apixaban: 0.24%
Warfarin: 0.44%
p=0.02
Warfarin: 0.47%
p<0.001
Edoxaban 60 mg: 0.26%
Edoxaban 30 mg: 0.16%
Warfarin: 0.47%
p<0.001 per entrambi i
dosaggi
Dabigatran 150: 3.40%
Dabigatran 110: 2.92%
Warfarin: 3.61%
p=0.003 per i 110 mg
p=0.41 per i 150 mg
Rivaroxaban: 3.6%
Apixaban: 2.13%
Warfarin: 3.40%
p=0.58
Warfarin: 3.09%
p<0.001
Sanguinamenti maggiori
(eventi/100 pazienti/anno)
CrCl, clearance della creatinina; NAO, nuovi anticoagulanti orali; TTR, tempo in range terapeutico.
8S
Riduzione della dose alla
metà in caso di:
–– CrCl 30-50 ml/min
–– peso <60 kg
–– uso di verapamil,
chinidina o
dronedarone
G ITAL CARDIOL | vol 17 | SUPPL 1 AL N 9 2016
Edoxaban 60 mg: 2.75%
Edoxaban 30 mg: 1.61%
Warfarin: 3.43%
p<0.001 per entrambi i
dosaggi
Figura 2 NAO nella prevenzione del tromboembolismo nella FA
Metabolismo Epatico
Dabigatran: ~20% (no CYP 450)
Rivaroxaban: ~ 65% (CYP3A4, CYP3A5, CYP 2J2)
Apixaban: ~73% (CYP3A4)
Edoxaban:~50% (~4% CYP3A4)
Emivita (t1/2)
P-gp
• Dabigatran: 12-17 h
• Rivaroxaban:
5-9 h (giovani)
11-13 h (anziani)
• Apixaban: 12 h
• Edoxaban: 10-14 h
Biodisponibilità
Dabigatran: 3-7%
Rivaroxaban:
66% (senza cibo)
100% (con cibo)
Apixaban: 50%
Edoxaban: 62%
Metabolismo Renale
Dabigatran: ~80%
Rivaroxaban: ~ 35%
Apixaban: ~27%
Edoxaban:~50%
Figura 2. Assorbimento intestinale, metabolismo ed emivita dei nuovi anticoagulanti orali.
intestinale spostandoli dagli en- con conseguenti bassi livelli ematici dei NAO e aumento del
farmaci a vari livelli: a livello
terociti al lume intestinale,
a livello renale trasferendoli dalle rischio di eventi tromboembolici.
Le Tabelle 4-6, riprese e parzialmente modificate dalle licellule del lume tubulare alle urine, e a livello epatico spostan guida della European Heart Rhythm Association (EHRA)22,
nee
doli dagli epatociti alla bile. La P-gp svolge analoghe funzioni
a livello dei testicoli e del sistema nervoso centrale.
Pertanto, tutti i farmaci inibitori della P-gp e/o del sistema
dei citocromi, prevalentemente P3A4, sono potenzialmente
in grado di aumentare la biodisponibilità dei NAO, elevando
le concentrazioni ematiche di questi farmaci fino a causare
un aumento del rischio di eventi emorragici. Viceversa, tutti i
farmaci in grado di indurre (potenziare) la P-gp e il sistema dei
citocromi P3A4 possono ridurre la biodisponibilità dei NAO,
mostrano gli effetti di alcuni farmaci sulle concentrazioni plasmatiche dei NAO, effetti esercitati a seguito della competizione sia con la P-gp sia con il sistema dei citocromi epatici.
Per quanto riguarda i farmaci cardiovascolari (Tabella
4), il dronedarone, potente inibitore della P-gp, è in grado
di aumentare le concentrazioni plasmatiche del dabigatran
fino al 70-100% ed è pertanto sconsigliato in associazione con questo NAO. Tuttavia, va segnalato che l’Adverse
Reporting System Database della Food and Drug Admini-
Tabella 4. Interazioni tra i nuovi anticoagulanti orali ed alcuni farmaci cardiovascolari.
Meccanismo
Dabigatran
Rivaroxaban
Apixaban
Edoxaban
Amiodarone
Modesta competizione con P-gp +12-60%
Effetti “minori”
Cautela se GFR <50 ml/min
No dati
+40%
Digossina
Competizione con P-gp
No effetti
No effetti
No dati
No dati
Diltiazem
Competizione con P-gp
Lieve inibizione di CYP3A4
No effetti
Effetti “minori”
Cautela se GFR 15-50 ml/min
+40%
No dati
Dronedarone
Competizione con P-gp
Inibizione di CYP3A4
+70-100%
USA: 75 mg bid se
GFR 30-50 ml/min
No dati:
cautela
No dati:
cautela
+85%
Ridurre dose
del 50%
Chinidina
Competizione con P-gp
+53%
No dati: cautela
No dati
+77%
Verapamil
Competizione con P-gp
Lieve inibizione di CYP3A4
+12-180%
Ridurre dose e assumere
simultaneamente
Effetti “minori”
Cautela se GFR 15-50 ml/min
No dati
+53%
Atorvastatina
Competizione con P-gp
Inibizione di CYP3A4
+18%
No effetti
No effetti
No dati
No effetti
GFR, velocità di filtrazione glomerulare; P-gp, P-glicoproteina.
Adattata da Heidbuchel et al.22.
G ITAL CARDIOL | vol 17 | SUPPL 1 AL N 9 2016
9S
F Nardi et al
stration non ha riscontrato alcun aumento delle complicanze emorragiche nei pazienti che assumevano dabigatran e
dronedarone in associazione23. Altri farmaci di frequente
impiego nei pazienti con FA, come la digossina, il diltiazem
e l’atorvastatina, in grado di inibire debolmente la P-gp, non
mostrano effetti di rilievo sulle concentrazioni plasmatiche di
dabigatran, mentre l’amiodarone, la chinidina e il verapamil
ne possono comportare un lieve incremento. Una sottoanalisi dello studio ENGAGE AF-TIMI 48 (Effective Anticoagulation with Factor Xa Next Generation in Atrial Fibrillation
- Thrombolysis in Myocardial Infarction 48) ha mostrato che
la contemporanea somministrazione di amiodarone potenzia l’effetto antitrombotico della bassa dose di edoxaban
(30 mg), verosimilmente attraverso l’aumento dei suoi livelli
plasmatici, senza modificare il rischio di complicanze emorragiche. Al contrario, efficacia e tollerabilità della dose di
edoxaban (60 mg) non venivano influenzate dalla somministrazione di amiodarone24. Per quanto riguarda il verapamil,
questo farmaco andrebbe somministrato circa 2h dopo il
dabigatran, allo scopo di minimizzare l’interazione farmacologica. Anche in questo caso, non è stato riscontrato alcun
aumento delle complicanze emorragiche nei pazienti che
assumevano dabigatran in combinazione con verapamil o
amiodarone25. Per quanto riguarda il rivaroxaban, che viene
comunque eliminato per circa il 30% per via renale, si raccomanda cautela nei pazienti co-trattati con amiodarone,
diltiazem, dronedarone, chinidina o verapamil, soprattutto
se la velocità di filtrazione glomerulare è tra 15 e 50 ml/min.
Stessa considerazione per l’apixaban in presenza di simultanea somministrazione di dabigatran o dronedarone, e di
edoxaban nei pazienti co-trattati con amiodarone, dronedarone, chinidina o verapamil. Nello studio ENGAGE AF-TIMI 48, le dosi di edoxaban venivano dimezzate nei pazienti
co-trattati con verapamil o chinidina10.
La Tabella 5 mostra le interazioni tra NAO e alcuni farmaci antibiotici, antivirali e antineoplastici. Si tratta di farmaci a
forte o fortissimo effetto inibitorio sulla P-gp e generalmente anche sul sistema dei citocromi epatici. Pertanto, le concentrazioni plasmatiche di tutti i NAO possono aumentare in
misura anche molto importante in associazione con questi
farmaci. Ad esempio, si stima che le concentrazioni plasmatiche del dabigatran possano aumentare fino al 138% dopo
dose singola, e fino al 153% dopo dosi ripetute di 400 mg
di ketoconazolo26. Considerazioni analoghe possono essere
fatte per gli altri NAO. Al contrario, la rifampicina funziona
da forte induttore della P-gp e dei citocromi epatici P3A4 e
P2, portando quindi ad un effetto opposto consistente nella
riduzione dei livelli plasmatici dei NAO. Per quanto riguarda l’edoxaban, nello studio ENGAGE AF-TIMI 48 le dosi di
questo farmaco venivano dimezzate nei pazienti che assumevano farmaci forti inibitori della P-gp includendo il ketoconazolo10. Tale pratica potrebbe quindi essere riproposta
nella pratica clinica, seppure con grande cautela. Sempre
per l’edoxaban, uno studio di interazione ha mostrato livelli
plasmatici di questo NAO di circa il 35% più bassi nei pazienti co-trattati con rifampicina27.
Per quanto riguarda i farmaci antagonisti dei recettori H2,
gli inibitori di pompa protonica e gli antiacidi, questi farmaci
possono ritardare, in misura minore, l’assorbimento intestinale dei NAO, senza tuttavia indurre interferenze farmacologiche o cliniche di rilievo (Tabella 6).
Esistono anche sostanze in grado di indurre l’attività
della P-gp e del sistema dei citoctomi epatici. Tra queste,
la rifampicina, alcuni farmaci antiepilettici (carbamazepina, fenobarbital e fentoina) e l’Hypericum perforatum, una
pianta del genere Hypericum con proprietà antidepressive
e antivirali che raggiunge la massima fioritura intorno alla
fine di giugno (da qui il nome di “erba di San Giovanni”).
Inducendo una maggiore attività della P-gp, queste sostanze
portano ad un’aumentata eliminazione dei NAO dall’organismo, con conseguente riduzione delle loro concentrazioni
plasmatiche.
Tabella 5. Interazioni tra i nuovi anticoagulanti orali ed alcuni farmaci antibiotici, antivirali ed antineoplastici.
Meccanismo
Dabigatran
Rivaroxaban
Apixaban
Edoxaban
Eritromicina
Competizione con P-gp
Claritromicina Lieve inibizione di CYP3A4
+15-20%
+30-54%
No dati
+90%
Ridurre dose del 50%
Rifampicina
Induttore P-gp/BCRP e
CYP3A4/CYP2
-66%
Fino a -50%
-54%
-35%
(con aumento
metaboliti attivi)
Inibitori
proteasi HIV
(ritonavir,
ecc.)
Competizione con P-gp/BCRP No dati
e CYP3A4/CYP2
Inibizione di CYP3A4
+153%
Forte aumento
No dati
Fluconazolo
Modesta inibizione di
CYP3A4
No dati
+42%
(somministrazione
sistemica)
No dati
No dati
Ketoconazolo Potente inibizione di P-gp
Itraconazolo
Competizione con BCRP
Posaconazolo Inibizione di CYP3A4
Voriconazolo
+140-150%
USA: 75 mg bid se
GFR 30-50 ml/min
Fino a +160%
+100%
+87-95%
Ridurre dose del 50%
Ciclosporina
Tacrolimus
Non raccomandato
Non noto
No dati
+73%
Competizione con P-gp
BCRP, breast cancer resistance protein; GFR, velocità di filtrazione glomerulare; P-gp, P-glicoproteina.
Adattata da Heidbuchel et al.22.
10S
G ITAL CARDIOL | vol 17 | SUPPL 1 AL N 9 2016
NAO nella prevenzione del tromboembolismo nella FA
Tabella 6. Interazioni tra i nuovi anticoagulanti orali ed altri farmaci di frequente impiego.
Meccanismo
Dabigatran
Rivaroxaban
Apixaban
Edoxaban
Naproxen
Competizione con P-gp
No dati
No dati
+55%
Aumento tempo di
sanguinamento
Bloccanti H2
Inibitori di pompa protonica
Idrossido Al-Mg
Assorbimento
gastrointestinale
-12-30%
No effetti
No effetti
No effetti
Carbamazepina
Fenobarbital
Fentoina
Erba di S. Giovanni
Induttore P-gp/BCRP e
CYP3A4/CYP2
-66%
Fino a -50%
-54%
-35%
BCRP, breast cancer resistance protein; P-gp, P-glicoproteina.
Adattata da Heidbuchel et al.22.
1.4 Gestione delle emorragie in terapia con i nuovi
anticoagulanti orali
Uno dei maggiori timori sull’utilizzo dei NAO da parte degli
addetti ai lavori è il rischio di complicanze emorragiche. Tali
eventi, post-traumatici o spontanei, possono essere quantitativamente variabili e pertanto richiedere un provvedimento
medico più appropriato e opportuno. Secondo la definizione dell’International Society on Thrombosis and Haemostasis
(ISTH), possiamo dividere i sanguinamenti in maggiori e minori, dove per definire un “sanguinamento maggiore” dovremo
trovarci in una delle seguenti condizioni:
–– sanguinamento fatale;
–– sanguinamento sintomatico coinvolgente un’area critica o
organo (es. intracranico, intraspinale, intraoculare, retroperitoneale, intra-articolare o pericardico);
–– riduzione del valore di emoglobina ≥2 g/dl, o in caso risulti
necessaria una trasfusione di ≥2 unità di sangue fresco o
di emazie concentrate.
Si intendono, invece come “sanguinamenti minori” tutti i
sanguinamenti non contemplati tra i precedenti.
I NAO hanno mostrato, attraverso numerosi studi di fase III, e
stanno mostrando nei trial in corso, un maggiore profilo di sicurezza e una minore incidenza di sanguinamenti rispetto agli AVK.
Per la stratificazione del rischio emorragico nel corso degli
anni sono stati utilizzati vari algoritmi, tra cui lo score HEMORR2HAGES28, che però comprendeva tra le proprie variabili dati
di farmacogenetica, e gli algoritmi HAS-BLED e ATRIA.
Davanti a un paziente con episodio emorragico in atto
sono fondamentali sia una corretta anamnesi sia un esame
obiettivo accurato, che permettono di prendere in considerazione alcune variabili utili alla stratificazione del rischio, quali
il tipo di terapia anticoagulante assunta, la dose, l’eventuale
concomitante assunzione di altri farmaci quali antiaggreganti
piastrinici o altre molecole che possano interferire con la farmacocinetica e farmacodinamica della molecola anticoagulante, la possibile insufficienza renale e/o epatica, crisi ipertensiva, traumatismo. Inoltre, un appropriato approccio clinico al
paziente deve permettere di orientarci se siamo di fronte a un
sanguinamento maggiore in atto o imminente. La diagnosi
non è sempre agevole, soprattutto in presenza di un traumatismo. Infatti, spesso il percorso diagnostico è più indaginoso
come nel caso di emorragie spontanee non immediatamente
evidenti (retroperitoneali, intracerebrali, ecc.) magari in caso
di sovradosaggio del farmaco.
Un paziente trattato con terapia anticoagulante in corso
di evento emorragico prevede una valutazione dell’assetto
emocoagulativo con un esame ematochimico in emergenza.
La maggior parte delle molecole utilizzate fino “all’altro ieri”
(eparina non frazionata, AVK) avevano come prerogativa la
difficile standardizzazione delle dosi che variavano a seconda
dei parametri riscontrati (tempo di tromboplastina parziale
attivato [aPTT], international normalized ratio [INR]) mentre
seppur i NAO e le eparine a basso peso molecolare hanno
permesso di stabilire un rapporto standardizzato tra dose ed
effetto, in caso di evento emorragico si rende ugualmente
necessario conoscere il livello di attività anticoagulante in quel
dato momento. A tale scopo con i NAO risulta pressoché inutile il dosaggio dell’INR, mentre l’attività di inibizione del FXa
ha una stretta correlazione con la concentrazione plasmatica
di apixaban, rivaroxaban ed edoxaban, l’aPTT e il tempo di
trombina diluito (dTT) mostra una buona correlazione con la
concentrazione plasmatica di dabigatran.
Il percorso terapeutico di tali pazienti non deve prescindere da un’attenta valutazione del rapporto tra rischio trombotico ed emorragico (CHA2DS2-VASc e HAS-BLED score).
Nella maggior parte dei casi, grazie alla breve emivita dei
NAO, la sospensione del farmaco permette di ricostituire il
fisiologico assetto coagulativo nell’arco di poche ore, mentre altri provvedimenti terapeutici che possono essere presi in
considerazione sono:
–– limitazione dell’assorbimento a livello intestinale con la
somministrazione tempestiva (entro 2-3h dall’assunzione
del NAO) di carbone vegetale attivo;
–– posticipare o interrompere la somministrazione della successiva dose di farmaco;
–– incremento dell’eliminazione tramite emodialisi;
–– somministrazione di liquidi per il ripristino della volemia e
del compenso emodinamico;
–– emostasi meccanica con compressione diretta, intervento
chirurgico o procedura di embolizzazione endovascolare;
–– somministrazione di emoderivati (concentrati eritrocitari,
plasma fresco congelato, piastrine);
–– utilizzo di concentrati del complesso protrombinico (PCC)
a 4 fattori;
–– somministrazione di fattore VII attivato ricombinante10;
–– complesso protrombinico attivato.
Pertanto considerata la delicatezza della questione, nonostante i risultati confortanti dei trial, è utile una strategia di tratG ITAL CARDIOL | vol 17 | SUPPL 1 AL N 9 2016
11S
F Nardi et al
tamento che permetta, in caso di necessità, una veloce antagonizzazione dell’effetto anticoagulante delle molecole previo
approccio clinico appropriato. A tal proposito, diversi studi si
stanno focalizzando sulla ricerca ed efficacia di molecole antagonizzanti l’effetto anticoagulante dei NAO. Di tutte le nuove
molecole anticoagulanti, l’unica che attualmente ha un antidoto (idarucizumab) approvato è il dabigatran. L’indicazione
all’utilizzo di tale antidoto è relegata ai rari casi in cui si rende
necessaria una rapida inattivazione dell’effetto anticoagulante del dabigatran in caso di interventi chirurgici in emergenza (vedi Sezione 8 “Gestione della terapia anticoagulante nel
paziente candidato a procedure chirurgiche”), nelle procedure
urgenti o in caso di sanguinamento potenzialmente fatale o
non controllato. La molecola idarucizumab è un frammento di
anticorpo monoclonale umanizzato (Fab) che si lega a dabigatran con altissima affinità, nettamente maggiore dell’affinità di
legame di dabigatran per la trombina, formando un complesso idarucizumab-dabigatran molto stabile, che ne permette la
neutralizzazione dell’effetto anticoagulante. Per quanto attiene
a edoxaban, nel Riassunto delle Caratteristiche del Prodotto è
descritto come gestire le emorragie con PCC a 4 fattori.
2. INDICAZIONI GENERALI PER L’USO DEI NUOVI
ANTICOAGULANTI ORALI NELLA PRATICA CLINICA
zione di FA parossistica solo i pazienti con ripristino spontaneo
del ritmo sinusale entro un massimo di 7 giorni dall’esordio,
spostando nella definizione di FA persistente tutti i pazienti
che richiedono cardioversione elettrica o farmacologica, anche dopo qualche ora o qualche giorno dall’inizio della FA31.
Nella valutazione dell’efficacia antitrombotica e della sicurezza dei NAO in relazione alle diverse forme di FA, vanno considerati altri importanti fattori confondenti tra i quali
il diverso impiego di farmaci anticoagulanti e antiaggreganti
piastrinici nei vari studi, le dimensioni del campione, anche
molto diverse da studio a studio, e le diverse tecniche, più o
meno accurate, nella raccolta e nella validazione degli eventi
cerebrovascolari32.
Alla luce di queste considerazioni, esistono risultati piuttosto divergenti in letteratura sulla relazione tra tipo di FA e rischio di ictus cerebrale. In alcuni studi, il rischio di ictus non ha
mostrato differenze tra i pazienti con FA parossistica e quelli
con FA persistente o permanente33-36, mentre in altri studi i
pazienti con FA parossistica hanno mostrato un minore rischio
di ictus rispetto a quelli con FA parossistica o permanente37-41.
Esistono in letteratura alcune sottoanalisi dei principali
studi di outcome condotti con i NAO, che hanno permesso
di evidenziare il comportamento di ogni singolo NAO, rispetto al warfarin, nei pazienti con FA parossistica, persistente o
permanente.
2.1 Le diverse forme di fibrillazione atriale
La valutazione dell’efficacia antitrombotica e del rischio emorragico dei NAO in relazione alle diverse forme di FA è resa difficile da vari fattori, tra i quali la diversa definizione di FA nei
singoli studi e la possibilità che un paziente possa “migrare”
da una forma all’altra nel corso del tempo. La definizione di
FA parossistica includeva, nelle linee guida American College
of Cardiology/American Heart Association/Società Europea di
Cardiologia (ACC/AHA/ESC) del 2001, tutti i pazienti con ripristino del ritmo sinusale entro 7 giorni dall’esordio, indipendentemente dall’esecuzione o meno di una cardioversione29.
Successivamente, le linee guida AHA/ACC/Heart Rhythm
Society (HRS) del 2014 sono rimaste su questa definizione30,
Figura 3 ESC includono nella definimentre le più recenti linee guida
2.1.1 Dabigatran
In una sottoanalisi dello studio RE-LY (Randomized Evaluation
of Long-Term Anticoagulation Therapy)42, 5943 pazienti sono
risultati affetti da FA parossistica, 5789 da FA persistente e 6375
da FA permanente al momento del loro ingresso nello studio.
Cumulando i trattamenti antitrombotici previsti dallo studio
(warfarin, dabigatran), l’incidenza dell’endpoint primario (ictus
cerebrale/embolia sistemica) per 100 pazienti per anno è risultata pari a 1.32 nella FA parossistica, 1.55 nella FA persistente e
1.49 nella FA permanente. Analogamente, l’incidenza di emorragie maggiori risultata pari a 3.57 nella FA parossistica, 3.29
nella FA persistente e 2.92 nella FA permanente.
Come si vede in Figura 3, la dose più alta di dabigatran
(150 mg bid) è risultata superiore al warfarin sulla riduzione
Dabigatran 110 mg
Incidenza endpoint primario per 100 pazienti per anno
2
Dabigatran 150 mg
P per interazione: 0.0465 (110 mg), 0.8835 (150 mg)
1.8
1.77
1.80
1.72
Warfarin
1.78
1.58
1.6
1.4
1.2
1
1.07 1.08
1.14
1.11
FA persistente
FA permanente
0.8
0.6
0.4
0.2
0
FA parossistica
Figura 3. Incidenza dell’endpoint primario (ictus cerebrale/embolia sistemica)
nei pazienti con fibrillazione atriale (FA) parossistica, persistente e permanente
nell’ambito dello studio RE-LY42.
12S
G ITAL CARDIOL | vol 17 | SUPPL 1 AL N 9 2016
NAO nella prevenzione del tromboembolismo nella FA
dell’endpoint primario in egual misura nei tre diversi tipi di FA
(hazard ratio [HR] 0.61 nella FA parossistica, 0.64 nella FA persistente e 0.70 nella FA permanente; p per interazione 0.83).
Al contrario, la dose più bassa di dabigatran (110 mg bid) è
risultata più efficace del warfarin sulla riduzione dell’endpoint
primario nei pazienti con FA parossistica (HR 0.60) rispetto ai
pazienti con FA persistente (HR 0.96) e permanente (HR 1.13).
La significatività della p per interazione (p=0,0465) risulta considerevole, dal momento che questa analisi aveva una potenza statistica superiore all’80% per rilevare un’interazione tra
trattamenti randomizzati e tipo di FA in termini di differenza
relativa di efficacia (rispetto al warfarin) superiore al 65%. Non
riuscendo ad identificare una ragione biologica plausibile della
superiorità della bassa dose di dabigatran rispetto al warfarin
nella protezione dall’ictus tromboembolico, gli autori concludono che il loro risultato potrebbe essere dovuto al caso42.
2.1.2 Rivaroxaban
Nello studio ROCKET AF (Rivaroxaban Once Daily Oral Direct
Factor Xa Inhibition Compared with Vitamin K Antagonism
for Prevention of Stroke and Embolism Trial in Atrial Fibrillation), 2490 pazienti erano affetti da FA parossistica, 11 485
da FA persistente e 196 da FA di nuova diagnosi8. Nell’analisi intention-to-treat, l’incidenza dell’endpoint primario (ictus
cerebrale/embolia sistemica) è risultata pari al 3.41% nei
pazienti randomizzati a rivaroxaban e al 3.42% nei pazienti
randomizzati a warfarin all’interno del gruppo con FA parossistica, al 3.91% nei pazienti in rivaroxaban e al 4.45% nei pazienti in warfarin all’interno del gruppo con FA persistente, e
al 2.08% nei pazienti in rivaroxaban e all’8.0% nei pazienti in
warfarin all’interno del gruppo con FA permanente (Figura 4).
Il valore della p per interazione non è risultato statisticamente
significativo (p=0.218), suggerendo quindi un’efficacia analoga del rivaroxaban, rispetto al warfarin, nei tre tipi di FA8.
2.1.3 Apixaban
Nell’ambito dello studio ARISTOTLE (Apixaban for Reduction in
Stroke and Other Thromboembolic Events in Atrial Fibrillation)9,
la definizione di FA parossistica è stata ripresa dalle linee guida
AHA/ACC/HRS (ripristino delFigura 4 ritmo sinusale entro 7 giorni, sia
spontaneo sia indotto). Una recente sottoanalisi dello studio
ARISTOTLE ha preso in esame, nel dettaglio, le diverse forme di
FA38. In questa sottoanalisi, 2786 pazienti sono risultati affetti
da FA parossistica e 15 412 da FA persistente o permanente sul
totale della popolazione arruolata (i pazienti con FA persistente
e permanente sono stati analizzati nel loro complesso).
Come si vede in Figura 5, l’incidenza dell’endpoint primario (ictus cerebrale/embolia sistemica) è risultata significativamente inferiore nei pazienti con FA parossistica rispetto
a quelli con FA persistente o permanente. Al contrario, l’incidenza di emorragie maggiori non ha mostrato differenze
significative tra i due gruppi. Si potrebbe ipotizzare che l’analisi cumulativa dei pazienti con FA persistente e permanente
potrebbe avere conferito all’analisi una maggiore potenza
statistica nell’identificazione di differenze di outcome rispetto al gruppo con FA parossistica. Andando a confrontare gli
effetti dell’apixaban rispetto a quelli del warfarin nei gruppi
di pazienti con diverso tipo di FA non sono emerse interazioni significative tra i gruppi. Ad esempio, l’incidenza dell’endpoint primario è risultata pari allo 0.82% nei pazienti randomizzati ad apixaban e all’1.14% nei pazienti randomizzati a
warfarin all’interno del gruppo con FA parossistica (HR 0.72),
e all’1.35% nei pazienti in apixaban e all’1.69% nei pazienti
in warfarin all’interno del gruppo con FA persistente/permanente (HR 0.80). La p per interazione non è risultata statisticamente significativa (p=0.71), suggerendo quindi un’analoga
efficacia dell’apixaban, rispetto al warfarin, nei tre tipi di FA38.
2.1.4 Edoxaban
Nello studio ENGAGE-AF TIMI 48, 5366 pazienti sono risultati
affetti da FA parossistica, 4868 pazienti da FA persistente e
10 865 pazienti da FA permanente al momento dell’arruolamento nello studio10. Come si vede in Figura 6, le differenze
tra warfarin e le due dosi di edoxaban in termini di incidenza
dell’endpoint primario (ictus cerebrale o embolia sistemica)
sono risultate sovrapponibili nel pazienti con FA parossistica,
persistente e permanente (p per interazione 0.050 per edoxaban 60 mg e 0.42 per edoxaban 30 mg). Anche questi risultati suggeriscono quindi un’efficacia sovrapponibile dell’edoxaban, rispetto al warfarin, nei tre tipi di FA10.
Incidenza endpoint primario per 100 pazienti per anno
Rivaroxaban
9
P per interazione = 0.218 (NS)
8.0
8
Warfarin
7
6
5
4
3
2
3.41
3.42
3.91
4.45
2.08
1
0
FA nuova diagnosi
FA parossistica
FA persistente
Figura
4. Incidenza dell’endpoint primario (ictus cerebrale/embolia sistemica)
nei
pazienti con fibrillazione
atriale (FA) di nuova diagnosi, parossistica e persi stente nell’ambito dello studio ROCKET AF8.
G ITAL CARDIOL | vol 17 | SUPPL 1 AL N 9 2016
13S
F Nardi et al
Figura 5 Incidenza endpoint primario per 100 pazienti per anno
Apixaban
Warfarin
1.8
1.6
1.4
1.2
1
0.8
0.6
0.4
0.2
0
FA parossistica
FA persistente/permanente
Figura
5. Incidenza dell’endpoint primario (ictus cerebrale/embolia sistemica)
nei
pazienti con fibrillazione
atriale (FA) parossistica e persistente/permanente
nell’ambito dello studio ARISTOTLE9.
Figura 6 Edoxaban 60 mg
Incidenza endpoint primario per 100 pazienti per anno
2.5
Edoxaban 30 mg
P per interazione: 0.050 (60 mg); 0.42 (30 mg)
2
1.5
Warfarin
1.93
1.56
1.65
2.29
2.00
1.99
1.59
1.56
1.25
1
0.5
0
FA parossistica
FA persistente
FA permanente
Figura
6. Incidenza dell’endpoint primario (ictus cerebrale/embolia sistemica) nei
pazienti
con fibrillazione atriale (FA) parossistica, persistente e permanente nell’am AF-TIMI 4810.
bito
dello studio ENGAGE
2.2 Selezione dei pazienti
2.2.1 Quali pazienti devono essere trattati
con anticoagulanti
La selezione dei pazienti con FA da sottoporre a terapia anticoagulante di base richiede un’attenta valutazione del rapporto tra rischi e benefici attraverso un’accurata stratificazione del profilo di rischio trombotico ed emorragico43,44, con
una raccomandazione di classe IA nelle recenti linee guida
ESC31. I pazienti portatori di protesi meccaniche cardiache e di
valvulopatie significative rappresentano un primo sottogruppo ad elevato rischio trombotico e richiedono una terapia anticoagulante orale (TAO)31. Nei capitoli successivi, cui si rimanda, verrà ampiamente analizzata la definizione di valvulopatia
in questo contesto.
Per quanto riguarda invece la FA non valvolare, le più recenti principali linee guida raccomandano l’uso dei punteggi
CHA2DS2-VASc (Tabella 7) e HAS-BLED (Tabella 8) per valutare
il rischio rispettivamente tromboembolico ed emorragico45-49.
14S
G ITAL CARDIOL | vol 17 | SUPPL 1 AL N 9 2016
Sebbene l’uso simultaneo di nuove e vecchie linee guida, o di
linee guida emanate da differenti organizzazioni, basate su
popolazioni diverse, possa dare spesso origine a confusione
o contraddizioni, esiste tuttavia una sostanziale concordanza46. Tutte le principali linee guida internazionali31,50-52 raccomandano ormai, infatti, l’uso della TAO nella maggioranza
dei pazienti affetti da FA non valvolare. Le linee guida ESC31,
in particolare, raccomandano la TAO per tutti i pazienti in
FA, ad eccezione di quelli (di ambo i sessi) a reale basso rischio (età <65 anni e forme “lone”, cosa che equivale a un
CHA2DS2-VASc score di 0 per gli uomini e 1 per le donne) o
con controindicazioni (raccomandazione di classe IA). Le controindicazioni alla TAO sono elencate in Tabella 9. Con questo
approccio concordano anche le linee guida statunitensi30 (raccomandazione di classe IIaB) e quelle britanniche del National
Institute for Health and Care Excellence (NICE)50. Anche nei
pazienti con uno score CHA2DS2-VASc ≥2 tutte le linee guida
concordano sulla necessità della TAO31,50-52, tenendo ovvia-
NAO nella prevenzione del tromboembolismo nella FA
Tabella 7. Il punteggio CHA2DS2-VASc.
Fattore
Punteggio
C
Cardiac failure (scompenso cardiaco)
1
H
Hypertension (ipertensione arteriosa)
1
A
Age (età ≥75 anni)
2
D
Diabetes (diabete mellito)
1
S
Stroke (pregresso ictus, TIA o embolia
periferica)
2
V
Vascular disease (malattia vascolare)
1
A
Age (età 65-75 anni)
1
Sc
Sex category (sesso femminile)
1
TIA, attacco ischemico transitorio.
Tabella 8. Il punteggio HAS-BLED.
1 punto (max 9) per ciascuno dei seguenti
H
Hypertension
Ipertensione (pressione arteriosa non
controllata >160 mmHg)
A
Abnormal renal/
liver function
Epatopatia (cirrosi o incremento di 2
volte della bilirubina e di 3 volte delle
transaminasi) o nefropatia (dialisi o
trapianto renale o creatinina >2.27 mg/dl)
S
Stroke
Pregresso ictus
B
Bleeding
Storia di sanguinamento o predisposizione
alle emorragie (diatesi emorragica, anemia)
L
Labile INR
INR labile (instabile o con TTR <60%)
E
Elderly
Età >65 anni
D
Drugs/alcohol
Farmaci (FANS, antiaggreganti) o abuso di
alcol (≥8 unità/settimana)
FANS, farmaci antinfiammatori non steroidei; INR, international normalized ratio; TTR, tempo in range terapeutico.
Tabella 9. Controindicazioni relative e assolute a qualsiasi terapia
anticoagulante.
Controindicazioni assolute
Gravidanza
Ipersensibilità documentata ad AVK/NAO
Emorragia maggiore in atto
Diatesi emorragica
Piastrinopenia grave (<30 000/µl)
Controindicazioni relative
Intervento chirurgico maggiore o trauma recenti
Tendenze emorragiche associate ad ulcerazioni attive o
sanguinamento in atto del tratto gastrointestinale, genito-urinario
e respiratorio
Emorragia cerebrovascolare
Aneurisma cerebrale
Aneurisma dissecante dell’aorta
Pericardite e versamento pericardico
Endocardite batterica in fase attiva
Anamnesi positiva per emorragia intracranica, intraoculare, spinale
o retroperitoneale
AVK, antagonisti della vitamina K; NAO, nuovi anticoagulanti orali.
mente in considerazione il rischio emorragico50. Un elevato
rischio emorragico, comunque, non deve rappresentare necessariamente, secondo le linee guida europee31, una controindicazione alla terapia anticoagulante, ma uno stimolo ad
intraprendere, in pazienti con punteggio ≥3, controlli periodici (raccomandazione di classe IIA) finalizzati al trattamento
dei fattori correggibili (ipertensione non controllata, INR labile, farmaci concomitanti) (raccomandazione di classe IIaB);
l’uso dello score HAS-BLED non dovrebbe quindi escludere
i pazienti dalla TAO31. I pazienti con uno score di 1, invece,
sono candidati preferibilmente alla TAO secondo le linee guida europee con una raccomandazione di classe IIaA31, mentre
secondo quelle statunitensi possono ricevere anticoagulanti
orali, aspirina o nessuna terapia (raccomandazione di classe
IIbC)30.
2.2.2 Come scegliere tra antagonisti della vitamina K
e nuovi anticoagulanti orali
L’indicazione clinica comune ai NAO approvati in Italia (dabigatran, rivaroxaban, apixaban ed edoxaban) è la prevenzione
di ictus ed embolia sistemica in pazienti adulti con FA non
valvolare con almeno uno dei fattori di rischio per ictus. Ma
quando preferirli a una terapia con AVK? La scelta del farmaco anticoagulante dovrebbe essere individuata sulla base delle
condizioni cliniche, delle comorbilità, dei fattori di rischio, del
costo, della tollerabilità, delle preferenze del paziente, del rischio di interazioni farmacologiche e di altri parametri come il
tempo in range terapeutico (TTR)46.
Il warfarin è stato, grazie alla sua efficacia, il principale
anticoagulante usato per la prevenzione dell’ictus nei pazienti
con FA31. In effetti, parallelamente all’incremento dell’uso del
warfarin, i tassi di ictus ischemico si sono progressivamente
ridotti nella popolazione Medicare statunitense53 e in alcuni
registri come il Kaiser Permanente una terapia anticoagulante
ben condotta (cioè a lungo termine e con mantenimento di
un TTR adeguato) si è dimostrata efficace nel prevenire gli
ictus minimizzando gli eventi emorragici54. Tuttavia è ben
noto che il trattamento con warfarin è associato a importanti
problematiche. Interazioni alimentari e con farmaci che interagiscono con il suo metabolismo epatico determinano effetti
collaterali, anche con necessità di ricovero ospedaliero55 e imprevedibilità di risposta. Questa, anche per la ridotta finestra
terapeutica con aumentato rischio emorragico o trombotico
per INR non in range terapeutico, richiede il monitoraggio
routinario dello stesso INR e frequenti aggiustamenti posologici, specie all’inizio del trattamento, con le conseguenti
difficoltà logistiche che comportano anche l’insofferenza dei
pazienti45. La difficoltà di mantenere l’INR entro i limiti del
ristretto range terapeutico è evidenziata da una metanalisi su
oltre 20 000 pazienti trattati con questo farmaco negli Stati
Uniti che ha rilevato un TTR medio del 55%56. Inoltre il tempo
di latenza è elevato, gli effetti si protraggono a lungo e si può
manifestare anche la cosiddetta resistenza al warfarin. Infine,
cosa ancora più importante, il warfarin è associato ad un aumentato rischio di emorragie, in particolare intracraniche45.
Peraltro va ricordato che circa i due terzi dei pazienti trattati
con warfarin con eventi emorragici intracranici avevano un
INR nel range terapeutico.
Nonostante sia ampiamente dimostrata una riduzione significativa dell’incidenza di ictus, la TAO con i dicumarolici ha
significativi limiti di implementazione nella pratica clinica ed
è spesso sottoutilizzata nel mondo reale, essendo impiegata,
G ITAL CARDIOL | vol 17 | SUPPL 1 AL N 9 2016
15S
F Nardi et al
a livello internazionale e nel nostro Paese, in meno del 60%
dei pazienti con FA che ne avrebbero indicazione, come documentato da numerose survey e registri realizzati negli ultimi
10 anni57. In generale, la mancata prescrizione di una terapia
con AVK nei pazienti con FA appare riconducibile a due principali ordini di motivi58: il timore di complicanze emorragiche,
anche se queste complessivamente presentano una bassa
incidenza, e le difficoltà di ordine pratico e logistico legate
all’effettiva implementazione del trattamento. L’auspicio è
che l’introduzione dei NAO, finalmente disponibili anche nel
nostro Paese, possa colmare il sottoutilizzo della TAO nella FA,
in tutti i pazienti in cui, seppur in assenza di controindicazioni,
non viene praticata la terapia con warfarin o che addirittura
assumono aspirina57,59.
I NAO sono emersi di recente come un’importante alternativa agli AVK per la prevenzione degli eventi tromboembolici nei pazienti con FA non valvolare e dovrebbero essere presi
in considerazione per quasi tutti i pazienti, in considerazione
del loro profilo di efficacia e sicurezza. Tutti e quattro i NAO
studiati, come già precedentemente detto, sono efficaci per
la prevenzione dell’ictus almeno quanto il warfarin (alcuni superiori) e sicuri (alcuni più del warfarin)1. Il più importante e
comune riscontro circa i NAO è il basso tasso di emorragie
intracraniche. Essi hanno inoltre altri vantaggi rispetto agli
AVK, con un effetto molto più prevedibile e minori interazioni
con alimenti e altri farmaci, come già trattato nella sezione
1.3 “Interazioni farmacologiche”, senza quindi la necessità
di un monitoraggio laboratoristico continuo32. Hanno infine
un rapido inizio d’azione e una rapida scomparsa degli effetti,
rendendo inutile un “bridging” con terapia anticoagulante
parenterale all’inizio del trattamento o in caso fosse necessaria una breve interruzione per procedure invasive. Inoltre,
nonostante siano considerevolmente più cari del warfarin,
hanno un migliore rapporto costo/efficacia.
Tra i pazienti che dovrebbero avere la maggiore priorità
nell’utilizzo dei NAO, potrebbero essere compresi45,58 coloro
che non assumono alcun anticoagulante (per un precedente rifiuto dell’anticoagulazione con warfarin o per una FA di
nuova insorgenza), o con storia di emorragia intracranica o ad
alto rischio di eventi ricorrenti di ictus, con problemi logistici
che ne impediscono un adeguato monitoraggio dei valori di
INR oppure coloro che manifestano una preferenza per essere
trattati con i NAO.
Un INR labile è stato identificato come fattore di rischio
emorragico, tanto da essere incluso nello score HAS-BLED, e
i pazienti con un TTR insoddisfacente sono ottimi candidati ai
NAO45,58. In questi casi lo switch da warfarin a NAO è sicuro
(quasi metà dei pazienti che hanno partecipato ai trial con
i NAO erano in precedenza trattati con warfarin)45. Se i pazienti in trattamento con AVK sono stabili, sotto controllo e
soddisfatti della loro terapia non vi è necessità di cambiarla,
ma è importante discutere comunque questa opzione con i
pazienti candidabili31.
I NAO hanno però alcune limitazioni, ad esempio sono
controindicati nell’insufficienza epatica grave (Child-Pugh
C): il dabigatran 150 mg è sicuro nella classe Child-Pugh B;
il rivaroxaban è controindicato nella classe Child-Pugh B; va
usata infine cautela per apixaban nella classe Child-Pugh A
e B. Anche l’aspetto dell’aderenza è cruciale, poiché omettere anche una sola dose può fare perdere la protezione dal
tromboembolismo. Da questo punto di vista, l’INR costituisce
una misura attendibile dell’aderenza. Sono richiesti aggiustamenti posologici in caso di insufficienza renale o di obesità.
Per diversi motivi i NAO presentano alcune similitudini con
gli antiaggreganti orali, che al giorno d’oggi sono tra i farmaci maggiormente prescritti in ambito cardiologico59. Infatti, entrambe queste categorie vengono somministrate per via
orale (in mono o duplice dose quotidiana), non è possibile
verificarne nella pratica clinica la regolare assunzione da parte
del paziente, il loro profilo di sicurezza appare simile, non c’è
evidenza clinica della necessità di un monitoraggio farmacodinamico e/o farmacocinetico59.
La Tabella 10 mostra i principali criteri di scelta tra AVK e NAO.
Per completezza esaminiamo ora cosa indicano le diverse
linee guida, quando è raccomandata una terapia anticoagulante. Per quanto riguarda i farmaci da utilizzare, apparentemente, non sembrano esistere differenze sostanziali tra AVK e NAO.
Secondo le linee guida ESC31, nei pazienti con CHA2DS2VASc =1 dovrebbero essere presi in considerazione un AVK (INR
target tra 2 e 3), un inibitore diretto della trombina o un inibitore orale del FXa, sulla base del rischio emorragico, della capacità di sostenere con sicurezza un’anticoagulazione aggiustata e
delle preferenze del paziente (raccomandazione di classe IIaA).
Nei pazienti con CHA2DS2-VASc ≥2 è raccomandata, se non
controindicata, la terapia con AVK, inibitori diretti della trombina o inibitori orali del FXa (raccomandazione di classe IA).
Un inibitore diretto della trombina o un inibitore orale del FXa
Tabella 10. Variabili che indirizzano verso il trattamento con antagonisti della vitamina K o con nuovi anticoagulanti orali.
A favore di AVK
•
•
•
•
•
•
•
TTR >70% nei pazienti già trattati
Assenza di rischio trombotico/emorragico elevato
Valvulopatie gravi o protesi valvolari
Insufficienza renale o epatica grave
Neoplasie severe
Pazienti in cui è prevedibile una scarsa aderenza
Necessità di doppia antiaggregazione (sono in corso studi
anche con i NAO a minor dosaggio)
• Trattamento con farmaci che hanno dimostrato interferenze
rilevanti con i NAO
• Intolleranza ai NAO
• Preferenza del paziente
A favore di NAO
•
•
•
•
•
•
TTR <60% nei pazienti già trattati con AVK
Presenza di rischi trombotico/emorragici elevati
Storia di emorragia intracranica
Storia di emorragie maggiori non gastrointestinali
Problemi logistici per l’effettuazione del monitoraggio dell’INR
Difficoltà nell’aggiustamento delle dosi di AVK quando sono molto
basse
• Intolleranza a AVK
• In trattamento con farmaci che hanno dimostrato interferenze
rilevanti con AVK
• Preferenza del paziente
AVK, antagonisti della vitamina K; INR, international normalized ratio; NAO, nuovi anticoagulanti orali; TTR, tempo in range terapeutico.
16S
G ITAL CARDIOL | vol 17 | SUPPL 1 AL N 9 2016
NAO nella prevenzione del tromboembolismo nella FA
dovrebbero essere presi in considerazione rispetto agli AVK per
la maggior parte dei pazienti (raccomandazione di classe IIaA),
sia quando un AVK non può essere usato a causa di difficoltà
nel mantenere un dosaggio terapeutico, sia per effetti collaterali o incapacità di intraprendere un monitoraggio dell’INR
(raccomandazione di classe IB).
Anche secondo le linee guida canadesi52, la maggior parte
dei pazienti dovrebbe ricevere un NAO rispetto al warfarin
(raccomandazione condizionale, prova di alta qualità).
Secondo le recenti linee guida statunitensi30 le opzioni
includono il warfarin (INR 2.0-3.0) con una raccomandazione di classe IA, mentre dabigatran, rivaroxaban e apixaban
hanno una raccomandazione di classe IB. Nei pazienti in cui
non è possibile mantenere un livello di INR terapeutico l’uso
dei tre NAO è raccomandato (raccomandazione di classe IC).
Nei pazienti con insufficienza renale moderata o severa si può
prendere in considerazione il trattamento con dosi ridotte di
NAO, ma la sicurezza e l’efficacia di tale pratica non sono
state stabilite (raccomandazione di classe IIbC).
Le linee guida NICE50 raccomandano apixaban, dabigatran e rivaroxaban come opzioni per la prevenzione di ictus
ed embolie sistemiche nei pazienti con FA.
Le linee guida dell’Associazione Italiana di Aritmologia e Cardiostimolazione (AIAC)51, infine, raccomandano
nei pazienti con CHA2DS2-VASc =2 warfarin (INR 2.0-3.0) o
dabigatran, rivaroxaban, apixaban, mentre nei pazienti con
CHA2DS2-VASc =1 è lasciata la scelta terapeutica al medico di
selezionare per la terapia anticoagulante solo quelli che possono avere un beneficio dalla terapia con warfarin (INR 2.03.0) o dabigatran, rivaroxaban, apixaban (raccomandazione
di classe IIbB).
2.3 Vi sono differenze tra i singoli nuovi anticoagulanti
orali?
Considerato che i trial con i NAO non erano simili nel singolo
disegno dello studio e nei criteri di inclusione ed esclusione,
è difficile fare una comparazione tra gli agenti in assenza di
confronti diretti. Non vi sono chiare evidenze a favore dell’uno o dell’altro NAO, sebbene le caratteristiche dei pazienti,
la compliance attesa, la tollerabilità farmacologica e i costi di
ciascun farmaco devono essere considerati nella scelta dell’agente terapeutico.
Le linee guida NICE50 fanno riferimento alle indicazioni
delle singole molecole:
–– il dabigatran etexilato può essere usato in presenza di
uno o più fattori di rischio come pregresso ictus, attacco
ischemico transitorio (TIA) o embolia sistemica, frazione di
eiezione <40%, età >75 anni, età ≥65 anni con uno dei
seguenti fattori: diabete mellito, ipertensione arteriosa o
coronaropatia;
–– l’apixaban e il rivaroxaban possono essere usati in presenza di uno o più fattori di rischio come pregresso ictus o
TIA, età >75 anni, ipertensione arteriosa, diabete mellito
e scompenso cardiaco.
Le linee guida europee31 danno inoltre indicazioni circa la posologia: quando si prescrive il dabigatran si dovrebbe preferire il
dosaggio di 150 mg bid con quattro principali eccezioni: pazienti
ultraottantenni, che fanno uso di farmaci a rischio di interazioni
(verapamil), con punteggio HAS-BLED ≥3 e con compromissione
renale (clearance della creatinina [CrCl] 30-49 ml/min) (raccomandazione di classe IIaB). In queste quattro condizioni dovreb-
be essere somministrata la dose di 110 mg bid. Nelle medesime
condizioni di alto rischio emorragico o compromissione renale,
quando si prescrive il rivaroxaban si dovrebbe preferire il dosaggio di 15 mg piuttosto che 20 mg (raccomandazione di classe
IIaC). Anche per l’apixaban è preferito il dosaggio dimezzato (2.5
mg bid) nei pazienti con età >80 anni, di peso <60 kg e con
creatininemia ≥1.5 mg/dl (133 mmol/l) .
2.4 Piani terapeutici
In alcuni paesi la prescrizione dei NAO ha delle restrizioni a livello nazionale, regionale e locale46, in quanto il loro uso come
farmaci di prima linea è considerato finanziariamente proibitivo
(nonostante nelle analisi di costo-efficacia i NAO siano risultati
addirittura superiori al warfarin)60. Ad esempio, il National Health Service scozzese limita la prescrizione del rivaroxaban ai
pazienti che hanno un cattivo controllo dell’INR e a quelli che
sono allergici o intolleranti al warfarin, sebbene il Department
of Health del Regno Unito segua le linee guida NICE che raccomandano i NAO come opzione terapeutica al pari del warfarin47. In alcuni paesi dell’Europa dell’Est, come in Ungheria,
il servizio sanitario nazionale limita la prescrizione dei NAO ai
pazienti con pregresso ictus o con cattivo controllo dell’INR. In
Spagna i pazienti devono avere un INR fuori range per 3 volte
consecutive per aver prescritto un NAO46. Restrizioni all’accesso
ai NAO possono conseguire anche a barriere di tipo amministrativo. In Ungheria è consentita la prescrizione dei NAO solo
a un numero limitato di specialisti e deve avvenire compilando
un case report form elettronico. Questo processo, nonostante
consenta un registro nazionale, causa perdita di tempo e quindi può indirettamente scoraggiare la prescrizione46. Anche in
Irlanda e in alcune regioni inglesi i medici devono compilare
moduli giustificativi per prescrivere un NAO46.
In Italia i NAO sono divenuti rimborsabili dal Servizio Sanitario Nazionale (SSN) per la prevenzione dell’ictus nella FA
non valvolare solo dal giugno 2013, con l’introduzione del dabigratan tramite la pubblicazione, sulla Gazzetta Ufficiale n.
127 del 1° giugno 2013, della Determina n. 495 del 20 maggio 2013 “Riclassificazione del medicinale Pradaxa, ai sensi
dell’articolo 8, comma 10, della legge 24 dicembre 1993, n.
537, ed estensione di nuove indicazioni terapeutiche”. Nel
settembre 2013 è divenuto rimborsabile anche il rivaroxaban,
prima limitatamente alla FA permanente e con la successiva
modifica anche per le altre forme dell’aritmia, nel gennaio
2014 si è aggiunto l’apixaban e infine, in questi giorni, è stato
inserito l’edoxaban.
L’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha vincolato l’erogabilità dei NAO con il SSN alla prescrizione da parte di centri
ospedalieri autorizzati e alla compilazione di un piano terapeutico informatizzato, web based, per consentire una raccolta dei dati all’interno della piattaforma dei registri AIFA.
Le Regioni sono tenute a individuare e accreditare i Centri
autorizzati con successiva registrazione nella Rete Regionale,
i cui elenchi dovranno essere trasmessi all’AIFA. In alcuni casi,
all’interno dei singoli Centri autorizzati, è necessaria una supplementare autorizzazione da parte della Direzione Sanitaria
per i singoli specialisti, che devono comunque appartenere
alle discipline individuate (cardiologi, internisti, geriatri, neurologi, ematologi che lavorano nei Centri di trombosi ed emostasi). Gli specialisti che operano al di fuori dei Centri autorizzati, anche se esercitanti nelle suddette discipline, dovranno
inviare il paziente ai Centri autorizzati o prescrivere il farmaco
a carico del paziente. Poiché l’assistenza ottimale ai pazienti
G ITAL CARDIOL | vol 17 | SUPPL 1 AL N 9 2016
17S
F Nardi et al
avviato dall’Agenzia per una maggiore trasparenza amminida trattare con NAO richiede un’interazione tra i diversi sogstrativa. I Registri dei Farmaci sottoposti a monitoraggio, tra
getti del sistema assistenziale, competerebbe alle Regioni e
cui i NAO, dovrebbero permettere ai medici di inserire, agalle Aziende Ospedaliere rendere rapidamente accessibili i
giornare, consultare e monitorare i dati relativi ai trattamenti
Centri e gli specialisti autorizzati attraverso percorsi ad hoc
dei pazienti (eleggibilità e follow-up) e alle dispensazioni dei
sia durante il ricovero sia in caso di prescrizione ambulatoriale.
farmaci, previa verifica dell’effettiva erogazione del farmaco
Ai fini delle prescrizioni a carico del SSN, gli specialisti auda parte dei farmacisti.
torizzati devono compilare sulla piattaforma web dell’AIFA
Dal punto di vista strettamente teorico, la possibilità di
una scheda raccolta dati informatizzata di arruolamento che
creare un database amministrativo unico sui NAO riveste imindica i pazienti eleggibili (Figura 7), il piano terapeutico e la
portanti risvolti scientifici47; tuttavia, specie nelle fasi iniziali,
scheda di follow-up secondo le indicazioni pubblicate sul sito
non pochi specialisti si sono trovati in difficoltà nel seguire
dell’Agenzia. Dal 1° gennaio 2013 l’AIFA ha, infatti, avviato
questo processo nella pratica clinica. Il tempo necessario all’inla fase attuativa di un nuovo Sistema Informativo all’avanserimento di un piano terapeutico è variabile in relazione alla
guardia, pensato per rendere possibile la totale integraziodimestichezza
dell’operatore,
alla velocità della
intranet
tutti i sistemi
presenti attraverso
realizzazione diby
un Leonardo
- Copyrightne
- IldiPensiero
Scientifico
Editoreladownloaded
Bolognese
IP 93.44.102.38
Sat,rete
13 Aug
2016, 12:40:1
ospedaliera, agli orari di utilizzo (è opportuno evitare quelli
knowledge management di tipo amministrativo-contabile e
“di punta”) e alle potenzialità tecnologiche degli hardware
tecnico-sanitario. Il nuovo sistema si prefigge di semplificare
NAO: KeNOW
HOWutilizzati. Il modello di interazione tra l’utente e il
software
le procedure, ottimizzare le risorse e proseguire W
nelHY
processo
Figura 7. Flow chart per l’identificazione delle condizioni di prescrivibilità dei vari nuovi anticoagulanti orali (edoxaban in attesa di rimborsabilità).
Figura
1. Schema
logicoratio;
perNAO,
la guida
scelta dei
anticoagulanti
orali
criteri
di terapeutico.
prescrivibilità e rimINR, international
normalized
nuovi della
anticoagulanti
orali;nuovi
TAO, terapia
anticoagulante
orale;secondo
TTR, tempo
in range
Riprodotta con permesso da Rossini et al.59.
borsabilità.
NAO, nuovi anticoagulanti orali; TAO, terapia anticoagulante orale; TTR, tempo in range terapeutico.
18S
G ITAL CARDIOL | vol 17 | SUPPL 1 AL N 9 2016
NAO nella prevenzione del tromboembolismo nella FA
sistema è quello tipico dell’ambiente Internet, dove il colloquio è realizzato tramite elementi visivi a carattere testuale
e iconografico che facilitano l’utilizzatore nell’intuizione delle
azioni da intraprendere.
3. COME RICONOSCERE LA FIBRILLAZIONE ATRIALE
NON VALVOLARE
3.1 Criteri clinici
Nella popolazione di pazienti con FA il rischio tromboembolico non è omogeneo. L’incidenza annuale di ictus ed eventi embolici sistemici, riportata nella letteratura scientifica, va
da valori <1% a tassi >20%, a seconda delle caratteristiche
cliniche della popolazione esaminata48. Alcune valvulopatie
sono associate ad un rischio tromboembolico intrinseco che
può essere amplificato dalla presenza di FA. Le prime evidenze
dell’efficacia della terapia anticoagulante nella prevenzione del
tromboembolismo associato alla FA derivano da studi condotti
in popolazioni in cui la maggior parte di pazienti era affetta da
valvulopatia reumatica61. Studi epidemiologici successivi hanno
dimostrato una significativa differenza nel rischio di ictus nei
pazienti con FA e malattia reumatica rispetto ai pazienti con FA
senza malattia reumatica (con un rischio di ictus aumentato,
rispettivamente di 17 e 5 volte, se confrontato con la popolazione generale)62. Uno dei primi studi che ha introdotto il concetto di FA non valvolare utilizzava il termine di “non-rheumatic
non-valvular heart disease”49 riferendosi ai pazienti con FA e
senza una storia clinica di malattia reumatica cardiaca, né segni
clinici o radiologici di significativa valvulopatia. La differente incidenza di episodi tromboembolici nella FA associata a valvulopatia reumatica e nelle altre forme di FA suggerisce la necessità
di un approccio antitrombotico differente in queste due forme
di FA62, tema che verrà trattato più avanti.
Anche se la FA è associata ad una valvulopatia in circa il
30% dei casi63, non tutte le malattie valvolari comportano
un significativo incremento del rischio tromboembolico. La
stenosi mitralica, prevalentemente di natura reumatica, nella
sua storia naturale è associata a un elevato rischio di eventi
tromboembolici, anche fatali64. In presenza di FA e stenosi
mitralica è, quindi, sempre indicata una terapia anticoagulante65, indipendentemente dalla presenza di ulteriori fattori di
rischio (vedi CHA2DS2-VASc).
3.2 Definizione operativa per la pratica clinica La definizione di FA non valvolare rappresenta a tutt’oggi una
problematica aperta e “in progress”, tanto che l’attuale interpretazione appare come un “frammento fotografico esposto
al flusso del tempo”. È presumibile, infatti, che nei prossimi
anni la necessità di distinzione tra FA non valvolare e FA valvolare sarà molto ridimensionata e di conseguenza le ricadute
terapeutiche che ad oggi risultano fortemente condizionate
da tale suddivisione, perderanno di significato.
Su questo delicato tema recentemente sono state pubblicate alcune survey, analisi post-hoc dei grandi trial e consensus di esperti. La necessità di una chiarezza nosografica è
evidente, in quanto da un lato la definizione del tipo, della
caratteristiche e dell’entità di una concomitante patologia
valvolare condizionano le nostre scelte terapeutiche in corso
di FA, e dall’altro andrebbe ridefinita l’ampia variabilità epidemiologica della FA non valvolare, che come riportato da diversi registri su popolazioni analoghe, è stimata in percentuali
che variano dal 6% al 40%4,66.
Una recente survey condotta tra cardiologi e internisti italiani ha confermato quanto sia sentita la mancanza di una
definizione precisa della FA non valvolare e la necessità per
il cardiologo che le Associazioni Scientifiche di riferimento,
nazionali ed internazionali, producano documenti condivisi
che permettano un’interpretazione quanto più possibile univoca67.
Il termine valvolare/non valvolare causa, infine, confusione perché indubbiamente generico e perché associa categorie
disomogenee ma con simile rischio o patogenesi tromboembolica. Nessuno dei criteri finora utilizzati è considerato soddisfacente e ogni singola patologia valvolare dovrebbe, nel
singolo paziente, essere definita nelle sue caratteristiche anatomo-clinico-emodinamiche nel modo più accurato possibile
considerando il rischio tromboembolico indipendente dalla
valvulopatia68.
Rischiando di semplificare la problematica, è però intuibile
che i pazienti con FA non valvolare sono tutti quelli che non
hanno una valvulopatia significativa. Ma chi sono al contrario
quelli che hanno una valvulopatia significativa? Ad oggi bisogna attenersi ai soli pazienti considerati in tal modo, ed esclusi, dai grandi trial. Analizzando i criteri di esclusione (Tabella
11), essi sono: (a) pazienti portatori di protesi valvolari meccaniche o biologiche, (b) pazienti con stenosi mitralica reumatica
moderato-severa o (c) pazienti con una valvulopatia emodinamicamente significativa (nel RE-LY storia di valvulopatia, protesi valvolare o valvulopatia emodinamicamente significativa;
nel ROCKET AF, protesi valvolare o stenosi valvolare mitralica;
nell’ARISTOTLE, protesi valvolare, stenosi mitralica moderata
o severa; nell’ENGAGE AF-TIMI 48, protesi valvolare, stenosi mitralica moderato-severa). In pratica, pazienti con protesi
valvolare meccanica e biologica e valvulopatia rilevante emodinamicamente, o esiti di interventi valvolari.
Tabella 11. Criteri di inclusione-esclusione negli studi clinici di fase III sui nuovi anticoagulanti orali.
RE-LY7
ROCKET AF8
ARISTOTLE9
ENGAGE AF-TIMI 4810
Dabigatran
Rivaroxaban
Apixaban
Edoxaban
Stenosi mitralica moderata- severa
E
E
E
E
Altre valvulopatie moderate-severe
E
I
I
I
Protesi meccanica
E
E
E
E
E
E
I
I
NS
I
I
I
Molecola in studio
Protesi biologica
Riparazione valvolare chirurgica
E, escluso; I, incluso; NS, non specificato.
G ITAL CARDIOL | vol 17 | SUPPL 1 AL N 9 2016
19S
F Nardi et al
Le linee guida pratiche EHRA del 2014 definiscono come
non valvolare la FA in assenza di stenosi mitralica reumatica,
senza tuttavia definirne il grado di severità, e la presenza di
una protesi meccanica e biologica cardiaca o la riparazione
valvolare mitralica22.
Dal punto di vista clinico, la valutazione iniziale del paziente con FA accertata o sospetta e di cui si vuole definire/escludere la presenza di concomitante valvulopatia significativa, va
effettuata sulla base della conoscenza approfondita delle notizie anamnestiche, su un accurato esame obiettivo, e richiede
indistintamente una valutazione ecocardiografica transtoracica o, se ritenuto indicato, transesofagea per definire il profilo
strutturale-emodinamico della valvulopatia (Figura 8).
4. COSA POSSIAMO FARE NELLA FIBRILLAZIONE
ATRIALE VALVOLARE E NEL PAZIENTE CON PROTESI
VALVOLARE
Come già detto, la definizione di non Valvolare nella FA, ha
generato molta confusione. De Caterina e Camm68 hanno
contribuito a fare chiarezza sulla definizione di FA valvolare o
non valvolare, ma soprattutto sul rischio tromboembolico associato alle diverse valvulopatie o protesi valvolari analizzando
i lavori presenti in letteratura che indagavano questo aspetto.
La conclusione è che il rischio tromboembolico è significativamente aumentato solo nella FA associata a stenosi mitralica
reumatica di grado moderato/severo o nelle protesi meccaniche, mentre nelle altre valvulopatie o protesi biologica o
valvuloplastica, il rischio tromboembolico è sovrapponibile a
quello nei pazienti con la sola FA, indipendentemente dalla
problematica valvolare associata. È stato proposto il termine
“mechanical and rheumatic mitral valvular AF”, da trattare
obbligatoriamente con warfarin o acenocumarolo. In tutti
gli altri casi non vi è evidenza scientifica di un diverso rischio
tromboembolico rispetto alla sola FA per cui i pazienti potrebbero essere trattati con i NAO68.
È da considerare che nei trial sui NAO nella FA sono stati
arruolati anche alcuni pazienti con valvulopatia, protesi biologica o valvuloplastica mitralica. Nello studio RE-LY i criteri di
esclusione di fatto erano molto stringenti sul non arruolare
Figura 8 ECG Anamnesi Esame obiettivo Esami strumentali (es. ecocardiografico, ETE) • Esami di laboratorio •
•
•
•
20S
pazienti con storia di valvulopatia, di fatto escludendo pazienti
con protesi, chirurgia valvolare pregressa o valvulopatia maggiore a grado lieve7. Breithardt et al.69, analizzando la popolazione arruolata nello studio ROCKET AF, hanno evidenziato
che su 14 171 pazienti, 1992 (14.1%) avevano una valvulopatia mitralica o aortica significativa. Il trattamento con rivaroxaban vs warfarin non ha mostrato significative differenze
nell’endpoint di efficacia (tromboembolie) nei pazienti con e
senza valvulopatia associata, mentre per l’endpoint di sicurezza nei pazienti con valvulopatia associata trattati con warfarin
vs rivaroxaban si sono avuti meno eventi emorragici maggiori/
non maggiori clinicamente rilevanti e le emorragie intracraniche sono state ridotte anche se in maniera statisticamente
non significativa (p=0.084). Avezum et al.70 hanno esaminato
le caratteristiche dei pazienti arruolati nello studio ARISTOTLE
e trattati con apixaban vs warfarin ed hanno riscontrato che
4808 (26.4%) pazienti avevano una valvulopatia almeno moderata o precedente chirurgia valvolare (n=251). Non vi sono
differenze negli endpoint di sicurezza ed efficacia nei pazienti
con e senza valvulopatia trattati con apixaban. Anche nel trial
ENGAGE AF-TIMI 48, in cui i pazienti sono stati sottoposti a
trattamento con edoxaban vs warfarin, sono stati arruolati
pazienti con valvulopatia moderata/severa o protesi biologica
o valvuloplastica ma non abbiamo dati.
Nello studio RE-ALIGN il dabigatran è stato confrontato
con warfarin nei pazienti con protesi meccanica nella profilassi degli eventi tromboembolici. I risultati sono stati un aumento degli eventi tromboembolici (9 [5%] in dabigatran vs 0
in warfarin) e delle emorragie (7 [4%] vs 2 [2%] nei pazienti
trattati con dabigatran vs warfarin) e per tale motivo il trial
è stato interrotto precocemente dopo l’arruolamento di soli
252 pazienti71.
Nel recente aggiornamento delle linee guida EHRA sulla terapia con i NAO, si sottolinea che nella FA non valvolare (che non
sia la protesi meccanica o la stenosi mitralica moderata/severa)
è lecito utilizzare i NAO. Nei pazienti post-impianto di protesi
biologica o post-valvuloplastica, dopo un periodo di 3-6 mesi di
trattamento con AVK è ragionevole se necessario passare ad un
NAO. Ed anche nei pazienti sottoposti ad impianto transcatetere
di valvola aortica, in cui sostanzialmente si impianta una prote-
FA
VALUTAZIONE CLINICA
FANV FA VALVOLARE TAO NAO/TAO Figura
8. Valutazione clinica e strumentale essenziale per definire la fibrillazione
atriale
non valvolare/valvolare.
ETE,
ecocardiografia transesofagea; FA, fibrillazione atriale; FANV, fibrillazione
atriale
non valvolare; NAO, nuovi anticoagulanti orali; TAO, terapia anticoagu lante
orale.
G ITAL CARDIOL | vol 17 | SUPPL
1 AL N 9 2016
NAO nella prevenzione del tromboembolismo nella FA
si biologica, anche se in assenza di dati, sembrerebbe attuabile
poter utilizzare un NAO se non è possibile la terapia con AVK22.
Peraltro sono in programmazione dei trial che cercano di
rispondere a domande su particolari popolazioni di pazienti di
FA non valvolare come quelli con protesi biologica in posizione
mitralica da trattare con rivaroxaban vs warfarin (studio RIVER
[Rivaroxaban for Valvular Heart Disease and Atrial Fibrillation],
NCT02303795, ClinicalTrials.gov) o bioprotesi in posizione
mitralica e/o aortica da trattare con dabigatran vs warfarin
(DAWA [Dabigatran versus Warfarin after Mitral and/or Aortic
Bioprosthesis Replacement and Atrial Fibrillation Postoperatively], NCT01868243, ClinicalTrials.gov) o pazienti sottoposti
ad impianto transcatetere di valvola aortica da trattare con
apixaban vs warfarin vs warfarin + doppia antiaggregazione/
singola antiaggregazione (ATLANTIS [Anti-Thrombotic Strategy After Trans-Aortic Valve Implantation for Aortic Stenosis]
NCT02664649 ClinicalTrials.gov).
In conclusione, cosa possiamo fare nei pazienti con FA
valvolare e protesi valvolare? In questo momento nei pazienti
con FA associata a stenosi mitralica moderata/severa o protesi
meccanica non possono essere utilizzati i NAO, ma la profilassi tromboembolica deve essere effettuata esclusivamente con gli AVK. Tutti gli altri casi, le protesi biologiche o le
valvuloplastiche sono associati a un rischio tromboembolico
inferiore rispetto a quello delle protesi meccaniche, e pertanto è ragionevole utilizzare i NAO qualora non fosse possibile
somministrare gli AVK, anche perché questo tipo di pazienti
sono stati comunque arruolati nei grandi trial sui NAO e il
profilo di efficacia e sicurezza è stato sovrapponibile a quello
dimostrato sulle altre sottopopolazioni di pazienti.
5. COME COMPORTARSI DOPO UN PRIMO EPISODIO
DI FIBRILLAZIONE ATRIALE
Le linee guida ESC del 2010 e le più recenti linee guida AHA/
ACC/HRS del 2014 suggeriscono come la strategia antitrombotica da adottare debba essere indipendente dal numero di
episodi di FA documentati e dal tipo di FA30,72. Il razionale di
tale atteggiamento consiste nel fatto che una rilevante percentuale di episodi di FA sono asintomatici (dal 6% al 38% in
base alla popolazione studiata e alla metodologia di studio) e
che in oltre il 50% si assiste al ripristino spontaneo del ritmo
sinusale entro le prime 6h; inoltre il rischio di mortalità nei
pazienti al primo episodio documentato di FA risulta essere
superiore rispetto alle forme di FA parossistica e persistente.
Per tali motivi, il primo episodio documentato, sintomatico
o asintomatico, deve essere considerato potenzialmente uno
degli episodi ricorrenti che il paziente ha subito o subirà, e
richiede un comportamento univoco: stratificare il rischio
tromboembolico ed emorragico e definire l’adeguata terapia
antitrombotica profilattica.
A supporto di tale approccio, bisogna considerare che la
forma parossistica più o meno silente, nella storia naturale
della FA rappresenta spesso l’inizio verso forme persistenti o
permanenti: la storia naturale della FA è infatti quella di una
progressione da brevi, rari episodi a più prolungati e frequenti
fino alla cronicizzazione dell’aritmia. Inoltre la distribuzione
degli episodi ricorrenti della forma parossistica non è casuale
ma tende a clusterizzare. Tale evoluzione è comunque condizionata da alcune variabili come l’età, le comorbilità e le
caratteristiche ecocardiografiche. Inoltre gli episodi occasionali di FA asintomatica, come ha dimostrato l’AFFIRM (Atrial
Fibrillation Follow-up Investigation of Rhythm Management),
nonostante associati ad una riduzione di scompenso cardiaco
e delle ospedalizzazioni rispetto alle forme sintomatiche, presentano un rischio tromboembolico aumentato73.
Vi sono tuttavia condizioni in cui la FA è senza dubbio correlabile ad una causa reversibile (assunzione di alcol, distiroidismo, chirurgia, disturbo elettrolitico) oppure ad una causa
intercorrente (infarto miocardico acuto, chirurgica cardiaca e
non cardiaca, sepsi, embolia polmonare): in tali circostanze
può essere non necessaria l’anticoagulazione e limitarsi ad un
attento follow-up clinico e strumentale.
Il riscontro di FA, indipendentemente dal numero di episodi,
richiede sempre, al di là delle implicazioni di rischio tromboembolico, un suo inquadramento in base alle modalità di presentazione e durata (Tabella 12). Il rischio di ictus ed eventi tromboembolici nella FA parossistica appare tuttavia meno definito,
anche perché questi pazienti rappresentano una percentuale
più bassa sia nei trial che nei registri (generalmente <30%).
Nella popolazione degli studi SPAF (Stroke Prevention in Atrial
Fibrillation) l’incidenza annuale di ictus ischemico era simile nella forma intermittente (3.2%) e sostenuta (3.3%) e non si modificava in relazione al rischio tromboembolico del paziente74.
Stessi risultati provengono dall’analisi della Stockholm Cohort
che ha confermato l’assenza di differenze significative in termini di ictus ischemico tra FA parossistica e permanente75.
Analoghi risultati sono stati evidenziati nei pazienti dei
grandi trial condotti con i NAO, RE-LY e ARISTOTLE, e nello
studio ACTIVE W34,42. Tuttavia come considerato recentemente da una rassegna76, nelle linee guida non si fa riferimento ad
analisi derivanti dai trial come ACTIVE-A, AVERROES e dalle
sottoanalisi del ROCKET AF e del registro J-RHYTHM, e ciò ne
limita indubbiamente la reale applicabilità33,77.
La dimostrazione di un unico episodio di FA necessita comunque di un ulteriore approfondimento al fine di diagnosticare anche episodi di FA silente. In particolare, la ricerca del
burden di FA, come nello studio TRENDS in cui una durata
della FA di 5.5h/die aumentava significativamente il rischio
tromboembolico78-80, aggiunge ulteriori elementi di supporto
alla scelta terapeutica di eseguire la profilassi in questa tipologia di pazienti, considerando che le linee guida rappresentano
delle raccomandazioni, e come tali indicano dei suggerimenti
in modelli spesso più teorici di quelli che si affrontano nella
pratica clinica.
5.1 Stratificazione del rischio, score e limiti
La stratificazione del rischio tromboembolico ed emorragico è
effettuata tramite l’uso di score codificati: il CHA2DS2-VASc per
Tabella 12. Classificazione della fibrillazione atriale (FA).
• FA di prima diagnosi: paziente che presenta l’aritmia per la
prima volta indipendentemente dai sintomi e dalla durata.
• FA parossistica: forme che terminano spontaneamente
generalmente entro le 48h.
• FA persistente: forme di durata >7 giorni o che necessitano di
cardioversione farmacologica o elettrica per ripristinare il ritmo
sinusale.
• FA persistente di lunga durata: forme di durata >1 anno
• FA permanente: forme per le quali non vengono intrapresi
interventi del controllo del ritmo.
• FA silente asintomatica: diagnosticata occasionalmente
mediante ECG o l’interrogazione di un dispositivo e
presentatasi come qualsiasi delle precedenti forme temporali.
G ITAL CARDIOL | vol 17 | SUPPL 1 AL N 9 2016
21S
F Nardi et al
la definizione del rischio tromboembolico (età, sesso, storia di
scompenso cardiaco congestizio o frazione di eiezione <40%,
ipertensione arteriosa, diabete mellito, pregresso ictus/TIA o
altro evento tromboembolico, malattia vascolare); l’HAS-BLED
per la definizione del rischio emorragico (ipertensione arteriosa, insufficienza renale, insufficienza epatica, ictus, pregresso
sanguinamento maggiore o predisposizione al sanguinamento, uso di farmaci che predispongono al sanguinamento, valori di INR labili, età del paziente, assunzione di alcol)81.
Nonostante il loro utilizzo sia stato ampio nello studio osservazionale europeo (rispettivamente l’83.7% e il 78.2%) e
le linee guida suggeriscano di utilizzarli indipendentemente
dal tipo di FA e dal numero di episodi, quindi anche al primo
episodio documentato, viene riportato che i medici spesso
tengono in considerazione altri fattori al momento non inclusi negli score abituali (dimensioni atriali, insufficienza renale,
burden di FA), specie per il rischio trombotico.
Va comunque ricordato che la popolazione in cui furono
validati entrambi gli score era una popolazione affetta da FA
persistente e non da altre forme, anche se tutti i trial condotti
con i NAO hanno utilizzato il CHADS2 come score di riferimento, come del resto gli studi che hanno confermato l’importanza
degli episodi di FA parossistica silente nella genesi tromboembolica (ASSERT [Atrial Fibrillation Reduction Atrial Pacing Trial]
o MDT AT500). Nell’analisi post-hoc dell’ARISTOTLE il rischio
di ictus, ma non quello di sanguinamento, risultava differente
nel rischio basso se calcolato con il CHADS2 score o con il
CHA2DS2-VASc score (CHADS2 =1 HR 0.85, CHA2DS2-VASc
=1 HR 1.18, CHADS2 =2 HR 0.90, CHA2DS2-VASc =2 1.26)
mentre risultava sostanzialmente analogo nel rischio tromboembolico elevato82. Il CHA2DS2-VASc può non essere quindi
sufficiente nella stratificazione del rischio tromboembolico ed
informazioni maggiori sulla stratificazione del rischio tromboembolico potrebbero derivare dall’associazione con altri marker predittivi, biomarcatori, l’insufficienza renale, il burden di
FA e alcuni parametri ecocardiografici.
Il burden di FA è stato ampiamente studiato in questi anni
e diventa ancora più interessante quando viene associato al
rischio tromboembolico. Nel trial ASSERT che ha arruolato
pazienti senza precedente storia di FA, un CHADS2 score medio 2.41, nei pazienti che presentavano un episodio di FA di
durata >6 min, sintomatica o asintomatica, aumentava non
solo il rischio di avere recidive di FA ma soprattutto il rischio
di episodi tromboembolici; se l’episodio di FA lo associamo al
rischio tromboembolico, possiamo vedere come nei pazienti con CHADS2 =1 e senza episodi, il rischio tromboembolico era 0.19%/anno, mentre nei pazienti con episodi di FA e
CHADS2 >2 il rischio diventa estremamente più elevato. Precedentemente in casistiche minori era stato rilevato, come nei
pazienti con CHA2DS2-VASc =1 la comparsa di episodi di FA
di durata tra 5 min e 24h aumentava sensibilmente il rischio
tromboembolico.
La presenza di registrazione di FA combinato con lo score
CHADS2 o CHA2DS2-VASc è in grado quindi di modificare e
migliorare la stratificazione del rischio tromboembolico.
Cosa fare quindi? Mentre sappiamo come comportarci
nell’elevato rischio tromboembolico e basso rischio emorragico, più difficile è scegliere al primo episodio documentato di
FA nel paziente a basso rischio tromboembolico soprattutto
se associato a elevato rischio emorragico, seppur rappresenta
una percentuale modesta (circa il 4%) secondo i dati ATA-AF66
22S
G ITAL CARDIOL | vol 17 | SUPPL 1 AL N 9 2016
o se associato a basso rischio emorragico (32% della popolazione). Un’ipotesi operativa potrebbe essere:
–– CHA2DS2-VASc =0: nei pazienti con età <65 anni e FA
“lone” nessuna indicazione a terapia antitrombotica;
–– CHA2DS2-VASc =1: secondo le linee guida nazionali ed
ESC iniziare anticoagulazione preferibilmente con NOA.
Le linee guida americane consigliano di iniziare terapia
anticoagulante con un valore >1.
Da considerare inoltre che il rischio tromboembolico nei
pazienti con CHA2DS2-VASc =1 è molto basso, stimato circa 0.1-0.2 per le donne e 0.5-0.7 per gli uomini75. In questa
specifica categoria a basso rischio secondo gli score abituali, il
supporto di altri parametri come il burden di FA, i biomarcatori, l’insufficienza renale ed alcuni parametri ecocardiografici,
quali l’ipertrofia ventricolare sinistra, la bassa velocità di flusso
in auricola sinistra, morfologia multilobata dell’auricola, possono risultare utili per meglio stratificare il rischio tromboembolico e guidare quindi le nostre scelte terapeutiche.
6. RUOLO DELL’IMAGING NELLA STRATIFICAZIONE
DEL RISCHIO TROMBOEMBOLICO
Le formazioni emboliche sono una non rara complicanza di
numerose patologie cardiovascolari tra cui la FA, le endocarditi infettive, le protesi valvolari, l’infarto miocardico, le valvulopatie. Diversi studi indicano quale origine cardioembolica
circa il 15-20% di tutte le embolie sistemiche e circa il 25%
degli ictus criptogenetici o TIA83.
L’imaging cardiaco assume così un ruolo importante nel
coadiuvare il clinico a ricercare la migliore strada per indirizzare il paziente verso un percorso terapeutico più virtuoso.
Tra tutti, l’ecocardiografia è l’esame diagnostico più diffuso, grazie alla praticità, alla possibilità di utilizzo al letto
del paziente ed alla facile riproducibilità. Gli ultrasuoni ci
permettono, infatti, di ricercare e stratificare il rischio tromboembolico in molteplici condizioni cliniche predisponenti
tra cui l’infarto miocardico con le conseguenti disfunzioni
sistoliche, rimodellamento ventricolare, aritmie. In questi
casi, ad esempio, la presenza di un ecocontrasto spontaneo
predispone al rischio di trombogenesi e conseguente episodio tromboembolico, ma uno dei substrati cardioembolici di
maggior rilievo rimane la FA.
Nel paziente con FA, l’esame ecocardiografico transtoracico ci può fornire informazioni utili per la stratificazione
del rischio tromboembolico, come ad esempio la ricerca di
condizioni clinico-strutturali sottostanti la FA, che possono
indirizzarci verso un approccio terapeutico più appropriato
(controllo della frequenza o cardioversione elettrica/farmacologica). Nella pratica clinica, l’ecocardiografia transesofagea
(ETE) si ritaglia un importante ruolo anche per la ricerca delle
fonti cardioemboliche (forame ovale pervio, caratteristiche
morfo-funzionali dell’auricola sinistra), essendo in grado sia
di fornire informazioni aggiuntive alla condizione clinica del
paziente sia di guidare eventuali procedure quali la cardioversione. Il primo obiettivo è tuttavia la ricerca della sorgente
emboligena, che nella FA è rappresentata prevalentemente
dalla trombosi endocavitaria in atrio sinistro.
La sensibilità dell’ecocardiografia transtoracica è tra il
39% e il 70% a seconda se il trombo è localizzato o meno in
auricola sinistra, sede preferenziale nei pazienti con FA non
valvolare84. Anche le dimensioni e volumi dell’atrio, ben va-
NAO nella prevenzione del tromboembolismo nella FA
lutabili all’ecocardiografia transtoracica, rappresentano un
valore per il rischio tromboembolico; infatti, in alcuni studi
tale rischio aumentava con l’ingrandimento-disfunzione atriale, verosimilmente per l’influenza del rimodellamento e della
alterata contrattilità, sulla maggiore stasi ematica con conseguente formazione di trombi85.
Un’altra metodica di imaging, la tomografia computerizzata cardiaca, è entrata di diritto come parte attiva di un percorso diagnostico nei pazienti con sospetta o nota cardiopatia
ischemica e può essere considerata a tutti gli effetti un ulteriore esame utile nella stratificazione del rischio cardioembolico prevalentemente per quanto attiene la ricerca di trombosi
auricolare e/o ventricolare sinistra. Tale metodica inoltre, potrebbe essere un buon esame per lo screening della trombosi
auricolare nei pazienti in cui sia controindicato l’ecocardiografia transesofagea, essendo dotata di un’eccellente sensibilità,
pur presentando difficoltà oggettive nel differenziare un ecocontrasto spontaneo severo da una trombosi86.
Infine, nella ricerca di fonti emboligene, la risonanza magnetica cardiaca riveste un ruolo più secondario ma spesso
complementare alle altre metodiche di imaging. Infatti, uno
studio pilota ha mostrato la maggior capacità dell’ecocardiografia transesofagea rispetto alla risonanza magnetica cardiaca nell’identificare lesioni potenzialmente emboligene nei
pazienti con ictus criptogenetico87.
7. COME ORGANIZZARE IL FOLLOW-UP DEI PAZIENTI
IN TRATTAMENTO CON I NUOVI ANTICOAGULANTI
ORALI
7.1 Un percorso strutturato e “ragionevole”
Il follow-up dei pazienti che assumono i NAO deve tenere
conto delle caratteristiche del soggetto (es. fragilità, comorbilità, età se >75-80 anni, politerapia, ecc.), del farmaco attribuito (con le sue peculiarità di assunzione, interazioni e metabolismo/eliminazione) e della sua potenziale pericolosità,
dell’aderenza alle terapie, della presenza di familiari, caregiver
o di una rete assistenziale o se il paziente sia istituzionalizzato ed infine delle strutture e dell’organizzazione sanitaria del
territorio in cui vive.
Nel momento in cui si inizia la terapia il paziente (e/o i
familiari e caregiver) deve essere opportunamente informato
sulle peculiarità del farmaco che deve assumere, sull’assorbimento con o senza il cibo, sui possibili effetti collaterali e sul
fatto che deve avvertire sempre il personale sanitario e il medico curante prima di qualsiasi interruzione o in caso di nuovi
farmaci, prescritti per esempio da altri specialisti.
Ad 1-2 mesi di distanza dall’inizio della terapia, si può
programmare un controllo presso l’ambulatorio cardiologico
(o infermieristico con personale dedicato), per verificare se vi
siano stati eventi tromboembolici e/o emorragici, l’aderenza e
persistenza alla terapia, i possibili effetti collaterali o complicanze e gli esami ematochimici (funzionalità epatica, renale,
emocromo) concordati con il medico di medicina generale
(MMG), per appurare che non vi siano nuove alterazioni significative che potrebbero comportare una riduzione di dose,
se non addirittura la sospensione del farmaco. Se emergono problematiche connesse alla gestione o direttamente alla
terapia, questa è l’occasione per risolverle, educando e rendendo il paziente il più possibile partecipe alla cura. A tale
proposito vi sono dati a favore dei NAO vs la terapia con AVK
riguardo all’elevata aderenza al trattamento (proporzione di
giorni in cui il paziente dispone della terapia ≥80%) dopo
l’inizio della terapia, soprattutto in coloro che hanno sperimentato in precedenza warfarin, con valori del 74% per il dabigatran, correlata ad un’appropriata selezione del paziente
e ad un monitoraggio sull’assunzione della terapia da parte
dei farmacisti che dispensavano il farmaco. Nei pazienti non
aderenti, il controllo più prolungato e stringente sull’assunzione della terapia con l’intervento del medico del paziente,
ne ha migliorato l’aderenza88. È in corso il trial AEGEAN (Assessment of an Education and Guidance program for Eliquis
Adherence in Non-valvular atrial fibrillation) in cui l’aderenza
dopo 6 mesi al trattamento con apixaban viene valutata con
un controllo elettronico del numero di compresse utilizzate,
ed i primi risultati resi noti hanno mostrato che l’educazione
del paziente ed una strategia aggressiva di ricordo con sms su
smartphone, sull’assunzione corretta, rispetto alla sola educazione e responsabilizzazione, è correlata ad un’aderenza e
persistenza a 6 mesi molto elevate (88% e 90.8% rispettivamente) e non vi sono differenze statisticamente significative
tra le due strategie.
Il MMG (o anche l’ambulatorio infermieristico dedicato),
opportunamente istruito ed informato può occuparsi del follow-up a medio-lungo termine89. Il paziente dovrebbe tornare ad un controllo periodico (es. ogni 3 mesi), da stabilire e
modulare in base alle sue caratteristiche. Un paziente di età
>75-80 anni o con una particolare fragilità, valutabile, come
suggerito nelle recenti raccomandazioni EHRA, con un punteggio ≥3, considerando il calo ponderale non intenzionale,
l’astenia anamnestica, uno scarso risultato al test con handgrip, un ridotto speed/gait test, una ridotta attività fisica, dovrà ricevere un più frequente controllo rispetto ad un paziente
più giovane o anziano “robusto”22,90.
Il paziente a 1 anno dall’inizio della terapia ritornerà presso l’ambulatorio cardiologico per il rinnovo del piano terapeutico AIFA ed in tale occasione il cardiologo potrà rivalutare in prima persona gli eventuali eventi tromboembolici e/o
emorragici, l’aderenza-persistenza, verificare gli esami ematochimici di controllo e stabilire se il trattamento può essere
continuato e a quale dose.
7.2 Parametri di laboratorio da controllare
Gli esami ematochimici periodici da verificare almeno annualmente sono la funzionalità renale con il calcolo della
CrCl con la formula di Cockcroft-Gault, la funzionalità epatica con le transaminasi e bilirubina totale, l’emocromo per
verificare la stabilità dell’emoglobina e la conta piastrinica.
Se vi è una moderata riduzione della funzionalità renale
(CrCl 30-49 ml/min/m2) o nel paziente fragile o >75-80 anni,
la CrCl è da verificare ogni 6 mesi. Tra gli esami ematochimici deve essere posta particolare attenzione al controllo
della funzionalità renale, essendo tutti i NAO eliminati in
percentuale variabile per questa via (con maggiore attenzione per il dabigatran essendo eliminato per l’80% a livello
renale), soprattutto nei pazienti più fragili, in caso di febbri,
temperature ambientali elevate, non adeguata idratazione
e gastroenteriti con diarrea e possibile disidratazione e comunque in tutte quelle situazioni in cui si può presupporre
una riduzione della CrCl.
Nelle linee guida europee sulla FA91 è riportato come
controindicato l’utilizzo dei NAO nei pazienti con CrCl <30
ml/min, mentre nella scheda tecnica dell’apixaban e del riG ITAL CARDIOL | vol 17 | SUPPL 1 AL N 9 2016
23S
F Nardi et al
varoxaban ne viene previsto l’uso con dose ridotta (rispettivamente 2.5 mg bid e 15 mg/die) in presenza di una marcata riduzione della funzione renale (CrCl 15-30 ml/min/m2).
Questo dato deve essere visto come la possibilità di non dover interrompere il trattamento in un paziente con funzione
renale che si dovesse compromettere durante il follow-up,
stabilizzandosi su tali valori; ciò dovrebbe indurre ovviamente un controllo più frequente (ogni 1.5-3 mesi). Un trucco
mnemonico consigliato nelle linee guida EHRA91 riguardo
alla rivalutazione della funzionalità renale, se presente disfunzione, è il rapporto tra CrCl/10, che dà l’intervallo in
mesi da utilizzare per la successiva verifica dei parametri (ad
es. se CrCl 60 ml/min, 60/10=6, quindi controllo della funzionalità renale entro 6 mesi). Da ricordare che la dose standard di 150 mg bid del dabigatran deve essere ridotta a 110
mg bid in caso di età ≥80 anni e considerata se paziente >75
anni e con moderata riduzione della funzione renale. Il dosaggio ridotto (15 mg/die) deve essere utilizzato anche nei
pazienti che assumono il rivaroxaban e che dovessero vedere
ridotta la funzione renale al di sotto dei 50 ml/min e nei pazienti che assumono apixaban (2.5 mg bid), se si dovessero
riscontrare presenti almeno 2 su 3 parametri tra peso ≤60
kg, età ≥80 anni o creatinina ≥1.5 mg/dl. Un dato da valutare, prima di iniziare la terapia con un NAO, può essere anche
il tempo di protrombina (PT) o l’aPTT, che possono poi essere
utili in situazioni di emergenza-urgenza (sanguinamento-interventi chirurgici o procedure non rinviabili) come valore
di riferimento, perché tali parametri possono dare un’idea
qualitativa del fatto che il paziente abbia assunto o meno la
terapia nel corso del follow-up (aPTT per il dabigatran e PT
per rivaroxaban)22,91.
7.3 Documenti da fornire al paziente
Utile consegnare al paziente oltre a materiale informativo,
una card o un documento che riporti il nome del farmaco,
la data di inizio, la dose e l’ora di assunzione e gli altri farmaci eventuali. È necessario dare istruzioni sulle interazioni
farmacologiche più comuni e cosa fare in caso di dimenticanza di una dose o di assunzione errata o in caso di piccoli
sanguinamenti. Il paziente deve essere istruito di avvertire il
MMG o il personale medico e/o infermieristico che si occupa
di seguirlo nel trattamento, se si dovessero verificare eventi di
questo tipo.
Inoltre il MMG deve essere avvisato in qualsiasi caso in cui
venga introdotto in terapia un nuovo farmaco o prodotto da
banco, assunto autonomamente dal paziente, per verificare
che non vi siano interazioni significative con la terapia anticoagulante assunta. Oltre alle interazioni segnalate nelle schede
tecniche dei farmaci esistono molteplici siti online che forniscono informazioni sulle interazioni descritte tra i vari farmaci
(es. reference.medscape.com/drug-interactionchecker; www.
pharmacy.ca.gov).
Dovrebbe essere anche chiaramente indicata la modalità
di interruzione da seguire per lo specifico NAO, in caso per
esempio di intervento chirurgico.
Il documento di accompagnamento dovrebbe anche
elencare i risultati degli ultimi esami ematochimici eseguiti e
quando eseguire i nuovi test di laboratorio. Questo documento è utile perché qualsiasi sanitario venga in contatto con il
paziente possa avere le informazioni di base per la gestione
delle terapia22,91.
24S
G ITAL CARDIOL | vol 17 | SUPPL 1 AL N 9 2016
8. GESTIONE DELLA TERAPIA ANTICOAGULANTE NEL
PAZIENTE CANDIDATO A PROCEDURE CHIRURGICHE
La gestione della terapia con i NAO nel paziente che deve
essere sottoposto a procedure invasive o intervento chirurgico elettivo (per cui si può ragionevolmente attendere almeno
12-24h) dipende da tre fattori: (a) funzionalità renale (calcolo
della CrCl con formula di Cockcroft-Gault), (b) NAO assunto
(mono o bisomministrazione, via di eliminazione), (c) rischio
emorragico della procedura: trascurabile, basso o alto.
In caso di procedura urgente/emergente la strategia di approccio comporta l’attivazione di percorsi specifici per ridurre
il rischio emorragico e, a questo proposito, l’introduzione nella pratica clinica di antidoti dei NAO potrebbe portare a un
cambiamento radicale sull’uso di tali anticoagulanti. Tuttavia,
data la breve emivita dei NAO, il valore clinico degli antidoti
nella vita reale rimane ancora da definire. Il 5 ottobre 2015
l’AIFA ha dato la notizia che la European Medicines Agency
(EMA) ha approvato in Europa l’uso del Praxabind®, frammento anticorpale inibitore specifico del dabigatran, in casi
di emorragia pericolosa per la vita o non controllata e procedura urgente/intervento chirurgico emergente. L’approvazione è seguita alla pubblicazione dei buoni risultati sui primi
90 pazienti che avevano avuto un’emorragia pericolosa per
la vita o dovevano andare incontro a procedure o interventi
chirurgici non procrastinabili (nelle successive 8h) in corso di
dabigatran e che erano stati trattati con l’antidoto. L’azione
del NAO è stata bloccata dopo pochi minuti da due boli di
idarucizumab92. Sono in avanzata fase di studio antagonisti
che bloccano gli inibitori del FXa e sembrerebbe possibile nel
corso dei prossimi mesi il loro arrivo sul mercato (andexanet
alfa) (NCT02329327, Clinicaltrials.gov, Le Heuzey J.Y., dati
non pubblicati).
La valutazione del rischio emorragico di un intervento/procedura (Tabella 13) deve essere integrata con la funzionalità
Tabella 13. Rischio emorragico nelle procedure
Rischio trascurabile
• Interventi odontoiatrici (estrazione di 1-3 denti, chirurgia
paradontale, incisione di ascessi, implantologia)
• Oftalmologia (chirurgia cataratta o glaucoma)
• Procedure endoscopiche non interventistiche
• Chirurgia superficiale (es. incisione di ascessi, asportazione
di piccole lesioni cutanee, ecc.)
Rischio basso
• Procedure endoscopiche con biopsia
• Biopsie vescicali e prostatiche
• Studio elettrofisiologico o ablazione transcatetere nelle
camere destre
• Angiografia non coronarica
• Impianto pacemaker o defibrillatore (se anatomia non complessa)
Rischio alto
• Ablazione transcatetere nelle camere cardiache sinistre
(ablazione Wolff-Parkinson-White, isolamento vene polmonaria,
ablazione di alcune tachicardie ventricolaria)
• Anestesia spinale o epidurale, puntura lombare
• Chirurgia toracica, addominale, ortopedica maggiore
• Biopsia epatica o renale
• Resezione transuretrale della prostata
• Litotrissia con shock wave
valutare il momento della sospensione, considerando l’aumentato
rischio tromboembolico di queste procedure.
a
NAO nella prevenzione del tromboembolismo nella FA
renale del nostro paziente, per determinare il corretto timing
della sospensione. Nel caso di trascurabile rischio emorragico,
si può scegliere di attuare la procedura nel momento di minore concentrazione del NAO (la “valle” rispetto all’intervallo
di somministrazione) o non far assumere la dose del farmaco
prevista, facendo trascorrere 18-24h e riprendendo la terapia
6h dopo la procedura.
Nella Tabella 14 sono riportati i tempi in cui è consigliabile
sospendere il NAO prima di attuare una procedura/intervento
chirurgico. Si deve considerare che se il nostro paziente assume apixaban o rivaroxaban la quota eliminata a livello renale
(27% e 35% rispettivamente) è circa un terzo di quella del dabigatran che è dell’80%. Nel caso del dabigatran lo schema di
sospensione è più complesso. Se nel paziente si riscontrasse
una funzionalità renale severamente ridotta (15-30 ml/min, in
cui il dabigatran è controindicato) in caso di intervento a basso rischio si consiglia di attendere fino a 4-5 giorni e in caso
di rischio elevato anche >5 giorni22,59,93. Utilizzare una terapia
“bridge” vs nessuna terapia “bridge” sembra aumentare il rischio emorragico (6.5 vs 1.8%, p<0.001) e non ridurre il rischio
(basso) di eventi tromboembolici ed embolie sistemiche (1.2 vs
0.6%, p=0.16 e 0.5 vs 0.3%, p=0.46, rispettivamente)94.
Se l’emostasi è completa, la terapia può essere ripresa
dopo 6-8h dall’intervento/procedura. Se il rischio emorragico dovesse essere considerato elevato è consigliabile attendere 48-72h o comunque finché l’operatore non consideri
che il rischio emorragico sia ridotto, rispetto alle complicanze tromboemboliche eventuali legate all’immobilizzazione
e/o alla problematica per cui il paziente assume il NAO. Nel
caso di immobilizzazione prolungata del paziente dopo la
procedura/intervento, per evitare il rischio di tromboembolia
venosa, si può iniziare eparina a basso peso molecolare a
dosaggio profilattico, dopo le 6-8h, rimandando la ripresa
del NAO di 48-72h22,59,93.
Tabella 14. Tempi per l’interruzione dei nuovi anticoagulanti orali
prima di procedure/interventi chirurgici con basso o alto rischio emorragico, considerando la funzione renale.
NAO
CrCl
(ml/min)
Dabigatrana
Apixabanb
Rrivaroxaban
b
In caso In caso di basso rischio di alto rischio emorragico
emorragico
(ore dall’ultima (ore dall’ultima
assunzione)
assunzione)
≥80
≥50-80
≥30-50
≥24
≥36
≥48
≥48
≥72
≥96
≥30
≥24
≥48
<30
≥36
≥48
CrCl, clearance della creatinina.
a
controindicato se CrCl <30 ml/min.
b
controindicato se CrCl <15 ml/min.
9. RIASSUNTO
Dopo circa 4 anni dall’introduzione degli inibitori orali diretti della coagulazione, generalmente noti come nuovi anticoagulanti
orali (NAO) l’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (ANMCO) ha ritenuto necessario aggiornare il documento
sul ruolo di questi farmaci nella prevenzione del tromboembolismo nei pazienti con fibrillazione atriale non valvolare, pubblicato nell’anno 2013. All’interno di questo position paper vengono
prese in considerazione tutte le evidenze scientifiche disponibili
sull’impiego clinico dei NAO, derivanti non solo dai grandi trial
registrativi, ma anche dai più recenti studi osservazionali nella
pratica clinica. Il documento, inoltre, affronta tutti gli aspetti inerenti alla gestione pratica della terapia anticoagulante orale con
i nuovi inibitori diretti. In particolare, vengono proposti specifici
percorsi clinico-assistenziali, finalizzati all’implementazione ottimale della terapia anticoagulante con i nuovi farmaci nella pratica
clinica quotidiana. Infine, particolare attenzione viene riservata
alla gestione del follow-up nel medio e lungo periodo nei pazienti
indirizzati al trattamento con i nuovi agenti anticoagulanti.
Parole chiave. Anticoagulazione; Apixaban; Dabigatran; Edoxaban; Fibrillazione atriale; Rivaroxaban.
10. APPENDICE
Consensus Document Approval Faculty
Alunni Gianfranco, Amico Antonio Francesco, Amodeo Vincenzo, Angeli Fabio, Aspromonte Nadia, Audo Andrea, Azzarito
Michele, Battistoni Ilaria, Bianca Innocenzo, Bisceglia Irma, Bongarzoni Amedeo, Bonvicini Marco, Cacciavillani Luisa, Calculli
Giacinto, Caldarola Pasquale, Capecchi Alessandro, Caporale
Roberto, Caretta Giorgio, Carmina Maria Gabriella, Casazza
Franco, Casolo Giancarlo, Cassin Matteo, Casu Gavino, Cemin
Roberto, Chiarandà Giacomo, Chiarella Francesco, Chiatto Mario, Cibinel Gian Alfonso, Ciccone Marco Matteo, Cicini Maria
Paola, Clerico Aldo, D’ Agostino Carlo, De Luca Giovanni, De
Luca Leonardo, De Maria Renata, Del Sindaco Donatella, Egidy
Assenza Gabriele, Egman Sabrina, Fattirolli Francesco, Francese
Giuseppina Maura, Gabrielli Domenico, Geraci Giovanna, Giardina Achille, Greco Cesare, Gregorio Giovanni, Iacoviello Massimo, Khoury Georgette, Ledda Antonietta, Lucà Fabiana, Macera
Francesca, Marini Marco, Mascia Franco, Masson Serge, Maurea
Nicola, Mazzanti Marco, Mennuni Mauro, Menotti Alberto, Menozzi Alberto, Mininni Nicola, Molon Giulio, Moreo Antonella,
Moretti Luciano, Mortara Andrea, Mureddu Gian Francesco,
Murrone Adriano, Musumeci Giuseppe, Navazio Alessandro,
Nicolosi Pier Luigi, Oliva Fabrizio, Oreglia Jacopo, Parato Vito
Maurizio, Parrini Iris, Patanè Leonardo, Pini Daniela, Pino Paolo
Giuseppe, Pirelli Salvatore, Procaccini Vincenza, Pugliese Francesco Rocco, Pulignano Giovanni, Radini Donatella, Rao Carmelo
Massimiliano, Rasetti Gerardo, Roncon Loris, Rossini Roberta,
Ruggieri Maria Pia, Rugolotto Matteo, Sanna Fabiola, Sauro Rosario, Scalvini Simonetta, Scherillo Marino, Severi Silva, Sicuro
Marco, Silvestri Paolo, Sisto Francesco, Tarantini Luigi, Themistoclakis Sakis, Uguccioni Massimo, Urbinati Stefano, Valente
Serafina, Vatrano Marco, Vianello Gabriele, Vinci Eugenio, Zuin
Guerrino.
G ITAL CARDIOL | vol 17 | SUPPL 1 AL N 9 2016
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