ECONOMIA DEGLI INTERMEDIARI FINANZIARI LA GESTIONE DEL

ECONOMIA DEGLI INTERMEDIARI FINANZIARI
LA GESTIONE DEL RISCHIO DI CREDITO
Rischio di credito
È nozione ormai largamente condivisa che il sistema finanziario abbia negli ultimi
anni tradito la sua missione ; abbia cioè smesso di essere al servizio dell'economia
reale allocando nel modo migliore le risorse e gestendo i relativi rischi. Si è calcolato
che a fine 2007 il valore di tutti gli strumenti finanziari, derivati compresi, eccedeva
di oltre sedici volte il PIL mondiale. Alla sottovalutazione ed eccessiva assunzione di
rischi è corrisposta la misallocazione delle risorse.
Ci si è accorti, da parte di taluni con almeno apparente sorpresa, da parte di altri
come conferma alle predizioni che li avevano relegati al ruolo di inascoltate e mal
tollerate cassandre, che il sistema finanziario internazionale non aveva colto
l'esistenza di alcuni rischi e di altri aveva notevolmente sottovalutato il peso . Molte
sono le cause di questo fenomeno.
Anzitutto, non sono stati compresi appieno i rischi connessi all'evoluzione
dell'attività bancaria e al passaggio dal modello tradizionale a quello c.d. originate to
distribute. A seguito di tale sviluppo si sono spersonalizzati i rapporti e le
concessioni di credito sono state basate, più che sul merito di credito, sulla possibilità
di trasformare i crediti in titoli da cedere prontamente sul mercato; i profitti si sono
trasformati da interessi, che maturano progressivamente nel corso del tempo, in
differenziali di prezzo e commissioni, a maturazione immediata, così favorendo una
prospettiva di breve periodo; l'importanza degli stock di credito è stata sostituita da
quella dei flussi e della loro velocità di rotazione; la convenienza e, quindi, l'uso
della leva finanziaria, con il finanziamento dell'attivo tramite raccolta dei capitali sui
mercati a breve termine, è enormemente aumentata.
In breve la classica esposizione delle banche al rischio di credito è stata sostituita da
quella al rischio di mercato, sia sul versante della possibilità di smobilizzare
rapidamente l'attivo costituito da titoli, sia su quello del passivo con la costante
ricerca e necessità di liquidità a breve termine, anche per finanziare attivi non
altrettanto liquidi.1 In termini generali si può definire il rischio di credito come la
variabilità del valore di mercato del portafoglio di attività connesso all’insolvenza
delle controparti delle operazioni di impiego o di operazioni fuori bilancio”. Il
concetto di rischio di credito rappresenta uno dei rischi maggiormente utilizzati e di
difficile quantificazione. In realtà occorre sottolineare come diverse siano le
definizioni e diversi siano i metodi attuariali che definiscono il rischio di credito. In
realtà la rapida crescita dei mercati finanziarie e le cosiddette attività derivate in
particolare dei derivati trattati nei mercati over the counter e dei derivati creditizi,
nonché l'elevato livello di sofisticazione di alcuni strumenti finanziari, hanno
evidenziato l'inadeguatezza dei metodi tradizionali nel valutare in modo adeguato i
rischi conseguenti. Del resto occorre sottolineare come in qualsiasi contratto esiste
sempre la possibilità che una delle parti non possa onorare gli impegni presi. Tale
comportamento genera nella parte creditrice una perdita rispetto a quanto pattuito tra
le parti. Ecco perché il sistema finanziario cosi come l’intero sistema economico o
qualsiasi attività economica nasconde al suo interno un rischio inevitabile che è
legato alla particolare natura dell’attività stessa. All’interno del mercato finanziario
una perdita di valore in una posizione creditoria può essere provocata dal
peggioramento complessivo dell’andamento economico. Si tratta quindi di un rischio
SACK-JURIS, Rating agencies: civil liability past and future, in New York Law Journal,
November 5, 2007, 432
1
strettamente connesso allo svolgimento dell’attività bancaria che è praticamente il
rischio chiave da cui dipende il divenire equilibri aziendali (quindi l’eventuale
insorgenza di crisi bancarie) e la performance della banca. Il rischio di credito
dipende quindi dall’evoluzione del ciclo economico e dagli eventi connessi agli
specifici profili del debitore.
Il rischio di credito assume la conformazione di rischio di insolvenza dal momento in
cui rimane legato alla possibilità che un debitore non adempia agli obblighi di
pagamento in conto interessi e di restituzione del capitale preso a prestito, dunque
alla possibilità che un debitore non sia in grado di ripagare, in tutto o in parte i crediti
ricevuti a causa di una molteplicità di fattori; “rischio di spread”, derivante
dall’aumento del differenziale, in genere rispetto ad un tasso privo di rischio, che il
mercato richiede sui titoli emessi dal debitore a seguito di aspettative di
deterioramento della solvibilità di quest’ultimo (downgrading); “rischio paese”, in
relazione al mancato adempimento delle obbligazioni da parte di uno Stato sovrano;
“rischio di inconvertibilità valutaria”, nel caso in cui non risulti possibile, per il
detentore di un’attività in valuta, effettuare la conversione dei relativi flussi di cassa
in altre valute.
Il c.d. rischio sistemico, da sempre associato all'attività bancaria e all'immagine delle
file dei depositanti in coda allo sportello, si è ingigantito per la comune
sottoposizione degli operatori al rischio di mercato ove spesso il singolo
comportamento razionale non corrisponde alla razionalità del sistema nel suo
complesso. L'interconnessione dei diversi mercati finanziari, sia dal punto di vista
geografico, sia da quello settoriale (banca, finanza e assicurazione hanno ormai
confini assai labili tra loro) ha ulteriormente aggravato la situazione. Del resto il
tema della razionale gestione del rischio di credito assume un ruolo di primo piano
nell’ambito dei più recenti filoni della teoria creditizia 2, che individuano nell’attività
di concessione di prestiti (a favore degli operatori economici) la “specificità” e la
“specialità” della banca. Infatti, secondo tali approcci, la banca beneficia di un
vantaggio competitivo
ex ante rispetto agli altri intermediari, dovuto ad una
superiorità (tecnologica ed organizzativa) riconducibile al processo di produzione
delle informazioni che consente di realizzare un’efficiente attività di screening dei
potenziali clienti. La banca beneficia, inoltre, di un vantaggio competitivo ex post,
riconducibile all’attività di monitoring
degli affidamenti posti in essere e al
“patrimonio di informazioni riservate” acquisite nel lungo termine sulle imprese
clienti. La continuità, la sistematicità e la professionalità con cui la banca realizza
questo processo migliorano, nel lungo termine, la possibilità di conseguimento del
vantaggio competitivo sia ex ante sia ex post. Si assiste sempre più ad un passaggio
da una gestione del rischio di credito incentrata su procedure tradizionali (o
conservatrici), frammentate e di tipo soggettivo ad una gestione incentrata sulla
sperimentazione e sull’adozione di procedure innovative, utilizzate secondo logiche
sinergiche e sistemiche. Diverse sono le teorie e gli approcci alla misurazione del
rischio di credito. Una prima costruzione teorica è quella basata sul concetto model
based, tra cui si possono distinguere i modelli strutturali e i modelli in forma ridotta,
e approcci tradizionali (o non model{based), basati sui dati storici delle insolvenze. I
modelli strutturali si possono a loro volta suddividere in:
- value models, che si basano sulla valutazione del valore dell’attivo e della società
emittente e sulla teoria della valutazione delle opzioni
2
finanziarie 3 per la
BLACK F., SCHOLES M. (, The pricing of options and corporate liabilities. Journal of
Political Economy, 81, 637{654, p. 273
3
BLACK F., SCHOLES M. (, The pricing of options and corporate liabilities. Journal of
Political Economy, 81, 637{654, p. 273
determinazione della probabilitµa di insolvenza e del tasso di recupero in caso di
insolvenza;
- passage time models 4, che considerano la possibilità di default prima della
scadenza del debito, se il valore dell'attivo scende al di sotto di un certo livello
(threshold o default boundary).
I modelli in forma ridotta o intensity based models rappresentano un approccio
recente al rischio di credito che consiste nell'elaborazione di modelli che trattano
l'insolvenza come evento completamente esogeno, non dipendente dalla struttura
patrimoniale della società o del Paese in esame. Tali modelli sono basati sulla
specificazione di un processo esogeno che governa l'evento default: tipicamente si
assume che si tratti di un processo di Poisson e spesso si ipotizza che il tasso di
recupero sia esogeno al modello.
In una riflessione ultima rispetto il rischio sistemico Jarrow e Protter
5
(2004)
osservano che le due classi di modelli non sono così diverse tra loro e l'elemento
distintivo è dato dalla caratterizzazione dell'epoca in corrispondenza della quale si
manifesta l'insolvenza (default time). Nei modelli strutturali si ipotizza di disporre
della stessa informazione del manager della società. Nei modelli in forma ridotta,
invece, si prescinde dalla conoscenza del valore di tutte le attività e passività della
società: l'informazione disponibile è la stessa del mercato. Da questo punto di vista,
Jarrow e Protter ritengono che i modelli in forma ridotta siano preferibili.
In generale si può affermare che i meccanismi di misurazione e gestione del rischio
possono definirsi come “un insieme integrato dei
4
HULL J., Opzioni, Futures e Altri Derivati. Il Sole24Ore ed. Traduzione italiana di
Hull J. (2003) Options, Fututres, and Other Derivatives. Pearson Education Inc, 2003, p. 97 e
ss.
5
JARROW R.A., PROTTER P., Structural versus reduced form models: a new information
based perspective. Working paper, 2004, p. 96 e ss.
modelli e degli strumenti di misurazione che consente, unitamente all’esistenza di
idonee procedure organizzative, una gestione finalizzata ed ottimale del rischio di
credito con l’obiettivo di giungere ad una visione complessiva ed unitaria dei rischi.
Il passaggio da una gestione tradizionale ad una gestione credit risk oriented si
caratterizza per il perseguimento, da parte del management bancario,
dell’obiettivo di allocare il capitale in modo efficiente, sfruttando, cioè, al meglio la
capacità complessiva della banca di assumere rischio al fine di migliorare la
redditività del patrimonio.
Il processo di gestione del rischio di credito riguarda tre distinte (ma complementari)
fasi dell’attività bancaria: la fase di screening, che si attiva in presenza di nuove
richieste di affidamento avanzate da clienti della banca, ovvero da potenziali clienti;
la fase di monitoring, che è necessariamente successiva all’avvio di un rapporto di
credito fra banca e cliente, e viene condotta in dettaglio per ogni singolo prestito pur
riguardando l’intero portafoglio prestiti; la fase (eventuale) di ristrutturazione e/o di
recupero del singolo prestito. L’ottimizzazione della gestione del credito richiede,
pertanto, la disponibilità di tecniche che consentano una valutazione analitica della
rischiosità degli impieghi. A questo proposito è immediato osservare che il processo
di disintermediazione ha principalmente riguardato le imprese di maggiori
dimensioni, dotate della capacità, in termini di merito creditizio, di rivolgersi
direttamente al mercato dei capitali. Ne è seguito, in numerosi casi, un
deterioramento della qualità del portafoglio impieghi delle banche. Sul fronte della
raccolta, la perdita di una quota delle passività a basso costo (che non ha spinto le
banche verso una maggior selettività nell’attività d’impiego) è stata affrontata
mediante politiche aggressive di crescita dimensionale, rivolte al finanziamento della
clientela marginale, in termini di merito creditizio ma disposta a pagare tassi
d’interesse più elevati. Fra le nuove attività, sviluppate dalle banche, per compensare
il calo di redditività dell’attività creditizia tradizionale, un posto di primo piano è
indubbiamente assunto dall’offerta di strumenti
di gestione del rischio,
contrattualmente nuovi (quali, ad esempio, i derivati) che rendono tale esposizione
maggiormente variabile nel tempo, e richiedono nuove e più complesse metodologie
di analisi dei rischi ad essi collegati. Dunque, nonostante il recente sviluppo di
attività diverse dalla tradizionale intermediazione creditizia, la possibile insolvenza
delle proprie controparti, deve ancora ritenersi la principale fonte di rischio per
un’impresa bancaria. Attualmente le condizioni di mercato hanno portato allo
sviluppo di nuovi, e più complessi modelli di controllo dei crediti, e del relativo
rischio di default; il passaggio dal controllo del solo rischio di credito su assets
individuali, a sistemi per la misurazione del rischio di credito e di concentrazione su
interi portafogli; lo sviluppo di sofisticati modelli di pricing per il credit risk; ed
infine, lo sviluppo di modelli per misurare il rischio di credito sugli strumenti fuori
bilancio.
Il moderno scenario competitivo ha però complicato la situazione l'affermarsi di
nuovi intermediari, non banche e non soggetti alla relativa disciplina prudenziale, che
tuttavia come banche si sono comportati (hedge funds); il proliferare di titoli
strutturati, tanto complessi da risultare comprensibili (da consentire il c.d. look
through)
solo
agli
organizzatori
delle
cartolarizzazioni
e
alle
agenzie
di rating chiamate a esprimere un solicited rating e affette da un istituzionale
conflitto di interessi essendo incaricate e remunerate dall'emittente stesso ;
l'espandersi di luoghi di scambio diversi dai mercati regolamentati, con tutte le
oscurità derivanti dalla mancanza di notizie su prezzi e quantità delle transazioni.
Come è stato efficacemente notato, un pericoloso cocktail di shadow banking (ma
occorrerebbe aggiungere anche insurance) system, di toxic assets, di dark pools.
Le stesse regole di vigilanza prudenziale e contabili, poi, hanno contribuito giacché
la loro prociclicità - oggi vista soprattutto dal punto di vista della propagazione
incontrollata della crisi - nella fase positiva del ciclo ha consentito e promosso la
sempre maggiore assunzione di rischi6.
In sintesi, dunque, in un contesto di enormi scompensi macroeconomici tra Stati
risparmiatori e Stati consumatori, un panorama caratterizzato da un sistematico
occultamento dei rischi, che ne ha consentito la progressiva moltiplicazione. Rischi,
ed è questo il punto fondamentale, scissi dalle potenzialità di profitto giacché essi, da
un lato, per il loro carattere occulto spesso venivano trasferiti a carico di altri
soggetti; dall'altro, per la loro quantità e interconnessione, erano ormai tali da
comportare un ribaltamento a carico dello Stato (come conseguenza del too big, or
too complex, to fail). E sottolineo rischi, perché problematica non è in sé la nuova
finanza, ma l'opacità dei rischi connessi in cui essa è prosperata.
I potenziali imputati sono due: il mercato e le regole; anche secondo il G20 di
Pittsburgh major failures of regulation and supervision, plus reckless and
irresponsible risk taking by banks and other financial institutions, created dangerous
financial fragilities.Ma, si sa, la responsabilità è personale e non può essere ascritta a
entità immateriali come quelle appena nominate. Quindi gli imputati sono da un lato
gli operatori di mercato e dall'altro quel complesso insieme di policy makers,
regolatori e autorità di vigilanza che al regolare funzionamento del mercato devono
sovraintendere7.
WILMOTT P., Introduzione alla Finanza Quantitativa. Egea, 2003p. 68 e ss.
MADAN D., UNAL H. , A two-factor hazard rate model for pricing risky debt and the term
structure of credit spreads. Journal of Financial and Quantitative Analysis, March 2000, p. 31
e ss.
6
7
Mercati e Rischio di credito
I modelli sviluppati per misurare i rischi delle singole posizioni, sono stati ideati per
essere utilizzati nelle fasi di screening e di monitoring quindi seguono una logica
binomiale (default o non default) dato che, l’esito dell’ analisi serve a formulare un
giudizio positivo o negativo sull’affidabilità dell’impresa, e si concentrano sulla
stima della probabilità di
default
(cioè, della probabilità del verificarsi
dell’inadempimento da parte del cliente). I modelli di questo tipo possono essere
distinti in:
- modelli di scoring (o Accounting-Based credit scoring system), basati sui dati
contabili e finanziari dei singoli prenditori, nei quali le decisioni degli investitori
istituzionali vengono prese solo dopo l’analisi ed il confronto di diversi indici di
stima dei potenziali debitori, e della loro valutazione di credito. In particolare, nei
modelli “multivariate”, le variabili chiave di stima sono combinate e pesate in modo
da produrre una misurazione più oggettiva possibile del rischio di credito, o della
probabilità di default di un asset o di un borrower. In questo modo, se un prestito
raggiunge un livello di credit risk sopra una determinata soglia (o benchmark)
ritenuta non più accettabile in base ai livelli di rischio/rendimento prefissati, viene
respinto o, al massimo, viene sottoposto ad un’ulteriore analisi di approfondimento.
Attualmente, i modelli di
scoring
sono di almeno quattro tipi: i modelli di
“probabilità lineare”, i modelli “logit”, i modelli “probit” e, infine, i modelli di
“analisi discriminante”. In base a numerosi articoli, apparsi sul “Journal of
Banking&Finance” (JBF), prestigiosa rivista del settore, si può affermare che
“l’analisi discriminante” (in particolare,
Altman, Haldeman e
Haryanan
svilupparono il modello “Zeta-score”) è l’approccio dominante, seguito dal modello
“logit”. Il rischio di credito è stato definito come la possibilità che una variazione
inattesa del merito creditizio di una controparte nei confronti della quale esiste
un'esposizione generi una corrispondente variazione inattesa del valore del credito.
Per fronteggiare questa tipologia di rischio il soggetto che presta fondi deve
accantonare dei fondi di riserva necessari a coprire il verificarsi di eventi avversi. Se
si considera come creditore tipicamente un'istituzione finanziaria (una banca), questa
ha l'obbligo di costituire una riserva a fronte dei rischi assunti (expected loss
reserve). Se si considera che anche i clienti \migliori" possono, potenzialmente,
divenire insolventi, è opportuno assicurarsi nei confronti di tutte le posizioni
creditorie presenti in portafoglio. Per ogni posizione vengono quantificate tre
grandezze8;
- una probabilità di insolvenza (default probabilità DP);
- il tasso di perdita in caso di insolvenza (loss given default LGD);
8
AMMANN M. , Credit Risk Valuation. Methods, Models, and Applications. Springer {
Verlag Berlin, 2001, p. 93 e ss.
- l'esposizione in caso di insolvenza (exposure at default EAD).
Ognuna di queste grandezze può essere quantificata attraverso un sistema di rating.
Tuttavia, nonostante lo sviluppo che hanno registrato, questi modelli sono stati
oggetto di alcune critiche, tra le quali, una in particolare è che, essendo modelli
basati su valori di bilancio, possono fallire nella rilevazione dei più sottili e veloci
cambiamenti nelle condizioni del borrower, nel corso del tempo (infatti, il bilancio
d’esercizio è un documento statico, per cui rappresenta la situazione dell’azienda
solo in un determinato momento);
- i modelli basati sulle “reti neurali” (o neural network), che, come il modello
discriminante, si basa sul concetto secondo cui le variabili considerate per la
previsione dei fallimenti sono funzioni collegate in modo lineare ed indipendente.
Essi esplorano le correlazioni “nascoste” tra le variabili da studiare, ma essendo
modelli basati su una teoria ad hoc, sono difficilmente comparabili;
- i modelli che utilizzano “dati estratti dal mercato delle obbligazioni”,che cercano di
calcolare la probabilità implicita dei default di un asset dalla struttura per scadenza
dei tassi d’interesse, privi di rischio e rischiosi. In particolare, questi modelli,
partendo dalla struttura per scadenza dei tassi d’interesse forward dei bonds, risk
free e risky, riescono ad estrapolare la relativa probabilità di default, ai valori
correnti di mercato e a seconda della scadenza. Le più importanti assunzioni
sottostanti questi modelli, però, sono considerate alquanto discutibili per ciò che
riguarda la teoria sui tassi d’interesse considerati, i bassi costi di transazione
ipotizzati e la relazione che può essere estratta dalla struttura per scadenza dei tassi
d’interesse;
- i modelli basati sul “tasso storico di mortalità ”, che calcolano il valore attuale della
probabilità di default, in base ai dati storici sui fallimenti dei bonds. Si tratta di
modelli, in ogni caso, limitati dalla mancanza di data-base sufficientemente ampi sui
fallimenti dei credit assets nel tempo. Ciò spiega l’interesse delle grandi banche USA
allo sviluppo e alla condivisione di questi data-base;
- i modelli che adottano la “logica e la metodologia di determinazione del prezzo
delle opzioni” (option pricing model ), che si basano sull’idea che la posizione dei
creditori, nei confronti dell’impresa, può essere interpretata, per effetto della
responsabilità limitata degli azionisti, come una vendita di un’opzione call sul valore
dell’impresa da parte dei creditori agli azionisti 9. Questi ultimi, nel caso in cui il
valore degli assets fosse superiore all’ammontare dei debiti, eserciteranno l’opzione
implicita, rimborsando il debito e pagando gli interessi; nel caso contrario, se il
valore degli assets fosse inferiore a quello dei debiti, essi abbandoneranno l’opzione
addossando la perdita ai creditori. Tuttavia, questo modello presenta dei problemi: la
stima del valore di mercato degli assets; la variabilità di tale valore non può essere
osservata direttamente, perciò si utilizza come proxy la variabilità del valore delle
azioni dell’impresa che possiede gli assets; ed infine, la necessità, per le società non
quotate, di individuare società quotate comparabili per la stima della variabilità attesa
del valore degli assets;
- le “analisi di migrazione” da una classe di rating all’altra (migration analysis), che
consistono nella misurazione della probabilità di migrazione, per un campione
d’imprese, da una classe di rating ad un’altra. L’accuratezza con cui questa analisi
definisce la volatilità del tasso di insolvenza dipende principalmente dai dati relativi
al rating: maggiore è la graduazione del rischio che il sistema di rating presenta,
maggiore è la precisione con cui è possibile rilevare la volatilità del tasso di
9
BIELECKI T.R., RUTKOWSKI M., Credit Risk: Modeling, Valuation and Hedging.
Springer{ Verlag, Berlin Heidelberg, 2002,p. 97 e ss.
insolvenza. Per questi modelli è necessario un comune risk rating per tutti gli assets
in questione, inclusi corporate e government bonds, crediti al consumo, crediti
commerciali ed altri credit assets, al fine di poter fare utili confronti, ed avere, in
modo veloce ed efficace, importanti informazioni sulla capacità di credito e di merito
creditizio di un emittente e/o di un asset.
Per quanto riguarda la stima dei rischi di credito associati all’intero portafoglio di
impieghi creditizi ha particolare importanza il concetto di Value at Risk (VaR),
ovvero Valore a Rischio, che consiste nella stima della potenziale perdita di valore
che un portafoglio può subire per effetto di variazioni sfavorevoli in singoli o più
fattori di rischio (considerati comunque in modo integrato e che si assumono come
noti) in un determinato orizzonte temporale10.
Il grado di rischio associato ad un emittente o ad una singola emissione può essere
sintetizzato da un simbolo alfanumerico, rappresentativo dell’appartenenza ad una
specifica classe di rischio, emesso da apposite agenzie specializzate nella valutazione
dei meriti creditizi, le quali fondano il proprio giudizio sull’analisi dei bilanci
aziendali e delle prospettive dell’impresa, alla luce anche dello scenario
macroeconomico sottostante; tale valore, che consiste in una misura approssimativa
del rischio di insolvenza, prende il nome di rating. Dunque, il rating è una
valutazione svolta da società specializzate riguardo alla capacità complessiva
finanziaria di un obbligato, e quindi al suo grado di affidabilità.
Necessaria è la distinzione tra:
- rating di un emittente, conosciuto anche come “rating di controparte” (counterparty
risk rating o issuer credit rating), che fornisce una valutazione globale della
10
BLUHM C., OVERBECK L.,WAGNER C., An Introduction to Credit Risk Modeling.
Chapman
& Hall, 2003, p. 97 e ss.
solvibilità di un determinato soggetto (banca, azienda, ente pubblico, paese…);
- rating di un’emissione, che valuta la capacità che il capitale e gli interessi di una
specifica emissione vengano puntualmente pagati. Questa valutazione si basa sul
presupposto che le varie emissioni di un emittente abbiano caratteristiche differenti
(in termini di scadenza,
garanzie…), pertanto può verificarsi anche una diversa rischiosità relativa11.
Il rating è un elemento essenziale per l’investitore, indispensabile non solo per
valutare se un dato titolo abbia un livello di rischio in linea con gli obiettivi di
investimento prefissati, ma anche per stabilire il prezzo d’acquisto. A titoli più
rischiosi, infatti, devono corrispondere “rendimenti effettivi a scadenza” maggiori,
per cui, dal momento che all’aumentare del prezzo del titolo diminuisce il suo
rendimento e viceversa, il compratore fisserà un prezzo massimo di acquisto che gli
assicuri un rendimento adeguato al grado di rischio sopportato12. Le agenzie di rating
provvedono anche a monitorare, permanentemente la loro valutazione al fine di
comunicarne tempestivamente al mercato eventuali variazioni (upgrade o
downgrade). Generalmente, sono gli stessi emittenti che chiedono alle agenzie di
rating, l’attribuzione di un apposito livello di merito di credito. Tuttavia, questa
prassi in Italia, non si è ancora consolidata, forse perché il mercato italiano dei
corporate bonds non è ancora così efficiente, spesso e liquido come quello degli altri
paesi industrializzati e degli USA in particolare. Per questo motivo gli operatori
italiani spesso fanno riferimento ai cosiddetti rating “impliciti”, non ufficiali come
quelli emessi dalle agenzie di rating specializzate e che, comunque, derivano da
11
BLUHM C., OVERBECK L.,WAGNER C., An Introduction to Credit Risk Modeling.
Chapman & Hall, 2003, p. 97 e ss.
12
HULL J. , Opzioni, Futures e Altri Derivati. Il Sole24Ore ed. Traduzione italiana di
Hull J. Options, Fututres, and Other Derivatives. Pearson Education Inc, 2003, p. 36 e ss.
approfondite analisi di esperti del settore sull’area di business dell’emittente, nonché
sul suo posizionamento (business profile), e sui dati fondamentali dell’emittente
(financial profile).