Uberto Scardino
POLITICA DEL
PENSIERO
2011
Politica
del
pensiero
2011
SOMMARIO
Capitolo 1 – Introduzione alla politica.
Capitolo 2 – Il nostro tempo.
Capitolo 3 – Differenze letterarie.
Capitolo 4 – Il linguaggio a sostegno del sapere.
Capitolo 5 – Le enciclopedie.
Capitolo 6 – La parola sostegno del pensiero.
Capitolo 7 – Scegliere un metodo.
Capitolo 8 – L'interpretazione e il linguaggio comune.
Capitolo 9 – Le forme della narrazione ricordante.
Capitolo 10 – La scienza e la narrazione ricordante.
Capitolo 11 – Filosofia e conoscenza.
Capitolo 12 – Dalla filosofia al pensiero problematico.
Capitolo 13 – Dalla critica dell'esperienza,
all'esperienza critica.
Chiusura della riflessione politica.
1
Introduzione alla politica.
Il proverbio che sovente gli adulti ripetono
ai bambini "Chi va piano, va sano e va lontano" e
lascia intendere un finale spiacevole per chi non
rispetti questa regola, è un esempio di proverbio
che invita alla prudenza, innanzitutto quando
viene
accostato
all'esperienza
e
alla
consuetudine quotidiana in generale. Come si
intuisce, il senso contrario riguarda ciò che è
comunemente
inteso
come
frettoloso,
significando anche qualcosa di poco ponderato.
Gli antichi letterati ammonivano con il detto:
"Festìna lente", cioè "Affrettati lentamente", che si
può interpretare così: "Cresci lentamente, affinché
si possa dare il tempo necessario che ogni parte della
tua persona si sviluppi in maniera completa,
equilibrata ed armoniosa”. Un altro detto antico
"Natura non facit saltus", che significa "La natura
non fa salti", allude ad un progressivo
mutamento nello sviluppo di qualsiasi
manifestazione della natura. Ed ancora, sempre
appartenente a questa famiglia di proverbi, è
anche un altro detto popolare che dice così: "La
gatta frettolosa, fece la figliolanza cieca", in cui si
intende che forse è meglio perdere un po' di
tempo in più per la riflessione prima dell’azione,
che poi doversi rammaricare per una scelta dal
risultato non voluto.
In tutti questi proverbi ci sono degli
esempi di intreccio tra saggezza popolare, senso
comune, sapienza, conoscenza e filosofia. In
definitiva, i proverbi sono una concezione del
mondo poco elaborata e non sistematica, perché
ancora ad un livello di esperienza istintiva e
semplice, non cosciente e critica, non filosofica e
politica. Una concezione dove non vi è niente di
troppo elaborato e sistematico, ma al contrario è
ancora frammentario, che contiene vari sviluppi
successivi, frammenti della vita quotidiana che
si sono succeduti nella storia. Al contrario dei
significati di questi proverbi, nel nostro tempo è
importante dimostrare della frenesia, una smania
da cui si dice “ritmo frenetico” per significare una
vita fondata sulla velocità e sulla rapidità. La
frenesia è uno stato morboso, una agitazione
continua, contraria ad una riflessione pacata e
saggia. Confrontando tra loro la riflessione lenta
e la velocità frenetica, si conclude che la frenesia
non sia saggezza, se quest'ultima si intende
innanzitutto come una riflessione.
Vi è un solo aspetto della velocità da
considerare positivamente, quando essa è
comunicazione, superamento delle barriere di
spazio e di tempo verso altre aree, geografiche e
culturali, ma ciò appartiene ad un ambito non
umano. È un aumento di conoscenza, che non
coinvolge l'essere umano in quanto tale, ma
piuttosto gli facilita un compito, è una tecnica e
non uno stato mentale. Se ci limitiamo ai nostri
luoghi geografici, un cammino lento è la
perlustrazione limitata al nostro territorio,
paragonabile alla scoperta del territorio che un
bambino fa a mano a mano che cresce. La
velocità fa parte dell'attuale sistema etico e
suggerisce che tutto ciò che è veloce è positivo,
per cui si va di fretta, si fanno le cose di fretta e si
ritiene che ciò aiuti l'integrità totale dell'essere
umano e della sua personalità. Si è convinti che
l'essere umano si arricchisca spiritualmente
attraverso la velocità. Invece essa non consente
la sedimentazione dei ricordi e ricordare è la base
del nostro agire corretto, per un percorso di vita
sicuro e non spiacevole. Per ricordare di essere
stati ciò che si è stati, occorre salvare le
esperienze e in questo caso il significato di
esperienza è vivere di nuovo le esperienze del
passato attraverso la memoria e il ricordo. La
dimostrazione che la velocità non è un valore
assoluto, è data dal fatto che il tempo narrativo
può essere ritardato, ciclico o immobile. Il
racconto si snoda nella durata ed agisce sullo
scorrere del tempo, contraendolo o dilatandolo.
Si può attribuire a queste riflessioni scritte,
il nome di scritti fronetici, che in un gioco di
significato e di grafia, ricalcato sulla
trasposizione dal greco della parola saggezza,
phronesis, all’atto della pronuncia richiama
l'aggettivo frenetico, ma è contrario all'agire
frenetico. Questi scritti fronetici sono gli scritti
della riflessione, del ragionamento, della
ponderatezza, contrari al ritmo frenetico. Alla
velocità viene contrapposta la riflessione, la
deliberazione pratica e quindi il ben deliberare,
ovvero il dare origine ad uno stato di vita
complessivo che ci soddisfi, ovvero ciò che viene
riunito sotto il nome di saggezza o phronesis,
l'ambito e la sfera del sapiente, in definitiva la
politica nei suoi aspetti cognitivo ed etico.
Questi sono gli scritti della pausa riflessiva
prima della decisione e successiva alla
comparazione tra i saperi.
Considerata
come
un
pensiero
problematico,
la
phronesis
scaturisce
dall'esperienza e dalla necessaria induzione,
dalla raccolta sistematica dei dati, da una
conseguente valutazione e sistemazione in
regole. Secondo Aristotele, sono due i tipi di
sapere. La sapienza o sophia in greco, la migliore
delle scienze, perché conosce i princìpi di tutte le
cose e la saggezza o prudenza, phronesis in
greco, che non è una scienza, cioè un sapere
teorico, ma è un sapere pratico, perché ha come
oggetto e come fine, la prassi umana.
La prudenza è la capacità di deliberare
bene su ciò che è benevolo e vantaggioso non in
maniera parziale, ma su ciò che è benevolo e
vantaggioso per una vita felice completa. La
felicità è un vero bene, purché sia intesa in senso
totale, cioè che abbracci la vita intera e perciò
non può coincidere con beni particolari, che non
sempre sono un bene, perché talvolta possono
essere causa anche di infelicità e di malevolenza.
La prudenza, dunque, è veramente tale solo se
ha per fine il bene, un bene più ampio e
generale. Essa è la capacità di calcolare
esattamente i mezzi per ottenere un fine
benevolo. Stabilita dunque la bontà, cioè l'onestà
del fine, senza il quale non c'è vera prudenza, la
specificità della prudenza consiste nel calcolare
esattamente i mezzi idonei, cioè efficaci, a
realizzare un fine benevolo. Su questi, infatti, la
prudenza delibera, cioè decide, sceglie non sul
fine, la cui bontà non è in discussione, ma è una
scelta in un certo senso, obbligata. Quindi è
saggio o prudente, chi è capace di deliberare, ma
nessuno delibera sulle cose che non possono
stare diversamente. Cosicché, se è vero che la
scienza implica una dimostrazione, ma che
d'altra parte, non v'è dimostrazione delle cose i
cui princìpi non possono stare diversamente e
poiché non è possibile deliberare su ciò che è
necessariamente, la saggezza ovvero la
prudenza, non sarà una scienza, perché delibera
sempre sul probabile. La scienza è lontana da
ogni tipo di discorso astratto ed anzi si presenta
come un unico valido modello di sapere, in
grado di garantire una descrizione reale del
mondo, indagando il modo in cui i fenomeni si
costituiscono e le cause che ad essi sono
sottostanti. Le spiegazioni fornite hanno
caratteri di coerenza interna, generalità e
semplicità uniti alla necessaria controllabilità e
relativo criterio di falsificabilità. Questa
comporta una spiegazione relativamente stabile
nel tempo, sempre aperta a nuove conferme o
smentite. Qui si mostra il carattere pratico della
prudenza. Essa, per poter deliberare deve
vertere sulle cose che dipendono da noi, poiché
circa le disposizioni che nascono dal
ragionamento vi può essere dimenticanza, come
ad esempio la matematica che si impara, ma si
può anche dimenticare. Invece la prudenza, una
volta appresa, non si dimentica più, cioè
diventa un agire acquisito, un possesso
definitivo. La sapienza indaga sulle realtà
difficili, cioè i princìpi di tutte le cose. La
prudenza invece riguarda i fatti umani e
nessuno delibera su ciò che può essere
diversamente dai fatti umani. L'essere umano
che sa deliberare bene, è quello che sa
indirizzarsi nell'azione e tra i beni realizzabili,
seguirà il migliore per l'essere umano. Non si
tratta, dunque, di realizzare il bene assoluto, ma
ciò che in determinate circostanze è la cosa
migliore per l'essere umano.
La prudenza non ha come oggetto solo le
cose generali, ma anche le particolari, poiché
riguarda l'azione e l'azione riguarda le situazioni
particolari. Vi sono esseri umani che pur non
conoscendo le cose generali, sono molto abili
nelle azioni, sono quelli che hanno esperienza.
Quelli che conoscono le cose generali sono gli
scienziati e i filosofi. Aristotele riteneva che non
dovessero governare i filosofi, ma le persone
prudenti, che conoscono le situazioni particolari
e che hanno esperienza della vita. Aristotele
afferma anche che la politica, il pensiero critico e
pratico in generale, non può misurarsi con la
scienza in senso stretto, dal momento che nel
contesto della prassi mutevole e casuale, i suoi
oggetti, il giusto e l'eccellente, mancano di una
continuità stabilita oltre che della necessità
logica. La fronesis è la facoltà della filosofia
pratica, una saggia comprensione della
situazione particolare. Tra i filosofi moderni è
Vico quello che rimane più aderente al pensiero
aristotelico circa la differenza tra episteme e
fronesis, tra scienza e saggezza, in cui la prima
mira a verità esterne, intende fare affermazioni
su ciò che sempre e necessariamente è come è.
La saggezza, che è una filosofia pratica, invece
ha a che fare solo con il verosimile ed il
probabile.
Vico
mostra
come
questo
procedimento, che si appoggia poco al punto di
vista teorico, nella prassi risulta con una
maggiore certezza. Egli ricorda le possibilità
della retorica, la quale si serve di preferenza
della facoltà della fronesis e del procedimento
dialettico, per poter prendere tempi più lunghi
di riflessione, senza concetti già prestabiliti. In
queste osservazioni del Vico emerge la
consapevolezza di un rapporto dialettico, nella
misura in cui la politica viene razionalizzata e la
prassi diretta teoricamente, vede sviluppare
quella problematica in cui l'analisi scientifica e
sperimentale deve dichiararsi insufficiente ed
ancora afferma che l'incertezza nell'agire cresce
quanto più rigidamente si pongono, in questo
ambito, criteri di accertamento scientifico.
Mentre la filosofia pratica segue il metodo
dialettico e non quello dimostrativo, la scienza
politica e sociale moderna fondata da Hobbes,
elimina le conoscenze solamente probabili della
dialettica. Essa fu adattata al mutamento
dell’ideale di scientificità avvenuto con
Descartes e testimoniato in particolare dalla
formula della seconda regola e cioè, dividere ogni
problema preso in esame in tante parti quanto fosse
possibile e richiesto per risolverlo più agevolmente.
Mentre le scienze teoretiche come la teologia e la
matematica hanno per oggetto il necessario, le
scienze pratiche come l’etica e la politica hanno
per oggetto il per lo più. Il minor grado di
precisione che di conseguenza viene richiesto in
queste ultime, non è indice di minor rigore o di
minore scientificità, ma è perfettamente
conforme alla natura dell’oggetto e al tipo
diverso di razionalità che essa richiede. Questa
distinzione metodologica viene annullata nella
scienza politica moderna, che orientandosi a
partire da Hobbes sull’ideale cartesiano di una
scienza esatta, non salvaguarda più la specificità
della propria razionalità nei confronti delle
scienze matematiche e naturali, ma finisce per
assimilarne modelli e procedure. La dialettica
che ha la capacità di collegare aspetti anche
diversi ed opposti, non è solo il metodo che usa
il filosofo quando costruisce il discorso sulla
realtà, ma è anche l’unica maniera corretta di
pensare una realtà in sé stessa dialettica. Da
capacità di abbracciare l’unità che si trova in
maniera naturale nel molteplice, la dialettica
diventa possibilità di sostenere che ciò che è
diverso è in qualche modo identico e ciò che è
identico è diverso. La retorica e la dialettica
hanno lo stesso modo di argomentare, applicati
a situazioni diverse e a contenuti diversi.
Entrambe si occupano di procedure praticabili
da tutti, come l’esaminare ed il sostenere una
tesi nel caso della dialettica e l’accusare e il
difendersi nel caso della retorica. Per quanto
riguarda la retorica, il carattere tecnico consiste
nel saper usare bene i mezzi della persuasione e i
modi di suscitare la credenza. Nella dialettica,
l’aspetto tecnico è dato dal saper usare bene le
argomentazioni. Alla scienza compete la capacità
di cogliere il vero, alla retorica quella di cogliere il
verosimile. La retorica è una psicagogia ed è
fondata sulla pratica giudiziaria e sulla captatio
benevolentiae. Tenendosi lontana dall'esattezza
della logica essa persegue l'adesione ad
un'opinione o a una quasi verità chiamata il
verosimile. L'opinione viene generalmente intesa
come un gradino inferiore della conoscenza, un
semplice ed automatico legame del pensiero alle
proprie possibilità immediate ed ha come punto
di partenza, un'evidenza sensibile non
necessariamente condivisa. Il gradino successivo
è la convinzione, che risulta estranea all'atto
retorico, nella misura in cui presuppone il
superamento dell'evidenza sensibile per mezzo
della riflessione e si fonda su una motivazione
logica e materiale che può essere condivisa. La
convinzione può essere il risultato di una
costrizione
tramite
prove
materiali
e
testimonianze, come accade nei processi e il
pensiero non può sottrarvisi senza infrangere le
leggi sue proprie. Pur lasciando un certo
margine alla probabilità, in altre parole alla
possibilità d'errore, la convinzione è capace di
ottenere un'adesione attiva. Il grado più alto
della convinzione è la certezza, che esclude la
possibilità d'errore, giacché si fonda su di una
motivazione logica e materiale ancora più
rigorosa. L'atto retorico ovvero la persuasione,
persegue il medesimo scopo della convinzione,
ma seguendo una diversa via, quella
dell'immaginazione,
dell'emozione,
della
suggestione, accordando deliberatamente, una
maggiore possibilità di errore. Non essendo
coercitiva, la persuasione implica la libertà di
aderire o meno alla tesi proposta. Il riferimento
all'etimologia dei termini convinctio e persuasio
permette di precisare ancor meglio la differenza
tra le due nozioni. Convinzione, in latino
convinctio, deriva da vincere e il suffisso con
suggerisce l'idea della sconfitta completa e
definitiva. Il soggetto stesso accetta l'evidenza
delle prove e la validità dei ragionamenti di chi
argomenta, rinunciando ad opporre ad essi i
suoi ragionamenti. Il termine persuasione, dal
latino persuasio, che ha un'origine comune con
suadere ovvero consigliare con in più l'idea di
compimento suggerita dal per, è strettamente
legato all'esistenza di un'influenza decisiva, se
non proprio coercitiva, esercitata da colui che
argomenta.
Nel caso della convinzione, la decisione
comporta la rinuncia alla tesi propria. Il
momento della deliberazione viene ridotto al
massimo, in virtù dell'evidenza, contro la quale
non si delibera. Ogni tentativo di spiegare
quest'ultimo fatto, in cui psicologia e logica
vengono a contatto, diventa impossibile. Si è
quindi costretti ad accontentarsi di attribuire
una eccezionale virtù all'evidenza, se ogni mente
normale deve arrendersi ad essa e la decisione è
unica e obbligatoria. Le cose vanno
diversamente nel caso della persuasione. Lo
spazio per la deliberazione è ampio e il soggetto
resta a lungo in preda all'esitazione. Decisione
significa in questo caso, scelta libera. Il termine
che viene attribuito a tale scelta è adesione. I
risultati della persuasione sono assai più
importanti, perché l'individuo ha la coscienza di
aver liberamente aderito ad una tesi. Tale tesi
diviene sua propria e l'azione a cui lo si sollecita
perde ogni carattere esterno ed imposto. Questa
non è un'imperfezione, ma al contrario, l'azione
ne trae una forza particolare.
Esiste una
similitudine di contenuti tra retorica e politica, là
dove entrambe preparano discorsi persuasivi.
Nella maggior parte dei casi le argomentazioni
retoriche non hanno carattere di scienza, cioè di
verità necessaria, ma lo hanno solo nel caso del
parlare delle prove. La retorica, pur essendo una
forma di razionalità diversa dalla scienza, è
tuttavia
strutturata
anch’essa
con
argomentazioni, in particolare argomentazioni
dialettiche, il che non solo le conferisce un
preciso carattere tecnico, ma le permette in
qualche modo di avvicinarsi alla verità e quindi
la fa essere diversa sia dal puro ornamento
esteriore del discorso, sia dal semplice esercizio
verbale, a cui essa è stata ridotta da una
credenza diffusa che ha assunto la matematica
come unico parametro con cui misurare la
validità dei discorsi. Innanzitutto si ammette che
la dimostrazione non si ha dai casi della vita.
Rimane aperta comunque una possibilità alla
teoria dell'argomentazione. Da ciò deriva la
constatazione della minore efficacia della logica
formale che apre la strada alla riabilitazione
della retorica. La conoscenza che si limita
esclusivamente alla logica formale è un puro
nominalismo.
Fra la retorica antica e la giurisprudenza
esistevano stretti legami. La recente teoria sulla
retorica ha dimostrato l'impossibilità di una
giustizia perfetta. Le norme giuridiche non
dimostrano altro che il rapporto tra logica e
diritto è un rapporto difficile e questo significa
che la logica giuridica non deve essere di natura
formale, ma argomentativa. Un argomento
efficace in una data situazione, scade e diviene
persino inutile in un altro momento. Un
argomento è più efficace in un certo contesto, lo
è meno in un altro, può essere addirittura
controproducente per la causa in un altro
ancora. Questo è il lato debole della teoria
dell'argomentazione. In più vi è da considerare
che la retorica non è esclusivamente un esercizio
di bello stile verbale, poiché molta parte della
disciplina è basata sull'analisi e la discussione di
ciò che accade per lo più e ciò ha anche una
stretta relazione con la matematica, dato che la
disciplina che si occupa del per lo più in
matematica è la statistica. Vi è un'altra
questione, quella relativa alla cultura storica che
deve contribuire alla capacità di prendere
decisioni, la capacità di prevedere le
conseguenze delle decisioni prese e la capacità
di realizzarle in modo efficace. L'instabilità
permanente della realtà del mondo e degli atti
umani, impedisce qualsiasi discorso a priori su
di essi, mentre la loro comprensibilità li rende
accessibili alla mente, anche se solo a posteriori,
da cui la necessità di ricerche empiriche. Ma al
contrario, l'instabilità del reale, è il fenomeno
passibile di comprensione che può trovarsi alla
portata della capacità deduttiva dell’intelletto
umano. Questo aspetto impedisce di cadere sia
nella presunzione del razionalismo, quanto nella
sfiducia dello scetticismo a proposito della
conoscenza del mondo. Inoltre il fatto che si
possa percepire in modo ragionevole, che la
fiducia nella razionalità del mondo è fondata,
cioè che si è fiduciosamente certi che c’è sempre
una ragione dietro i fatti esperiti, aiuta
l'intellettuale a non cedere alla tentazione di
abbandonare tutto durante il difficile momento
di elaborazione che si svolge tra la sua mente e il
non conosciuto. È possibile affermare che la
contingenza del reale, coerentemente ordinato, è
il fondamento della scienza, in quanto dispone
la mente ad accettare i dati esperiti senza
rinnegare la propria creatività, stabilendo così
un’equilibrata compenetrazione con la realtà.
Nel discorso ideologico lo spazio teorico è
illimitato, nel discorso scientifico invece è ben
delimitato. Infatti il procedimento scientifico
restringe necessariamente l'accesso all'oggetto
d'indagine. Nella ricerca storica questa
restrizione si esprime nell'indagine dei
documenti originali. Nell'analisi testuale, la
restrizione si esprime come attenzione critica
verso una o più parti del testo. Alla base di un
testo vi è sovente una serie di libri e ciascuno di
questi libri occupa nella comunità dei testi, la
stessa posizione che il parlante occupa nella
comunità linguistica. Quindi l'attività letteraria
può essere paragonata ad un susseguirsi di
approssimazioni, nei confronti di un assoluto
che sfugge continuamente. Paragonando
l'universo dei testi con l'idea di langue e le
singole opere concrete con l'idea di parole, il
sistema o langue non esiste solo nella coscienza
dello scrittore e le singole strutture o parole sono
invece atti concreti con cui l’autore cerca di
realizzare il suo sistema personale, detto
appunto langue. Quindi un testo va concepito
come un sistema di trasformazioni e non come
una somma o aggregato di strutture
indipendenti le une dalle altre.
La funzione del linguaggio è sicuramente
quella di comunicare qualcosa, come un
sentimento, un'emozione, un desiderio o un
bisogno e così la letteratura ha la funzione della
comunicazione. Essa deve innanzitutto essere
analizzata e cioè se sia in prosa o in verso e a
quale genere appartenga e se ha soli scopi
pratici. La differenza consiste tra scritto e parlato
ed entrambi comunicano sempre qualcosa. Che
cosa
comunichino
viene
stabilito
alla
conclusione del messaggio. Tali differenze sono
da ricercarsi tra campi di applicazione della
letteratura e generi stessi. I campi riguardano
una disciplina o più discipline e materie in
particolare e i generi. Il complesso dei testi è
anche definibile con il termine di letteratura.
Comunemente si intende per letteratura ciò
che riguarda i sentimenti e le emozioni oppure
lo sviluppo di problematiche in forma ricercata e
attenta ad un'espressione elegante.
La memoria, come la coscienza, può essere
considerata a vari livelli e può influire su un
certo numero di funzioni diverse. Affinché
un’impressione sensoriale possa lasciare una
traccia in grado di influenzare la coscienza,
deve essere integrata con altre impressioni
sensoriali e queste integrazioni devono essere
ripetute nella mente un certo numero di volte.
Tuttavia le tracce così formate sono instabili.
Sono soggette ad alterazione da parte di tutti gli
stimoli successivi ed è proprio questa
alterazione che prende il nome di dimenticanza.
Così la memoria si arricchisce di nuove
esperienze, purché la dimenticanza elimini solo
gli elementi superflui del passato e comunque
quegli elementi la cui ritenzione potrebbe
rendere più gravoso il lavoro dei nuovi
enunciati. Questo è il processo attraverso il
quale la cronaca e la storia del passato si
trasformano in mito o leggenda, a mano a mano
che la memoria registra nuovi fatti e nuovi
avvenimenti. Gli storici devono stabilire non
soltanto ciò che fu detto, ma anche che cosa si
intendeva dire e la memoria è articolata come
una funzione del passato del verbo. Essa opera
tramite un'applicazione dei tempi passati nei
confronti della scelta del materiale storico
raccolto.
Alcuni studiosi ritengono che la vera
condizione della realtà del mondo sia una
condizione di processi termodinamici che
tendono all'equilibrio e quindi all'inerzia. Al di
là della cessazione del flusso di energia e del
moto delle particelle, non può esistere il tempo.
In conseguenza di ciò è possibile dimostrare che
il tempo futuro è finito, che l'entropia raggiunge
un massimo nel quale il futuro finisce ed allora il
tempo presente ha una larghissima estensione se
non sia addirittura il tutto stesso, un
lunghissimo e larghissimo presente e allora la
storia è un semplice accadere di fatti.
Il linguaggio è lo strumento principale
della capacità dell'essere umano di comprendere
il mondo com'è. Senza questa capacità, senza
un'ininterrotta generazione di altri mondi da
parte della mente, l'umanità resterebbe per
sempre nel presente ed è chiaro che il linguaggio
crea i concetti di passato, presente e futuro. Un
sistema di segni espressivi come quello della
lingua presuppone un notevole sviluppo
intellettuale e questo a sua volta non sembra
possibile senza l'uso del linguaggio. La storia
delle scritture può aiutare a capirne l'origine.
Essa dimostra che il valore convenzionale dei
segni è il risultato di una lenta evoluzione. Si
ritiene che all'origine l'elemento direttamente
espressivo del linguaggio umano, nell'aspetto di
suoni indistinti, di suoni che scaturivano dal
corpo in modo del tutto naturale e semplice,
doveva essere predominante, al punto che i
diversi fonemi possono essere solo il risultato di
un'evoluzione successiva e l'evoluzione fonetica
e fonologica è continua, un divenire che ha
radici lontane, dall'inarticolato all'articolato.
Alcune specie animali dedicano molto
tempo alla reciproca pulizia, un'attività che
aumenta la coesione del gruppo. Per gli esseri
umani, tale attività sarebbe troppo faticosa e
dispendiosa. Il linguaggio sembrerebbe nato per
colmare questa lacuna, permettendo di avere
più tempo libero per le relazioni sociali, per
scambiare informazioni socialmente rilevanti,
creare rituali, trasmettere la cultura. Il sistema
comunicativo del linguaggio è caratterizzato da
una evoluzione senza limiti, che ha sviluppato
anche concetti astratti e la trasmissione orale e
scritta del pensiero.
Assegnare o cambiare un nome è un segno
di sovranità come fa il sapiente che con
un'attività propriamente enciclopedica, assegna
un nome a tutte le cose e infatti l'enciclopedia
nasce come una raccolta di nomi per chiamare le
cose, in cui l'essere umano dimostra così la sua
capacità di controllo della natura e quindi la
realizzazione di una politica del pensiero rivolta
al mondo. Le lingue sono il simbolo specifico
della natura particolare di una civiltà e ogni
lingua è propria a uno specifico luogo
geografico, storico e culturale.
Il flusso intenzionale di un discorso, è la
comunicazione di un'esperienza che assume
coscienza soltanto nell’atto linguistico. Anche la
più completa delle lingue contiene una piccola
parte di incompletezza e nessuna lingua per
primitiva che sia, manca di attualizzare i bisogni
di una comunità. La visione linguistica del
mondo, da parte di una determinata comunità
plasma e dà vita ad un determinato tipo di
comportamento psicologico. È il linguaggio a
decidere come vanno letti e collegati all'interno
dell'esistenza,
i
diversi
raggruppamenti
concettuali. In ogni istante della vita, si formula
e comprende una massa di frasi diverse da
quelle sentite in precedenza. Queste capacità
indicano che devono essere in azione dei
processi fondamentali indipendenti dalla
relazione con l'ambiente circostante. Si tratta di
processi innati in tutti gli esseri umani.
È stato già detto che il discorso e l'articolazione
linguistica umana sono fondamentalmente
creativi. I ritmi del discorso scandiscono la
sensazione di flusso temporale e possono avere
relazioni di contemporaneità con altri ritmi
biologici interiori. Il verso palesemente metrico e
anche la prosa più libera, contengono elementi
di scansione temporale. Amplificano o
interferiscono con la frequenza dominante del
linguaggio nel tempo e attraverso il tempo. I
segmenti verbali hanno un ruolo cronometrico
ancor più significativo nei fenomeni interiori. Lo
scorrimento ininterrotto del linguaggio che
passa attraverso la mente, contribuisce in larga
misura alla precisazione del tempo interiore. La
sequenza dei segnali verbali o delle immagini
scandisce il tempo. Ciò nonostante queste sono
le forme deboli della coordinazione del
linguaggio con il tempo. Altri elementi fanno
altrettanto o più, per strutturare o alterare la
nostra coscienza temporale. La mente ha tante
cronometrie, a seconda degli stati d'animo e
durante tali stati di distorsione temporale, le
operazioni linguistiche possono o non possono
esibire un ritmo normale. Il rapporto tra tempo e
linguaggio è grammaticale ed è difficile stabilire
se sia il linguaggio a generare le diverse
architetture temporali o se una determinata
grammatica si limiti a riflettere e a codificare
uno schema temporale elaborato al di fuori del
linguaggio. Il significato dei dati del passato, va
posto in relazione al presente e tale relazione si
realizza a livello linguistico.
Tutti gli elementi fonetici al di sopra del
livello dei morfemi, le più piccole unità
fondamentali dal punto di vista grammaticale e
linguistico della lingua, possono diventare
veicoli di significati. Poiché ogni forma verbale e
ogni codice simbolico è aperto a fatti contingenti
come le esperienze, i significati sono influenzati
da fattori individuali, storici e culturali. Il
linguaggio indica aree di conoscenza, di
contesto e di riconoscimento, che forse sono già
posseduti, ma si possono anche acquisire.
Bisogna conoscere molto bene un vocabolario e
un gruppo di regole grammaticali, perché il
messaggio possa essere trasmesso o ricevuto in
maniera adeguata. Al di sotto del corpo lessicale
convenzionale, poiché il dizionario è un
assortimento di usi comuni, le parole dette
assumono un significato specifico. Qui la
conoscenza può non essere perfetta, in quanto si
realizza un carattere universale e reale soltanto
se il rapporto tra le parole e il mondo è in un
rapporto di corrispondenza senza ambiguità.
La naturale scarsa precisione del linguaggio si
rivela necessaria per le funzioni creative della
parola, poiché una sintassi rigida e una
semantica circoscritta, genererebbero una realtà
chiusa. La lingua seleziona, combina e
contraddice alcuni elementi dal potenziale
complessivo dei dati della conoscenza,
perpetuando le differenze di visioni del mondo.
Ma nella scrittura occorre esattezza e cioè un
disegno dell'espressione linguistica, ben definito
e ben calcolato, con un linguaggio il più preciso
possibile per quanto riguarda il lessico, come
resa delle sfumature del pensiero e
dell'immaginazione. Vi è un reticolo che unisce
ogni cosa e la conoscenza del mondo si dilata
fino a farlo diventare senza limiti e non
immaginabile. Anche se il disegno generale di
un tutto è stato minuziosamente elaborato, ciò
che si nota è la pluralità del linguaggio, la
connessione con la realtà di un testo unitario che
si svolge come discorso di una voce singola e
che si rivela interpretabile su vari livelli. Un
testo plurimo che sostituisce alla unicità di un io
pensante, una molteplicità di soggetti, di voci.
C'è l'opera che tenta di contenere tutto e non
riesce a darsi una forma conchiusa, restando
incompiuta, così come c'è un'opera che in
letteratura corrisponde a quello che in filosofia è
un pensiero non sistematico. Questa opera
reticolare non si allontana dal suo autore, perché
ogni esistenza è un campionario di stili, è una
biblioteca o un'enciclopedia. La preoccupazione
principale che percorse tutta l’etica greca, fu la
ricerca del sommo bene che assicurerebbe la
felicità dell’essere umano nella sua esistenza. A
questi
tentativi
regolatori
dell’etica
si
contrappose il positivismo che non credeva che
questa etica potesse stabilire delle norme. L’etica
affronta il problema della possibilità di definire
e di giustificare certe regole in quanto norme
vincolanti. L'etica che corrisponde meglio ad
una corretta politica del pensiero è quella
fenomenologica che si astiene da affermazioni
affrettate e non comprensive di tutte le diversità
della riflessione. Un'altra condotta altrettanto
positiva e che prescrive norme, si deve
considerare l’empiria o esperienza che ha due
fasi principali. La prima riguarda la percezione
di impressioni con le quali ci si rapporta e da cui
traiamo il contenuto delle conoscenze. La
seconda è che queste impressioni percepite, a
volte presentano qualcosa di uguale o di simile
per cui dal loro ripetersi si possono desumere
delle leggi che governano il campo
dell’esperienza. Il desumere certe leggi da una
molteplicità di casi identici o simili, viene
designato come induzione. Caratteristica
essenziale di questo metodo è che i principi
dedotti in questo modo dall’esperienza non
possono pretendere un’assoluta e universale
validità. Così vi è solo una certa probabilità e
non una certezza assoluta che in altri casi del
genere che si incontreranno, le cose staranno allo
stesso modo. Ciò vuol dire che in via di
principio per le leggi desunte induttivamente,
sono sempre possibili delle eccezioni. Nella sua
applicazione all’etica il metodo empirico si basa
sull'idea che solo l’esperienza può istruirci circa
i fatti e i fondamenti dell'etica. Inoltre il metodo
empirico è in stretta relazione con la concezione
positivistica sono. L’etica deve soltanto accertare
i fatti relativi alla sfera della moralità e spiegarli,
ma l'esperienza ci presenta innanzitutto i fatti,
poi i nessi causali rilevanti, i quali forniscono la
base per la loro spiegazione. In opposizione
all'induzione, il metodo razionale usa la
deduzione.
Una
caratteristica
dell'etica
deduttiva è la sua capacità di poter raggiungere
conoscenze aventi una validità rigorosa, ossia
principi che a differenza di quelli ottenuti col
metodo empirico e induttivo, non ammettono
eccezioni. I campi tradizionali di tale metodo
sono la logica e la matematica. I filosofi greci
avevano un'alta considerazione della filosofia in
quanto sapere, infatti la parola greca sophia
significa sapienza e veniva anche usata nel senso
di scienza, un valore positivo che compendia
capacità e competenze umane nei campi più vari
e a diversi livelli, nonché il loro accumulo. Chi
poi studiava filosofia, acquisiva sapere per
possederlo, cioè aveva accesso al sapere. Alla
parola sophia si poneva molta attenzione ed
importanza, per cui la philo sophia era l'amore
per la sapienza ed il philo sophos colui che amava
la sapienza. C'è un'altra considerazione da fare
circa il pensiero degli antichi intellettuali greci.
Essi avevano una grande considerazione nei
confronti di parole quali synesis o intelligenza,
con una prevalenza di significato di buon senso.
Per Erodoto synesis indicava una persona
intelligente, dotata di comune buon senso. Per
Tucidide era un'intelligenza nel decidere,
chiaroveggenza, in un contesto politico ed
inoltre aveva anche un significato speciale
riferibile sia a singoli individui, sia ad un
complesso di cittadini. Si tratta soprattutto di
intelligenza nel decidere, di chiaroveggenza in
un contesto politico. Parole come kratos il potere e
tyche la fortuna, il caso, vengono considerate in
stretta relazione con la phronesis. Secondo
Democrito, la synesis è un valore positivo e
complementare all'episteme, la scienza e chi le
possiede entrambe, è portato ad operare
rettamente e a pensare con decisione. In
sostanza si tratta di tre norme a carattere etico e
politico incentrate sulla phronesis, sull'attività del
pensiero lungimirante o prudente. Gli Spartani
ritenevano che negli Ateniesi si potesse
intravedere, in seguito alle loro vittorie, i tre
aspetti di potere, fortuna ed intelligenza politica,
dove la fortuna però è tale solo se si accompagna
ad un saggio uso di essa e l'intelligenza consiste
nel saper usare la fortuna in modo moderato.
Circa la fortuna od il caso, Platone non era
consenziente ad accostarlo all'episteme e quindi
alla saggezza, la phronesis che si avvale
dell'episteme, quindi del sapere scientifico. Per
quanto riguardava kratos il potere, si poteva
salvaguardare con le leggi e la giustizia, perché
fin dall'antichità i filosofi hanno paragonato la
città all'individuo umano e leggi e giustizia, con
la temperanza si accompagnano all'essere umano
sapiente, all'essere umano saggio. Essa era
considerata come un assembramento o
comunità, in cui la virtù ha il primato e
l'eccellenza etica diventa una eccellenza
cognitiva. La virtù necessita di essere fondata
sul sapere e riguarda le cose ben fatte. Essa è
una competenza propriamente politica. Deve
avere una forma di eccellenza e dunque essere
fondata sul sapere, perché il sapere politico è il
presupposto dell'eccellenza politica, la scienza
che rende felici gli uomini rendendoli sapienti.
La competenza politica è definita come sapere,
perché presuppone il sapere. Colui che esercita
l'arte politica, deve sapere utilizzare e dirigere
tutte le opere nella comunità ed è possibile
comparare la giustizia che l'individuo esercita
alla giustizia praticata nella comunità ed essere
umano e città sono due enti identici di diversa
grandezza. Ciò che è vero per l'essere umano in
materia di bene, di giustizia e di verità lo è per la
città, che riunisce gli esseri umani in una stessa
comunità e l'eccellenza politica è l'eccellenza
della città e questa è l'eccellenza del pensiero.
La specie più eccellente del pensiero, il sapere
dialettico, dà agli uomini politici la conoscenza e
la capacità di governare la comunità. Con ciò ci
si deve aspettare dalla politica l'esercizio più
accorto del pensiero, la conoscenza vera. Tutto
ciò, l'eccellenza, la virtù, il sapere, la politica,
l'arte considerata come la virtù nel fare, sono
benessere per gli uomini, quindi benessere per la
comunità. Come già detto, la politica esige come
condizione del suo giusto esercizio, la
conoscenza. Inoltre, la comunità è basata su
funzioni chiamate giustizia. In essa convengono
tutte le virtù. Ciò che deve presiedere alla
convenienza o alle funzioni comuni, resta
sempre il principio della salvaguardia e
dell'equilibrio dell'insieme. L’individuo che si
avvale della dialettica possiede la competenza
d'insieme di tutte le cose, la totalità delle attività
della comunità. Tale competenza permette a
questo individuo di governare, perché conosce
la relazione tra gli insegnamenti, cioè la loro
specificità e la loro possibile subordinazione, che
ritiene più adatta e adattabile. La città nel suo
insieme era considerata come un quadro sulla
quale i fondatori disegnano un progetto,
imitandone il modello ordinato del cosmo e
l'esercizio della politica prendeva l'aspetto della
psicagogia democratica e della legislazione e il
politico poteva intervenire solo come psicagogo
dei cittadini. Il sapere politico non era la somma
dei saperi particolari, ma la conoscenza della
convenienza dell'uso di tali saperi. Unico
tentativo della politica come scienza, era mettere
in ordine dei saperi in vista del fine unico, cioè
la deliberazione. Così la politica trae la sua
omogeneità dalla capacità a istituire delle
relazioni tra i saperi che riunisce, trasformandosi
in una scienza sintetica o combinatoria e le sue
virtù necessarie sono la temperanza, la saggezza
e
la
giustizia.
Quest'ultima
con
la
giurisprudenza si sforza di arrivare alla
perfezione etica. La legge tenta di dare
all'instabilità degli affari umani, una regolarità.
Lo scopo conferito alla riflessione politica, alla
concezione della costituzione del governo della
città, è di fare accedere tutti i cittadini alla virtù
etica nella sua interezza e alla felicità.
2
Il nostro tempo.
È necessaria una riflessione approfondita
sul significato di cultura, nella prospettiva di
nuove e diverse acquisizioni conoscitive e
dottrinarie.
Analogamente,
occorre
una
riflessione su ciò che è passato e su ciò che deve
realizzarsi di nuovo, nei nostri tempi che
apparentemente hanno perso l'orientamento,
dove tutto è da ricostruire con il sostegno del
sapere intero. Questo ragionamento comincia
con il considerare un intellettuale tra i più
politici della letteratura italiana, Pier Paolo
Pasolini. La parola politica si deve intendere, non
come un programma teorico specifico, ma come
una presa di coscienza della letteratura che
accantoni il divertissement della scrittura
romanzesca.
Pasolini
esprime
questo
atteggiamento letterario fortemente politico,
soprattutto negli scritti detti corsari, discorsi
fuggitivi, contestatori dell'attualità e sostenitori
anche di ciò che non è attuale.
In questi scritti vi è la necessità di
comprendere la realtà in maniera completa,
aggiungendo conoscenze alla conoscenza
empirica, raccogliendo dati su dati e dando
inizio ad una prassi e una conoscenza che sia
una coscienza del reale, simile ad una mappa
geografica che avvolga il mondo intero e
coincidente con esso, mentre l'osservazione
storica di essa, richiede la figura di un
intellettuale saggio. Come nei tempi arcaici, è
necessario il ritorno all'uso di una parola epica,
uguale per tutti, non solamente che comprenda,
sia nel senso del contenere che dell'interpretare
la realtà, ma che possa contenere le divergenze
della realtà e allo stesso tempo che sia una
parola astratta dalla realtà, equidistante dal
mondo reale, come se appartenesse ad una
realtà fantastica, riflettendo sulle finalità della
cultura, stabilendo un linguaggio definito ed
omogeneo, in grado di poter comunicare nuovi
saperi e quale tipo di intellettuale debba avere
tali saperi e se esso sia da collocare dentro ad un
nuovo scenario, non ancora disegnato. Infine
collocare questo nuovo intellettuale, sulla linea
di contrasto nella polemica che vi fu tra Pasolini
ed il gruppo letterario formatosi a Palermo nel
1963, le cui teorie si contrapponevano alla sua
voglia di conoscenza razionale e ad una ricerca
linguistica che voleva cambiare il rapporto con
la realtà, quando le lingue e le parole non erano
legate alla realtà.
Pasolini ha un atteggiamento di rottura riguardo
alle strutture estetiche e dei generi ed è rivolto
piuttosto alla ricerca di un rapporto continuo tra
interiorità con la scelta esterna e di una nuova
efficacia della parola poetica al di fuori della
sfera intimistica. Questo procedere che nega
un'autonomia formale all'arte, si fa portatore
anche di punti di vista diversi. La poetica del
Gruppo '63, non è da lui condivisa, perché
tendente
ad
accettare
la
spinta
all’omologazione. Ritiene che il letterato, in
generale debba adeguare la propria soggettività
e il linguaggio, per descrivere in maniera
semplice il mondo e quindi non ha più una
poetica propria. Ciò non coinvolge una poetica
in particolare, ma quella generale, la possibilità
stessa di vedere affidata a una certa soluzione
stilistica il senso della propria attività letteraria e
riteneva che se una strada potrà aprirsi di nuovo
per la scrittura, sarà una strada fuori dalla sfera
dell’immaginazione creativa e quindi puramente
astratta.
L'intellettuale odierno deve affrontare
insieme alla crisi delle ideologie, la crisi delle
poetiche, con la conseguente impossibilità di
assumere come unica, uno stile o una scrittura
rispetto all’altra, cosa che non accadde agli
scrittori del Gruppo '63, secondo i quali la
letteratura si apre verso la pluralità delle
scritture. Oggi un'opera deve essere originale,
attraverso la violazione delle regole formali
precedenti, destinate da lì a poco a diventare
parte delle norme future, che richiamano a loro
volta nuove violazioni e così l’intellettuale deve
essere necessariamente originale. Presenterà
una sorta di sincretismo positivo, una
compresenza di scritture eterogenee e nessuna
sarà quella definitivamente scelta. Solo
l'ulteriore passo verso la parola epica e saggia,
spingerà ad uno stile sintetico ed unico, quindi
non la posizione del Gruppo, ma invece più
simile a quella di Pasolini. In tutte le situazioni
storiche e culturali, niente si cancella, ma tutto si
stratifica, tanto da trovare l'antico fin nel
moderno. La possibilità d'uso contemporaneo di
una pluralità di codici, appare come il non
superamento della storia. Questa compresenza
di antico e di moderno, ha un ruolo importante.
Pasolini ha un'idea della scrittura letteraria,
legata al concetto di prassi. Concepita come
prassi e non come descrizione, ha a che fare con
l'efficacia. Essa necessita di raggiungere un certo
effetto sulla comunità, in cui viene idealizzata in
un certo senso una funzione tribunizia allo
scrittore, che parla per raggiungere degli effetti
sul suo pubblico, per convincerlo nelle azioni
giuste. Scrivere diventa agire nel mondo e anche
la poesia è intesa come azione. Quando
l'ideologia che motiva lo scrivere viene messa in
discussione, entra in crisi e al letterato non resta
che allargare la propria sfera intellettuale, fino
ad accogliere idee eterogenee, fino a contenere
tutto il linguaggio anche con le sue impurità,
giungendo alla finalità pratica della scrittura. I
versi si sottraggono allo stile, si piegano ad una
finalità pratica e non estetica, ad un bisogno di
dire e rispetto ad esso, Pasolini sta
contemporaneamente dentro e fuori l'istituzione
letteraria. La parola diretta non consiste solo nel
rifiuto dell'elaborazione stilistica, non consiste
nello scrivere per difendersi ed accusare, ma
consiste anche nel lasciare l'oggetto letterario
allo stato solo potenziale. La parola diretta non
va dunque intesa come scrittura di contenuto. È
la parola dell'autore che pur costruendo un
mondo poetico, non diventa mai la parola
poetica, utilizzabile esteticamente.
Le critiche di Pasolini al Gruppo '63 e alla
neoavanguardia contenevano una avversione al
concetto di divertissement accademico ed
istituzionalizzato della letteratura a cui essi
rimanevano
legati.
La
preoccupazione
dell'ultimo Pasolini, fu tentare di oltrepassare la
sfera di una letteratura completamente chiusa
nel suo mondo separato, fine a se stessa ed
invece rilanciare l'arte della parola oltre il suo
ambito istituzionale, verso ciò che sta fuori da
quel gioco che era diventata la letteratura.
Pasolini accomuna poesia e storia, cioè la
condizione poetica e la condizione politica della
trasformazione
della
realtà.
La
spinta
rappresentativa rimane nel rapporto immediato,
di poesia e storia, tra una condizione poetica
come naturale ed innocente e il movimento
storico che tende a snaturarla. Pasolini si mostra
più lontano dall'incontro con la storia e la realtà
e accorda un privilegio al sapere della poesia ed
in questo atto conferisce uno stato di conoscenza
e di epistemologia della realtà .
Il neorealismo fu una corrente letteraria che
intendeva indagare gli atteggiamenti e le
relazioni tra le persone. A differenza dei
movimenti letterari precedenti, il neorealismo
aveva un contatto diretto e immediato con la
società, della quale cercava di descriverne
semplicemente le contraddizioni. Era la
necessità di descrivere la vita reale. Pasolini era
l'esponente più rappresentativo della poesia
neorealistica, che all’impegno civile di
ispirazione marxista e gramsciana, aggiunse una
sorta di sperimentalismo che si realizzò
soprattutto in campo linguistico.
In letteratura sopravvive l'idea che rispetto
alla scelta di trasformazione della società, debba
affiancarsi l'aspetto visionario della poesia, di un
modello di coscienza indefinita e che si debba
sovrapporre un'idea di cultura universale. La
necessità di integrazione di poesia, filosofia,
storiografia, scienza e altre discipline, è l'oggetto
di una analisi teorica che solo per questo
potrebbe definirsi marxista. L'aspetto positivo
del marxismo è innanzitutto nella funzione
critica, nella formazione di un pensiero
problematico e della prassi politica legata alla
conoscenza della società e in un impegno di
riforma intellettuale ed etica. Una cultura critica,
che nasce dal confronto del sapere. Occorre
quindi,
una
funzione
intellettuale
che
rappresenti il linguaggio della ragione e non la
ragione del linguaggio. Nell'attuale confusione
linguistica, della quale non si può comunque
non riconoscere l'importanza di ciascuna
posizione, c’è una letteratura della phronesis,
della saggezza, del sapere pratico, che va
realizzata e l'evoluzione del letterato si svolge
da un impegno sociale quale quello che
troviamo nella letteratura neorealista, alla
ricerca di una parola unica, come quella epica,
che dirima la realtà, perché vi è il tentativo di
allontanare il disordine del reale, per creare
nella parola epica il benessere reale.
Attraverso ciò vi è la necessità di porre
l'attenzione ad un pensiero problematico, inteso
come problematiche unite allo studio del
linguaggio, che dal suo immediato reale
andrebbe a coincidere con la crisi delle certezze
concettuali. Ma anche il linguaggio stesso è il
frutto di una confusione dovuta a diverse
stratificazioni, per cause contingenti alla sfera
della realtà umana. Tutto questo ha creato nuovi
problemi e l'averne consapevolezza obbliga ad
un ritorno e ad una nuova considerazione della
filosofia come pensiero problematico, non
circoscrivibile esclusivamente alle realtà definite,
ma collegata a tutta la realtà considerata nella
sua interezza.
3
Differenze letterarie.
Il Gruppo '63 così chiamato perché
formatosi nel 1963, costituito da un gruppo di
letterati, voleva contrastare la tendenza
disimpegnata e intimista che si stava
affermando nella cultura italiana. Questo
riflusso culturale, aveva determinato anche la
fine dell’esperienza del movimento neorealista.
Alla vitalità del neorealismo si stava sostituendo
una certa disillusione sulle reali possibilità di
cambiamento sociale. Il neorealismo stava
perdendo la sua carica vitale. Un gruppo di
intellettuali desiderava reagire e cercava di
unirsi su punti comuni. Tuttavia nel gruppo del
’63 si espressero subito due opposte tendenze.
Da una parte c'era chi proponeva un
intellettuale disimpegnato nei confronti delle
ideologie e dei movimenti culturali e politici, un
intellettuale privo di ideologia e senza tempo.
Dall’altra c'era chi riproponeva un legame con le
ideologie di ispirazione marxista, anche se in
maniera più indipendente.
La contrapposizione nel rapporto tra
Pasolini e i letterati suoi contemporanei del
Gruppo '63, era da ricercarsi nella poetica di
questi ultimi, che attribuivano al linguaggio una
funzione sovvertitrice nei confronti del razionale
e del reale. Pasolini non condivideva ciò e per
trovare alcuni riscontri è sufficiente partire
dall'analisi dei titoli dati ad alcune delle sue
ultime opere, attraverso i quali si può stabilire
che il suo pensiero ha origine e si sviluppa,
nell'ambito di una razionalità antecedente al
raziocinio di un pensiero filosofico e
problematico.
Egli si trovava come da uno dei lati di una
superficie a due facce, di cui l'altro lato era
occupato dal Gruppo, che ricercava nella forma
linguistica l'illuminazione conoscitiva, mentre
Pasolini ricercava ciò nel contenuto sollevato
dalla realtà problematica connessa all'esistenza,
ciò che lo farà risultare attuale e profondo.
Quelli del Gruppo ’63 erano affascinati dalle
nuove discipline che si andavano affermando,
come la psicoanalisi e la sociologia, ma non
riuscirono a dare una spinta sostanziale e decisa
verso la conoscenza. Pasolini pur non
abbandonando lo studio del linguaggio in senso
formale, attribuì ad esso una via alla conoscenza,
contrariamente al Gruppo che lo considerava
una via per la conoscenza, come veicolo ed
involucro formale fondamentale, ma non il suo
contenuto stesso. La poetica del Gruppo
conteneva il contributo letterario, per un'estetica
puramente formale, una poesia rivestita con un
linguaggio impreziosito oppure una narrativa di
introspezione psicologica e psicanalitica, dove fa
da sfondo il linguaggio. Pasolini invece cercava
di dare risposte urgenti ai problemi della civiltà
a lui contemporanea e per farlo, si accostava
forse consapevole o forse no, al linguaggio
filosofico inteso come approfondimento della
conoscenza in senso problematico e ad un
linguaggio pungente, perché la provocazione
crea il problema per arrivare poi alla sua
soluzione, ponendo l'individuo di fronte ad
un'entità dai contorni precisi nell'intera
questione. La lotta che è scaturita tra i due
opposti, il Gruppo '63 e Pasolini, ha quindi
determinato il successivo tipo di sapere generale
e la coscienza letteraria. Sconfitto Pasolini, si è
indebolita la ricerca approfondita. La ricerca del
sapere, è diventata un affare accademico. Il
sapere di Pasolini era essenziale, era una ricerca
conoscitiva. Da ciò comprendiamo il suo
interrogarsi negli ultimi libri, nel fare partecipi
altri dei suoi dubbi, comunicare attraverso il
libro, perché raggiungesse altri immediatamente
o nel tempo, con cui poter avere dei confronti o
ricercassero essi stessi delle soluzioni.
Sono due le correnti opposte che si
contendono il campo della letteratura, attraverso
i secoli. Una tende a fare del linguaggio un
elemento senza peso, che sovrasta le cose. L'altra
tende a comunicare al linguaggio il peso e la
concretezza delle cose. Gli esponenti del Gruppo
tentarono di mettere in evidenza la mancata
comunicabilità delle parole, in una società
ridotta ad un ammasso di parole che avevano
perso il loro senso. Per questo motivo si
impegnarono in un’opera di dissolvimento del
linguaggio poetico tradizionale, nell’attesa di
una rifondazione etica ed ideologica della
società, capace di promuovere l’avvento di un
nuovo e più autentico linguaggio.
Uno dei problemi principali della
neoavanguardia fu quello della rivalutazione del
linguaggio in antitesi al neorealismo che non
aveva avuto una particolare sensibilità per i
problemi della lingua. Il considerare illimitata la
ricchezza della realtà ha reso la sua indagine
una necessità sempre più pressante. Il
linguaggio avrebbe dovuto impedire che
aumentasse il divario già esistente tra letteratura
e realtà e per meglio raggiungere questo
obiettivo, fu necessario optare per un linguaggio
di livello basso e mutevole come quello
quotidiano. Negli anni successivi, si affermò un
nuovo gruppo di poeti, il Gruppo 93, che
richiamava il Gruppo 63. Tale Gruppo, al
contrario del precedente si era dato nome di 93,
perché si era sciolto nel 1993 e la sua
costituzione si legava al dibattito sulla fine
dell’avanguardia e l’esaurimento della logica
degli schieramenti in un contesto capace di
dirimere le contraddizioni.
Il Gruppo '63 rifiutava di esprimere
qualsiasi idea del mondo e di darne una
definizione. Di esso esprimeva molte opinioni,
tra loro assai contraddittorie, non pretendendo
di suggerire un modo di intendere il mondo, ma
anzi la consapevolezza dell’inesistenza di un
tale modo, una inesistenza oggettiva e
l’incapacità di poterlo sintetizzare nella storia.
Essa prefigurava il mondo come un centro di
disordine, in cui è impossibile lo scambio
dialettico e l’impossibilità della storia. Al posto
della storia sarebbe subentrato uno spazio in cui
tutto ciò che accade è senza senso ed in ciò è
racchiusa la vita degli esseri umani,
costringendoli all’inattività. Viene decretata la
morte delle ideologie, rifiutandole come piani di
conoscenza. Il Gruppo 63 contestava le ideologie
come interpretazioni esaurienti del mondo e
riteneva che al contrario, offrissero una visione
falsa della realtà. Da ciò derivava una revisione
del linguaggio, la sua destrutturazione sintattica
e semantica.
Di seguito a questo gruppo intellettuale si è
affermato un nuovo movimento letterario e di
pensiero. Questo movimento ha preso il nome di
postmodernismo e ha avuto origine dal dibattito
sulla affermazione di Pasolini a proposito di una
mutazione antropologia nel cambiamento di
comportamenti in seguito all'affermarsi del
consumo di massa dei beni materiali. Pasolini,
che aveva previsto la mutazione antropologica,
insisteva sul rimpianto di un mondo arcaico, di
valori popolari andato perduto. Tale dibattito
vede contrapposti due gruppi, gli apocalittici,
cioè quelli che si oppongono al mondo della
tecnologia e quelli integrati, cioè quelli più
aperti verso i poteri emancipati, a cui si
prestavano un po' tutti gli intellettuali di
qualsiasi provenienza ideologica. Secondo
alcuni è proprio la comunicazione generalizzata
introdotta con l'informatizzazione della società,
a generare ed a diffondere una molteplicità
esplosiva di messaggi che sono veri non perché
fondati da un mega racconto, ma in quanto
condivisi da una comunità interpretativa
multipla. Questa verità è la sostanza di cui è
fatto il post moderno in quanto possibile
alternativa pluralistica al crollo delle ideologie
unificanti, Come possibilità di fare esperienza di
una verità molteplice e non riducibile ad un
unico principio fondativo. C'è inoltre da
considerare un altro genere di intellettuale, Italo
Calvino il quale introduce nella sua scrittura
metafore cognitive che hanno come punto di
riferimento il campo semantico, la vista, lo
sguardo, l'occhio e quello della configurazione
spaziale, cioè il labirinto, la rete, la mappa, la
geografia. La relazione fra il testo e la sfera fuori
dal testo viene descritta come una relazione di
contrapposizione e di rielaborazione dialettica,
quella concezione della letteratura con tensione
conoscitiva a sfondo etico. Il testo ordina e
struttura la realtà fuori dal testo, definita come
disordine, caos, groviglio, oscuro, inconscio. La
relazione tra testo e mondo è una relazione di
sfida cognitiva che si rinnova in continuazione,
una incessante operazione di spiegazione e
delucidazioni. Questa tensione conoscitiva si
inserisce in una conoscemza esclusivamente dei
tempi moderni. La concezione della letteratura
come utopia conoscitiva è un punto fermo di
Calvino. Tale concezione conoscitiva della
letteratura, risulta legata ad un'idea della
narratività come costante antropologica di cui i
generi popolari vengono considerati come
esempi tipici per nutrire le riflessioni di Calvino
sulla narrazione. Non c'è da parte sua soltanto lo
studio delle fiabe in senso stretto, ma anche
l'interesse per quella vasta gamma di racconti
tradizionali, leggende, che nel corso dei secoli
sono stati sottoposti a innumerevoli riscritture. È
da questa concezione della tradizione letteraria
come combinatoria di temi, motivi, situazioni e
personaggi costantemente rielaborati secondo
schemi sempre diversi, che si fornisce l'idea di
una narrazione consapevole che combinata
tramite le variazioni della scrittura e le visioni
oltre la letteratura.
4
Il linguaggio a sostegno del sapere.
La funzione dell’università è quella di
trasmettere il sapere e organizzare la ricerca,
quindi aumentare le conoscenze. Il mancato
raggiungimento di questi obiettivi impedisce il
diffondersi del sapere capace di creare un
dinamismo, aperto a varie problematiche,
diventando un ostacolo al sapere e alla ricerca
stessi. Quando manca ciò, non vi è nascita
dell'esperienza e soddisfazione alla necessità di
apprendimento, ma semplice riproduzione
dottrinaria. Tra gli intellettuali universitari,
quelli più esposti sono quelli che ricercano nel
campo umanistico. Essi sono organici, ma al
servizio di un’attività accademica pur sempre
formale.
La riflessione sull'università, induce
contemporaneamente ad un'altra riflessione
sull’importanza sociale dello studio, quando
non sia semplice riproduzione dottrinaria. Ci si
attende che l’università sia un luogo dove si
produce cultura e dove si apprendono nuove
informazioni, nuovi tentativi di composizioni
nella sintassi delle idee, nuovi testi ideologici,
che sono gli obiettivi dell'intellettuale, la sua
attività primaria, cioè quella di raccogliere e
organizzare le idee che provengono anche dai
luoghi più lontani e nascosti del mondo, con una
conseguente apertura al sapere senza confini,
rappresentato pur sempre dall'università.
Mentre una parte della cultura prospera nei
circoli universitari accademici, anche al di fuori
di essi prospera un sapere legato alle vicende
umane ed esso si propaga attraverso le relazioni
umane. Se per esempio si considera il
linguaggio, esso è soggetto ad un mutamento
continuo, poiché si modifica nel tempo. Tempo e
linguaggio sono fortemente legati. Il linguaggio
interiore ha una sua storia intrecciata, sia per
quantità che per contenuto dei significati. Ciò
che viene detto interiormente e ciò che viene
comunicato all'esterno non è mai lo stesso nelle
diverse culture o nelle varie fasi dell'evoluzione
linguistica. Ogni atto linguistico ha una
determinazione temporale e nessuna forma
semantica è atemporale. Quando si usa una
parola, si entra in contatto con tutta la sua storia
precedente.
Quando interpretiamo un testo nel modo
più comprensivo possibile, si ha un processo di
ripetizione originale. Leggendo un'espressione
linguistica del passato, occorre operare una
codificazione e decodificazione e comunque
viene compiuto un atto di traduzione anche di
fronte ad un messaggio verbale enunciato da
qualsiasi altro essere umano.
È possibile osservare un impulso centrifugo nel
linguaggio, poiché le lingue che si estendono su
un vasto territorio generano dialetti e
regionalismi. Inoltre alcune parole hanno
caratteri polisemici e cioè la possibilità da parte
di una parola di indicare cose diverse, dove tale
differenza va dalla sfumatura di significato fino
alla sua antitesi. Il linguaggio di una comunità,
la più uniforme possibile dal punto di vista
umano e sociale, è un aggregato inesauribile di
molteplici atomi verbali e di significati
personali. Il fattore privato presente nel
linguaggio rende possibile una funzione
linguistica variegata, ma essenziale anche se
poco cosciente ed il discorso esterno implica un
corrispondente flusso di pensiero interiore.
Ritornando alla questione tra università ed
intellettuali, non è possibile, come già accennato,
considerare il sapere umanistico solamente un
prodotto delle accademie universitarie, uno
spazio circoscritto, delimitato e non aperto e
quindi
occorre
riflettere
sul
ruolo
dell'intellettuale, sull'università e sul sapere, tre
tipologie distinte nel significato, ma unite negli
scopi.
Per quanto riguarda il sapere innanzitutto,
esso è necessario all'umanità in ogni campo ed
in concreto vi sono diversi tipi di sapere.
Nell'idea astratta il sapere per lo più è inteso
come sapere propriamente umanistico. Esistono
dei luoghi dove si accresce il sapere e
l'università è uno di questi ed esistono esseri
umani che partecipano a questo sapere e
contribuiscono ad accrescerlo, sono gli
intellettuali. Il sapere umanistico non ha
necessariamente bisogno di strumenti sofisticati
per accrescersi anzi, sovente fiorisce al di fuori
delle università e perciò non si può ritenere il
sapere come un fatto prevedibile. Esso è sempre
in progresso, quando
acquisisce nuove
informazioni, da qualunque disciplina o scienza
esse vengano ed è importante e necessario che
queste informazioni devono essere messe a
disposizione di chiunque e propagate verso
chiunque.
Accanto all'intellettuale, esiste un'altra
figura di intellettuale che riceve, indirizza e poi
propaga. Questa è più propriamente la funzione
dell'intellettuale non accademico. Egli detiene
un sapere, perché ha acquisito molte
informazioni, al contrario degli intellettuali
accademici, che confidano per lo più in un
sapere specialistico. Il sapere è la necessità di
una risoluzione dei problemi ed è una
acquisizione di informazioni.
Vi sono alcuni ragionamenti per dimostrare
la verità. Il matematico Kurt Godel, affermava
che in ogni teoria è possibile formulare
proposizioni che all’interno della teoria non
possono essere dimostrate, né contraddette. Ciò
significa che vi sono proposizioni vere, che sono
indimostrabili. Le proposizioni vere di tale
teoria possono essere dimostrate con una teoria
più ampia, ma anche in quest’ultima vi sono
proposizioni che non si possono dimostrare, né
contraddire e cioè se un dato sistema formale è
consistente, allora è possibile costruire una
conseguente formula sintatticamente corretta,
ma indimostrabile in tale sistema. Per cui se un
sistema formale è logicamente coerente, la sua
non contraddittorietà non può essere dimostrata
stando all'interno del sistema logico stesso.
Godel dimostrò che la coerenza di un sistema è
tale proprio perché non può essere dimostrata.
Oltretutto, egli spiegava, la presenza di un
enunciato che affermi di essere indimostrabile
all’interno di un sistema formale, significa
appunto che esso è vero, dato che non può
essere effettivamente dimostrato. La statistica è
la scienza che ha come fine lo studio
quantitativo e qualitativo di un collettivo. La
scienza che tenta di avvicinarsi di più al vero è la
statistica. Essa studia i modi in cui una realtà
fenomenica limitatamente ai fenomeni collettivi
può essere sintetizzata e quindi compresa. Con il
termine
statistica,
si
indicano
anche
semplicemente i risultati numerici di un
processo di sintesi dei dati osservati. Un tipo
particolare di statistica, quella inferenziale, ha
come obiettivo, invece, quello di fare
affermazioni, con una possibilità di errore
controllata, riguardo la natura teorica della legge
probabilistica del fenomeno osservato. La
conoscenza di questa natura permetterà poi di
fare previsioni. La statistica inferenziale è
fortemente legata alla teoria della probabilità.
Un'altra branca del sapere è da considerarsi, per
chi vuol stabilire la verità e cioè la fuzzy logic o
logica sfumata o logica sfuocata. È un tipo di
logica in cui si può attribuire a ciascuna
proposizione un grado di verità compreso tra 0 e
1. Quando parliamo di grado di verità o valore
di appartenenza, si intende che una proprietà
può essere oltre che vera, di valore 1 o falsa, di
valore 0, come nella logica classica, anche di
valori intermedi. Il matematico Lotfi Zadeh
affermava che il termine logica fuzzy viene in
realtà usato in due significati diversi. In senso
stretto è un sistema logico, estensione della
logica a valori multipli, che dovrebbe servire
come logica del ragionamento approssimato. Ma
in senso più ampio, logica fuzzy è più o meno
sinonimo di teoria degli insiemi fuzzy cioè una
teoria di classi con contorni non distinti. Tali
principi logici evidenziano un carattere
rigidamente bivalente al pensiero aristotelico. Il
più antico e forse celebre di tali paradossi è
quello attribuito ad Euclide di Mileto, noto
anche come il paradosso del mentitore, il quale,
nella sua forma più semplice, dice: “Il cretese
Epimenide afferma che il cretese è bugiardo”. Il
paradosso del mentitore nella sua forma
proposizionale appartiene alla classe dei
paradossi di autoriferimento. Ogni membro di
questa classe presenta una struttura del tipo la
frase seguente è vera, la frase precedente è falsa o in
maniera più sintetica, questa frase è falsa. La
logica aristotelica si dimostra incapace di
stabilire se queste proposizioni siano vere o
false, in quanto bivalente, perché ammette due
soli valori di verità: o vero o falso, o bianco o
nero, o tutto o niente, poiché il paradosso
contiene un riferimento solo a se stesso, quindi
non può assumere un valore senza contraddirlo.
Ciò implica che ogni tentativo di risolvere una
questione posta si traduce in un'oscillazione
senza fine tra due estremi opposti. Il vero
implica il falso, e viceversa. Secondo Bart Kosko
uno degli allievi di Zadeh, se quanto afferma
Epimenide è vero, allora il cretese mente.
Pertanto, poiché Epimenide è cretese, quindi
mente, dobbiamo concludere che egli dice il
vero. Viceversa, se l'affermazione di Epimenide
è falsa, allora il cretese Epimenide non mente e
pertanto si deduce che egli mente. Da ciò si
deduce finalmente che l'enunciato del paradosso
non è né vero né falso, ma è semplicemente una
mezza verità o, in maniera equivalente, una
mezza falsità. Le due possibili conclusioni del
paradosso
si
presentano
nella
forma
contraddittoria A e non-A e questa sola
contraddizione è sufficiente ad inficiarne la
logica bivalente. Ciò al contrario non pone alcun
problema alla logica fuzzy, poiché, quando il
cretese mente e non mente allo stesso tempo, lo
fa solo per metà. Ammettendo esplicitamente
l'esistenza di una contraddizione, la condizione
che la traduce viene poi impiegata per
determinare l'unica soluzione contraddittoria tra
le infinite possibili o sfumate, cioè a valori di
verità frazionari, per la questione posta. La
teoria
degli
insiemi
fuzzy
costituisce
un'estensione della teoria classica degli insiemi
poiché per essa non valgono i principi
aristotelici di non contraddizione e del terzo
escluso, detto anche tertium non datur. Dati due
insiemi A e non-A, il principio di noncontraddizione stabilisce che ogni elemento
appartenente
all'insieme
A
non
può
contemporaneamente appartenere anche a nonA. Secondo il principio del terzo escluso, d'altro
canto, l'unione di un insieme A e del suo
complemento non-A costituisce l'universo del
discorso. In altri termini, se un qualunque
elemento non appartiene all'insieme A, esso
necessariamente deve appartenere al suo
complemento non-A. I valori fuzzy possono
variare per le probabilità. Ma, diversamente da
queste, descrivono eventi che si verificano in
una certa misura.
Immaginiamoci ora un sapiente che utilizzi
una gigantesca enciclopedia, in cui vi sia
racchiuso l’intero sapere umano e tutti i suoi
metodi, che contenga tutti i dati matematici e
tutti i metodi dimostrativi e che conosca tutte le
discipline matematiche. Questo sapiente non
resta immobile nel suo sapere, ma con le
conoscenze a sua disposizione e i metodi a lui
noti, produce nuovo sapere che può sfruttare a
sua volta per ottenere nuove conoscenze, ma
neanche un tal sapiente saprà tutto, perché ci
sono proposizioni che tale sapiente può
formulare, ma di cui non può dimostrarne la
validità.
La capacità di comunicare appartiene ad
ogni essere vivente, il quale espone i propri
bisogni e le proprie emozioni, organizzando ciò
in
un
pensiero
definito,
a
partire
dall’imbastitura di una sequenza di suoni che si
innestano
sui
significati
che
vogliono
trasmettere, dall’inizio fino alla conclusione. La
prima forma di associazione e comunità è
l'unione tra uomo e donna e la loro prole.
All'interno di questa comunità, in cui si cerca la
soddisfazione reciproca dei bisogni, il mezzo tra
le due parti che le unisce è il linguaggio fatto di
suoni e segni. Questi suoni e segni trasmettono
significati, per ottenere, per ammonire,
insegnare, lodare, biasimare, infine persuadere
quando la comunità deve prendere decisioni,
quando deve deliberare sugli indirizzi necessari
alla propria sopravvivenza. Così sono nate
contemporaneamente la retorica e la politica,
perché con esse si afferma il potere
dell’assemblea e della parola.
La necessità da parte
dell'intellettuale di
comunicare i risultati delle proprie ricerche,
nasce dal bisogno della soluzione dei problemi
che stringono la comunità. Esso si adopera per
risolverli, quando il dotto li conosce e li studia
soltanto. Entrambi comunicano tra di loro ed
entrambi li comunicano alla comunità, cioè
rendono partecipi delle loro ricerche e dei
risultati di queste, l'intera comunità che li
circonda, la quale a sua volta riceve i risultati
che sono conseguenti alle loro esperienze.
Parlando dei sapienti in generale, si deve fare
una distinzione tra intellettuali e dotti. Il dotto
ha gli strumenti della conoscenza in un campo
specifico che viene adoperato per il
soddisfacimento del bisogno dell'umanità.
L'intellettuale invece è colui che sviluppa gli
strumenti della conoscenza mediante il
linguaggio ed il pensiero. È inserito da
principale protagonista nel processo di
trasformazione sociale. Partecipa all'obiettivo di
una società in via di perfezionamento,
utilizzando la ragione, con un programma non
basato su princìpi razionali astratti, ma aperto ai
molteplici e indispensabili apporti che ad esso
deve fornire l'esperienza storica e il mondo
determinato delle cose reali. Il compito
principale dell'intellettuale è spingere il genere
umano verso il progresso effettivo nel suo
complesso. Con il crescere della complessità
della comunità, i problemi stessi si fanno più
complessi e più specialistici. Occorrono delle
scuole, dove i dotti possano comunicare a
gruppi di discenti, le loro conoscenze, per farne
a loro volta dei dotti e degli intellettuali. Gli
intellettuali comunicano ai dotti i risultati delle
loro ricerche, ma li comunicano anche anche alle
comunità e alle scuole e con il crescere della
complessità
delle
comunità,
anche
la
comunicazione si fa più complessa. Per
raggiungere l’obiettivo di una completa
comunicazione, occorrono sistemi di larga
diffusione, occorrono suoni significativi comuni
e i suoni particolari restano la specializzazione
di un determinato gruppo. Il suono significativo
generale coincide con la lingua o una lingua
comune ad un gruppo. Il suono significativo
particolare coincide con il dialetto o con un
dialetto proprio di una comunità. Nasce una rete
comunicativa di scambio tra gli esseri umani che
appartengono ai suoni significativi comuni e
quelli che appartengono ai suoni significativi
particolari, perché i dialetti cioè i suoni
significativi particolari, sono creazioni locali di
esseri umani locali che apportano il loro
contributo intellettuale ai suoni significativi
comuni, cioè la lingua della comunicazione
generale tra dotti, intellettuali e comunità in
genere.
È possibile ritenere l'intellettuale di una
comunità complessa, che quindi crea la sintassi
di un testo ideologico, appartenente alla
comunicazione
particolare
del
suono
significativo particolare e che volendo far
partecipe delle proprie idee l'intera comunità,
debba adoperare la comunicazione generale dei
suoni significativi generali. Dialetto e lingua non
sono
riferimenti
necessari
a
linguaggi
storicamente
determinati
così
come
li
conosciamo. Sono le possibilità che una catena
di suoni assumono in una comunità, in un certo
periodo della storia. Laddove l'espressione
linguistica può superare le barriere fra aree
disciplinari, la filosofia è invece la guida
razionale, esplicita, in continua dialettica su
diversi piani, di analisi e sintesi, all'interno di
un'unica
grande
architettura,
mai
completamente definibile ed esauribile, sempre
aperta a nuove possibilità.
L'essere umano possiede una forma
mentale che lo aiuta a superare le varie
partizioni specialistiche del sapere, per arrivare
ad una comprensione del tutto. Momento
fondamentale di questo atto è la facoltà
dell'ingegno, che con l'ausilio della memoria
e della fantasia, deve trovare le varie
connessioni che lo portano alla partecipazione
del tutto. La fantasia ha una parte fondamentale
per la ricerca e l'acquisizione di quei dati
necessari alla determinazione del tutto. Detta
anche creatività o pensiero laterale, essa non segue
i canoni del suo opposto, il pensiero verticale o
pensiero logico e razionale, quello che parte da
dati certi e trae conclusioni certe o sillogistiche,
rigide e di dubbia efficacia conoscitiva. Lo
sviluppo della potenzialità creativa, avviene
attraverso
connessioni
culturali
ed
enciclopediche. Ciò non è confondibile con le
nozioni, anche modeste, ma anzi si deve partire
dal presupposto che anche una semplice
nozione o
l'incontro casuale di
nozioni
apparentemente insignificanti, fanno partire la
ricerca scientifica e del sapere in generale, senza
preclusioni e atteggiamenti a favore o contro un
certo sapere rispetto ad un altro, ma tutti sono
da ritenersi di pari valore ed importanza.
Pertanto si deve indirizzare la pedagogia verso
la conduzione delle personalità, alla progressiva
scoperta del mondo, attraverso una connessione
dei saperi provenienti da qualsiasi luogo, sia
storico che geografico, economico e linguistico,
senza preclusioni di sorta, in quanto tutti
partecipanti al tutto, l'enciclopedia del sapere
ordinato. Dal progresso di tutte le scienze
dipende in modo diretto il progresso
complessivo del genere umano. Anche
l'intellettuale deve conoscere il patrimonio
preesistente di cognizioni e per conoscerlo non
ha che la strada dell'apprendimento, che gli
sarebbe difficile conseguire attraverso le sue sole
riflessioni. Anch'egli ha il dovere di migliorare
per quanto possibile, i talenti sociali, cioè avere
la capacità di ricevere e
di comunicare.
L'intellettuale
mediante
un
costante
accrescimento dell'apprendere, deve conservare
a se stesso questa capacità di ricevere ed evitare
di chiudersi di fronte alle idee altrui. Ha sempre
bisogno di comunicare, perché è in possesso
delle sue conoscenze non per il proprio profitto,
ma per il vantaggio della società.
Gli intellettuali, non rivestono posizioni
oligarchiche e neanche sono dotati di attitudini
esclusivamente specialistiche. Non hanno ruoli
predeterminati, ma raccolgono ed organizzano
le informazioni che provengono fin dai luoghi
più remoti dell'umanità, trasformandosi in
intellettuali allorché compongono il testo
ideologico, la raccolta di idee organizzate in un
pensiero lineare e in una sintassi, cioè la
sequenza delle informazioni e delle idee che
hanno raccolto. L'intellettuale svolge cioè, una
funzione creativa propria all'intuizione e alla
ricerca successiva, il trovare. Successivamente si
impegna nell'organizzazione completa del
materiale informativo così raccolto. Si rivolge
principalmente all'esperienza piuttosto che alla
teoria, perché l'esperienza precede tutto, poi si
rivolge alla dialettica e ai due corni del dilemma,
se essere a favore dell'induzione, dell'esperienza
e della deduzione oppure parteggiare per la
teoria. Ma le prime mosse prendono avviamento
dall'esperienza, poiché senza questa non può
porsi davanti al pensiero in maniera
problematica con un quesito per risolverlo, ma
vi rimane rispetto ad esso, indifferente, perché
non viene percepito.
Con ciò si perviene all'universalità
attraverso la tessitura del sapere, perché
connessione tra una precedente raccolta di dati
nuovi e le conoscenze acquisite. Il momento
caratterizzante di tali relazioni è dato dalla
riunione di due idee, che generano una terza
idea tale da avere una forza convincente, che nel
momento culminante del discorso avvince
l’uditorio. La retorica fa parte di quella unione
fra il pensiero ed il linguaggio e la capacità
dell'essere eloquente significa essere saggio, cioè
conoscere
con
certezza,
parlare
appropriatamente ed agire correttamente nella
vita, obiettivo pratico di ogni individuo. Molte
delle caratteristiche basilari e specifiche del
linguaggio discendono dal fatto che esso svolge
la funzione di determinare mutamenti nella
mappa delle conoscenze.
La letteratura per svilupparsi, ha bisogno
di informazione e l’informazione produce
letteratura. Essa si alimenta attraverso la
letteratura precedente. Si ha creazione di
letteratura attraverso l’informazione ed essendo
cultura, la letteratura ha bisogno di istruire e di
insegnare le funzioni letterarie e pedagogiche
indifferenziate. Se si ragiona in modo del tutto
settoriale e specialistico, la letteratura e la
filosofia rimangono del tutto separate ed allora
siamo in presenza di una filosofia tecnica e di una
letteratura romanzata, ma se si affronta il sapere e
quindi la conseguente espressione linguistica di
tale sapere, in maniera del tutto problematica,
allora letteratura e filosofia si fondono in una
espressione linguistica unica.
5.
Le enciclopedie.
Il linguaggio, le connessioni tra le parole e i
significati, furono indagati molto presto dai
filosofi e tra questi, da Platone nel libro del
Cratilo. Il problema fu esposto da Platone in
termini dicotomici, cioè opposti, se il linguaggio
abbia origine per natura o per convenzione. Su
questo libro gli studiosi si sono divisi nei due
campi opposti e anche oggi, sovente viene posta
questa domanda, quando riflettiamo sull'origine
profonda del linguaggio. Gli studi su di esso
hanno un carattere sia formale che cognitivo.
Essi riguardano le sue varie forme e le
possibilità di associare la conoscenza del mondo.
In questi nostri tempi ci troviamo di fronte alla
constatazione della crisi della filosofia, ad una
crisi totale della ragione, come fondamento certo
ed una relatività assoluta. C'è un tipo di
razionalità paragonabile ad un tipo di filosofia
simile alla semantica e anche ad una filosofia
considerata sapienza. La filosofia simile alla
semantica è affiancabile alla filosofia del
linguaggio, alla grammatica, alla conoscenza e
alle operazioni mentali che queste implicano.
Essa collega ogni aspetto linguistico della
conoscenza, dove ogni punto corrisponde
esattamente ad una cosa e ne fornisce il
significato o i significati e la possibile
spiegazione non necessariamente definitiva, ma
sempre in divenire. La somma delle
problematiche fin qui analizzate, dà per risultato
una enciclopedia universale, valida per la ricerca
e conoscenza, che coinvolge i mezzi della
filosofia e della letteratura universale, unite dal
mezzo espressivo linguistico e dialettico.
L'enciclopedia nasce da questa raccolta
cumulativa e sincretica, che non è una pura
raccolta statistica, ma una aggregazione di dati e
materiali per la conoscenza del mondo, a partire
dall'essere umano o a partire dalla sua facoltà di
comunicazione e dalla sua facoltà di conoscenza,
un
atto
critico
dell'intelletto
umano.
L'enciclopedia contiene una sistemazione
coerente tramite un disegno comprensivo e
totale
della
conoscenza.
La necessità che il filosofo ha degli
strumenti della conoscenza generale è
fondamentale. Il sapiente applica o fa applicare
tali conoscenze, tanto più nell'enciclopedia si
avverte con una sistemazione coerente e con un
disegno preciso dell'opera, non solo nel senso
puro di ordine del sapere o nuovo traguardo
rispetto
ad
una
precedente
analoga
sistemazione, ma come una metodologia o
politica del sapere e del pensiero, un sapere che
comprenda le contraddizioni e le dirima
eliminando
la
loro
conflittualità.
Una
organizzazione generalmente esauriente che
soddisfi il bisogno intellettuale, per dirigere
l'attività
pratica.
Connesso
al
sapere
enciclopedico, è il linguaggio e la sua
espressione più organizzata, la retorica, perché il
sapere attraverso l'organizzazione linguistica,
assume l'aspetto più alto con la chiarezza, che è
la comprensione delle contraddizioni e la loro
soluzione. Infine, il sapere enciclopedico diventa
una parola epica, capace di stare al di sopra
delle contraddizioni del linguaggio e della
realtà. Colui che possiede la parola epica è
necessariamente un sapiente o un filosofo, se per
filosofo si intende chi ha passione della sapienza
o del pensiero problematico, che è qualcosa al di
sopra della dottrina, per quanto semplice, pur
sempre rigida. Il risultato conseguente a questa
etica è la felicità, che in un ambito laico
rappresenta la valorizzazione dell'umanità per
mezzo degli strumenti della sua conoscenza e
della conoscenza in generale. Il sapiente applica
o fa applicare tali conoscenze, tanto più nella
comunità cittadina, innanzitutto con la
giurisprudenza, che equivale alla ricerca della
corretta prassi, con l'abbinamento della parola
epica alla parola etica, applicabile da chiunque
stia nell'assemblea comunitaria. La sapienza è
un sostegno per il cittadino oratore ed in grado
di sostenere una argomentazione ragionevole.
Essa necessita una esposizione linguistica
comprensibile. In questo rientra il compito del
linguaggio e cioè quello di essere il linguaggio
della comprensione e della costruzione della
frase in cui vengono disposti i ragionamenti per
la discussione assembleare. Come alcune
enciclopedie antiche, nate dalla necessità di
favorire uno strumento basilare, per la
formazione
del
cittadino
impegnato
politicamente, nel difendere le proprie ragioni
nell'assemblea. Per questo scopo occorrono
conoscenze di vario genere e conoscenze in
materia di linguaggio, per esprimere ciò al
meglio, per poter vincere la disputa verbale, a
cui consegue la vittoria politica. In quelle
enciclopedie furono raccolte varie tradizioni
classiche, dal pensiero di Aristotele, Platone e
Cicerone, al pensiero arabo e furono fuse in una
sola teoria. Per gli arabi l'enciclopedia,
attraverso l'insegnamento di Plotino e delle
culture religiose orientali, diventa una
illuminazione etica costante. L'atteggiamento
continuo è il raggiungimento della felicità,
ottenuta
attraverso
l'avanzamento
nella
conoscenza. Attraverso questa attesa, la
comunità
perfetta
dovrà
garantire
il
raggiungimento dello scopo, assicurando il bene
comune e favorendo l'esercizio reciproco della
virtù. Alla guida di questa comunità perfetta e
ideale, è necessario che vi siano i sapienti.
Questo tipo di sapiente è per lo più una guida,
attento alle questioni sociali e ricercatore della
migliore interpretazione. Tale posizione va
estesa al cittadino, tramite la concezione dello
sforzo della ragione e del linguaggio, attraverso
i quali è possibile assegnare la capacità di
interpretazione a ogni cittadino, in quanto
microcosmo e portatore di valori universali, in
grado, proprio per il possesso della ragione, di
poter contribuire con il proprio ragionamento
critico.
Una determinata realtà può trovarsi in
maniera parallela con altre realtà. Essa però è
stata certamente realizzata diversamente, come
conseguenza alla diversità delle informazioni
possedute.
Questa è la capacità linguistica e di quella
capacità umana chiamata fantasia, di poter
costruire diverse realtà possibili e fantastiche.
L'ipertesto enciclopedico è una realtà di
informazioni che creano itinerari verso altre
realtà di informazioni, una rete capillare. La
realtà possibile è la possibile configurazione
della realtà, la ricerca e la formazione creativa di
una realtà, l'accostamento delle esperienze della
realtà per altre realtà possibili, per altre forme di
esperienza, per altre formazioni possibili della
realtà.
L’enciclopedia è costituita da nomi e i nomi
esprimono di regola molte conoscenze sugli
esseri umani e sulle cose alle quali si riferiscono.
Molto più che qualunque altra categoria di
parole, i nomi sono accompagnati da una
enciclopedia ulteriore, cioè una serie di altre
conoscenze. L'enciclopedia è un'idea di
conoscenza esauriente e completa, la situazione
culturale ideale dell'oratore, consistente nel
conseguire una perizia in tutte le arti e in tutte le
cose. Con essa vi è l'assunzione di una
sistemazione e perfezione nella conoscenza, cioè
un'indagine sulle cose e in tutte le sue parti, per
renderla assolutamente perfetta.
L'universalità della conoscenza è simile
all'essenza della struttura enciclopedica. Essa
implica non solo la totalizzazione, ma anche
l'accumulazione metodica, l'ordinamento e la
sintesi del sapere. Inevitabili sono il sincretismo
e l'eclettismo, nell'enciclopedia e nel metodo
enciclopedico. L'ideale è la sintesi aperta e
duttile, uno schema generale capace di
inquadrare e recuperare progressivamente tutte
le nuove acquisizioni. Una buona sintesi si
completa continuamente con integrazioni
successive e questa operazione non è possibile
senza condensare, riassumere e ridurre
all'essenza le nozioni. Attraverso l'ordine
metodico, viene raggiunta la chiarezza e la
concisione. Il compendio e la compilazione sono
i pilastri del metodo enciclopedico, poiché la
letteratura si fonda sulla letteratura, l'azione
conoscitiva del metodo enciclopedico.
L'enciclopedia è come un dizionario, uno
strumento unificato, chiaro ed intelligibile, ma in
essa è evidente la maggiore dinamicità tra le
parole come contenitori e i loro contenuti. Si
affermano i significati allusivi, ma si perde il
nesso forte tra significanti e significati e le parole
hanno una minore capacità di descrivere e di
illustrare.
Enciclopedia significa educazione globale.
Essa è un sistema che veicola conoscenze in
maniera ciclica, collegate in rete tra loro,
diventando così una struttura articolata,
connessa
e
totalizzante.
L'obiettivo
dell'enciclopedia è quello di chiudere il cerchio,
poiché la cultura stessa è contemporaneamente,
globale e specialistica. La parola epica e
l'epistemologia hanno come base comune, una
stretta connessione tra le discipline e i linguaggi
della realtà del mondo e lo strutturalismo è il
filone filosofico a cui fornisce un forte sostegno.
La redazione di un testo scritto modifica il
processo di comunicazione, considerato che i
processi comunicativi hanno un valore di
portata sociale. Infatti il processo di
comunicazione non consiste semplicemente
nello scambio di alcuni dati contenenti il
messaggio che, in assenza di rumore sul canale,
può
essere
pacificamente
codificato
e
decodificato. Un messaggio presuppone sempre
delle competenze locutorie ed interpretative da
parte dell'emittente e del ricevente. È perciò
importante individuare e valutare attentamente,
con gli strumenti offerti dalla semiotica, oltre
che dalla sociologia, le implicazioni di una
struttura testuale e il modo in cui ciò si
trasforma in un meccanismo comunicativo e il
modo in cui attraverso questa mediazione incide
sui processi di interpretazione e di acquisizione
della conoscenza. Bisogna però chiarire la
nozione di ipertesto che rompe la rigida
struttura del testo che ha un inizio e una fine.
Esso è un testo infinito. Oggi l’enciclopedia è
definibile come un grande ipertesto. Con
ipertesto si intende una scrittura non sequenziale,
un testo che si dirama. Così come è
comunemente inteso, l'ipertesto è costituito da
una serie di brani di testo tra cui sono definiti
dei collegamenti che consentono al lettore
differenti percorsi non lineari, all'interno di un
insieme di brevi brani e ciò appartiene alla
libertà del lettore.
I collegamenti sono essenzialmente di due
tipi: tra parti dello stesso testo quando
conducono a sezioni di uno stesso documento e
tra parti di testi diversi, quando conducono a
documenti diversi. In realtà può essere difficile
distinguere gli uni dagli altri proprio perché in
questa tela di collegamenti il testo divenuto
ipertesto non ha più confini rigidi come il testo
tradizionalmente contenuto tra le copertine di
un libro. Si può dire che ogni pagina contenga
virtualmente tutte le altre, perché ogni pagina
apre la strada a molteplici percorsi. Vi è la
perdita di ogni limite, un centro e una periferia,
di un inizio e di una fine. Questa tela di
collegamenti
è
possibile
attraverso
le
associazioni. Un tema ne richiama altri simili
senza soluzione di continuità. Questo sistema di
associazioni sembra riprodurre in qualche modo
il funzionamento della mente umana per cui
hanno un'importanza decisiva.
I riferimenti interni ed esterni al testo sono
un'esperienza comune di qualunque lettore colto
che in un saggio o in un articolo può trovare,
specialmente in nota, riferimenti ad altri autori o
ad altre parti dello stesso testo. Invece nel
sistema ipertestuale questi collegamenti non
solo si prestano meglio a essere esplicitati, ma
sono immediatamente disponibili per un
confronto. È come se si avesse immediatamente
accesso alla biblioteca in base alla quale è stato
scritto ciò che leggiamo.
Con il termine enciclopedia ci si riferisce
anche a una teoria semantica, infatti
l'enciclopedia è il repertorio di tutte le conoscenze
collegate assieme. Il significato di ogni termine è
interpretato da altri termini a loro volta
interpretabili e così via all'infinito. La tela di
collegamenti della rete è fondamentale per
consentire al lettore dell'enciclopedia di navigare
attraverso i diversi nodi che lo compongono in
modo da produrre percorsi interpretativi non
lineari.
La principale conseguenza della tela di
collegamenti è la possibilità di modelli di lettura
non lineare. Infatti i nodi consentono l'accesso
diretto a sezioni di testo altrimenti ben
individuate entro un prima e un dopo, tra un
inizio e una fine. Gli stessi concetti di inizio e
fine, pur non scomparendo, devono essere
ripensati in relazione al decentramento del testo
enciclopedico. Il testo, infatti, perde un proprio
centro o meglio il centro è costruito di volta in
volta dal lettore.
Infatti se la linearità implica la concezione
di uno spazio ordinato e coerente dal punto di
vista logico, la non linearità non implica la
concezione contraria di caos e disordine. In
realtà anche molti testi ritenuti lineari
possiedono parecchi tratti di non linearità.
Soprattutto le enciclopedie e i dizionari sono
concepiti per un tipo di lettura non
necessariamente lineare, che prevede modalità
di accesso al testo per singole parti.
Ma l'ipertesto è un testo lineare in un certo
senso. La linearità tradizionalmente intesa è
presente almeno sotto tre punti di vista. In
primo luogo sono lineari le singole parti di testo
di volta in volta selezionate. In secondo luogo di
solito
un
ipertesto
prevede
percorsi
preferenziali, previsti dall'autore, del tutto
lineari. In terzo luogo, anche se la lettura può
procedere in modo del tutto non lineare, il
percorso di lettura risulta costruito e sviluppato
in base a una successione lineare, se non nello
spazio, almeno nel tempo. Più che di non
linearità sarebbe meglio parlare di multilinearità.
Infatti
l'immediatezza
dei
collegamenti
ipertestuali, rende la lettura un'esperienza molto
più frammentaria ed aperta rispetto al testo
tradizionale, realizzato per essere letto dalla
prima all'ultima pagina. I testi collegati in un
ipertesto dovrebbero essere abbastanza brevi
per poter essere letti agevolmente e per
consentire passaggi da uno all'altro. Ogni brano
dovrebbe essere abbastanza indipendente per
poter essere inserito in percorsi di lettura
diversi. Questi brevi testi sono detti lessie, ma in
genere si usa il termine nodo.
Il lettore di un ipertesto è un lettore attivo.
Infatti l'ipertesto è un testo che consente al
lettore di scegliere. Il lettore di un ipertesto è
attivo in prima persona, perché con le sue scelte
contribuisce al processo interpretativo, mentre
in un testo tradizionale in genere è l'autore a
determinare pregiudizialmente il percorso da
seguire secondo un progetto lineare. L'attività
del lettore è comprensiva e comunque il testo
implica meccanismi di cooperazione, ma anche
il testo tradizionale presuppone un lettore che
non si limiti semplicemente a interpretare
l'informazione trasmessa, ma che collabori al
processo interpretativo. La collaborazione
presuppone un certo attivismo da parte del
lettore. Qualunque lettore deve elaborare le
giuste inferenze in base alle sue conoscenze
enciclopediche e al contenuto del testo stesso.
Anche il ruolo dell'autore cambia,
cambiando il ruolo del lettore. Nell'ambiente
ipertestuale tutta la scrittura diviene una
scrittura in collaborazione. Il primo elemento di
collaborazione emerge quando il lettore attivo
coopera necessariamente con l'autore nella
produzione di un testo, attraverso le sue scelte.
Il secondo elemento di collaborazione emerge
quando l'autore si confronta con altri autori.
Alla grande libertà interpretativa del lettore
corrisponde la dissoluzione dell'autore, poiché si
dissolve l'unità del testo in una rete di
collegamenti ipertestuali. L'opera di un autore e
quindi anche l'autore stesso, non può più
esimersi dal confronto con le opere di tutti gli
altri autori. I ruoli di autore e lettore sfumano
l'uno nell'altro. Parallelamente alla debolezza
dei ruoli di autore e lettore si indebolisce anche
la differenza fra interpretazione e uso di un testo.
Il testo tradizionale, più o meno aperto, prevede
una interpretazione quasi attesa. Invece nel caso
di testi inseriti in un sistema ipertestuale, essi
non esauriscono tutte le possibili interpretazioni,
perché l'interpretazione è sempre mediata dalla
contestualizzazione che dipende dai testi o dalle
lessie che hanno preceduto o seguiranno il testo
in questione. Il significato è sempre una
questione di relazioni. Ma in un ipertesto il testo
è costruito proprio dalle scelte del lettore e
diventa così largamente imprevedibile. L'autore
di un testo, anche senza il controllo parola per
parola del suo testo, continua a dirigere i
processi di interpretazione attuati dal suo
lettore, in primo luogo pianificando il sistema
dei collegamenti. I meccanismi testuali che
regolano un ipertesto, i collegamenti, la
multilinearità, la forma delle lessie e la
collaborazione testuale, non possono non avere
un risvolto cognitivo su coloro che si trovano a
farne un'esperienza cumulativa. Come le
pratiche testuali sono influenzate dalle
tecnologie che le supportano, così i processi
cognitivi sono influenzati dalle pratiche di
diverse forme di testualità. Per quanto riguarda
l’ipertesto ci sono due diversi orientamenti in
proposito. Da una parte si tende a considerare
l'ipertesto una risorsa per il potenziamento delle
capacità cognitive della mente umana, dall'altra
però se ne temono gli effetti negativi come il
carico cognitivo risultante da questa pratica
testuale. Per comprendere la reale portata di un
sistema ipertestuale sulla mente umana,
entrambe le dimensioni devono essere
considerate nel loro rapporto dialettico per una
visione completa del problema. Coloro che
giudicano ottimisticamente gli effetti di sistemi
ipertestuali sull'intelligenza umana, evidenziano
la sostanziale analogia fra la tela di collegamenti
di un ipertesto e il funzionamento della mente
umana. Ipertesto e mente umana sarebbero due
sistemi dalla morfologia simile.
La teoria della rete neurale è associata ai
modelli cognitivi connessionistici, secondo i
quali l'elaborazione dei dati nel nostro cervello è
distribuita in parallelo, cioè non avviene in
moduli separati e non segue percorsi
sequenziali, cioè a cascata, nei quali
l'informazione è elaborata in un nodo solo dopo
che è stato raggiunto un certo livello di
elaborazione
nel
nodo
precedente.
Confrontando questi modelli, il funzionamento
della mente e dell'ipertesto sembrerebbero avere
molti punti di contatto, ma nonostante la
somiglianza, resta il dubbio che l'uso di ipertesti
possa agevolare i processi cognitivi, anzi spesso
gli
ipertesti
sembrano
provocare
disorientamento e un sovraccarico cognitivo.
Richiamandosi alle reti neuronali, l'espressione
intelligenza connettiva si riferisce alla possibilità
di mettere in comunicazione attraverso reti,
l'intelligenza di persone diverse che lavorando
insieme in tempo reale, possono così superare i
limiti delle capacità individuali. Il discorso può
essere esteso anche al flusso di informazioni che
integrato in una fitta trama di collegamenti
dovrebbe risultare più familiare e stimolante per
l'intelligenza umana. Rispetto alla libertà delle
connessioni di un ipertesto, la rigida linearità di
un testo tradizionale appare molto limitante. È
possibile paragonare l'ipertesto con l'invenzione
della scrittura e della stampa. Il filosofo Platone
è un testimone del passaggio dall'oralità alla
scrittura che avvenne in Grecia fra il V e il IV
secolo a. C. Secondo Platone, la scrittura arreca
più danni che benefici e non si rivela adatta a
insegnare la filosofia, perché relega le
conoscenze fuori dalla mente umana. In maniera
contraria, Jack Goody, l'antropologo impegnato
nello studio del passaggio dall'oralità alla
scrittura, fa notare come l'invenzione della
scrittura e la possibilità di immagazzinare
informazioni senza uno sforzo mnemonico,
abbiano permesso all'essere umano, di
sviluppare doti di senso critico e di astrazione.
Anche con la diffusione dei libri a stampa si
ebbe un movimento analogo nel campo del
sapere quando il ruolo sostenuto dagli ausili
mnemonici diminuì. Con gli ipertesti, alcuni
studiosi sostengono che queste doti potrebbero
essere nuovamente sviluppate, avendo a
disposizione un luogo dove registrare non solo
informazioni, ma anche collegamenti. Infine, le
capacità
mnemoniche
potrebbero
essere
ulteriormente indebolite proprio nel momento
in cui anche la memoria e l'esperienza delle
connessioni fra testo e testo è affidata a una
registrazione al di fuori della memoria.
L'ipertesto è in grado di incidere anche sulle
modalità di insegnamento e apprendimento.
Studiare su un ipertesto, limitatamente al
materiale
disponibile,
dovrebbe
rendere
possibile confrontare più materie, grazie a
collegamenti interdisciplinari, scegliere i propri
percorsi e tempi di apprendimento, infine,
diventare familiari con quei generi di
collegamenti di un testo che sono altrimenti
visibili solo agli esperti. Soprattutto questo
punto merita attenzione. Sebbene tutti i testi
abbiano sempre qualche relazione con altri testi,
prima dell'avvento della tecnologia ipertestuale,
queste interrelazioni potevano esistere soltanto
all'interno delle singole menti che le
percepivano. Inoltre bisogna considerare che la
tecnologia, qualunque tecnologia, apporta delle
modifiche nella costituzione della mente e cioè,
rispondendo o interagendo nei confronti
dell'ambiente
circostante,
con
nuove
strutturazioni e modifiche. Così come ad
esempio la tecnologia alfabetica che ha
modificato il modo di enunciare i significati e la
successiva scrittura alfabetica, che ha modificato
e reso anche più rapidi i commerci e le relazioni
fra i popoli. I testi hanno una funzione correlata
all'interno di differenti configurazioni del
mondo nelle quali operano, dunque sono
dispositivi tecnologici determinati e quindi
l'operazione di comprensione dei vari mondi
possibili, si appoggia su differenti tecnologie. Il
pensiero perciò, è intimamente tecnologico. A
partire dalla sovrapposizione immanente del
dispositivo tecnico e della produzione del logos,
la macchina-pensiero funziona senza sosta,
appoggiandosi su molteplici supporti e
producendo differenti apparati, come l'alfabeto,
il testo, l'ipertesto.
Tornando ai sistemi ipertestuali, essi
riproducono le relazioni fra i testi. Quindi si
prestano a rendere immediatamente evidente
questa tela di connessioni che dovrebbe
migliorare, nella fase di apprendimento, le
capacità critiche dei discenti che possono
lavorare
direttamente
sui
collegamenti,
altrimenti recepiti passivamente che non
sarebbero in grado di fare se non dopo anni di
studio.
La rete di connessioni ha il difetto di
generare disorientamento e un notevole carico
cognitivo, poiché un collegamento apre la
possibilità per altri collegamenti e così via, come
in un labirinto. Inoltre la costruzione di percorsi
di lettura autonomi, implica continue scelte e
quindi un notevole sforzo cognitivo. Si può
aggiungere che questo sforzo non è solo del
lettore, ma anche dell'autore che se vuole
pianificare un ipertesto efficace, deve saper
prevedere le molteplici diramazioni che il suo
testo può suggerire, usando anche mappe
concettuali. I collegamenti non sono lineari e
funzionano essenzialmente giustapponendo
lessie a lessie in modo non sequenziale, mentre la
scrittura lineare presuppone uno sviluppo
coerente di tipo sequenziale. L'ipertesto resta
una forma di comunicazione limitata, perché si
può leggere secondo una cadenza ipertestuale,
ma non è possibile esprimersi compiutamente,
in quanto una successione tetsuale di tipo inizio
e fine come insegna la retorica, la costruzione
delle argomentazioni, che prevedono un inizio,
un corpo testuale e una conclusione. Ciò non è
possibile su un ipertesto se non nello spazio
limitato di una singola lessia. La linearità
compare di nuovo nella costituzione di un
organico percorso di lettura tra la trama dei
collegamenti e le connessioni di tipo logico e
causale, ma che possono essere facilmente
integrate dal lettore. In realtà si ripropone il
problema del carico cognitivo.
6.
La parola sostegno del pensiero.
Gli psicologi che si occupano dell'origine del
linguaggio,
affermano
la
possibilità
dell'esistenza nell'essere umano di un istinto
linguistico, un fattore con origini fisiologiche
interne ed autonome, a partire dal quale si
sarebbero generati dei segni convenzionali.
Come il bambino molto piccolo ha un periodo di
accentuata incapacità quale è l'infanzia, si
manifesta una presa di coscienza della capacità
di creare diversi messaggi convenzionali. Ciò
rende più facile una immediata espressione del
suo intero mondo percettivo tramite il sistema di
segni convenzionali che possiede in quel
momento, con una capacità del tutto creativa.
Due bambini posti in isolamento, possono
sviluppare un linguaggio particolare, detto
anche idioletto e durante questa situazione, il
processo di apprendimento del linguaggio è
contemporaneo per entrambi.
La diversità delle lingue, riscontrabile in
diverse regioni del mondo, indica delle strutture
fisiche loro peculiari, alle quali corrispondono
qualità spirituali proprie, con specifici contributi
alla conoscenza e una visione del mondo propria
della civiltà che la parla. Il linguaggio è la
manifestazione dell’intelletto umano e per
comprendere un popolo, è sufficiente studiare la
sua lingua, poiché attraverso il linguaggio,
l'essere umano forma se stesso e la realtà. Il
pensiero non dipende solo dal linguaggio
considerato come grammatica universale, ma
anche da ogni singola lingua storicamente data.
Se la realtà si manifesta nelle lingue, allora vi è
una pluralità di realtà e l'enciclopedia delle
lingue conosciute di conseguenza diventa una
storia della cultura. Nello stesso tempo, l'essere
umano scopre che intorno a sé esistono esseri
che hanno gli stessi bisogni interiori. Allora la
necessità culturale è ciò che lega il singolo
individuo al mondo e attraverso il linguaggio
verbale ha la facoltà di esprimere e comunicare
concetti e sentimenti e quando è caratterizzato,
indica il modo di esprimersi di una persona, di
un ambiente, di una comunità in generale, la
quale è una pluralità di persone unite da
relazioni e vincoli comuni.
Il fatto che le parole significhino qualche
cosa e non siano semplici suoni, è evidente. Tale
significato appartiene a qualche cosa di presente
e conoscibile tramite la nostra esperienza. Non
c'è dunque motivo per ritenere che una realtà
così facilmente sperimentabile non debba essere
oggetto della nostra riflessione e della nostra
conoscenza scientifica. Se alla conoscenza
scientifica dei significati diamo il nome di
semantica, possiamo dire che perfezionare i
significati è una necessità per due motivi. Uno
perché le nostre parole hanno un significato e un
altro perché gli esseri umani tendono a
conoscere una forma la più rigorosa possibile.
Quindi il linguaggio è un modo di
conoscere che si attua storicamente nell'ambito
di una comunità. Esso è un modo dell'agire, che
porta a collegare in modi storicamente variabili
una parte dell'esperienza a una forma sonora,
con un legame certo soltanto nell'uso stesso
della parola associata all’esperienza. Il legame
tra la forma ed il suo significato è nello stesso
tempo la formallizzazione di una serie di
esperienze compiutesi in seno a una comunità
storica e lo strumento grazie al quale coloro che
aderiscono a tale comunità, analizzano,
ordinano e dirimono le nuove esperienze.
Nel bambino, il primo stadio dello
sviluppo linguistico è di tipo affettivo ed in un
secondo momento esso ha una funzione
conoscitiva, quando comincia ad ampliare in
modo attivo il suo vocabolario, allora il
linguaggio diventa intellettivo ed il pensiero
diventa verbale. Tra le operazioni esterne e
quelle interne del linguaggio, vi è un'interazione
costante. Le operazioni passano da una forma
all'altra. L’essere umano quindi, possiede
un’attività intellettiva, dell'indurre e dedurre,
dell'analizzare, del sintetizzare e dello
sperimentare.
Lo sviluppo del pensiero infantile dipende
da quello del linguaggio, dai mezzi del pensiero
e dall'esperienza sia sociale che culturale, allo
stesso tempo. Lo sviluppo del linguaggio
interno è determinato essenzialmente da fattori
esterni, così come lo sviluppo del linguaggio
interno e del pensiero verbale sono dati da
un’impulso che muove dalla sfera biologica
verso la sfera sociale e storica. Lo sviluppo della
logica nel bambino è la conseguenza diretta del
suo linguaggio socializzato. Tramite la logica il
pensiero si sviluppa. Dunque, il pensiero
verbale ha un carattere storico e la parola è un
segno che svolge il ruolo di mezzo di
formazione dei concetti e ne diventa di
conseguenza il simbolo. L'uso della parola come
mezzo per dirigere l'attenzione, è una parte
fondamentale e indispensabile di tutto il
processo nel suo insieme. La formazione di un
concetto o l'acquisizione di un significato da
parte di una parola è il risultato di un'attività,
alla quale partecipano tutte le funzioni
intellettive fondamentali in una combinazione
specifica. Il nuovo uso significativo della parola,
cioè il suo uso come mezzo di formazione dei
concetti, è la causa di un radicale cambiamento
intellettivo. L'insieme di pensiero e linguaggio,
lo si trova nel significato delle parole e una
parola priva di significato è un suono senza
senso. Il significato è un segno distintivo della
parola stessa, necessario ad essa e costitutivo di
essa. È la parola stessa nel suo aspetto interno.
Così il significato della parola è allo stesso
tempo un fenomeno linguistico ed intellettivo,
sebbene ciò non significhi un'appartenenza
puramente esteriore a due aree diverse della vita
psichica. I significati delle parole si sviluppano e
si modificano nel tempo, facendo superare
l'opinione dell'immutabilità dei significati delle
parole. Però una volta stabiliti i significati,
raramente si modificano nei loro fondamenti.
L'associazione che lega la parola al significato,
può rinforzarsi o indebolirsi, può arricchirsi di
una serie di legami con altri oggetti dello stesso
genere, può estendersi per la somiglianza o la
contiguità ad un cerchio più largo di oggetti o al
contrario restringere o limitare questo cerchio.
Ciò può subire una serie di modificazioni, ma
non può modificare la sua struttura interna,
poiché cesserebbe d'essere ciò che è, ossia
un'associazione. Il pensiero si realizza e
progredisce con la parola e in tal modo risolve i
problemi. L'esistenza di un secondo piano
interno del linguaggio, dietro alle parole,
l'indipendenza del pensiero e delle parole,
costringe a vedere nel più semplice enunciato
verbale, non una relazione data una volta per
tutte, immutabile e costante tra l'aspetto
semantico e quello fonetico del linguaggio, ma
un movimento, un passaggio della grammatica
del pensiero nella grammatica delle parole, una
modificazione della struttura del senso durante
la sua integrazione nelle parole. La sintassi
semantica e la sintassi delle parole, non
compaiono simultaneamente, ma è implicito il
passaggio dall'uno all'altro.
Il linguaggio scritto rispetto al linguaggio
orale, una forma di linguaggio sviluppato al
massimo e sintatticamente complesso, dal
momento che per enunciare ogni pensiero,
dobbiamo usare molte più parole di quante ne
usiamo nel parlato. Il linguaggio orale nella
maggior parte dei casi è dialogante. Esso utilizza
preferibilmente l'aspetto semantico e non quello
fonetico. La sua sintassi e la sua fonetica si
riducono al minimo, quindi sono molto
semplificato. Questa relativa indipendenza del
significato della parola dal suo aspetto fonetico
si manifesta nel linguaggio interiore in modo
estremamente chiaro. La prima caratteristica
fondamentale sta nella predominanza del senso
della parola sul suo significato nel linguaggio
interiore. Il senso della parola rappresenta
l'insieme di tutti i fatti che compaiono nella
nostra coscienza grazie alla parola stessa ed esso
è così una formazione sempre dinamica, e
fluttuante. Il significato è soltanto una di queste
parti del senso che acquista la parola in un dato
contesto, ma è la zona più stabile, più omogenea
e più precisa. La parola in contesti diversi, può
cambiare il suo senso. Il significato, al contrario,
è stabile e rimane stabile di fronte a tutti i
cambiamenti di senso della parola nei diversi
contesti. Il cambiamento del senso della parola è
stato stabilito come un fatto fondamentale
nell'analisi semantica del linguaggio. Il senso
della parola non è costante e talvolta la parola ne
ha uno, oppure ne prende un altro. Questa
dinamicità del senso conduce alla questione
della relazione tra significato e senso. La parola,
presa da sola nel vocabolario, ha un solo
significato, ma questo significato non è niente
altro di più che una potenzialità che si realizza
nel linguaggio vivente, di cui questo significato
è soltanto una pietra nell'edificio del senso. Ne
consegue che il senso di una parola è
inesauribile. La parola acquista il suo senso
soltanto nella frase e la frase acquista il senso nel
contesto. Il senso effettivo di ciascuna parola è
determinato dalla molteplicità di tutti gli
elementi esistenti nella coscienza che si
riferiscono a ciò che è espresso da una data
parola.
Le parole possono essere differenti dai
significati espressi in esse e possono cambiare il
proprio senso, che così può staccarsi dalla parola
che lo esprime, come può essere assegnato
facilmente a qualsiasi altra parola. Allo stesso
modo il senso della parola è legato ad essa nel
suo insieme e non a ciascuno dei suoi suoni, così
il senso di una frase è legato a tutta la frase nel
suo insieme e non alle parole che la
compongono, prese isolatamente. Perciò accade
che una parola prenda il posto di un'altra. Il
senso si stacca dalla parola e così si conserva. Se
la parola può sussistere senza il senso,
analogamente il senso può nella stessa misura
sussistere senza una parola. Proprio perché il
pensiero non coincide solo con le parole, ma
anche con i significati delle parole in cui esso si
esprime, la via dal pensiero alla parola passa
attraverso il significato. Non solo il pensiero è
mediato esternamente dai segni, ma è pure
mediato internamente dai significati. Il
significato
conduce
il
pensiero
verso
l'espressione verbale e dal pensiero alla parola
c'è una mediazione interiore. Una comprensione
reale e completa del pensiero è possibile soltanto
quando scopriamo ciò che sta dietro di esso. Nel
discorso c'è sempre un pensiero retrostante. Il
pensiero e il linguaggio sono la chiave per
comprendere la natura della coscienza umana e
se il linguaggio è antico quanto la coscienza, se il
linguaggio è la coscienza reale e pratica, allora è
chiaro che non il solo pensiero, ma tutta la
coscienza nel suo insieme è legata nel suo
sviluppo a quello della parola.
L'antica questione se sia da attribuirsi il
primato ai dialetti e a quale di questi oppure alla
lingua nazionale, costituita sulla base di uno di
questi dialetti, è simile ad un altro ancora e cioè
se sia da affidare la supremazia alla propria
lingua nazionale piuttosto che ad un'altra.
Tentativi di egemonia linguistica si possono
trovare fin dall’antichità e registrati di continuo
nel tempo, con i relativi assorbimenti delle
lingue sottomesse e i conseguenti ampliamenti
di lessico attraverso prestiti ed imitazioni. In
generale la distinzione tra lingue avviene
foneticamente, ma sovente anche per differenza
dei significati.
Così come si deve tenere in considerazione
un altro fattore, quello dell'esposizione
linguistica e cioè la sua semplicità, riconducibile
al principio retorico e stilistico della leggibilità.
Il testo leggibile è basato su un piano
compositivo che ne assicura la coerenza totale.
In esso vi è un rispetto per l'ordine logico e
temporale e la non contraddizione. L'autore ne
dirige il senso, assicurando l’autorevolezza degli
enunciati contenuti nel testo. I discorsi sono fatti
in modo tale che la costruzione progressiva della
rete totale da parte dell'ascoltatore, avvenga in
modo propagatorio, cioè la costruzione della
rete complessiva con l'unione delle singole reti
portate dalle frasi, avviene per concatenazione e
propagazione. Vi è una direzione precisa e
determinata della propagazione. La direzione è
determinata da uno o più nodi nella frase
precedente che determinano la seguente.
Cambiamenti di direzione sono tuttavia possibili
e quando ciò avviene è per ricollegare il tutto ad
altri nodi, segnalando il cambiamento. Il
meccanismo delle inferenze, retroagisce anche
sulle fasi precedenti, cioè interviene sin dalla
comprensione letterale della frase. Talvolta la
retroazione del meccanismo delle inferenze può
operare sulla comprensione dello stesso
elemento che lo ha generato, portando a delle
correzioni o precisazioni.
Fondamentalmente un enunciato è basato
su informazioni e acquisire un'informazione è
un'azione. Scopo di questa azione, è attingere
una conoscenza nuova. Si accetta una
conoscenza nuova, purché possa esserci una
verificabilità. Ciò ha anche lo scopo di
aggiungere un tassello nel quadro cognitivo e in
particolare dalle conoscenze in esso contenute, le
condizioni per assumere una conoscenza
saranno determinate anche dalla relazione per
tale conoscenza a tali funzioni e alla
organizzazione data al quadro cognitivo. La
memoria umana non è uno schedario dove ogni
conoscenza ha il suo posto distinto e separato
dagli altri e dove non c'è rapporto tra quello che
sta in un altro scomparto, per cui, purché trovi
un posto libero, può essere aggiunta qualsiasi
conoscenza senza che si pongano problemi di
compatibilità tra le conoscenze e di una loro più
stretta integrazione. Dato il suo carattere
funzionale, di guida dell'azione, la memoria
deve costituire un quadro cognitivo fatto di
assunzioni verificate e praticamente efficaci, che
siano il più possibile univoche, cioè non
contraddittorie e il più generali possibili. Questo
comporta che quando una nuova informazione
arriva alla mente, la sua collocazione nel quadro
cognitivo è un processo meccanico. La mente
stabilisce un equilibrio tra la nuova conoscenza e
il quadro cognitivo. Questo equilibrio consiste
nella assimilazione e integrazione della nuova
conoscenza alle altre conoscenze già presenti e
alla organizzazione generale del quadro
cognitivo o nella predisposizione del quadro
cognitivo alla nuova conoscenza. Perciò è
richiesta una valutazione dell’informazione in
arrivo volta a vagliare la sua compatibilità e la
sua plausibilità, con le altre conoscenze e ancora,
la sua importanza o rilevanza rispetto agli scopi
prefissati dell'ascoltatore.
Nella comprensione di un testo, il parlante
sa che l'ascoltatore è in grado in quel momento
di apprendere conoscenze, di elaborarle e quindi
fa
affidamento
sulla
collaborazione
dell'ascoltatore e su questa sua capacità,
dell’inferenza, perché arrivi per proprio conto,
sulla base delle conoscenze fornitegli, alla rete
complessiva che ha in mente. Come tutte le
azioni, anche le frasi quando vengono usate,
hanno degli scopi. Se lo stato percepito e quello
rappresentato sono diversi, il sistema si mette in
movimento. Questa azione provoca un
mutamento nello stato percepito. Se questo
mutamento è tale che lo stato percepito è ora
identico allo stato rappresentato, il sistema si
ferma e lo scopo è stato raggiunto. Gli scopi
sono cause delle azioni, quindi produrre una
frase per comunicare è compiere una azione che,
come tutte le azioni, è governata da uno scopo.
La comunicazione linguistica ci mette a
disposizione una varietà infinita di mezzi, per
raggiungere una varietà infinita di scopi, le frasi
di ogni lingua. Prima di terminare questa
riflessione sul pensiero ed il linguaggio, bisogna
ancora considerare che c'è una parte del discorso
o meglio, del non discorso, cioè le pause, che
hanno una loro importanza da non
sottovalutare.
Le pause tra una parola e l’altra hanno
origine da fenomeni diversi. Vi sono quelle
necessarie per la respirazione, quelle di
esitazione, in cui il soggetto ha bisogno di tempo
per pensare a ciò che deve dire, quelle oratorie,
legate a punteggiatura e ad enfasi, quelle
fonetiche corrispondenti a particolari tipi di
consonanti. A questo si possono aggiungere altri
fattori, come ad esempio la conoscenza della
lingua parlata dal soggetto. Per lo stesso
soggetto, l'indagine sulle pause può essere
estesa a quando esso pronuncia discorsi in
lingua madre, in dialetto od in una lingua
straniera. L'importanza delle pause deve essere
considerata per la comprensione del discorso.
L'apparato di fonazione è un sistema fisico,
non stazionario nel tempo, sollecitato da un
segnale non facilmente misurabile. Si può
definire articolazione di prima specie o parola,
un insieme organico di simboli fonici o grafici,
con cui l'essere umano riesce a comunicare
contenuti mentali. Il linguaggio articolato o
parlato, è una realizzazione di simboli di natura
fonica, articolazioni di seconda specie,
organizzati in modo da formare parole. Le
ricerche sulla sintesi elettronica della parola, cioè
la riproduzione artificiale sonora delle parole,
hanno posto in rilievo l'importanza dei
cosiddetti
elementi
soprasegmentali
del
linguaggio. Le caratteristiche della realizzazione
sia acustica che articolatoria dei diversi fonemi,
cioè degli elementi segmentali, di cui si
compone una sequenza fonologica e che sono
considerati la struttura più superficiale di una
lingua, possono variare notevolmente a seconda
della loro posizione nella catena fonica. Tali
variazioni, che riguardano principalmente la
durata, l'intensità e la frequenza fondamentale
dei diversi foni, ma che costituiscono anche
mutamenti delle caratteristiche spettrali, per
esempio nel caso di vocali toniche e vocali
atoniche, non sono causali, ma dipendono dalle
caratteristiche morfologiche, sintattiche e
semantiche del codice linguistico in questione.
Da questi diversi livelli, dipendono in modo
diverso i vari fenomeni soprasegmentali. A
partire dalla struttura sintattica, viene
determinata la gerarchia degli accenti all'interno
dei vari sintagmi, la presenza delle pause e
quindi la realizzazione dei gruppi durante il
respiro o l'emissione d'aria e la presenza di
enfasi. Anche la realizzazione dell'enfasi
comporta modificazioni della durata dei
sintagmi, variazioni della gerarchia degli
accenti, spostamenti dell'acme melodica. Dal
livello
semantico
dipende
la
scelta
dell'andamento melodico della frase ed anche in
parte la scelta della struttura sintattica. Tutti e
tre questi livelli influiscono, anche se in modo
diverso, sulla realizzazione degli elementi
segmentali agendo sugli stessi parametri fisici,
quali intensità e durata.
7.
Scegliere un metodo.
Un segno linguistico si manifesta con
l’esistenza del legame tra significante e
significato, cioè fra una catena fonica e il sapere
di quella cosa, che il segno è chiamato a
distinguere. Il legame è del tutto arbitrario,
perché nel significante non vi è nulla che metta
in evidenza una motivazione causale da esso,
ma è necessaria, perché costituisce il segno ed in
esso si esaurisce la vera e propria funzione
linguistica di questo, una catena fonica che si
riferisca ad una conoscenza specifica. In un
discorso scientifico le parole non hanno o
comunque non dovrebbero avere altro valore se
non quello che esse significano generalmente,
all'incirca come avviene nel linguaggio
matematico, in cui il simbolo si identifica con un
valore contenuto e nulla vi aderisce salvo la
funzione attribuita. Altra cosa è la situazione nel
linguaggio quotidiano nel quale a seconda delle
capacità espressive di ciascuno, il richiamo al
dato assoluto si inserisce nel rapporto fra il
significante ed il significato, dando a quello un
potere di evocazione e di richiamo più vivo e
concreto. Ciò avviene in modo più deciso nel
linguaggio della poesia, che tende ad esprimersi
per immagini e respinge per quanto possibile, il
servirsi delle parole come valori già conosciuti,
credendo che nelle cose sia insito il loro nome.
È necessario fin dall’inizio ammettere
nell’essere umano, una libertà di manifestazioni
foniche in conseguenza di situazioni diverse e
nello stesso tempo la possibilità di differenziare
internamente la catena fonica, in relazione a un
certo decorso rappresentativo di quella
particolare situazione. La libertà linguistica deve
essere considerata come totale. Le relazioni
sociali, non sostenute dal linguaggio, danno alle
relazioni stesse soltanto una possibilità di tipo
primitivo e con forme limitate. Bisogna
comprendere il rapporto tra segno e significato e
quindi l’uso razionale del segno, che è
completamente incomprensibile al bambino
della prima infanzia, fatto che si evidenzia più
tardi. Lo sviluppo dell’uso del segno e il
passaggio alle operazioni con i segni, cioè alle
funzioni di significazione, non sono mai il
semplice risultato di una scoperta o di una
invenzione del bambino, non sono mai compiuti
improvvisamente. Il bambino non scopre il
significato del linguaggio da un momento
all’altro, al contrario, questo è un processo
genetico molto complesso. Il raggiungimento
dell’attribuzione di un significato preciso a una
parola è il frutto di un grande sforzo critico. Così
il vocabolario umano è pieno di parole a cui si
attribuisce un testo più o meno lungo, che
prende il nome di significato. Tale testo è
storicamente importante, qualora nel tempo sul
significato della parola stessa, si raggiungano
ulteriori significati. Per questo occorre una
attenta valutazione nell’attribuire significati e
nel redigere vocabolari ed enciclopedie.
In questo atto di attribuzione di significato
è importante il ruolo dell’interpretazione, che
media e stabilisce i significati contenuti in una
parola all’interno del testo sviluppato. Quindi, il
ruolo svolto storicamente dal significato della
parola è importante per la conoscenza, che così
può pretendere di essere vera, giungendo ad
un’intesa sulla cosa significata e stabilita.
L’interpretazione diventa una riflessione sulla
possibilità di comprensione. Una comprensione
vincolata alle situazioni storiche ed esistenziali
da cui non si può eliminare del tutto l’apporto
soggettivo dell’interpretazione. Il metodo
scientifico quindi, non è il solo a garantire una
esperienza di verità.
Per stabilire se una proposizione è vera o
falsa, vi sono due tipi di logica, quella del calcolo
delle probabilità e quella della fuzzy logic o logica
dei contrasti. La teoria delle probabilità affronta
proposizioni che sono vere o false. La fuzzy logic
si occupa di situazioni in cui vi è incertezza sul
fatto che una proposizione sia vera o falsa, nel
senso che la nostra conoscenza in quella
proposizione è in sé vaga e non si tratta di vero o
falso, ma in entrambi i casi di vero. Il matematico
Kurt Godel ha mostrato che alle radici stesse
della matematica, esistono proposizioni di cui è
impossibile dire se siano vere o false e questo ha
provocato la nascita di sistemi logici in cui non
esistono solo le categorie di vero e falso, ma
anche di qualcosa che sta in mezzo, il non-falso e
il non-vero.
La fuzzy logic detta anche logica sfuocata è
basata su un grado di verità. Quando si parla di
grado di verità o valore di appartenenza,
intendiamo che una proprietà può essere vera,
di valore 1 oppure falsa, cioè di valore 0. Il
termine logica fuzzy viene in realtà usato in due
significati diversi. In senso stretto è un sistema
logico, che dovrebbe servire come logica del
ragionamento approssimato. Ma in senso più
ampio, logica fuzzy è più o meno sinonimo di
teoria degli insiemi fuzzy cioè una teoria di
classi con contorni indistinti. La teoria degli
insiemi fuzzy costituisce un'estensione della
teoria classica degli insiemi, poiché per essa non
valgono i principi aristotelici di non
contraddizione e del terzo escluso. Dati due
insiemi A e non-A, il principio di non
contraddizione stabilisce che ogni elemento
appartenente
all'insieme
A
non
può
contemporaneamente appartenere anche a nonA, secondo il principio del terzo escluso. Se un
qualunque elemento non appartiene all'insieme
A, esso necessariamente deve appartenere al suo
complemento non-A. Tali principi logici
conferiscono un carattere di rigida bivalenza
all'intera costruzione aristotelica. Il più antico e
forse il più celebre dei paradossi è quello
attribuito ad Eubulide di Mileto (IV secolo a.C.),
noto anche come paradosso del mentitore: Il cretese
Epimenide afferma che il cretese è bugiardo. La
logica aristotelica bivalente si dimostra incapace
di dare una risposta proprio in quanto bivalente,
cioè proprio perché ammette due soli valori di
verità, vero o falso, bianco o nero, tutto o niente, ma
poiché contiene un riferimento a sé stessa, il
cretese Epimenide afferma che il cretese è bugiardo,
questa frase non può assumere un valore ben
definito senza contraddirsi. Ciò implica che ogni
tentativo di risolvere la questione posta, si
traduce in un'oscillazione senza fine tra due
estremi opposti. Il vero implica il falso e
viceversa. Da ciò si deduce che l'enunciato del
paradosso non è né vero né falso, ma è
semplicemente una mezza verità o, in maniera
equivalente, una mezza falsità. Le due possibili
conclusioni del paradosso si presentano nella
forma contraddittoria A e non-A e questa sola
contraddizione è sufficiente ad inficiare la logica
bivalente di Aristotele. Al contrario, ciò non crea
alcun problema alla logica fuzzy, poiché, quando
il cretese mente e non mente allo stesso tempo,
lo fa solo a metà. È interessante notare come,
ammettendo esplicitamente l'esistenza di una
contraddizione, la condizione che la traduce
venga poi impiegata per determinare l'unica
soluzione contraddittoria tra le infinite possibili,
cioè sfumate, a valori di verità frazionari, per la
questione posta. Ciò conferma la debolezza dei
principi di non contraddizione e del terzo
escluso. Infatti, nella logica fuzzy l'esistenza di
circostanze paradossali, vale a dire di situazioni
in cui un certo enunciato è contemporaneamente
vero e falso allo stesso grado, è evidenziato da
ciascuno dei punti d'intersezione tra una
generica funzione d'appartenenza e il suo
complemento. Ciò perché il valore di verità della
proposizione in questione coincide con il valore
di verità della sua negazione, la non verità. Gli
operatori logici and, or e not della logica
booleana sono definiti di solito, nell'ambito della
fuzzy logic, come operatori di minimo, massimo
e complemento. In questo caso, sono anche detti
operatori di Zadeh, in quanto introdotti per la
prima volta dal Lotfi Zadeh. Si è detto che la
teoria degli insiemi sfumati generalizza la teoria
convenzionale degli insiemi. Perciò, anche le sue
basi assiomatiche sono, inevitabilmente, diverse.
La violazione dei due principi fondamentali
della logica classica, infatti, rende possibile ad
un generico elemento di un insieme,
l’appartenenza parziale a quell’insieme sfumato
e, contemporaneamente, al suo complemento. A
causa del fatto che i principii di non
contraddizione e del terzo escluso non
costituiscono assiomi della teoria degli insiemi
fuzzy, non tutte le espressioni e le identità,
logicamente equivalenti, dell’algebra booleana
mantengono la loro validità anche nell’ambito
della logica fuzzy. I valori fuzzy possono variare
da 0 ad 1, ma descrivono eventi che si verificano
in una certa misura mentre non si applicano ad
eventi casuali bivalenti, che si verificano oppure
no, senza valori intermedi. Su questa base, è
possibile concludere che la teoria degli insiemi
sfumati contiene e comprende quella della
probabilità come suo caso particolare. La realtà
sarebbe pertanto deterministica, ma sfumata. La
teoria del caos ne ha evidenziato la componente
determinista, mentre la teoria fuzzy ha mostrato
l'importanza del principio dell'homo mensura,
l'uomo come misura. Inoltre, la logica fuzzy
mette in discussione e modifica il concetto di
logica binaria o più comunemente logica,
secondo il quale i predicati possono assumere
solamente due stati vero e falso. Chiunque può
valutare quanto questa logica possa essere poco
precisa e non aderente alla realtà che vanta
molteplici sfaccettature non considerate o
meglio approssimate. Nel mondo reale tutto è
una questione di misure, non esiste solo il
bianco o il nero, ma ci sono anche le sfumature,
le gradazioni. La scienza invece tratta questi
chiaroscuri come se fossero solo bianchi o solo
neri. Tutto intorno a noi è in mutamento e le
cose cambiano la loro identità. L'universo si
sviluppa come un fiume che scorre e possiamo
attribuire a ogni cosa un nome il più preciso
possibile, ma malgrado i nostri sforzi questi
diventeranno meno precisi, durante il
cambiamento delle cose. La presunta precisione
della scienza non è altro che un'approssimazione
di quei contorni sfumati delle cose che altrimenti
non sarebbero spiegabili con i predicati della
logica classica. Questa convinzione che le cose
possano essere solo zero o uno, ha origine fin
dall'antichità. Persino Einstein aveva tratto le
sue considerazioni sul chiaro o scuro della logica
fuzzy: "Nella misura in cui le leggi della matematica
si riferiscono alla realtà non sono certe. E nella
misura in cui sono certe, non si riferiscono alla
realtà". Bart Kosko chiamò tutto questo "il
problema della non-corrispondenza: il problema è il
chiaroscuro ma la scienza non contempla che il
bianco o il nero assoluti." Si parla sempre in
termini di zero o uno, ma la verità sta nella via
di mezzo. La scienza descrive il mondo
attraverso degli enunciati, ma essi non sono
interamente veri o interamente falsi, non sono
bivalenti ma polivalenti, la loro verità totale sta
nella via di mezzo, nei grigi chiaroscuri fuzzy.
Tutte le convinzioni scientifiche possono essere
fatte crollare da una nuova esperienza.
L'affermazione un filo d'erba è verde è messa in
crisi dal filo d'erba che diventa marrone. Le leggi
della scienza non sono leggi o meglio, non lo
sono nell'accezione di leggi logiche come 2+2=4.
Neppure Einstein offriva alternative, anzi, fermo
nella sua veste di scienziato aggiunse una nuova
teoria della bivalenza, il concetto di probabilità.
La probabilità si indebolisce con l'aumento
dell'informazione. Sembra quindi che la
probabilità possa risolvere il problema della
visione fuzzy del mondo e della visione della
logica classica. Nonostante ciò, nemmeno la
probabilità riesce ad attenuare le divergenze tra
logica e dati di fatto, seppure abbia un
fondamento di verità. Si deve ora considerare
un'altra questione, cioè quella della traduzione.
Quando una trasposizione esatta diviene
impossibile, la traduzione si fa interpretazione,
dimostrando al di là della varietà di lingue e di
visioni della realtà, la ricerca di una unità
originale del pensare e del parlare. Non
pretendendo dunque di produrre una
interpretazione definitiva, l’atto dell’interpretare
significherà la comprensione di ogni testo il cui
senso non è immediatamente chiaro. L’esistenza
umana penetrata di storicità è un processo
aperto e l’interpretazione è da porsi in relazione
con il sapere storico. Il fatto storico è confrontato
e identificato come un testo. Sia la parola dal
significato giuridicamente stabilito che le
traduzioni interpretanti, paragonati a testi,
contribuiscono a stabilire un fondamento
conoscitivo ed in quanto comprendono, cioè
contengono anche in senso storico, sono epiche.
L’epica conosce un’unica e unitaria concezione
della realtà, come un’unica e unitaria lingua
compiuta.
La
dilatazione
del
tempo
dell’esperienza epica è impossibile, perché
questa esperienza comprende il tempo e quindi
è sovrana, con una dimensione sferica nel suo
mondo concentrato comunque entro limiti
cronologici definiti. La scrittura guarda
all’avvenire, l’epicità invece, fa tutt’uno del
passato col presente ed il futuro. Il linguaggio
parlato produce sovente il punto di vista
individuale. L’epica vale come pensiero stabilito
e accettato dai più, perché comprensivo e quindi
sintetico e l'epica appartiene sia al linguaggio
scritto, come a quello orale della narrazione.
L'epica conduce all'epistemologia, una scienza.
L'epistemologia è una branca della filosofia che
si occupa delle condizioni sotto le quali si può
avere una conoscenza scientifica e dei metodi
per raggiungerla. In un significato più stretto,
l'epistemologia può esser fatta coincidere con la
filosofia della scienza. Secondo questo
significato, l'epistemologia si occupa di definire
le condizioni per cui una data asserzione,
modello o esperimento può essere definito
appartenente alla scienza.
Può essere
importante
chiarire
che
la
nascita
dell'epistemologia, almeno come termine, è ben
posteriore alla nascita della scienza, per cui essa
può essere anche vista come una ricostruzione del
metodo usato dagli scienziati nella loro indagine
sul mondo. Esiste cioè, fin dall'antichità, un
concetto più generale di epistemologia che
consiste nello studio del problema della
conoscenza. L'epistemologia si interessa della
conoscenza come esperienza ed è quindi
orientata ai metodi ed alle condizioni della
conoscenza.
È importante distinguere che nei paesi di
lingua inglese si intende con epistemology quella
che in Italia è la gnoseologia. L'empirismo,
ritenuto generalmente come il fulcro del
moderno metodo scientifico, sostiene che le
teorie devono essere basate sull'osservazione
della realtà, piuttosto che sull'intuito o sulla
fede. In altre parole, esso sostiene la ricerca
empirica ed il ragionamento induttivo a
posteriori piuttosto che la pura logica deduttiva.
L'empirismo si oppone al razionalismo.
Quest'ultima
scuola
filosofica
privilegia
l'introspezione ed il ragionamento deduttivo a
priori. L'empirismo ha preparato la base per il
metodo scientifico, visto in modo tradizionale
come progresso scientifico tramite l'adattamento
delle teorie. L'approccio matematico di Galileo
alla scienza è necessario, poiché la descrizione
della realtà in termini matematici, consente di
ragionare per modelli, essendo la descrizione
matematica di un sistema fisico, applicabile in
nuovi campi, con un considerevole potenziale
predittivo. Passando dall'approccio storico a
quello più propriamente filosofico, uno dei
problemi ricorrenti della filosofia della scienza, è
il problema dell'induzione. Solitamente il
problema viene esposto tramite l'esempio del
filosofo David Hume per il quale ogni volta che
si osserva un corvo nero, ciò dovrebbe
confermare la teoria che tutti i corvi sono neri.
Ma come fanno delle osservazioni ripetute a
diventare una teoria, considerato il fatto che in
filosofia della scienza si dà per scontato che
esista un mondo reale e che esso sia conoscibile?
Allora il problema dell'induzione ha a che
vedere con il modo in cui osserviamo la realtà e
ne
traiamo insegnamenti. Il
problema
dell'induzione, può anche essere visto come un
problema di metodo e può essere interessante
allo scopo di una precisione schematica, l'uso
del Rasoio di Occam, che però di fronte alla
teoria fuzzy, mostra ancora un'insufficienza ed è
un metodo empirico, nel senso del significato
negativo attribuito oggi a qiesta parola.
Guglielmo di Occam suggerì che tra le diverse
spiegazioni di un fenomeno naturale si dovesse
preferire quella che non moltiplica enti inutili o
detto in latino entia non sunt multiplicanda. Il
Rasoio di Occam è stato solitamente usato come
una regola pratica per scegliere tra ipotesi che
avessero la stessa capacità di spiegare uno o più
fenomeni naturali osservati. Poiché per ogni
teoria ci sono generalmente infinite variazioni,
con dati egualmente consistenti, ma che in
alcune circostanze predicono risultati molto
differenti, il Rasoio di Occam viene usato in ogni
fase della ricerca scientifica. Senza una regola
come il Rasoio di Occam gli scienziati non
avrebbero mai alcuna giustificazione pratica o
filosofica per far prevalere una teoria sulle
infinite concorrenti. Sebbene la teoria di Occam
sia una regola di selezione tra più teorie, non
basate sull'evidenza, ci sono oggi approcci
matematici basati sulla teoria dell'informazione
che aumenta il potere esplicativo con la
semplicità. Ma Occam non dice che si deve
sempre
preferire
la
più
semplice,
indipendentemente dalla sua capacità di
spiegare i risultati, comprese eventuali eccezioni
o di rendere conto dei fenomeni in discussione.
Il principio della falsificabilità richiede che ogni
eccezione che possa essere riprodotta a volontà
renda non valida la teoria più semplice e che la
nuova spiegazione più semplice che possa
effettivamente incorporare l'eccezione come
parte della teoria debba essere preferita alla
teoria precedente. Alla teoria della falsificazione
di Popper si contrappone la teoria dell'induzione
e dell'implicazione di Rudolf Carnap. Tuttavia, il
problema di fondo dell'epistemologia, rimane
quello dell'induzione e dell'implicazione:
secondo la teoria della confermabilità e cioè che
ogni cigno bianco conferma che i corvi sono neri,
ossia ogni esempio non in contrasto con la teoria
ne conferma una parte. Secondo la teoria della
falsificabilità, invece, nessuna teoria è mai vera, in
quanto mentre esiste solo un numero finito di
esperimenti a favore, ne esistono teoricamente
un numero infinito che potrebbero falsificarla.
Tra i tipi di racconto, soprattutto le
cronache
partecipano
all'elemento
epistemologico e tra questi le cronache storiche,
nell'induzione dei fatti e la successiva
sistemazione teorica o scientifica. La narrazione,
come pensiero e linguaggio scorrevole, è il
mezzo con il quale si esplicita questa attività di
induzione. Una caratteristica essenziale è la sua
specifica capacità di stabilire legami tra il
consueto e l'inconsueto, tra l'eccezionale e
l'ordinario. Essa è in grado di riprodurre la
natura dialettica del mondo e poi di unficarla e
sintetizzarla. Considerato che le parole scritte,
sono come parole scolpite sulle pietre e simili ad
un fondamento giuridico, la parola epica può
basarsi su ambedue le tecnologie oltre che alla
memoria, inoltre può basarsi sulla cronaca
storica, ma poi richiede un’unica espressione
all’interno della comunità che la esprime,
altrimenti viene meno il presupposto della
omogeneità e questa omogeneità, una volta
assunta la sua fisionomia, non può produrre
valori nuovi, ma resta costante con valori già
assunti e sussumendo gli elementi che la
destabilizzano. La parola epica non ammette
improvvisazione, non significa scegliere e
produrre novità. Nel mondo epico il tempo è
fermo e la massima, come la sentenza, ne sigilla
l’immobilità. La retorica, l’arte del ben parlare,
pone addirittura in discussione la validità delle
proprie acquisizioni, rinnovandosi istante per
istante, mentre nell’epica la memoria è il
fondamento e mentre il romanzo è individuale,
il genere epico è collettivo. L'epica nasce quando
il poeta riesce a mettere in relazione l'eroe e le
sue gesta con il superamento storico e dà al suo
poema quella sorta di rilevanza universale che
induce i suoi fruitori a non lasciarlo perire. I
poeti epici, aggiungono a queste componenti un
argomento di grande importanza. La letteratura
epica, come già detto, ha uno sfondo storico e
un'argomentazione che si inquadra all'interno di
un contesto problematico profondo, che
travalica l'argomento in oggetto nell'opera
stessa. Il romanzo si contraddistingue per la
relazione con l'amnesia ed in esso ci si muove
nell’area del presente, associato a tutto ciò che è
deperibile. Generalmente la poesia si identifica
con l’immobilità e la prosa col movimento,
perché lo stato di fatto in cui la poesia è ridotta
alla sua natura più intima, ci offre il movimento
puro, riconoscibile per se stesso, senza alcun
riferimento esteriore e senza spazio. Mentre la
prosa è quella stessa intensità di vita resa
evidente attraverso la successione degli eventi
tra cui si svolge la nostra vicenda quotidiana. Il
costrutto formale fondamentale del romanzo,
richiede una conoscenza adeguata della società.
Il romanziere è lo storico della vita privata
individuale, che raffigura caratteri, situazioni,
passioni e azioni della società. Invece un passato
temporale assiologico caratterizza l'epopea
antica. La parola epica è una parola fondata
sulla tradizione. Il mondo epico non è una
semplice esperienza personale e non ammette
un punto di vista e una valutazione personali. Il
passato epico è chiuso in sé, in un senso
positivo, delimitato nei tempi e prima di tutto
delimitato al presente che dura eternamente. La
tradizione caratterizza e divide il mondo
dell'epopea dall'esperienza personale e da nuovi
punti di vista, poiché il mondo epico è
totalmente compiuto ed immutabile e la parola
epica è inseparabile dal suo oggetto, poiché il
suo significato contiene una unione assoluta tra
oggetti e significati. Il mondo epico si costruisce
nell'ambito di una immagine assoluta, estraneo
al contatto della sfera del presente che diviene e
divenendo è incompiuto e quindi da
interpretare e valutare. Invece il romanzo è in
contatto con l'elemento del presente incompiuto,
fatto che non permette a questo genere letterario
di cristallizzarsi. All'epopea appartiene il
passato assoluto, la sua chiusura e compiutezza
sia nel tutto, che in ogni sua parte e la struttura
del tutto si ripete in ogni parte e ogni parte è
compiuta come il tutto. Si può dire che tutto si
tiene. L'umanità epica è priva di ideologia,
poiché il mondo epico conosce solo un'unica e
unitaria concezione del mondo interamente
compiuta, ugualmente uniforme e indubitabile
per i protagonisti, per l'autore e per gli
ascoltatori. Conosce un'unica ed unitaria lingua
compiuta. Se prevale una visione della realtà,
non ci si può azzardare a usare il termine di
somma in questo campo. Con ciò si entra in
contraddizione con la dialettica. Qui tesi, antitesi
e sintesi, sono una triade non completa.
L'individuo organizza la natura, attraverso la
narrazione storica. Alle origini della poesia,
l'epica antica era stata la prima consacrazione
del fare umano. L'epica antica raccontava i primi
atti dell'essere umano per uscire dal caos
dell'indistinto, la lotta contro una natura
vergine, una natura amica o nemica a seconda se
in essa si manifestasse l'aiuto degli dei
favorevoli o l'ostilità di quelli avversi. L'epica
moderna non conosce più dei, l'essere umano è
solo, ha di fronte la natura e la storia. Una resa
dell'individualità e volontà umana di fronte
all'immensa
oggettività,
non
può
non
corrispondere a una rinuncia dell'essere umano
a condurre il corso della storia, a una
accondiscendente accettazione del mondo, così
com'è. Di fronte alla crisi della ragione è
possibile creare un'unione tra filosofia,
linguaggio e letteratura universale tramite un
collante, l'etica. In qualche situazione è la
letteratura che può indirettamente far scattare
un'intuizione
nello
scienziato,
come
nell'immaginazione, per portare alle estreme
conseguenze un'ipotesi oppure al contrario,
quello che può fare per il letterato, il modello del
linguaggio matematico e della logica formale,
salvandole dal logoramento in cui sono scadute
parole e immagini per il loro falso uso. Con
questo il letterato non deve però credere di aver
trovato qualcosa di assoluto. Anche qui può
servirgli
l'esempio
della
scienza,
in
considerazione che ogni cosa è parte di una serie
infinita di approssimazioni.
8.
L’interpretazione e il linguaggio comune.
L'esperienza della vita considerata nel suo
insieme di rapporti sociali, anche detta
empirismo, unita alla sua consapevolezza,
diventa interpretazione e la storia della cultura
in generale è una conoscenza panoramica, che
molte volte non considera completamente i fatti.
La storia guida parzialmente la cultura e
soprattutto nella sua informazione iniziale in via
di sviluppo. L'interpretazione raccoglie i
problemi storici, li sviluppa, cercando di
risolverli. Per scendere nel particolare occorre
l'interpretazione, cioè il confronto diretto con
l'informazione. L'interpretazione procede in
maniera analitica, la storia ha una visione più
ampia e procede in maniera sintetica. La storia e
l'interpretazione si incontrano sul terreno
comune dell'esperienza ed entrambe si
appoggiano sull'esperienza. Al di sopra della
storia e dell'interpretazione, si trova il controllo
critico. Fermarsi all'interpretazione solamente,
significa non conoscere e perdere di vista i
problemi nel loro aspetto complessivo. Lo
sviluppo della lingua e l'evolversi dell'apparato
vocale supralaringale sono evoluzioni collegate
tra loro. In particolare l'evoluzione dentale
dell'ominide ha trasformato la cavità orale in
un'ottima cassa di risonanza per l'uso
linguistico. Ed è per uno scopo verbale che i
suoni del linguaggio sono stati formati e
sottomessi a una speciale organizzazione
gerarchica. Tommaso d'Aquino opponeva i
suoni del linguaggio, voces, ai suoni emessi in
maniera
naturale
dagli
animali.
Egli
caratterizzava i primi come voci significanti,
dall'istituzione dell'umana ragione e volontà. La
sua definizione dei suoni del linguaggio come
significanti artificialmente e dati per significare,
sono i più accreditabili. Se in via sperimentale,
venisse disattivato l'emisfero sinistro del
cervello, questo fatto ostacolerebbe nettamente
la riconoscibilità e la riproducibilità dei suoni
linguistici e la conformazione accentuale della
parola, ma lascia intatti il riconoscimento e la
riproduzione delle intonazioni di frase. Allo
stesso tempo la disattivazione dell'emisfero
destro preserva totalmente la struttura della
parola in un parlante, ma gli impedisce di
riconoscere o anche solo notare le intonazioni di
frase.
Analizzando
attentamente
la
corrispondenza tra scienza e filosofia, a
quest’ultima, è possibile accordare un valore di
conoscenza fondata, e che la filosofia si limiti
esclusivamente ad uno studio del significato
delle parole e che sia essenzialmente un tipo di
semantica, in cui la parola stessa contiene
qualche incertezza dal momento in cui essa
viene meno al codice prestabilito, accettato da
tutti, per cui nasce l'incomprensione. La
comprensione linguistica è chiara finché resta
sullo stesso piano, altrimenti non c'è più
comprensione e quando viene meno il
significato codificato dei vocaboli, il significato
stabilito in precedenza viene meno ed allora non
si comprende più la parola. Nel dialogo del
Cratilo di Platone, la discussione verte su un
dilemma linguistico e cioè se la corrispondenza
del nome con ciò a cui fa riferimento, sia per
convenzione o per natura, se il linguaggio
aderisca completamente alla realtà e se
attraverso esso abbiamo una conoscenza piena e
completa. Da questa procedura di controllo
interno ed esterno al discorso e per ciò che
riguarda il processo di formazione di un ordine
delimitante, all'idea di un passaggio dal silenzio
al discorso ovvero l'esordio, si contrappone
piuttosto un flusso continuo di parole nel quale
si trovavano avvolti i trovatori antichi e
medioevali, così come i retori, che hanno
utilizzato varie tecnologie della parola, per
fissare i loro discorsi intorno ad un argomento.
L'opera di Platone è tesa a dimostrare l'inutilità
di un ordine nel discorso, perché la confusione
derivante dagli effetti degli eventi incerti della
vita quotidiana è costante, poiché gli esseri
umani parlano e i loro discorsi proliferano
all’infinito. La constatazione della confusione
dei discorsi e del significato delle parole a causa
di un intersecarsi di significati, esperienze e
conoscenze che hanno indebolito le certezze
acquisite, inducono a restringere la sofistica, la
dottrina dell'eloquio, tentando piuttosto di
fondare una verità più certa e stabile. Perciò è
auspicabile un metodo di pensiero che sia la
fondazione di significati più certi, ma che non
diventi una mappa geografica che ricopra
identicamente ogni luogo. Da questa parte c'è la
retorica, dalla parte opposta si trova la sofistica,
con la quale si intende una molteplicità di
discorsi tutti ugualmente veri e che rifiutano un
ordine prestabilito del discorso. Il linguaggio è il
segno delle cose assolutamente certe, perché
fondato su di esse. Il linguaggio è la figurazione
stessa del mondo, non è mai un sistema
arbitrario, ma fa parte delle cose stesse. Nella
mitologia si sostiene che un castigo biblico
determinò la confusione babelica e le lingue
furono separate le une dalle altre e rese
incomprensibili, soprattutto là dove venne
cancellata la somiglianza con le cose, la quale
aveva costituito l'originaria ragione d'essere del
linguaggio.
Le incertezze di classificazione concettuale
derivate dall'incertezza del loro significato, sono
dannose per il pensiero e nascono perché non si
conoscono più come si sono formati tali concetti
a partire dal linguaggio comune, dando luogo a
dei veri e propri conflitti. Compito del pensiero,
dunque, è quello di dirimere i conflitti e
sciogliere i dilemmi che nascono dall'uso del
linguaggio. Gli eventi semplici sono esplicitabili
con
proposizioni
elementari
e
queste
proposizioni
non
dipendono
da
altre
proposizioni, ma colgono e rappresentano
direttamente gli eventi stessi. Tali proposizioni
sono fonte di conoscenza, in quanto sono
rappresentazioni ed immagini degli eventi. Il
linguaggio allora, in quanto costituito da
proposizioni elementari, è l'immagine del
mondo ed è come una carta geografica che
rappresenta il paesaggio di tutto ciò che avviene
e tutto ciò che avviene è, appunto, il mondo.
L'aderenza al linguaggio comune è necessaria e
questa adesione esige una critica ai linguaggi
complessi e specialistici delle scienze. Questo
non vuol dire negare le scienze, ma soltanto che
il linguaggio quotidiano deve trovare la sua
origine nel linguaggio comune. Allora il compito
del pensiero sistematico si chiarisce. Da un lato
esso deve condurre al di là delle costruzioni
artificiali e categoriali, a vedere i fatti come
fenomeni originari. Dall'altro, poiché si può dire
che la confusione tra artificiale e naturale dà
luogo ad un conflitto ed il pensiero dovrà
dirimere tale controversia, è possibile dare vita
ad un sistema di pensiero le cui parole
coincidano con l'intero vocabolario della lingua
parlata dagli esseri umani di un determinato
periodo storico, ma si deve fare attenzione che la
sofistica non soffochi i pensieri, con la sua
abbondanza di parole.
L'interpretazione, la retorica e la filosofia
pratica danno un sostegno valido al linguaggio e
alla conoscenza. Il pensiero greco distingueva
l'essere umano dall'animale, per il fatto che il
primo ha l'uso del linguaggio, che gli ha
permesso di uscire dallo stato di natura e di
fondare la società. Altro aspetto importante nella
filosofia e nella retorica antica. Fu la
motivazione conoscitiva, nell'attribuzione dei
nomi. Essi assumono una funzione essenziale
nell'ambito di tale attività conoscitiva. La
proprietà del denominare e l'istituzione di
relazioni con gli altri elementi della frase,
garantiscono la conoscenza e la comunicazione.
Alla retorica va riconosciuto poi, il merito di
fornire una valida alternativa a quella che si
ritiene essere la crisi della ragione, cioè una crisi
della razionalità scientifica e dei suoi valori più
consolidati,
riportando
nell'ambito
della
razionalità più in generale, ciò che altrimenti
resterebbe affidato ad una decisione puramente
arbitraria.
Nella matematica, in linea di principio, è
sempre
tutto
chiaro.
Ogni
divergenza
d’opinione, su una questione matematica può
essere
appianata.
Un
errore
in
un’argomentazione matematica o in un calcolo
può essere provato oggettivamente. Le
conoscenze si raggiungono per mezzo della
logica, in modo obiettivo e sovente il calcolo
puro può essere di aiuto alla dimostrazione
eloquente.
La nuova retorica e l’interpretazione, unite
alla filosofia pratica, forniscono un modello di
razionalità pratica, che sembra sottrarsi ai limiti
della razionalità scientifica, l'incapacità di
risolvere i problemi di senso, al non poter tenere
conto della totalità, a spiegare la realtà della vita,
mutando così la concezione esclusiva della
retorica come arte della persuasione priva di
verità e di fondamento. Infatti, in passato veniva
svalutata la parola degli esseri umani come
opinione, apparenza illusoria, in nome di un
ideale di scienza come assoluta necessità. Di
conseguenza, la parola è destinata a non
diventare espressione di una realtà data, ma
creatrice di una realtà nuova, illusoria ed
ingannevole.
La
persuasione
ha
bisogno
della
dimostrazione e cioè la retorica ha bisogno del
pensiero argomentante quando esso è ritenuto
dimostrazione scientifica. Infatti, è veramente
persuaso solo chi crede di essere nella verità e
dunque crede che una verità esista, sia possibile
e accessibile all'essere umano. Non è mai
veramente persuaso colui che pensa di essere
solamente persuaso, ritenendo quindi che nella
sua persuasione non vi risieda alcun
fondamento di verità. La consapevolezza degli
inevitabili condizionamenti storici, culturali,
sociali, linguistici, delle nostre persuasioni crea
il dubbio sulla possibilità della verità. In ogni
situazione linguisticamente e storicamente
condizionata, sono possibili infatti persuasioni
diverse e discorsi diversi. C'è la possibilità di
scegliere e si sceglie quello che si giudica il
discorso migliore, il più valido, in senso relativo
e non assoluto, il più vero. La necessaria unione
tra retorica e pensiero argomentante, cioè tra
persuasione e verità, può essere fornita dalla
dialettica, intesa nel senso antico, del discutere
in maniera problematica.
La dialettica differisce dal pensiero
argomentante per la sua tipologia di carattere,
perché non conosce, ma critica. Differisce dalla
sofistica per la scelta etica, perché non vuole
apparire una conoscenza e quindi non inganna,
ma è leale, poiché argomenta correttamente dal
punto di vista logico. A questa dialettica, ci si
richiama come ad un modello di interpretazione.
Il rapporto, infatti, che l'interprete stabilisce con
il testo è quello di un dialogo, fatto di domande
e di risposte, di conferme e di confutazioni delle
diverse
possibili
interpretazioni.
Questa
dialettica non coincide con la retorica, che
appartiene al discorso lungo, dove uno solo
parla e l'uditorio tace, ma si integra, perché la
retorica è speculare alla dialettica, in quanto usa
le sue stesse premesse e le sue stesse
argomentazioni.
La differenza tra dialettica e retorica sta nel
fatto
che
quest'ultima
aggiunge
alle
argomentazioni dialettiche, la persuasione e la
conduzione dell'uditorio. Ciò non significa che il
pensiero debba assumere come premesse
indiscutibili i luoghi comuni, perché il suo
compito è proprio quello di metterli in
discussione, di criticarli. Si ha quindi il
riconoscimento dell'esperienza e della verità
ottenuta al di fuori della sfera del metodo
scientifico.
Il primo passo da fare per rendere evidente
la necessità di questo metodo, è riconoscere
quelle esperienze della verità che si verificano
oltre i confini che esso stabilisce. In generale, il
metodo elaborato dalle scienze della natura non
è in grado di comprendere la verità delle scienze
dello spirito. Se riconosciamo che l'incontro con
l'opera è un'esperienza della verità, tolta l'opera
dall'isolamento in cui l'aveva posta la coscienza
estetica, appare chiaro che incontriamo l'opera
nella realtà e la realtà nell'opera. Nasce quindi
l'esigenza di un'integrazione interpretativa di
queste realtà diverse. Si deve fare attenzione che
l'opera non rappresenti l'essenza di una cosa
indipendente da essa, ma che sia un incremento
di valutazione per la cosa rappresentata. Che sia
vera non significa che corrisponda alla cosa
come essa è in realtà, ma leggendo un'opera, il
lettore incontra un'interpretazione della realtà.
Appena si riconosce che l'opera viene
incontrata dal lettore, essa è vera, cioè si
inserisce nella realtà del lettore, perché porta in
sé questa realtà tramutata in forma letteraria e la
sua fruizione apre un dialogo d'intesa tra due
realtà, quella del libro e quella del lettore.
Questa è fondamentalmente l'interpretazione e
implica la reciproca integrazione. Se la verità
riguarda un evento, ogni incontro con la verità
sarà incontro con un fatto che, in quanto
accaduto, è passato e deve essere integrato nel
mondo di colui che tenta di interpretarlo. Questa
integrazione a cui mira l'interpretazione è una
fusione di orizzonti. L'interpretazione mira a
costituire un linguaggio comune tra l'interprete
e il testo.
L'opera da interpretare presenta una
estraneità che l'atto di interpretazione deve
superare, cioè una precedente comprensione che
l'interprete
possiede
e
che
guida
l'interpretazione, la quale articola in una serie di
ipotesi che sono vere e proprie domande poste
al testo. Su questa base, la logica interpretante si
configura come logica di domanda e risposta.
Tutti i caratteri dell'esperienza ermeneutica si
evidenziano solo dentro il linguaggio, il mezzo,
non strumento, ma elemento reggente, in cui
l'esperienza interpretante si realizza.
Non solo nel linguaggio avvengono tutti i
processi interpretativi, ma anche i loro caratteri
costitutivi sono fondati sul linguaggio e alla fine,
ciò non è altro che meditazione. Il linguaggio,
costituisce una mediazione tra coscienza
soggettiva e realtà oggettiva e ciò perché la sua
assolutezza non contraddice, ma anzi è
inscindibilmente legata alla finitezza e storicità
dell'esperienza.
L'incontro con la realtà, si rivela come un
incontro linguistico, poiché non c'è esistenza
delle cose al di fuori del linguaggio. La parola si
affianca alla cosa e le appartiene, in quanto
appartiene alla cosa e la costituisce, è
l'esperienza stessa che l'essere umano ne fa. La
formazione di un concetto, la ricerca della parola
giusta, costituiscono l'esperienza stessa. Il
linguaggio è storia e la sua assolutezza coincide
con la sua fissità. I singoli discorsi non sono solo
articolazioni di possibilità già presenti nel
vocabolario, ma ne modificano continuamente la
struttura, arricchendola e trasformandola, la
realtà è l'origine di questo vocabolario in
continuo divenire.
9
Le forme della narrazione ricordante.
La memoria umana sviluppandosi durante
il cammino storico ha incrementato la possibilità
di trattenere informazioni. L'essere umano ha
subordinato la memoria ai propri fini,
controllando il trattenimento dei dati,
rendendola sempre più volontaria e farne il
rispecchiamento di peculiarità sempre più
specifiche della coscienza umana. Ciò conduce
al problema della memoria verbale, che
nell'essere umano contemporaneo ha una
funzione essenziale e che si basa sul
trattenimento
e
la
registrazione
degli
avvenimenti,
con
la
loro
successiva
formulazione verbale. Per confrontare meglio il
funzionamento della memoria è necessario
osservare lo sviluppo della memoria infantile.
L'adulto mette in moto diverse operazioni
quando ricorda direttamente qualcosa o quando
ricorda
con
l'aiuto
di
uno
stimolo
supplementare.
Il bambino che ricorda per mezzo del
materiale ausiliario, costruisce le sue operazioni
su un piano diverso dal bambino che ricorda
direttamente, perché dal bambino che usa segni
e operazioni ausiliarie non si richiede la forza
della memoria, quanto la capacità di creare
nuove connessioni, nuove associazioni e nuove
strutture, con una più ricca immaginazione e un
pensiero ben sviluppato.
Nella situazione mediata, cioè il modo in
cui l'essere umano ricorda appoggiandosi a
determinati segni, la memoria cambia posto nel
sistema delle funzioni psicologiche. Ciò che con
la
ritenzione
immediata
viene
preso
immediatamente dalla memoria, nella ritenzione
mediata viene preso con l'aiuto di una serie di
operazioni psichiche che possono non avere
nulla in comune con la memoria. Il pensiero del
bambino nella prima infanzia è completamente
diverso dal pensiero del bambino di età più
matura. Per il bambino piccolo, pensare significa
ricordare, cioè appoggiarsi alla propria
esperienza precedente. Il pensiero si sviluppa in
diretta dipendenza della memoria. L'oggetto
dell'atto di pensiero per il bambino non è la
struttura logica dei concetti stessi, quanto il
ricordo. Nella prima infanzia, per il bambino
significa ricordare, per l'adolescente vuol dire
pensare. La sua memoria è talmente subordinata
all'attività logica che ritenere significa stabilire e
trovare i rapporti logici, mentre il rievocare alla
memoria consiste nella ricerca del punto che
deve essere trovato. Anche il nostro modo
normale di rendere conto dell'esperienza
quotidiana, prende la forma di un ricordo, di
una storia. Nessuno vive nell'immediato
presente. Infatti colleghiamo cose ed eventi
mediante la memoria, storia o mito che sia e
vivendo sulla base di due memorie, quella
personale e quella collettiva. Questa mescolanza
di memoria individuale e memoria collettiva
porta la mente all'indietro e le fornisce una
sensazione di illimitatezza. È quindi facile capire
perché la finzione narrativa affascina tanto.
Offre la possibilità di esercitare senza limiti
quella facoltà che si usa sia per percepire il
mondo, sia per ricostruire il passato,
immaginare il futuro ed immaginare realtà
molteplici. La finzione ha lo stesso valore del
gioco, perché giocare talvolta è come simulare
situazioni. Attraverso la finzione narrativa,
addestriamo la nostra capacità a dare ordine sia
all'esperienza del presente sia a quella del
passato ed essere poi in grado di simulare, con
elementi del reale, situazioni finte e non reali.
La creatività nell’attività della finzione
diventa un metodo di ricerca e di conoscenza, in
cui è necessaria l'originalità e l'innovazione. Ciò
rende possibile l'accostamento anche di
conoscenze già acquisite, dando a loro un valore
nuovo, tramite il metodo dialettico. Questo
metodo ha una grande validità, solo se la
filosofia della prassi viene concepita in tutto e
come una filosofia completa che dà inizio ad una
nuova fase nella storia e nello sviluppo del
pensiero.
La storia è creazione continua dell'attività
umana e nella storia, l'umanità produce se
stessa. Il principio motore della storia viene dai
bisogni umani, come lotta economica. La
retorica si inserisce nel processo continuo di
creazione dell’attività umana, come pensiero,
linguaggio e prassi. Basta che un avvenimento
venga percepito come rilevante per la storia,
basta che gli venga attribuito il significato di
fatto storico, perché si sia indotti a vedere in
questa prospettiva gli avvenimenti precedenti,
come se fossero collegati fra loro. Perciò dal
punto di vista del presente, si selezionano e si
interpretano gli avvenimenti del passato, nella
misura in cui nella coscienza collettiva se ne
conserva il ricordo. Il passato viene allora
organizzato come un testo, letto dal punto di
vista del presente. Gli eventi più significativi
inducono quindi, ad allineare gli avvenimenti
precedenti in una serie storica. Così si forma
l'esperienza storica, che non si identifica con le
reali conoscenze depositate e accumulate
gradualmente nel tempo, via via che gli eventi si
presentano, nel movimento progressivo della
storia, ma consiste nei rapporti di causa ed
effetto individuati dal punto di vista sincronico.
In seguito possono verificarsi altri avvenimenti,
tali
da
suggerire
una
nuova
lettura
dell'esperienza storica, una sua nuova
interpretazione.
Così
il
passato
viene
nuovamente interpretato alla luce di un presente
che è mutevole. In questo senso, la storia è
un'alternanza fra presente e passato.
Una particolare esperienza storica è
l'interpretazione del passato, che a sua volta
influisce in maniera naturale sul corso
successivo della storia e a partire da tale
esperienza, la società come personalità
collettiva, costruisce il programma del futuro,
progetta il proprio comportamento. Di
conseguenza, la percezione della storia è uno dei
fattori principali dell'evoluzione della lingua,
cioè della lingua in cui avviene la
comunicazione nel processo storico e quindi
della sua interpretazione. A ogni nuovo passo
progressivo della storia, cambiano sia il
presente, sia il passato e si definiscono le vie
successive dello sviluppo storico.
La coscienza storica pone in atto una
visione lineare, non ripetibile, non ciclica e
ricorrente del tempo. Per questo tipo di
coscienza, è centrale l'idea di evoluzione e non
quella di predeterminazione di tutto l'esistente,
una evoluzione nel corso della quale si
realizzano di continuo stati sostanzialmente
nuovi e non si ripetono quelli vecchi.
Il materialismo storico si presenta come un
pensiero problematico e si propone di realizzare
non già la comprensione della realtà storica e
sociale esistente, ma la proposta di una realtà
nuova e la dialettica diventa la chiave per
cogliere in ogni fenomeno storico, l'intrinseca
necessità delle forze economiche che guidano lo
sviluppo e trasferita nel dominio delle scienze,
risulta uno strumento speculativo dei loro
risultati.
È comunque da ritenere che, se nel corso
storico si presentano situazioni identiche, la cui
rilevazione fa assumere un aspetto di scienza o
legge, è altrettanto vero che la mente umana è in
grado di operare in maniera distinta dalle forme
economiche e dalle situazioni storiche, in caso
contrario non sarebbe possibile affermare
neanche la possibilità di una coscienza
individuale e di una coscienza di classe, una
coscienza collettiva a cui contribuiscono a
costituirla tante coscienze individuali, laddove
come nel pensiero di Marx, è importante l'analisi
economica nella determinazione della necessità
storica.
Il problema
della conoscenza storica
diventa il problema di una costruzione
universale, cioè il problema di comprendere la
storia come processo unitario. Ciò vuol dire che
ogni parte della storia deve essere riferita al
tutto e il tutto come immanente alle sue parti e
come loro fondamento. La comprensione della
storia come processo unitario è quindi la
comprensione dei fatti storici nella loro azione
reciproca, nell'ambito della totalità del processo
storico.
Il processo storico deve essere indagato
nella successione delle forme di oggettività a cui
i rapporti tra gli esseri umani danno origine. In
tale maniera è possibile stabilire quali siano le
tendenze di sviluppo intrinseche alla storia e il
modo in cui esse orientano il susseguirsi degli
avvenimenti. È l'affermazione del carattere
umano della dialettica, cioè nel riconoscimento
delle forme di oggettività come sostanza del
divenire della storia.
10
La scienza e la narrazione storica.
La storia è una successione continua di fatti che
non restano in maniera permanente nella
memoria ed allora nasce l'esigenza di conservare
per il futuro, la storia passata. Molti sono i
racconti che per l'enorme varietà di generi ed il
racconto è presente in ciascun genere, in tutti i
tempi ed in tutti i luoghi. Esso comincia con la
storia stessa dell'umanità. Il racconto rende
comprensibile ogni possibile deviazione di
senso. La validità di una cultura consiste nella
sua capacità di risolvere i conflitti, di comporre
le differenze e di negoziare i significati
differenti. La negoziazione dei significati, può
avvenire grazie alle strutture della narrazione,
delegate a trattare contemporaneamente i
contrasti. Così oltre a disporre di un insieme di
norme, una cultura può anche disporre di un
sistema di interpretazione in caso di scostamenti
dalle norme, tale che possa assegnare dei
significati. La presenza di una convenzione
culturale ed una deviazione da essa, spiegabile
in base a uno stato intenzionale individuale, fa
parte della struttura stessa del racconto. Ciò
conferisce ai racconti una validità di conoscenza.
La narrazione letteraria attuale, ha determinato
un cambiamento, ridimensionando il narratore
onnisciente che era a conoscenza del mondo
reale e delle modalità con cui i protagonisti lo
stavano trasformando. Il romanzo moderno ha
affinato la sensibilità per quella forma di
conflitto che si crea tra due persone che cercano
di conoscere il mondo esterno da prospettive
differenti. Ciò mette in evidenza fino a che
punto culture storiche diverse trattino i rapporti
tra i due punti di vista. Il libro considerato
astrattamente, è il luogo della memoria ed in
molti casi, una normativa. La precarietà della
realtà quotidiana è in relazione col libro stesso e
sovente, la realtà dipende da un libro, poiché
talvolta conferisce delle regole. Tale libro è come
lo specchio di una parte della natura e la parola
epica, legata al fatto storico, è anche figlia della
natura e dell’enciclopedia.
La realtà è in continuo movimento e
l'esperienza diventa un processo fondamentale
che deve essere compiuto in maniera completa,
prima di esprimere una parola o un discorso
stabile e certo. Di fronte alla realtà quotidiana,
l’esperienza diventa l'atteggiamento attraverso il
quale essa può venire compresa con una
sufficiente probabilità, basandosi sulla sequenza
della successione degli avvenimenti, la loro
descrizione e la definitiva storiografia. Solo ciò
fa capire che il tentativo di comprendere tutta la
serie degli avvenimenti, viene fatto sulla base
della storiografia, il racconto di un racconto o di
una serie di racconti e la narrazione storica non è
niente di più di ciò che uno storiografo può
descrivere, mentre la forma della cronaca non è
niente di più che la descrizione del fatto stesso
narrato. I fatti costituiscono la materia prima per
lo storico e la scelta di questi fatti, dipende da
una decisione precedente al racconto storico.
Quindi occorre l'interpretazione del fatto. La
storia ha due lati. Uno quando essa è una
compilazione oggettiva dei fatti, con la
prevalenza dei fatti stessi sull’interpretazione.
L'altra e una concezione della storia, un
prodotto soggettivo della mente di chi racconta
la storia, che valorizza i fatti storici piuttosto che
altri e li espone mediante l'interpretazione. Il
metodo storico si avvale di un procedimento di
tipo induttivo, in cui prima si raccolgono i fattti
e poi si interpretano.
Nella scienza non vi è per oggetto qualcosa
di statico e senza tempo, ma un continuo
processo
di
trasformazione.
Nell’ambito
scientifico, ogni operazione conoscitiva, implica
l’accettazione di concetti basati sull’esperienza,
che rendono possibile la ricerca scientifica, ma
che possono essere modificati mediante la
ricerca stessa. Tali ipotesi possono valere in
determinati contesti o per determinati scopi,
anche se la loro validità cessa in altri contesti o
per altri scopi. Il criterio di validità è empirico e
cioè la capacità di stimolare nuove indagini e
ampliare il campo della conoscenza. Il carattere
delle ipotesi usate dallo storico nel corso della
ricerca, appare assai simile a quello delle ipotesi
usate dallo scienziato. Anche nella storiografia
c’è un’imprecisione. Questa imprecisione
costituisce un limite allo sviluppo della ricerca
impedendo
l’aspettativa
che
lo
stesso
avvenimento si ripeterà. Infatti le differenze si
accumulano, finché non possono più venire
ignorate e prese nell’insieme dell'intero
fenomeno storico. Allora anche le cronache
aiutano nello scopo di trovare una ripetibilità e
la storia comincia a trarre il suo senso dal
momento in cui è un insieme di atti legati tra
loro.
In un libro è possibile immaginare una
biblioteca, una correlazione con altri libri, poiché
è l’espressione di una serie di legami e rimandi
ai libri e dalla loro proliferazione nasce il
desiderio del libro unico e della parola unica.
Libri riuniti in un solo libro. A partire
dall'antichità, l'epica, un tipo di letteratura a
base storica, è il genere che racchiude le vicende
storiche del mondo, per illustrarlo pienamente,
incorporando la realtà intera.
L'unità dell'argomento di un libro, di un
testo o di un discorso è relativa, perché perde la
sua evidenza non appena si interroga a fondo
tale testo ed esso incomincia a realizzarsi
soltanto a partire da una unità del discorso. Nel
caso in cui tra un certo numero di enunciati e
concetti, si possa invece definire una regolarità,
un ordine e delle correlazioni, si dirà
convenzionalmente che ci si trova di fronte a
una formazione discorsiva, evitando in tal modo
parole troppo gravide di conseguenze e
inadeguate come scienza, ideologia e teoria.
L'unità del discorso la si trova negli oggetti
stessi del discorso, tra le differenze che si
mostrano al soggetto che parla o che scrive e alla
fine ciò rimanda a relazioni che caratterizzano il
discorso e si rivela così non una configurazione
o una forma, ma un insieme di regole connesse a
un tipo di pratica e la definiscono nella sua
specificità.
È necessario fare un esame degli elementi
del discorso, che ne mettano in evidenza la loro
connessione. L'organizzazione di un insieme di
regole, nel discorso, può determinare il racconto
storico. Una struttura discorsiva non occupa
tutto il possibile campo che le apre il sistema
complessivo dei suoi contenuti, delle sue
enunciazioni, dei suoi concetti. Essa è
forzatamente lacunosa e ciò a causa del sistema
complessivo di formazione del suo enunciato.
Da ciò deriva il fatto che una data struttura
discorsiva una volta ripresa, posta e interpretata
in un nuovo sistema, può far apparire delle
nuove possibilità.
L'unità e l'identità di un enunciato è
soggetta
a
un
secondo
insieme
di
condizionamenti e di limiti, quelli che gli
vengono imposti dall'insieme degli altri
enunciati in mezzo ai quali figura, dal campo in
cui si può utilizzare o applicare, dal ruolo o
dalle funzioni che deve esplicare. Il non detto
non intacca l'enunciato. La pluralità di significati
possibili che incoraggiano l'interpretazione e la
scoperta di altri significati, riguarda la frase e i
campi semantici che essa apre, perché un unico
insieme di parole può dare luogo a più sensi e a
più costruzioni possibili. Ci possono essere dei
significati diversi, ma essi hanno tuttavia, una
comunanza enunciativa che rimane identica.
L'enunciato
non
è
caratterizzato
necessariamente dalla presenza di significati
nascosti ed anzi il modo in cui si palesano questi
elementi nascosti, dipende proprio dalla
modalità di enunciazione.
Tutta la massa di testi che appartengono ad
uno stesso tipo di argomento e i tanti autori che
non si conoscono e si ignorano, si intrecciano
senza saperlo, uniscono tra loro i discorsi in una
trama che non possono dipanare, che non
vedono completamente e di cui non riescono a
valutarne l'ampiezza.
Il pensiero logico e scientifico si occupa
delle cause di ordine generale e del modo per
individuarle e si serve di procedure volte ad
assicurare la verificabilità e la verità empirica. Il
suo linguaggio è regolato dal criterio della
coerenza e della non contraddizione. L’ambito è
costituito non solo dalle realtà osservabili, ma
anche dall'insieme delle realtà possibili che si
possono produrre con tante storie possibili e
molto diverse, confrontare con le realtà
osservabili.
L'uso creativo del pensiero scientifico
produce teorie e scoperte che si appoggiano su
ipotesi ragionate, ma in questo caso
l'immaginazione è diversa da quella del
romanziere o del poeta, che si esprime
nell'attitudine a cogliere possibili relazioni
ancora prima di dimostrarle formalmente. Il
compito empirico nelle attività di tipo
umanistico è proprio quello di creare e di
sviluppare ipotesi. È mediante la creazione di
ipotesi che prendono forma una molteplicità di
realtà possibili. Nella misura in cui anche la
scienza comporta la creazione di ipotesi, si può
dire che è affine all'attività di tipo umanistico.
Il linguaggio ha la caratteristica essenziale
di essere organizzato in diversi livelli, ciascuno
dei quali fornisce gli elementi costitutivi al
livello superiore. Ogni livello ha un proprio tipo
di ordine, ma tale ordine è sottoposto
all'organizzazione del livello superiore e poiché
ogni livello è sottoposto a quello superiore, i
tentativi di comprenderne uno qualsiasi per se
stesso sono destinati al fallimento. La struttura
del linguaggio è tale che ci consente di passare
dai suoni alle intenzioni che si esprimono in atti
linguistici e discorsi, tramite i livelli intermedi. Il
tragitto da seguire per compiere questo percorso
varia a seconda degli obiettivi. Per collegare
insieme un'espressione in particolare, si
selezionano e si combinano delle parole. Il modo
in cui sono compiute queste operazioni
dipendono dagli scopi che vengono prefissati
nel pronunciare qualcosa. Il discorso riferito ad
una cosa nell'intento di dirigere su di essa
l'attenzione di un ascoltatore, esige un processo
interpretativo.
Il linguaggio è un modo per mettere ordine
nei pensieri che riguardano la realtà ed è un
modo di organizzare l'azione. La realtà fornisce i
concetti, le idee e le teorie che consentono al
lettore o all'ascoltatore di raggiungere livelli
intelliggibili più elevati. Essi gli forniscono un
mezzo per tornare sui propri pensieri e vederli
in una luce nuova. In questa fase la mente
riflette su se stessa. E gli aspetti della realtà
precedente, forniscono dati per le costruzioni
successive.
Allora diventa importante l'azione detta
della ricorsione, cioè il processo mediante il quale
la mente riprende un’operazione mentale
precedente e la utilizza come un dato per
costituire l'operazione successiva. Ogni cultura
vive un processo di elaborazione costante, in
quanto viene continuamente interpretata e
negoziata dai suoi membri. Ciò diventa uno
strumento di regole e indicazioni per l'azione
stessa. Il linguaggio diventa lo strumento per
conseguire tali obiettivi.
Occorre una riflessione sull'osservazione
delle leggi della natura a cui devono adattarsi le
leggi civili, che sono un prodotto dell'attività
intellettuale
umana
e
possono
essere
continuamente adattate. La comprensione
storica, il rapporto con la natura e
l’autocoscienza dell'essere umano, questi sono i
principi di base. Il comportamento umano è
basato su una struttura di segni comunicativi,
stabiliti col tempo. Ogni comportamento
presuppone un'organizzazione di significati che
danno delle direzioni normative, mediante le
quali si crea il rapporto tra essere umano e
ambiente. Ogni comportamento è l’esecuzione
di atti codificati, cioè l'essere umano realizza il
suo inserimento nell'ambiente attuando delle
regole stabilite nel corso di una tradizione.
Considerando i rapporti fra linguaggio verbale e
cultura, occorre registrare che vi è uno stretto
rapporto tra essi e cioè, la determinazione dei
sistema di vita si realizza mediante il linguaggio
verbale.
La scrittura stessa è una forma di pratica
del linguaggio ed ha un soggetto. Il soggetto di
questa pratica non può essere che un soggetto
pratico complessivo, quindi non solo soggetto di
scrittura, ma un soggetto politico. Scrivere
significa l'accumulo di una esperienza politica e
materiale e l'atto di scrivere si rivolge verso la
realtà, conoscendola e riducendola a linguaggio.
Conoscere non significa trovare il senso
nascosto nella realtà, ma organizzare dei
significati coerenti, in un sapere. La realtà è
l'insieme dei rapporti materiali, storici e
psicologici che formano il pensiero e il
linguaggio. Il pensiero e il linguaggio non sono
già formati sullo stato di natura. È il divenire
storico a formarli. In senso giuridico, questo
processo è l'unione tra attività di pensiero e
attività pratica. Ciò costituisce un'anticipazione
indiretta dell'equiparazione che il pensiero
materialistico e storico stabilirà tra discorso
letterario, discorso comune e discorso scientifico,
riconducendoli, al di là delle loro peculiarità, ad
una stessa base di conoscenza. Ecco allora, che il
pensiero diventa problematico, grazie all'ausilio
della dialettica e la forma del pensiero
problematico diventa la sintesi del pensiero
dialettico, fornendo un quadro panoramico della
natura, in forma sistematica con l'apporto dei
dati delle scienze naturali.
Il reale è oggettivo, cioè quella realtà
accertata dagli esseri umani, equidistante da
ogni punto di vista particolare. Oggettivo
significa umanamente soggettivo, quindi
storicamente soggettivo. La scienza è così un
movimento
in continuo
sviluppo.
Ciò
appartiene ad una filosofia fondata sul sapere
storico, nel senso di una semplificazione alla
realtà storica e ai suoi problemi, per modificarla,
per elaborare di volta in volta la conoscenza.
L'oggettività non è indipendente dall'essere
umano e fuori dalla storia. I fenomeni non sono
qualcosa di esistente in sé e per sé, bensì qualità
che l'essere umano ha distinto.
In linea di principio, per allargare la
conoscenza, occorre prendere consiglio sia
dall'ignorante, sia dal sapiente, perché non si
raggiungono i limiti dell'arte e non esiste
artigiano che abbia acquisito la perfezione, senza
partire dagli elementi sconosciuti e inesperti. Il
sapiente è saggio per quello che conosce e
l'ignorante offre la sua esperienza. L’artigiano
crea la parola perfetta, la cosa più difficile di
qualsiasi altra e parlare è il mestiere più difficile
di ogni altro. La consapevolezza di ciò dà
autorità alla parola. Diventa necessario parlare
solo quando viene raggiunta la padronanza del
mestiere di coniatore di parole e discorsi
autorevoli. Chi parla in maniera perfetta
raggiunge un modo di vivere giusto e
controllare la parola diventa indispensabile per
chi voglia rivestire la condizione dei notabili,
pronunciando parole elevate.
11
Filosofia e conoscenza.
Bisogna distinguere tra sapere e conoscenza,
perché mentre il termine conoscenza è riferito
soprattutto all'aspetto logico e razionale del
pensiero, il termine sapere richiama sia le
conoscenze cognitive sia quelle non cognitive,
cioè le conoscenze percettive, emotive e
fantastiche. Sapere e conoscenza riguardano la
realtà come informazione, in cui la realtà è
esterna alla mente, ma le descrizioni della realtà
non lo sono e possono essere soggetta al vero ed
al falso. La realtà di per sé non può essere
soggetta a vero e falso. Solo dopo che
l’individuo ha adottato un determinato
linguaggio, la realtà può essere la causa o meno
delle sue credenze e la realtà è costruita per
mezzo di un vocabolario.
Fondamento del sapere è il possesso di un
vocabolario, nel senso di un patrimonio
linguistico non solo personale. Questo
vocabolario è settoriale o allargato a seconda che
sia rivolto ad una materia specifica o ad una
interdisciplinare. Invece il discorso di contenuto
non semplicemente problematico è in grado di
produrre un discorso totale su cui si fonda
l'unità dell'individuo e della realtà. Il rapporto
dell'essere umano con la realtà è nel sapere, in
cui la realtà si tramuta in pensiero. Nel potere è
oggetto di un'azione finalizzata e il potere
collega l'essere umano sia alla natura, che
all'individuo stesso.
È possibile attribuire un senso a tutta
l'attività umana, che si manifesta anche nelle
varie forme di pensiero, come uno sforzo per
allontanarsi dalla preistoria. Per raggiungere
questo risultato occorre eliminare innanzitutto
l'irrazionale, il non conosciuto, per guidare e
dirimere la realtà caotica. Il pensiero filosofico
quando è un pensiero problematico, è una
conoscenza necessaria per realizzare il sapere
completo e totale ed influenzare direttamente la
prassi umana, presupposto per la conoscenza.
Ma il pensiero filosofico e problematico non
esaurisce la conoscenza, collocandosi al centro
della storia e non rendendosi mai indipendente
dal discorso storico. Perciò occorre risalire alle
radici storiche dell'individuo.
Per comprendere la storia, bisogna che il
pensiero filosofico e problematico si concluda in
una enciclopedia che considerata come un'opera
di compilazione, è un genere che raccoglie il
sapere. Attraverso la comunicazione viene
risolto il problema della totalizzazione del
sapere, cioè il contrario della specializzazione.
Ciò implica che il soggetto del sapere universale
sia innanzitutto un soggetto sociale, poiché
l'enciclopedia non può avere un solo autore, né
un solo lettore e perciò la lingua è il mezzo della
comunucazione completa ed oggettiva.
L'accrescimento
delle
conoscenze,
l'aumento progressivo e senza misura dei libri e
degli
specialisti
di
ogni
tipo,
crea
inevitabilmente un disordine nell'universo del
sapere. I progressi intellettuali corrispondono ad
un accrescimento culturale, ma senza disordine
non c'è progresso del sapere. Vi sono linee di
pensiero che tentano di dare un ordine al sapere,
che per definizione contraddice il progresso del
sapere, ma la crescita del disordine è necessaria
allo sviluppo delle scienze. È quindi necessaria
una crescita parallela del disordine, insieme
all'ordine. La soluzione consiste nel facilitare la
produzione di informazione sull'universo
culturale, cioè l’ordine.
Il modello del sapere artigianale, quello
proprio a chi fa esperienza conoscitiva e poi la
applica, si delinea attraverso la contingenza della
situazione e l'assenza di una regola esatta della
produzione del sapere. Tutto quello che si può
incontrare in questo modello, sono delle abilità
che rendono capaci coloro che le possiedono
meglio. Queste abilità non sono astrattamente
definibili, ma dipendono dall'esperienza e
dall'apprendimento. Esse appartengono ad un
individuo e alla sua storia e costituiscono un
sapere che non è trasmissibile direttamente,
perché nessuno può eguagliare l'esperienza di
una storia personale. Non è dunque un sapere di
tipo scientifico, ma piuttosto corrisponde alla
phronesis, la prudenza, quella saggezza
individuale in cui le variazioni contingenti
generano regolarità probabili al posto delle leggi
esatte della realtà. Si può dire solo con un
margine di approssimazione quand'è che si
cessa di essere apprendisti, perché ciò accade
quando i successi cominciano a essere più
frequenti, ma non si può mai dire quando
termina
l'apprendistato,
perché
significa
smettere di apprendere, ossia arrivare al
momento in cui l'esperienza è completa e finita.
Se ciò accadesse, si cadrebbe nella riproduzione
meccanica, che è proprio l'opposto del modello
artigianale. La razionalizzazione dell'avanzare
del
processo
cognitivo
e
di
quello
dell'esperienza, annullano ogni contingenza
eliminando la possibilità della sconfitta, ma
anche quello della capacità eccezionale.
La filosofia, da materia specialistica e
separata dalle altre, dovrebbe trasformarsi e
svilupparsi in un pensiero critico dell'individuo
su se medesimo e tale attività, retta da un
pensiero coordinatore, lo valorizzerà in tutta la
sua persolalità. Quindi anche la politica
dovrebbe svilupparsi in questo senso. Non più
come attività separata, ma integrata tra
esperienza, prassi e filosofia che dovrebbe
orientarne tutta l'attività. La filosofia quindi,
deve fare della realtà, compresa la politica,
l'oggetto della sua critica. Anche la politica però,
deve diventare interesse e lavoro per tutta la
comunità, funzione di pensiero e riflessione
critica. Affinché si realizzi il rapporto descritto,
anche la politica deve progredire nella direzione
dello sviluppo della personalità dell'individuo,
identificandosi nel pensiero.
La manifestazione di un pensiero
problematico come saggezza della realtà, non
può limitarsi ad ignorare la filosofia stessa, ma
deve scaturire dalla riflessione critica di essa. Il
marxismo creativo, critico e non dogmatico, può
essere già sufficiente ed allora qualsiasi
orientamento filosofico può avvicinarsi al
marxismo creativo.
Nell'ambito del sapere è legittima solo la
rappresentazione concreta del reale, cioè la
scienza ed il materialismo dialettico. Il suo
essere scienza, come rappresentazione concreta
del reale è fondamentale. Il marxismo si
presenta come sintesi della teoria e della prassi.
Dalla diversità dei fatti umani e della realtà,
come universalità storica e concreta. Il compito
del pensiero problematico si riassume nel
realizzare sotto forma teorica, l'universalità
sottesa all'unità pratica.
L’intellettuale critico è come uno scienziato
che si sforza di elevare la sua concezione
generale della realtà, all'altezza richiesta dallo
sviluppo e dal progresso delle conoscenze in
tutti gli ambiti, all'altezza del compito pratico di
trasformare la realtà in maniera conforme alle
sue leggi e di elaborare i concetti universali
richiesti da tale progresso e da tale
trasformazione. Questa concezione del pensiero
problematico deriva dal fatto che l'essere umano
è elaboratore e creatore del pensiero e questo
concetto
unisce
la
verità
di
una
rappresentazione alla sua fonte. Il passo
successivo consiste nel considerare l'oggettività
della realtà come unità di teoria e prassi.
Il marxismo considera la filosofia, ma non il
pensiero, come un pensiero specialistico. Nel
pensiero, la verità è strettamente connessa alla
pratica e all’esperienza, con un tempo
speculativo senza fine.
Nessun discorso contiene il senso ultimo
della realtà. Non c'è nessun pensiero che possa
fornire un punto fisso là dove si dispieghi la
piena e apparente certezza di un sapere
assoluto. Non esiste il discorso fondatore e la
filosofia non è più una disciplina autonoma, un
fine in sé, un inizio e una conclusione. La
filosofia non può che tramutarsi in pensiero
problematico, rifiutando la separazione tra la
speculazione filosofica e l'acquisizione del
sapere, attraverso la riflessione e l'esperienza. La
storia della filosofia si presenta come una
filosofia ristretta che ha l'effetto di allontanare
gli intellettuali dalle questioni vive dell'epoca, là
dove invece si preferirebbe un intervento
qualificato.
Il progresso del pensiero problematico
consiste nel risolvere i problemi ed esso ha un
ruolo essenzialmente critico. Il pensiero
problematico cerca i dati mancanti necessari a
trovare le soluzioni. Proprio perché la decisione
è il fine ultimo, non c'è un pensiero
problematico concluso. Per le sue caratteristiche
interrogative e critiche, il pensiero problematico
si definisce come desiderio di sapere e non come
il sapere. Un desiderio di sapere, che non cerchi
solo il sapere, ma la risoluzione dei problemi.
L'idea di un principio ed influenza esterna
alla filosofia è un fatto che contraddice il suo
essere un fondamento razionale di tutte le
discipline, poiché
presuppone
l'ulteriore
specializzazione dell'attività di pensiero, in
seguito a ragioni derivate dall’aumento
quantitativo di conoscenze nel sapere moderno,
fatto che conferisce al pensiero problematico un
ruolo metodologico. Perciò diventa necessario
rispettare questo metodo, considerando i
differenti settori disciplinari, al di fuori di ciò
che pertiene direttamente alla storia della
filosofia, come ambiti della filosofia. Affermare
questo significa riconoscere che non c'è una
filosofia prima alla base di tutto.
Il pensiero problematico è un pensiero
senza le tradizionali divisioni. L'ipotesi è che vi
sia un terreno comune, in rapporto con altri
contenuti disciplinari. Il contenuto di una
disciplina specifica dipende esclusivamente da
uno specialista e tale dipendenza non è
necessariamente favorevole al filosofo, in una
situazione nella quale domina la filosofia
ristretta. Alla filosofia problematica però, è
necessaria una costruzione paziente del
pensiero, con la collaborazione di settori di
ricerca specializzata. La storia della filosofia è in
una certa maniera, necessaria per l’intellettuale,
perché la sua competenza deriva dalla
conoscenza storica che ha, ma il non esaurirsi
dei problemi filosofici impedisce che la
conoscenza della tradizione filosofica diventi
sufficientemente esauriente e la storia della
filosofia non deve avere un campo strettamente
delimitato, altrimenti declina verso un tipo di
filosofia ristretta. L'idea della filosofia come
disciplina onnicomprensiva è un’idea antica che
dà testimonianza dell'unità avuta in passato.
In questo contesto, non vi è quasi confine
tra filosofia ed enciclopedia, ma la filosofia
inclina verso il pensiero problematico, perché
questo è una metodologia e non un sapere
codificato ed esauriente ed inoltre è volto alla
ricerca del dato risolutivo, che trova nella storia
della filosofia e nelle discipline specializzate e
collegate alla filosofia classica. Tuttavia il
collegamento con l’enciclopedia resta, perché
l'enciclopedia non è prodotta da un soggetto
unico. Sua caratteristica è la possibilità che
ognuno possa accedervi e percorrerla da una
parte all’altra. Il senso dell'unità enciclopedica
non è nell'astrazione, ma nel trasformare i
concetti
e
nello
stabilire
collegamenti.
L'enciclopedia è un sistema di collegamenti
concettuali. Il compito della storia della filosofia
è di operare quella connessione continua in cui
consiste un'enciclopedia e di favorire questa
realizzazione.
Quello che comunemente si chiama il
filosofare si rende necessario per respingere
argomentazioni incerte o sbagliate, poiché
tramite il pensiero si aspira a trovare la parola
risolutrice. Il contrario è il trovarsi confusi, per
tutto il tempo che non è stata scoperta la
soluzione ed eliminata la confusione. Il
problema filosofico è la consapevolezza del
disordine nei concetti, trovare la parola con cui
si riuscirà ad esprimere la cosa e a renderla
intelleggibile. La scelta delle parole è
importante, perché vi si deve cogliere
esattamente la fisionomia della cosa, perché solo
un pensiero orientato in maniera esatta può
risolvere i conflitti intellettuali.
Compito del pensiero problematico è dare
forma ad un'espressione in modo tale da trovare
la soluzione. Il linguaggio riflette la realtà dai
suoi significati.
Per attivare la razionalità, il pensiero
problematico deve soddisfare nell'essere umano
due fondamentali tipi di bisogni. Il bisogno
legato all’esigenza di conoscere, il bisogno
teoretico e quello legato all'esigenza di agire, il
bisogno pratico. Il bisogno pratico più
importante è quello di eliminare l'incertezza del
futuro.
Attraverso l'interpretazione del pensiero
come ricerca, come attività che elimina il dubbio
e aumenta la credenza, si possono usare tutti e
tre i termini in un senso abbastanza ampio. Si
usano il termine dubbio e credenza, per designare
l'inizio di una qualsiasi questione e la sua
risoluzione. Con il termine ricerca non si deve
intendere niente di più che la transizione dalla
domanda alla risoluzione. Per questo è così
importante essere chiari circa la natura della
credenza, la quale gode di tre proprietà. La prima
proprietà, è qualcosa di cui siamo consapevoli.
La seconda riguarda il dubbio e la sua
eliminazione e la terza comporta lo stabilirsi
nella nostra natura di una regola d'azione, di
un'abitudine.
L'essenza della credenza è lo stabilirsi di
un'abitudine e differenti credenze si distinguono
dai differenti modi d'azione conseguenti. Una
credenza vera è una credenza destinata a
incontrare alla fine il consenso di tutti coloro che
indagano scientificamente.
Il compito dello scienziato consiste anche
nel sapere come reagire di fronte all'ostacolo, di
fronte alla difficoltà, di fronte al problema. Essi
devono trovare il modo in cui sistemare
l'insieme del sapere acquisito per introdurvi
nuovi elementi che si presentano adeguatamente
incompatibili con il sistema di pensiero
precedente. È allora che devono scegliere le
soluzioni
più
adeguate,
quelle
che
permetteranno ulteriori progressi. La loro
attività è fatta di ponderazione, scelta e
decisione finale.
Vi è alla fine
un'attività razionale e consapevole senza
separazione fra conoscenza ed esperienza. Lo
scienziato partecipa in prima persona,
direttamente, alle vicende quotidiane.
Il
contrario sarebbe un'opposizione ad ogni
condizionamento storico e sociale del sapere e
del suo sviluppo dialettico, che solo permette di
spiegare la sua crescita e il suo sviluppo. La
decisione finale sarà comunque al riscontro
dell'esperienza.
È di fronte a quest'ultima che si potrà
ristabilire una convergenza della comunità
scientifica e della comunità generale che si trovi
di fronte ad un fatto nuovo che non è collegato
allo schema del sapere antecedente.
Gli
intellettuali
procederanno
alla
riorganizzazione di questo sapere, tenteranno di
integrare il fatto nuovo, in modo che cessi di
essere inatteso e inspiegabile e in modo che il
sapere riorganizzato possa meglio subire la
prova di esperienze future e solo una
sistematizzazione che permetta di integrare
l'insieme dei fatti conosciuti, potrà ottenere
l'accordo unanime della comunità in generale.
12.
Dalla filosofia al pensiero problematico.
Oggetti e persone possono essere definite in
maniera approssimativa con una frase. Questa
frase è l'inizio di una serie continua di frasi che
spiegano la prima frase. Accade che ogni
soggetto definito non comandi tali frasi, ma sia
subordinato a queste. La vita stessa è talvolta
percorsa da una frase che diventa sempre più
complessa, una frase pronunciata che implica
una serie complessa e collegata di frasi, che si
annodano le une alle altre senza fine, perché
nessuna di esse ha un compimento definitivo.
Ciascun soggetto quindi, è stimolato da una
frase e questa frase è intersecata da frasi
scaturite dalla sua origine, dalle sue possibili
variazioni che si richiamano e che rimangono
sospese in uno stato di dubbio ed incertezza che
è la condizione dell'essere umano.
L'unica risposta a tali incertezze è la
riflessione e l'azione dello scrivere, per stabilire
delle certezze su una realtà che esiste già prima
di scrivere. Perciò si riflette e si scrive per
regolare una realtà dal quale si è resi incerti e
questa realtà si lascia descrivere come se, grazie
alla scrittura, fosse divenuto un poco più
comprensibile, ma la realtà è sempre incerta con
la sua confusione. Anche i testi, le definizioni, i
discorsi, le teorie sono parte della realtà, detti o
scritti per regolarla, poiché essa resta ancora tale
e quale a prima. Vi è solo un tentativo di
descrivere la realtà.
Riflettere e dire, ma soprattutto scrivere,
vuol dire affermare il distacco dall'esperienza.
Nello scrivere possono essere enunciati detti
veri e falsi, perché si trovano sul confine tra
l'esperienza ed il pensiero, che assume l'aspetto
di una critica dell'esperienza. Si chiede al
pensiero di dissipare le incertezze e di mettere
ordine nella realtà, di trovare le leggi che la
governano e la parola complessità esprime il
disagio, la confusione, l’incapacità di definire in
modo semplice, di nominare con chiarezza, di
mettere ordine nella realtà.
La
complessità
è
piuttosto
una
complicazione e non una soluzione. Il pensiero
complesso riconosce i legami tra le entità che il
pensiero
stesso
deve
necessariamente
distinguere, ma non può isolare le une dalle
altre ed è teso tra un sapere, non troppo
specifico e riduttivo da un lato e il
riconoscimento
dell'incompiutezza
e
dell'incompletezza della conoscenza dall'altro.
Per lungo tempo la conoscenza scientifica è stata
concepita come depositaria della necessità di
chiarire la realtà apparente della complessità dei
fenomeni al fine di rivelare l'ordine semplice al
quale obbediscono, ma talvolta succede che la
modalità che semplifica la conoscenza,
diminuisce la realtà.
Il pensiero che semplifica, unifica in
maniera astratta, riordinando le diversità. La
complessità della realtà si presenta con i
lineamenti del disordine, dell'inestricabile,
dell'incerto. Da qui la necessità per la
conoscenza, di mettere ordine nei fenomeni.
Anche i fenomeni antropologici e sociali, non
possono obbedire a principi di intelligibilità
meno complessi di quelli constatati per i
fenomeni
naturali.
La
complessità
nel
comprendere incertezze ed indeterminazioni, ha
a che fare anche con il caso. La complessità è
l'incertezza all'interno di sistemi altamente
organizzati
e
sembra
non
consentire
meccanicità e determinismi.
Con il pensiero complesso non si può
programmare la conoscenza, né la prassi. La
complessità si manifesta al sopraggiungere
dell'imprevisto o dell'incerto, ovvero nel
momento in cui appare un problema. L'ordine è
tutto ciò che è invarianza, ripetizione, costanza,
tutto ciò che può essere posto sotto una
relazione di alta probabilità e codificato con una
legge o una regola. Il disordine è tutto ciò che è
irregolarità, deviazione rispetto a una struttura
data, alea, imprevedibilità. Allo stesso modo,
nessuna esistenza sarebbe possibile nel puro
disordine, poiché non ci sarebbe alcun elemento
di stabilità sul quale fondare un'organizzazione
del tempo e dello spazio umano.
Non c'è alcuna prescrizione che crei
equilibrio e solo l'esperienza può fronteggiare i
processi che creano squilibrio. Il programma è
una sequenza di azioni predeterminate che deve
funzionare in circostanze che ne consentano la
realizzazione. Se le circostanze esterne non sono
favorevoli, il programma si blocca o fallisce. La
strategia invece, elabora uno o più scenari. Fin
dal principio si prepara verso qualcosa di nuovo
o di imprevisto, prova ad incorporarlo per
modificare o arricchire la propria azione. La
strategia è portata a modificarsi in funzione
delle informazioni fornite lungo il percorso degli
eventi.
La dialettica materialistica oltre ad essere
una continua ricerca della verità, unita al
principio del rasoio di Occam e cioè quella
proposizione che afferma a parità di fattori la
spiegazione più semplice tende ad essere quella
esatta, ne accentua il valore di scientificità. Tale
principio di Occam, alla base del pensiero
scientifico moderno, nella sua forma più
semplice suggerisce l'inutilità di formulare più
assunzioni di quelle strettamente necessarie per
spiegare un dato fenomeno. Essa impone di
scegliere, tra le molteplici cause, quella che
spiega in modo più semplice l'evento ed ha
generato un'altra serie di proposizioni utilizzate
sempre nel campo scientifico, quali entia non
sunt multiplicanda praeter necessitatem tradotto
non aggiungere elementi quando non occorre o
anche pluralitas non est ponenda sine necessitatem
tradotto non supporre pluralità quando non occorre,
ed ancora, frustra fit per plura quod fieri potest per
pauciora tradotto è inutile fare con più ciò che si può
fare con il meno. In altri termini, non vi è motivo
alcuno per complicare ciò che è semplice.
All'interno di un ragionamento o di una
dimostrazione vanno invece ricercate la
semplicità e la sinteticità. Tra le varie
spiegazioni possibili di un evento, è quella più
semplice che ha maggiori possibilità di essere
vera, anche in base al principio di economia di
pensiero e cioè se si può spiegare un dato
fenomeno senza supporre l'esistenza di qualche
ente, è corretto il farlo, in quanto è ragionevole
scegliere, tra varie soluzioni, la più semplice e
plausibile e la retorica può partecipare
sicuramente in quanto forma e contenuto, alla
semplicità di esposizione, attingendo valore di
scienza e non unico abbellimento espositivo del
pensiero. Così la dialettica materialistica
respinge la posizione soggettivistica, spingendo
ad elaborare una visione ampia delle cose,
educando ad affrontare i fenomeni indagati in
tutti i loro aspetti. La dialettica induce a
penetrare a fondo nella sostanza delle cose,
senza dimenticare che il lato esterno è anch'esso
sostanziale e non può essere trascurato. Essa
richiama l'attenzione sulle tendenze opposte che
si manifestano in ogni fenomeno e nei
mutamenti individua quello che è permanente.
L'applicazione della dialettica materialistica
agevola chi voglia comprendere a fondo i
fenomeni che gli accadono intorno, ma non ha
risposte già pronte per tutti i problemi scientifici
e pratici.
Il pensiero filosofico può essere considerato
un tipo di saggezza e l'etica può essere associata
a questo tipo di saggezza. A questo tipo di
saggezza occorre unire la giurisprudenza,
supporto necessario all'etica, poiché impedisce
all'essere umano di deviare verso gli eccessi e
per tale scopo occorre una profonda dottrina e
conoscenza. La giurisprudenza coordina
l'intelletto, sostenendolo ed entrambi avviano
l'essere umano verso la conoscenza della
perfezione. Anche la prassi è presupposto di
conoscenza ed è un agire etico e storico.
La filosofia non è soltanto pura
speculazione e quindi alcuni dei suoi
fondamenti sono nella prassi quotidiana e il
materialismo storico avalla quelle categorie con
le quali si interpreta il materiale raccolto
empiricamente. Occorre unire la scienza e
l'epistemologia, poiché sono conoscenze e la
ricorrenza è la condizione della pratica
storiografica dell'epistemologia. Essa è il
fondamento stesso dell'epistemologia. Significa
riconoscere che la concatenazione degli
enunciati di una disciplina, è il prodotto di una
omogeneità tra i vari contenuti. La ricorrenza
significa inoltre che il senso di un enunciato
scientifico, il suo valore cognitivo e la sua
permanenza nel tempo si manifestano nella
possibilità di riattivarli e di concatenarli nel
discorso scientifico o almeno in presenza del
discorso scientifico, il quale nel suo valore di
conoscenza è e sarà sempre attuale. È qui in
qualche modo che si manifesta il tipo di
universalità
peculiare
della
conoscenza
scientifica, che non è una totalità chiusa e
immobile, ma immanenza alla temporalità
propria di una classe di atti, la possibilità aperta
dello svolgersi degli atti propri e temporali, di
una classe.
L'epistemologia sollecita la filosofia a
riportare la funzione critica e riflessiva nell'alveo
di un sapere frammentato, la cui essenza si trova
nell'aumento delle differenze, per cui l'essere
umano è considerato sapiente solamente a
condizione di essere uno specialista. Perciò la
scienza non risulta più essere universale e
unitaria, ma specialistica e la filosofia allora, non
può sfuggire al compito di definire il suo ruolo
nella formazione generale degli esseri umani e
l'epistemologia non indebolisce la filosofia.
13.
Dalla critica dell'esperienza, all'esperienza
critica.
Realizzare una linearità nel pensiero, che
sia senza tempo e senza incertezze, è possibile,
regolando tale pensiero originato da molteplici
proposizioni anche contrastanti tra loro. Questa
unicità scaturisca dalla moltiplecitùà delle
proposizioni che sottostanno e che possono
essere innumerevoli. Alimentato da esse, ma
senza lasciarsi paralizzare da alcuna di esse, il
pensiero non ne privilegia una in particolare, ma
si affida alle parole che l'ha originata, Ciò gli
attribuisce una profondità che non si lascia
esaurire completamente, né esplicare del tutto.
Il pensiero storico si presenta sotto forma
di discorso, mostrando sempre i contenuti in
maniera lineare e presupponendo un intento
speculativo, tentando di dare una sistemazione
razionale
a fatti temporali e caotici. La
differenza tra pensiero storico e pensiero che
rivela, sta nel fatto che nel pensiero rivelante,
comprendere
significa
interpretare,
cioè
approfondire
l'esplicito
per
cogliervi
quell'infinità dell'implicito che contiene. Mentre
nel pensiero storico il non detto è estraneo alla
parola, nel pensiero rivelante il non detto si
trova nella parola stessa. Ed ancora nel pensiero
storico comprendere significa annullare il non
detto, nel pensiero rivelante significa rendersi
conto che la verità non si possiede se non dopo
una ricerca ancora. Il pensiero rivelante può
contenere un numero delimitato di significati,
che conferiscono una profondità nuova ad esso
ed in cui l'esplicito perde la propria limitatezza e
rompe il proprio isolamento autosufficiente.
L'interpretazione è l'atto rivelatore. La mantiene
unica nell'atto stesso che ne moltiplica le
formulazioni e l'eliminazione definitiva del
relativismo è possibile non appena si colga la
natura al tempo stesso rivelante e plurale
dell'interpretazione e nell'interpretazione la
rivelazione è inseparabile dal contesto storico.
La linearità del pensiero si manifesta all’atto
della sua formulazione così da permetterle di
possederla con l'interprertazione, ma non al
punto di presentarsi come esclusiva e completa,
unica e definitiva. Così l'interpretazione fonda
una tradizione, perché l'approfondimento a cui
induce, collega le possibilità attuali non solo col
patrimonio delle possibilità già rilevate, ma
anche
con
le
infinite
possibilità.
L'interpretazione ha un carattere fondante ed è
quella forma di conoscenza che allo stesso
tempo è ricercatrice della conoscenza storica. Ne
consegue che l'unica conoscenza adeguata, si ha
mediante l'interpretazione, intesa come forma di
conoscenza storica, in cui la situazione storica, è
la sola condizione possibile, non per il fatto di
raggiungere e possedere la verità che si separa
dei suoi caratteri di personalità, storicità e
pluralità.
Il
principio
fondamentale
dell'ermeneutica, cioè l'interpretazione testuale
ed in definitiva di ciascun pensiero, è che l'unica
conoscenza
adeguata
della
verità
è
l'interpretazione. Essa si presenta in molti modi
e nessuno di questi modi è privilegiato rispetto
agli altri, tale da poter pretendere di possedere
la verità in maniera esclusiva. Il concetto stesso
di interpretazione rifiuta la totalità e l'unicità.
La linearità di pensiero non si divide in una
molteplicità di formulazioni, ma la si rileva
come un filo comune di esse. È per questo che la
verità viene espunta tramite l'interpretazione,
così che ciascuna formulazione della verità è una
totalità.
La verità si identifica con la sua
formulazione, ma non esclusiva e completa. Solo
da un personale e concreto punto di vista si può
cogliere la verità e comprendere un qualsiasi
altro punto di vista. Da qui l'aspetto innovatore
dell'interpretazione, che sarebbe limitata se fosse
solo coscienza della storia, offrendo una
conoscenza che in quanto tale è iniziatrice e
trasformatrice.
La storicità, separando il pensiero dalla
verità, procede all'indebolimento della ragione,
relegandola ad un ruolo di pura discorsività e
privandola dei suoi contenuti, cioè riducendola
ad una forma pura del discorso. La parola detta,
è significante ed emana
significati,
continuamente alimentati dall'infinita ricchezza
anche del non detto, così che comprendere
significa approfondire il detto per cogliervi
l'inesauribile fecondità del non detto, senza mai
raggiungerne l'esplicitazione completa.
È il pensiero problematico che rende
possibile il dialogo che il pensiero strumentale
esclude. Da ciò appare la forza della ragione
storica e la forza unificante con il pensiero
astratto.
La verità non si lascia cogliere nella sua
contestualizzazione storica. Nell'atteggiamento
dell’esperienza e della pratica, l'aspettativa è
indirizzata verso qualcosa, che però conduce al
di là dell'esperienza quotidiana. L'esperienza
inverte la propria direzione, affidandosi
all'immaginazione, realizzandosi nel passato
quando la forza della memoria fa ritrovare le
esperienze vissute in maniera incompiuta.
L'esperienza immaginativa è operante sia
nell'anticipazione degli scenari futuri che nella
conoscenza retrospettiva. Essa completa la realtà
incompiuta non solo progettando l'esperienza
futura, ma anche custodendo l'esperienza
passata, che si perderebbe lungo il tempo.
Nell’esperienza, il fare è il presupposto del
conoscere. Il senso del processo storico, si rivela
nella misura in cui si coglie e si verifica con la
teoria, sulla base della sua realizzazione pratica,
Occorre precisare la differenza, ma non il
contrasto tra il pensiero di Vigotskji ed il
materialismo storico. Nel materialismo storico si
ritiene che la realtà e la verità sono esterne al
soggetto pensante, mentre per Vigotsky tutto è
un atto interiore della propria volontà.
Affermare che la realtà è esterna al soggetto
pensante, che non è una sua creazione, equivale
a dire che la gran parte di ciò che si trova nello
spazio e nel tempo è l'effetto di cause che
prescindono dagli stati mentali dell'essere
umano. Dire che la verità non è esterna equivale
a dire, semplicemente, che dove non ci sono
enunciati non c'è verità, che gli enunciati sono
componenti dei linguaggi umani e che i
linguaggi umani sono creazioni umane. La
verità non può esistere indipendentemente dalla
mente umana, perché non possono essere
indipendenti gli enunciati stessi. La realtà è
esterna, ma le descrizioni della realtà non lo
sono. Solo le descrizioni della realtà possono
essere vere o false. La realtà di per sé, a
prescindere dalle attività descrittive degli esseri
umani, non può esserlo. Se potessimo adattarci
all'idea che la realtà per lo più è indifferente alle
nostre descrizioni e che la persona umana non è
espressa in maniera più o meno adeguata da un
vocabolario, bensì è creata dall'uso di un
vocabolario, allora avremmo fatto nostra la
questione che la verità è costruita piuttosto che
scoperta, vale a dire che i linguaggi sono
costruiti e non scoperti e la verità è una
proprietà dei linguaggi e degli enunciati.
Chiusura della riflessione politica
La politica del pensiero, è un metodo critico
che conduce, attraverso il controllo della
ragione, dall’esperienza e dalla conoscenza, ad
un sapere non astratto, che si forma nella
consapevolezza di una realtà vissuta e
conosciuta. È il superamento dei contrasti
attraverso il movimento dialettico, che unifica e
risolve in un percorso lineare, che contiene tali
contrasti e non è soggiogata da essi.
La politica del pensiero è l’analisi delle capacità
umane e delle procedure attraverso cui il
pensiero umano conosce e la induce alla prassi.
È la memoria, il pensiero ed il linguaggio
esplicitandosi contemporaneamente nella storia,
nel pensiero problematico e nella dinamica delle
lingue. Attraverso la politica del pensiero,
l’essere umano è in grado di dirimere il dubbio
conoscitivo e sollecitarla con il continuo slancio
dialettico, a sua volta una forma di conoscenza.
Ciò fa apparire superato il concetto di filosofia
nel senso classico, anche definita ristretta, ma
analogamente il suo contrario, si potrebbe dire
la filosofia aperta e cioè quella filosofia che per
autoalimentarsi, si volge alle questioni urgenti
del mondo e della realtà quotidiana, attinge
anche alla letteratura e alla forma espressiva
letteraria, poiché le questioni di cui codesto
pensiero problematico si occupa, sono
innumerevoli e sempre aperte, non più chiare e
definibili o ristrette e limitate ad un solo campo
disciplinare, come la tradizionale filosofia, ma
allargata anche al supporto di altre discipline.
La politica del pensiero è la consapevolezza
dell'abrogazione dei sistemi di pensiero definiti
e stabili. Essa è un controllo critico della ragione,
la scepsi, che pone l'essere umano un gradino
sopra alla turbolenza quotidiana, attraverso
l'uso delle proprie conoscenze.
La politica del pensiero tiene conto dell’una e
dell’altra, in uno sforzo che le omogeneizzi e le
concretizzi nel linguaggio e nel pensiero.
La politica del pensiero è una scelta e una
decisione di pensiero e di azione, equilibrate e
che scaturiscono da uno slancio dialettico. È la
sintesi delle diverse posizioni, in una scala
progressiva di valori, che non abbandona affatto
le precedenti esperienze e proposizioni, ma le
accatasta nel luogo della memoria e della storia.
La strategia politica richiede una conoscenza
profonda, perché procede lavorando contro
l'incerto, l'alea.
Il postmoderno, il movimento di pensiero
che ha prevalso da un certo punto, si può dire
che si è affermato contemporaneamente
all'opera di Pasolini e a quella di Italo Calvino e
ha finito con l'interessare ogni settore, da quello
culturale a quello politico ed urbanistico.
Nel corso del tempo sono cambiati i
costumi sociali, le società occidentali sono
immerse
nell'era
del
postmoderno,
una
affermazione della civiltà di massa. Pasolini è
stato riconosciuto come l'intellettuale che ha
messo in crisi la verità delle ideologie e
prefigurando l'intellettuale postmoderno che
non parla più a nome di una collettività e che
non crede più neanche nella capacità del
pensiero
dialettico.
Egli
è
l'interprete
dell'attualità e non più il fattore della verità. In
alternativa a questa c'è una verità debole per
astrazione e generalizzazione pluralistica, in
seguito all'indebolirsi delle ideologie. Il
postmoderno è l'affermazione di uno stile
espositivo e formale che lascia più spazio alla
parola orale rispetto a quella scritta ed un nuovo
tipo di genere letterario prende forma, quello
degli
ipertesti
dove
tutto
confluisce
costantemente modificabile e non assillato dal
tentativo assoluto dell'originalità.
In conclusione, la disamina accurata ma
parziale, degli elementi culturali cardinali della
nostra civiltà contemporanea, esposta qui,
induce ad un indirizzamento del pensiero che
abbia fondamento su tali punti, della riflessione
letteraria, filosofica e scientifica. Il pensiero
attuale complessivo, necessita di una ponderata
valutazione degli elementi a disposizione,
intrecciando la contemporaneità e le sue
problematiche, con il pensiero classico ed antico,
con una operazione di interpretazione
modernista e progrediente. Una valutazione che
esalti la dimensione umanistica e ne faccia il suo
valore principale.