Uberto Scardino POLITICA DEL PENSIERO 2011 Politica del pensiero 2011 SOMMARIO Capitolo 1 – Introduzione alla politica. Capitolo 2 – Il nostro tempo. Capitolo 3 – Differenze letterarie. Capitolo 4 – Il linguaggio a sostegno del sapere. Capitolo 5 – Le enciclopedie. Capitolo 6 – La parola sostegno del pensiero. Capitolo 7 – Scegliere un metodo. Capitolo 8 – L'interpretazione e il linguaggio comune. Capitolo 9 – Le forme della narrazione ricordante. Capitolo 10 – La scienza e la narrazione ricordante. Capitolo 11 – Filosofia e conoscenza. Capitolo 12 – Dalla filosofia al pensiero problematico. Capitolo 13 – Dalla critica dell'esperienza, all'esperienza critica. Chiusura della riflessione politica. 1 Introduzione alla politica. Il proverbio che sovente gli adulti ripetono ai bambini "Chi va piano, va sano e va lontano" e lascia intendere un finale spiacevole per chi non rispetti questa regola, è un esempio di proverbio che invita alla prudenza, innanzitutto quando viene accostato all'esperienza e alla consuetudine quotidiana in generale. Come si intuisce, il senso contrario riguarda ciò che è comunemente inteso come frettoloso, significando anche qualcosa di poco ponderato. Gli antichi letterati ammonivano con il detto: "Festìna lente", cioè "Affrettati lentamente", che si può interpretare così: "Cresci lentamente, affinché si possa dare il tempo necessario che ogni parte della tua persona si sviluppi in maniera completa, equilibrata ed armoniosa”. Un altro detto antico "Natura non facit saltus", che significa "La natura non fa salti", allude ad un progressivo mutamento nello sviluppo di qualsiasi manifestazione della natura. Ed ancora, sempre appartenente a questa famiglia di proverbi, è anche un altro detto popolare che dice così: "La gatta frettolosa, fece la figliolanza cieca", in cui si intende che forse è meglio perdere un po' di tempo in più per la riflessione prima dell’azione, che poi doversi rammaricare per una scelta dal risultato non voluto. In tutti questi proverbi ci sono degli esempi di intreccio tra saggezza popolare, senso comune, sapienza, conoscenza e filosofia. In definitiva, i proverbi sono una concezione del mondo poco elaborata e non sistematica, perché ancora ad un livello di esperienza istintiva e semplice, non cosciente e critica, non filosofica e politica. Una concezione dove non vi è niente di troppo elaborato e sistematico, ma al contrario è ancora frammentario, che contiene vari sviluppi successivi, frammenti della vita quotidiana che si sono succeduti nella storia. Al contrario dei significati di questi proverbi, nel nostro tempo è importante dimostrare della frenesia, una smania da cui si dice “ritmo frenetico” per significare una vita fondata sulla velocità e sulla rapidità. La frenesia è uno stato morboso, una agitazione continua, contraria ad una riflessione pacata e saggia. Confrontando tra loro la riflessione lenta e la velocità frenetica, si conclude che la frenesia non sia saggezza, se quest'ultima si intende innanzitutto come una riflessione. Vi è un solo aspetto della velocità da considerare positivamente, quando essa è comunicazione, superamento delle barriere di spazio e di tempo verso altre aree, geografiche e culturali, ma ciò appartiene ad un ambito non umano. È un aumento di conoscenza, che non coinvolge l'essere umano in quanto tale, ma piuttosto gli facilita un compito, è una tecnica e non uno stato mentale. Se ci limitiamo ai nostri luoghi geografici, un cammino lento è la perlustrazione limitata al nostro territorio, paragonabile alla scoperta del territorio che un bambino fa a mano a mano che cresce. La velocità fa parte dell'attuale sistema etico e suggerisce che tutto ciò che è veloce è positivo, per cui si va di fretta, si fanno le cose di fretta e si ritiene che ciò aiuti l'integrità totale dell'essere umano e della sua personalità. Si è convinti che l'essere umano si arricchisca spiritualmente attraverso la velocità. Invece essa non consente la sedimentazione dei ricordi e ricordare è la base del nostro agire corretto, per un percorso di vita sicuro e non spiacevole. Per ricordare di essere stati ciò che si è stati, occorre salvare le esperienze e in questo caso il significato di esperienza è vivere di nuovo le esperienze del passato attraverso la memoria e il ricordo. La dimostrazione che la velocità non è un valore assoluto, è data dal fatto che il tempo narrativo può essere ritardato, ciclico o immobile. Il racconto si snoda nella durata ed agisce sullo scorrere del tempo, contraendolo o dilatandolo. Si può attribuire a queste riflessioni scritte, il nome di scritti fronetici, che in un gioco di significato e di grafia, ricalcato sulla trasposizione dal greco della parola saggezza, phronesis, all’atto della pronuncia richiama l'aggettivo frenetico, ma è contrario all'agire frenetico. Questi scritti fronetici sono gli scritti della riflessione, del ragionamento, della ponderatezza, contrari al ritmo frenetico. Alla velocità viene contrapposta la riflessione, la deliberazione pratica e quindi il ben deliberare, ovvero il dare origine ad uno stato di vita complessivo che ci soddisfi, ovvero ciò che viene riunito sotto il nome di saggezza o phronesis, l'ambito e la sfera del sapiente, in definitiva la politica nei suoi aspetti cognitivo ed etico. Questi sono gli scritti della pausa riflessiva prima della decisione e successiva alla comparazione tra i saperi. Considerata come un pensiero problematico, la phronesis scaturisce dall'esperienza e dalla necessaria induzione, dalla raccolta sistematica dei dati, da una conseguente valutazione e sistemazione in regole. Secondo Aristotele, sono due i tipi di sapere. La sapienza o sophia in greco, la migliore delle scienze, perché conosce i princìpi di tutte le cose e la saggezza o prudenza, phronesis in greco, che non è una scienza, cioè un sapere teorico, ma è un sapere pratico, perché ha come oggetto e come fine, la prassi umana. La prudenza è la capacità di deliberare bene su ciò che è benevolo e vantaggioso non in maniera parziale, ma su ciò che è benevolo e vantaggioso per una vita felice completa. La felicità è un vero bene, purché sia intesa in senso totale, cioè che abbracci la vita intera e perciò non può coincidere con beni particolari, che non sempre sono un bene, perché talvolta possono essere causa anche di infelicità e di malevolenza. La prudenza, dunque, è veramente tale solo se ha per fine il bene, un bene più ampio e generale. Essa è la capacità di calcolare esattamente i mezzi per ottenere un fine benevolo. Stabilita dunque la bontà, cioè l'onestà del fine, senza il quale non c'è vera prudenza, la specificità della prudenza consiste nel calcolare esattamente i mezzi idonei, cioè efficaci, a realizzare un fine benevolo. Su questi, infatti, la prudenza delibera, cioè decide, sceglie non sul fine, la cui bontà non è in discussione, ma è una scelta in un certo senso, obbligata. Quindi è saggio o prudente, chi è capace di deliberare, ma nessuno delibera sulle cose che non possono stare diversamente. Cosicché, se è vero che la scienza implica una dimostrazione, ma che d'altra parte, non v'è dimostrazione delle cose i cui princìpi non possono stare diversamente e poiché non è possibile deliberare su ciò che è necessariamente, la saggezza ovvero la prudenza, non sarà una scienza, perché delibera sempre sul probabile. La scienza è lontana da ogni tipo di discorso astratto ed anzi si presenta come un unico valido modello di sapere, in grado di garantire una descrizione reale del mondo, indagando il modo in cui i fenomeni si costituiscono e le cause che ad essi sono sottostanti. Le spiegazioni fornite hanno caratteri di coerenza interna, generalità e semplicità uniti alla necessaria controllabilità e relativo criterio di falsificabilità. Questa comporta una spiegazione relativamente stabile nel tempo, sempre aperta a nuove conferme o smentite. Qui si mostra il carattere pratico della prudenza. Essa, per poter deliberare deve vertere sulle cose che dipendono da noi, poiché circa le disposizioni che nascono dal ragionamento vi può essere dimenticanza, come ad esempio la matematica che si impara, ma si può anche dimenticare. Invece la prudenza, una volta appresa, non si dimentica più, cioè diventa un agire acquisito, un possesso definitivo. La sapienza indaga sulle realtà difficili, cioè i princìpi di tutte le cose. La prudenza invece riguarda i fatti umani e nessuno delibera su ciò che può essere diversamente dai fatti umani. L'essere umano che sa deliberare bene, è quello che sa indirizzarsi nell'azione e tra i beni realizzabili, seguirà il migliore per l'essere umano. Non si tratta, dunque, di realizzare il bene assoluto, ma ciò che in determinate circostanze è la cosa migliore per l'essere umano. La prudenza non ha come oggetto solo le cose generali, ma anche le particolari, poiché riguarda l'azione e l'azione riguarda le situazioni particolari. Vi sono esseri umani che pur non conoscendo le cose generali, sono molto abili nelle azioni, sono quelli che hanno esperienza. Quelli che conoscono le cose generali sono gli scienziati e i filosofi. Aristotele riteneva che non dovessero governare i filosofi, ma le persone prudenti, che conoscono le situazioni particolari e che hanno esperienza della vita. Aristotele afferma anche che la politica, il pensiero critico e pratico in generale, non può misurarsi con la scienza in senso stretto, dal momento che nel contesto della prassi mutevole e casuale, i suoi oggetti, il giusto e l'eccellente, mancano di una continuità stabilita oltre che della necessità logica. La fronesis è la facoltà della filosofia pratica, una saggia comprensione della situazione particolare. Tra i filosofi moderni è Vico quello che rimane più aderente al pensiero aristotelico circa la differenza tra episteme e fronesis, tra scienza e saggezza, in cui la prima mira a verità esterne, intende fare affermazioni su ciò che sempre e necessariamente è come è. La saggezza, che è una filosofia pratica, invece ha a che fare solo con il verosimile ed il probabile. Vico mostra come questo procedimento, che si appoggia poco al punto di vista teorico, nella prassi risulta con una maggiore certezza. Egli ricorda le possibilità della retorica, la quale si serve di preferenza della facoltà della fronesis e del procedimento dialettico, per poter prendere tempi più lunghi di riflessione, senza concetti già prestabiliti. In queste osservazioni del Vico emerge la consapevolezza di un rapporto dialettico, nella misura in cui la politica viene razionalizzata e la prassi diretta teoricamente, vede sviluppare quella problematica in cui l'analisi scientifica e sperimentale deve dichiararsi insufficiente ed ancora afferma che l'incertezza nell'agire cresce quanto più rigidamente si pongono, in questo ambito, criteri di accertamento scientifico. Mentre la filosofia pratica segue il metodo dialettico e non quello dimostrativo, la scienza politica e sociale moderna fondata da Hobbes, elimina le conoscenze solamente probabili della dialettica. Essa fu adattata al mutamento dell’ideale di scientificità avvenuto con Descartes e testimoniato in particolare dalla formula della seconda regola e cioè, dividere ogni problema preso in esame in tante parti quanto fosse possibile e richiesto per risolverlo più agevolmente. Mentre le scienze teoretiche come la teologia e la matematica hanno per oggetto il necessario, le scienze pratiche come l’etica e la politica hanno per oggetto il per lo più. Il minor grado di precisione che di conseguenza viene richiesto in queste ultime, non è indice di minor rigore o di minore scientificità, ma è perfettamente conforme alla natura dell’oggetto e al tipo diverso di razionalità che essa richiede. Questa distinzione metodologica viene annullata nella scienza politica moderna, che orientandosi a partire da Hobbes sull’ideale cartesiano di una scienza esatta, non salvaguarda più la specificità della propria razionalità nei confronti delle scienze matematiche e naturali, ma finisce per assimilarne modelli e procedure. La dialettica che ha la capacità di collegare aspetti anche diversi ed opposti, non è solo il metodo che usa il filosofo quando costruisce il discorso sulla realtà, ma è anche l’unica maniera corretta di pensare una realtà in sé stessa dialettica. Da capacità di abbracciare l’unità che si trova in maniera naturale nel molteplice, la dialettica diventa possibilità di sostenere che ciò che è diverso è in qualche modo identico e ciò che è identico è diverso. La retorica e la dialettica hanno lo stesso modo di argomentare, applicati a situazioni diverse e a contenuti diversi. Entrambe si occupano di procedure praticabili da tutti, come l’esaminare ed il sostenere una tesi nel caso della dialettica e l’accusare e il difendersi nel caso della retorica. Per quanto riguarda la retorica, il carattere tecnico consiste nel saper usare bene i mezzi della persuasione e i modi di suscitare la credenza. Nella dialettica, l’aspetto tecnico è dato dal saper usare bene le argomentazioni. Alla scienza compete la capacità di cogliere il vero, alla retorica quella di cogliere il verosimile. La retorica è una psicagogia ed è fondata sulla pratica giudiziaria e sulla captatio benevolentiae. Tenendosi lontana dall'esattezza della logica essa persegue l'adesione ad un'opinione o a una quasi verità chiamata il verosimile. L'opinione viene generalmente intesa come un gradino inferiore della conoscenza, un semplice ed automatico legame del pensiero alle proprie possibilità immediate ed ha come punto di partenza, un'evidenza sensibile non necessariamente condivisa. Il gradino successivo è la convinzione, che risulta estranea all'atto retorico, nella misura in cui presuppone il superamento dell'evidenza sensibile per mezzo della riflessione e si fonda su una motivazione logica e materiale che può essere condivisa. La convinzione può essere il risultato di una costrizione tramite prove materiali e testimonianze, come accade nei processi e il pensiero non può sottrarvisi senza infrangere le leggi sue proprie. Pur lasciando un certo margine alla probabilità, in altre parole alla possibilità d'errore, la convinzione è capace di ottenere un'adesione attiva. Il grado più alto della convinzione è la certezza, che esclude la possibilità d'errore, giacché si fonda su di una motivazione logica e materiale ancora più rigorosa. L'atto retorico ovvero la persuasione, persegue il medesimo scopo della convinzione, ma seguendo una diversa via, quella dell'immaginazione, dell'emozione, della suggestione, accordando deliberatamente, una maggiore possibilità di errore. Non essendo coercitiva, la persuasione implica la libertà di aderire o meno alla tesi proposta. Il riferimento all'etimologia dei termini convinctio e persuasio permette di precisare ancor meglio la differenza tra le due nozioni. Convinzione, in latino convinctio, deriva da vincere e il suffisso con suggerisce l'idea della sconfitta completa e definitiva. Il soggetto stesso accetta l'evidenza delle prove e la validità dei ragionamenti di chi argomenta, rinunciando ad opporre ad essi i suoi ragionamenti. Il termine persuasione, dal latino persuasio, che ha un'origine comune con suadere ovvero consigliare con in più l'idea di compimento suggerita dal per, è strettamente legato all'esistenza di un'influenza decisiva, se non proprio coercitiva, esercitata da colui che argomenta. Nel caso della convinzione, la decisione comporta la rinuncia alla tesi propria. Il momento della deliberazione viene ridotto al massimo, in virtù dell'evidenza, contro la quale non si delibera. Ogni tentativo di spiegare quest'ultimo fatto, in cui psicologia e logica vengono a contatto, diventa impossibile. Si è quindi costretti ad accontentarsi di attribuire una eccezionale virtù all'evidenza, se ogni mente normale deve arrendersi ad essa e la decisione è unica e obbligatoria. Le cose vanno diversamente nel caso della persuasione. Lo spazio per la deliberazione è ampio e il soggetto resta a lungo in preda all'esitazione. Decisione significa in questo caso, scelta libera. Il termine che viene attribuito a tale scelta è adesione. I risultati della persuasione sono assai più importanti, perché l'individuo ha la coscienza di aver liberamente aderito ad una tesi. Tale tesi diviene sua propria e l'azione a cui lo si sollecita perde ogni carattere esterno ed imposto. Questa non è un'imperfezione, ma al contrario, l'azione ne trae una forza particolare. Esiste una similitudine di contenuti tra retorica e politica, là dove entrambe preparano discorsi persuasivi. Nella maggior parte dei casi le argomentazioni retoriche non hanno carattere di scienza, cioè di verità necessaria, ma lo hanno solo nel caso del parlare delle prove. La retorica, pur essendo una forma di razionalità diversa dalla scienza, è tuttavia strutturata anch’essa con argomentazioni, in particolare argomentazioni dialettiche, il che non solo le conferisce un preciso carattere tecnico, ma le permette in qualche modo di avvicinarsi alla verità e quindi la fa essere diversa sia dal puro ornamento esteriore del discorso, sia dal semplice esercizio verbale, a cui essa è stata ridotta da una credenza diffusa che ha assunto la matematica come unico parametro con cui misurare la validità dei discorsi. Innanzitutto si ammette che la dimostrazione non si ha dai casi della vita. Rimane aperta comunque una possibilità alla teoria dell'argomentazione. Da ciò deriva la constatazione della minore efficacia della logica formale che apre la strada alla riabilitazione della retorica. La conoscenza che si limita esclusivamente alla logica formale è un puro nominalismo. Fra la retorica antica e la giurisprudenza esistevano stretti legami. La recente teoria sulla retorica ha dimostrato l'impossibilità di una giustizia perfetta. Le norme giuridiche non dimostrano altro che il rapporto tra logica e diritto è un rapporto difficile e questo significa che la logica giuridica non deve essere di natura formale, ma argomentativa. Un argomento efficace in una data situazione, scade e diviene persino inutile in un altro momento. Un argomento è più efficace in un certo contesto, lo è meno in un altro, può essere addirittura controproducente per la causa in un altro ancora. Questo è il lato debole della teoria dell'argomentazione. In più vi è da considerare che la retorica non è esclusivamente un esercizio di bello stile verbale, poiché molta parte della disciplina è basata sull'analisi e la discussione di ciò che accade per lo più e ciò ha anche una stretta relazione con la matematica, dato che la disciplina che si occupa del per lo più in matematica è la statistica. Vi è un'altra questione, quella relativa alla cultura storica che deve contribuire alla capacità di prendere decisioni, la capacità di prevedere le conseguenze delle decisioni prese e la capacità di realizzarle in modo efficace. L'instabilità permanente della realtà del mondo e degli atti umani, impedisce qualsiasi discorso a priori su di essi, mentre la loro comprensibilità li rende accessibili alla mente, anche se solo a posteriori, da cui la necessità di ricerche empiriche. Ma al contrario, l'instabilità del reale, è il fenomeno passibile di comprensione che può trovarsi alla portata della capacità deduttiva dell’intelletto umano. Questo aspetto impedisce di cadere sia nella presunzione del razionalismo, quanto nella sfiducia dello scetticismo a proposito della conoscenza del mondo. Inoltre il fatto che si possa percepire in modo ragionevole, che la fiducia nella razionalità del mondo è fondata, cioè che si è fiduciosamente certi che c’è sempre una ragione dietro i fatti esperiti, aiuta l'intellettuale a non cedere alla tentazione di abbandonare tutto durante il difficile momento di elaborazione che si svolge tra la sua mente e il non conosciuto. È possibile affermare che la contingenza del reale, coerentemente ordinato, è il fondamento della scienza, in quanto dispone la mente ad accettare i dati esperiti senza rinnegare la propria creatività, stabilendo così un’equilibrata compenetrazione con la realtà. Nel discorso ideologico lo spazio teorico è illimitato, nel discorso scientifico invece è ben delimitato. Infatti il procedimento scientifico restringe necessariamente l'accesso all'oggetto d'indagine. Nella ricerca storica questa restrizione si esprime nell'indagine dei documenti originali. Nell'analisi testuale, la restrizione si esprime come attenzione critica verso una o più parti del testo. Alla base di un testo vi è sovente una serie di libri e ciascuno di questi libri occupa nella comunità dei testi, la stessa posizione che il parlante occupa nella comunità linguistica. Quindi l'attività letteraria può essere paragonata ad un susseguirsi di approssimazioni, nei confronti di un assoluto che sfugge continuamente. Paragonando l'universo dei testi con l'idea di langue e le singole opere concrete con l'idea di parole, il sistema o langue non esiste solo nella coscienza dello scrittore e le singole strutture o parole sono invece atti concreti con cui l’autore cerca di realizzare il suo sistema personale, detto appunto langue. Quindi un testo va concepito come un sistema di trasformazioni e non come una somma o aggregato di strutture indipendenti le une dalle altre. La funzione del linguaggio è sicuramente quella di comunicare qualcosa, come un sentimento, un'emozione, un desiderio o un bisogno e così la letteratura ha la funzione della comunicazione. Essa deve innanzitutto essere analizzata e cioè se sia in prosa o in verso e a quale genere appartenga e se ha soli scopi pratici. La differenza consiste tra scritto e parlato ed entrambi comunicano sempre qualcosa. Che cosa comunichino viene stabilito alla conclusione del messaggio. Tali differenze sono da ricercarsi tra campi di applicazione della letteratura e generi stessi. I campi riguardano una disciplina o più discipline e materie in particolare e i generi. Il complesso dei testi è anche definibile con il termine di letteratura. Comunemente si intende per letteratura ciò che riguarda i sentimenti e le emozioni oppure lo sviluppo di problematiche in forma ricercata e attenta ad un'espressione elegante. La memoria, come la coscienza, può essere considerata a vari livelli e può influire su un certo numero di funzioni diverse. Affinché un’impressione sensoriale possa lasciare una traccia in grado di influenzare la coscienza, deve essere integrata con altre impressioni sensoriali e queste integrazioni devono essere ripetute nella mente un certo numero di volte. Tuttavia le tracce così formate sono instabili. Sono soggette ad alterazione da parte di tutti gli stimoli successivi ed è proprio questa alterazione che prende il nome di dimenticanza. Così la memoria si arricchisce di nuove esperienze, purché la dimenticanza elimini solo gli elementi superflui del passato e comunque quegli elementi la cui ritenzione potrebbe rendere più gravoso il lavoro dei nuovi enunciati. Questo è il processo attraverso il quale la cronaca e la storia del passato si trasformano in mito o leggenda, a mano a mano che la memoria registra nuovi fatti e nuovi avvenimenti. Gli storici devono stabilire non soltanto ciò che fu detto, ma anche che cosa si intendeva dire e la memoria è articolata come una funzione del passato del verbo. Essa opera tramite un'applicazione dei tempi passati nei confronti della scelta del materiale storico raccolto. Alcuni studiosi ritengono che la vera condizione della realtà del mondo sia una condizione di processi termodinamici che tendono all'equilibrio e quindi all'inerzia. Al di là della cessazione del flusso di energia e del moto delle particelle, non può esistere il tempo. In conseguenza di ciò è possibile dimostrare che il tempo futuro è finito, che l'entropia raggiunge un massimo nel quale il futuro finisce ed allora il tempo presente ha una larghissima estensione se non sia addirittura il tutto stesso, un lunghissimo e larghissimo presente e allora la storia è un semplice accadere di fatti. Il linguaggio è lo strumento principale della capacità dell'essere umano di comprendere il mondo com'è. Senza questa capacità, senza un'ininterrotta generazione di altri mondi da parte della mente, l'umanità resterebbe per sempre nel presente ed è chiaro che il linguaggio crea i concetti di passato, presente e futuro. Un sistema di segni espressivi come quello della lingua presuppone un notevole sviluppo intellettuale e questo a sua volta non sembra possibile senza l'uso del linguaggio. La storia delle scritture può aiutare a capirne l'origine. Essa dimostra che il valore convenzionale dei segni è il risultato di una lenta evoluzione. Si ritiene che all'origine l'elemento direttamente espressivo del linguaggio umano, nell'aspetto di suoni indistinti, di suoni che scaturivano dal corpo in modo del tutto naturale e semplice, doveva essere predominante, al punto che i diversi fonemi possono essere solo il risultato di un'evoluzione successiva e l'evoluzione fonetica e fonologica è continua, un divenire che ha radici lontane, dall'inarticolato all'articolato. Alcune specie animali dedicano molto tempo alla reciproca pulizia, un'attività che aumenta la coesione del gruppo. Per gli esseri umani, tale attività sarebbe troppo faticosa e dispendiosa. Il linguaggio sembrerebbe nato per colmare questa lacuna, permettendo di avere più tempo libero per le relazioni sociali, per scambiare informazioni socialmente rilevanti, creare rituali, trasmettere la cultura. Il sistema comunicativo del linguaggio è caratterizzato da una evoluzione senza limiti, che ha sviluppato anche concetti astratti e la trasmissione orale e scritta del pensiero. Assegnare o cambiare un nome è un segno di sovranità come fa il sapiente che con un'attività propriamente enciclopedica, assegna un nome a tutte le cose e infatti l'enciclopedia nasce come una raccolta di nomi per chiamare le cose, in cui l'essere umano dimostra così la sua capacità di controllo della natura e quindi la realizzazione di una politica del pensiero rivolta al mondo. Le lingue sono il simbolo specifico della natura particolare di una civiltà e ogni lingua è propria a uno specifico luogo geografico, storico e culturale. Il flusso intenzionale di un discorso, è la comunicazione di un'esperienza che assume coscienza soltanto nell’atto linguistico. Anche la più completa delle lingue contiene una piccola parte di incompletezza e nessuna lingua per primitiva che sia, manca di attualizzare i bisogni di una comunità. La visione linguistica del mondo, da parte di una determinata comunità plasma e dà vita ad un determinato tipo di comportamento psicologico. È il linguaggio a decidere come vanno letti e collegati all'interno dell'esistenza, i diversi raggruppamenti concettuali. In ogni istante della vita, si formula e comprende una massa di frasi diverse da quelle sentite in precedenza. Queste capacità indicano che devono essere in azione dei processi fondamentali indipendenti dalla relazione con l'ambiente circostante. Si tratta di processi innati in tutti gli esseri umani. È stato già detto che il discorso e l'articolazione linguistica umana sono fondamentalmente creativi. I ritmi del discorso scandiscono la sensazione di flusso temporale e possono avere relazioni di contemporaneità con altri ritmi biologici interiori. Il verso palesemente metrico e anche la prosa più libera, contengono elementi di scansione temporale. Amplificano o interferiscono con la frequenza dominante del linguaggio nel tempo e attraverso il tempo. I segmenti verbali hanno un ruolo cronometrico ancor più significativo nei fenomeni interiori. Lo scorrimento ininterrotto del linguaggio che passa attraverso la mente, contribuisce in larga misura alla precisazione del tempo interiore. La sequenza dei segnali verbali o delle immagini scandisce il tempo. Ciò nonostante queste sono le forme deboli della coordinazione del linguaggio con il tempo. Altri elementi fanno altrettanto o più, per strutturare o alterare la nostra coscienza temporale. La mente ha tante cronometrie, a seconda degli stati d'animo e durante tali stati di distorsione temporale, le operazioni linguistiche possono o non possono esibire un ritmo normale. Il rapporto tra tempo e linguaggio è grammaticale ed è difficile stabilire se sia il linguaggio a generare le diverse architetture temporali o se una determinata grammatica si limiti a riflettere e a codificare uno schema temporale elaborato al di fuori del linguaggio. Il significato dei dati del passato, va posto in relazione al presente e tale relazione si realizza a livello linguistico. Tutti gli elementi fonetici al di sopra del livello dei morfemi, le più piccole unità fondamentali dal punto di vista grammaticale e linguistico della lingua, possono diventare veicoli di significati. Poiché ogni forma verbale e ogni codice simbolico è aperto a fatti contingenti come le esperienze, i significati sono influenzati da fattori individuali, storici e culturali. Il linguaggio indica aree di conoscenza, di contesto e di riconoscimento, che forse sono già posseduti, ma si possono anche acquisire. Bisogna conoscere molto bene un vocabolario e un gruppo di regole grammaticali, perché il messaggio possa essere trasmesso o ricevuto in maniera adeguata. Al di sotto del corpo lessicale convenzionale, poiché il dizionario è un assortimento di usi comuni, le parole dette assumono un significato specifico. Qui la conoscenza può non essere perfetta, in quanto si realizza un carattere universale e reale soltanto se il rapporto tra le parole e il mondo è in un rapporto di corrispondenza senza ambiguità. La naturale scarsa precisione del linguaggio si rivela necessaria per le funzioni creative della parola, poiché una sintassi rigida e una semantica circoscritta, genererebbero una realtà chiusa. La lingua seleziona, combina e contraddice alcuni elementi dal potenziale complessivo dei dati della conoscenza, perpetuando le differenze di visioni del mondo. Ma nella scrittura occorre esattezza e cioè un disegno dell'espressione linguistica, ben definito e ben calcolato, con un linguaggio il più preciso possibile per quanto riguarda il lessico, come resa delle sfumature del pensiero e dell'immaginazione. Vi è un reticolo che unisce ogni cosa e la conoscenza del mondo si dilata fino a farlo diventare senza limiti e non immaginabile. Anche se il disegno generale di un tutto è stato minuziosamente elaborato, ciò che si nota è la pluralità del linguaggio, la connessione con la realtà di un testo unitario che si svolge come discorso di una voce singola e che si rivela interpretabile su vari livelli. Un testo plurimo che sostituisce alla unicità di un io pensante, una molteplicità di soggetti, di voci. C'è l'opera che tenta di contenere tutto e non riesce a darsi una forma conchiusa, restando incompiuta, così come c'è un'opera che in letteratura corrisponde a quello che in filosofia è un pensiero non sistematico. Questa opera reticolare non si allontana dal suo autore, perché ogni esistenza è un campionario di stili, è una biblioteca o un'enciclopedia. La preoccupazione principale che percorse tutta l’etica greca, fu la ricerca del sommo bene che assicurerebbe la felicità dell’essere umano nella sua esistenza. A questi tentativi regolatori dell’etica si contrappose il positivismo che non credeva che questa etica potesse stabilire delle norme. L’etica affronta il problema della possibilità di definire e di giustificare certe regole in quanto norme vincolanti. L'etica che corrisponde meglio ad una corretta politica del pensiero è quella fenomenologica che si astiene da affermazioni affrettate e non comprensive di tutte le diversità della riflessione. Un'altra condotta altrettanto positiva e che prescrive norme, si deve considerare l’empiria o esperienza che ha due fasi principali. La prima riguarda la percezione di impressioni con le quali ci si rapporta e da cui traiamo il contenuto delle conoscenze. La seconda è che queste impressioni percepite, a volte presentano qualcosa di uguale o di simile per cui dal loro ripetersi si possono desumere delle leggi che governano il campo dell’esperienza. Il desumere certe leggi da una molteplicità di casi identici o simili, viene designato come induzione. Caratteristica essenziale di questo metodo è che i principi dedotti in questo modo dall’esperienza non possono pretendere un’assoluta e universale validità. Così vi è solo una certa probabilità e non una certezza assoluta che in altri casi del genere che si incontreranno, le cose staranno allo stesso modo. Ciò vuol dire che in via di principio per le leggi desunte induttivamente, sono sempre possibili delle eccezioni. Nella sua applicazione all’etica il metodo empirico si basa sull'idea che solo l’esperienza può istruirci circa i fatti e i fondamenti dell'etica. Inoltre il metodo empirico è in stretta relazione con la concezione positivistica sono. L’etica deve soltanto accertare i fatti relativi alla sfera della moralità e spiegarli, ma l'esperienza ci presenta innanzitutto i fatti, poi i nessi causali rilevanti, i quali forniscono la base per la loro spiegazione. In opposizione all'induzione, il metodo razionale usa la deduzione. Una caratteristica dell'etica deduttiva è la sua capacità di poter raggiungere conoscenze aventi una validità rigorosa, ossia principi che a differenza di quelli ottenuti col metodo empirico e induttivo, non ammettono eccezioni. I campi tradizionali di tale metodo sono la logica e la matematica. I filosofi greci avevano un'alta considerazione della filosofia in quanto sapere, infatti la parola greca sophia significa sapienza e veniva anche usata nel senso di scienza, un valore positivo che compendia capacità e competenze umane nei campi più vari e a diversi livelli, nonché il loro accumulo. Chi poi studiava filosofia, acquisiva sapere per possederlo, cioè aveva accesso al sapere. Alla parola sophia si poneva molta attenzione ed importanza, per cui la philo sophia era l'amore per la sapienza ed il philo sophos colui che amava la sapienza. C'è un'altra considerazione da fare circa il pensiero degli antichi intellettuali greci. Essi avevano una grande considerazione nei confronti di parole quali synesis o intelligenza, con una prevalenza di significato di buon senso. Per Erodoto synesis indicava una persona intelligente, dotata di comune buon senso. Per Tucidide era un'intelligenza nel decidere, chiaroveggenza, in un contesto politico ed inoltre aveva anche un significato speciale riferibile sia a singoli individui, sia ad un complesso di cittadini. Si tratta soprattutto di intelligenza nel decidere, di chiaroveggenza in un contesto politico. Parole come kratos il potere e tyche la fortuna, il caso, vengono considerate in stretta relazione con la phronesis. Secondo Democrito, la synesis è un valore positivo e complementare all'episteme, la scienza e chi le possiede entrambe, è portato ad operare rettamente e a pensare con decisione. In sostanza si tratta di tre norme a carattere etico e politico incentrate sulla phronesis, sull'attività del pensiero lungimirante o prudente. Gli Spartani ritenevano che negli Ateniesi si potesse intravedere, in seguito alle loro vittorie, i tre aspetti di potere, fortuna ed intelligenza politica, dove la fortuna però è tale solo se si accompagna ad un saggio uso di essa e l'intelligenza consiste nel saper usare la fortuna in modo moderato. Circa la fortuna od il caso, Platone non era consenziente ad accostarlo all'episteme e quindi alla saggezza, la phronesis che si avvale dell'episteme, quindi del sapere scientifico. Per quanto riguardava kratos il potere, si poteva salvaguardare con le leggi e la giustizia, perché fin dall'antichità i filosofi hanno paragonato la città all'individuo umano e leggi e giustizia, con la temperanza si accompagnano all'essere umano sapiente, all'essere umano saggio. Essa era considerata come un assembramento o comunità, in cui la virtù ha il primato e l'eccellenza etica diventa una eccellenza cognitiva. La virtù necessita di essere fondata sul sapere e riguarda le cose ben fatte. Essa è una competenza propriamente politica. Deve avere una forma di eccellenza e dunque essere fondata sul sapere, perché il sapere politico è il presupposto dell'eccellenza politica, la scienza che rende felici gli uomini rendendoli sapienti. La competenza politica è definita come sapere, perché presuppone il sapere. Colui che esercita l'arte politica, deve sapere utilizzare e dirigere tutte le opere nella comunità ed è possibile comparare la giustizia che l'individuo esercita alla giustizia praticata nella comunità ed essere umano e città sono due enti identici di diversa grandezza. Ciò che è vero per l'essere umano in materia di bene, di giustizia e di verità lo è per la città, che riunisce gli esseri umani in una stessa comunità e l'eccellenza politica è l'eccellenza della città e questa è l'eccellenza del pensiero. La specie più eccellente del pensiero, il sapere dialettico, dà agli uomini politici la conoscenza e la capacità di governare la comunità. Con ciò ci si deve aspettare dalla politica l'esercizio più accorto del pensiero, la conoscenza vera. Tutto ciò, l'eccellenza, la virtù, il sapere, la politica, l'arte considerata come la virtù nel fare, sono benessere per gli uomini, quindi benessere per la comunità. Come già detto, la politica esige come condizione del suo giusto esercizio, la conoscenza. Inoltre, la comunità è basata su funzioni chiamate giustizia. In essa convengono tutte le virtù. Ciò che deve presiedere alla convenienza o alle funzioni comuni, resta sempre il principio della salvaguardia e dell'equilibrio dell'insieme. L’individuo che si avvale della dialettica possiede la competenza d'insieme di tutte le cose, la totalità delle attività della comunità. Tale competenza permette a questo individuo di governare, perché conosce la relazione tra gli insegnamenti, cioè la loro specificità e la loro possibile subordinazione, che ritiene più adatta e adattabile. La città nel suo insieme era considerata come un quadro sulla quale i fondatori disegnano un progetto, imitandone il modello ordinato del cosmo e l'esercizio della politica prendeva l'aspetto della psicagogia democratica e della legislazione e il politico poteva intervenire solo come psicagogo dei cittadini. Il sapere politico non era la somma dei saperi particolari, ma la conoscenza della convenienza dell'uso di tali saperi. Unico tentativo della politica come scienza, era mettere in ordine dei saperi in vista del fine unico, cioè la deliberazione. Così la politica trae la sua omogeneità dalla capacità a istituire delle relazioni tra i saperi che riunisce, trasformandosi in una scienza sintetica o combinatoria e le sue virtù necessarie sono la temperanza, la saggezza e la giustizia. Quest'ultima con la giurisprudenza si sforza di arrivare alla perfezione etica. La legge tenta di dare all'instabilità degli affari umani, una regolarità. Lo scopo conferito alla riflessione politica, alla concezione della costituzione del governo della città, è di fare accedere tutti i cittadini alla virtù etica nella sua interezza e alla felicità. 2 Il nostro tempo. È necessaria una riflessione approfondita sul significato di cultura, nella prospettiva di nuove e diverse acquisizioni conoscitive e dottrinarie. Analogamente, occorre una riflessione su ciò che è passato e su ciò che deve realizzarsi di nuovo, nei nostri tempi che apparentemente hanno perso l'orientamento, dove tutto è da ricostruire con il sostegno del sapere intero. Questo ragionamento comincia con il considerare un intellettuale tra i più politici della letteratura italiana, Pier Paolo Pasolini. La parola politica si deve intendere, non come un programma teorico specifico, ma come una presa di coscienza della letteratura che accantoni il divertissement della scrittura romanzesca. Pasolini esprime questo atteggiamento letterario fortemente politico, soprattutto negli scritti detti corsari, discorsi fuggitivi, contestatori dell'attualità e sostenitori anche di ciò che non è attuale. In questi scritti vi è la necessità di comprendere la realtà in maniera completa, aggiungendo conoscenze alla conoscenza empirica, raccogliendo dati su dati e dando inizio ad una prassi e una conoscenza che sia una coscienza del reale, simile ad una mappa geografica che avvolga il mondo intero e coincidente con esso, mentre l'osservazione storica di essa, richiede la figura di un intellettuale saggio. Come nei tempi arcaici, è necessario il ritorno all'uso di una parola epica, uguale per tutti, non solamente che comprenda, sia nel senso del contenere che dell'interpretare la realtà, ma che possa contenere le divergenze della realtà e allo stesso tempo che sia una parola astratta dalla realtà, equidistante dal mondo reale, come se appartenesse ad una realtà fantastica, riflettendo sulle finalità della cultura, stabilendo un linguaggio definito ed omogeneo, in grado di poter comunicare nuovi saperi e quale tipo di intellettuale debba avere tali saperi e se esso sia da collocare dentro ad un nuovo scenario, non ancora disegnato. Infine collocare questo nuovo intellettuale, sulla linea di contrasto nella polemica che vi fu tra Pasolini ed il gruppo letterario formatosi a Palermo nel 1963, le cui teorie si contrapponevano alla sua voglia di conoscenza razionale e ad una ricerca linguistica che voleva cambiare il rapporto con la realtà, quando le lingue e le parole non erano legate alla realtà. Pasolini ha un atteggiamento di rottura riguardo alle strutture estetiche e dei generi ed è rivolto piuttosto alla ricerca di un rapporto continuo tra interiorità con la scelta esterna e di una nuova efficacia della parola poetica al di fuori della sfera intimistica. Questo procedere che nega un'autonomia formale all'arte, si fa portatore anche di punti di vista diversi. La poetica del Gruppo '63, non è da lui condivisa, perché tendente ad accettare la spinta all’omologazione. Ritiene che il letterato, in generale debba adeguare la propria soggettività e il linguaggio, per descrivere in maniera semplice il mondo e quindi non ha più una poetica propria. Ciò non coinvolge una poetica in particolare, ma quella generale, la possibilità stessa di vedere affidata a una certa soluzione stilistica il senso della propria attività letteraria e riteneva che se una strada potrà aprirsi di nuovo per la scrittura, sarà una strada fuori dalla sfera dell’immaginazione creativa e quindi puramente astratta. L'intellettuale odierno deve affrontare insieme alla crisi delle ideologie, la crisi delle poetiche, con la conseguente impossibilità di assumere come unica, uno stile o una scrittura rispetto all’altra, cosa che non accadde agli scrittori del Gruppo '63, secondo i quali la letteratura si apre verso la pluralità delle scritture. Oggi un'opera deve essere originale, attraverso la violazione delle regole formali precedenti, destinate da lì a poco a diventare parte delle norme future, che richiamano a loro volta nuove violazioni e così l’intellettuale deve essere necessariamente originale. Presenterà una sorta di sincretismo positivo, una compresenza di scritture eterogenee e nessuna sarà quella definitivamente scelta. Solo l'ulteriore passo verso la parola epica e saggia, spingerà ad uno stile sintetico ed unico, quindi non la posizione del Gruppo, ma invece più simile a quella di Pasolini. In tutte le situazioni storiche e culturali, niente si cancella, ma tutto si stratifica, tanto da trovare l'antico fin nel moderno. La possibilità d'uso contemporaneo di una pluralità di codici, appare come il non superamento della storia. Questa compresenza di antico e di moderno, ha un ruolo importante. Pasolini ha un'idea della scrittura letteraria, legata al concetto di prassi. Concepita come prassi e non come descrizione, ha a che fare con l'efficacia. Essa necessita di raggiungere un certo effetto sulla comunità, in cui viene idealizzata in un certo senso una funzione tribunizia allo scrittore, che parla per raggiungere degli effetti sul suo pubblico, per convincerlo nelle azioni giuste. Scrivere diventa agire nel mondo e anche la poesia è intesa come azione. Quando l'ideologia che motiva lo scrivere viene messa in discussione, entra in crisi e al letterato non resta che allargare la propria sfera intellettuale, fino ad accogliere idee eterogenee, fino a contenere tutto il linguaggio anche con le sue impurità, giungendo alla finalità pratica della scrittura. I versi si sottraggono allo stile, si piegano ad una finalità pratica e non estetica, ad un bisogno di dire e rispetto ad esso, Pasolini sta contemporaneamente dentro e fuori l'istituzione letteraria. La parola diretta non consiste solo nel rifiuto dell'elaborazione stilistica, non consiste nello scrivere per difendersi ed accusare, ma consiste anche nel lasciare l'oggetto letterario allo stato solo potenziale. La parola diretta non va dunque intesa come scrittura di contenuto. È la parola dell'autore che pur costruendo un mondo poetico, non diventa mai la parola poetica, utilizzabile esteticamente. Le critiche di Pasolini al Gruppo '63 e alla neoavanguardia contenevano una avversione al concetto di divertissement accademico ed istituzionalizzato della letteratura a cui essi rimanevano legati. La preoccupazione dell'ultimo Pasolini, fu tentare di oltrepassare la sfera di una letteratura completamente chiusa nel suo mondo separato, fine a se stessa ed invece rilanciare l'arte della parola oltre il suo ambito istituzionale, verso ciò che sta fuori da quel gioco che era diventata la letteratura. Pasolini accomuna poesia e storia, cioè la condizione poetica e la condizione politica della trasformazione della realtà. La spinta rappresentativa rimane nel rapporto immediato, di poesia e storia, tra una condizione poetica come naturale ed innocente e il movimento storico che tende a snaturarla. Pasolini si mostra più lontano dall'incontro con la storia e la realtà e accorda un privilegio al sapere della poesia ed in questo atto conferisce uno stato di conoscenza e di epistemologia della realtà . Il neorealismo fu una corrente letteraria che intendeva indagare gli atteggiamenti e le relazioni tra le persone. A differenza dei movimenti letterari precedenti, il neorealismo aveva un contatto diretto e immediato con la società, della quale cercava di descriverne semplicemente le contraddizioni. Era la necessità di descrivere la vita reale. Pasolini era l'esponente più rappresentativo della poesia neorealistica, che all’impegno civile di ispirazione marxista e gramsciana, aggiunse una sorta di sperimentalismo che si realizzò soprattutto in campo linguistico. In letteratura sopravvive l'idea che rispetto alla scelta di trasformazione della società, debba affiancarsi l'aspetto visionario della poesia, di un modello di coscienza indefinita e che si debba sovrapporre un'idea di cultura universale. La necessità di integrazione di poesia, filosofia, storiografia, scienza e altre discipline, è l'oggetto di una analisi teorica che solo per questo potrebbe definirsi marxista. L'aspetto positivo del marxismo è innanzitutto nella funzione critica, nella formazione di un pensiero problematico e della prassi politica legata alla conoscenza della società e in un impegno di riforma intellettuale ed etica. Una cultura critica, che nasce dal confronto del sapere. Occorre quindi, una funzione intellettuale che rappresenti il linguaggio della ragione e non la ragione del linguaggio. Nell'attuale confusione linguistica, della quale non si può comunque non riconoscere l'importanza di ciascuna posizione, c’è una letteratura della phronesis, della saggezza, del sapere pratico, che va realizzata e l'evoluzione del letterato si svolge da un impegno sociale quale quello che troviamo nella letteratura neorealista, alla ricerca di una parola unica, come quella epica, che dirima la realtà, perché vi è il tentativo di allontanare il disordine del reale, per creare nella parola epica il benessere reale. Attraverso ciò vi è la necessità di porre l'attenzione ad un pensiero problematico, inteso come problematiche unite allo studio del linguaggio, che dal suo immediato reale andrebbe a coincidere con la crisi delle certezze concettuali. Ma anche il linguaggio stesso è il frutto di una confusione dovuta a diverse stratificazioni, per cause contingenti alla sfera della realtà umana. Tutto questo ha creato nuovi problemi e l'averne consapevolezza obbliga ad un ritorno e ad una nuova considerazione della filosofia come pensiero problematico, non circoscrivibile esclusivamente alle realtà definite, ma collegata a tutta la realtà considerata nella sua interezza. 3 Differenze letterarie. Il Gruppo '63 così chiamato perché formatosi nel 1963, costituito da un gruppo di letterati, voleva contrastare la tendenza disimpegnata e intimista che si stava affermando nella cultura italiana. Questo riflusso culturale, aveva determinato anche la fine dell’esperienza del movimento neorealista. Alla vitalità del neorealismo si stava sostituendo una certa disillusione sulle reali possibilità di cambiamento sociale. Il neorealismo stava perdendo la sua carica vitale. Un gruppo di intellettuali desiderava reagire e cercava di unirsi su punti comuni. Tuttavia nel gruppo del ’63 si espressero subito due opposte tendenze. Da una parte c'era chi proponeva un intellettuale disimpegnato nei confronti delle ideologie e dei movimenti culturali e politici, un intellettuale privo di ideologia e senza tempo. Dall’altra c'era chi riproponeva un legame con le ideologie di ispirazione marxista, anche se in maniera più indipendente. La contrapposizione nel rapporto tra Pasolini e i letterati suoi contemporanei del Gruppo '63, era da ricercarsi nella poetica di questi ultimi, che attribuivano al linguaggio una funzione sovvertitrice nei confronti del razionale e del reale. Pasolini non condivideva ciò e per trovare alcuni riscontri è sufficiente partire dall'analisi dei titoli dati ad alcune delle sue ultime opere, attraverso i quali si può stabilire che il suo pensiero ha origine e si sviluppa, nell'ambito di una razionalità antecedente al raziocinio di un pensiero filosofico e problematico. Egli si trovava come da uno dei lati di una superficie a due facce, di cui l'altro lato era occupato dal Gruppo, che ricercava nella forma linguistica l'illuminazione conoscitiva, mentre Pasolini ricercava ciò nel contenuto sollevato dalla realtà problematica connessa all'esistenza, ciò che lo farà risultare attuale e profondo. Quelli del Gruppo ’63 erano affascinati dalle nuove discipline che si andavano affermando, come la psicoanalisi e la sociologia, ma non riuscirono a dare una spinta sostanziale e decisa verso la conoscenza. Pasolini pur non abbandonando lo studio del linguaggio in senso formale, attribuì ad esso una via alla conoscenza, contrariamente al Gruppo che lo considerava una via per la conoscenza, come veicolo ed involucro formale fondamentale, ma non il suo contenuto stesso. La poetica del Gruppo conteneva il contributo letterario, per un'estetica puramente formale, una poesia rivestita con un linguaggio impreziosito oppure una narrativa di introspezione psicologica e psicanalitica, dove fa da sfondo il linguaggio. Pasolini invece cercava di dare risposte urgenti ai problemi della civiltà a lui contemporanea e per farlo, si accostava forse consapevole o forse no, al linguaggio filosofico inteso come approfondimento della conoscenza in senso problematico e ad un linguaggio pungente, perché la provocazione crea il problema per arrivare poi alla sua soluzione, ponendo l'individuo di fronte ad un'entità dai contorni precisi nell'intera questione. La lotta che è scaturita tra i due opposti, il Gruppo '63 e Pasolini, ha quindi determinato il successivo tipo di sapere generale e la coscienza letteraria. Sconfitto Pasolini, si è indebolita la ricerca approfondita. La ricerca del sapere, è diventata un affare accademico. Il sapere di Pasolini era essenziale, era una ricerca conoscitiva. Da ciò comprendiamo il suo interrogarsi negli ultimi libri, nel fare partecipi altri dei suoi dubbi, comunicare attraverso il libro, perché raggiungesse altri immediatamente o nel tempo, con cui poter avere dei confronti o ricercassero essi stessi delle soluzioni. Sono due le correnti opposte che si contendono il campo della letteratura, attraverso i secoli. Una tende a fare del linguaggio un elemento senza peso, che sovrasta le cose. L'altra tende a comunicare al linguaggio il peso e la concretezza delle cose. Gli esponenti del Gruppo tentarono di mettere in evidenza la mancata comunicabilità delle parole, in una società ridotta ad un ammasso di parole che avevano perso il loro senso. Per questo motivo si impegnarono in un’opera di dissolvimento del linguaggio poetico tradizionale, nell’attesa di una rifondazione etica ed ideologica della società, capace di promuovere l’avvento di un nuovo e più autentico linguaggio. Uno dei problemi principali della neoavanguardia fu quello della rivalutazione del linguaggio in antitesi al neorealismo che non aveva avuto una particolare sensibilità per i problemi della lingua. Il considerare illimitata la ricchezza della realtà ha reso la sua indagine una necessità sempre più pressante. Il linguaggio avrebbe dovuto impedire che aumentasse il divario già esistente tra letteratura e realtà e per meglio raggiungere questo obiettivo, fu necessario optare per un linguaggio di livello basso e mutevole come quello quotidiano. Negli anni successivi, si affermò un nuovo gruppo di poeti, il Gruppo 93, che richiamava il Gruppo 63. Tale Gruppo, al contrario del precedente si era dato nome di 93, perché si era sciolto nel 1993 e la sua costituzione si legava al dibattito sulla fine dell’avanguardia e l’esaurimento della logica degli schieramenti in un contesto capace di dirimere le contraddizioni. Il Gruppo '63 rifiutava di esprimere qualsiasi idea del mondo e di darne una definizione. Di esso esprimeva molte opinioni, tra loro assai contraddittorie, non pretendendo di suggerire un modo di intendere il mondo, ma anzi la consapevolezza dell’inesistenza di un tale modo, una inesistenza oggettiva e l’incapacità di poterlo sintetizzare nella storia. Essa prefigurava il mondo come un centro di disordine, in cui è impossibile lo scambio dialettico e l’impossibilità della storia. Al posto della storia sarebbe subentrato uno spazio in cui tutto ciò che accade è senza senso ed in ciò è racchiusa la vita degli esseri umani, costringendoli all’inattività. Viene decretata la morte delle ideologie, rifiutandole come piani di conoscenza. Il Gruppo 63 contestava le ideologie come interpretazioni esaurienti del mondo e riteneva che al contrario, offrissero una visione falsa della realtà. Da ciò derivava una revisione del linguaggio, la sua destrutturazione sintattica e semantica. Di seguito a questo gruppo intellettuale si è affermato un nuovo movimento letterario e di pensiero. Questo movimento ha preso il nome di postmodernismo e ha avuto origine dal dibattito sulla affermazione di Pasolini a proposito di una mutazione antropologia nel cambiamento di comportamenti in seguito all'affermarsi del consumo di massa dei beni materiali. Pasolini, che aveva previsto la mutazione antropologica, insisteva sul rimpianto di un mondo arcaico, di valori popolari andato perduto. Tale dibattito vede contrapposti due gruppi, gli apocalittici, cioè quelli che si oppongono al mondo della tecnologia e quelli integrati, cioè quelli più aperti verso i poteri emancipati, a cui si prestavano un po' tutti gli intellettuali di qualsiasi provenienza ideologica. Secondo alcuni è proprio la comunicazione generalizzata introdotta con l'informatizzazione della società, a generare ed a diffondere una molteplicità esplosiva di messaggi che sono veri non perché fondati da un mega racconto, ma in quanto condivisi da una comunità interpretativa multipla. Questa verità è la sostanza di cui è fatto il post moderno in quanto possibile alternativa pluralistica al crollo delle ideologie unificanti, Come possibilità di fare esperienza di una verità molteplice e non riducibile ad un unico principio fondativo. C'è inoltre da considerare un altro genere di intellettuale, Italo Calvino il quale introduce nella sua scrittura metafore cognitive che hanno come punto di riferimento il campo semantico, la vista, lo sguardo, l'occhio e quello della configurazione spaziale, cioè il labirinto, la rete, la mappa, la geografia. La relazione fra il testo e la sfera fuori dal testo viene descritta come una relazione di contrapposizione e di rielaborazione dialettica, quella concezione della letteratura con tensione conoscitiva a sfondo etico. Il testo ordina e struttura la realtà fuori dal testo, definita come disordine, caos, groviglio, oscuro, inconscio. La relazione tra testo e mondo è una relazione di sfida cognitiva che si rinnova in continuazione, una incessante operazione di spiegazione e delucidazioni. Questa tensione conoscitiva si inserisce in una conoscemza esclusivamente dei tempi moderni. La concezione della letteratura come utopia conoscitiva è un punto fermo di Calvino. Tale concezione conoscitiva della letteratura, risulta legata ad un'idea della narratività come costante antropologica di cui i generi popolari vengono considerati come esempi tipici per nutrire le riflessioni di Calvino sulla narrazione. Non c'è da parte sua soltanto lo studio delle fiabe in senso stretto, ma anche l'interesse per quella vasta gamma di racconti tradizionali, leggende, che nel corso dei secoli sono stati sottoposti a innumerevoli riscritture. È da questa concezione della tradizione letteraria come combinatoria di temi, motivi, situazioni e personaggi costantemente rielaborati secondo schemi sempre diversi, che si fornisce l'idea di una narrazione consapevole che combinata tramite le variazioni della scrittura e le visioni oltre la letteratura. 4 Il linguaggio a sostegno del sapere. La funzione dell’università è quella di trasmettere il sapere e organizzare la ricerca, quindi aumentare le conoscenze. Il mancato raggiungimento di questi obiettivi impedisce il diffondersi del sapere capace di creare un dinamismo, aperto a varie problematiche, diventando un ostacolo al sapere e alla ricerca stessi. Quando manca ciò, non vi è nascita dell'esperienza e soddisfazione alla necessità di apprendimento, ma semplice riproduzione dottrinaria. Tra gli intellettuali universitari, quelli più esposti sono quelli che ricercano nel campo umanistico. Essi sono organici, ma al servizio di un’attività accademica pur sempre formale. La riflessione sull'università, induce contemporaneamente ad un'altra riflessione sull’importanza sociale dello studio, quando non sia semplice riproduzione dottrinaria. Ci si attende che l’università sia un luogo dove si produce cultura e dove si apprendono nuove informazioni, nuovi tentativi di composizioni nella sintassi delle idee, nuovi testi ideologici, che sono gli obiettivi dell'intellettuale, la sua attività primaria, cioè quella di raccogliere e organizzare le idee che provengono anche dai luoghi più lontani e nascosti del mondo, con una conseguente apertura al sapere senza confini, rappresentato pur sempre dall'università. Mentre una parte della cultura prospera nei circoli universitari accademici, anche al di fuori di essi prospera un sapere legato alle vicende umane ed esso si propaga attraverso le relazioni umane. Se per esempio si considera il linguaggio, esso è soggetto ad un mutamento continuo, poiché si modifica nel tempo. Tempo e linguaggio sono fortemente legati. Il linguaggio interiore ha una sua storia intrecciata, sia per quantità che per contenuto dei significati. Ciò che viene detto interiormente e ciò che viene comunicato all'esterno non è mai lo stesso nelle diverse culture o nelle varie fasi dell'evoluzione linguistica. Ogni atto linguistico ha una determinazione temporale e nessuna forma semantica è atemporale. Quando si usa una parola, si entra in contatto con tutta la sua storia precedente. Quando interpretiamo un testo nel modo più comprensivo possibile, si ha un processo di ripetizione originale. Leggendo un'espressione linguistica del passato, occorre operare una codificazione e decodificazione e comunque viene compiuto un atto di traduzione anche di fronte ad un messaggio verbale enunciato da qualsiasi altro essere umano. È possibile osservare un impulso centrifugo nel linguaggio, poiché le lingue che si estendono su un vasto territorio generano dialetti e regionalismi. Inoltre alcune parole hanno caratteri polisemici e cioè la possibilità da parte di una parola di indicare cose diverse, dove tale differenza va dalla sfumatura di significato fino alla sua antitesi. Il linguaggio di una comunità, la più uniforme possibile dal punto di vista umano e sociale, è un aggregato inesauribile di molteplici atomi verbali e di significati personali. Il fattore privato presente nel linguaggio rende possibile una funzione linguistica variegata, ma essenziale anche se poco cosciente ed il discorso esterno implica un corrispondente flusso di pensiero interiore. Ritornando alla questione tra università ed intellettuali, non è possibile, come già accennato, considerare il sapere umanistico solamente un prodotto delle accademie universitarie, uno spazio circoscritto, delimitato e non aperto e quindi occorre riflettere sul ruolo dell'intellettuale, sull'università e sul sapere, tre tipologie distinte nel significato, ma unite negli scopi. Per quanto riguarda il sapere innanzitutto, esso è necessario all'umanità in ogni campo ed in concreto vi sono diversi tipi di sapere. Nell'idea astratta il sapere per lo più è inteso come sapere propriamente umanistico. Esistono dei luoghi dove si accresce il sapere e l'università è uno di questi ed esistono esseri umani che partecipano a questo sapere e contribuiscono ad accrescerlo, sono gli intellettuali. Il sapere umanistico non ha necessariamente bisogno di strumenti sofisticati per accrescersi anzi, sovente fiorisce al di fuori delle università e perciò non si può ritenere il sapere come un fatto prevedibile. Esso è sempre in progresso, quando acquisisce nuove informazioni, da qualunque disciplina o scienza esse vengano ed è importante e necessario che queste informazioni devono essere messe a disposizione di chiunque e propagate verso chiunque. Accanto all'intellettuale, esiste un'altra figura di intellettuale che riceve, indirizza e poi propaga. Questa è più propriamente la funzione dell'intellettuale non accademico. Egli detiene un sapere, perché ha acquisito molte informazioni, al contrario degli intellettuali accademici, che confidano per lo più in un sapere specialistico. Il sapere è la necessità di una risoluzione dei problemi ed è una acquisizione di informazioni. Vi sono alcuni ragionamenti per dimostrare la verità. Il matematico Kurt Godel, affermava che in ogni teoria è possibile formulare proposizioni che all’interno della teoria non possono essere dimostrate, né contraddette. Ciò significa che vi sono proposizioni vere, che sono indimostrabili. Le proposizioni vere di tale teoria possono essere dimostrate con una teoria più ampia, ma anche in quest’ultima vi sono proposizioni che non si possono dimostrare, né contraddire e cioè se un dato sistema formale è consistente, allora è possibile costruire una conseguente formula sintatticamente corretta, ma indimostrabile in tale sistema. Per cui se un sistema formale è logicamente coerente, la sua non contraddittorietà non può essere dimostrata stando all'interno del sistema logico stesso. Godel dimostrò che la coerenza di un sistema è tale proprio perché non può essere dimostrata. Oltretutto, egli spiegava, la presenza di un enunciato che affermi di essere indimostrabile all’interno di un sistema formale, significa appunto che esso è vero, dato che non può essere effettivamente dimostrato. La statistica è la scienza che ha come fine lo studio quantitativo e qualitativo di un collettivo. La scienza che tenta di avvicinarsi di più al vero è la statistica. Essa studia i modi in cui una realtà fenomenica limitatamente ai fenomeni collettivi può essere sintetizzata e quindi compresa. Con il termine statistica, si indicano anche semplicemente i risultati numerici di un processo di sintesi dei dati osservati. Un tipo particolare di statistica, quella inferenziale, ha come obiettivo, invece, quello di fare affermazioni, con una possibilità di errore controllata, riguardo la natura teorica della legge probabilistica del fenomeno osservato. La conoscenza di questa natura permetterà poi di fare previsioni. La statistica inferenziale è fortemente legata alla teoria della probabilità. Un'altra branca del sapere è da considerarsi, per chi vuol stabilire la verità e cioè la fuzzy logic o logica sfumata o logica sfuocata. È un tipo di logica in cui si può attribuire a ciascuna proposizione un grado di verità compreso tra 0 e 1. Quando parliamo di grado di verità o valore di appartenenza, si intende che una proprietà può essere oltre che vera, di valore 1 o falsa, di valore 0, come nella logica classica, anche di valori intermedi. Il matematico Lotfi Zadeh affermava che il termine logica fuzzy viene in realtà usato in due significati diversi. In senso stretto è un sistema logico, estensione della logica a valori multipli, che dovrebbe servire come logica del ragionamento approssimato. Ma in senso più ampio, logica fuzzy è più o meno sinonimo di teoria degli insiemi fuzzy cioè una teoria di classi con contorni non distinti. Tali principi logici evidenziano un carattere rigidamente bivalente al pensiero aristotelico. Il più antico e forse celebre di tali paradossi è quello attribuito ad Euclide di Mileto, noto anche come il paradosso del mentitore, il quale, nella sua forma più semplice, dice: “Il cretese Epimenide afferma che il cretese è bugiardo”. Il paradosso del mentitore nella sua forma proposizionale appartiene alla classe dei paradossi di autoriferimento. Ogni membro di questa classe presenta una struttura del tipo la frase seguente è vera, la frase precedente è falsa o in maniera più sintetica, questa frase è falsa. La logica aristotelica si dimostra incapace di stabilire se queste proposizioni siano vere o false, in quanto bivalente, perché ammette due soli valori di verità: o vero o falso, o bianco o nero, o tutto o niente, poiché il paradosso contiene un riferimento solo a se stesso, quindi non può assumere un valore senza contraddirlo. Ciò implica che ogni tentativo di risolvere una questione posta si traduce in un'oscillazione senza fine tra due estremi opposti. Il vero implica il falso, e viceversa. Secondo Bart Kosko uno degli allievi di Zadeh, se quanto afferma Epimenide è vero, allora il cretese mente. Pertanto, poiché Epimenide è cretese, quindi mente, dobbiamo concludere che egli dice il vero. Viceversa, se l'affermazione di Epimenide è falsa, allora il cretese Epimenide non mente e pertanto si deduce che egli mente. Da ciò si deduce finalmente che l'enunciato del paradosso non è né vero né falso, ma è semplicemente una mezza verità o, in maniera equivalente, una mezza falsità. Le due possibili conclusioni del paradosso si presentano nella forma contraddittoria A e non-A e questa sola contraddizione è sufficiente ad inficiarne la logica bivalente. Ciò al contrario non pone alcun problema alla logica fuzzy, poiché, quando il cretese mente e non mente allo stesso tempo, lo fa solo per metà. Ammettendo esplicitamente l'esistenza di una contraddizione, la condizione che la traduce viene poi impiegata per determinare l'unica soluzione contraddittoria tra le infinite possibili o sfumate, cioè a valori di verità frazionari, per la questione posta. La teoria degli insiemi fuzzy costituisce un'estensione della teoria classica degli insiemi poiché per essa non valgono i principi aristotelici di non contraddizione e del terzo escluso, detto anche tertium non datur. Dati due insiemi A e non-A, il principio di noncontraddizione stabilisce che ogni elemento appartenente all'insieme A non può contemporaneamente appartenere anche a nonA. Secondo il principio del terzo escluso, d'altro canto, l'unione di un insieme A e del suo complemento non-A costituisce l'universo del discorso. In altri termini, se un qualunque elemento non appartiene all'insieme A, esso necessariamente deve appartenere al suo complemento non-A. I valori fuzzy possono variare per le probabilità. Ma, diversamente da queste, descrivono eventi che si verificano in una certa misura. Immaginiamoci ora un sapiente che utilizzi una gigantesca enciclopedia, in cui vi sia racchiuso l’intero sapere umano e tutti i suoi metodi, che contenga tutti i dati matematici e tutti i metodi dimostrativi e che conosca tutte le discipline matematiche. Questo sapiente non resta immobile nel suo sapere, ma con le conoscenze a sua disposizione e i metodi a lui noti, produce nuovo sapere che può sfruttare a sua volta per ottenere nuove conoscenze, ma neanche un tal sapiente saprà tutto, perché ci sono proposizioni che tale sapiente può formulare, ma di cui non può dimostrarne la validità. La capacità di comunicare appartiene ad ogni essere vivente, il quale espone i propri bisogni e le proprie emozioni, organizzando ciò in un pensiero definito, a partire dall’imbastitura di una sequenza di suoni che si innestano sui significati che vogliono trasmettere, dall’inizio fino alla conclusione. La prima forma di associazione e comunità è l'unione tra uomo e donna e la loro prole. All'interno di questa comunità, in cui si cerca la soddisfazione reciproca dei bisogni, il mezzo tra le due parti che le unisce è il linguaggio fatto di suoni e segni. Questi suoni e segni trasmettono significati, per ottenere, per ammonire, insegnare, lodare, biasimare, infine persuadere quando la comunità deve prendere decisioni, quando deve deliberare sugli indirizzi necessari alla propria sopravvivenza. Così sono nate contemporaneamente la retorica e la politica, perché con esse si afferma il potere dell’assemblea e della parola. La necessità da parte dell'intellettuale di comunicare i risultati delle proprie ricerche, nasce dal bisogno della soluzione dei problemi che stringono la comunità. Esso si adopera per risolverli, quando il dotto li conosce e li studia soltanto. Entrambi comunicano tra di loro ed entrambi li comunicano alla comunità, cioè rendono partecipi delle loro ricerche e dei risultati di queste, l'intera comunità che li circonda, la quale a sua volta riceve i risultati che sono conseguenti alle loro esperienze. Parlando dei sapienti in generale, si deve fare una distinzione tra intellettuali e dotti. Il dotto ha gli strumenti della conoscenza in un campo specifico che viene adoperato per il soddisfacimento del bisogno dell'umanità. L'intellettuale invece è colui che sviluppa gli strumenti della conoscenza mediante il linguaggio ed il pensiero. È inserito da principale protagonista nel processo di trasformazione sociale. Partecipa all'obiettivo di una società in via di perfezionamento, utilizzando la ragione, con un programma non basato su princìpi razionali astratti, ma aperto ai molteplici e indispensabili apporti che ad esso deve fornire l'esperienza storica e il mondo determinato delle cose reali. Il compito principale dell'intellettuale è spingere il genere umano verso il progresso effettivo nel suo complesso. Con il crescere della complessità della comunità, i problemi stessi si fanno più complessi e più specialistici. Occorrono delle scuole, dove i dotti possano comunicare a gruppi di discenti, le loro conoscenze, per farne a loro volta dei dotti e degli intellettuali. Gli intellettuali comunicano ai dotti i risultati delle loro ricerche, ma li comunicano anche anche alle comunità e alle scuole e con il crescere della complessità delle comunità, anche la comunicazione si fa più complessa. Per raggiungere l’obiettivo di una completa comunicazione, occorrono sistemi di larga diffusione, occorrono suoni significativi comuni e i suoni particolari restano la specializzazione di un determinato gruppo. Il suono significativo generale coincide con la lingua o una lingua comune ad un gruppo. Il suono significativo particolare coincide con il dialetto o con un dialetto proprio di una comunità. Nasce una rete comunicativa di scambio tra gli esseri umani che appartengono ai suoni significativi comuni e quelli che appartengono ai suoni significativi particolari, perché i dialetti cioè i suoni significativi particolari, sono creazioni locali di esseri umani locali che apportano il loro contributo intellettuale ai suoni significativi comuni, cioè la lingua della comunicazione generale tra dotti, intellettuali e comunità in genere. È possibile ritenere l'intellettuale di una comunità complessa, che quindi crea la sintassi di un testo ideologico, appartenente alla comunicazione particolare del suono significativo particolare e che volendo far partecipe delle proprie idee l'intera comunità, debba adoperare la comunicazione generale dei suoni significativi generali. Dialetto e lingua non sono riferimenti necessari a linguaggi storicamente determinati così come li conosciamo. Sono le possibilità che una catena di suoni assumono in una comunità, in un certo periodo della storia. Laddove l'espressione linguistica può superare le barriere fra aree disciplinari, la filosofia è invece la guida razionale, esplicita, in continua dialettica su diversi piani, di analisi e sintesi, all'interno di un'unica grande architettura, mai completamente definibile ed esauribile, sempre aperta a nuove possibilità. L'essere umano possiede una forma mentale che lo aiuta a superare le varie partizioni specialistiche del sapere, per arrivare ad una comprensione del tutto. Momento fondamentale di questo atto è la facoltà dell'ingegno, che con l'ausilio della memoria e della fantasia, deve trovare le varie connessioni che lo portano alla partecipazione del tutto. La fantasia ha una parte fondamentale per la ricerca e l'acquisizione di quei dati necessari alla determinazione del tutto. Detta anche creatività o pensiero laterale, essa non segue i canoni del suo opposto, il pensiero verticale o pensiero logico e razionale, quello che parte da dati certi e trae conclusioni certe o sillogistiche, rigide e di dubbia efficacia conoscitiva. Lo sviluppo della potenzialità creativa, avviene attraverso connessioni culturali ed enciclopediche. Ciò non è confondibile con le nozioni, anche modeste, ma anzi si deve partire dal presupposto che anche una semplice nozione o l'incontro casuale di nozioni apparentemente insignificanti, fanno partire la ricerca scientifica e del sapere in generale, senza preclusioni e atteggiamenti a favore o contro un certo sapere rispetto ad un altro, ma tutti sono da ritenersi di pari valore ed importanza. Pertanto si deve indirizzare la pedagogia verso la conduzione delle personalità, alla progressiva scoperta del mondo, attraverso una connessione dei saperi provenienti da qualsiasi luogo, sia storico che geografico, economico e linguistico, senza preclusioni di sorta, in quanto tutti partecipanti al tutto, l'enciclopedia del sapere ordinato. Dal progresso di tutte le scienze dipende in modo diretto il progresso complessivo del genere umano. Anche l'intellettuale deve conoscere il patrimonio preesistente di cognizioni e per conoscerlo non ha che la strada dell'apprendimento, che gli sarebbe difficile conseguire attraverso le sue sole riflessioni. Anch'egli ha il dovere di migliorare per quanto possibile, i talenti sociali, cioè avere la capacità di ricevere e di comunicare. L'intellettuale mediante un costante accrescimento dell'apprendere, deve conservare a se stesso questa capacità di ricevere ed evitare di chiudersi di fronte alle idee altrui. Ha sempre bisogno di comunicare, perché è in possesso delle sue conoscenze non per il proprio profitto, ma per il vantaggio della società. Gli intellettuali, non rivestono posizioni oligarchiche e neanche sono dotati di attitudini esclusivamente specialistiche. Non hanno ruoli predeterminati, ma raccolgono ed organizzano le informazioni che provengono fin dai luoghi più remoti dell'umanità, trasformandosi in intellettuali allorché compongono il testo ideologico, la raccolta di idee organizzate in un pensiero lineare e in una sintassi, cioè la sequenza delle informazioni e delle idee che hanno raccolto. L'intellettuale svolge cioè, una funzione creativa propria all'intuizione e alla ricerca successiva, il trovare. Successivamente si impegna nell'organizzazione completa del materiale informativo così raccolto. Si rivolge principalmente all'esperienza piuttosto che alla teoria, perché l'esperienza precede tutto, poi si rivolge alla dialettica e ai due corni del dilemma, se essere a favore dell'induzione, dell'esperienza e della deduzione oppure parteggiare per la teoria. Ma le prime mosse prendono avviamento dall'esperienza, poiché senza questa non può porsi davanti al pensiero in maniera problematica con un quesito per risolverlo, ma vi rimane rispetto ad esso, indifferente, perché non viene percepito. Con ciò si perviene all'universalità attraverso la tessitura del sapere, perché connessione tra una precedente raccolta di dati nuovi e le conoscenze acquisite. Il momento caratterizzante di tali relazioni è dato dalla riunione di due idee, che generano una terza idea tale da avere una forza convincente, che nel momento culminante del discorso avvince l’uditorio. La retorica fa parte di quella unione fra il pensiero ed il linguaggio e la capacità dell'essere eloquente significa essere saggio, cioè conoscere con certezza, parlare appropriatamente ed agire correttamente nella vita, obiettivo pratico di ogni individuo. Molte delle caratteristiche basilari e specifiche del linguaggio discendono dal fatto che esso svolge la funzione di determinare mutamenti nella mappa delle conoscenze. La letteratura per svilupparsi, ha bisogno di informazione e l’informazione produce letteratura. Essa si alimenta attraverso la letteratura precedente. Si ha creazione di letteratura attraverso l’informazione ed essendo cultura, la letteratura ha bisogno di istruire e di insegnare le funzioni letterarie e pedagogiche indifferenziate. Se si ragiona in modo del tutto settoriale e specialistico, la letteratura e la filosofia rimangono del tutto separate ed allora siamo in presenza di una filosofia tecnica e di una letteratura romanzata, ma se si affronta il sapere e quindi la conseguente espressione linguistica di tale sapere, in maniera del tutto problematica, allora letteratura e filosofia si fondono in una espressione linguistica unica. 5. Le enciclopedie. Il linguaggio, le connessioni tra le parole e i significati, furono indagati molto presto dai filosofi e tra questi, da Platone nel libro del Cratilo. Il problema fu esposto da Platone in termini dicotomici, cioè opposti, se il linguaggio abbia origine per natura o per convenzione. Su questo libro gli studiosi si sono divisi nei due campi opposti e anche oggi, sovente viene posta questa domanda, quando riflettiamo sull'origine profonda del linguaggio. Gli studi su di esso hanno un carattere sia formale che cognitivo. Essi riguardano le sue varie forme e le possibilità di associare la conoscenza del mondo. In questi nostri tempi ci troviamo di fronte alla constatazione della crisi della filosofia, ad una crisi totale della ragione, come fondamento certo ed una relatività assoluta. C'è un tipo di razionalità paragonabile ad un tipo di filosofia simile alla semantica e anche ad una filosofia considerata sapienza. La filosofia simile alla semantica è affiancabile alla filosofia del linguaggio, alla grammatica, alla conoscenza e alle operazioni mentali che queste implicano. Essa collega ogni aspetto linguistico della conoscenza, dove ogni punto corrisponde esattamente ad una cosa e ne fornisce il significato o i significati e la possibile spiegazione non necessariamente definitiva, ma sempre in divenire. La somma delle problematiche fin qui analizzate, dà per risultato una enciclopedia universale, valida per la ricerca e conoscenza, che coinvolge i mezzi della filosofia e della letteratura universale, unite dal mezzo espressivo linguistico e dialettico. L'enciclopedia nasce da questa raccolta cumulativa e sincretica, che non è una pura raccolta statistica, ma una aggregazione di dati e materiali per la conoscenza del mondo, a partire dall'essere umano o a partire dalla sua facoltà di comunicazione e dalla sua facoltà di conoscenza, un atto critico dell'intelletto umano. L'enciclopedia contiene una sistemazione coerente tramite un disegno comprensivo e totale della conoscenza. La necessità che il filosofo ha degli strumenti della conoscenza generale è fondamentale. Il sapiente applica o fa applicare tali conoscenze, tanto più nell'enciclopedia si avverte con una sistemazione coerente e con un disegno preciso dell'opera, non solo nel senso puro di ordine del sapere o nuovo traguardo rispetto ad una precedente analoga sistemazione, ma come una metodologia o politica del sapere e del pensiero, un sapere che comprenda le contraddizioni e le dirima eliminando la loro conflittualità. Una organizzazione generalmente esauriente che soddisfi il bisogno intellettuale, per dirigere l'attività pratica. Connesso al sapere enciclopedico, è il linguaggio e la sua espressione più organizzata, la retorica, perché il sapere attraverso l'organizzazione linguistica, assume l'aspetto più alto con la chiarezza, che è la comprensione delle contraddizioni e la loro soluzione. Infine, il sapere enciclopedico diventa una parola epica, capace di stare al di sopra delle contraddizioni del linguaggio e della realtà. Colui che possiede la parola epica è necessariamente un sapiente o un filosofo, se per filosofo si intende chi ha passione della sapienza o del pensiero problematico, che è qualcosa al di sopra della dottrina, per quanto semplice, pur sempre rigida. Il risultato conseguente a questa etica è la felicità, che in un ambito laico rappresenta la valorizzazione dell'umanità per mezzo degli strumenti della sua conoscenza e della conoscenza in generale. Il sapiente applica o fa applicare tali conoscenze, tanto più nella comunità cittadina, innanzitutto con la giurisprudenza, che equivale alla ricerca della corretta prassi, con l'abbinamento della parola epica alla parola etica, applicabile da chiunque stia nell'assemblea comunitaria. La sapienza è un sostegno per il cittadino oratore ed in grado di sostenere una argomentazione ragionevole. Essa necessita una esposizione linguistica comprensibile. In questo rientra il compito del linguaggio e cioè quello di essere il linguaggio della comprensione e della costruzione della frase in cui vengono disposti i ragionamenti per la discussione assembleare. Come alcune enciclopedie antiche, nate dalla necessità di favorire uno strumento basilare, per la formazione del cittadino impegnato politicamente, nel difendere le proprie ragioni nell'assemblea. Per questo scopo occorrono conoscenze di vario genere e conoscenze in materia di linguaggio, per esprimere ciò al meglio, per poter vincere la disputa verbale, a cui consegue la vittoria politica. In quelle enciclopedie furono raccolte varie tradizioni classiche, dal pensiero di Aristotele, Platone e Cicerone, al pensiero arabo e furono fuse in una sola teoria. Per gli arabi l'enciclopedia, attraverso l'insegnamento di Plotino e delle culture religiose orientali, diventa una illuminazione etica costante. L'atteggiamento continuo è il raggiungimento della felicità, ottenuta attraverso l'avanzamento nella conoscenza. Attraverso questa attesa, la comunità perfetta dovrà garantire il raggiungimento dello scopo, assicurando il bene comune e favorendo l'esercizio reciproco della virtù. Alla guida di questa comunità perfetta e ideale, è necessario che vi siano i sapienti. Questo tipo di sapiente è per lo più una guida, attento alle questioni sociali e ricercatore della migliore interpretazione. Tale posizione va estesa al cittadino, tramite la concezione dello sforzo della ragione e del linguaggio, attraverso i quali è possibile assegnare la capacità di interpretazione a ogni cittadino, in quanto microcosmo e portatore di valori universali, in grado, proprio per il possesso della ragione, di poter contribuire con il proprio ragionamento critico. Una determinata realtà può trovarsi in maniera parallela con altre realtà. Essa però è stata certamente realizzata diversamente, come conseguenza alla diversità delle informazioni possedute. Questa è la capacità linguistica e di quella capacità umana chiamata fantasia, di poter costruire diverse realtà possibili e fantastiche. L'ipertesto enciclopedico è una realtà di informazioni che creano itinerari verso altre realtà di informazioni, una rete capillare. La realtà possibile è la possibile configurazione della realtà, la ricerca e la formazione creativa di una realtà, l'accostamento delle esperienze della realtà per altre realtà possibili, per altre forme di esperienza, per altre formazioni possibili della realtà. L’enciclopedia è costituita da nomi e i nomi esprimono di regola molte conoscenze sugli esseri umani e sulle cose alle quali si riferiscono. Molto più che qualunque altra categoria di parole, i nomi sono accompagnati da una enciclopedia ulteriore, cioè una serie di altre conoscenze. L'enciclopedia è un'idea di conoscenza esauriente e completa, la situazione culturale ideale dell'oratore, consistente nel conseguire una perizia in tutte le arti e in tutte le cose. Con essa vi è l'assunzione di una sistemazione e perfezione nella conoscenza, cioè un'indagine sulle cose e in tutte le sue parti, per renderla assolutamente perfetta. L'universalità della conoscenza è simile all'essenza della struttura enciclopedica. Essa implica non solo la totalizzazione, ma anche l'accumulazione metodica, l'ordinamento e la sintesi del sapere. Inevitabili sono il sincretismo e l'eclettismo, nell'enciclopedia e nel metodo enciclopedico. L'ideale è la sintesi aperta e duttile, uno schema generale capace di inquadrare e recuperare progressivamente tutte le nuove acquisizioni. Una buona sintesi si completa continuamente con integrazioni successive e questa operazione non è possibile senza condensare, riassumere e ridurre all'essenza le nozioni. Attraverso l'ordine metodico, viene raggiunta la chiarezza e la concisione. Il compendio e la compilazione sono i pilastri del metodo enciclopedico, poiché la letteratura si fonda sulla letteratura, l'azione conoscitiva del metodo enciclopedico. L'enciclopedia è come un dizionario, uno strumento unificato, chiaro ed intelligibile, ma in essa è evidente la maggiore dinamicità tra le parole come contenitori e i loro contenuti. Si affermano i significati allusivi, ma si perde il nesso forte tra significanti e significati e le parole hanno una minore capacità di descrivere e di illustrare. Enciclopedia significa educazione globale. Essa è un sistema che veicola conoscenze in maniera ciclica, collegate in rete tra loro, diventando così una struttura articolata, connessa e totalizzante. L'obiettivo dell'enciclopedia è quello di chiudere il cerchio, poiché la cultura stessa è contemporaneamente, globale e specialistica. La parola epica e l'epistemologia hanno come base comune, una stretta connessione tra le discipline e i linguaggi della realtà del mondo e lo strutturalismo è il filone filosofico a cui fornisce un forte sostegno. La redazione di un testo scritto modifica il processo di comunicazione, considerato che i processi comunicativi hanno un valore di portata sociale. Infatti il processo di comunicazione non consiste semplicemente nello scambio di alcuni dati contenenti il messaggio che, in assenza di rumore sul canale, può essere pacificamente codificato e decodificato. Un messaggio presuppone sempre delle competenze locutorie ed interpretative da parte dell'emittente e del ricevente. È perciò importante individuare e valutare attentamente, con gli strumenti offerti dalla semiotica, oltre che dalla sociologia, le implicazioni di una struttura testuale e il modo in cui ciò si trasforma in un meccanismo comunicativo e il modo in cui attraverso questa mediazione incide sui processi di interpretazione e di acquisizione della conoscenza. Bisogna però chiarire la nozione di ipertesto che rompe la rigida struttura del testo che ha un inizio e una fine. Esso è un testo infinito. Oggi l’enciclopedia è definibile come un grande ipertesto. Con ipertesto si intende una scrittura non sequenziale, un testo che si dirama. Così come è comunemente inteso, l'ipertesto è costituito da una serie di brani di testo tra cui sono definiti dei collegamenti che consentono al lettore differenti percorsi non lineari, all'interno di un insieme di brevi brani e ciò appartiene alla libertà del lettore. I collegamenti sono essenzialmente di due tipi: tra parti dello stesso testo quando conducono a sezioni di uno stesso documento e tra parti di testi diversi, quando conducono a documenti diversi. In realtà può essere difficile distinguere gli uni dagli altri proprio perché in questa tela di collegamenti il testo divenuto ipertesto non ha più confini rigidi come il testo tradizionalmente contenuto tra le copertine di un libro. Si può dire che ogni pagina contenga virtualmente tutte le altre, perché ogni pagina apre la strada a molteplici percorsi. Vi è la perdita di ogni limite, un centro e una periferia, di un inizio e di una fine. Questa tela di collegamenti è possibile attraverso le associazioni. Un tema ne richiama altri simili senza soluzione di continuità. Questo sistema di associazioni sembra riprodurre in qualche modo il funzionamento della mente umana per cui hanno un'importanza decisiva. I riferimenti interni ed esterni al testo sono un'esperienza comune di qualunque lettore colto che in un saggio o in un articolo può trovare, specialmente in nota, riferimenti ad altri autori o ad altre parti dello stesso testo. Invece nel sistema ipertestuale questi collegamenti non solo si prestano meglio a essere esplicitati, ma sono immediatamente disponibili per un confronto. È come se si avesse immediatamente accesso alla biblioteca in base alla quale è stato scritto ciò che leggiamo. Con il termine enciclopedia ci si riferisce anche a una teoria semantica, infatti l'enciclopedia è il repertorio di tutte le conoscenze collegate assieme. Il significato di ogni termine è interpretato da altri termini a loro volta interpretabili e così via all'infinito. La tela di collegamenti della rete è fondamentale per consentire al lettore dell'enciclopedia di navigare attraverso i diversi nodi che lo compongono in modo da produrre percorsi interpretativi non lineari. La principale conseguenza della tela di collegamenti è la possibilità di modelli di lettura non lineare. Infatti i nodi consentono l'accesso diretto a sezioni di testo altrimenti ben individuate entro un prima e un dopo, tra un inizio e una fine. Gli stessi concetti di inizio e fine, pur non scomparendo, devono essere ripensati in relazione al decentramento del testo enciclopedico. Il testo, infatti, perde un proprio centro o meglio il centro è costruito di volta in volta dal lettore. Infatti se la linearità implica la concezione di uno spazio ordinato e coerente dal punto di vista logico, la non linearità non implica la concezione contraria di caos e disordine. In realtà anche molti testi ritenuti lineari possiedono parecchi tratti di non linearità. Soprattutto le enciclopedie e i dizionari sono concepiti per un tipo di lettura non necessariamente lineare, che prevede modalità di accesso al testo per singole parti. Ma l'ipertesto è un testo lineare in un certo senso. La linearità tradizionalmente intesa è presente almeno sotto tre punti di vista. In primo luogo sono lineari le singole parti di testo di volta in volta selezionate. In secondo luogo di solito un ipertesto prevede percorsi preferenziali, previsti dall'autore, del tutto lineari. In terzo luogo, anche se la lettura può procedere in modo del tutto non lineare, il percorso di lettura risulta costruito e sviluppato in base a una successione lineare, se non nello spazio, almeno nel tempo. Più che di non linearità sarebbe meglio parlare di multilinearità. Infatti l'immediatezza dei collegamenti ipertestuali, rende la lettura un'esperienza molto più frammentaria ed aperta rispetto al testo tradizionale, realizzato per essere letto dalla prima all'ultima pagina. I testi collegati in un ipertesto dovrebbero essere abbastanza brevi per poter essere letti agevolmente e per consentire passaggi da uno all'altro. Ogni brano dovrebbe essere abbastanza indipendente per poter essere inserito in percorsi di lettura diversi. Questi brevi testi sono detti lessie, ma in genere si usa il termine nodo. Il lettore di un ipertesto è un lettore attivo. Infatti l'ipertesto è un testo che consente al lettore di scegliere. Il lettore di un ipertesto è attivo in prima persona, perché con le sue scelte contribuisce al processo interpretativo, mentre in un testo tradizionale in genere è l'autore a determinare pregiudizialmente il percorso da seguire secondo un progetto lineare. L'attività del lettore è comprensiva e comunque il testo implica meccanismi di cooperazione, ma anche il testo tradizionale presuppone un lettore che non si limiti semplicemente a interpretare l'informazione trasmessa, ma che collabori al processo interpretativo. La collaborazione presuppone un certo attivismo da parte del lettore. Qualunque lettore deve elaborare le giuste inferenze in base alle sue conoscenze enciclopediche e al contenuto del testo stesso. Anche il ruolo dell'autore cambia, cambiando il ruolo del lettore. Nell'ambiente ipertestuale tutta la scrittura diviene una scrittura in collaborazione. Il primo elemento di collaborazione emerge quando il lettore attivo coopera necessariamente con l'autore nella produzione di un testo, attraverso le sue scelte. Il secondo elemento di collaborazione emerge quando l'autore si confronta con altri autori. Alla grande libertà interpretativa del lettore corrisponde la dissoluzione dell'autore, poiché si dissolve l'unità del testo in una rete di collegamenti ipertestuali. L'opera di un autore e quindi anche l'autore stesso, non può più esimersi dal confronto con le opere di tutti gli altri autori. I ruoli di autore e lettore sfumano l'uno nell'altro. Parallelamente alla debolezza dei ruoli di autore e lettore si indebolisce anche la differenza fra interpretazione e uso di un testo. Il testo tradizionale, più o meno aperto, prevede una interpretazione quasi attesa. Invece nel caso di testi inseriti in un sistema ipertestuale, essi non esauriscono tutte le possibili interpretazioni, perché l'interpretazione è sempre mediata dalla contestualizzazione che dipende dai testi o dalle lessie che hanno preceduto o seguiranno il testo in questione. Il significato è sempre una questione di relazioni. Ma in un ipertesto il testo è costruito proprio dalle scelte del lettore e diventa così largamente imprevedibile. L'autore di un testo, anche senza il controllo parola per parola del suo testo, continua a dirigere i processi di interpretazione attuati dal suo lettore, in primo luogo pianificando il sistema dei collegamenti. I meccanismi testuali che regolano un ipertesto, i collegamenti, la multilinearità, la forma delle lessie e la collaborazione testuale, non possono non avere un risvolto cognitivo su coloro che si trovano a farne un'esperienza cumulativa. Come le pratiche testuali sono influenzate dalle tecnologie che le supportano, così i processi cognitivi sono influenzati dalle pratiche di diverse forme di testualità. Per quanto riguarda l’ipertesto ci sono due diversi orientamenti in proposito. Da una parte si tende a considerare l'ipertesto una risorsa per il potenziamento delle capacità cognitive della mente umana, dall'altra però se ne temono gli effetti negativi come il carico cognitivo risultante da questa pratica testuale. Per comprendere la reale portata di un sistema ipertestuale sulla mente umana, entrambe le dimensioni devono essere considerate nel loro rapporto dialettico per una visione completa del problema. Coloro che giudicano ottimisticamente gli effetti di sistemi ipertestuali sull'intelligenza umana, evidenziano la sostanziale analogia fra la tela di collegamenti di un ipertesto e il funzionamento della mente umana. Ipertesto e mente umana sarebbero due sistemi dalla morfologia simile. La teoria della rete neurale è associata ai modelli cognitivi connessionistici, secondo i quali l'elaborazione dei dati nel nostro cervello è distribuita in parallelo, cioè non avviene in moduli separati e non segue percorsi sequenziali, cioè a cascata, nei quali l'informazione è elaborata in un nodo solo dopo che è stato raggiunto un certo livello di elaborazione nel nodo precedente. Confrontando questi modelli, il funzionamento della mente e dell'ipertesto sembrerebbero avere molti punti di contatto, ma nonostante la somiglianza, resta il dubbio che l'uso di ipertesti possa agevolare i processi cognitivi, anzi spesso gli ipertesti sembrano provocare disorientamento e un sovraccarico cognitivo. Richiamandosi alle reti neuronali, l'espressione intelligenza connettiva si riferisce alla possibilità di mettere in comunicazione attraverso reti, l'intelligenza di persone diverse che lavorando insieme in tempo reale, possono così superare i limiti delle capacità individuali. Il discorso può essere esteso anche al flusso di informazioni che integrato in una fitta trama di collegamenti dovrebbe risultare più familiare e stimolante per l'intelligenza umana. Rispetto alla libertà delle connessioni di un ipertesto, la rigida linearità di un testo tradizionale appare molto limitante. È possibile paragonare l'ipertesto con l'invenzione della scrittura e della stampa. Il filosofo Platone è un testimone del passaggio dall'oralità alla scrittura che avvenne in Grecia fra il V e il IV secolo a. C. Secondo Platone, la scrittura arreca più danni che benefici e non si rivela adatta a insegnare la filosofia, perché relega le conoscenze fuori dalla mente umana. In maniera contraria, Jack Goody, l'antropologo impegnato nello studio del passaggio dall'oralità alla scrittura, fa notare come l'invenzione della scrittura e la possibilità di immagazzinare informazioni senza uno sforzo mnemonico, abbiano permesso all'essere umano, di sviluppare doti di senso critico e di astrazione. Anche con la diffusione dei libri a stampa si ebbe un movimento analogo nel campo del sapere quando il ruolo sostenuto dagli ausili mnemonici diminuì. Con gli ipertesti, alcuni studiosi sostengono che queste doti potrebbero essere nuovamente sviluppate, avendo a disposizione un luogo dove registrare non solo informazioni, ma anche collegamenti. Infine, le capacità mnemoniche potrebbero essere ulteriormente indebolite proprio nel momento in cui anche la memoria e l'esperienza delle connessioni fra testo e testo è affidata a una registrazione al di fuori della memoria. L'ipertesto è in grado di incidere anche sulle modalità di insegnamento e apprendimento. Studiare su un ipertesto, limitatamente al materiale disponibile, dovrebbe rendere possibile confrontare più materie, grazie a collegamenti interdisciplinari, scegliere i propri percorsi e tempi di apprendimento, infine, diventare familiari con quei generi di collegamenti di un testo che sono altrimenti visibili solo agli esperti. Soprattutto questo punto merita attenzione. Sebbene tutti i testi abbiano sempre qualche relazione con altri testi, prima dell'avvento della tecnologia ipertestuale, queste interrelazioni potevano esistere soltanto all'interno delle singole menti che le percepivano. Inoltre bisogna considerare che la tecnologia, qualunque tecnologia, apporta delle modifiche nella costituzione della mente e cioè, rispondendo o interagendo nei confronti dell'ambiente circostante, con nuove strutturazioni e modifiche. Così come ad esempio la tecnologia alfabetica che ha modificato il modo di enunciare i significati e la successiva scrittura alfabetica, che ha modificato e reso anche più rapidi i commerci e le relazioni fra i popoli. I testi hanno una funzione correlata all'interno di differenti configurazioni del mondo nelle quali operano, dunque sono dispositivi tecnologici determinati e quindi l'operazione di comprensione dei vari mondi possibili, si appoggia su differenti tecnologie. Il pensiero perciò, è intimamente tecnologico. A partire dalla sovrapposizione immanente del dispositivo tecnico e della produzione del logos, la macchina-pensiero funziona senza sosta, appoggiandosi su molteplici supporti e producendo differenti apparati, come l'alfabeto, il testo, l'ipertesto. Tornando ai sistemi ipertestuali, essi riproducono le relazioni fra i testi. Quindi si prestano a rendere immediatamente evidente questa tela di connessioni che dovrebbe migliorare, nella fase di apprendimento, le capacità critiche dei discenti che possono lavorare direttamente sui collegamenti, altrimenti recepiti passivamente che non sarebbero in grado di fare se non dopo anni di studio. La rete di connessioni ha il difetto di generare disorientamento e un notevole carico cognitivo, poiché un collegamento apre la possibilità per altri collegamenti e così via, come in un labirinto. Inoltre la costruzione di percorsi di lettura autonomi, implica continue scelte e quindi un notevole sforzo cognitivo. Si può aggiungere che questo sforzo non è solo del lettore, ma anche dell'autore che se vuole pianificare un ipertesto efficace, deve saper prevedere le molteplici diramazioni che il suo testo può suggerire, usando anche mappe concettuali. I collegamenti non sono lineari e funzionano essenzialmente giustapponendo lessie a lessie in modo non sequenziale, mentre la scrittura lineare presuppone uno sviluppo coerente di tipo sequenziale. L'ipertesto resta una forma di comunicazione limitata, perché si può leggere secondo una cadenza ipertestuale, ma non è possibile esprimersi compiutamente, in quanto una successione tetsuale di tipo inizio e fine come insegna la retorica, la costruzione delle argomentazioni, che prevedono un inizio, un corpo testuale e una conclusione. Ciò non è possibile su un ipertesto se non nello spazio limitato di una singola lessia. La linearità compare di nuovo nella costituzione di un organico percorso di lettura tra la trama dei collegamenti e le connessioni di tipo logico e causale, ma che possono essere facilmente integrate dal lettore. In realtà si ripropone il problema del carico cognitivo. 6. La parola sostegno del pensiero. Gli psicologi che si occupano dell'origine del linguaggio, affermano la possibilità dell'esistenza nell'essere umano di un istinto linguistico, un fattore con origini fisiologiche interne ed autonome, a partire dal quale si sarebbero generati dei segni convenzionali. Come il bambino molto piccolo ha un periodo di accentuata incapacità quale è l'infanzia, si manifesta una presa di coscienza della capacità di creare diversi messaggi convenzionali. Ciò rende più facile una immediata espressione del suo intero mondo percettivo tramite il sistema di segni convenzionali che possiede in quel momento, con una capacità del tutto creativa. Due bambini posti in isolamento, possono sviluppare un linguaggio particolare, detto anche idioletto e durante questa situazione, il processo di apprendimento del linguaggio è contemporaneo per entrambi. La diversità delle lingue, riscontrabile in diverse regioni del mondo, indica delle strutture fisiche loro peculiari, alle quali corrispondono qualità spirituali proprie, con specifici contributi alla conoscenza e una visione del mondo propria della civiltà che la parla. Il linguaggio è la manifestazione dell’intelletto umano e per comprendere un popolo, è sufficiente studiare la sua lingua, poiché attraverso il linguaggio, l'essere umano forma se stesso e la realtà. Il pensiero non dipende solo dal linguaggio considerato come grammatica universale, ma anche da ogni singola lingua storicamente data. Se la realtà si manifesta nelle lingue, allora vi è una pluralità di realtà e l'enciclopedia delle lingue conosciute di conseguenza diventa una storia della cultura. Nello stesso tempo, l'essere umano scopre che intorno a sé esistono esseri che hanno gli stessi bisogni interiori. Allora la necessità culturale è ciò che lega il singolo individuo al mondo e attraverso il linguaggio verbale ha la facoltà di esprimere e comunicare concetti e sentimenti e quando è caratterizzato, indica il modo di esprimersi di una persona, di un ambiente, di una comunità in generale, la quale è una pluralità di persone unite da relazioni e vincoli comuni. Il fatto che le parole significhino qualche cosa e non siano semplici suoni, è evidente. Tale significato appartiene a qualche cosa di presente e conoscibile tramite la nostra esperienza. Non c'è dunque motivo per ritenere che una realtà così facilmente sperimentabile non debba essere oggetto della nostra riflessione e della nostra conoscenza scientifica. Se alla conoscenza scientifica dei significati diamo il nome di semantica, possiamo dire che perfezionare i significati è una necessità per due motivi. Uno perché le nostre parole hanno un significato e un altro perché gli esseri umani tendono a conoscere una forma la più rigorosa possibile. Quindi il linguaggio è un modo di conoscere che si attua storicamente nell'ambito di una comunità. Esso è un modo dell'agire, che porta a collegare in modi storicamente variabili una parte dell'esperienza a una forma sonora, con un legame certo soltanto nell'uso stesso della parola associata all’esperienza. Il legame tra la forma ed il suo significato è nello stesso tempo la formallizzazione di una serie di esperienze compiutesi in seno a una comunità storica e lo strumento grazie al quale coloro che aderiscono a tale comunità, analizzano, ordinano e dirimono le nuove esperienze. Nel bambino, il primo stadio dello sviluppo linguistico è di tipo affettivo ed in un secondo momento esso ha una funzione conoscitiva, quando comincia ad ampliare in modo attivo il suo vocabolario, allora il linguaggio diventa intellettivo ed il pensiero diventa verbale. Tra le operazioni esterne e quelle interne del linguaggio, vi è un'interazione costante. Le operazioni passano da una forma all'altra. L’essere umano quindi, possiede un’attività intellettiva, dell'indurre e dedurre, dell'analizzare, del sintetizzare e dello sperimentare. Lo sviluppo del pensiero infantile dipende da quello del linguaggio, dai mezzi del pensiero e dall'esperienza sia sociale che culturale, allo stesso tempo. Lo sviluppo del linguaggio interno è determinato essenzialmente da fattori esterni, così come lo sviluppo del linguaggio interno e del pensiero verbale sono dati da un’impulso che muove dalla sfera biologica verso la sfera sociale e storica. Lo sviluppo della logica nel bambino è la conseguenza diretta del suo linguaggio socializzato. Tramite la logica il pensiero si sviluppa. Dunque, il pensiero verbale ha un carattere storico e la parola è un segno che svolge il ruolo di mezzo di formazione dei concetti e ne diventa di conseguenza il simbolo. L'uso della parola come mezzo per dirigere l'attenzione, è una parte fondamentale e indispensabile di tutto il processo nel suo insieme. La formazione di un concetto o l'acquisizione di un significato da parte di una parola è il risultato di un'attività, alla quale partecipano tutte le funzioni intellettive fondamentali in una combinazione specifica. Il nuovo uso significativo della parola, cioè il suo uso come mezzo di formazione dei concetti, è la causa di un radicale cambiamento intellettivo. L'insieme di pensiero e linguaggio, lo si trova nel significato delle parole e una parola priva di significato è un suono senza senso. Il significato è un segno distintivo della parola stessa, necessario ad essa e costitutivo di essa. È la parola stessa nel suo aspetto interno. Così il significato della parola è allo stesso tempo un fenomeno linguistico ed intellettivo, sebbene ciò non significhi un'appartenenza puramente esteriore a due aree diverse della vita psichica. I significati delle parole si sviluppano e si modificano nel tempo, facendo superare l'opinione dell'immutabilità dei significati delle parole. Però una volta stabiliti i significati, raramente si modificano nei loro fondamenti. L'associazione che lega la parola al significato, può rinforzarsi o indebolirsi, può arricchirsi di una serie di legami con altri oggetti dello stesso genere, può estendersi per la somiglianza o la contiguità ad un cerchio più largo di oggetti o al contrario restringere o limitare questo cerchio. Ciò può subire una serie di modificazioni, ma non può modificare la sua struttura interna, poiché cesserebbe d'essere ciò che è, ossia un'associazione. Il pensiero si realizza e progredisce con la parola e in tal modo risolve i problemi. L'esistenza di un secondo piano interno del linguaggio, dietro alle parole, l'indipendenza del pensiero e delle parole, costringe a vedere nel più semplice enunciato verbale, non una relazione data una volta per tutte, immutabile e costante tra l'aspetto semantico e quello fonetico del linguaggio, ma un movimento, un passaggio della grammatica del pensiero nella grammatica delle parole, una modificazione della struttura del senso durante la sua integrazione nelle parole. La sintassi semantica e la sintassi delle parole, non compaiono simultaneamente, ma è implicito il passaggio dall'uno all'altro. Il linguaggio scritto rispetto al linguaggio orale, una forma di linguaggio sviluppato al massimo e sintatticamente complesso, dal momento che per enunciare ogni pensiero, dobbiamo usare molte più parole di quante ne usiamo nel parlato. Il linguaggio orale nella maggior parte dei casi è dialogante. Esso utilizza preferibilmente l'aspetto semantico e non quello fonetico. La sua sintassi e la sua fonetica si riducono al minimo, quindi sono molto semplificato. Questa relativa indipendenza del significato della parola dal suo aspetto fonetico si manifesta nel linguaggio interiore in modo estremamente chiaro. La prima caratteristica fondamentale sta nella predominanza del senso della parola sul suo significato nel linguaggio interiore. Il senso della parola rappresenta l'insieme di tutti i fatti che compaiono nella nostra coscienza grazie alla parola stessa ed esso è così una formazione sempre dinamica, e fluttuante. Il significato è soltanto una di queste parti del senso che acquista la parola in un dato contesto, ma è la zona più stabile, più omogenea e più precisa. La parola in contesti diversi, può cambiare il suo senso. Il significato, al contrario, è stabile e rimane stabile di fronte a tutti i cambiamenti di senso della parola nei diversi contesti. Il cambiamento del senso della parola è stato stabilito come un fatto fondamentale nell'analisi semantica del linguaggio. Il senso della parola non è costante e talvolta la parola ne ha uno, oppure ne prende un altro. Questa dinamicità del senso conduce alla questione della relazione tra significato e senso. La parola, presa da sola nel vocabolario, ha un solo significato, ma questo significato non è niente altro di più che una potenzialità che si realizza nel linguaggio vivente, di cui questo significato è soltanto una pietra nell'edificio del senso. Ne consegue che il senso di una parola è inesauribile. La parola acquista il suo senso soltanto nella frase e la frase acquista il senso nel contesto. Il senso effettivo di ciascuna parola è determinato dalla molteplicità di tutti gli elementi esistenti nella coscienza che si riferiscono a ciò che è espresso da una data parola. Le parole possono essere differenti dai significati espressi in esse e possono cambiare il proprio senso, che così può staccarsi dalla parola che lo esprime, come può essere assegnato facilmente a qualsiasi altra parola. Allo stesso modo il senso della parola è legato ad essa nel suo insieme e non a ciascuno dei suoi suoni, così il senso di una frase è legato a tutta la frase nel suo insieme e non alle parole che la compongono, prese isolatamente. Perciò accade che una parola prenda il posto di un'altra. Il senso si stacca dalla parola e così si conserva. Se la parola può sussistere senza il senso, analogamente il senso può nella stessa misura sussistere senza una parola. Proprio perché il pensiero non coincide solo con le parole, ma anche con i significati delle parole in cui esso si esprime, la via dal pensiero alla parola passa attraverso il significato. Non solo il pensiero è mediato esternamente dai segni, ma è pure mediato internamente dai significati. Il significato conduce il pensiero verso l'espressione verbale e dal pensiero alla parola c'è una mediazione interiore. Una comprensione reale e completa del pensiero è possibile soltanto quando scopriamo ciò che sta dietro di esso. Nel discorso c'è sempre un pensiero retrostante. Il pensiero e il linguaggio sono la chiave per comprendere la natura della coscienza umana e se il linguaggio è antico quanto la coscienza, se il linguaggio è la coscienza reale e pratica, allora è chiaro che non il solo pensiero, ma tutta la coscienza nel suo insieme è legata nel suo sviluppo a quello della parola. L'antica questione se sia da attribuirsi il primato ai dialetti e a quale di questi oppure alla lingua nazionale, costituita sulla base di uno di questi dialetti, è simile ad un altro ancora e cioè se sia da affidare la supremazia alla propria lingua nazionale piuttosto che ad un'altra. Tentativi di egemonia linguistica si possono trovare fin dall’antichità e registrati di continuo nel tempo, con i relativi assorbimenti delle lingue sottomesse e i conseguenti ampliamenti di lessico attraverso prestiti ed imitazioni. In generale la distinzione tra lingue avviene foneticamente, ma sovente anche per differenza dei significati. Così come si deve tenere in considerazione un altro fattore, quello dell'esposizione linguistica e cioè la sua semplicità, riconducibile al principio retorico e stilistico della leggibilità. Il testo leggibile è basato su un piano compositivo che ne assicura la coerenza totale. In esso vi è un rispetto per l'ordine logico e temporale e la non contraddizione. L'autore ne dirige il senso, assicurando l’autorevolezza degli enunciati contenuti nel testo. I discorsi sono fatti in modo tale che la costruzione progressiva della rete totale da parte dell'ascoltatore, avvenga in modo propagatorio, cioè la costruzione della rete complessiva con l'unione delle singole reti portate dalle frasi, avviene per concatenazione e propagazione. Vi è una direzione precisa e determinata della propagazione. La direzione è determinata da uno o più nodi nella frase precedente che determinano la seguente. Cambiamenti di direzione sono tuttavia possibili e quando ciò avviene è per ricollegare il tutto ad altri nodi, segnalando il cambiamento. Il meccanismo delle inferenze, retroagisce anche sulle fasi precedenti, cioè interviene sin dalla comprensione letterale della frase. Talvolta la retroazione del meccanismo delle inferenze può operare sulla comprensione dello stesso elemento che lo ha generato, portando a delle correzioni o precisazioni. Fondamentalmente un enunciato è basato su informazioni e acquisire un'informazione è un'azione. Scopo di questa azione, è attingere una conoscenza nuova. Si accetta una conoscenza nuova, purché possa esserci una verificabilità. Ciò ha anche lo scopo di aggiungere un tassello nel quadro cognitivo e in particolare dalle conoscenze in esso contenute, le condizioni per assumere una conoscenza saranno determinate anche dalla relazione per tale conoscenza a tali funzioni e alla organizzazione data al quadro cognitivo. La memoria umana non è uno schedario dove ogni conoscenza ha il suo posto distinto e separato dagli altri e dove non c'è rapporto tra quello che sta in un altro scomparto, per cui, purché trovi un posto libero, può essere aggiunta qualsiasi conoscenza senza che si pongano problemi di compatibilità tra le conoscenze e di una loro più stretta integrazione. Dato il suo carattere funzionale, di guida dell'azione, la memoria deve costituire un quadro cognitivo fatto di assunzioni verificate e praticamente efficaci, che siano il più possibile univoche, cioè non contraddittorie e il più generali possibili. Questo comporta che quando una nuova informazione arriva alla mente, la sua collocazione nel quadro cognitivo è un processo meccanico. La mente stabilisce un equilibrio tra la nuova conoscenza e il quadro cognitivo. Questo equilibrio consiste nella assimilazione e integrazione della nuova conoscenza alle altre conoscenze già presenti e alla organizzazione generale del quadro cognitivo o nella predisposizione del quadro cognitivo alla nuova conoscenza. Perciò è richiesta una valutazione dell’informazione in arrivo volta a vagliare la sua compatibilità e la sua plausibilità, con le altre conoscenze e ancora, la sua importanza o rilevanza rispetto agli scopi prefissati dell'ascoltatore. Nella comprensione di un testo, il parlante sa che l'ascoltatore è in grado in quel momento di apprendere conoscenze, di elaborarle e quindi fa affidamento sulla collaborazione dell'ascoltatore e su questa sua capacità, dell’inferenza, perché arrivi per proprio conto, sulla base delle conoscenze fornitegli, alla rete complessiva che ha in mente. Come tutte le azioni, anche le frasi quando vengono usate, hanno degli scopi. Se lo stato percepito e quello rappresentato sono diversi, il sistema si mette in movimento. Questa azione provoca un mutamento nello stato percepito. Se questo mutamento è tale che lo stato percepito è ora identico allo stato rappresentato, il sistema si ferma e lo scopo è stato raggiunto. Gli scopi sono cause delle azioni, quindi produrre una frase per comunicare è compiere una azione che, come tutte le azioni, è governata da uno scopo. La comunicazione linguistica ci mette a disposizione una varietà infinita di mezzi, per raggiungere una varietà infinita di scopi, le frasi di ogni lingua. Prima di terminare questa riflessione sul pensiero ed il linguaggio, bisogna ancora considerare che c'è una parte del discorso o meglio, del non discorso, cioè le pause, che hanno una loro importanza da non sottovalutare. Le pause tra una parola e l’altra hanno origine da fenomeni diversi. Vi sono quelle necessarie per la respirazione, quelle di esitazione, in cui il soggetto ha bisogno di tempo per pensare a ciò che deve dire, quelle oratorie, legate a punteggiatura e ad enfasi, quelle fonetiche corrispondenti a particolari tipi di consonanti. A questo si possono aggiungere altri fattori, come ad esempio la conoscenza della lingua parlata dal soggetto. Per lo stesso soggetto, l'indagine sulle pause può essere estesa a quando esso pronuncia discorsi in lingua madre, in dialetto od in una lingua straniera. L'importanza delle pause deve essere considerata per la comprensione del discorso. L'apparato di fonazione è un sistema fisico, non stazionario nel tempo, sollecitato da un segnale non facilmente misurabile. Si può definire articolazione di prima specie o parola, un insieme organico di simboli fonici o grafici, con cui l'essere umano riesce a comunicare contenuti mentali. Il linguaggio articolato o parlato, è una realizzazione di simboli di natura fonica, articolazioni di seconda specie, organizzati in modo da formare parole. Le ricerche sulla sintesi elettronica della parola, cioè la riproduzione artificiale sonora delle parole, hanno posto in rilievo l'importanza dei cosiddetti elementi soprasegmentali del linguaggio. Le caratteristiche della realizzazione sia acustica che articolatoria dei diversi fonemi, cioè degli elementi segmentali, di cui si compone una sequenza fonologica e che sono considerati la struttura più superficiale di una lingua, possono variare notevolmente a seconda della loro posizione nella catena fonica. Tali variazioni, che riguardano principalmente la durata, l'intensità e la frequenza fondamentale dei diversi foni, ma che costituiscono anche mutamenti delle caratteristiche spettrali, per esempio nel caso di vocali toniche e vocali atoniche, non sono causali, ma dipendono dalle caratteristiche morfologiche, sintattiche e semantiche del codice linguistico in questione. Da questi diversi livelli, dipendono in modo diverso i vari fenomeni soprasegmentali. A partire dalla struttura sintattica, viene determinata la gerarchia degli accenti all'interno dei vari sintagmi, la presenza delle pause e quindi la realizzazione dei gruppi durante il respiro o l'emissione d'aria e la presenza di enfasi. Anche la realizzazione dell'enfasi comporta modificazioni della durata dei sintagmi, variazioni della gerarchia degli accenti, spostamenti dell'acme melodica. Dal livello semantico dipende la scelta dell'andamento melodico della frase ed anche in parte la scelta della struttura sintattica. Tutti e tre questi livelli influiscono, anche se in modo diverso, sulla realizzazione degli elementi segmentali agendo sugli stessi parametri fisici, quali intensità e durata. 7. Scegliere un metodo. Un segno linguistico si manifesta con l’esistenza del legame tra significante e significato, cioè fra una catena fonica e il sapere di quella cosa, che il segno è chiamato a distinguere. Il legame è del tutto arbitrario, perché nel significante non vi è nulla che metta in evidenza una motivazione causale da esso, ma è necessaria, perché costituisce il segno ed in esso si esaurisce la vera e propria funzione linguistica di questo, una catena fonica che si riferisca ad una conoscenza specifica. In un discorso scientifico le parole non hanno o comunque non dovrebbero avere altro valore se non quello che esse significano generalmente, all'incirca come avviene nel linguaggio matematico, in cui il simbolo si identifica con un valore contenuto e nulla vi aderisce salvo la funzione attribuita. Altra cosa è la situazione nel linguaggio quotidiano nel quale a seconda delle capacità espressive di ciascuno, il richiamo al dato assoluto si inserisce nel rapporto fra il significante ed il significato, dando a quello un potere di evocazione e di richiamo più vivo e concreto. Ciò avviene in modo più deciso nel linguaggio della poesia, che tende ad esprimersi per immagini e respinge per quanto possibile, il servirsi delle parole come valori già conosciuti, credendo che nelle cose sia insito il loro nome. È necessario fin dall’inizio ammettere nell’essere umano, una libertà di manifestazioni foniche in conseguenza di situazioni diverse e nello stesso tempo la possibilità di differenziare internamente la catena fonica, in relazione a un certo decorso rappresentativo di quella particolare situazione. La libertà linguistica deve essere considerata come totale. Le relazioni sociali, non sostenute dal linguaggio, danno alle relazioni stesse soltanto una possibilità di tipo primitivo e con forme limitate. Bisogna comprendere il rapporto tra segno e significato e quindi l’uso razionale del segno, che è completamente incomprensibile al bambino della prima infanzia, fatto che si evidenzia più tardi. Lo sviluppo dell’uso del segno e il passaggio alle operazioni con i segni, cioè alle funzioni di significazione, non sono mai il semplice risultato di una scoperta o di una invenzione del bambino, non sono mai compiuti improvvisamente. Il bambino non scopre il significato del linguaggio da un momento all’altro, al contrario, questo è un processo genetico molto complesso. Il raggiungimento dell’attribuzione di un significato preciso a una parola è il frutto di un grande sforzo critico. Così il vocabolario umano è pieno di parole a cui si attribuisce un testo più o meno lungo, che prende il nome di significato. Tale testo è storicamente importante, qualora nel tempo sul significato della parola stessa, si raggiungano ulteriori significati. Per questo occorre una attenta valutazione nell’attribuire significati e nel redigere vocabolari ed enciclopedie. In questo atto di attribuzione di significato è importante il ruolo dell’interpretazione, che media e stabilisce i significati contenuti in una parola all’interno del testo sviluppato. Quindi, il ruolo svolto storicamente dal significato della parola è importante per la conoscenza, che così può pretendere di essere vera, giungendo ad un’intesa sulla cosa significata e stabilita. L’interpretazione diventa una riflessione sulla possibilità di comprensione. Una comprensione vincolata alle situazioni storiche ed esistenziali da cui non si può eliminare del tutto l’apporto soggettivo dell’interpretazione. Il metodo scientifico quindi, non è il solo a garantire una esperienza di verità. Per stabilire se una proposizione è vera o falsa, vi sono due tipi di logica, quella del calcolo delle probabilità e quella della fuzzy logic o logica dei contrasti. La teoria delle probabilità affronta proposizioni che sono vere o false. La fuzzy logic si occupa di situazioni in cui vi è incertezza sul fatto che una proposizione sia vera o falsa, nel senso che la nostra conoscenza in quella proposizione è in sé vaga e non si tratta di vero o falso, ma in entrambi i casi di vero. Il matematico Kurt Godel ha mostrato che alle radici stesse della matematica, esistono proposizioni di cui è impossibile dire se siano vere o false e questo ha provocato la nascita di sistemi logici in cui non esistono solo le categorie di vero e falso, ma anche di qualcosa che sta in mezzo, il non-falso e il non-vero. La fuzzy logic detta anche logica sfuocata è basata su un grado di verità. Quando si parla di grado di verità o valore di appartenenza, intendiamo che una proprietà può essere vera, di valore 1 oppure falsa, cioè di valore 0. Il termine logica fuzzy viene in realtà usato in due significati diversi. In senso stretto è un sistema logico, che dovrebbe servire come logica del ragionamento approssimato. Ma in senso più ampio, logica fuzzy è più o meno sinonimo di teoria degli insiemi fuzzy cioè una teoria di classi con contorni indistinti. La teoria degli insiemi fuzzy costituisce un'estensione della teoria classica degli insiemi, poiché per essa non valgono i principi aristotelici di non contraddizione e del terzo escluso. Dati due insiemi A e non-A, il principio di non contraddizione stabilisce che ogni elemento appartenente all'insieme A non può contemporaneamente appartenere anche a nonA, secondo il principio del terzo escluso. Se un qualunque elemento non appartiene all'insieme A, esso necessariamente deve appartenere al suo complemento non-A. Tali principi logici conferiscono un carattere di rigida bivalenza all'intera costruzione aristotelica. Il più antico e forse il più celebre dei paradossi è quello attribuito ad Eubulide di Mileto (IV secolo a.C.), noto anche come paradosso del mentitore: Il cretese Epimenide afferma che il cretese è bugiardo. La logica aristotelica bivalente si dimostra incapace di dare una risposta proprio in quanto bivalente, cioè proprio perché ammette due soli valori di verità, vero o falso, bianco o nero, tutto o niente, ma poiché contiene un riferimento a sé stessa, il cretese Epimenide afferma che il cretese è bugiardo, questa frase non può assumere un valore ben definito senza contraddirsi. Ciò implica che ogni tentativo di risolvere la questione posta, si traduce in un'oscillazione senza fine tra due estremi opposti. Il vero implica il falso e viceversa. Da ciò si deduce che l'enunciato del paradosso non è né vero né falso, ma è semplicemente una mezza verità o, in maniera equivalente, una mezza falsità. Le due possibili conclusioni del paradosso si presentano nella forma contraddittoria A e non-A e questa sola contraddizione è sufficiente ad inficiare la logica bivalente di Aristotele. Al contrario, ciò non crea alcun problema alla logica fuzzy, poiché, quando il cretese mente e non mente allo stesso tempo, lo fa solo a metà. È interessante notare come, ammettendo esplicitamente l'esistenza di una contraddizione, la condizione che la traduce venga poi impiegata per determinare l'unica soluzione contraddittoria tra le infinite possibili, cioè sfumate, a valori di verità frazionari, per la questione posta. Ciò conferma la debolezza dei principi di non contraddizione e del terzo escluso. Infatti, nella logica fuzzy l'esistenza di circostanze paradossali, vale a dire di situazioni in cui un certo enunciato è contemporaneamente vero e falso allo stesso grado, è evidenziato da ciascuno dei punti d'intersezione tra una generica funzione d'appartenenza e il suo complemento. Ciò perché il valore di verità della proposizione in questione coincide con il valore di verità della sua negazione, la non verità. Gli operatori logici and, or e not della logica booleana sono definiti di solito, nell'ambito della fuzzy logic, come operatori di minimo, massimo e complemento. In questo caso, sono anche detti operatori di Zadeh, in quanto introdotti per la prima volta dal Lotfi Zadeh. Si è detto che la teoria degli insiemi sfumati generalizza la teoria convenzionale degli insiemi. Perciò, anche le sue basi assiomatiche sono, inevitabilmente, diverse. La violazione dei due principi fondamentali della logica classica, infatti, rende possibile ad un generico elemento di un insieme, l’appartenenza parziale a quell’insieme sfumato e, contemporaneamente, al suo complemento. A causa del fatto che i principii di non contraddizione e del terzo escluso non costituiscono assiomi della teoria degli insiemi fuzzy, non tutte le espressioni e le identità, logicamente equivalenti, dell’algebra booleana mantengono la loro validità anche nell’ambito della logica fuzzy. I valori fuzzy possono variare da 0 ad 1, ma descrivono eventi che si verificano in una certa misura mentre non si applicano ad eventi casuali bivalenti, che si verificano oppure no, senza valori intermedi. Su questa base, è possibile concludere che la teoria degli insiemi sfumati contiene e comprende quella della probabilità come suo caso particolare. La realtà sarebbe pertanto deterministica, ma sfumata. La teoria del caos ne ha evidenziato la componente determinista, mentre la teoria fuzzy ha mostrato l'importanza del principio dell'homo mensura, l'uomo come misura. Inoltre, la logica fuzzy mette in discussione e modifica il concetto di logica binaria o più comunemente logica, secondo il quale i predicati possono assumere solamente due stati vero e falso. Chiunque può valutare quanto questa logica possa essere poco precisa e non aderente alla realtà che vanta molteplici sfaccettature non considerate o meglio approssimate. Nel mondo reale tutto è una questione di misure, non esiste solo il bianco o il nero, ma ci sono anche le sfumature, le gradazioni. La scienza invece tratta questi chiaroscuri come se fossero solo bianchi o solo neri. Tutto intorno a noi è in mutamento e le cose cambiano la loro identità. L'universo si sviluppa come un fiume che scorre e possiamo attribuire a ogni cosa un nome il più preciso possibile, ma malgrado i nostri sforzi questi diventeranno meno precisi, durante il cambiamento delle cose. La presunta precisione della scienza non è altro che un'approssimazione di quei contorni sfumati delle cose che altrimenti non sarebbero spiegabili con i predicati della logica classica. Questa convinzione che le cose possano essere solo zero o uno, ha origine fin dall'antichità. Persino Einstein aveva tratto le sue considerazioni sul chiaro o scuro della logica fuzzy: "Nella misura in cui le leggi della matematica si riferiscono alla realtà non sono certe. E nella misura in cui sono certe, non si riferiscono alla realtà". Bart Kosko chiamò tutto questo "il problema della non-corrispondenza: il problema è il chiaroscuro ma la scienza non contempla che il bianco o il nero assoluti." Si parla sempre in termini di zero o uno, ma la verità sta nella via di mezzo. La scienza descrive il mondo attraverso degli enunciati, ma essi non sono interamente veri o interamente falsi, non sono bivalenti ma polivalenti, la loro verità totale sta nella via di mezzo, nei grigi chiaroscuri fuzzy. Tutte le convinzioni scientifiche possono essere fatte crollare da una nuova esperienza. L'affermazione un filo d'erba è verde è messa in crisi dal filo d'erba che diventa marrone. Le leggi della scienza non sono leggi o meglio, non lo sono nell'accezione di leggi logiche come 2+2=4. Neppure Einstein offriva alternative, anzi, fermo nella sua veste di scienziato aggiunse una nuova teoria della bivalenza, il concetto di probabilità. La probabilità si indebolisce con l'aumento dell'informazione. Sembra quindi che la probabilità possa risolvere il problema della visione fuzzy del mondo e della visione della logica classica. Nonostante ciò, nemmeno la probabilità riesce ad attenuare le divergenze tra logica e dati di fatto, seppure abbia un fondamento di verità. Si deve ora considerare un'altra questione, cioè quella della traduzione. Quando una trasposizione esatta diviene impossibile, la traduzione si fa interpretazione, dimostrando al di là della varietà di lingue e di visioni della realtà, la ricerca di una unità originale del pensare e del parlare. Non pretendendo dunque di produrre una interpretazione definitiva, l’atto dell’interpretare significherà la comprensione di ogni testo il cui senso non è immediatamente chiaro. L’esistenza umana penetrata di storicità è un processo aperto e l’interpretazione è da porsi in relazione con il sapere storico. Il fatto storico è confrontato e identificato come un testo. Sia la parola dal significato giuridicamente stabilito che le traduzioni interpretanti, paragonati a testi, contribuiscono a stabilire un fondamento conoscitivo ed in quanto comprendono, cioè contengono anche in senso storico, sono epiche. L’epica conosce un’unica e unitaria concezione della realtà, come un’unica e unitaria lingua compiuta. La dilatazione del tempo dell’esperienza epica è impossibile, perché questa esperienza comprende il tempo e quindi è sovrana, con una dimensione sferica nel suo mondo concentrato comunque entro limiti cronologici definiti. La scrittura guarda all’avvenire, l’epicità invece, fa tutt’uno del passato col presente ed il futuro. Il linguaggio parlato produce sovente il punto di vista individuale. L’epica vale come pensiero stabilito e accettato dai più, perché comprensivo e quindi sintetico e l'epica appartiene sia al linguaggio scritto, come a quello orale della narrazione. L'epica conduce all'epistemologia, una scienza. L'epistemologia è una branca della filosofia che si occupa delle condizioni sotto le quali si può avere una conoscenza scientifica e dei metodi per raggiungerla. In un significato più stretto, l'epistemologia può esser fatta coincidere con la filosofia della scienza. Secondo questo significato, l'epistemologia si occupa di definire le condizioni per cui una data asserzione, modello o esperimento può essere definito appartenente alla scienza. Può essere importante chiarire che la nascita dell'epistemologia, almeno come termine, è ben posteriore alla nascita della scienza, per cui essa può essere anche vista come una ricostruzione del metodo usato dagli scienziati nella loro indagine sul mondo. Esiste cioè, fin dall'antichità, un concetto più generale di epistemologia che consiste nello studio del problema della conoscenza. L'epistemologia si interessa della conoscenza come esperienza ed è quindi orientata ai metodi ed alle condizioni della conoscenza. È importante distinguere che nei paesi di lingua inglese si intende con epistemology quella che in Italia è la gnoseologia. L'empirismo, ritenuto generalmente come il fulcro del moderno metodo scientifico, sostiene che le teorie devono essere basate sull'osservazione della realtà, piuttosto che sull'intuito o sulla fede. In altre parole, esso sostiene la ricerca empirica ed il ragionamento induttivo a posteriori piuttosto che la pura logica deduttiva. L'empirismo si oppone al razionalismo. Quest'ultima scuola filosofica privilegia l'introspezione ed il ragionamento deduttivo a priori. L'empirismo ha preparato la base per il metodo scientifico, visto in modo tradizionale come progresso scientifico tramite l'adattamento delle teorie. L'approccio matematico di Galileo alla scienza è necessario, poiché la descrizione della realtà in termini matematici, consente di ragionare per modelli, essendo la descrizione matematica di un sistema fisico, applicabile in nuovi campi, con un considerevole potenziale predittivo. Passando dall'approccio storico a quello più propriamente filosofico, uno dei problemi ricorrenti della filosofia della scienza, è il problema dell'induzione. Solitamente il problema viene esposto tramite l'esempio del filosofo David Hume per il quale ogni volta che si osserva un corvo nero, ciò dovrebbe confermare la teoria che tutti i corvi sono neri. Ma come fanno delle osservazioni ripetute a diventare una teoria, considerato il fatto che in filosofia della scienza si dà per scontato che esista un mondo reale e che esso sia conoscibile? Allora il problema dell'induzione ha a che vedere con il modo in cui osserviamo la realtà e ne traiamo insegnamenti. Il problema dell'induzione, può anche essere visto come un problema di metodo e può essere interessante allo scopo di una precisione schematica, l'uso del Rasoio di Occam, che però di fronte alla teoria fuzzy, mostra ancora un'insufficienza ed è un metodo empirico, nel senso del significato negativo attribuito oggi a qiesta parola. Guglielmo di Occam suggerì che tra le diverse spiegazioni di un fenomeno naturale si dovesse preferire quella che non moltiplica enti inutili o detto in latino entia non sunt multiplicanda. Il Rasoio di Occam è stato solitamente usato come una regola pratica per scegliere tra ipotesi che avessero la stessa capacità di spiegare uno o più fenomeni naturali osservati. Poiché per ogni teoria ci sono generalmente infinite variazioni, con dati egualmente consistenti, ma che in alcune circostanze predicono risultati molto differenti, il Rasoio di Occam viene usato in ogni fase della ricerca scientifica. Senza una regola come il Rasoio di Occam gli scienziati non avrebbero mai alcuna giustificazione pratica o filosofica per far prevalere una teoria sulle infinite concorrenti. Sebbene la teoria di Occam sia una regola di selezione tra più teorie, non basate sull'evidenza, ci sono oggi approcci matematici basati sulla teoria dell'informazione che aumenta il potere esplicativo con la semplicità. Ma Occam non dice che si deve sempre preferire la più semplice, indipendentemente dalla sua capacità di spiegare i risultati, comprese eventuali eccezioni o di rendere conto dei fenomeni in discussione. Il principio della falsificabilità richiede che ogni eccezione che possa essere riprodotta a volontà renda non valida la teoria più semplice e che la nuova spiegazione più semplice che possa effettivamente incorporare l'eccezione come parte della teoria debba essere preferita alla teoria precedente. Alla teoria della falsificazione di Popper si contrappone la teoria dell'induzione e dell'implicazione di Rudolf Carnap. Tuttavia, il problema di fondo dell'epistemologia, rimane quello dell'induzione e dell'implicazione: secondo la teoria della confermabilità e cioè che ogni cigno bianco conferma che i corvi sono neri, ossia ogni esempio non in contrasto con la teoria ne conferma una parte. Secondo la teoria della falsificabilità, invece, nessuna teoria è mai vera, in quanto mentre esiste solo un numero finito di esperimenti a favore, ne esistono teoricamente un numero infinito che potrebbero falsificarla. Tra i tipi di racconto, soprattutto le cronache partecipano all'elemento epistemologico e tra questi le cronache storiche, nell'induzione dei fatti e la successiva sistemazione teorica o scientifica. La narrazione, come pensiero e linguaggio scorrevole, è il mezzo con il quale si esplicita questa attività di induzione. Una caratteristica essenziale è la sua specifica capacità di stabilire legami tra il consueto e l'inconsueto, tra l'eccezionale e l'ordinario. Essa è in grado di riprodurre la natura dialettica del mondo e poi di unficarla e sintetizzarla. Considerato che le parole scritte, sono come parole scolpite sulle pietre e simili ad un fondamento giuridico, la parola epica può basarsi su ambedue le tecnologie oltre che alla memoria, inoltre può basarsi sulla cronaca storica, ma poi richiede un’unica espressione all’interno della comunità che la esprime, altrimenti viene meno il presupposto della omogeneità e questa omogeneità, una volta assunta la sua fisionomia, non può produrre valori nuovi, ma resta costante con valori già assunti e sussumendo gli elementi che la destabilizzano. La parola epica non ammette improvvisazione, non significa scegliere e produrre novità. Nel mondo epico il tempo è fermo e la massima, come la sentenza, ne sigilla l’immobilità. La retorica, l’arte del ben parlare, pone addirittura in discussione la validità delle proprie acquisizioni, rinnovandosi istante per istante, mentre nell’epica la memoria è il fondamento e mentre il romanzo è individuale, il genere epico è collettivo. L'epica nasce quando il poeta riesce a mettere in relazione l'eroe e le sue gesta con il superamento storico e dà al suo poema quella sorta di rilevanza universale che induce i suoi fruitori a non lasciarlo perire. I poeti epici, aggiungono a queste componenti un argomento di grande importanza. La letteratura epica, come già detto, ha uno sfondo storico e un'argomentazione che si inquadra all'interno di un contesto problematico profondo, che travalica l'argomento in oggetto nell'opera stessa. Il romanzo si contraddistingue per la relazione con l'amnesia ed in esso ci si muove nell’area del presente, associato a tutto ciò che è deperibile. Generalmente la poesia si identifica con l’immobilità e la prosa col movimento, perché lo stato di fatto in cui la poesia è ridotta alla sua natura più intima, ci offre il movimento puro, riconoscibile per se stesso, senza alcun riferimento esteriore e senza spazio. Mentre la prosa è quella stessa intensità di vita resa evidente attraverso la successione degli eventi tra cui si svolge la nostra vicenda quotidiana. Il costrutto formale fondamentale del romanzo, richiede una conoscenza adeguata della società. Il romanziere è lo storico della vita privata individuale, che raffigura caratteri, situazioni, passioni e azioni della società. Invece un passato temporale assiologico caratterizza l'epopea antica. La parola epica è una parola fondata sulla tradizione. Il mondo epico non è una semplice esperienza personale e non ammette un punto di vista e una valutazione personali. Il passato epico è chiuso in sé, in un senso positivo, delimitato nei tempi e prima di tutto delimitato al presente che dura eternamente. La tradizione caratterizza e divide il mondo dell'epopea dall'esperienza personale e da nuovi punti di vista, poiché il mondo epico è totalmente compiuto ed immutabile e la parola epica è inseparabile dal suo oggetto, poiché il suo significato contiene una unione assoluta tra oggetti e significati. Il mondo epico si costruisce nell'ambito di una immagine assoluta, estraneo al contatto della sfera del presente che diviene e divenendo è incompiuto e quindi da interpretare e valutare. Invece il romanzo è in contatto con l'elemento del presente incompiuto, fatto che non permette a questo genere letterario di cristallizzarsi. All'epopea appartiene il passato assoluto, la sua chiusura e compiutezza sia nel tutto, che in ogni sua parte e la struttura del tutto si ripete in ogni parte e ogni parte è compiuta come il tutto. Si può dire che tutto si tiene. L'umanità epica è priva di ideologia, poiché il mondo epico conosce solo un'unica e unitaria concezione del mondo interamente compiuta, ugualmente uniforme e indubitabile per i protagonisti, per l'autore e per gli ascoltatori. Conosce un'unica ed unitaria lingua compiuta. Se prevale una visione della realtà, non ci si può azzardare a usare il termine di somma in questo campo. Con ciò si entra in contraddizione con la dialettica. Qui tesi, antitesi e sintesi, sono una triade non completa. L'individuo organizza la natura, attraverso la narrazione storica. Alle origini della poesia, l'epica antica era stata la prima consacrazione del fare umano. L'epica antica raccontava i primi atti dell'essere umano per uscire dal caos dell'indistinto, la lotta contro una natura vergine, una natura amica o nemica a seconda se in essa si manifestasse l'aiuto degli dei favorevoli o l'ostilità di quelli avversi. L'epica moderna non conosce più dei, l'essere umano è solo, ha di fronte la natura e la storia. Una resa dell'individualità e volontà umana di fronte all'immensa oggettività, non può non corrispondere a una rinuncia dell'essere umano a condurre il corso della storia, a una accondiscendente accettazione del mondo, così com'è. Di fronte alla crisi della ragione è possibile creare un'unione tra filosofia, linguaggio e letteratura universale tramite un collante, l'etica. In qualche situazione è la letteratura che può indirettamente far scattare un'intuizione nello scienziato, come nell'immaginazione, per portare alle estreme conseguenze un'ipotesi oppure al contrario, quello che può fare per il letterato, il modello del linguaggio matematico e della logica formale, salvandole dal logoramento in cui sono scadute parole e immagini per il loro falso uso. Con questo il letterato non deve però credere di aver trovato qualcosa di assoluto. Anche qui può servirgli l'esempio della scienza, in considerazione che ogni cosa è parte di una serie infinita di approssimazioni. 8. L’interpretazione e il linguaggio comune. L'esperienza della vita considerata nel suo insieme di rapporti sociali, anche detta empirismo, unita alla sua consapevolezza, diventa interpretazione e la storia della cultura in generale è una conoscenza panoramica, che molte volte non considera completamente i fatti. La storia guida parzialmente la cultura e soprattutto nella sua informazione iniziale in via di sviluppo. L'interpretazione raccoglie i problemi storici, li sviluppa, cercando di risolverli. Per scendere nel particolare occorre l'interpretazione, cioè il confronto diretto con l'informazione. L'interpretazione procede in maniera analitica, la storia ha una visione più ampia e procede in maniera sintetica. La storia e l'interpretazione si incontrano sul terreno comune dell'esperienza ed entrambe si appoggiano sull'esperienza. Al di sopra della storia e dell'interpretazione, si trova il controllo critico. Fermarsi all'interpretazione solamente, significa non conoscere e perdere di vista i problemi nel loro aspetto complessivo. Lo sviluppo della lingua e l'evolversi dell'apparato vocale supralaringale sono evoluzioni collegate tra loro. In particolare l'evoluzione dentale dell'ominide ha trasformato la cavità orale in un'ottima cassa di risonanza per l'uso linguistico. Ed è per uno scopo verbale che i suoni del linguaggio sono stati formati e sottomessi a una speciale organizzazione gerarchica. Tommaso d'Aquino opponeva i suoni del linguaggio, voces, ai suoni emessi in maniera naturale dagli animali. Egli caratterizzava i primi come voci significanti, dall'istituzione dell'umana ragione e volontà. La sua definizione dei suoni del linguaggio come significanti artificialmente e dati per significare, sono i più accreditabili. Se in via sperimentale, venisse disattivato l'emisfero sinistro del cervello, questo fatto ostacolerebbe nettamente la riconoscibilità e la riproducibilità dei suoni linguistici e la conformazione accentuale della parola, ma lascia intatti il riconoscimento e la riproduzione delle intonazioni di frase. Allo stesso tempo la disattivazione dell'emisfero destro preserva totalmente la struttura della parola in un parlante, ma gli impedisce di riconoscere o anche solo notare le intonazioni di frase. Analizzando attentamente la corrispondenza tra scienza e filosofia, a quest’ultima, è possibile accordare un valore di conoscenza fondata, e che la filosofia si limiti esclusivamente ad uno studio del significato delle parole e che sia essenzialmente un tipo di semantica, in cui la parola stessa contiene qualche incertezza dal momento in cui essa viene meno al codice prestabilito, accettato da tutti, per cui nasce l'incomprensione. La comprensione linguistica è chiara finché resta sullo stesso piano, altrimenti non c'è più comprensione e quando viene meno il significato codificato dei vocaboli, il significato stabilito in precedenza viene meno ed allora non si comprende più la parola. Nel dialogo del Cratilo di Platone, la discussione verte su un dilemma linguistico e cioè se la corrispondenza del nome con ciò a cui fa riferimento, sia per convenzione o per natura, se il linguaggio aderisca completamente alla realtà e se attraverso esso abbiamo una conoscenza piena e completa. Da questa procedura di controllo interno ed esterno al discorso e per ciò che riguarda il processo di formazione di un ordine delimitante, all'idea di un passaggio dal silenzio al discorso ovvero l'esordio, si contrappone piuttosto un flusso continuo di parole nel quale si trovavano avvolti i trovatori antichi e medioevali, così come i retori, che hanno utilizzato varie tecnologie della parola, per fissare i loro discorsi intorno ad un argomento. L'opera di Platone è tesa a dimostrare l'inutilità di un ordine nel discorso, perché la confusione derivante dagli effetti degli eventi incerti della vita quotidiana è costante, poiché gli esseri umani parlano e i loro discorsi proliferano all’infinito. La constatazione della confusione dei discorsi e del significato delle parole a causa di un intersecarsi di significati, esperienze e conoscenze che hanno indebolito le certezze acquisite, inducono a restringere la sofistica, la dottrina dell'eloquio, tentando piuttosto di fondare una verità più certa e stabile. Perciò è auspicabile un metodo di pensiero che sia la fondazione di significati più certi, ma che non diventi una mappa geografica che ricopra identicamente ogni luogo. Da questa parte c'è la retorica, dalla parte opposta si trova la sofistica, con la quale si intende una molteplicità di discorsi tutti ugualmente veri e che rifiutano un ordine prestabilito del discorso. Il linguaggio è il segno delle cose assolutamente certe, perché fondato su di esse. Il linguaggio è la figurazione stessa del mondo, non è mai un sistema arbitrario, ma fa parte delle cose stesse. Nella mitologia si sostiene che un castigo biblico determinò la confusione babelica e le lingue furono separate le une dalle altre e rese incomprensibili, soprattutto là dove venne cancellata la somiglianza con le cose, la quale aveva costituito l'originaria ragione d'essere del linguaggio. Le incertezze di classificazione concettuale derivate dall'incertezza del loro significato, sono dannose per il pensiero e nascono perché non si conoscono più come si sono formati tali concetti a partire dal linguaggio comune, dando luogo a dei veri e propri conflitti. Compito del pensiero, dunque, è quello di dirimere i conflitti e sciogliere i dilemmi che nascono dall'uso del linguaggio. Gli eventi semplici sono esplicitabili con proposizioni elementari e queste proposizioni non dipendono da altre proposizioni, ma colgono e rappresentano direttamente gli eventi stessi. Tali proposizioni sono fonte di conoscenza, in quanto sono rappresentazioni ed immagini degli eventi. Il linguaggio allora, in quanto costituito da proposizioni elementari, è l'immagine del mondo ed è come una carta geografica che rappresenta il paesaggio di tutto ciò che avviene e tutto ciò che avviene è, appunto, il mondo. L'aderenza al linguaggio comune è necessaria e questa adesione esige una critica ai linguaggi complessi e specialistici delle scienze. Questo non vuol dire negare le scienze, ma soltanto che il linguaggio quotidiano deve trovare la sua origine nel linguaggio comune. Allora il compito del pensiero sistematico si chiarisce. Da un lato esso deve condurre al di là delle costruzioni artificiali e categoriali, a vedere i fatti come fenomeni originari. Dall'altro, poiché si può dire che la confusione tra artificiale e naturale dà luogo ad un conflitto ed il pensiero dovrà dirimere tale controversia, è possibile dare vita ad un sistema di pensiero le cui parole coincidano con l'intero vocabolario della lingua parlata dagli esseri umani di un determinato periodo storico, ma si deve fare attenzione che la sofistica non soffochi i pensieri, con la sua abbondanza di parole. L'interpretazione, la retorica e la filosofia pratica danno un sostegno valido al linguaggio e alla conoscenza. Il pensiero greco distingueva l'essere umano dall'animale, per il fatto che il primo ha l'uso del linguaggio, che gli ha permesso di uscire dallo stato di natura e di fondare la società. Altro aspetto importante nella filosofia e nella retorica antica. Fu la motivazione conoscitiva, nell'attribuzione dei nomi. Essi assumono una funzione essenziale nell'ambito di tale attività conoscitiva. La proprietà del denominare e l'istituzione di relazioni con gli altri elementi della frase, garantiscono la conoscenza e la comunicazione. Alla retorica va riconosciuto poi, il merito di fornire una valida alternativa a quella che si ritiene essere la crisi della ragione, cioè una crisi della razionalità scientifica e dei suoi valori più consolidati, riportando nell'ambito della razionalità più in generale, ciò che altrimenti resterebbe affidato ad una decisione puramente arbitraria. Nella matematica, in linea di principio, è sempre tutto chiaro. Ogni divergenza d’opinione, su una questione matematica può essere appianata. Un errore in un’argomentazione matematica o in un calcolo può essere provato oggettivamente. Le conoscenze si raggiungono per mezzo della logica, in modo obiettivo e sovente il calcolo puro può essere di aiuto alla dimostrazione eloquente. La nuova retorica e l’interpretazione, unite alla filosofia pratica, forniscono un modello di razionalità pratica, che sembra sottrarsi ai limiti della razionalità scientifica, l'incapacità di risolvere i problemi di senso, al non poter tenere conto della totalità, a spiegare la realtà della vita, mutando così la concezione esclusiva della retorica come arte della persuasione priva di verità e di fondamento. Infatti, in passato veniva svalutata la parola degli esseri umani come opinione, apparenza illusoria, in nome di un ideale di scienza come assoluta necessità. Di conseguenza, la parola è destinata a non diventare espressione di una realtà data, ma creatrice di una realtà nuova, illusoria ed ingannevole. La persuasione ha bisogno della dimostrazione e cioè la retorica ha bisogno del pensiero argomentante quando esso è ritenuto dimostrazione scientifica. Infatti, è veramente persuaso solo chi crede di essere nella verità e dunque crede che una verità esista, sia possibile e accessibile all'essere umano. Non è mai veramente persuaso colui che pensa di essere solamente persuaso, ritenendo quindi che nella sua persuasione non vi risieda alcun fondamento di verità. La consapevolezza degli inevitabili condizionamenti storici, culturali, sociali, linguistici, delle nostre persuasioni crea il dubbio sulla possibilità della verità. In ogni situazione linguisticamente e storicamente condizionata, sono possibili infatti persuasioni diverse e discorsi diversi. C'è la possibilità di scegliere e si sceglie quello che si giudica il discorso migliore, il più valido, in senso relativo e non assoluto, il più vero. La necessaria unione tra retorica e pensiero argomentante, cioè tra persuasione e verità, può essere fornita dalla dialettica, intesa nel senso antico, del discutere in maniera problematica. La dialettica differisce dal pensiero argomentante per la sua tipologia di carattere, perché non conosce, ma critica. Differisce dalla sofistica per la scelta etica, perché non vuole apparire una conoscenza e quindi non inganna, ma è leale, poiché argomenta correttamente dal punto di vista logico. A questa dialettica, ci si richiama come ad un modello di interpretazione. Il rapporto, infatti, che l'interprete stabilisce con il testo è quello di un dialogo, fatto di domande e di risposte, di conferme e di confutazioni delle diverse possibili interpretazioni. Questa dialettica non coincide con la retorica, che appartiene al discorso lungo, dove uno solo parla e l'uditorio tace, ma si integra, perché la retorica è speculare alla dialettica, in quanto usa le sue stesse premesse e le sue stesse argomentazioni. La differenza tra dialettica e retorica sta nel fatto che quest'ultima aggiunge alle argomentazioni dialettiche, la persuasione e la conduzione dell'uditorio. Ciò non significa che il pensiero debba assumere come premesse indiscutibili i luoghi comuni, perché il suo compito è proprio quello di metterli in discussione, di criticarli. Si ha quindi il riconoscimento dell'esperienza e della verità ottenuta al di fuori della sfera del metodo scientifico. Il primo passo da fare per rendere evidente la necessità di questo metodo, è riconoscere quelle esperienze della verità che si verificano oltre i confini che esso stabilisce. In generale, il metodo elaborato dalle scienze della natura non è in grado di comprendere la verità delle scienze dello spirito. Se riconosciamo che l'incontro con l'opera è un'esperienza della verità, tolta l'opera dall'isolamento in cui l'aveva posta la coscienza estetica, appare chiaro che incontriamo l'opera nella realtà e la realtà nell'opera. Nasce quindi l'esigenza di un'integrazione interpretativa di queste realtà diverse. Si deve fare attenzione che l'opera non rappresenti l'essenza di una cosa indipendente da essa, ma che sia un incremento di valutazione per la cosa rappresentata. Che sia vera non significa che corrisponda alla cosa come essa è in realtà, ma leggendo un'opera, il lettore incontra un'interpretazione della realtà. Appena si riconosce che l'opera viene incontrata dal lettore, essa è vera, cioè si inserisce nella realtà del lettore, perché porta in sé questa realtà tramutata in forma letteraria e la sua fruizione apre un dialogo d'intesa tra due realtà, quella del libro e quella del lettore. Questa è fondamentalmente l'interpretazione e implica la reciproca integrazione. Se la verità riguarda un evento, ogni incontro con la verità sarà incontro con un fatto che, in quanto accaduto, è passato e deve essere integrato nel mondo di colui che tenta di interpretarlo. Questa integrazione a cui mira l'interpretazione è una fusione di orizzonti. L'interpretazione mira a costituire un linguaggio comune tra l'interprete e il testo. L'opera da interpretare presenta una estraneità che l'atto di interpretazione deve superare, cioè una precedente comprensione che l'interprete possiede e che guida l'interpretazione, la quale articola in una serie di ipotesi che sono vere e proprie domande poste al testo. Su questa base, la logica interpretante si configura come logica di domanda e risposta. Tutti i caratteri dell'esperienza ermeneutica si evidenziano solo dentro il linguaggio, il mezzo, non strumento, ma elemento reggente, in cui l'esperienza interpretante si realizza. Non solo nel linguaggio avvengono tutti i processi interpretativi, ma anche i loro caratteri costitutivi sono fondati sul linguaggio e alla fine, ciò non è altro che meditazione. Il linguaggio, costituisce una mediazione tra coscienza soggettiva e realtà oggettiva e ciò perché la sua assolutezza non contraddice, ma anzi è inscindibilmente legata alla finitezza e storicità dell'esperienza. L'incontro con la realtà, si rivela come un incontro linguistico, poiché non c'è esistenza delle cose al di fuori del linguaggio. La parola si affianca alla cosa e le appartiene, in quanto appartiene alla cosa e la costituisce, è l'esperienza stessa che l'essere umano ne fa. La formazione di un concetto, la ricerca della parola giusta, costituiscono l'esperienza stessa. Il linguaggio è storia e la sua assolutezza coincide con la sua fissità. I singoli discorsi non sono solo articolazioni di possibilità già presenti nel vocabolario, ma ne modificano continuamente la struttura, arricchendola e trasformandola, la realtà è l'origine di questo vocabolario in continuo divenire. 9 Le forme della narrazione ricordante. La memoria umana sviluppandosi durante il cammino storico ha incrementato la possibilità di trattenere informazioni. L'essere umano ha subordinato la memoria ai propri fini, controllando il trattenimento dei dati, rendendola sempre più volontaria e farne il rispecchiamento di peculiarità sempre più specifiche della coscienza umana. Ciò conduce al problema della memoria verbale, che nell'essere umano contemporaneo ha una funzione essenziale e che si basa sul trattenimento e la registrazione degli avvenimenti, con la loro successiva formulazione verbale. Per confrontare meglio il funzionamento della memoria è necessario osservare lo sviluppo della memoria infantile. L'adulto mette in moto diverse operazioni quando ricorda direttamente qualcosa o quando ricorda con l'aiuto di uno stimolo supplementare. Il bambino che ricorda per mezzo del materiale ausiliario, costruisce le sue operazioni su un piano diverso dal bambino che ricorda direttamente, perché dal bambino che usa segni e operazioni ausiliarie non si richiede la forza della memoria, quanto la capacità di creare nuove connessioni, nuove associazioni e nuove strutture, con una più ricca immaginazione e un pensiero ben sviluppato. Nella situazione mediata, cioè il modo in cui l'essere umano ricorda appoggiandosi a determinati segni, la memoria cambia posto nel sistema delle funzioni psicologiche. Ciò che con la ritenzione immediata viene preso immediatamente dalla memoria, nella ritenzione mediata viene preso con l'aiuto di una serie di operazioni psichiche che possono non avere nulla in comune con la memoria. Il pensiero del bambino nella prima infanzia è completamente diverso dal pensiero del bambino di età più matura. Per il bambino piccolo, pensare significa ricordare, cioè appoggiarsi alla propria esperienza precedente. Il pensiero si sviluppa in diretta dipendenza della memoria. L'oggetto dell'atto di pensiero per il bambino non è la struttura logica dei concetti stessi, quanto il ricordo. Nella prima infanzia, per il bambino significa ricordare, per l'adolescente vuol dire pensare. La sua memoria è talmente subordinata all'attività logica che ritenere significa stabilire e trovare i rapporti logici, mentre il rievocare alla memoria consiste nella ricerca del punto che deve essere trovato. Anche il nostro modo normale di rendere conto dell'esperienza quotidiana, prende la forma di un ricordo, di una storia. Nessuno vive nell'immediato presente. Infatti colleghiamo cose ed eventi mediante la memoria, storia o mito che sia e vivendo sulla base di due memorie, quella personale e quella collettiva. Questa mescolanza di memoria individuale e memoria collettiva porta la mente all'indietro e le fornisce una sensazione di illimitatezza. È quindi facile capire perché la finzione narrativa affascina tanto. Offre la possibilità di esercitare senza limiti quella facoltà che si usa sia per percepire il mondo, sia per ricostruire il passato, immaginare il futuro ed immaginare realtà molteplici. La finzione ha lo stesso valore del gioco, perché giocare talvolta è come simulare situazioni. Attraverso la finzione narrativa, addestriamo la nostra capacità a dare ordine sia all'esperienza del presente sia a quella del passato ed essere poi in grado di simulare, con elementi del reale, situazioni finte e non reali. La creatività nell’attività della finzione diventa un metodo di ricerca e di conoscenza, in cui è necessaria l'originalità e l'innovazione. Ciò rende possibile l'accostamento anche di conoscenze già acquisite, dando a loro un valore nuovo, tramite il metodo dialettico. Questo metodo ha una grande validità, solo se la filosofia della prassi viene concepita in tutto e come una filosofia completa che dà inizio ad una nuova fase nella storia e nello sviluppo del pensiero. La storia è creazione continua dell'attività umana e nella storia, l'umanità produce se stessa. Il principio motore della storia viene dai bisogni umani, come lotta economica. La retorica si inserisce nel processo continuo di creazione dell’attività umana, come pensiero, linguaggio e prassi. Basta che un avvenimento venga percepito come rilevante per la storia, basta che gli venga attribuito il significato di fatto storico, perché si sia indotti a vedere in questa prospettiva gli avvenimenti precedenti, come se fossero collegati fra loro. Perciò dal punto di vista del presente, si selezionano e si interpretano gli avvenimenti del passato, nella misura in cui nella coscienza collettiva se ne conserva il ricordo. Il passato viene allora organizzato come un testo, letto dal punto di vista del presente. Gli eventi più significativi inducono quindi, ad allineare gli avvenimenti precedenti in una serie storica. Così si forma l'esperienza storica, che non si identifica con le reali conoscenze depositate e accumulate gradualmente nel tempo, via via che gli eventi si presentano, nel movimento progressivo della storia, ma consiste nei rapporti di causa ed effetto individuati dal punto di vista sincronico. In seguito possono verificarsi altri avvenimenti, tali da suggerire una nuova lettura dell'esperienza storica, una sua nuova interpretazione. Così il passato viene nuovamente interpretato alla luce di un presente che è mutevole. In questo senso, la storia è un'alternanza fra presente e passato. Una particolare esperienza storica è l'interpretazione del passato, che a sua volta influisce in maniera naturale sul corso successivo della storia e a partire da tale esperienza, la società come personalità collettiva, costruisce il programma del futuro, progetta il proprio comportamento. Di conseguenza, la percezione della storia è uno dei fattori principali dell'evoluzione della lingua, cioè della lingua in cui avviene la comunicazione nel processo storico e quindi della sua interpretazione. A ogni nuovo passo progressivo della storia, cambiano sia il presente, sia il passato e si definiscono le vie successive dello sviluppo storico. La coscienza storica pone in atto una visione lineare, non ripetibile, non ciclica e ricorrente del tempo. Per questo tipo di coscienza, è centrale l'idea di evoluzione e non quella di predeterminazione di tutto l'esistente, una evoluzione nel corso della quale si realizzano di continuo stati sostanzialmente nuovi e non si ripetono quelli vecchi. Il materialismo storico si presenta come un pensiero problematico e si propone di realizzare non già la comprensione della realtà storica e sociale esistente, ma la proposta di una realtà nuova e la dialettica diventa la chiave per cogliere in ogni fenomeno storico, l'intrinseca necessità delle forze economiche che guidano lo sviluppo e trasferita nel dominio delle scienze, risulta uno strumento speculativo dei loro risultati. È comunque da ritenere che, se nel corso storico si presentano situazioni identiche, la cui rilevazione fa assumere un aspetto di scienza o legge, è altrettanto vero che la mente umana è in grado di operare in maniera distinta dalle forme economiche e dalle situazioni storiche, in caso contrario non sarebbe possibile affermare neanche la possibilità di una coscienza individuale e di una coscienza di classe, una coscienza collettiva a cui contribuiscono a costituirla tante coscienze individuali, laddove come nel pensiero di Marx, è importante l'analisi economica nella determinazione della necessità storica. Il problema della conoscenza storica diventa il problema di una costruzione universale, cioè il problema di comprendere la storia come processo unitario. Ciò vuol dire che ogni parte della storia deve essere riferita al tutto e il tutto come immanente alle sue parti e come loro fondamento. La comprensione della storia come processo unitario è quindi la comprensione dei fatti storici nella loro azione reciproca, nell'ambito della totalità del processo storico. Il processo storico deve essere indagato nella successione delle forme di oggettività a cui i rapporti tra gli esseri umani danno origine. In tale maniera è possibile stabilire quali siano le tendenze di sviluppo intrinseche alla storia e il modo in cui esse orientano il susseguirsi degli avvenimenti. È l'affermazione del carattere umano della dialettica, cioè nel riconoscimento delle forme di oggettività come sostanza del divenire della storia. 10 La scienza e la narrazione storica. La storia è una successione continua di fatti che non restano in maniera permanente nella memoria ed allora nasce l'esigenza di conservare per il futuro, la storia passata. Molti sono i racconti che per l'enorme varietà di generi ed il racconto è presente in ciascun genere, in tutti i tempi ed in tutti i luoghi. Esso comincia con la storia stessa dell'umanità. Il racconto rende comprensibile ogni possibile deviazione di senso. La validità di una cultura consiste nella sua capacità di risolvere i conflitti, di comporre le differenze e di negoziare i significati differenti. La negoziazione dei significati, può avvenire grazie alle strutture della narrazione, delegate a trattare contemporaneamente i contrasti. Così oltre a disporre di un insieme di norme, una cultura può anche disporre di un sistema di interpretazione in caso di scostamenti dalle norme, tale che possa assegnare dei significati. La presenza di una convenzione culturale ed una deviazione da essa, spiegabile in base a uno stato intenzionale individuale, fa parte della struttura stessa del racconto. Ciò conferisce ai racconti una validità di conoscenza. La narrazione letteraria attuale, ha determinato un cambiamento, ridimensionando il narratore onnisciente che era a conoscenza del mondo reale e delle modalità con cui i protagonisti lo stavano trasformando. Il romanzo moderno ha affinato la sensibilità per quella forma di conflitto che si crea tra due persone che cercano di conoscere il mondo esterno da prospettive differenti. Ciò mette in evidenza fino a che punto culture storiche diverse trattino i rapporti tra i due punti di vista. Il libro considerato astrattamente, è il luogo della memoria ed in molti casi, una normativa. La precarietà della realtà quotidiana è in relazione col libro stesso e sovente, la realtà dipende da un libro, poiché talvolta conferisce delle regole. Tale libro è come lo specchio di una parte della natura e la parola epica, legata al fatto storico, è anche figlia della natura e dell’enciclopedia. La realtà è in continuo movimento e l'esperienza diventa un processo fondamentale che deve essere compiuto in maniera completa, prima di esprimere una parola o un discorso stabile e certo. Di fronte alla realtà quotidiana, l’esperienza diventa l'atteggiamento attraverso il quale essa può venire compresa con una sufficiente probabilità, basandosi sulla sequenza della successione degli avvenimenti, la loro descrizione e la definitiva storiografia. Solo ciò fa capire che il tentativo di comprendere tutta la serie degli avvenimenti, viene fatto sulla base della storiografia, il racconto di un racconto o di una serie di racconti e la narrazione storica non è niente di più di ciò che uno storiografo può descrivere, mentre la forma della cronaca non è niente di più che la descrizione del fatto stesso narrato. I fatti costituiscono la materia prima per lo storico e la scelta di questi fatti, dipende da una decisione precedente al racconto storico. Quindi occorre l'interpretazione del fatto. La storia ha due lati. Uno quando essa è una compilazione oggettiva dei fatti, con la prevalenza dei fatti stessi sull’interpretazione. L'altra e una concezione della storia, un prodotto soggettivo della mente di chi racconta la storia, che valorizza i fatti storici piuttosto che altri e li espone mediante l'interpretazione. Il metodo storico si avvale di un procedimento di tipo induttivo, in cui prima si raccolgono i fattti e poi si interpretano. Nella scienza non vi è per oggetto qualcosa di statico e senza tempo, ma un continuo processo di trasformazione. Nell’ambito scientifico, ogni operazione conoscitiva, implica l’accettazione di concetti basati sull’esperienza, che rendono possibile la ricerca scientifica, ma che possono essere modificati mediante la ricerca stessa. Tali ipotesi possono valere in determinati contesti o per determinati scopi, anche se la loro validità cessa in altri contesti o per altri scopi. Il criterio di validità è empirico e cioè la capacità di stimolare nuove indagini e ampliare il campo della conoscenza. Il carattere delle ipotesi usate dallo storico nel corso della ricerca, appare assai simile a quello delle ipotesi usate dallo scienziato. Anche nella storiografia c’è un’imprecisione. Questa imprecisione costituisce un limite allo sviluppo della ricerca impedendo l’aspettativa che lo stesso avvenimento si ripeterà. Infatti le differenze si accumulano, finché non possono più venire ignorate e prese nell’insieme dell'intero fenomeno storico. Allora anche le cronache aiutano nello scopo di trovare una ripetibilità e la storia comincia a trarre il suo senso dal momento in cui è un insieme di atti legati tra loro. In un libro è possibile immaginare una biblioteca, una correlazione con altri libri, poiché è l’espressione di una serie di legami e rimandi ai libri e dalla loro proliferazione nasce il desiderio del libro unico e della parola unica. Libri riuniti in un solo libro. A partire dall'antichità, l'epica, un tipo di letteratura a base storica, è il genere che racchiude le vicende storiche del mondo, per illustrarlo pienamente, incorporando la realtà intera. L'unità dell'argomento di un libro, di un testo o di un discorso è relativa, perché perde la sua evidenza non appena si interroga a fondo tale testo ed esso incomincia a realizzarsi soltanto a partire da una unità del discorso. Nel caso in cui tra un certo numero di enunciati e concetti, si possa invece definire una regolarità, un ordine e delle correlazioni, si dirà convenzionalmente che ci si trova di fronte a una formazione discorsiva, evitando in tal modo parole troppo gravide di conseguenze e inadeguate come scienza, ideologia e teoria. L'unità del discorso la si trova negli oggetti stessi del discorso, tra le differenze che si mostrano al soggetto che parla o che scrive e alla fine ciò rimanda a relazioni che caratterizzano il discorso e si rivela così non una configurazione o una forma, ma un insieme di regole connesse a un tipo di pratica e la definiscono nella sua specificità. È necessario fare un esame degli elementi del discorso, che ne mettano in evidenza la loro connessione. L'organizzazione di un insieme di regole, nel discorso, può determinare il racconto storico. Una struttura discorsiva non occupa tutto il possibile campo che le apre il sistema complessivo dei suoi contenuti, delle sue enunciazioni, dei suoi concetti. Essa è forzatamente lacunosa e ciò a causa del sistema complessivo di formazione del suo enunciato. Da ciò deriva il fatto che una data struttura discorsiva una volta ripresa, posta e interpretata in un nuovo sistema, può far apparire delle nuove possibilità. L'unità e l'identità di un enunciato è soggetta a un secondo insieme di condizionamenti e di limiti, quelli che gli vengono imposti dall'insieme degli altri enunciati in mezzo ai quali figura, dal campo in cui si può utilizzare o applicare, dal ruolo o dalle funzioni che deve esplicare. Il non detto non intacca l'enunciato. La pluralità di significati possibili che incoraggiano l'interpretazione e la scoperta di altri significati, riguarda la frase e i campi semantici che essa apre, perché un unico insieme di parole può dare luogo a più sensi e a più costruzioni possibili. Ci possono essere dei significati diversi, ma essi hanno tuttavia, una comunanza enunciativa che rimane identica. L'enunciato non è caratterizzato necessariamente dalla presenza di significati nascosti ed anzi il modo in cui si palesano questi elementi nascosti, dipende proprio dalla modalità di enunciazione. Tutta la massa di testi che appartengono ad uno stesso tipo di argomento e i tanti autori che non si conoscono e si ignorano, si intrecciano senza saperlo, uniscono tra loro i discorsi in una trama che non possono dipanare, che non vedono completamente e di cui non riescono a valutarne l'ampiezza. Il pensiero logico e scientifico si occupa delle cause di ordine generale e del modo per individuarle e si serve di procedure volte ad assicurare la verificabilità e la verità empirica. Il suo linguaggio è regolato dal criterio della coerenza e della non contraddizione. L’ambito è costituito non solo dalle realtà osservabili, ma anche dall'insieme delle realtà possibili che si possono produrre con tante storie possibili e molto diverse, confrontare con le realtà osservabili. L'uso creativo del pensiero scientifico produce teorie e scoperte che si appoggiano su ipotesi ragionate, ma in questo caso l'immaginazione è diversa da quella del romanziere o del poeta, che si esprime nell'attitudine a cogliere possibili relazioni ancora prima di dimostrarle formalmente. Il compito empirico nelle attività di tipo umanistico è proprio quello di creare e di sviluppare ipotesi. È mediante la creazione di ipotesi che prendono forma una molteplicità di realtà possibili. Nella misura in cui anche la scienza comporta la creazione di ipotesi, si può dire che è affine all'attività di tipo umanistico. Il linguaggio ha la caratteristica essenziale di essere organizzato in diversi livelli, ciascuno dei quali fornisce gli elementi costitutivi al livello superiore. Ogni livello ha un proprio tipo di ordine, ma tale ordine è sottoposto all'organizzazione del livello superiore e poiché ogni livello è sottoposto a quello superiore, i tentativi di comprenderne uno qualsiasi per se stesso sono destinati al fallimento. La struttura del linguaggio è tale che ci consente di passare dai suoni alle intenzioni che si esprimono in atti linguistici e discorsi, tramite i livelli intermedi. Il tragitto da seguire per compiere questo percorso varia a seconda degli obiettivi. Per collegare insieme un'espressione in particolare, si selezionano e si combinano delle parole. Il modo in cui sono compiute queste operazioni dipendono dagli scopi che vengono prefissati nel pronunciare qualcosa. Il discorso riferito ad una cosa nell'intento di dirigere su di essa l'attenzione di un ascoltatore, esige un processo interpretativo. Il linguaggio è un modo per mettere ordine nei pensieri che riguardano la realtà ed è un modo di organizzare l'azione. La realtà fornisce i concetti, le idee e le teorie che consentono al lettore o all'ascoltatore di raggiungere livelli intelliggibili più elevati. Essi gli forniscono un mezzo per tornare sui propri pensieri e vederli in una luce nuova. In questa fase la mente riflette su se stessa. E gli aspetti della realtà precedente, forniscono dati per le costruzioni successive. Allora diventa importante l'azione detta della ricorsione, cioè il processo mediante il quale la mente riprende un’operazione mentale precedente e la utilizza come un dato per costituire l'operazione successiva. Ogni cultura vive un processo di elaborazione costante, in quanto viene continuamente interpretata e negoziata dai suoi membri. Ciò diventa uno strumento di regole e indicazioni per l'azione stessa. Il linguaggio diventa lo strumento per conseguire tali obiettivi. Occorre una riflessione sull'osservazione delle leggi della natura a cui devono adattarsi le leggi civili, che sono un prodotto dell'attività intellettuale umana e possono essere continuamente adattate. La comprensione storica, il rapporto con la natura e l’autocoscienza dell'essere umano, questi sono i principi di base. Il comportamento umano è basato su una struttura di segni comunicativi, stabiliti col tempo. Ogni comportamento presuppone un'organizzazione di significati che danno delle direzioni normative, mediante le quali si crea il rapporto tra essere umano e ambiente. Ogni comportamento è l’esecuzione di atti codificati, cioè l'essere umano realizza il suo inserimento nell'ambiente attuando delle regole stabilite nel corso di una tradizione. Considerando i rapporti fra linguaggio verbale e cultura, occorre registrare che vi è uno stretto rapporto tra essi e cioè, la determinazione dei sistema di vita si realizza mediante il linguaggio verbale. La scrittura stessa è una forma di pratica del linguaggio ed ha un soggetto. Il soggetto di questa pratica non può essere che un soggetto pratico complessivo, quindi non solo soggetto di scrittura, ma un soggetto politico. Scrivere significa l'accumulo di una esperienza politica e materiale e l'atto di scrivere si rivolge verso la realtà, conoscendola e riducendola a linguaggio. Conoscere non significa trovare il senso nascosto nella realtà, ma organizzare dei significati coerenti, in un sapere. La realtà è l'insieme dei rapporti materiali, storici e psicologici che formano il pensiero e il linguaggio. Il pensiero e il linguaggio non sono già formati sullo stato di natura. È il divenire storico a formarli. In senso giuridico, questo processo è l'unione tra attività di pensiero e attività pratica. Ciò costituisce un'anticipazione indiretta dell'equiparazione che il pensiero materialistico e storico stabilirà tra discorso letterario, discorso comune e discorso scientifico, riconducendoli, al di là delle loro peculiarità, ad una stessa base di conoscenza. Ecco allora, che il pensiero diventa problematico, grazie all'ausilio della dialettica e la forma del pensiero problematico diventa la sintesi del pensiero dialettico, fornendo un quadro panoramico della natura, in forma sistematica con l'apporto dei dati delle scienze naturali. Il reale è oggettivo, cioè quella realtà accertata dagli esseri umani, equidistante da ogni punto di vista particolare. Oggettivo significa umanamente soggettivo, quindi storicamente soggettivo. La scienza è così un movimento in continuo sviluppo. Ciò appartiene ad una filosofia fondata sul sapere storico, nel senso di una semplificazione alla realtà storica e ai suoi problemi, per modificarla, per elaborare di volta in volta la conoscenza. L'oggettività non è indipendente dall'essere umano e fuori dalla storia. I fenomeni non sono qualcosa di esistente in sé e per sé, bensì qualità che l'essere umano ha distinto. In linea di principio, per allargare la conoscenza, occorre prendere consiglio sia dall'ignorante, sia dal sapiente, perché non si raggiungono i limiti dell'arte e non esiste artigiano che abbia acquisito la perfezione, senza partire dagli elementi sconosciuti e inesperti. Il sapiente è saggio per quello che conosce e l'ignorante offre la sua esperienza. L’artigiano crea la parola perfetta, la cosa più difficile di qualsiasi altra e parlare è il mestiere più difficile di ogni altro. La consapevolezza di ciò dà autorità alla parola. Diventa necessario parlare solo quando viene raggiunta la padronanza del mestiere di coniatore di parole e discorsi autorevoli. Chi parla in maniera perfetta raggiunge un modo di vivere giusto e controllare la parola diventa indispensabile per chi voglia rivestire la condizione dei notabili, pronunciando parole elevate. 11 Filosofia e conoscenza. Bisogna distinguere tra sapere e conoscenza, perché mentre il termine conoscenza è riferito soprattutto all'aspetto logico e razionale del pensiero, il termine sapere richiama sia le conoscenze cognitive sia quelle non cognitive, cioè le conoscenze percettive, emotive e fantastiche. Sapere e conoscenza riguardano la realtà come informazione, in cui la realtà è esterna alla mente, ma le descrizioni della realtà non lo sono e possono essere soggetta al vero ed al falso. La realtà di per sé non può essere soggetta a vero e falso. Solo dopo che l’individuo ha adottato un determinato linguaggio, la realtà può essere la causa o meno delle sue credenze e la realtà è costruita per mezzo di un vocabolario. Fondamento del sapere è il possesso di un vocabolario, nel senso di un patrimonio linguistico non solo personale. Questo vocabolario è settoriale o allargato a seconda che sia rivolto ad una materia specifica o ad una interdisciplinare. Invece il discorso di contenuto non semplicemente problematico è in grado di produrre un discorso totale su cui si fonda l'unità dell'individuo e della realtà. Il rapporto dell'essere umano con la realtà è nel sapere, in cui la realtà si tramuta in pensiero. Nel potere è oggetto di un'azione finalizzata e il potere collega l'essere umano sia alla natura, che all'individuo stesso. È possibile attribuire un senso a tutta l'attività umana, che si manifesta anche nelle varie forme di pensiero, come uno sforzo per allontanarsi dalla preistoria. Per raggiungere questo risultato occorre eliminare innanzitutto l'irrazionale, il non conosciuto, per guidare e dirimere la realtà caotica. Il pensiero filosofico quando è un pensiero problematico, è una conoscenza necessaria per realizzare il sapere completo e totale ed influenzare direttamente la prassi umana, presupposto per la conoscenza. Ma il pensiero filosofico e problematico non esaurisce la conoscenza, collocandosi al centro della storia e non rendendosi mai indipendente dal discorso storico. Perciò occorre risalire alle radici storiche dell'individuo. Per comprendere la storia, bisogna che il pensiero filosofico e problematico si concluda in una enciclopedia che considerata come un'opera di compilazione, è un genere che raccoglie il sapere. Attraverso la comunicazione viene risolto il problema della totalizzazione del sapere, cioè il contrario della specializzazione. Ciò implica che il soggetto del sapere universale sia innanzitutto un soggetto sociale, poiché l'enciclopedia non può avere un solo autore, né un solo lettore e perciò la lingua è il mezzo della comunucazione completa ed oggettiva. L'accrescimento delle conoscenze, l'aumento progressivo e senza misura dei libri e degli specialisti di ogni tipo, crea inevitabilmente un disordine nell'universo del sapere. I progressi intellettuali corrispondono ad un accrescimento culturale, ma senza disordine non c'è progresso del sapere. Vi sono linee di pensiero che tentano di dare un ordine al sapere, che per definizione contraddice il progresso del sapere, ma la crescita del disordine è necessaria allo sviluppo delle scienze. È quindi necessaria una crescita parallela del disordine, insieme all'ordine. La soluzione consiste nel facilitare la produzione di informazione sull'universo culturale, cioè l’ordine. Il modello del sapere artigianale, quello proprio a chi fa esperienza conoscitiva e poi la applica, si delinea attraverso la contingenza della situazione e l'assenza di una regola esatta della produzione del sapere. Tutto quello che si può incontrare in questo modello, sono delle abilità che rendono capaci coloro che le possiedono meglio. Queste abilità non sono astrattamente definibili, ma dipendono dall'esperienza e dall'apprendimento. Esse appartengono ad un individuo e alla sua storia e costituiscono un sapere che non è trasmissibile direttamente, perché nessuno può eguagliare l'esperienza di una storia personale. Non è dunque un sapere di tipo scientifico, ma piuttosto corrisponde alla phronesis, la prudenza, quella saggezza individuale in cui le variazioni contingenti generano regolarità probabili al posto delle leggi esatte della realtà. Si può dire solo con un margine di approssimazione quand'è che si cessa di essere apprendisti, perché ciò accade quando i successi cominciano a essere più frequenti, ma non si può mai dire quando termina l'apprendistato, perché significa smettere di apprendere, ossia arrivare al momento in cui l'esperienza è completa e finita. Se ciò accadesse, si cadrebbe nella riproduzione meccanica, che è proprio l'opposto del modello artigianale. La razionalizzazione dell'avanzare del processo cognitivo e di quello dell'esperienza, annullano ogni contingenza eliminando la possibilità della sconfitta, ma anche quello della capacità eccezionale. La filosofia, da materia specialistica e separata dalle altre, dovrebbe trasformarsi e svilupparsi in un pensiero critico dell'individuo su se medesimo e tale attività, retta da un pensiero coordinatore, lo valorizzerà in tutta la sua persolalità. Quindi anche la politica dovrebbe svilupparsi in questo senso. Non più come attività separata, ma integrata tra esperienza, prassi e filosofia che dovrebbe orientarne tutta l'attività. La filosofia quindi, deve fare della realtà, compresa la politica, l'oggetto della sua critica. Anche la politica però, deve diventare interesse e lavoro per tutta la comunità, funzione di pensiero e riflessione critica. Affinché si realizzi il rapporto descritto, anche la politica deve progredire nella direzione dello sviluppo della personalità dell'individuo, identificandosi nel pensiero. La manifestazione di un pensiero problematico come saggezza della realtà, non può limitarsi ad ignorare la filosofia stessa, ma deve scaturire dalla riflessione critica di essa. Il marxismo creativo, critico e non dogmatico, può essere già sufficiente ed allora qualsiasi orientamento filosofico può avvicinarsi al marxismo creativo. Nell'ambito del sapere è legittima solo la rappresentazione concreta del reale, cioè la scienza ed il materialismo dialettico. Il suo essere scienza, come rappresentazione concreta del reale è fondamentale. Il marxismo si presenta come sintesi della teoria e della prassi. Dalla diversità dei fatti umani e della realtà, come universalità storica e concreta. Il compito del pensiero problematico si riassume nel realizzare sotto forma teorica, l'universalità sottesa all'unità pratica. L’intellettuale critico è come uno scienziato che si sforza di elevare la sua concezione generale della realtà, all'altezza richiesta dallo sviluppo e dal progresso delle conoscenze in tutti gli ambiti, all'altezza del compito pratico di trasformare la realtà in maniera conforme alle sue leggi e di elaborare i concetti universali richiesti da tale progresso e da tale trasformazione. Questa concezione del pensiero problematico deriva dal fatto che l'essere umano è elaboratore e creatore del pensiero e questo concetto unisce la verità di una rappresentazione alla sua fonte. Il passo successivo consiste nel considerare l'oggettività della realtà come unità di teoria e prassi. Il marxismo considera la filosofia, ma non il pensiero, come un pensiero specialistico. Nel pensiero, la verità è strettamente connessa alla pratica e all’esperienza, con un tempo speculativo senza fine. Nessun discorso contiene il senso ultimo della realtà. Non c'è nessun pensiero che possa fornire un punto fisso là dove si dispieghi la piena e apparente certezza di un sapere assoluto. Non esiste il discorso fondatore e la filosofia non è più una disciplina autonoma, un fine in sé, un inizio e una conclusione. La filosofia non può che tramutarsi in pensiero problematico, rifiutando la separazione tra la speculazione filosofica e l'acquisizione del sapere, attraverso la riflessione e l'esperienza. La storia della filosofia si presenta come una filosofia ristretta che ha l'effetto di allontanare gli intellettuali dalle questioni vive dell'epoca, là dove invece si preferirebbe un intervento qualificato. Il progresso del pensiero problematico consiste nel risolvere i problemi ed esso ha un ruolo essenzialmente critico. Il pensiero problematico cerca i dati mancanti necessari a trovare le soluzioni. Proprio perché la decisione è il fine ultimo, non c'è un pensiero problematico concluso. Per le sue caratteristiche interrogative e critiche, il pensiero problematico si definisce come desiderio di sapere e non come il sapere. Un desiderio di sapere, che non cerchi solo il sapere, ma la risoluzione dei problemi. L'idea di un principio ed influenza esterna alla filosofia è un fatto che contraddice il suo essere un fondamento razionale di tutte le discipline, poiché presuppone l'ulteriore specializzazione dell'attività di pensiero, in seguito a ragioni derivate dall’aumento quantitativo di conoscenze nel sapere moderno, fatto che conferisce al pensiero problematico un ruolo metodologico. Perciò diventa necessario rispettare questo metodo, considerando i differenti settori disciplinari, al di fuori di ciò che pertiene direttamente alla storia della filosofia, come ambiti della filosofia. Affermare questo significa riconoscere che non c'è una filosofia prima alla base di tutto. Il pensiero problematico è un pensiero senza le tradizionali divisioni. L'ipotesi è che vi sia un terreno comune, in rapporto con altri contenuti disciplinari. Il contenuto di una disciplina specifica dipende esclusivamente da uno specialista e tale dipendenza non è necessariamente favorevole al filosofo, in una situazione nella quale domina la filosofia ristretta. Alla filosofia problematica però, è necessaria una costruzione paziente del pensiero, con la collaborazione di settori di ricerca specializzata. La storia della filosofia è in una certa maniera, necessaria per l’intellettuale, perché la sua competenza deriva dalla conoscenza storica che ha, ma il non esaurirsi dei problemi filosofici impedisce che la conoscenza della tradizione filosofica diventi sufficientemente esauriente e la storia della filosofia non deve avere un campo strettamente delimitato, altrimenti declina verso un tipo di filosofia ristretta. L'idea della filosofia come disciplina onnicomprensiva è un’idea antica che dà testimonianza dell'unità avuta in passato. In questo contesto, non vi è quasi confine tra filosofia ed enciclopedia, ma la filosofia inclina verso il pensiero problematico, perché questo è una metodologia e non un sapere codificato ed esauriente ed inoltre è volto alla ricerca del dato risolutivo, che trova nella storia della filosofia e nelle discipline specializzate e collegate alla filosofia classica. Tuttavia il collegamento con l’enciclopedia resta, perché l'enciclopedia non è prodotta da un soggetto unico. Sua caratteristica è la possibilità che ognuno possa accedervi e percorrerla da una parte all’altra. Il senso dell'unità enciclopedica non è nell'astrazione, ma nel trasformare i concetti e nello stabilire collegamenti. L'enciclopedia è un sistema di collegamenti concettuali. Il compito della storia della filosofia è di operare quella connessione continua in cui consiste un'enciclopedia e di favorire questa realizzazione. Quello che comunemente si chiama il filosofare si rende necessario per respingere argomentazioni incerte o sbagliate, poiché tramite il pensiero si aspira a trovare la parola risolutrice. Il contrario è il trovarsi confusi, per tutto il tempo che non è stata scoperta la soluzione ed eliminata la confusione. Il problema filosofico è la consapevolezza del disordine nei concetti, trovare la parola con cui si riuscirà ad esprimere la cosa e a renderla intelleggibile. La scelta delle parole è importante, perché vi si deve cogliere esattamente la fisionomia della cosa, perché solo un pensiero orientato in maniera esatta può risolvere i conflitti intellettuali. Compito del pensiero problematico è dare forma ad un'espressione in modo tale da trovare la soluzione. Il linguaggio riflette la realtà dai suoi significati. Per attivare la razionalità, il pensiero problematico deve soddisfare nell'essere umano due fondamentali tipi di bisogni. Il bisogno legato all’esigenza di conoscere, il bisogno teoretico e quello legato all'esigenza di agire, il bisogno pratico. Il bisogno pratico più importante è quello di eliminare l'incertezza del futuro. Attraverso l'interpretazione del pensiero come ricerca, come attività che elimina il dubbio e aumenta la credenza, si possono usare tutti e tre i termini in un senso abbastanza ampio. Si usano il termine dubbio e credenza, per designare l'inizio di una qualsiasi questione e la sua risoluzione. Con il termine ricerca non si deve intendere niente di più che la transizione dalla domanda alla risoluzione. Per questo è così importante essere chiari circa la natura della credenza, la quale gode di tre proprietà. La prima proprietà, è qualcosa di cui siamo consapevoli. La seconda riguarda il dubbio e la sua eliminazione e la terza comporta lo stabilirsi nella nostra natura di una regola d'azione, di un'abitudine. L'essenza della credenza è lo stabilirsi di un'abitudine e differenti credenze si distinguono dai differenti modi d'azione conseguenti. Una credenza vera è una credenza destinata a incontrare alla fine il consenso di tutti coloro che indagano scientificamente. Il compito dello scienziato consiste anche nel sapere come reagire di fronte all'ostacolo, di fronte alla difficoltà, di fronte al problema. Essi devono trovare il modo in cui sistemare l'insieme del sapere acquisito per introdurvi nuovi elementi che si presentano adeguatamente incompatibili con il sistema di pensiero precedente. È allora che devono scegliere le soluzioni più adeguate, quelle che permetteranno ulteriori progressi. La loro attività è fatta di ponderazione, scelta e decisione finale. Vi è alla fine un'attività razionale e consapevole senza separazione fra conoscenza ed esperienza. Lo scienziato partecipa in prima persona, direttamente, alle vicende quotidiane. Il contrario sarebbe un'opposizione ad ogni condizionamento storico e sociale del sapere e del suo sviluppo dialettico, che solo permette di spiegare la sua crescita e il suo sviluppo. La decisione finale sarà comunque al riscontro dell'esperienza. È di fronte a quest'ultima che si potrà ristabilire una convergenza della comunità scientifica e della comunità generale che si trovi di fronte ad un fatto nuovo che non è collegato allo schema del sapere antecedente. Gli intellettuali procederanno alla riorganizzazione di questo sapere, tenteranno di integrare il fatto nuovo, in modo che cessi di essere inatteso e inspiegabile e in modo che il sapere riorganizzato possa meglio subire la prova di esperienze future e solo una sistematizzazione che permetta di integrare l'insieme dei fatti conosciuti, potrà ottenere l'accordo unanime della comunità in generale. 12. Dalla filosofia al pensiero problematico. Oggetti e persone possono essere definite in maniera approssimativa con una frase. Questa frase è l'inizio di una serie continua di frasi che spiegano la prima frase. Accade che ogni soggetto definito non comandi tali frasi, ma sia subordinato a queste. La vita stessa è talvolta percorsa da una frase che diventa sempre più complessa, una frase pronunciata che implica una serie complessa e collegata di frasi, che si annodano le une alle altre senza fine, perché nessuna di esse ha un compimento definitivo. Ciascun soggetto quindi, è stimolato da una frase e questa frase è intersecata da frasi scaturite dalla sua origine, dalle sue possibili variazioni che si richiamano e che rimangono sospese in uno stato di dubbio ed incertezza che è la condizione dell'essere umano. L'unica risposta a tali incertezze è la riflessione e l'azione dello scrivere, per stabilire delle certezze su una realtà che esiste già prima di scrivere. Perciò si riflette e si scrive per regolare una realtà dal quale si è resi incerti e questa realtà si lascia descrivere come se, grazie alla scrittura, fosse divenuto un poco più comprensibile, ma la realtà è sempre incerta con la sua confusione. Anche i testi, le definizioni, i discorsi, le teorie sono parte della realtà, detti o scritti per regolarla, poiché essa resta ancora tale e quale a prima. Vi è solo un tentativo di descrivere la realtà. Riflettere e dire, ma soprattutto scrivere, vuol dire affermare il distacco dall'esperienza. Nello scrivere possono essere enunciati detti veri e falsi, perché si trovano sul confine tra l'esperienza ed il pensiero, che assume l'aspetto di una critica dell'esperienza. Si chiede al pensiero di dissipare le incertezze e di mettere ordine nella realtà, di trovare le leggi che la governano e la parola complessità esprime il disagio, la confusione, l’incapacità di definire in modo semplice, di nominare con chiarezza, di mettere ordine nella realtà. La complessità è piuttosto una complicazione e non una soluzione. Il pensiero complesso riconosce i legami tra le entità che il pensiero stesso deve necessariamente distinguere, ma non può isolare le une dalle altre ed è teso tra un sapere, non troppo specifico e riduttivo da un lato e il riconoscimento dell'incompiutezza e dell'incompletezza della conoscenza dall'altro. Per lungo tempo la conoscenza scientifica è stata concepita come depositaria della necessità di chiarire la realtà apparente della complessità dei fenomeni al fine di rivelare l'ordine semplice al quale obbediscono, ma talvolta succede che la modalità che semplifica la conoscenza, diminuisce la realtà. Il pensiero che semplifica, unifica in maniera astratta, riordinando le diversità. La complessità della realtà si presenta con i lineamenti del disordine, dell'inestricabile, dell'incerto. Da qui la necessità per la conoscenza, di mettere ordine nei fenomeni. Anche i fenomeni antropologici e sociali, non possono obbedire a principi di intelligibilità meno complessi di quelli constatati per i fenomeni naturali. La complessità nel comprendere incertezze ed indeterminazioni, ha a che fare anche con il caso. La complessità è l'incertezza all'interno di sistemi altamente organizzati e sembra non consentire meccanicità e determinismi. Con il pensiero complesso non si può programmare la conoscenza, né la prassi. La complessità si manifesta al sopraggiungere dell'imprevisto o dell'incerto, ovvero nel momento in cui appare un problema. L'ordine è tutto ciò che è invarianza, ripetizione, costanza, tutto ciò che può essere posto sotto una relazione di alta probabilità e codificato con una legge o una regola. Il disordine è tutto ciò che è irregolarità, deviazione rispetto a una struttura data, alea, imprevedibilità. Allo stesso modo, nessuna esistenza sarebbe possibile nel puro disordine, poiché non ci sarebbe alcun elemento di stabilità sul quale fondare un'organizzazione del tempo e dello spazio umano. Non c'è alcuna prescrizione che crei equilibrio e solo l'esperienza può fronteggiare i processi che creano squilibrio. Il programma è una sequenza di azioni predeterminate che deve funzionare in circostanze che ne consentano la realizzazione. Se le circostanze esterne non sono favorevoli, il programma si blocca o fallisce. La strategia invece, elabora uno o più scenari. Fin dal principio si prepara verso qualcosa di nuovo o di imprevisto, prova ad incorporarlo per modificare o arricchire la propria azione. La strategia è portata a modificarsi in funzione delle informazioni fornite lungo il percorso degli eventi. La dialettica materialistica oltre ad essere una continua ricerca della verità, unita al principio del rasoio di Occam e cioè quella proposizione che afferma a parità di fattori la spiegazione più semplice tende ad essere quella esatta, ne accentua il valore di scientificità. Tale principio di Occam, alla base del pensiero scientifico moderno, nella sua forma più semplice suggerisce l'inutilità di formulare più assunzioni di quelle strettamente necessarie per spiegare un dato fenomeno. Essa impone di scegliere, tra le molteplici cause, quella che spiega in modo più semplice l'evento ed ha generato un'altra serie di proposizioni utilizzate sempre nel campo scientifico, quali entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem tradotto non aggiungere elementi quando non occorre o anche pluralitas non est ponenda sine necessitatem tradotto non supporre pluralità quando non occorre, ed ancora, frustra fit per plura quod fieri potest per pauciora tradotto è inutile fare con più ciò che si può fare con il meno. In altri termini, non vi è motivo alcuno per complicare ciò che è semplice. All'interno di un ragionamento o di una dimostrazione vanno invece ricercate la semplicità e la sinteticità. Tra le varie spiegazioni possibili di un evento, è quella più semplice che ha maggiori possibilità di essere vera, anche in base al principio di economia di pensiero e cioè se si può spiegare un dato fenomeno senza supporre l'esistenza di qualche ente, è corretto il farlo, in quanto è ragionevole scegliere, tra varie soluzioni, la più semplice e plausibile e la retorica può partecipare sicuramente in quanto forma e contenuto, alla semplicità di esposizione, attingendo valore di scienza e non unico abbellimento espositivo del pensiero. Così la dialettica materialistica respinge la posizione soggettivistica, spingendo ad elaborare una visione ampia delle cose, educando ad affrontare i fenomeni indagati in tutti i loro aspetti. La dialettica induce a penetrare a fondo nella sostanza delle cose, senza dimenticare che il lato esterno è anch'esso sostanziale e non può essere trascurato. Essa richiama l'attenzione sulle tendenze opposte che si manifestano in ogni fenomeno e nei mutamenti individua quello che è permanente. L'applicazione della dialettica materialistica agevola chi voglia comprendere a fondo i fenomeni che gli accadono intorno, ma non ha risposte già pronte per tutti i problemi scientifici e pratici. Il pensiero filosofico può essere considerato un tipo di saggezza e l'etica può essere associata a questo tipo di saggezza. A questo tipo di saggezza occorre unire la giurisprudenza, supporto necessario all'etica, poiché impedisce all'essere umano di deviare verso gli eccessi e per tale scopo occorre una profonda dottrina e conoscenza. La giurisprudenza coordina l'intelletto, sostenendolo ed entrambi avviano l'essere umano verso la conoscenza della perfezione. Anche la prassi è presupposto di conoscenza ed è un agire etico e storico. La filosofia non è soltanto pura speculazione e quindi alcuni dei suoi fondamenti sono nella prassi quotidiana e il materialismo storico avalla quelle categorie con le quali si interpreta il materiale raccolto empiricamente. Occorre unire la scienza e l'epistemologia, poiché sono conoscenze e la ricorrenza è la condizione della pratica storiografica dell'epistemologia. Essa è il fondamento stesso dell'epistemologia. Significa riconoscere che la concatenazione degli enunciati di una disciplina, è il prodotto di una omogeneità tra i vari contenuti. La ricorrenza significa inoltre che il senso di un enunciato scientifico, il suo valore cognitivo e la sua permanenza nel tempo si manifestano nella possibilità di riattivarli e di concatenarli nel discorso scientifico o almeno in presenza del discorso scientifico, il quale nel suo valore di conoscenza è e sarà sempre attuale. È qui in qualche modo che si manifesta il tipo di universalità peculiare della conoscenza scientifica, che non è una totalità chiusa e immobile, ma immanenza alla temporalità propria di una classe di atti, la possibilità aperta dello svolgersi degli atti propri e temporali, di una classe. L'epistemologia sollecita la filosofia a riportare la funzione critica e riflessiva nell'alveo di un sapere frammentato, la cui essenza si trova nell'aumento delle differenze, per cui l'essere umano è considerato sapiente solamente a condizione di essere uno specialista. Perciò la scienza non risulta più essere universale e unitaria, ma specialistica e la filosofia allora, non può sfuggire al compito di definire il suo ruolo nella formazione generale degli esseri umani e l'epistemologia non indebolisce la filosofia. 13. Dalla critica dell'esperienza, all'esperienza critica. Realizzare una linearità nel pensiero, che sia senza tempo e senza incertezze, è possibile, regolando tale pensiero originato da molteplici proposizioni anche contrastanti tra loro. Questa unicità scaturisca dalla moltiplecitùà delle proposizioni che sottostanno e che possono essere innumerevoli. Alimentato da esse, ma senza lasciarsi paralizzare da alcuna di esse, il pensiero non ne privilegia una in particolare, ma si affida alle parole che l'ha originata, Ciò gli attribuisce una profondità che non si lascia esaurire completamente, né esplicare del tutto. Il pensiero storico si presenta sotto forma di discorso, mostrando sempre i contenuti in maniera lineare e presupponendo un intento speculativo, tentando di dare una sistemazione razionale a fatti temporali e caotici. La differenza tra pensiero storico e pensiero che rivela, sta nel fatto che nel pensiero rivelante, comprendere significa interpretare, cioè approfondire l'esplicito per cogliervi quell'infinità dell'implicito che contiene. Mentre nel pensiero storico il non detto è estraneo alla parola, nel pensiero rivelante il non detto si trova nella parola stessa. Ed ancora nel pensiero storico comprendere significa annullare il non detto, nel pensiero rivelante significa rendersi conto che la verità non si possiede se non dopo una ricerca ancora. Il pensiero rivelante può contenere un numero delimitato di significati, che conferiscono una profondità nuova ad esso ed in cui l'esplicito perde la propria limitatezza e rompe il proprio isolamento autosufficiente. L'interpretazione è l'atto rivelatore. La mantiene unica nell'atto stesso che ne moltiplica le formulazioni e l'eliminazione definitiva del relativismo è possibile non appena si colga la natura al tempo stesso rivelante e plurale dell'interpretazione e nell'interpretazione la rivelazione è inseparabile dal contesto storico. La linearità del pensiero si manifesta all’atto della sua formulazione così da permetterle di possederla con l'interprertazione, ma non al punto di presentarsi come esclusiva e completa, unica e definitiva. Così l'interpretazione fonda una tradizione, perché l'approfondimento a cui induce, collega le possibilità attuali non solo col patrimonio delle possibilità già rilevate, ma anche con le infinite possibilità. L'interpretazione ha un carattere fondante ed è quella forma di conoscenza che allo stesso tempo è ricercatrice della conoscenza storica. Ne consegue che l'unica conoscenza adeguata, si ha mediante l'interpretazione, intesa come forma di conoscenza storica, in cui la situazione storica, è la sola condizione possibile, non per il fatto di raggiungere e possedere la verità che si separa dei suoi caratteri di personalità, storicità e pluralità. Il principio fondamentale dell'ermeneutica, cioè l'interpretazione testuale ed in definitiva di ciascun pensiero, è che l'unica conoscenza adeguata della verità è l'interpretazione. Essa si presenta in molti modi e nessuno di questi modi è privilegiato rispetto agli altri, tale da poter pretendere di possedere la verità in maniera esclusiva. Il concetto stesso di interpretazione rifiuta la totalità e l'unicità. La linearità di pensiero non si divide in una molteplicità di formulazioni, ma la si rileva come un filo comune di esse. È per questo che la verità viene espunta tramite l'interpretazione, così che ciascuna formulazione della verità è una totalità. La verità si identifica con la sua formulazione, ma non esclusiva e completa. Solo da un personale e concreto punto di vista si può cogliere la verità e comprendere un qualsiasi altro punto di vista. Da qui l'aspetto innovatore dell'interpretazione, che sarebbe limitata se fosse solo coscienza della storia, offrendo una conoscenza che in quanto tale è iniziatrice e trasformatrice. La storicità, separando il pensiero dalla verità, procede all'indebolimento della ragione, relegandola ad un ruolo di pura discorsività e privandola dei suoi contenuti, cioè riducendola ad una forma pura del discorso. La parola detta, è significante ed emana significati, continuamente alimentati dall'infinita ricchezza anche del non detto, così che comprendere significa approfondire il detto per cogliervi l'inesauribile fecondità del non detto, senza mai raggiungerne l'esplicitazione completa. È il pensiero problematico che rende possibile il dialogo che il pensiero strumentale esclude. Da ciò appare la forza della ragione storica e la forza unificante con il pensiero astratto. La verità non si lascia cogliere nella sua contestualizzazione storica. Nell'atteggiamento dell’esperienza e della pratica, l'aspettativa è indirizzata verso qualcosa, che però conduce al di là dell'esperienza quotidiana. L'esperienza inverte la propria direzione, affidandosi all'immaginazione, realizzandosi nel passato quando la forza della memoria fa ritrovare le esperienze vissute in maniera incompiuta. L'esperienza immaginativa è operante sia nell'anticipazione degli scenari futuri che nella conoscenza retrospettiva. Essa completa la realtà incompiuta non solo progettando l'esperienza futura, ma anche custodendo l'esperienza passata, che si perderebbe lungo il tempo. Nell’esperienza, il fare è il presupposto del conoscere. Il senso del processo storico, si rivela nella misura in cui si coglie e si verifica con la teoria, sulla base della sua realizzazione pratica, Occorre precisare la differenza, ma non il contrasto tra il pensiero di Vigotskji ed il materialismo storico. Nel materialismo storico si ritiene che la realtà e la verità sono esterne al soggetto pensante, mentre per Vigotsky tutto è un atto interiore della propria volontà. Affermare che la realtà è esterna al soggetto pensante, che non è una sua creazione, equivale a dire che la gran parte di ciò che si trova nello spazio e nel tempo è l'effetto di cause che prescindono dagli stati mentali dell'essere umano. Dire che la verità non è esterna equivale a dire, semplicemente, che dove non ci sono enunciati non c'è verità, che gli enunciati sono componenti dei linguaggi umani e che i linguaggi umani sono creazioni umane. La verità non può esistere indipendentemente dalla mente umana, perché non possono essere indipendenti gli enunciati stessi. La realtà è esterna, ma le descrizioni della realtà non lo sono. Solo le descrizioni della realtà possono essere vere o false. La realtà di per sé, a prescindere dalle attività descrittive degli esseri umani, non può esserlo. Se potessimo adattarci all'idea che la realtà per lo più è indifferente alle nostre descrizioni e che la persona umana non è espressa in maniera più o meno adeguata da un vocabolario, bensì è creata dall'uso di un vocabolario, allora avremmo fatto nostra la questione che la verità è costruita piuttosto che scoperta, vale a dire che i linguaggi sono costruiti e non scoperti e la verità è una proprietà dei linguaggi e degli enunciati. Chiusura della riflessione politica La politica del pensiero, è un metodo critico che conduce, attraverso il controllo della ragione, dall’esperienza e dalla conoscenza, ad un sapere non astratto, che si forma nella consapevolezza di una realtà vissuta e conosciuta. È il superamento dei contrasti attraverso il movimento dialettico, che unifica e risolve in un percorso lineare, che contiene tali contrasti e non è soggiogata da essi. La politica del pensiero è l’analisi delle capacità umane e delle procedure attraverso cui il pensiero umano conosce e la induce alla prassi. È la memoria, il pensiero ed il linguaggio esplicitandosi contemporaneamente nella storia, nel pensiero problematico e nella dinamica delle lingue. Attraverso la politica del pensiero, l’essere umano è in grado di dirimere il dubbio conoscitivo e sollecitarla con il continuo slancio dialettico, a sua volta una forma di conoscenza. Ciò fa apparire superato il concetto di filosofia nel senso classico, anche definita ristretta, ma analogamente il suo contrario, si potrebbe dire la filosofia aperta e cioè quella filosofia che per autoalimentarsi, si volge alle questioni urgenti del mondo e della realtà quotidiana, attinge anche alla letteratura e alla forma espressiva letteraria, poiché le questioni di cui codesto pensiero problematico si occupa, sono innumerevoli e sempre aperte, non più chiare e definibili o ristrette e limitate ad un solo campo disciplinare, come la tradizionale filosofia, ma allargata anche al supporto di altre discipline. La politica del pensiero è la consapevolezza dell'abrogazione dei sistemi di pensiero definiti e stabili. Essa è un controllo critico della ragione, la scepsi, che pone l'essere umano un gradino sopra alla turbolenza quotidiana, attraverso l'uso delle proprie conoscenze. La politica del pensiero tiene conto dell’una e dell’altra, in uno sforzo che le omogeneizzi e le concretizzi nel linguaggio e nel pensiero. La politica del pensiero è una scelta e una decisione di pensiero e di azione, equilibrate e che scaturiscono da uno slancio dialettico. È la sintesi delle diverse posizioni, in una scala progressiva di valori, che non abbandona affatto le precedenti esperienze e proposizioni, ma le accatasta nel luogo della memoria e della storia. La strategia politica richiede una conoscenza profonda, perché procede lavorando contro l'incerto, l'alea. Il postmoderno, il movimento di pensiero che ha prevalso da un certo punto, si può dire che si è affermato contemporaneamente all'opera di Pasolini e a quella di Italo Calvino e ha finito con l'interessare ogni settore, da quello culturale a quello politico ed urbanistico. Nel corso del tempo sono cambiati i costumi sociali, le società occidentali sono immerse nell'era del postmoderno, una affermazione della civiltà di massa. Pasolini è stato riconosciuto come l'intellettuale che ha messo in crisi la verità delle ideologie e prefigurando l'intellettuale postmoderno che non parla più a nome di una collettività e che non crede più neanche nella capacità del pensiero dialettico. Egli è l'interprete dell'attualità e non più il fattore della verità. In alternativa a questa c'è una verità debole per astrazione e generalizzazione pluralistica, in seguito all'indebolirsi delle ideologie. Il postmoderno è l'affermazione di uno stile espositivo e formale che lascia più spazio alla parola orale rispetto a quella scritta ed un nuovo tipo di genere letterario prende forma, quello degli ipertesti dove tutto confluisce costantemente modificabile e non assillato dal tentativo assoluto dell'originalità. In conclusione, la disamina accurata ma parziale, degli elementi culturali cardinali della nostra civiltà contemporanea, esposta qui, induce ad un indirizzamento del pensiero che abbia fondamento su tali punti, della riflessione letteraria, filosofica e scientifica. Il pensiero attuale complessivo, necessita di una ponderata valutazione degli elementi a disposizione, intrecciando la contemporaneità e le sue problematiche, con il pensiero classico ed antico, con una operazione di interpretazione modernista e progrediente. Una valutazione che esalti la dimensione umanistica e ne faccia il suo valore principale.