Il lauro secco: analisi di un madrigale Analisi di un madrigale di Ruggero Giovannelli dalla raccolta Il Lauro secco – Libro primo de madrigali a cinque voci di diversi autori Nel foco d’un bel lauro, come unica fenice, arsi gran tempo e fu l’ardor felice. Hor ch’altri hanno ristauro da la medesma fiamma, in me a dramma a dramma manca l’ardore e in tutto spento sia perché amor non patisce compagnia. _______________________________ v.1 C A T Q B NEl v.2 Q cõe v.3 B tẽpo C B fù v.4 C A T Q B ristauro C A T hãno v.5 B non intona v.6 C A Q T B à drãma à drãma v.7 A manca l’ardore non intona C mãca Q spẽto v.8 T Q cõpagnia C T nõ A T pche Il testo musicale Criteri di edizione: 1) Le chiavi antiche di DO e di Fa sono state riportate in notazione quadrata all’inizio di ogni rigo e sono state trascritte rispettivamente in chiave di violino per il Canto, l’Alto, il Tenor e il Quintus e in chiave di Basso per la voce del Basso; 2) Il segno di C presente nella stampa originale è stato inteso come nel senso di tactus alla semibreve, che corrisponde a un solo movimento suddiviso in un battere (depositio) e in un levare (elevatio): ogni suddivisione ha la durata di una minima; la stanghetta di battuta ha solo una motivazione pratica e non comporta inserimenti di accenti che influiscono sul flusso ritmico della frase, determinata invece, dalla prosodia della poesia. 3) Le alterazioni presenti nella stampa originale sono state riportate ciascuna accanto alla nota interessata. Le alterazioni scritte sopra la nota sono un’aggiunta di chi scrive. Le alterazioni hanno valore per la singola nota. Il testo letterario Criteri di edizione: I criteri adottati per trascrivere il testo poetico sono stati i seguenti: 1) E’ stata corretta e/o aggiunta la punteggiatura per modificare la logica del testo; 2) Sono state normalizzate le lettere maiuscole ed eliminate all’inizio di ogni verso; 3) Sono stati tolti accenti secondo la grafia moderna (à = a; fù = fu); 4) Si è mantenuta la lettera h etimologica nella parola hor poiché non ha alcun influsso sulla pronuncia; 5) Sono state sciolte le abbreviazioni, come nel caso del titulus (˜) sulle vocali per indicare la lettera n (mãca = manca; hãno = hanno; nõ = non; cõpagnia = compagnia; tẽpo= tempo; cõe= come); 6) Si è distinta la u dalla v (vnica = unica). ANALISI TESTUALE E MUSICALE Il madrigale Nel foco d’un bel lauro posto in musica da Ruggero Giovannelli[1] fa parte de Il Lauro secco. Libro primo de madrigali a cinque voci di diversi autori, pubblicato a Ferrara nel 1582[2] da Vittorio Baldini[3]. La raccolta[4] è dedicata a Laura Peverara[5], dama di compagnia presso la corte estense della duchessa Margherita d’Este[6], già Gonzaga, in occasione delle sue nozze con il conte Annibale Turco. Figlia di Vincenzo Peverara, precettore della famiglia Gonzaga, Laura aveva ricevuto un’educazione perfettamente consona alla nuova vita di corte: aveva studiato musica con Jacques de Wert, cantava e suonava l’arpa. Arrivò a Ferrara nel 1580, l’anno successivo al matrimonio del duca d’Este, e subito cominciò ad esibirsi con Anna Guarini, suonatrice di liuto e figlia del più noto poeta Giovan Battista Guarini, e con la contessa Livia d’Arco, violista allieva di Luzzasco Luzzaschi. Il trio fu denominato Concerto delle dame Principalissime e raggiunse livelli eccellenti[7], le dame studiavano quotidianamente con Luzzasco Luzzaschi, organista e direttore di musica da camera di Alfonso II, con Ippolito Fiorini, liutista e maestro di cappella e con Jacques de Wert. La musica secreta, così era chiamata a corte la musica del Concerto delle dame, godeva, nei testi poetici, della collaborazione di alcuni dei più importanti poeti del tempo, tra cui anche il padre di Anna, Giovan Battista Guarini. Il Concerto delle dame, con i suoi libri e i suoi strumenti musicali[8], scomparve con la morte di Alfonso II: il suo successore testamentario, il cugino Cesare d’Este, non fu riconosciuto dal Papa Clemente VIII, che incorporò il ducato di Ferrara allo Stato Pontificio[9]. La raccolta madrigalistica de Il Lauro secco simboleggia la donna che non ama più, quindi “crudele” agli occhi del poeta e perciò oggetto di sdegno. La raccolta comprende ben trentuno madrigali posti in musica da ventinove autori[10]. Non conosciamo l’autore[11] né la data di composizione del testo del madrigale Nel foco d’un bel lauro che si presenta con un’alternanza irregolare di settenari ed endecasillabi. La prima terzina del testo (Nel foco d’un bel lauro, come unica fenice, arsi gran tempo e fu l’ardor felice) dipinge una situazione di agitazione interiore dell’animo del poeta di tipo benefico perché causata da un amore corrisposto: l’uso della similitudine (come unica fenice) contribuisce a creare un’oasi di tranquillità dal momento che il poeta si descrive dapprima come l’unico oggetto di desiderio da parte della donna amata. La presenza di parole che si riferiscono a un concetto di agitazione (“foco”,“arsi”,“ardore”) hanno lo scopo di immergerci nello stato d’animo del poeta. La forma ritmica che il compositore sceglie, una scala di crome ascendenti sulla parola foco (batt.1-2 e 3-4), sembra richiamare la traiettoria ascendente e lo scintillio delle fiamme; e anche il basso dopo aver declamato la frase con valori più lenti, quasi a volerla fare intendere più chiaramente, poi si accoda alle voci superiori rincorrendole con la scala ascendente di crome (batt.6). Le voci intermedie dell’altus e del tenor sono le uniche due voci che non utilizzano la scala di crome ascendenti sulle parole Nel foco d’un bel lauro ma un gruppo di quattro note (sol, la, si ,do per l’altus e sol, fa, mi, re per il tenor), basate su valori più larghi di minime e semiminime e figurazioni puntate di semiminime con la croma. A questa sezione (batt.1-11), impostata nel modo misolidio ne segue una completamente opposta nella scrittura musicale che contribuisce a creare un’idea di staticità. Il testo “come unica fenice” (batt.11-16) è trattato in modo omoritmico in contrasto col seguente “arsi gran tempo” (batt.1116), agitato dal rincorrersi continuo fra le voci di note ascendenti di crome descrittive della parola “arsi”, mentre la parola “tempo” è sempre rappresentata con valori più lunghi (figure bianche = minime) Ritorna, dunque, il gioco imitativo sull’idea dell’ardere del fuoco, con piccoli incisi veloci sulle parole arsi gran tempo (batt.17-26), per poi chiudere il terzo verso del testo (e fu l’ardor felice) con un gioco di minime (in realtà nel testo originale sono semibrevi che nell’edizione moderna diventano minime con effetto di sincope) legate a due a due (ritmo spondaico) con legature di valore a cavallo tra due battute, in modo che il suono lungo che si avverte è quello della durata di una semibreve, per sottolineare l’importanza dell’ ardore. E’ strano notare come la felicità indicata dal testo sia qui espressa innanzitutto con l’uso di un modo con terza minore e poi con un allargamento generale dei valori ritmici che determina rispetto agli altri motivi-parola un momento di stasi mesta e riflessiva! La proporzione tra il numero degli episodi a carattere imitativo e quelli a carattere omoritmico non è perfettamente uguale in tutta la composizione: il compositore, infatti, sembra propendere per un trattamento contrappuntistico-imitativo. Questa prima parte testuale sembra chiudersi alla batt.33 con la cadenza alla dominante: allontanandosi dall’area del modo di impianto, sembra determinare una chiara cesura del discorso musicale. Chiaro è anche il concetto poetico fin qui espresso che manifesta lo stare bene del poeta fino a quando è corrisposto di un amore unico dalla donna amata; ma quando anche altri ardono d’amore per la stessa fiamma, quando l’attenzione della donna, musa ispiratrice del poeta, si rivolge anche ad altri, allora comincia lo sdegno e l’allontanamento oltre che la sofferenza del poeta. Nella seconda parte del testo, possiamo notare due motivi musicali: il primo che gira e si muove sulla ripetizione di due/tre note (re, mi, fa) con valori larghi nella parte del cantus (batt.34-37: inizio in modo misolidio, batt 33-36, poi a batt.37, tramite l’introduzione del Fa#, torna al modo d’impianto) per introdurre la frase Hor ch’altri hanno ristauro, e il secondo motivo di carattere discendente (batt.43-44) portato avanti omoritmicamente da tutte le voci (in me à drama à drama) e ripetuto 2 volte (batt.46-47) la prima volta alle voci gravi e la seconda con le voci acute. La prima volta (batt.42-45) quando utilizza le voci gravi cadenza alla finalis – sol – del modo tetrardus, la seconda volta (batt.46-48) cadenza alla prepercussio – re- del tetrardus ma con una terza piccarda[12] che per il suo carattere maggiore crea nell'ascoltatore come un bagliore di luce o di speranza sull'ultimo accordo che, essendo maggiore, è in contrasto con la sonorità triste e malinconica propria del modo minore. Un movimento discendente di un tetracordo che continua anche nella parte successiva della frase (batt.51-52 e seg.) vuole sottolineare lo spegnimento, la fine dell’ardore (e in tutto spento fia) su cui il compositore gioca ancora con l’elaborazione contrappuntistica. L’idea dello spegnersi è ulteriormente descritta con l’assottigliarsi improvviso del numero delle voci che restano solo due nella batt.57 e diventano una pausa nella batt.58. Voci, dunque, che si ritrovano tutte, tranne il basso, su quello che il poeta considera la spiegazione del perché l’ardore si sia spento: sulla parola “perché Amor” (batt.58-60), declamata a valori larghi e in modo omoritmico, il compositore si ferma e utilizza semibrevi (effetto sincope) quasi ad assicurarsi che scandendo bene le parole a voci unite e con ritmo chiaro, tutti comprendano che la causa principale della fine dell’amore è che “amor non patisce compagnia”. E siccome il tetracordo discendente (figura retorica detta “catabasi”) vien spesso usato nel repertorio madrigalistico per esprimere sentimenti di mestizia, indebolimento e pessimismo, Giovannelli trova giusto costruire sul testo “non patisce compagnia” un salto di 4a discendente seguito da una discesa per grado congiunto dell’ampiezza anch’essa di una 4a. E dopo aver ben declamato questo concetto si riprende la libertà compositiva di giocarci con un procedimento imitativo che dalla batt.65 in poi fino alla fine, accompagna la chiusura del madrigale NOTE [1] Ruggero Giovannelli (Velletri, ca. 1560 – Roma, 1625) fu maestro di cappella a Roma nella Chiesa di San Luigi de’ Francesi, nel Collegio Germanico, nella Cappella Giulia a San Pietro; fu successivamente cantore della Cappella Pontificia. Cfr. DEFORD RUTH IRENE, voce Ruggiero Giovannelli, in The New Grove Dictionary of Music and Musicians, Stanley Sadie, London, Macmillan, VII, 1980, pp.399-400; DEFORD RUTH IRENE, Ruggiero Giovannelli and the Madrigal in Rome, 1572-1599, 2 voll. Ph. D. Dissertation, Harvard Univeristy, Cambridge (Massachusetts), 1975, UMI, Ann Arbor, 1975. La composizione di Giovannelli Nel foco d’un bel lauro rappresenta l’esordio della sua produzione madrigalistica che proseguirà con la pubblicazione di monografie (cfr. VOGEL EMIL, EINSTEIN ALFRED, LESURE FRANÇOIS, SARTORI CLAUDIO, Bibliografia della musica italiana vocale profana pubblicata dal 1500 al 1700, 3 voll., Pomezia, Staderini Minkoff, 1977) e partecipazioni a miscellanee (cfr. RISM, Recuels imprimés des XVIe et XVIIe siècles a cura di François Lesure, München-Duisburg, Henle Verlag, 1960, pp.314 e 374; EMIL VOGEL Bibliothek der gedruckten weltlichen Vocalmusik Italiens, reprint mit Nachträgen von Alfred Einstein, Hildesheim New York, Gerog Olms Verlag, 1972; FERRARI TOMASO, Indice degli autori del volume Recueils imprimés XVI-XVII siècles, RISM, Cologno Monzese, Febra, 1984, incluso in Repértoire international des sources musicales publie par la Societé internationale de musicologie et l'Association internationale de bibliotheques musicales). La presenza di Giovannelli nelle tre raccolte antologiche specificamente romane (Dolci affetti. Madrigali A Cinque Voci De Diversi Eccellenti Musici di Roma Nuovamente posti in luce. In Vineggia Appresso l’Herede di Girolamo Scotto. MD. LXXXII; Il secondo libro de madrigali a quattro voci, Moscaglia, 1585; Le Gioie. Madrigali A Cinque Voci di Diversi Eccel.mi Musici della Compagnia di Roma, nuovamente posti in luce. Libro Primo. In Venetia, MDLXXXIX. Appresso Ricciardo Amadino. Le due raccolte dei dolci Affetti e Le Gioie sono state pubblicate in I musici di Roma e il madrigale a cura di NINO PIRROTTA ) attesta la sua appartenenza alla Compagnia dei Musici di Roma. Sulla compagnia dei Musici di Roma cfr. CASIMIRI RAFFAELE, L’antica Congregazione di Santa Cecilia fra i musici di Roma nel secolo XVII, <<Note d’Archivio>>, I, 1924, pp.16 sgg; GIAZOTTO REMO, Quattro secoli di storia dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Roma, Accademia Nazionale di S. Cecilia 1970; PAGANO SERGIO, La congregazione di Santa Cecilia e i Barnabiti: pagine inedite della prima attività ceciliana, <<Nuova Rivista Musicale Italiana>>, XV/1, 1981, pp.34-49; SILKE LEOPOLD, Madrigali sulle egloghe sdrucciole di Iacopo Sannazzaro. Struttura poetica e forma musicale, <<rivista Italiana di Musicologia>>, XIV, 1979, pp.75127:83; SUMMERS WILLIAM J., The Compagnia dei Musici di Roma, 1584-1604; A Preliminary Report, <<Current Musicology>> XXXIV, 1982, pp.7-25; BIZZARINI MARCO, Marenzio. La carriera di un musicista tra Rinascimento e Controriforma, comune di Coccaglio Promozione Franciacorta, Rodengo Saiano (Brescia), 1988, pp.79-86. [2] Cfr. RISM, Recuels imprimés des XVIe et XVIIe siècles a cura di François Lesure, MünchenDuisburg, Henle Verlag, 1960, pp.314 e 374. Cfr. anche ALFRED EINSTEIN, Printed Collections in chronological order, appendice a EMIL VOGEL, Bibliotek der geduckter Weltliche Vocalmusik Italiens aus den Jahrer 1500-1700, ristampato con aggiunte a cura di Alfred Einstein, Hildesheim-New York, Georg Olms Verlag, 1972, pp.429 e 475. Riporto la dedica ai lettori posta nel verso del frontespizio: A’ virtuosi Lettori. Come dotta mano ritoccando ben temprate corde fà mirabil concento; così parimente speriamo noi, che i Madrigali di questo SECCO LAVRO da noi con esquisita diligenza da i più Eccellenti Compositori d' Italia raccolti, & hora stampati, & à voi dedicati; se fien mercè vostra fatti degni che si accompagnino con le vostre voci, potran con la lor' armonia scoprir se stessi meriteuoli della vostra protettione, & noi, che padri lor siamo, per giusti giudici, poi che sin hora habbiamo raffrenata l'affettione nostra verso di loro, aspettando che sia misurata dall' infallibil giuditio vostro: sotto alla cui giudiciosa, ma benigna censura; di corto porremo vn' altra scielta di Madrigali, composti sopra vn nuouo & verde LAVRO, dalle cui pregiate, & fresche radici non si posson' aspettare, che maturi & dolcissimi frutti, de' quali, se alcuno per esser intempestiuamente colto restasse acerbetto, sarà indubitatamente condito nel soauissimo mele della Musica. In tanto noi confidati nella candida, & sincera intentione, per fuggir il morso de gl' inuidi, non abbiamo voluto ammantarsi della protettione di alcun Prencipe, come ricerca il costume d' hoggidì, tanto più che non bramiamo altro premio della nostra fatica, che la buona vostra vniuersal gratia; in cui molto ci raccomandiamo. I RINOVATI [3] Era lo stampatore ufficiale di musica del duca Alfonso II d’Este nel 1582. Il suo primo lavoro assegnatogli dalla committenza ducale, e prima prova nel campo dell’editoria musicale, fu proprio la stampa della raccolta madrigalistica Il Lauro Secco, dedicata alla cantante Laura Peverara e l’anno successivo, nel 1583, stampò Il Lauro verde, la seconda raccolta creata come dono per le nozze della stessa Peverara. Le edizioni di Vittorio Baldini erano famose per l’alta qualità della carta, per l’eleganza delle decorazioni, per la finezza delle incisioni, per la bellezza dei caratteri. I segni di riconoscimento della stamperia erano la figura di una campana, Dedalo e un sole. [4] Per le problematiche relative ai concetti di “antologia”, “raccolta”, “opera collettiva”, “miscellanea” si veda: MARCO GIULIANI, I lieti amanti, Firenze, Olschki, 1990, pp.5-17; FRANCO PIPERNO, Musicisti e mercato editoriale nel ‘500: le antologie d’ambiente di polifonia profana, in <<Musica e realtà>>, V, 1984; Lorenzo Bianconi, Parole e musica. Il Cinquecento e il Seicento, in <<Letteratura italiana VI: teatro, musica e tradizione dei classici>>, a cura di Alberto Asor Rosa, Torino, Einaudi, 1896, pp.319-363; FRANCO PIPERNO, Gli <<Eccellentissimi Musici della città di Bologna>>, Olschki, Firenze, 1985, aderisco a quanto scrive Piperno pag.2 nota 9: “Col termine miscellanea intendo un volume costituito da contenuto vario, appartenente a diversi autori ivi riuniti anche casualmente e in tempi diversi. L’antologia rappresenta un particolare aspetto del volume miscellaneo in quanto la sua confezione deriva da una scelta deliberata e da una apposita selezione da un materiale omogeneo e preesistente…”; p.28 “…una miscellanea consiste non tanto in una scelta di materiale preesistente quanto piuttosto nella deliberata pubblicazione di primizie;…un’antologia riversa nel mercato librario dei brani ancora inediti che solo in un secondo momento potranno eventualmente confluire singolarmente nelle raccolte monografiche dei rispettivi autori…..” [5] M. CICALA, Giovanni Giovenale Ancina letterato, in ANNALES ORATORII fascic. III, Roma a pag.90 riferisce che Giovan Battista Guarini dedica a Laura Peverara il madrigale Mentre vaga angioletta (GIOVAN BATTISTA GUARINI, Rime, Madrigali 145,1598). La prima edizione del madrigale guariniano Mentre vaga angioletta trascritto da Lorenzo Bianconi, appare nel 1590 con una dicitura esplicita <<Descrive il cantar della signora Laura>>. Si tratta di Laura Peverara “la dama canterina della duchessa Margherita decantata anche da Tasso e dedicataria di due edizioni collettive di madrigali musicali epitalamici, Il lauro secco e Il lauro verde (1582-1583)>>. Sempre G.B. Guarini in Rime le dedica ancora il sonetto IX Taccia il cielo e la Terra al novo canto. Anche Muzio Manfredi, accademico degli Invaghiti di Mantova e Principe dell’Accademia degli Innominati di Parma, dedica a Laura Peverara una composizione, il sonetto LIII “Move da gli occhi e dal suo canto Amore” pubblicato nella raccolta Cento Donne. Si trovano altre dediche a Laura Pevarara in M. MATERASSI Il primo Lauro. Madrigali in onore di Laura Peperara, (ms.220 dell’Accademia Filarmonica di Verona, 1580) e E. DURANTE, A. MARTELLOTTI, Giovinetta Peregrina. La vera storia di Laura Peperara e Torquato Tasso,L. Olski, 2010. Altri sonetti dedicati a Laura Peverara: Mentre Laura gentil su musiche di Marc’Antonio Ingegnieri e Claudio Merulo, Alma città su musiche di Alessandro Striggio, Pianta cara e gentil su musiche di Bartolomeo Carteri. Ancora altre dediche a Laura Peverara si trovano in Archivio di Stato di Verona, Fondo Lando, Appendice, cc.13v – 15r. si tratta di quattro odi latine dell’accademico filarmonico Federico Ceruti. [6] Riguardo l’occasione che portò Laura Peverara al servizio della duchessa d’Este cfr. la lettera dell’ambasciatore Orazio Urbani al granduca Francesco de’ Medici (lettera f.2899 conservata presso l’Archivio di Stato di Firenze, (Archivio Mediceo), in cui si descrive come Alfonso d’Este vedendo <<una Giovane che essendo assai bella, et oltre a ciò havendo virtù di sonare e cantare eccellentemente, gli venne desiderio di haverla a Ferrara, e giunto qua ha procurato che la Signora Duchessa la mandi a ricercar per sua Dama>>. [7] VINCENZO GIUSTINIANI, nel Discorso sopra la musica de’ suoi tempi, in A. SOLERTI, Le origini del melodramma, 2009, p.108 così descrive il metodo di canto delle Dame di Ferrara: <<…col moderare e crescere la voce forte o piano, assottigliandola o ingrossandola [...] ora con strascinarla, ora smezzarla, con l'accompagnamento d'un soave, interrotto sospiro, ora tirando passaggi lunghi, seguiti bene, spiccati, ora gruppi, ora a salti, ora con trilli lunghi, ora con brevi, et or con passaggi soavi e cantati piano, dalli quali talvolta all'improvviso si sentiva echi rispondere, e principalmente con azione del viso, e dei sguardi e de' gesti che accompagnavano appropriatamente la musica e i concetti, e sopra tutto senza moto della persona e della bocca e delle mani sconcioso, che non fosse indirizzato al fine per il qual si cantava, e con far spiccar bene le parole in guisa tale che si sentisse anche l'ultima sillaba di ciascuna parola [...]» [8] NUNZIA LANZETTA (a cura di) in Musica a corte e in collezione. Dagli strumenti musicali di casa d’Este alle collezioni storiche, Modena, Galleria Estense, 20 giugno – 7 luglio 2002, fa una ricca descrizione della situazione degli strumenti e in particolare dell’ “arpa di Laura” che Alfonso II volle creare intorno al Concerto delle Dame: <<…la famosa “arpa di Laura” oggi conservata alla Galleria Estense di Modena fu costruita a Roma presso la bottega di Giovan Battista Giacometti. E’ un’arpa in legno d’acero decorato composta da una doppia fila di 58 corde e decorata dal pittore Giulio Marescotti; lo strumento è stato dotato di un fregio realizzato da Orazio Lamberti, fiammingo di Aarsele…e dorato da Giovan Battista Rosselli>>. La Lanzetta spiega che l’arpa è decorata con delle grottesche della prima metà del ‘500 che ne fanno uno strumento molto elegante; sulla cassa sonora dello strumento, su fondo giallo, oro, verde e rosso sono inserite in cornici policrome dodici piccole figure identificabili con le divinità che presiedono all’ispirazione artistica. Al di fuori delle cornici alcuni raffigurazioni naturalistiche con ricche decorazioni faunistiche e floreali. Dalla corte d’Este, l’arpa fu trasferita a Modena nel 1601 e sia per le difficoltà in cui la famiglia ducale versava in quel momento sia per lo scarso interesse, lo strumento fu dimenticato e depositato in vari magazzini. Grazie all’interesse del conte Luigi Francesco Valdrighi e dello storico dell’arte Adolfo Venturi, nella seconda metà dell’800 l’arpa fu sottratta all’oblio e portata fino ai nostri giorni [9] FRIGNANI LORENZO, LANZETTA NUNZIA, RADICCHI PATRIZIA, (a cura di) Musica a corte e in collezione. Dagli strumenti musicali di casa d’Este alle collezioni storiche, Modena, Galleria Estense, 20 giugno – 7 luglio 2002 [10] Luca Marenzio, Hippolito Fiorino, Costanzo Porta, Lelio Bertani, Giaches de Vert, Giulio Eremira, Luzzasco Luzzaschi, Andrea Gabrielli, Alessandro Milleville, Ruggero Giovannelli, Paolo Isnardi, Tiburio Maffeiano, Claudio da Correggio, Alessandro Strigio, Annibale Zoilo, Innocenzo Alberti, Palo Virchi, Francesco Manara, Alberto dall’Occa, Nicolò Peruve, Vincenzo Fronti, Bartolomeo Spontone, Giovan Battista Mosto, Girolamo Belli, Orazio Vecchi, Marco Antonio Ingegnieri, Annibale Stabile, Francesco Pigna, Giovanni Bardi, Giovanni di Macque. [11] MARCO GIULIANI, ne I lieti amanti, Firenze, Olschki, 1990 sostiene che gli stessi promotori delle raccolte de Il lauro verde e Il lauro secco, cioè gli accademici Rinnovati di Ferrara sono gli autori dei testi poetici, come d’altronde si legge nella lettera “A’ virtuosi lettori” de Il lauro secco (cfr. nota 2). Su questa Accademia non si hanno molte notizie, tuttavia Giuliani ipotizza il particolare coinvolgimento, per la scrittura dei testi, di due nomi in particolare: Ippolito Gianluca e Torquato Tasso. Vedi anche, E. DURANTE – A. MARTELLOTTI, Don Angelo Grillo O.S.B. alias Livio Celiano, poeta per musica del secolo decimosesto, Firenze, SPES, 1989, p.132 e sg.; A. SOLERTI, Vita di Torquato Tasso,Torino, Loescher, 1895; G. BOTTARI, Opere di Torquato Tasso, Firenze, Tartini – Franchi, 1724. B.M. RUGGERI, Testi poetici per i concerti di dame a Ferrara: <<…Solo per alcuni madrigali del Lauro Secco è possibile individuarne con esattezza l’autore: cinque componimenti sono di Tasso, due di Guarini, due di Orsina Cavalletta. Non è improbabile, però, che Ercole Cavalletto, Alberto Parma, Alessandro Guarini e lo stesso Ippolito Gianluca, letterati che operavano in quell’anno nell’entourage della corte estense, siano stati coinvolti nella stesura di altri testi poetici della raccolta>>. Ercole Cavalletto scrisse due madrigali sulla tematica del Lauro che non furono inseriti nella raccolta, Tu vivi o mio bel Lauro e Seguirò l’ombra di quel dolce Lauro. [12] Consiste nel concludere una composizione basata sul modo minore sull'accordo del I grado con la terza innalzata. Il termine tierce de Picardie (terza piccarda) per indicare questa formula fu usato per la prima volta da J.J. Rousseau nel Dictionnaire de musique (1767). Nei secoli XVI e XVII era una prassi pressoché sistematica quella di concludere un brano in tonalità minore con l'accordo maggiore: a quell'epoca la terza minore era considerata una consonanza imperfetta (quindi non sufficientemente conclusiva), e risultava particolarmente calante nel temperamento mesotonico allora in uso (che invece aveva terze maggiori perfettamente consonanti).