musica cathedralis

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MUSICA CATHEDRALIS
Benedetto Neri musicista a Milano al tempo di Verdi e Manzoni
Il programma musicale, ideato da I CIVICI CORI di MILANO CIVICA SCUOLA DI MUSICA, che va sotto il titolo
di MUSICA CATHEDRALIS, intende offrire uno sguardo alla “Musica Sacra” praticata a Milano, nel
duomo-cattedrale in primis ma anche nelle altre chiese milanesi, al tempo in cui Verdi viveva e
operava nella metropoli lombarda; l’intento è quello di verificare le eventuali influenze del “linguaggio corale” sacro nell’uso verdiano del coro, attore, spesso essenziale e imprescindibile, nei
drammi in musica del grande musicista.
La ricerca presso l’Archivio della Veneranda Fabbrica del Duomo, custode della produzione musicale plurisecolare dei maestri di cappella che si sono succeduti nel servizio del duomo – che ringraziamo sentitamente nella persona dei funzionari preposti alla custodia e alla conservazione per la
pronta disponibilità e collaborazione -, ha permesso di conoscere l’opera di un interessante compositore: Benedetto Neri (Rimini 1771-Milano 1841).
Il Neri visse e operò prevalentemente a Milano, dopo essere stato nominato professore presso il
Conservatorio. La sua produzione, prevalentemente “sacra”, è conseguenza dell’incarico svolto
presso la cappella musicale del Duomo. A lui si deve, però, anche il dramma giocoso: “I saccenti alla moda” che venne rappresentato alla Scala nel 1806.
Nel 1832, allorché Giuseppe Verdi si presentò all’esame di ammissione in conservatorio, non fu
ammesso per aver superato i limiti di età; venne, però, consigliato dal violista e compositore Alessandro Rolla di continuare i suoi studi con i professori Neri o Lavigna. Verdi scelse Vincenzo Lavigna, per il quale nutrì sempre riconoscenza e ammirazione.
E’ probabile che Verdi abbia avuto occasione di ascoltare le esecuzioni in duomo delle musiche di
Neri e, forse, coglierne le “modalità” compositive e le capacità espressive.
Di Benedetto Neri il programma presenta Magnificat, Antifona post Magnificat, Gloria in excelsis,
il Salmo Dixit Dominus e un mottetto, Exaudi Domine, per soprano e organo obbligato.
Delle stesso autore saranno eseguite le Strofe per una prima comunione, destinate a un organico
di due voci femminili e organo; i testi sono di Alessandro Manzoni, scritti dietro richiesta di Don
Giulio Ratti, canonico della parrocchia milanese di San Fedele. Vennero cantate il 10 maggio 1832,
proprio in occasione della celebrazione delle prime comunioni. Manzoni aggiunse al primo gruppo
di strofe un secondo nel 1834 e un terzo nel 1850.
Incastonato tra queste composizioni di Neri, il programma presenta di Giuseppe Verdi il Pater noster, volgarizzato da Dante, a 5 voci.
Il linguaggio musicale praticato dal Neri nelle composizioni “da chiesa”, sia nella conduzione melodico-ritmica delle parti solistiche e corali che nel trattamento dell’organo accompagnante (dalla
fonica e dalle possibilità esecutive d’ispirazione orchestrale), risente in misura pregnante dei modi
propriamente teatrali; questo a dimostrazione di quanto l’Opera fosse imperante nel gusto popolare, così tanto da essere accettate e desiderate anche in ambito liturgico le tipologie stilistiche
sue proprie. Non va dimenticato, poi, che, spesso, il maestro di cappella si dedicava alla composizione di Opere per il teatro; Neri, e, prima di lui Fioroni, Monza e Sarti – per citarne solo alcuni - ne
sono una dimostrazione. Accanto a questa “modernità” linguistica convive la pratica dell’antica
tecnica contrappuntistica “alla Palestrina”, della quale anche i compositori d’Opere dimostrano
conoscenza e capacità. Il connubio, lungi dal mostrare contrasti stridenti nella compresenza di “antico” e “moderno”, dimostra l’ampia ricchezza di possibilità espressive, atte a “rendere” i contenuti e le narrazioni del testo “sacro” in modo chiaro, articolato e pregnante.
Interessante il trattamento dell’organo “concertante”. In forza di un’antica disposizione, risalente
al Concilio di Trento e alla severa applicazione delle norme liturgiche attuata da San Carlo nella
“sua” diocesi, attuale ancora nell’800 nelle chiese ambrosiane alle quali il Duomo doveva dare il
“buon esempio”, nessun strumento era ammesso in concorso con le voci al di fuori dell’organo.
Per questa ragione – l’intenzione di rispettare la specificità austera della musica dedicata al sacro il consistente repertorio prodotto dai maestri di cappella che si sono succeduti nel tempo vede
l’impiego del solo organo, unico strumento “da chiesa”. In veste di “basso continuo” nel periodo
barocco, diviene concertante nel ‘700 e così si mantiene nel secolo seguente. Tale “severità” non
impedisce, però, la contaminazione stilistica a opera dello stile teatrale, che entra con prepotenza
anche nelle chiese: nei Salmi, nei Mottetti e nelle Messe; nella conduzione delle voci e nel linguaggio organistico concertante.
Mario Valsecchi
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