View/Open - POLITesi

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STORYTELLING
STORYSHOWING
Analisi sperimentale della comunicazione di marca
attraverso l’occhio semiotico
Elia Bozzato
780766
Relatrice: Fulvia Bleu
Politecnico di Milano
Scuola di Design
Design della Comunicazione
A.A 2014/2015
STORYTELLING
STORYSHOWING
Analisi sperimentale della comunicazione di marca
attraverso l’occhio semiotico
Elia Bozzato
780766
Relatrice: Fulvia Bleu
Politecnico di Milano
Scuola di Design
Design della Comunicazione
A.A 2014/2015
INDEX
CA P I TO L O 3 :
L’A N A L I S I D E L L A N A R R A Z I O N E
INTRO
3.1 Comunicazione e narrazione
CA P I TO L O 1 :
B R A N D S T O RY T E L L I N G
3.2 L’analisi del racconto
3.3 I tre paradigmi di Ramzy
1.1 Dal marchio alla storia: un cambiamento di tendenza
1.3 Identità come racconto
3.4 L’occhio semiotico sulla comunicazione
3.4.1 Le funzioni della comunicazione di Jakobson
3.4.2 Il modello attanziale di Greimas
3.4.3 Analisi di un artefatto pubblicitario di Barthes
1.4 Conclusioni: scatto attenzionale e patto fiduciario
3.5 Conclusioni: Oltre la pubblicità
1.2 Narrare, non solo storie. La forma e il ruolo del design
CA P I TO L O 4 :
GLI SCHEMI SEMIOTICI
CA P I TO L O 2 :
L E I N F LU E N Z E D E L C O N T E S T O AT T U A L E
4.1 Il quadrato semiotico di Greimas
4.1.1 Le ideologie pubblicitarie di Floch
2.1 Guerra e pace
2.1.1 Ashley’s story
2.1.2 Yes we can
2.1.3 Immersive reality
4.2 Lo schema dei campi semantici di Remaury
4.3 La Storytelling Matrix di StoryWorldWide
2.2 Transmedia storytelling
2.2.1 Il cinema oltre sé stesso: Il franchising multimediale
2.2.2 Online e offline narrative gaming
2.2.3 L’intelligenza collettiva come valore aggiunto
per la narrazione transmediale
C O N C LU S I O N I
2.3 Conclusioni: la società dello spettacolo
BIBLIOGRAFIA
RINGRAZIAMENTI
Storytelling / Storyshowing
6
Index
7
“Well, i’m actually quite
critical about the storytelling
theme, i think that all
the storytellers are not
storytellers. Recently i’ve red
an interview about somebody
that designs rollercoaster
and defined himself as
a storytellers: no! You’re
not a storyteller! You’re a
rollercoaster designer, and
it’s fantastic and more power
to you, but why you
wanna be a storyteller?”
Stefan Sagmeister
Graphic designer Austriaco
FORM festival di Toronto
Aprile 2014.
INTRO
Quella della narrazione, nel suo senso più
tradizionale, è una pratica che ha da sempre
un posto fondamentale nella storia dell’uomo.
Nel linguaggio, nella comunicazione in
generale, nella letteratura, nel cinema e in
svariate altre discipline e arti, così come gioca
un ruolo fondamentale nel sottotesto del
nostro vissuto quotidiano, direttamente o
indirettamente. La presenza di narrazioni, viva
in svariate forme e veicolata in innumerevoli
canali, è spesso tanto impalpabile quanto
innegabile se analizzata da vicino.
Ciò che genera un dibattito è una contaminazione che discipline apparentemente avulse
da un contesto narrativo hanno subìto nel
corso degli anni, per adattarsi a un graduale
cambiamento di tendenza e di mercato e
non solo. Questo mutamento consiste nella
consapevolezza che da un certo momento
Intro
9
dei social network un utente si racconta
esponendo la propria “forma mentis” e il
proprio “physique du role” mediante una scelta
attenta di frasi, citazioni, immagini e filtri
fotografici, opinioni o tendenze e via dicendo,
da comunicare alla piazza informatica. Tutto
postato sulla nostra “cornice narrativa”
personale online. Questa inoltre non è altro
che un’imitazione dell’impegno che le
celebrità, con i loro manager e stylist,
spendono quotidianamente per raccontarsi
e creare la loro identità da fissare
nell’immaginario collettivo globale. Così come
i politici o i grandi brand, anche se ovviamente
su diversa scala e modalità. Il trend dello
storytelling è consapevole o inconsapevole,
tangibile o impercettibile. È un modo per
esporre dei concetti, dei valori, dei messaggi in
maniera laterale, costruendo un determinato
contesto percettivo e utilizzando dei soggetti
utili alla comprensione e all’ interpretazione.
Gli artefatti ai quali qualche decennio fa ci si
riferiva come prodotto o servizio, ora invece
sono un’esperienza o un valore. È l’utilizzo di
concetti per la promozione di artefatti
tangibili o intangibili. La forma che comunica
essa stessa il contenuto. Il significante che si
fa significato. Coloro che negli anni ‘90 erano
“Spin doctor” hanno cambiato l’appellativo nel
loro biglietto da visita in “Storyteller”.
in poi non è più stato possibile generare
fidelizzazione con il solo pubblicizzare quello
che si produceva, ma è divenuto necessario
dover comunicare la propria identità e i propri
valori come gruppo, come singolo o come
corporation, e raccontarsi. Si è cominciato a
utilizzare forme espositive tipiche del racconto,
poiché quando ascoltiamo una storia siamo
più coinvolti a livello percettivo e più disposti
a un punto d’incontro con l’interlocutore. Si
tratta di stilemi e di metodi di comunicazione
che prendono i loro geni dalle principali arti
narrative come la letteratura o il cinema e
li portano nel marketing, nel design della
comunicazione, nella politica, nell’impresa
e nel mercato trasformandoli e adattandoli
a infinite forme di applicazione.
Presto è diventato tacita tendenza condivisa
il concetto che per stare al passo con il
cambiamento e guadagnare fidelizzazioni
si sarebbe dovuto iniziare a raccontarsi,
invece che focalizzarsi esclusivamente sulla
promozione della propria offerta.
Tale nozione – probabilmente concepita
inconsapevolmente e nutrita durante una
gravidanza di oltre cinquant’anni nelle
thinking rooms delle prime grandi agenzie
di pubblicità – partendo dall’advertising,
ha visto la propria maturità nell’era della
moderna brand communication propagandosi
poi a macchia d’olio in campi come l’industria
videoludica, la campagna elettorale o il
reclutamento bellico, per fare alcuni esempi.
Ad oggi è penetrato nel tessuto sociale a livelli
inverosimili fino ad arrivare per esempio al
“self branding”. Esso è una pratica quasi
inconsapevole con la quale, mediante l’utilizzo
Storytelling / Storyshowing
10
Dapprima furono le corporation, con i
loro loghi e la conquista dei mercati, poi la
concorrenza crebbe e nacque la pubblicità,
e tutto cambiò. Cominciarono a sorgere
i lovemarks e la lotta per la fidelizzazione
dei consumatori si accese. Si aprì la strada
verso l’identità aziendale e la comunicazione
Introduzione
11
di marca. Poi la fiducia nei marchi vacillò,
e le corporation dovettero riadattarsi alla
percezione consapevole del consumatore
e ad un mercato sempre più altalenante e
complicato. La reputazione divenne una
questione prioritaria e l’advertising fù
soverchiata dalla Brand storytelling.
I mass media dovettero far spazio ai social
media e venne la rivoluzione digitale. Oggi la
comunicazione di Brand spazia e sperimenta
su piattaforme tecnologiche innovative e in
modalità fino a pochi anni prima impensabili,
generando affascinanti sottotesti narrativi e
transmediali. Adattandosi ai trend della rete o
sfruttando la conoscenza derivata dall’analisi
dei big data, intersecandosi con il mondo
circostante, a tratti quasi indistinguibili,
tramutandosi in entità vive e pulsanti, nella
quotidianità degli utenti.
Tante sono le discipline che hanno cercato di
smontare le meccaniche e le strutture celate
nella comunicazione, nella narrazione e nella
pubblicità. La semiotica nel corso del tempo
ha proposto metodi e tesi assai interessanti
e adattabili, tenendo conto della natura
cangiante e sfuggente che possono avere la
percezione e l’interpretazione.
Il mondo di marca è un universo altamente
iconico e a tratti imprescindibile, quello che
si è posto come obbiettivo in questa sede
è stato provare a costruire un metodo di
analisi delle campagne di marca attraverso
l’occhio semiotico, e con l’aiuto del supporto
dell’infografica; un metodo sperimentale e
teorico per provare a mettere ordine lì dove la
razionalità non trova regno.
Storytelling / Storyshowing
12
Capitolo 1
BRAND
STORYTELLING
“La pubblicità ha perso il suo
potere, non ha più potere
sui consumatori che sono
sempre più scettici”
1.1
Dal Marchio
alla storia
Un cambiamento
di tendenza
La storia del cambiamento che ha portato
all’avvento dello storytelling ha le sue radici
su un graduale rifiuto della verticalità dei
lovemarks da parte dei consumatori, unito a
un aumento della consapevolezza di questi
ultimi nei confronti della pubblicità come
strumento non trasparente estraniante e
passivo. In un certo senso si può dire che
siano stati loro a fare la storia, e a obbligare
gli esperti di marketing ad adattarsi a questo
repentino cambiamento che ha causato non
pochi problemi ad alcuni famosi brand. Fino
a quel momento le corporation avevano
costruito i loro imperi basandosi sui marchi
e sulla brand image come principali vettori
di comunicazione con il mondo, l’identità
tutta era racchiusa nell’estrema sintesi visiva
del marchio e nei brevi claim presenti in ogni
spot pubblicitario. Il logo aveva esercitato per
degli anni un potere autorevole e persuasivo,
Al e Laura Ries,
“The fall of advertising”
Harper business, 2002
Capitolo 1 - Brand Storytelling
17
Naomi Kleinn,
“No logo: Taking Aim
at the Brand Bullies”
Picador, 1999
Storytelling / Storyshowing
facendo le veci di un vero e proprio distintivo,
indice, dal punto di vista semiotico, di
valori oltre della percezione superficiale del
consumatore. “Alla fine degli anni Quaranta,
si andava diffondendo l’idea che un marchio
non fosse semplicemente una mascotte, uno
slogan, una figurina stampata sull’etichetta
del prodotto di una certa azienda; l’azienda
nel suo complesso poteva incentrare sul
marchio una forte identità o una ‘coscienza
aziendale’, come veniva allora definita tale
effimera qualità.”
È stato quando i brand hanno dovuto
interfacciarsi con un neo-nascituro, il canale
di veicolazione di contenuti in ogni angolo del
mondo più vasto in assoluto: Internet. Assieme
ad esso sono nati i movimenti contro-culturali
di nuova generazione, con un’informazione
autogestita al di fuori del sistema dei mass
media. La fruizione di contenuti di dominio
pubblico alcuni anni prima impensabili, e
18
La prima immagine ritrae un bambino
Pakistano che concia un pallone nel 1996,
ed è una delle immagini utilizzate da Life
Magazine che provocarono scandalo.
Le altre due immagini mostrano i laboratori Nike
in Vietnam nel 2005, più sicuri e in rispetto dei diritti
dei lavoratori, verso la fine del tunnel di scandalo
legato al brand.
http://urly.it/2166u
Capitolo 1 - Brand Storytelling
19
metodi di condivisioni e confronti di opinioni
totalmente nuovi, hanno smosso dalle
fondamenta il mondo del marketing e della
pubblicità. Finalmente era possibile scoprire
cosa stava dietro all’ingranaggio che faceva
funzionare le grandi imprese, il marchio
non era più solo un simbolo misterioso e
inarrivabile. All’epoca era difficile prevedere
questo a cosa avrebbe portato, e nessuno era
preparato a interfacciarsi con il consumatore
in questi termini. Fu quando cominciarono a
diffondersi materiali che provavano un cattivo
comportamento di determinate imprese che la
fiducia nei marchi venne meno. La reputazione
di un brand ora poteva venire compromessa
fatalmente. Alcuni dei più grandi marchi
americani furono letteralmente assorbiti in
degli scandali mediatici e messi duramente
in difficoltà. Divenne chiaro come la loro
identità effimera non fosse più abbastanza
per convincere i consumatori a fruire
passivamente dei loro prodotti.
Naomi Kleinn,
(op. cit.)
Uno dei casi più indicativi di questo momento
di rottura è quello di Nike, che a partire dal
1995 ha dovuto far fronte a delle pesanti
accuse di sfruttamento di minori sul lavoro,
risultato di indagini condotte nei confronti del
marchio. In men che non si dica il “Nike spirit”
venne accostato percettivamente dall’opinione
pubblica allo sfruttamento dei poveri bambini
cinesi costretti ai lavori forzati per un monte
ore disumano e con una paga inaccettabile. In
sintesi: la cosa peggiore che possa capitare a
un brand. Un’azienda con la notorietà di Nike
accostata a una tale diffusione di fatti e quindi
di valori negativi può smantellarne “l’effimera
Storytelling / Storyshowing
20
Christian Salmon
“Storytelling”
Fazi, 2008
Capitolo 1 - Brand Storytelling
identità” fragile e fondata su delle basi
obsolete, e può significare il fallimento totale.
“Il branding è una specie di palloncino che si
gonfia con estrema facilità, ma che in fondo è
pieno d’aria. Non deve quindi stupire il fatto
che questo sistema abbia generato dei veri e
propri eserciti critici armati di spilloni che
non vedono l’ora di far scoppiare i palloncini”
Questa affermazione di Naomi Klein esprime
piuttosto bene la situazione del rapporto
corporazione-consumatore in quel momento
storico, anche se per quanto riguarda Nike
le accuse erano state condotte e dimostrate
con una fondatezza incontrovertibile
e costituirono un cancro all’interno
dell’immagine dell’azienda.
E i più grossi sono i palloncini, più assordante
è il botto quando scoppiano. I portavoce
della Nike si videro costretti a correre ai
ripari scusandosi pubblicamente con i loro
consumatori e promettendo di cambiare
radicalmente la politica aziendale, cercando
di riparare al danno. Ma ormai era chiaro
che il danno era fatto e che per salvare la
situazione ci sarebbe stato bisogno di un
approccio mai utilizzato prima. “L’immagine
non bastava più. Bisognava radicare la marca
in qualcosa di meno volatile di uno slogan,
di un elegante logo o di un assordante spot.
[…] La funzione del marketing è vendere. Si
può raggiungere questo obbiettivo in diversi
modi: con la pubblicità aggressiva o con gli
incentivi materiali, in maniera diretta o
indiretta, con una pubblicità che influenza in
modo subliminale, ma anche coinvolgendo
il consumatore in una relazione durevole ed
21
emozionale. Questo è il ruolo del marchio: ‘
coinvolgere’ il consumatore. Questa è la sua
efficacia, li suo mistero.”
Steve Denning,
“The leader’s guide
to Storytelling, Mastering
the Art and discipline
of business narrative”
Jossey-bass, 2005
Storytelling / Storyshowing
propria immagine, ma che per tutte le altre
aziende ha costituito un segnale di allarme.
Indice del tempo che stava cambiando e che
l’era della focalizzazione assoluta sulla brand
image era al tramonto, mentre quella della
brand story era appena iniziata.
Nike aveva bisogno di costruire qualcosa che
permettesse di far passare in secondo piano
le storie che in tutto il mondo andavano
ripetendosi attraverso ogni media, aveva
bisogno di immagini da diffondere in
contrasto a quelle dei bambini lavoratori
pakistani piegati sui palloni da calcio,
di concetti e di emozioni che fino a quel
momento non erano esistite. Aveva bisogno
di colmare quello spazio che ora era occupato
da delle brutte storie con qualcosa di positivo,
costruttivo e duraturo, qualcosa che potesse
cancellare il ruolo passivo dei consumatori e
instaurare una vera e propria relazione, poiché
come afferma il guru dello storytelling Steve
Denning: “Una marca è essenzialmente una
relazione”.
Nike cerca di risolvere il problema al nocciolo
servendosi dei principali esponenti delle
campagne contro se stessa. Alcuni dei nomi
più di spicco che negli anni precedenti
avevano dedicato la loro esperienza a cercare
di smantellare il marchio, vengono assunti e
messi al lavoro per la ricostruzione di esso.
Partendo dal cambiamento della politica
sul lavoro e puntando all’avvicinamento
al consumatore, Nike provò a risollevarsi
cominciando a prendere il controllo della
propria narrazione e cambiando la propria
storia. Questo è un primo esempio per capire
quella che per Nike è stata una reazione
quasi obbligatoria, dettata dalla necessità di
sopravvivere alle accuse e al danno fatto alla
22
Si assiste a un fondamentale cambio di
linguaggio, dove tutto l’arco di vita del
marchio viene concepito come una grande
e continua narrazione, dove vengo mostrati
degli scenari di possibili realtà e dove il
marchio non è più il fine ma il mezzo, è una
via di accesso a queste realtà. Le campagne
pubblicitarie e di comunicazione cominciano
a essere trattate come dei veri e propri episodi
di fasi narrative di un brand, dove appaiono
personaggi con determinate caratteristiche
e in determinati contesti. In questo Nike è
riuscita particolarmente bene: appropriandosi
di valori legati allo sport, come il costante
miglioramento di se stessi, o elevando lo
“street playing“ a un’arte direttamente
connessa alla vita sportiva, e rendendo il
“trick“ tipico dei freestyler il suo marchio di
fabbrica. Questi sono risultati ottenuti sullo
studio di un impianto narrativo che perdura
nel tempo e ha portato via via alla creazione di
comunità che coinvolgono gli utenti in eventi
sportivi collettivi sotto l’ala valoriale del brand.
Capitolo 1 - Brand Storytelling
23
1.2
Narrare, non
solo storie
la forma
e il ruolo
del design
Antonella Penati
“È il design una narrazione?”
Mimesis Edizioni, Milano
2013, pg.19
Capitolo
3 - Design
Storytelling
Storytelling
/ Storyshowing
In una situazione progettuale dove l’obbiettivo
è comunicare un brand, dei prodotti, e i valori
ad essi correlati, la forma e la presentazione
hanno la stessa importanza del contenuto.
Essi sono interdipendenti, si fondono in una
cosa sola; nella comunicazione di marca il
significante si fa significato. Per ottenere un
effetto di senso tale è necessario tenere conto
di tutte le variabili in fase progettuale, ed è qui
che entra in gioco il design e in particolare il
design della comunicazione, come metodo per
la progettazione visiva di messaggi e significati.
Come dice Penati: “ Le azioni di traduzione,
mediazione, codifica e decodifica investono il
design, anche per la sua natura di disciplina
aperta, quasi necessitata ad entrare in
relazione ed accogliere i contributi di altre
discipline e di altri saperi. Ed avendo a che
fare sia con la dimensione esplicita che tacita
della conoscenza, sia con quella analitica
che sintetica, sia con quella teorica che
pratica, il design ha anche costruito nel
tempo forme sofisticate di manipolazione
di testi verbali, visivi, materici e oggettuali
passando attraverso strumenti di
contestualizzazione, decontestualizzazione,
astrazione, metaforizzazione”. Anche se
non esplicito e diretto come il linguaggio
parlato, il design comunica in modo laterale
e spesso più efficace e funzionale della parola.
Un errore a cui si va incontro è identificare il
design nel solo oggetto finito, come prodotto
indipendente dal suo processo creativo e
comunicativo, avulso da ogni contesto. Per
carpirne il fattore narrativo è necessario
concepirlo come un “sistema” e come un
“processo” dipendente da un iter creativo e
progettuale, prima della produzione, e da uno
24
Davide Pinardi
“Narrare, dall’odissea al mondo Ikea”
Paginauno, Milano
2010, pg. 174
Acuni artefatti visivi di scena
progettati da Annie Atkins
per il film “Grand Budapest Hotel”
di Wes Anderson, per il quale ha
lavorato anche sul set di altri film.
www.annieatkins.com/
promozionale comunicativo e di inserimento
in un tessuto sociale e nel mercato, dopo la
produzione.
Davide Pinardi in “Narrare, dall’odissea al
mondo Ikea”, analizza la natura ambivalente
della narrazione quando parte da un
ambito progettuale: “Le cose che nascono
intenzionalmente già come oggetto narrativo
sono frutto di una diretta volontà umana
in tal senso. Questo si verifica quando sono
frutto di un cosciente progetto narrativo
che ha portato alla loro esistenza: pensiamo
alle produzioni artistiche, a tanta parte
dell’architettura, del design o della moda ma
anche a tante invenzioni e creazioni umane
25
non necessariamente artistiche ma frutto di
ingegno per rispondere a necessità materiali.
Dunque un progetto narrativo può nascere
già tale in seguito a un progetto (e dunque ha
assorbito narrazione nella fase generativa);
oppure non lo è ma lo diventa in seguito alle
narrazioni umane.”
Un segnale stradale ti dice una serie di azioni
che è necessario svolgere o che è totalmente
vietato fare e a volte ne esprime anche i
motivi, comunica in maniera il più possibile
universale e neutrale ed è narrativo; gli
artefatti grafici della designer Americana
Annie Atkins (http://annieatkins.com/), sono
progettati come artefatti pubblicitari e di
promozione, o per essere oggetto di scena in
film e serie tv, per essere quindi a supporto di
una sceneggiatura, funzionali alla narrazione.
In maniera differente, ad esempio, un logo
non è narrativo nel senso che racconta
esplicitamente una storia con un inizio e una
fine, ma è narrante nel senso che comunica
una serie di valori fondanti l’azienda che
rappresenta, comunica quello che il brand
rappresenta, quello che sta dietro e quello
che ha significato per i consumatori nel
corso della sua presenza sul mercato e
nell’immaginario collettivo. Allo stesso modo
quando un oggetto di design per una serie
di fattori (pensati o imprevisti) riesce ad
acquisire un certo significato sociale diventa
rappresentativo di uno “status simbol”, è
narrante quindi di una certa immagine sociale.
È il processo secondo il quale gli oggetti di
design tipici di un certo periodo storico non
emanano soltanto quello che sono in realtà,
ma portano con sé tutto quello che voleva
dire vivere in quegli anni, gli eventi storici che
Capitolo 3 - Design
Storytelling
Storytelling
/ Storyshowing
26
Antonella Penati
“È il design una narrazione?”
Mimesis Edizioni, Milano
2013, pg. 174
Op. cit.
Capitolo 1 - Brand Storytelling
sono accaduti, le mode, le abitudini sociali e
via dicendo, gli artefatti tipici di un’era sono
narranti di quel dato periodo storico.
È il senso a raccontare, è il significato che è
rappresentato da un significante. Crea, dal
punto di vista semiotico, un effetto di senso,
un significato dato sia dall’insieme che da una
parte di esso: “È alla vetrina, alla mostra e ai
suoi cataloghi, agli allestimenti museali che
il design affida il compito di creare cornici
di senso, veri e propri espedienti narrativi
chiamati ad unificare le micronarrazioni
oggettuali in un unico grande racconto.”
L’artefatto è quindi comunicativo e narrativo
per “evocazione”, per le sensazioni percettive,
per gli effetti di senso che provoca: “Le
storie che ascoltiamo o leggiamo sono
solo la modalità in cui si manifesta ciò
che la semiotica strutturale ha chiamato
‘narratività’: la quale genera pratiche
quotidiane, credenze e stili di vita. Persino
forme di organizzazione sociale. In altre
parole, la narratività è lo schema logicosintattico attraverso cui il senso si organizza
per essere manifestato. E di conseguenza,
possiamo dire, anche il modo in cui il senso
può essere progettato. […] Così, quando
l’allestimento di una mostra o le fasi di una
campagna di comunicazione provocano
nell’utenza un’esperienza di coinvolgimento
– ‘come in un film’ _, possiamo dire che si
presentano come elemento di una storia
possibile: non si limitano all’informazione,
mirano all’evocazione. E perché in tal modo
il soggetto utente è chiamato a diventare
parte di quella storia, come seguendo
un’avventura. Allo stesso modo, gli artefatti
27
d’uso entrano nella nostra storia quotidiana,
spesso come oggetti del desiderio o come
oggetti magici, altre volte come angeli che ci
guidano e aiutano, altre ancora come demoni
che creano dipendenza.”
Il design è tale quindi anche per questa sua
natura narrativa dialogica. Un artefatto
diventa leggendario e immortale quando
racconta in maniera efficace ed evocativa la
sua funzione e quello che significa, quando
è portatore di un’identità poetica, di un plus
valore che lo contraddistingue da qualsiasi
altro oggetto o, nel caso del design della
comunicazione, quando utilizza un linguaggio
o un supporto non convenzionali per fissare
l’informazione e il contenuto nel fruitore in
maniera più efficace e duratura possibile.
Storytelling / Storyshowing
28
Capitolo - Paragrafo
29
1.3
Identità come
racconto
Per il design della comunicazione la questione
è leggermente diversa. Queste caratteristiche
narrative dialogiche e ambivalenti si
intersecano e si mischiano e agiscono sullo
stesso piano percettivo. Questo avviene poiché
un artefatto comunicativo è strettamente
collegato al contenuto che comunica e da esso
non può ovviamente prescindere. Il testo o
le immagini, il contenuto esplicito che viene
presentato coopera sullo stesso piano con
una serie di scelte progettuali compositive ed
esecutive, espositive e di “gestalt”, dando vita
ogni volta a nuove modalità di fruizione e a
volte anche a nuovi linguaggi visivi.
Il design della comunicazione ha a che fare
con la parola scritta e parlata, la tipografia
,con le immagini e con le forme, stampate
e in movimento, con differenti linguaggi,
con il colore, con i formati e la leggibilità, la
coerenza compositiva e la percezione. Ma
come il design in generale (e in maniera più
determinante) deve tenere conto delle leggi
(scritte e non scritte) e delle convenzioni
sociali del paese in cui opera e per il quale un
artefatto viene progettato.
Il progetto di design della comunicazione
è una mediazione fra i fattori in gioco,
un’organizzazione dialogante fra tutti gli attori
meta-progettuali presi in considerazione.
Per creare una narrazione implicita oltre che
esplicita è necessario che ogni fattore venga
progettato e pensato nella direzione di senso
che si vuole ottenere.
Riccardo Falcinelli
“Critica portatile al visual design,
da Gutneberg ai social network.”
Einaudi, Torino,
2014, pg. 17
“Niente è più evidente del fatto che ogni
intreccio degno del nome deve essere
elaborato fino al suo dènouement prima
che si tenti la stesura di qualche parte. Solo
Capitolo 3 - Design
Storytelling
Storytelling
/ Storyshowing
30
Capitolo 1 - Brand Storytelling
tenendo sempre presente il dènouement
si può dare a un intreccio il suo necessario
aspetto di coerenza, o connessione causale,
facendo in modo che, in ogni punto, gli
avvenimenti e soprattutto il tono seguano lo
sviluppo del disegno”
In “Philosophy of composition”, pubblicato
per la prima volta 230 anni fa, Edgar Allan
Poe fornisce degli elementi meta-progettuali
per la scrittura di una poesia, mettendo dei
punti fermi sul modo in cui una narrazione
dovrebbe essere progettata per conseguire
un determinato ed efficace risultato di senso
nel lettore. Oggi, nel progetto di design della
comunicazione, deve avvenire lo stesso.
Perché un artefatto visivo sia narrante e
non semplicemente informativo, ogni suo
elemento deve essere progettato in direzione
di un certo obiettivo di senso, in maniera da
offrire stimoli multisensoriali, deve quindi
essere, come afferma Riccardo Falcinelli,
“sinestesico”:
“Il visual design è quindi sempre sinestesico
e, anche con l’artefatto apparentemente
più elementare come un semplice foglio
stampato, dobbiamo essere consapevoli del
flusso multisensoriale in cui verrà percepito.
Ecco dunque che la grafica di un libro non
sarà solo la figura di copertina, ma anche
il titolo, l’autore, il prezzo, la sua forma, la
carta, la colla, l’odore, il numero di pagine, il
peso, la sensazione al tatto e tutto ciò che si
presenta alla percezione del lettore. Vedere
è un atto complesso che non può essere
ridotto alla mera decifrazione di una bella
composizione.”
31
Ibidem
Falcinelli esprime come un artefatto
comunicativo dev’essere un “contenitore
narrativo” oltre che un veicolo di contenuto.
Per spiegare questo fattore descrive una delle
famose opere di Bruno Munari: i Libri illeggibili
che, creati utilizzando diversi tipi di carte, con
diverse forme, giocando sulle trasparenze,
i tagli, i colori e i pieni e vuoti, portano
all’estremo questa riflessione sull’aspetto
multisensoriale dell’approccio al libro,
eliminando totalmente la parola e spostando
l’attenzione su una narrazione sensoriale:
“Prescindendo dal testo, e sfruttando
tutte le possibilità della tipografia e della
cartotecnica, Munari arriva a concepire un
libro che , senza parole, costruisce una storia
leggibile seguendo un filo puramente visivo.”
Immagini dai titoli di testa
del capolavoro cinematografico
di Alfred Hitchcock: “Vertigo”
Youtube
Alcune pagine dei “Libri Illeggibili”
di Bruno Munari
www.officina-creativa.net/articoli/i-prelibri-di-bruno-munari.html
Storytelling / Storyshowing
32
Capitolo 1 - Brand Storytelling
Anche nel grande e nel piccolo schermo
ci sono testimonianze di come questa
consapevolezza sia fondamentale. Il cinema
ne è anzi un’espressione quintessenziale,
poiché sceneggiatura, copione, recitazione,
riprese, fotografia, costumi, trucco,
scenografia e post-produzione sono tutte
sfumature dello stesso progetto, e devono
andare nella stessa direzione di senso. La
storia deve essere pre-raccontata dalle
sensazioni sinestesiche provocate da tutti
gli artifici tecnici e progettuali possibili, che
sono anch’essi comunicativi di un contesto
inconscio espresso dalla narrazione. Questo
viene espresso ad esempio nei titoli di testa;
come avviene nella famosissima sequenza
di apertura del film di Alfred Hitchcock
Vertigo: un susseguirsi di composizioni
grafiche vorticose che fanno girare la testa,
accompagnati da un sottofondo musicale che
non fa che alimentare l’ansia.
33
Antonella Penati
“È il design una narrazione?”
Mimesis Edizioni, Milano
2013,
Nella pagina a sinistra, alcune immagini
dalla sigla della serie televisiva “American Horror
Story: Asylum” della Fox (2012)
Youtube
Storytelling / Storyshowing
34
Capitolo 1 - Brand Storytelling
In tempi più recenti per la serie tv American
Horror Story: Asylum della Fox (2012), viene
progettata una sigla di apertura dai toni
veramente efficaci di orrore e fastidio. La
colonna sonora è più un collage sinistro e
alienante di suoni angoscianti che un vero
e proprio motivo; ad essa è accostato un
susseguirsi di immagini scattose e ”sporche” di
un manicomio dove gli inservienti e il corpo
rieducativo sono più deviati dei loro pazienti.
Scattose come se le vedessimo attraverso
gli occhi di uno dei pazienti di cui la storia
parla, e sporche come se fossero trasmesse
da una vecchia pellicola degli anni in cui si
svolge la storia. Il carattere utilizzato è strano
e poco leggibile (come se fosse la scrittura
di un pazzo), ed aumenta la sensazione
di estraniamento comparendo a scatti e
disturbato, proprio come fosse una vecchia
diapositiva. Questa è l’introduzione che
prepara lo spettatore a recepire gli timoli visivi
in un certo modo, e a vivere la narrazione
della storia con determinati stimoli sensoriali
ed emotivi ancora prima che essa cominci.
È anche questo il ruolo del design della
comunicazione: creare “micro-narrazioni di
anticipo”, e questo vale sia per le tempistiche
di una sigla che per il millisecondo necessario
a percepire l’icona dello strumento che ci serve
in una determinata interfaccia.
“La lettera variabile di Gutenberg, la vignetta
dell’Encyclopédie, lo schermo del cinematografo,
l’icona del file nell’interfaccia del personal
computer si susseguono con dettagli rivelatori
che sono frammenti dotati di senso perché
carichi di una componente predittiva: celano
nuclei di mitografie prospettiche,
micro-narrazioni di anticipazione.”
35
1.4
Conclusioni
Scatto
attenzionale
e patto fiduciario
Davide Pinardi
“Narrare, Dall’Odissea
al mondo Ikea”
Paginauno, Milano
2009
Storytelling / Storyshowing
Assumendo come dato di fatto che il
raccontare una storia e/o comunicare un
messaggio non avvenga solo in maniera
attiva attraverso il contenuto in sè, ma anche
attraverso la forma visiva, il tone of voice e
le modalità in cui viene presentato è chiaro
che essi devono essere trattati sullo stesso
piano. Sono entrambi atti alla buona riuscita
della percezione del messaggio. Forma e
contenuto devono dialogare, come afferma
Poe. Essi devono entrambi quindi portare
alla creazione di quelli che Davide Pinardi
descrive come due elementi fondamentali
della comunicazione: scatto attenzionale
prima e patto fiduciario; artifici necessari per
la costruzione di un “dialogo” che accenda
emozioni memorabili e perfettamente
inseribile, fra tanti, nell’universo valoriale di
un brand. L’obbiettivo è quello di catturare
la percezione dello spettatore mediante uno
scatto attenzionale, per poi instaurare un
patto fiduciario. Due azioni fondamentali
per l’efficacia di una narrazione, soprattutto
nell’advertising.
in una situazione non ortodossa oppure un
accadimento che generi stupore e via dicendo.
Una volta provocato il “clic” attenzionale la
strada è spianata verso il patto fiduciario,
situazione percettiva che si attiva nel fruitore
che di nuovo Pinardi descrive come una sorta
di “contratto emozionale”; il narratore (inteso
in senso generale, nel nostro caso il brand
che diffonde lo spot) crea un patto di credito
fiduciario dove a livello subliminale promette
al narratario (nel nostro caso lo spettatore) che
la narrazione che sta per fruire lo stupirà e sarà
per lui memorabile. “Con lo stabilimento del
patto fiduciario il narratario accetta la sfida
del narratore che si è dichiarato in grado
di sedurlo.” Questi due artifici del rapporto
fra messaggio e destinatario sono due fasi
chiave per la buona riuscita di un artefatto
pubblicitario. Per quanto riguarda l’advertising
queste fasi si consumano in pochi secondi,
in altri casi e in altre aree di fruizione sono
elementi che si manifestano e si instaurano in
tempi più dilatati e in diverse modalità, come
si vedrà più avanti.
Davide pinardi descrive in questo modo lo
scatto attenzionale:“È l’elemento che fa aprire
il sipario dello spettacolo. È la frattura, il
moto oppositivo, la differenza dall’abituale,
dall’atteso, dal consuetudinario che genera
un’attesa potenzialmente emozionante. […]
un clic che faccia emergere da un continuum
indifferenziato quella narrazione che
ora andrà a esitere, precisamente quella,
specificatamente quella.”
In determinate factis specie lo scatto
attenzionale si traduce in scelte compositive
come ad esempio una ripresa del nostro eroe
36
Capitolo 1 - Brand Storytelling
37
Capitolo 2
LE INFLUENZE
DEL CONTESTO
“Credo che potremmo
eleggere uno qualunque
degli attori di Hollywood,
a condizione che abbia
una storia da raccontare;
una storia che dica alla
gente che cos’è il paese
e come lo vede.”
2.1
Guerra e pace
L’atto di raccontare una storia per comunicare
in modo laterale è dunque nato da una
matrice di natura pubblicitaria, come
artificio al servizio della comunicazione
di marca. Come detto in precedenza però,
questo è presto divenuto un modus
operandi efficace anche in aree di applicazione
che vanno al di là dell’advertising, ma che
con esso hanno più a che vedere di quanto si
possa pensare. Come un metodo come questo
risulta molto funzionante là dove l’intento è
pubblicizzare un prodotto o comunicare
i propri brand values, è divenuto evidente
che possa essere ugualmente efficace
applicato al servizio di una propaganda
politica, o del reclutamento militare.
Più che un consapevole cambio di metodo,
si tratta di aree di competenza diverse,
che però convergono a obbiettivi finali
molto simili. È evidente quindi che se un
James Carville,
Spin doctor.
Huffington post,
2004
Capitolo 2 - Le infuenze del contesto
41
Christian Salmon
“Storytelling”
Fazi, 2001.
Huffinton post 2004
esperto di marketing comincia a pensare con
la sua squadra di creativi a come pubblicizzare
il prossimo prodotto, mentre un politico si
prepara al prossimo evento in cui apparirà in
pubblico, progettando il proprio discorso,
i contenuti da esporre, il tono, il look e l’appeal
finale, in realtà in entrambi i casi si tratta dello
stesso metodo di base.
Ragionare in questi termini in campo politico
è proprio di un mestiere nato più di vent’anni
fa: lo spin doctor. Il termine spin doctor si
riferiva: “Alla distorsione e al capovolgimento.
Si ispirava all’effetto che si da a una palla da
tennis o al biliardo, o ancora al modo
di far girare una trottola. Gli spin doctor si
definivano dunque come degli agenti di
influenza che fornivano argomenti,
immagini e regia al fine di produrre l’effetto
di opinione desiderato”. Piuttosto simile
al ruolo dell’Art Director dopotutto.
Questa definizione è nata per la prima volta
negli anni ‘80 con il presidente Ronald Reagan
che i famosi spin doctor James Carville e Paul
Begala definirono: “il più grande narratore
della storia politica degli ultimi cinquanta
anni, anche se la maggior parte delle storie
che raccontava erano tutte false.”
Ronald Reagan,
soprannominato “Il Presidente Attore”, fu uno dei
primi grandi Storyteller,
anche grazie ai suoi
Spin Doctors.
(Huffington post)
op. cit.
Storytelling / Storyshowing
42
Capitolo 2 - Le infuenze del contesto
In politica fare dello storytelling può rivelarsi
un’arma a doppio taglio poiché un politico
è più soggetto a critiche ed esaminazioni di
chiunque altro personaggio pubblico.
Reagan non inventava di sana pianta, ma era
solito creare delle metafore e delle situazioni
narrative che potessero far capire determinati
concetti in maniera semplice e immediata,
un metodo efficace, ma controproducente se
portato oltre certi limiti. Egli fu un precursore
dell’uso delle storie allo scopo di comunicare
fatti e informazioni in politica, del racconto di
situazioni evocative al posto di una semplice
esposizione di dati. Gli esperti ancora oggi
imputano all’introduzione del metodo di
Reagan il motivo per cui gli Americani sono
sempre stati via via più disposti ad appoggiare
ed apprezzare questo approccio, insieme alla
influenza di Hollywood che ha educato le
menti a un certo tipo di linguaggio narrativo,
e al fatto che negli ultimi tempi la confusione,
43
op. cit.
op. cit.
Storytelling / Storyshowing
la disomogeneità, e la enorme quantità di
informazioni politiche ha spinto sempre di
più la popolazione a focalizzarsi su delle storie
semplici. D’altronde come affermò Barthes:
“Il racconto è una delle grandi categorie
della conoscenza che ci permettono di
comprendere e ordinare il mondo”. Molti
anni dopo, in un’ottica più vicina alla nostra,
Carville e Begala ribadiscono il concetto:
“Se non comunicate con le storie, non
comunicate. Gli uomini trattano le
informazioni sotto forma narrativa.
Ecco perché fin dai miti greci e dai griot
Africani, la storia dell’umanità è sempre stata
trasmessa attraverso le narrazioni.”
44
2.1.1
Ashley’s
Story
Spesso fare del buon storytelling significa
anche saper sfruttare l’occasione giusta quando
essa si presenta. Quando accade qualcosa di
imprevisto ed eclatante, dalla grande carica
iconica e valoriale, è giusto poi elaborarlo e
raccontarlo, e utilizzarlo ad esempio per fare
una buona propaganda. Questo è quello che
è successo durante la campagna elettorale
repubblicana in America nel 2004. Il giorno
6 maggio di quell’anno, il presidente uscente
George W. Bush era in visita a Lebanon,
Ohio, in una delle tappe della sua campagna
elettorale attraverso gli Stati Uniti. Fu dopo
un comizio pubblico, durante le strette di
mano e i saluti con gli elettori che avvengono
Frame dal video Ashley’s Story
www.youtube.com/watch?v=LWA052-Bl48
“The Hug”
La foto scattata dal Sig.
Faulkner, il giorno dell’incontro
fra Ashley e il presidente Bush
www.ashleystory.com
Storytelling / Storyshowing
46
Capitolo 2 - Le infuenze del contesto
di consueto, il presidente incontrò Ashley
Faulkner.Ashley è una ragazzina di 16 anni
che ha perso la madre durante l’attentato
terroristico dell’11 settembre al World Trade
Center. Da quel momento non è più stata
la stessa, il trauma subito l’ha segnata. Quel
giorno era uscita ad ascoltare Bush insieme a
un’amica di famiglia che richiamò l’attenzione
del presidente dicendogli che Ashley aveva
perso la madre durante l’attentato. Il presidente
si rivolse quindi ad Ashley chiedendole come
stava, se era tutto ok, abbracciandola.
Fu in quel momento che la povera ragazza
rilasciò tutta la sua disperazione, scoppiando a
47
piangere. Momento che venne fotografato dal
padre della ragazza, John Faulkner.
Si dà il caso che il Sig. Faulkner fosse un
consulente di marketing che capì il valore
autentico di quel momento immortalato
prontamente, e quando ccondivise la foto per
mail con degli amici di famiglia sostenitori
del presidente, lo scatto, da quel momento
rinominato “The Hug”, in poco tempo divenne
virale diffondendosi attraverso l’America.
Quando tempo dopo gli venne proposto da una
compagnia conservatrice sostenitrice di Bush
di utilizzare la storia della famiglia Faulkner per
farne uno spot elettorale, John accetta. E così
è nato “Ashley’s story”; lo spot viene prodotto
e trasmesso durante la campagna elettorale
in quegli stati dove i pronostici della sfida
fra repubblicani e democratici erano ancora
incerti. E questo secondo molti studiosi della
materia, ha in parte cambiato il risultato delle
elezioni di quell’anno.
Youtube
op.cit.
Esattamente come avviene per i prodotti degli
spot analizzati in precedenza, il soggetto della
narrazione non è il presidente, ma Ashley e la
sua storia. Bush interviene solo come Deus ex
machina della narrazione, un santo che porta
alla redenzione una povera ragazzina tormentata dal dolore. Il presidente non parla e non compare se non in foto, quasi come se fosse un’icona
religiosa. È appunto dagli stilemi del linguaggio religioso da cui viene presa ispirazione per
raccontare la vicenda, le frasi dette sembrano
citazioni misteriche di un libro sacro e le immagini del presidente mostrate durante lo spot
richiamano le raffigurazioni dei santi intenti a
svolgere le loro gesta misericordiose.
Questo spot è passato alla storia non solo per essere stato uno dei progetti più costosi della storia
della campagna elettorale Americana, ma anche
Lo spot si apre con il Sig. Faulkner che spiega
che sua moglie è morta durante il World
Trade Center. Le immagini passano da un
serissimo Padre, a una foto della figlia con sua
madre, alla stessa figlia malinconica stesa su
un’amaca a leggere in solitudine, al presidente
che approda in città quel famoso 6 maggio
2004. “Dalla morte di sua madre, Ashley, la
bambina dei Faulkner si è chiusa in sé stessa.
Ma quando il presidente George W. Bush è
venuto a Lebanon, Ashley è andata a vederlo,
come aveva fatto quattro anni prima con sua
madre...” recita la voce narrante. Poi interviene
l’amica di famiglia che era presente quel
giorno: “Il presidente veniva verso di me, Allora
gli ho detto: ‘Signor Presidente, questa ragazza
Storytelling / Storyshowing
48
ha perso sua madre al World Trade Center.’
”, poi è la stessa Ashley a continuare: “Lui si è
voltato e mi ha detto, ‘ So che è difficile. Come
stai? ‘ . Ed io ho pensato: ‘ È l’uomo piu potente
del mondo e vuole essere sicuro che io stia
bene, che per me sia tutto ok”. Poi di nuovo la
signora: “Il nostro Presidente allora ha preso
Ashley tra le braccia e se l’è portata al cuore,
ed è stato allora che abbiamo visto i suoi occhi
riempirsi di lacrime”, ed è in questo momento
che compare sullo schermo il famoso scatto,
“The Hug”. “Bush consola la figlia di una
vittima dell’11 settembre” recita su una foto il
titolo di un giornale mentre il padre conclude:
”È ciò che voglio vedere nel cuore e nell’anima
di un uomo che occupa le più alte cariche del
nostro paese.” Lo spot termina con una foto
del presidente con lo sguardo chino in un
atteggiamento serio e riflessivo.
Capitolo 2 - Le infuenze del contesto
49
per aver riscosso un successo ammesso persino
dalla fazione politica avversaria, grazie all’innegabile autenticità che comunicava. E’ stata
un’opera di storytelling molto costosa poiché si
è voluta sfruttare questa occasione per raccontare una storia unica, in quello che all’epoca era
poco tempo rimasto per la campagna elettorale
e inoltre il progetto si è esteso alla creazione di
un sito (www.ashleysstory.com), alla spedizione
di milioni di opuscoli e l’avvio di una campagna
di chiamate telefoniche automatiche. Questo
è il punto in cui ci si può spingere rendendosi
conto di avere del buon materiale per le mani,
un contenuto sensibile da comunicare ai propri
sostenitori.
Storytelling / Storyshowing
50
2.1.2
Yes we can
Il 4 novembre 2008, per la prima volta nella
storia del popolo Americano, viene eletto
il primo presidente Afroamericano: Barack
Obama. L’elezione di Obama è un evento
senza precedenti, che passerà però alla storia
non solo per una questione di natura sociale e
razziale, ma anche per le innovative tecniche
messe in pratica durante la sua (ormai famosa)
campagna elettorale. All’inizio della sua corsa
al titolo di presidente, Obama si era trovato
subito a dover fronteggiare due avversari assai
temibili, Hillary Clinton alle primarie, e John
McCain all’eventuale confronto conseguente.
Immagini delle home del sito
principale della campagna
Obama all’inizio del mandato
e ad oggi.
www.mybo.com
www.barackobama.com
L’iconica immagine del presidente
Obama, illustrata da Shepard
Fairey famoso illustratore, attivista
politico, e fondatore
di OBEY clothing, noto brand
di abbigliamento streetwear .
www.newsbusters.org/blogs/
warner-todd-huston/2008/06/22/
obamas-propagandistic-iconography-making-messiah
www.obey.com
Storytelling / Storyshowing
52
Capitolo 2 - Le infuenze del contesto
Per riuscire ad avere qualche possibilità contro
due figure politiche affermate come queste,
Obama e il suo team decisero di rivolgersi
a quelle frange della popolazione che non
costituivano il target principale degli altri
due avversari, interessati principalmente alla
classe dirigente del partito. Per raggiungere
e creare un contatto in modo efficace con la
classe media, le migliaia famiglie normali che
popolavano l’America in ogni angolo, c’era
soltanto un modo: Internet.
Fin da subito gli investimenti per la campagna
elettorale furono indirizzati verso questa
direzione, con un gruppo di ben 11 persone
dedicato alla gestione dei “new media” (un
numero all’epoca piuttosto alto per una
campagna elettorale) e la creazione di un social
53
www.peachpit.com/articles/article.
aspx?p=1352540&seqNum=4
Storytelling / Storyshowing
network dedicato chiamato My.BarackObama
(poi abbreviato in My.Bo), partendo dai
contatti del blog di Obama. Rivolgersi alla
rete per creare un vero e proprio movimento a
sostegno della causa di Barack Obama, questo
era l’obbiettivo. In realtà già altri candidati
(McCain e Dean) avevano già provato anni
prima ad espandere la propria influenza anche
nella rete, ma senza dargli troppa fiducia, e non
riuscendo quindi a tradurre gli sforzi in attività
pratica. Obama invece ha tentato il tutto per
tutto, dando piena fiducia alla comunità online
e investendo quasi 20 milioni di dollari per
questo tipo di campagna, rischiando molto, ma
ottenendo tantissimo.
Quello che ha ottenuto Obama lo deve a un
impegno notevole nel capire le meccaniche dei
social network, per poi creare dei profili con
cui interagire in qualsiasi tipo diverso di queste
piattaforme, rivolgendosi a tutte le nicchie
sociali, le minoranze e le frange demografiche
della popolazione Americana. In questo modo
è riuscito ad intercettare i futuri sostenitori
con i quali entrare in contatto per creare
una comunità, compilando un inestimabile
database di 13 milioni di indirizzi email,
attraverso i quali comunicare direttamente e
richiedere delle piccole donazioni.
Le donazioni sono state un altro grande
risultato, e alla fine della campagna sono stati
raccolti $750 milioni, dei quali $500 milioni
sono stati acquisiti grazie alla raccolta fondi
online. Per incentivare gli elettori a fare
una piccola donazione venne introdotta la
distribuzione di piccoli premi e riconoscimenti
a coloro che acquisivano più punti donazione.
Venne persino organizzata una lotteria che
consisteva, ogni mese, nell’estrazione a
54
www.campaignstops.blogs.
nytimes.com/2008/11/20/the-o-inobama/?_r=1
Capitolo 2 - Le infuenze del contesto
sorte di un nome fra quelli dei sostenitori
più volenterosi; coloro il cui nome veniva
estratto avevano la possibilità di cenare con il
futuro presidente, avendo l’occasione di avere
un colloquio privato con lui e di esporgli le
proprie storie personali. E questo è un punto
nevralgico del successo di questa campagna: le
storie degli elettori.
Dopo ogni cena venivano selezionate le storie
più rilevanti e venivano postate sul blog
ufficiale, dove gli altri utenti potevano fruire
dei contenuti sempre nuovi, che arrivavano
da persone normali come loro. I sostenitori
venivano ingaggiati per poi diventare loro stessi
dei “profeti” dei valori del presidente attraverso
la loro esperienza quotidiana.
55
Valerio Quatrano
“Come Vincere le elezioni
con Internet”
www.faicomeobama.com
Ogni passo della campagna era rivolto verso
questo obbiettivo, dalle domande poste agli
utenti attraverso Yahoo Answers, ai video di
vari testimonial più o meno celebri postati su
youtube senza i diritti d’autore, permettendo
così la rielaborazione e la condivisione dei
contenuti da parte dei sostenitori. Obama ha
saputo sfruttare la rete a suo vantaggio ma
non per amplificare il proprio ego e le proprie
idee univoche, ma per poter raggiungere più a
fondo i suoi elettori e poterli ascoltare. Quando
un possibile elettore si rende conto che
raccontando la propria storia viene ascoltato,
si trasformerà in un attivo sostenitore. È così
che sostanzialmente la campagna ad un certo
punto viveva di vita propria poiché erano gli
utenti, le persone normali che la portavano
avanti. Valerio Quatrano, nel suo “Come
vincere le elezioni con internet” riassume:
“Il vero punto forte di questa strategia non
erano le storie del candidato, ma quelle dei
suoi sostenitori. Plouffe [David Plouffe, il
manager della campagna di Obama, ovvero
il suo spin doctor] aveva capito bene che
c’erano centinaia di attivisti che avevano
storie interessanti e commoventi da
raccontare. La strategia della campagna era
quella di dare massimo risalto alle storie del
movimento direttamente sul blog e sui canali
correlati. Solo così l’America avrebbe capito
che dietro Obama c’erano persone comuni,
non lobby del petrolio o delle sigarette...”
(esattamente come i prodotti e i servizi negli
spot di brand storytelling) e attraverso di
essi, la forza dei suoi valori. Persino a livello
di comunicazione visiva in questa campagna
è stata riservata un’attenzione particolare:
l’onnipresente logo del presidente è diventato
il simbolo della speranza, icona evocativa di
un mondo valoriale, e unito ad un utilizzo
ponderato dei famosi claim che giravano
(e girano tutt’oggi) tutti attorno alle parola
chiave “Hope” e “Change”, il risultato è stato
la creazione di una identità visiva esattamente
come funziona per un brand.
Obama e il suo team hanno sfruttato al cento
per cento le possibilità che internet offre,
costruendo una comunità attivista molto
estesa, condividendo contenuti e spronando i
fruitori a condividerli a loro volta, reclutando
sostenitori, comunicando valori e raccogliendo
fondi, portandola offline, coinvolgendo persone
e permettendo ai propri profeti di organizzare
incontri ed eventi, iniziative e manifestazioni,
raccontando la grande storia di speranza alla
quale chiunque avrebbe potuto partecipare,
dando il proprio contributo e avendo una parte in essa.
Per la prima volta non era un candidato che
propinava le proprie arringhe a un pubblico
passivo, era la popolazione a portare avanti la
propria campagna, il focus non era concentrato
sull’ aspirante al titolo, ma sui suoi sostenitori
Storytelling / Storyshowing
56
Capitolo 2 - Le infuenze del contesto
57
2.1.3
Immersive
reality
Nonny De La Peña
conosciuta come la “Madrina
della realtà virtuale”
www.immersivejournalism.
com/key-bios/
Esistono due motivi per i quali la guerra deve
essere raccontata che vanno in due diverse
direzioni: il primo è di natura giornalistica,
mosso dal diritto all’informazione; il secondo
invece riguarda la preparazione di un militare
prima di scendere sul campo. In entrambi
i casi, la necessità è di rendere l’esperienza
della guerra sempre più reale e credibile, in
modo da poterla raccontare nel modo più
esaustivo possibile, a un livello impossibile
da raggiungere mediante un articolo di
giornale o di una rivista, o uno studio tattico a
tavolino. Con l’aumentare della violenza e delle
situazioni critiche nei paesi in guerra civile, è
sempre più difficile salvaguardare la situazione
dei giornalisti inviati in queste zone, che
mettono a rischio la propria vita per riportare
le notizie delle atrocità che succedono nel
mondo, notizie che spesso vengono spesso
percepite in modo freddo e distaccato, come
qualcosa di remoto. È per questo motivo che
Nonny De La Peña, ricercatrice della Southern
California’s Annenberg School of Journalism,
cerca da diversi anni di spingersi oltre i limiti
http://www.immersivejournalism.com/key-bios/
Storytelling / Storyshowing
58
Capitolo 2 - Le infuenze del contesto
59
La gente scappa in tutte le direzioni
terrorizzata, alcuni feriti rimangono a terra
agonizzanti, i suoni simulano lo stordimento
tipico di chi è stato investito da un violento
scoppio.
Immagini dalla sequenza
dell’esplosione che avviene
in “Project Syria”
(YouTube)
Storytelling / Storyshowing
della tecnologia, applicando al giornalismo
delle tecniche per renderlo più efficace e
suggestivo, per coinvolgere il lettore nella
notizia. Soprannominata “Una delle 13 persone
che hanno reso il 2012 più creativo” dalla
FasCompany’s CoCreate: Nonny De La Peña
si è dedicata nelle sue ricerche a quello che lei
stessa ha definito “Immersive Journalism”; e
cioè l’utilizzo della tecnologia 3D, per rendere
la notizia un’esperienza “immersiva”, in cui
si viene coinvolti a 360, e dove il lettore
non è più solo tale ma diventa parte della
notizia, andando quindi anche oltre lo status
di spettatore. Nel suo progetto chiamato
“Project Syria”, indossando un casco per la
visualizzazione 3D, lo spettatore si ritrova
in una strada di Aleppo, suoni e immagini
sono progettati per riprodurre al meglio una
situazione di normale vita quotidiana cittadina,
ma proprio quando i sensi si sono abituati a
quest’ambientazione, esplode una bomba in
uno degli edifici circostanti.
60
Un progetto di questo genere potrebbe essere
paragonato ad un “News Game”, videogioco
con lo scopo finale di informare su un
argomento, ma è in realtà ben diverso poiché
un videogioco implica il raggiungimento di
determinati obbiettivi, il superamento di livelli
e via dicendo… “Project Syria” invece non da
nessun vincolo, non fa altro che ricostruire
l’evento nella maniera più accurata possibile
trasmettendo un’esperienza multisensoriale
dell’accaduto. Per riuscire a raggiungere
questa resa dal punto di vista tecnologico,
De La Peña e il suo team hanno condotto
una ricerca estesa a qualsiasi materiale di
repertorio originale sull’evento, arrivando a
scoprire dei video amatoriali dell’attentato,
analizzandoli e utilizzandoli per ricostruire
Schema della triangolazione
di reperimento dei dati
necessari alla resa realistica
della sequenza virtuale.
motherboard.vice.com/read/virtual-reality-is-bringing-the-syrian-war-to-life
Capitolo 2 - Le infuenze del contesto
61
motherboard.vice.com/read/virtual-reality-is-bringing-the-syrian-war-to-life
www.pagina99.it/news/societa/7090/Immersive-journalism--se-le-notizie.html
con la grafica computer il posto esatto in cui
è avvenuto, prestando attenzione persino al
viso delle persone presenti. Applicando poi
l’audio originale dell’accaduto, il risultato è
talmente efficace da togliere il fiato, generando
sgomento e angoscia in coloro che hanno
provato questa esperienza in prima persona.
Ecco come viene utilizzato ogni tassello di
materiale reale a disposizione per ricreare una
storia nella quale essere immersi totalmente, in
modo da percepire il messaggio direttamente,
facendone addirittura parte. La stessa
ricercatrice racconta a Creators Project:
“Una persona mi ha detto che, due settimane
dopo l’esperienza virtuale, sentiva ancora
il ricordo della storia nel suo corpo. È
incredibile vedere le persone agitarsi, saltare,
correre e piegarsi, nel tentativo di interagire
con la realtà virtuale circostante”.
Nel periodo in cui Facebook ha comprato
per ben due miliardi di dollari la tecnologia
“Oculus rift”, la più innovativa nel campo
dell’esperienza della realtà virtuale, questo
potrebbe essere un modo per calare lo
spettatore dentro la notizia, dandogli la
possibilità di muoversi a suo piacimento
all’interno di essa, come potrebbe avvenire
in un videogioco, ma in una dimensione
interattiva e coinvolgente che va persino oltre
il cinema, creando un’empatia con il contesto
in cui si dipana la vicenda irraggiungibile
tramite la sola parola stampata. La questione
è se questo metodo sia compatibile con il
giornalismo così com’ è diventato nei nostri
giorni: oggi l’informazione corre velocissima
in format sempre più rapidi che possano
soddisfare l’attenzione sempre più scarsa
Storytelling / Storyshowing
dei lettori, ma è forse proprio questo che ha
sviluppato una reazione sempre più fredda e
distaccata degli stessi, che trattano le notizie
che avvengono nel mondo come lontane a
meno che non accadano nel proprio paese, o
a meno che non venga dedicata un’attenzione
particolare dal mittente stesso. Su questo
ultimo punto in particolare entra in gioco
una questione deontologica: spesso le
testate giornalistiche presentano le notizie
nella maniera che trovano più congegnale
per ottenere l’effetto desiderato, e in realtà
dal punto di vista semiotico questo gesto è
comunque un atto di storytelling, ma in questa
sede non ci soffermeremo su questioni di
morale che non ci concernono.
Davide Pinardi
“Narrare, dall’Odissea
al mondo Ikea”
Paginauno,
Milano, 2010,
62
Capitolo 2 - Le infuenze del contesto
Il giornalismo e già di per se narrazione, ma
questo ci dà l’occasione per tracciare una linea
divisoria fra la narrazione pura e lo storytelling.
Ponendo che un giornalista per etica
professionale dovrebbe riportare i fatti così
come sono, senza esprimere opinioni personali
o di parte, senza quindi dare un impronta
personale al racconto, il prodotto che ne esce
sarebbe una semplice narrazione neutrale dei
fatti. Davide Pinardi però, nel suo “Narrare,
dall’Odissea al mondo Ikea” afferma che non
è possibile generare un racconto totalmente
neutrale, senza porre l’accento su determinati
fattori che daranno una percezione diversa
della vicenda, poiché già l’azione di raccontare
una cosa piuttosto che un’altra, o utilizzare
un determinato lessico piuttosto che un altro
registro, è effettivamente una scelta arbitraria
e quindi non neutrale: “Narrare non è mai
trasmettere in modo neutrale un pacchetto
di informazioni prefissate e pretese come
63
oggettive [...] Quindi la realtà di qualcosa che
ha dato origine a una narrazione di realtà è
qualcosa la cui natura e identità non ci è dato
conoscere in modo assoluto e a cui piuttosto
tentiamo di avvicinarci [...] Ciò che si narra
insomma, non è mai realtà anche se si fanno
narrazioni di realtà: è approssimazione di realtà.”
http://www.panorama.it/
mytech/giornalismo-immersivo-oculus/
Storytelling è quindi l’effetto di senso che
avviene quando il mittente ha un determinato
obiettivo di senso che vuole provocare nel
destinatario, o quando inconsapevolmente
egli trasmette il messaggio in un certo modo
generando un effetto di senso imprevisto,
ed è un effetto che il destinatario volente
o nolente percepirà, e che condizionerà
la stessa lettura del messaggio. L’utilizzo
della tecnologia sviluppata da Nonny De La
Peña potrebbe essere un metodo per fare
storytelling in maniera il più possibile neutrale.
Il fatto di non raccontare una vicenda con la
parola scritta, ma utilizzando del materiale
sensoriale realmente esistito, lascia poco
all’immaginazione dello spettatore, che viene
immerso a tuttotondo in un mondo dove
invece l’esperienza è molto vicina al reale,
generando spontaneamente emozioni reali che
gli faranno vivere in prima persona la vicenda,
anziché leggerla attraverso dei filtri formali.
Utilizzare un medium il più possibile privo
di scelte stilistiche arbitrarie, che si propone
di riprodurre la realtà con più accuratezza
possibile, potrebbe generare una narrazione
trasparente e neutrale ma comunque dotata di
un potere emozionale forte.
Il futuro del giornalismo e della tecnologia
faranno presto luce sull’utilizzo di questo
metodo, che ad oggi è ancora troppo
Storytelling / Storyshowing
64
oneroso in termini di lavorazione e costo. In
conclusione, De la Peña non si sbilancia troppo
sul futuro di questa innovativa pratica :
“Non so se l’introduzione della realtà virtuale
nel giornalismo possa cambiare il modo in
cui le persone vedono le notizie; sicuramente
cambierà il modo in cui le ricevono. Proprio
com’ è stato con l’introduzione della radio
o della televisione, cambierà la nostra
percezione del mondo in cui viviamo”.
Il secondo motivo per cui la guerra
viene raccontata riguarda le difficoltà di
addestramento di un corpo militare a fronte
delle nuove modalità in cui viene condotto
un conflitto. Dopo i grandi scontri storici, i
meccanismi di come deve essere affrontato un
conflitto militare sono cambiati: un soldato
deve essere preparato a una guerriglia urbana,
deve essere preparato a centinaia di situazioni
e dinamiche diverse, a muoversi all’interno
di un paese sconosciuto e fra culture diverse.
Queste difficoltà con il tempo si sono unite a
una crescente mancanza di fondi governativi e
alla costante mancanza di tempo e di mezzi per
l’addestramento del corpo militare.
Si è detto che uno dei motivi per i quali lo
storytelling sia efficace nella politica Americana
(e non solo) è grazie all’influenza che
Hollywood ha sull’immaginario popolare. C’è
chi invece ha sfruttato direttamente le risorse
che l’industria cinematografica può mettere
a disposizione, per costruire la propria storia.
Nel 1999, per la prima volta nella storia, si è
formata una vera e propria collaborazione fra il
Pentagono, l’università della California del sud
e gli studios di Hollywood, per creare la vera
prima esperienza di addestramento immersivo
Capitolo 2 - Le infuenze del contesto
65
www.ict.usc.edu/prototypes/
jfets/
di guerra. “Utilizzare un simulatore è dare
un’opportunità a un individuo di fare degli
errori qui, E ve lo garantisco, non farà
quell’errore una seconda volta.”; Così parla il
Sergente dell’esercito americano Gary Turner,
a proposito del JFETS, ovvero: “Join Fire and
Effects Training System” la tecnologia virtuale
sviluppata in occasione di questa unione di
forze voluta dalla sezione Army’s Simulation,
Training and Instrumentation del governo
Americano. Il JFETS è un simulatore semivirtuale costituito da uno schermo cilindrico
all’interno del quale viene posto lo spettatore
offrendo una visuale a 360 gradi e un audio
ad alta definizione. Il punto di forza di questa
tecnologia, come avviene per l’immersive
journalism, è che tutti i dati, gli accadimenti e
le ricostruzioni virtuali di quello che avviene
durante un addestramento, sono basati sui
racconti reali di chi si è trovato realmente
Nota di spiegazione
alla frase di questa riga.
Un po più lunga per occupare
più spazio.
http://archive.wired.com/
wired/archive/12.09/warroom.
html?pg=2)
Storytelling / Storyshowing
66
Capitolo 2 - Le infuenze del contesto
in quel determinato tipo di situazione
in precedenza. Di nuovo quindi il reale
che viene raccontato per immergere uno
spettatore in una situazione il più possibile
autentica, per ottenere il maggior risultato
di immedesimazione e quindi di esperienza
accumulata. Per sapere come muoversi
abilmente fra diverse dinamiche di risoluzione
di problemi, un soldato deve affrontare un
addestramento che lo metta alla prova tanto
fisicamente quanto psicologicamente. E perché
la mente di un soldato venga messa alla prova
sotto stress, l’esperienza che vive deve risultare
il più possibile convincente, il che coinvolge
necessariamente tutti i sensi e implica una
certa credibilità nello scorrere degli eventi.
“Guardo dalla finestra, e il mio cervello
non crede più che ciò che vedo sia il mondo
reale, le macchine sull’autostrada e le villette
67
di Marina del Rey mi sembrano virtuali”.
Così racconta Steve Silberman, il primo civile
ad aver provato un’esperienza di immersive
training militare, in un suo articolo per Wired
magazine del 2004 ( , e prosegue in un estratto
dal medesimo articolo:
op. cit.
Per insegnare alle reclute come navigare
in situazioni complesse, i pacchetti di
formazione virtuali di ICT (Insitute for
Creative Technologies, ndr) sono costruiti
intorno alla più antica forma di esperienza
coinvolgente: la narrazione. “Invece
di spostare la classe sul campo, stiamo
portando il campo in classe”, dice Randy
Hill, vice direttore della sezione tecnologia
dell’istituto. Un pacchetto software ICT
per computer, chiamato ‘Pensa come un
comandante’, impegna i capitani sotto
addestramento in scenari di conflitto
derivati da interviste con altri ufficiali
che hanno prestato servizio in Bosnia o in
Afghanistan. In una story-line, dei signori
della guerra scendono su un avamposto di
distribuzione alimentare, e il tirocinante
deve determinare rapidamente di chi fidarsi
e come costruire alleanze con la gente del
posto. I ruoli dei soldati della coalizione,
i leader tribali, e gli abitanti dei villaggi
sono interpretati da avatar realistici
programmati con megabyte di intelligenza
artificiale, dottrina militare, e software di
riconoscimento vocale e testuale.”
Michael Macedonia
Capo Ufficio Simulazioni U.S. Army
op.cit.
alla cura dei dettagli tecnici di resa visiva della
simulazione per renderli più realistici possibili,
invece secondo gli specialisti del cinema il
focus doveva essere posto sulla storia e sul
suo grado di efficacia a livello di narrazione,
anche a discapito di una resa visiva migliore.
Nello stesso articolo Silberman cita le parole
di Michael Macedonia, il capo dell’ufficio
simulazioni dell’esercito Americano:
“Si ricorre alle simulazioni da migliaia di
anni, fin da quando esistono i soldati. La
narrazione di storie, il disegno di immagini
sulla sabbia, il gioco degli scacchi: queste
astrazioni sono state costruite nella speranza
di comprendere la natura e la dinamica della
guerra. Tutti questi metodi stanno oggi
convergendo nella nuova generazione di
simulazione d’addestramento. [...] La grande
Fin dal primo momento, nel mezzo di questa
collaborazione fra Hollywood e l’apparato
militare governativo, c’è stato un dibattito.
Secondo l’ITC bisognava dare più importanza
Storytelling / Storyshowing
68
Capitolo 2 - Le infuenze del contesto
69
sfida, non è avere la tecnologia giusta. Ci
siamo quasi. La sfida è: abbiamo la storia
giusta? Corrisponde alla realtà? Insegniamo
le cose giuste? La vera storia dell’arte della
guerra è che il tuo compagno sta morendo:
che cosa fai?”
Larry Gordon,
“Virtual war, real healing”
febbraio 2007
http://articles.latimes.com/2007/
feb/09/local/me-virtual9/2
Il coinvolgimento di una storia realistica è
da reputarsi quindi più importante di una
particolare attenzione estetica, anche se
come vedremo più avanti, la cura estetica e
l’attenzione degli elementi formali e visivi sono
anch’essi essenziali se si vuole raggiungere
un determinato obbiettivo di senso. L’ITC
questi fattori li ha capiti bene, schierando dalla
propria parte consiglieri, tecnici e ricercatori
provenienti da ogni branca dell’entertainment:
cinema, videogiochi e rappresentanti
dell’industria videoludica e del divertimento.
Una fattore di rilievo dell’impiego dello
storytelling in ambito di guerra è la possibilità
di utilizzo in ogni fase di approccio: in
prima istanza per il reclutamento, attraverso
campagne di comunicazione e promozione
dell’esercito, con dei veri e propri spot televisivi
o mediante dei punti di promozione outdoor.
In seconda istanza, come abbiamo visto, per
l’addestramento delle reclute. E infine può
essere addirittura utilizzato per la cura dei
disturbi da stress post-traumatico dei soldati
che tornano a casa segnati da una esperienza
fondamentalmente terribile.
Robert McLay, uno psichiatra della Marina
militare, ritiene che l’utilizzo della realtà
virtuale per curare i soldati affetti da PTSD
(post-traumatic shock disorder) sia di
un’efficacia assai sottovalutata, poiché una
possibile cura di questo grave disturbo
Storytelling / Storyshowing
70
Capitolo 2 - Le infuenze del contesto
comprenderebbe la necessità di tornare sul
posto dove si è subito lo shock. Egli afferma:
“Non si può rimandare in iraq chi ha subito
un trauma. La realtà virtuale rende possibile
questo ritorno, ma sul posto. Alcune vittime
del PTSD non possono o non vogliono
ricordare certe cose [...] senza degli stimoli,
come immagini di un ospedale di guerra,
la registrazione di un canto di preghiera
musulmana o la diffusione di odori di
esplosivi nell’ufficio dello psicologo”.
Di nuovo, anche in una fase di guarigione
e quasi di smantellamento di quello che
si era costruito in precedenza durante
l’addestramento, è essenziale il grado di
coinvolgimento di una storia. Come è
essenziale la componente sensoriale e formale,
capace di rievocare sensazioni vissute ed
emozioni provate, specialmente quando
si è vissuta una storia di una fortissima
componente suggestiva. Questo è il potere
dello storytelling, talmente forte da poter
creare e distruggere a livello emozionale, da
poter “guarire o agguerrire” a seconda delle
necessità e degli obbiettivi.
71
“Narrare è sapere che tutto
quello che dici dalla prima
frase all’ultima porta a un
solo obbiettivo, e idealmente
a confermare una verità che
approfondisce la conoscenza
di chi siamo come esseri umani.
A tutti piacciono le storie.
Siamo nati per questo.
Le storie affermano chi siamo.
Vogliamo tutti conferma che le
nostre vite hanno un significato.”
2.2
Transmedia
storytelling
“Make me care” , “Fa’ in modo che mi interessi”
una delle regole per la creazione di una grande
storia secondo Andrew Stanton.
https://www.ted.com/talks/andrew_stanton_the_clues_
to_a_great_story
Fino a questo punto si è vista la sfaccettatura
delle possibilità di utilizzo dell’ arte di
comunicare attraverso le storie, come fosse
uno strumento altamente ergonomico
e malleabile, adattabile a svariati tipi di
situazioni comunicative. Si è citato più volte
come l’influenza della letteratura, del dramma,
e del cinema abbiano da una parte forgiato lo
spettatore, abituandolo ad una certa poetica
e un determinato linguaggio visivo, dall’altra
abbiano insegnato e stimolato i praticanti
e i ricercatori a trovare delle modalità per
emozionare e coinvolgere allo stesso modo.
Storytelling quindi è ciò che la storia comunica,
qualcosa di secondario alla narrazione stessa,
un sottotesto percepito quasi inconsciamente
seppur ben presente; Una storia dentro la
Andrew Stanton
Sceneggiatore della Pixar
“The Clue to A great Story” TED - Storytelling conference
Febbraio 2012.
Capitolo 2 - 2.2 Transmedia storytelling
73
storia. Nel nostro secolo, anche le arti maggiori
da cui deriva questa pratica hanno subito delle
trasformazioni per adattarsi alla tecnologia
e ai cambiamenti di mercato. Industria
videoludica e cinematografica sono cambiate
radicalmente nel corso degli anni, inserendosi
nella società in format cangianti e in continuo
rinnovamento, sfruttando ogni nuovo canale
di comunicazione dove è possibile estendersi.
La tecnologia e la poetica che advertising e
propaganda politica hanno preso in prestito
dall’industria del cinema e dei videogiochi, in
essi viene amplificata, estesa e fusa dando vita
a degli universi ipertestuali che si muovono
costantemente da un canale all’altro e dal
flusso vitale potenzialmente infinito.
Storytelling / Storyshowing
74
Capitolo - Paragrafo
75
2.2.1
Il cinema oltre
sè stesso
Capitolo 2 - 2.2
Transmedia storytelling
Storytelling
/ Storyshowing
Henry Jenkins, studioso americano esperto
di new media e direttore del Comparative
Media Studies Program del MIT, la definisce
“Cultura convergente”. È il fenomeno
mediante il quale il cambiamento tecnologico
e la sete degli spettatori di fruire contenuti
sempre più stratificati e interconnessi fra di
loro hanno contribuito allo sviluppo di una
nuova forma di prodotto dell’entertainment:
La narrazione transmediale. Si ha una
narrazione transmediale quando la trama di
un prodotto commerciale d’intrattenimento
non viene scritta in modo lineare e chiuso,
ma viene progettata in modo da fornire varie
linee narrative che possono intersecarsi,
espandersi e correre parallele partendo da
un comune punto d’inizio o da punti iniziali
differenti, sviluppandosi in diversi canali di
fruizione. Con canali di fruizione ci si riferisce
ai differenti device che vengono utilizzati per
fruire i relativi contenuti d’intrattenimento che
devono essere organizzati in modo correlato
e interdipendente. Per poter sviluppare
un’architettura narrativa così articolata si
parte, nella maggior parte dei casi, da quello
che è una pietra miliare per la narrazione
transmediale: il cinema. La sceneggiatura di un
lungometraggio con i giusti attributi, fornisce
contenuti narrativi potenzialmente infiniti fra
i quali costruire una transmedialità. Non tutti
i film si prestano per uno sviluppo di questo
tipo: la trama deve essere molto ricca di spunti
e di riferimenti autoreferenziali mitologici,
che creino la visione di un mondo alternativo
il più possibile approfondita. Nella narrazione
transmediale la storia di un film va oltre i
contenuti raccontati nei minuti della pellicola,
e getta le basi di un intreccio che per essere
76
fruito nella sua totalità muove gli spettatori
su altri medium e su altre piattaforme:
videogiochi online e non, fumetti, libri, serie
tv, dvd con contenuti extra, promozione di
gadget, articoli di abbigliamento e via dicendo.
Il prodotto nella sua totale estensione prende
il nome di franchising multimediale. Jenkins
descrive in modo efficacie questo concetto
parlando della trilogia cinematografica “The
Matrix”:
Henry Jenkins
“Cultura Convergemte”
Milano, Apogeo
2007
The Matrix è intrattenimento per l’era della
convergenza mediatica. In esso molteplici testi
sono integrati in una trama narrativa così
complessa da non potersi dipanare attraverso un
singolo medium. I fratelli Wachowski (gli autori
del film ndr) hanno condotto magistralmente il
gioco transmediale, prima facendo uscire il film
per stimolare l’interesse e concedendo qualche
raro fumetto sul Web ai fan più accaniti e
curiosi, poi lanciando l’anteprima animata della
seconda puntata e contemporaneamente il gioco
per computer, così da sfruttarne la pubblicità.
Infine, hanno chiuso il cerchio con The Matrix
Revolutions e affidato tutta la mitologia prodotta
nelle mani dei giocatori del gioco multiplayer
online. Ogni gradino della scala sfrutta tutto quel
che è venuto prima e offre nuovi punti d’ingresso.
The Matrix rappresenta uno dei primi progetti
di tale estensione multimediale, e un esempio
perfetto di franchising multimediale. Durante
la stesura della trama, gli autori erano ben
focalizzati sul loro obbiettivo: creare una
mitologia epica da poter veicolare su diversi
medium. Ecco dunque che molti aspetti e
caratteristiche, a volte anche fondamentali,
della storia vengono lasciati in secondo
Capitolo 2 - Le infuenze del contesto
77
Nella pagina a sinistra una overview
visiva di quella che è l’estensione
del franchising multimediale
di “The Matrix”: Dalla trilogia
cinematrografica, allo spinoff
animato, dal videogioco per consolle
al MMORPG online, dalle action
figures e dai fumetti agli eventi
tematici. Una narrazione con innumerevoli diramazioni.
http://it.matrix.wikia.com/
https://it.wikimarvel.org/wiki/
Marvel_Cinematic_Universe
Capitolo 2 - 2.2
Transmedia storytelling
Storytelling
/ Storyshowing
78
Capitolo 2 - Le infuenze del contesto
piano e non approfonditi, in modo da poterli
riprendere in una serie animata da trasmettere
tempo dopo il film; Oppure ancora: ecco
che durante la storia compaiono sempre più
personaggi secondari con i loro segreti e il loro
ruolo nella storia, tutti contenuti che verranno
rivelati nella serie a fumetti. Alla fine della
trilogia cinematografica inoltre, viene avviato il
videogioco “The Matrix Online”, dove la storia
viene ripresa da dove i film la avevano lasciata
e, tramite gli accadimenti che avvengono in
tempo reale durante il gioco, viene continuata
dai giocatori, i fan del franchising, ansiosi
di dare il loro contributo per mantenere in
vita la loro storia preferita. Nonostante la sua
innovazione e la grandiosa meraviglia che ha
destato, in realtà dal punto di vista economico
e della critica The Matrix è stato in parte un
fiasco, dopo il secondo film l’interesse è calato
notevolmente, sostanzialmente deludendo
le aspettative. Questo parziale fallimento è
forse dovuto alle troppo elevate ambizioni del
franchising che chiedeva molto agli spettatori:
un fruitore medio, per capire totalmente la
storia ed avere una visione esaustiva delle
“zone d’ombra” narrative, era chiamato ad
impegnarsi a scandagliare tutte le fasi della
narrazione su fumetti, animazioni spin-off
e videogame, per creare un coinvolgimento
perfetto; questo è un fattore al quale all’epoca
lo spettatore non era ancora pronto, poiché
abituato alla visione lineare ed univoca del
lungometraggio senza necessità di costante
ricerca e aggiornamento. Un esempio simile,
che ha riscosso e sta continuando a riscuotere
un notevole successo commerciale, si ha nel
più recente franchising prodotto dalla casa
cinematografica Marvel studios:
79
Kevin Feige, il presidente dei Marvel
studios, presenta il piano delle
uscite dell’universo cinematico della
Marvel dal 2016 al 2019, durante un
evento tenuto a Hollywood nel 2014.
http://www.slashfilm.com/marvelphase-3-kevin-feige/
Capitolo 2 - 2.2
Transmedia storytelling
Storytelling
/ Storyshowing
alcuni dei personaggi principali nelle loro
storyline dedicate e divise in trilogie, prima
distaccate l’una dall’altra, poi via via che i film
escono al cinema le storie vengono disseminate
di indizi che rimandano reciprocamente alle
altre storyline, finchè ogni flusso narrativo
trova un punto di incontro nella trilogia
principale “Avengers”, dove i personaggi
principali si uniscono formando il gruppo de “I
Vendicatori” appunto. Una particolarità sta nel
flusso articolato di fruizione della narrazione:
per dare un senso di continuità realistico
alle vicende, le storie di ogni personaggio si
intersecano cronologicamente, formando
un continuum narrativo irregolare dove lo
spettatore salta da un mini mondo all’altro,
invece che affrontare ordinatamente prima
tutte le storie secondarie e poi quella principale
o viceversa. Questa caratteristica fornisce
una dinamicità molto forte alla narrazione:
lo spettatore fruisce parti autoconclusive
differenti di narrazione da film diversi, ma è in
realtà conscio di star vedendo le vicende che si
dipanano tutte dentro la stessa grande storia.
Questo franchising inoltre presenta al suo
interno un prodotto assai innovativo che
rappresenta un’ulteriore stratificazione della
narrazione. “Marvel’s Agents of Shield” è una
serie tv ad alto budget e dalla programmazione
assai longeva, dipendente dalla storyline
principale, in cui i protagonisti sono dei
personaggi che nella trilogia “The Avengers”
svolgono un ruolo molto secondario, ma dalla
forte caratterizzazione emotiva. La serie trae
linfa vitale dagli appassionati del franchise che
vogliono sviscerare sempre di più la storia ed
essere immersi il più possibile in quel mondo.
“The Avengers”. In esso vengono riprese le
storie dei principali personaggi fumettistici
della famosa casa editrice Marvel
Comics. Storie che vengono trasposte
cinematograficamente in una narrazione
che coprirà un lasso temporale di almeno un
decennio. I supereroi sono notoriamente dei
personaggi di fantasia nati fra le pagine dei
fumetti con una storia che ha inizio fin dal
primo dopoguerra; il trend di trasporre le loro
storie in film è una caratteristica degli anni
dal 2000 in poi e richiede un’analisi e un’opera
di sintesi notevole per il riadattamento
delle vicende a un ritmo cinematografico.
Dopo quasi dieci anni passati fra disordinate
produzioni dalla dubbia qualità narrativa, nel
2008 la Marvel dà inizio al suo megalitico
universo narrativo cinematografico articolato.
Con i primi film, la saga inizia introducendo
80
Capitolo 2 - Le infuenze del contesto
81
http://frenckcinema.altervista.org/portale/?q=content/luniverso-cinematografico-marvel-super-harry-potter-come-saga-pi%C3%B9-redditizia-della-storia-am
Capitolo 2 - 2.2
Transmedia storytelling
Storytelling
/ Storyshowing
A differenza di The Matrix, la narrazione
transmediale della Marvel è scritta e articolata
il più possibile in modo da non penalizzare
uno spettatore che vi accede in punti diversi
dalla fruizione ideale. Ad esempio: se uno
spettatore vede la serie tv prima dei film
non si troverà nella situazione di non capire
determinate cose che non ha ancora visto.
Questo fattore di “salvaguardia” dei nuovi
affiliati, vale però soltanto nella prima fase
del franchising, poiché le date di uscita dei
film sono programmate e divise in tre fasi.
Una volta che la narrazione è arrivata, nel
corso degli anni, alla seconda fase, non è più
possibile accedervi senza aver fruito prima
dei contenuti della fase uno e senza aver
assimilato quel background contenutistico.
Questo è certamente penalizzante nei
confronti degli eventuali spettatori che si
interfacceranno con il franchise nei prossimi
anni, ma è anche necessario poiché uno
degli scopi prettamente commerciali della
narrazione transmediale è immergere lo
spettatore in una storia che lo accompagni
“vita natural durante” e crei fidelizzazione
allargando sempre di più il ”fandom”. I
nuovi spettatori dovranno quindi pianificare
l’acquisto dei dvd dei film e degli episodi della
serie già usciti, per poi rimettersi in pari con
le uscite cinematografiche. All’inizio del 2014
il cosiddetto “Marvel cinematic universe” ha
totalizzato un guadagno di 2,456 miliardi di
dollari, battendo il record di franchising più
redditizio della storia americana e superando
l’amatissimo franchising di Harry Potter
che da anni era il primo in classifica. Harry
potter è un altro esempio di franchising che
ha fatto la storia, partendo da un incredibile
Il Binario 9 di King’s Cross a
Londra.
Flickr
82
Capitolo 2 - Le infuenze del contesto
successo della collana di libri, e arrivando con
le trasposizioni cinematografiche là dove non
era arrivato con la carta stampata. A Londra,
sul binario numero nove della stazione
ferroviaria di King’s Cross, in una delle colonne
di mattoni si può osservare un carrello di ferro
che scompare per metà dentro la colonna. È il
carrello utilizzato da Harry Potter per portare
i suoi effetti personali e la sua attrezzatura da
mago al magico treno per Hogwarts attraverso
l’illusione della colonna, oltre il quale c’è il
famoso binario nove e tre quarti. Il carrello è
incastonato nella colonna, mezzo immerso
nel mondo della magia. I turisti si fermano a
fotografarsi mimando il gesto di spingerlo oltre
l’illusione. È una meta turistica attraente quasi
al pari dei gioielli della regina.
83
https://www.youtube.com/user/airnewzealand
Il Wellington International Airport,
in Nuova Zelanda.
Flickr
In Nuova Zelanda, al Wellington International
Airport, dal tetto della sala principale si erge
imperiosa l’immensa figura di un gigantesco
“Gollum”, famigerato personaggio del
franchising de Il Signore degli Anelli. In
Nuova Zelanda sono state girate la maggior
parte delle sequenze della trilogia ed è un
fattore identitario talmente forte che hanno
deciso di dedicare una ricostruzione di 13
metri e 1,2 tonnellate a uno dei personaggi
più caratteristici della storia per sponsorizzare
l’uscita del film “Lo Hobbit: un viaggio
inaspettato”, e non finisce qui. La compagnia
aerea Air New Zealand ha commissionato
uno spot proprio al regista della trilogia:
Peter Jackson, che ha utilizzato i personaggi
della saga come veri e propri testimonial
della compagnia aerea. Il video ha riscosso un
notevole successo, riuscendo a sfruttare la spinta
attrattiva offerta dal franchising.
Le storie che amiamo viaggiano in un
andirivieni tra un medium e l’altro,
fissandosi nel nostro immaginario collettivo
e accostandosi alle vicende che nella nostra
vita ci hanno appassionato. Noi non vogliamo
dimenticarle e vogliamo che facciano parte del
nostro quotidiano, vogliamo toccarle con mano
e gli dedichiamo sempre più tempo e spazio
poiché ormai sono per noi valori identitari
tanto quanto le nostre vicende reali, e forse
anche di più: oggi manifestare un’affiliazione
ad un franchising e far parte di un fandom è
considerato quasi un modo per manifestare il
proprio status symbol.
Jeff Gomez
Storytelling guru
http://www.wuz.it/articolo-libri/6813/JeffGomez-Meet-the-Media-Guru.html
http://www.starlightrunner.com/transmedia
Storytelling / Storyshowing
84
Capitolo 2 - Le infuenze del contesto
“Transmedia in sé e per sé non significa
molto. Si tratta di essere in grado di
comunicare attraverso diverse piattaforme
in qualche modo significativo. Ma quando è
collegato ad un’azione come la narrazione,
transmedia storytelling significa che stai
raccontando storie, ma che stai usando
diversi media, per creare l’intero racconto.
Stai usando i media in modo coordinato. In
un mondo ideale, l’elemento transmediale
è qualcosa che migliorerà l’esperienza
della narrazione stessa. Darà una nuova
visione con cui relazionarsi con la forza del
medium.”
Così parla Jeff Gomez, il guru del transmedia
storytelling, durante una rivista per indiwire
del 2013. La sua esperienza deriva da marchi
come Avatar, Pirati dei Caraibi, Hot wheels,
Teenage mutant ninja turtles, Spider man, Men
in black e molti altri per i quali ha lavorato
con la sua Starlight runner entertainment, di
cui è l’amministratore delegato. La Starlight
si occupa di “creazione e produzione di
85
http://blog.intelligistgroup.com/
lets-call-it-pervasive-communication/
op. cit.
Storytelling / Storyshowing
forza della piattaforma a portata di mano.
Invece della trasmissione vi è una necessità
urgente di dialogo.Il termine ‘narrazione
transmediale’ ha visto la sua prima
pubblicazione in ‘Cultura Convergente: dove
i vecchi e nuovi media collidono”, un testo
del professor Henry Jenkins (allora del MIT,
attualmente insegna presso la University of
Southern California). In seguito produttori
e registi come Tim Kring, Guillermo del
Toro, e Jeff Gomez hanno reso popolare
il termine come una tecnica narrativa di
Hollywood e internazionale.Il transmedia
storytelling, secondo Jeff Gomez, è il processo
di trasmettere messaggi, temi o storyline a un
pubblico di massa attraverso l’uso sapiente
e ben pianificato di molteplici piattaforme
multimediali. Si tratta sia di una tecnica che di
una filosofia della comunicazione e della brand
extension che arricchisce e amplia il ciclo di
vita dei contenuti creativi. È evidente come
l’elemento transmediale sia fondamentale
nell’efficacia di queste architetture narrative e
come esse siano nate grazie a questo sviluppo
tecnologico. Per poter continuare a vivere
di vita propria un franchising deve essere
applicabile a più canali di fruizione, perché è
così che l’esperienza può essere totalmente
“immersiva” per un fruitore. Essa deve
coinvolgere il più possibile esattamente come
avviene nelle realtà virtuali nell’addestramento
militare o nell’immersive journalism, anche
se in questo caso il coinvolgimento non è
sensoriale ma contenutistico. Il cinema deve
andare oltre sé stesso, la storia deve andare
oltre la pellicola del film, ed entrare nei device
dello spettatore accompagnandolo in ogni
forma possibile.
transmedia franchising di grande successo,
massimizzando il valore delle proprietà
intellettuali per prepararle all’estensione
attraverso piattaforme mediali multiple.”,
offrendo un sevizio di transmedia storytelling
in quella che loro stessi definiscono “l’era
della comunicazione pervasiva”, cioè un’era
dove ogni giorno siamo bombardati dal caos
di contenuti di ogni tipo che arrivano da ogni
angolo del mondo, per la gestione dei quali
abbiamo bisogno di nuovi mezzi di lettura.
Nella sezione “service” del sito web della
Starlight runner entertainment (vedi supra)
descrivono in questo modo la situazione:
“I più desiderabili target di mercato oggi,
i Millennial giovani adulti, e i ragazzi
adolescenti della “Generation Z”, hanno
raggiunto la maggiore età in un momento
di estrema comunicazione pervasiva. Come
risultato, essi sono molto più dei mediaconsapevoli, collegati interpersonalmente,
e in grado di esprimersi meglio attraverso
i media rispetto a qualsiasi generazione
precedente. Il problema affrontato da
aziende e grandi media è che molti si
comunicano su modelli di trasmissione
vecchi, dove il racconto è lineare, il
mezzo è a sé stante, e la narrazione si
muove in un solo senso.Un nuovo set
di strumenti e nuove tecniche sono
necessari per raggiungere e coinvolgere
il pubblico di massa nell’era digitale. Il
consumatore e spettatore è ormai un
utente e un partecipante. Il racconto deve
essere accessibile attraverso una serie di
piattaforme multimediali, e la storia deve
essere progettata per mostrare i punti di
86
Capitolo 2 - Le infuenze del contesto
87
2.2.2
Online and
Offline
narrative
gaming
Wired Magazine 55
2014
Storytelling / Storyshowing
88
Capitolo 2 - Le infuenze del contesto
L’aumento del livello di consapevolezza delle
masse, e delle possibilità tecnologiche a
disposizione degli storyteller, hanno permesso
un’evoluzione del cinema portandolo a
convergere con altri media attraverso il potere
delle storie. Questa sorta di evoluzione per
mezzo della narrazione ha cambiato anche
un altro grande mondo dell’intrattenimento
in sinergia con le altre forze del transmedia
storytelling: il mondo dei videogiochi. Dalla
prima loro apparizione, passando per il boom
della fine degli anni ‘80, stiamo ora passando in
un momento in cui i videogiochi sono oramai
capolavori di coinvolgimento narrativo.
Sia dal punto di vista del potere commerciale
che dal punto di vista di potere d’intrattenimento
ormai i videogiochi vengono messi quasi sullo
stesso piano dei prodotti cinematografici,
arrivando all’investimento nella produzione di
un videogioco cifre fino ad ora immaginabili
solo per la produzione di un film; come nel
caso del videogioco “Destiny” i cui costi di
progettazione, sviluppo e promozione hanno
89
Wired Magazine 55
2014
raggiunto i cinquecento milioni di dollari, una
cifra che costituisce un primato nel mondo
dell’intrattenimento videoludico e si accosta a
quelle di produzione hollywoodiana.
La marcia in più che i videogiochi
hanno rispetto ai film, è naturalmente la
componente interattiva, quel fattore di
totale coinvolgimento emozionale che ha
reso possibile lo sviluppo dei progetti di
realtà virtuale di cui si parlava nei paragrafi
precedenti. In questa sede però verranno
presentate quelle tipologie di videogiochi
in cui l’intrattenimento e l’interazione ha
strettamente a che vedere con l’andamento
della narrazione, diversamente quindi da
ciò che avviene nelle tradizionali tipologie
di videogiochi dove il raggiungimento di
determinati obbiettivi preordinati permette
l’accesso ogni volta ad un livello successivo.
“Cross-media, le nuove narrazioni”
Max Giovagnoli
Apogeo, Milano
2009
Nel corso della sua storia evolutiva il mondo
videoludico ha visto la nascita di svariati tipi
di piattaforme d’intrattenimento ognuna
con la propria modalità di gioco e la propria
tipologia d’interazione con gli altri giocatori
o con l’environment circostante. C’è una
categoria in particolare di videogiochi online
chiamati “Giochi di narrazione” (Gdn) nei
quali l’intrattenimento principale riguarda la
narrazione della storia e come essa viene creata
e portata avanti dai giocatori stessi.
I GdN sono videogiochi online dove non esiste
una rappresentazione visiva in computer
grafica dei personaggi che fisicamente si
muovono in uno spazio; visivamente si
presenta come un wall dove appaiono gli
interventi scritti dei giocatori (regolati da un
rigoroso sistema a turno) che descrivono con la
Capitolo 2 - 2.2
Transmedia storytelling
Storytelling
/ Storyshowing
90
Capitolo 2 - Le infuenze del contesto
parola scritta il personaggio che interpretano, i
suoi movimenti nell’ambiente immaginario e le
interazioni con gli altri personaggi presenti in
quel momento. Ogni giocatore è l’autore di sé
stesso e del proprio personaggio e la scrittura
collaborativa della storia è il punto centrale
dell’intrattenimento. La storia viene creata e
portata avanti sinergicamente fra i giocatori
in tempo reale e “Il tempo della narrazione
coincide con quello della fruizione”.
Ovviamente la buona riuscita in una modalità
di gioco di questo genere necessita di una
supervisione da parte di moderatori che
monitorano costantemente il comportamento
dei giocatori e l’andamento della narrazione.
Un fattore fondamentale è inoltre che ogni
Gdn fa riferimento a un determinato universo
immaginativo, sia esso fantasy, science fiction,
wargame o altro, e presenta una introduzione
narrativa di base sulla quale ogni utente si deve
aggiornare e a cui deve adattare la storia del
proprio personaggio per essere introdotto nel
gioco. Con questi presupposti un giocatore
crea il proprio avatar ed entra nel gioco,
narrando la sua parte di storia in una scrittura
collaborativa, dando dei risvolti sempre nuovi
e imprevedibili alle vicende. Per indagare sulle
origini di questa modalità di giochi online è
necessario fare un notevole passo indietro
a quelli che possono ritenersi i precursori
offline dei Gdn: i “Giochi di Ruolo”(Gdr). Un
Gdr è un gioco dove i giocatori interpretano
il ruolo di uno o più personaggi e tramite la
conversazione e lo scambio dialettico creano
uno spazio immaginario, dove avvengono
fatti fittizi, avventurosi, in un’ambientazione
narrativa che può ispirarsi ad un romanzo, ad
un film, ad una qualsiasi fonte creativa, storica
91
John Kim
“What is a Role-Playing Game?”
www.darkshire.net/~jhkim/rpg/whatis/
Lawrence Schick
“Heroic Worlds: A History and Guide
to Role-Playing Games ”
Prometheus Books, New York
1991
Capitolo 2 -/2.2
Transmedia storytelling
Storytelling
Storyshowing
o di pura invenzione.
Le regole di un gioco di ruolo indicano come,
quando e in che misura, ciascun giocatore
può influenzare lo spazio immaginato.
Nella maggior parte di questi giochi, quelli
più tradizionali, un giocatore specialmente
designato, detto master (o “gamemaster”,
“custode”, “narratore”, ecc.) seguendo il
regolamento e l’ambientazione del gioco,
agisce da arbitro e conduce la seduta di gioco,
descrive il mondo nel quale i giocatori si
muovono e determina i risultati delle azioni
che gli altri giocatori intendono far compiere
al proprio personaggio. Ogni personaggio
è caratterizzato da svariate caratteristiche a
seconda del tipo di gioco di ruolo (ad esempio
forza, destrezza, intelligenza, carisma e così
via), generalmente definite tramite punteggi,
che ne descrivono le capacità.
I personaggi possono essere rappresentati
fisicamente da delle miniature su una griglia
di gioco cartacea, e le azioni intraprese nel
gioco vengono determinate dal lancio di un
dado (come in un tradizionale gioco da tavolo)
e secondo un sistema di statistiche e regole
formali raccolte solitamente all’interno di
manuali che è possibile consultare durante una
sessione di gioco. Il capostipite universalmente
riconosciuto di questo genere di giochi da
tavolo narrativi è il GdR fantasy medioevale
“Dungeons and Dragons”, creato nel 1972 da
Dave Arneson e Gary Gygax. Inizialmente
il gioco era costituito da una piccola scatola
rossa con dentro tre piccoli libri di regole, la
scatola recava la scritta “Regole per campagne
wargame fantastiche medievali giocabili con
carta, penna e miniature”.
Dopo un periodo di due anni di diffusione in
92
La prima versione del kit
di Dungeons and Dragons a destra
(1975), a sinistra alcuni manuali
della versione più recente.
www.darkshire.net/~jhkim/rpg/whatis/
sordina, si rivelò poi un vero e proprio successo
arrivando di recente fino alla quarta edizione
di pubblicazione ed affermandosi come il
più famoso e rappresentativo Gdr di stampo
fantasy medievale.
Anche se i Gdr si possono definire i progenitori
dei Gdn online, fra di essi esistono delle
differenze significative. La caratteristica
principale dei Gdn è l’assenza di regole di
gioco (fatta eccezione per quelle generali
di moderazione e rispetto reciproco fra
giocatori) che viene espresso con la parola
scritta e auto-gestito da una sorta di senso
di “automoderazione” nella scrittura della
narrazione di ogni utente. Nei Gdr invece il
gioco si svolge attraverso un’interpretazione
vocale del proprio personaggio a livello di
dialogo “ongame”, mentre le azioni pratiche
vengono indicate dalle miniature che si
muovono su una griglia, e gestite con il tiro
del dado secondo delle regole prestabilite di
bonus e malus che dipendono dal livello e dal
punteggio accumulato dal proprio personaggio
nel corso delle sessioni di gioco. Un’altra
grande differenza sta nel fatto che nei Gdr la
Capitolo 2 - Le infuenze del contesto
93
Henry Jenkins
“Cultura Convergemte”
Milano, Apogeo
2007
Storytelling / Storyshowing
narrazione cardine è creata quasi totalmente
dal narratore alle decisioni del quale i giocatori
devono sottostare; nei Gdn invece la storia
viene portata avanti in maniera equivalente
dalle influenze di ogni giocatore. Questo
ultimo fattore, unito alla ovvia distinzione fra
online offline delle due tipologie di giochi, ci
porta a un importante concetto del transmedia
storytelling: quello di “Intelligenza collettiva”
(Pierre Levy, 2002).
94
Capitolo - Paragrafo
95
2.2.3
Intelligenza
collettiva
Il valore aggiunto
della narrazione
transmediale
Partendo da in alto a sinistra delle immagini
da: Neverwinter nigthts, World of Warcraft,
Warhammer Online e Eve Online.
Danno un’idea della complessità delle regole di
questi videogiochi e della mole delle comunità
online che li popolano.
reddit.com
Uno dei fattori pratici che ha permesso lo
sviluppo di una disciplina come il transmedia
storytelling è l’esistenza del web.
I videogiochi online costituiscono un canale
di condivisione e fruizione di contenuti
inestimabile, ed anche se devono le loro
caratteristiche ai loro antenati Gdr offline, è
la svolta online che ha rivoluzionato il mondo
videoludico facendolo entrare in una sfera
di fruizione totalmente nuova: quella della
cross-medialità. C’è un’ultima categoria di
narrative videogames, che costituisce una
sorta di evoluzione dei GdN, ma anche un vero
e proprio punto di rottura da essi: I MMoRPG
(massively multiplayer online role-play games).
I MMoRPG riprendono lo schema di regole dei
Max Giovagnoli
“Cross-media, le nuove narrazioni”
Apogeo, Milano
2009
Capitolo 2 - 2.2
Transmedia storytelling
Storytelling
/ Storyshowing
96
Capitolo 2 - Le infuenze del contesto
Gdr e lo tramutano in algoritmi che regolano
le statistiche di gioco in background, unendoli
a una visualizzazione in computer grafica 3d
molto più accattivante, ma mantenendo le
caratteristiche di libertà narrativa tipiche dei
Gdn, costituendo il prodotto perfetto per il
transmedia storytelling. Le saghe di “World
of Warcraft”, “Neverwinter Nights” e “EVE
online” sono solo alcune di quelle più longeve
nella marea di questo tipo di piattaforme di
intrattenimento esistenti in rete.
Come spiega Giovagnoli: “Dotati di una
libertà creativa grande, pur non assoluta
come quella dei giochi di narrazione (nei
quali tutto è frutto della fantasia dei coautori, senza interventi da parte di un grandmaster né di game designr o della corporate)
e provvisti di una rapidità di azione/reazione
molto più veloce del consumo del racconto,
oltre che graficamente ed esteticamente più
appaganti: i MMoRPG hanno iniziato la loro
avventura nella rete del 1996-97 e hanno
superato da subito la semplice dimensione
narrativa dei Gdn, ricostruendo in Altrove
digitali le quattro variabili indicate da Pierre
Lévy per lo sviluppo globale dell’intelligenza
collettiva, ovvero: la mobilità nomadica
(dei giocatori e dei character da loro
impersonati), il controllo sul territorio, la
proprietà delle merci (scambiate talvolta sia
sul piano virtuale che su quello reale) e la
padronanza della conoscenza (condivisa o
nascosta, in base agli obbiettivi del gioco).”
I MMoRPG sono l’evoluzione che ha potuto
portare i videogiochi online ad essere un
tassello fondamentale della cross-medialità dei
contenuti tipica della narrazione transmediale.
97
Matrix, Harry Potter, Il signore degli anelli,
Marvel e DC comics sono tutti universi narrativi
che hanno lasciato le redini della creazione
del racconto in mano al proprio fandom
attraverso un MMoRPG online gratuito.
4chan.com
La caratteristica di attrattiva principale di
questi media è la co-autorialità dei contenuti,
cioè il fatto che non esista una storia alla quale
i giocatori devono attenersi durante il corso
del gioco, ma che essa venga scritta secondo
le vicende che avvengono durante la sessione
in tempo reale. Sono quindi gli utenti stessi
a creare il contenuto, e i videogiochi vivono
di user-generated contents, dando vita a
quella che Levy chiama appunto “Intelligenza
collettiva”, un background di contenuti al
quale tutti possono dare un contributo,
partecipando alla narrazione. Questo
importante fattore è quello che viene sfruttato
nei più grandi franchising per estendere la
storia oltre il circuito finito del cinema e
facendola proseguire, o anche semplicemente
sviluppandola in un senso lateralmente
diverso dalla storyline principale, dandola in
mano al fandom online. “Star wars the old
Henry Jenkins
“Cultura convergente“
Milano, Apogeo
2010, p. 83
republic”, “DC universe Online” o “The Lord
of the Rings online” sono solo alcuni esempi
di franchise che si sono estesi ai videogiochi
online, anche se uno degli esempi più peculiari
resta il franchising di “The Matrix” come
spiega Henry Jenkins:
“The Matrix è anche intrattenimento per
l’era dell’intelligenza collettiva. Pierre Lèvy
teorizza su quali tipi di opere estetiche
rispondano alla domanda della cultura della
conoscenza. Innanzi tutto, egli sostiene
che la “distinzione fra autori e lettori,
produttori e spettatori, creatori e interpreti
si confonderà” per formare “un circuito”
(non proprio una matrice) di espressione,
in cui ogni partecipante è impegnato a
“sostenere l’attività” degli altri. L’opera
diverrà cio che Lèvy chiama un “attrattore
culturale”, vale a dire un prodotto che unisce
diverse comunità offrendo loro un terreno
comune; possiamo anche descriverla come
un attivatore culturale, perché stimola
attivamente alla sua interpretazione,
esplorazione ed elaborazione. La sfida,
consiste nel creare opere di uno spessore tale
da giustificare sforzi su larga scala: “Qui si
mira innanzitutto a impedire che si chiuda
troppo presto, senza aver dispiegato la
varietà delle sue ricche potenzialità”.
Nel transmedia storytelling le piattaforme
di gioco online hanno costituito e stanno
costituendo un passo altamente innovativo,
sia dal punto di vista della tecnologia che
dal punto di vista della progettazione dei
contenuti narrativi: sempre più interattivi
e customizzabili, sempre in evoluzione.
È grazie a piattaforme di questo tipo che
l’efficacia interattiva delle storie dei franchising
Capitolo
2 - 2.2
Transmedia storytelling
Storytelling
/ Storyshowing
98
Capitolo 2 - Le infuenze del contesto
99
Pierre Levy
Filosofo Francese,
esperto di nuovi media
/www.mediamente.rai.it/home/
bibliote/intervis/l/levy.htm
Storytelling / Storyshowing
multimediali può diffondersi a macchia d’olio
in quel mare imprevedibile di comunicazione
che è la rete, e continuare a viverci per degli
anni. Si può dire inoltre che è partendo
dall’idea di immersione interattiva di questi
games che stanno nascendo narrazioni in
realtà virtuale come l’immersive journalism
o l’immersive training di guerra, veri prodigi
dello storytelling in perfetta sinergia con
l’innovazione tecnologica. Questo tipo di
videogames danno un esempio semplificaro
e videoludico di come l’intelligenza collettiva
possa essere uno strumento inestimabile per
la costruzione della conoscenza attraverso le
culture di tutto il globo.
Dopotutto: “L’intelligenza è distribuita
dovunque c’è umanità, e questa intelligenza,
distribuita dappertutto, può essere
valorizzata al massimo mediante le nuove
tecniche, soprattutto mettendola in sinergia.
Oggi, se due persone distanti sanno due cose
complementari, per il tramite delle nuove
tecnologie, possono davvero entrare in
comunicazione l’una con l’altra, scambiare il
loro sapere, cooperare. Detto in modo assai
generale, per grandi linee, è questa in fondo
l’intelligenza collettiva »
100
Capitolo - Paragrafo
101
2.3
Conclusioni
La società
dello spettacolo
Guy Debord
“La Società dello spettacolo”
Baldini Castoldi Dalai
Milano, 2008
Capitolo
2 - 2.2
Transmedia storytelling
Storytelling
/ Storyshowing
attiva degli spettatori, che, come è stato
visto, in determinate situazioni si fanno
co-autori e contribuiscono alla formazione
di un’intelligenza collettiva. La cultura
convergente di Jenkins parla di fiducia nel
nuovo orizzonte dell’intrattenimento e va
contro la visione oscura e Orwelliana della
società dello spettacolo di Debord. In questo
tipo di narrazioni scatto attenzionale e patto
fiduciario si svolgono assai lentamente e
consapevolmente, al contrario di quanto
avviene nell’advertising, un utente sceglie,
attraverso la stratificazione dei media offerta,
attivamente e consapevolmente a quale tipo di
comunità o fandom appartenere e se, come e
quali contenuti vuole condividere o fruire.
Prodotti come film e videogiochi qualche
tempo fa non avevano la profondità e la
potenzialità narrativa che hanno oggi, i
politici invece godevano di più alta credibilità
a discapito di un’informazione poco
trasparente e poco diffusa. Ed è proprio in
queste narrazioni che fruiamo ogni giorno che
entrano in gioco le marche con i loro mondi
e le loro storie, accaparrandosi i loro spazi e
comunicando i loro valori, come personaggi
senzienti portatori di determinate peculiarità,
attori nel gioco della comunicazione.
Guy Debord, nel suo manoscritto più
famoso, descrive lo spettacolo come “un
rapporto sociale fra individui mediato dalle
immagini”. Viviamo in una società in cui
si è costantemente bombardati da nozioni,
contenuti e messaggi in decine di medium
differenti che ci stimolano quotidianamente
tutti i sensi percettivi che riescono a
raggiungere. Li dove si trovano le crepe, le
pause, i silenzi fra le azioni che svolgiamo ogni
giorno, li si trovano tutte le narrazioni che ci
vengono inviate da innumerevoli destinatari
con i loro diversi obbiettivi di senso.
Al di là della visione negativa di Debord,
la nostra società cross e trans-mediale
offre ad oggi nuovi punti di accesso
all’intrattenimento, rendendolo non più
passivo e fine a sé stesso, ma condiviso e
partecipativo, da fruire all’interno di una
comunità, votato verso la partecipazione
102
Capitolo 2 - Le infuenze del contesto
103
Capitolo 3
L’ANALISI DELLA
COMUNICAZIONE
Storytelling / Storyshowing
104
Capitolo - Paragrafo
105
che provoca nel corpo la metrica della
tragedia Greca, con la danza e suoi corpi.
Tutti questi, mi sembra, sono i modi con cui
tutti gli esseri umani si interconnettono l’un
l’altro, modi di comunicare. Eppure sono
moltissimi, che sembrano non considerare
questo ambito pienamente multisensoriale,
e che presentano invece una visione ristretta
e molto più semplice del comunicare, come
fosse limitato alle parole; nel migliore dei
casi ci si spinge fino a includere la recente
espansione del mondo delle immagini e della
tecnologia dell’informazione, oggi in forte
crescita. Le parole anno in effetti un potere
straordinario e la mia storia personale e
professionale è stata pervasa da esse, ma c’è
anche moltissimo altro.”
La comunicazione è un atto insito degli
esseri viventi, esiste da quando esiste la
vita. Essa avviene tramite un numero quasi
infinitesimale di codici, linguaggi e metodi,
avviene attraverso tutti e cinque i sensi, in
maniera esplicita e didascalica o in maniera
metaforica ed allegorica, in maniera attiva
o passiva, attraverso la lunga o la breve
distanza. Se effettuata con le modalità giuste,
può toccare delle corde emozionali molto
profonde, può smuovere le masse. È uno degli
aspetti più studiati dell’esistenza. Sociologi,
antropologi, semiologi, narratologi, linguisti
e svariati altri tipi di studiosi scientifici e
umanistici studiano la comunicazione da
tempi antichi. Nell’estratto con il quale si
è aperto questo paragrafo, l’antropologa
Inglese Ruth Finnegan esprime riassumendo
perfettamente cosa significa comunicazione.
La parola orale e scritta è solo uno dei canali
possibili, una delle sfumature esistenti
3.1
Comunicazione
e narrazione
Ruth Finnegan
“Comunicare, Le molteplici modalità
dell’interconnessione umana”
UTET Università, Milano
2009
Storytelling / Storyshowing
“Mentre sono qui seduta a digitare sul
mio computer, mi tornano alla memoria i
cantastorie dell’africa occidentale con le loro
canzoni, i movimenti del corpo, e il pubblico
che prende parte attiva alla performance;
mi ricordo dei richiami, dei colori e dei
profumi che si diffondono dai prodotti
messi in mostra per attirare gli acquirenti
in un mercato delle Fiji, e dell’esperienza
condivisa, non solo acustica ma anche
corporea e visiva dei concerti inglesi. Penso
ai gesti e ai segnali della quotidianità e
alla comunicazione lungo grandi distanze
tramite il telefono, le lettere, i regali;
penso anche al passaggio materiale di beni
che caratterizza la comunicazione fra le
generazioni delle grandi dinastie. Non posso
poi dimenticare né l’esperienza della lettura
di autori dell’antichità, le cadenze, i ritmi, le
parole dei poemi di Omero né l’eccitazione
106
Capitolo 3 - L’analisi della comunicazione
107
storia stessa dell’umanità; non esiste, non
è mai esistito in nessun luogo un popolo
senza racconti; tutte le classi tutti i gruppi
umani, hanno i loro racconti e spesso questi
racconti sono fruiti in comune da uomini di
culture diverse, talora opposte; il racconto
si fa gioco della buona e cattiva letteratura;
internazionale, trans-storico, transculturale,
il racconto è come la vita”
Le narrazioni sono una forma di comunicazione
e in quanto tali vanno oltre il semplice linguaggio
esplicito costituito di parole e concetti.
fra le innumerevoli della comunicazione.
L’antropologia si sofferma in particolare sul
contesto socio culturale sul quale avviene la
comunicazione, come sottotesto obbligatorio
nella considerazione dei sistemi e dei metodi
di come essa avvenga.
Per i semiologi comunicazione è “significazione”,
cioè il processo di produzione di significato
che avviene mediante un messaggio
che intercorre fra un emittente e un
destinatario, tale messaggio ed è costituito
da referenti (oggetti/eventi dei quali o sui
quali si comunica) e dei determinati codici
(sistemi e linguaggi utilizzati dagli attori per
comunicare). Questo punto di vista semiotico
è applicabile a qualsiasi tipo di comunicazione.
La narrazione è una modalità del comunicare
al giorno d’oggi molto utilizzata nella
politica, nel giornalismo nell’intrattenimento
e nell’insegnamento, come si è visto in
precedenza. E questo perché comunicare
sinestesicamente, raccontando a più livelli
sensoriali possibili, è uno dei modi per
comunicare in assoluto più efficaci. Le
storie fanno riferimento a mondi valoriali
che riaccendono in noi stati emozionali che
possono smuovere il nostro modo di vedere
il mondo. Con la forza della metafora e
dell’allegoria siamo stimolati a entrare nel gioco
comunicativo di produzione di significato.
Roland Barthes
“Introduzione all’analisi
strutturale dei racconti”
Bompiani, Milano
2002
Storytelling / Storyshowing
“Innumerevoli sono i racconti del mondo”
scriveva Roland Barthes nel suo “Introduzione
all’analisi strutturale dei racconti” il suo
studio alla base della narratologia. “Sotto
queste forme quasi infinite il racconto è
presente in tutti i tempi, in tutti i luoghi, in
tutte le società; il racconto comincia con la
108
Capitolo 3 - L’analisi della comunicazione
109
3.2
L’analisi del
racconto
Lo studio delle strutture narrative è una
disciplina che trova una definizione precisa
soltanto nel 1969 quando il filosofo Tzvetan
Todorov, conia il termine Narratologia.
Il filosofo Russo sostiene che l’opera letteraria
è composta da storia e discorso allo stesso
tempo. Storia perché comprende una certa
realtà, eventi e personaggi che si confondono
con quelli della vita reale. Una storia che
può essere raccontata senza essere per forza
esposta in un libro ma anche in un film o
tramite racconto orale. Ma l’opera letteraria
è anche discorso perché vi è un narratore che
narra la storia e un lettore che la percepisce e
a questo livello, quello che ha importanza non
sono gli avvenimenti raccontati ma il modo in
cui il narratore li ha fatti conoscere.
Molto della narratologia si deve agli studi
dell’antropologo russo Vladimir Propp, che
nel 1928 pubblicò il suo saggio intitolato
Storytelling / Storyshowing
110
“Morfologia della fiaba“ nel quale espone il
famoso “Schema di Propp”. Questo schema è
nato come risultato degli studi condotti sulle
narrazioni fiabesche di magia del folklore
Russo. Nel suo schema egli divide le fiabe
in 31 funzioni, note anche come Sequenze di
Propp, che compongono il racconto. Ogni
funzione rappresenta una situazione tipica
nello svolgimento della trama di una fiaba,
riferendosi in particolare ai personaggi e ai
loro precisi ruoli (ad es. l’eroe o l’antagonista).
Nell’analisi di Propp, cioè, è più importante
quello che fa il personaggio che non chi
è il personaggio: se l’eroe è una fanciulla,
un principe o un orso è indifferente, a
caratterizzare lo svolgimento della trama
è l’azione che l’eroe compie e non le sue
caratteristiche fisiche.
Edgar Allan Poe
“Filosofia della composizione”
Guerini, Milano
2000
Capitolo 3 - L’analisi della comunicazione
Questa ed altre definizioni, come la fabula
e l’intreccio, fanno parte degli studi della
narratologia, una disciplina ovviamente
legata alla letteratura, e che oggi non ha più
la rilevanza di un tempo, ma che ha gettato
le basi dell’analisi di quello che oggi viene
comunemente chiamato storytelling.
Molti anni prima nel 1846 Edgar Allan Poe
pubblica la sua “Philosophy of compositon“
dove spiega la sua tecnica pratica di
composizione narrativa mediante la quale è
necessario scrivere, come critica verso scrittori
che “preferiscono dare a intendere che essi
compongono in uno stato di splendida
frenesia”. Critica a parte, e nonostante
l’approccio di Poe parta a monte del processo
narrativo, la “Philosophy of compositon“
consiste comunque come una testimonianza
di come una narrazione può essere smontata
111
ed osservata al microscopio, dimostrando
che a determinati obbiettivi di senso
conseguono determinate scelte formali, di
fatto anticipando l’approccio semiotico alla
creazione di senso.
È proprio per questo approccio che l’analisi
semiotica si è dimostrata adatta allo studio
della comunicazione di marca. Molti semiologi
infatti (a partire da Barthes) hanno dedicato
i loro studi all’analisi della pubblicità e delle
metodologie con cui le marche comunicano
le loro storie. È stato quindi opportuno, nei
prossimi paragrafi, esporre la visione della
narrazione dal punto di vista del cosiddetto
occhio semiotico.
Storytelling / Storyshowing
112
3.3
I tre paradigmi
di Ramzy
realmente scioccati. Ho sentito che ci sono
stati cortei a Washington, e che alcuni hanno
persino scritto al Presidente. Un’osservazione
in particolare fu davvero eclatante: “Non
è possibile cambiare il gusto della Coca;
La Coca Cola è il Sogno Americano in
bottiglia.”All’epoca stavo studiando l’arte, il
business e il mestiere dello Storytelling e del
Mythmaking, analizzando e interpretando la
mitologia di Hollywood, il Sogno Americano,
leggendo libri, guardando e analizzando
film. E poi è successo questo. Questo evento
mi ha fatto capire che la storia non si limita
alla narrazione, alla sola finzione, e che una
storia può essere raccontata anche attraverso
prodotti e marchi. Infatti, questo mi ha fatto
capire che la gente non compra prodotti,
ma storie. La gente non compra le marche,
compra i Miti e gli Archetipi che quelle
marche rappresentano. Accanto a uno scopo
strumentale, prodotti e marchi hanno anche
un obiettivov simbolico.
Per definire meglio questi concetti è
interessante citare questo passo raccontato
da Ashraf Ramzy, il fondatore del Narrativity
Group di Amsterdam, in un articolo da lui
pubblicato sul sito del gruppo il 12 ottobre 2013
e intitolato “Anatomy of a Brand Story”
Ashraf Ramzy,
Fondatore di “Narrativity®
Corporate Story Consultancy”
http://www.narrativity-group.com/
anatomy-of-a-brand-story/
Storytelling / Storyshowing
In questo estratto emerge chiaramente come
fin dagli anni ‘80 fosse presente e crescente
l’attaccamento e il senso di fidelizzazione ai
cosiddetti lovemarks, derivati dalla storia che
essi consistevano per i consumatori a livello
quasi inconscio, eppure così forte da generare
sommosse e proteste in determinati casi.
In questo articolo del 2013 lo scopo di Ramzy è
quello di analizzare dal punto di vista teorico
e formale uno spot di 7up intitolato “Black
belt”, dimostrando come rientri in uno schema
narrativo, e analizzandone l’efficacia nei
confronti dell’obbiettivo prefissato: accostare
il brand a dei valori esperienziali e attraenti.
Perché è proprio di questo che si tratta. Nella
Nel bel mezzo della mia ricerca per capire il
sistema narrativo Hollywoodiano (1982) mi
sono imbattuto sul concetto di Mitologia
come storia della società che parla di se
stessa per dare un senso alla vita. E mi
sono imbattuto sul concetto che il “Sogno
Americano” è tanto Mitologico per l’America
quanto la Mitologia Greca lo era per i Greci,
i Romani e per l’Europa tutta. Nel maggio
1985 la Coca Cola ha annunciato che avrebbe
cambiato il gusto della propria bevanda.
Ho assistito a una rivoluzione. La gente in
tutto il mondo ha protestato. Tutti erano
114
Capitolo 3 - L’analisi della comunicazione
115
image”. Questo avviene ad esempio negli
spot della Apple, ed ha strettamente a che
fare con un sistema di advertising basato
sullo storytelling. La seconda distinzione che
Ramzy traccia avviene, come è stato detto, a
livello “formale” e si divide in tre tipi:
- Il testimonial: dove un’autorità parla agli
spettatori a proposito del prodotto/brand
- la dimostrazione: dove i benefici del
prodotto/brand sono dimostrati agli spettatori
- Il dramma: il racconto di una narrazione
in cui il prodotto/brand svolge un ruolo
strumentale.
Un frame da “Black Belt” lo spot di 7up
analizzato da Ramzy.
http://www.culturepub.fr/videos/7up-black-belt-2/
Storytelling / Storyshowing
Ramzy afferma che: “La pubblicità
commerciale è solitamente comunicazione
persuasiva che impiega una logica causale
elementare unita a delle tecniche retoriche.”
Nel dramma invece viene utilizzata una
comunicazione narrativa, con una logica
poetica e associativa. Al giorno d’oggi le due
cose si fondono, le distinzioni e i limiti fra
la pubblicità in senso stretto e le altre fasi
della comunicazione valoriale di marca si
assottigliano sempre di più, rendendo di fatto
tutta la comunicazione un unico grande
racconto continuo, evocativo e coninvolgente.
sua analisi Ramzy traccia una distinzione delle
tecniche di advertising su due diversi livelli:
uno “tecnico” e uno “formale”(Ramzy, 2013). Il
primo, quello “tecnico”, è diviso a sua volta in
due tipi: “hard sell” e “soft sell”;
L’ “Hard sell” consiste nell’ottenere il
successo di un prodotto nella distinzione
di esso dagli altri prodotti di una stessa
categoria. Ovviamente questo è un livello
di comunicazione abbastanza superficiale,
solitamente utilizzato per gli standard di
prima/dopo e problema/soluzione utilizzati
per le pubblicità per prodotti di pulizia, e non
ha molto a che vedere con lo storytelling.
Il “soft sell” invece, sposta il focus
sull’immagine e sull’identità. Le informazioni
riguardanti il prodotto vengono rimpiazzate,
o supportate, dalla costruzione di una “brand
116
Capitolo 3 - L’analisi della comunicazione
117
3.4
L’occhio
semiotico sulla
comunicazione
Quando ci si avventura nella progettazione di
un messaggio comunicativo si va incontro a
numerose complicazioni di natura semantica,
legate alle intenzioni comunicative e di
obbiettivo di senso, al canale e alla forma
utilizzate, ai metodi di rappresentazione
e linguaggio e alle diverse possibilità di
interpretazione e percezione dello stesso.
È proprio per questa serie di aspetti che
l’analisi a posteriori si rivela un lavoro criptico
e difficile da condurre. È possibile arrivare
al nocciolo di un insieme di segni? Capire
l’intenzione comunicativa dei progettisti?
Arrivare a determinare quanti e quali sono le
interpretazioni possibili e quindi valutarne
l’efficacia formale e semantica?
Quando ci si addentra in argomenti come
l’analisi della comunicazione in tutte le
sue potenzialmente infinite sfaccettature è
Storytelling / Storyshowing
118
Capitolo 3 - L’analisi della comunicazione
119
con l’interpretazione di oggetti statici quali
le merci mediante la sua capacità di “mettere
in scena”. Un altro motivo per cui la semiotica
è adatta ad essere usata come strumento di
analisi per la comunicazione di un marchio
è che prima della pubblicità un argomento
di ricerca è stata, ed è tutt’ora, la narrazione.
Partendo dagli studi sulla letteratura sono
stati sviluppati dei metodi per analizzare i
racconti, (come per Propp e Jakobson) e capire
le strutture secondo i quali essi vengono
pensati e scritti. La pubblicità è sempre stata
vista dall’occhio semiotico come una forma
di narrazione abduttiva, laterale, ed oggi si
rivela tale più che mai. Oggi non si parla più
di pubblicità, ma si pensa al brand come ad
un soggetto/entità che muove delle azioni nel
nostro mondo, sfruttando varie dimensioni
narrative e diversi linguaggi visivi e non.
inevitabile non imbattersi in riflessioni di
natura Semiotica. Psicologia, antropologia,
sociologia e semiotica sono tutte discipline
i cui studiosi hanno da sempre cercato
di smontare e osservare al microscopio
quei fenomeni così spontanei, eppure così
complicati, quali sono la comunicazione e il
linguaggio. La Semiotica però, riguardando lo
“studio dei segni” ed essendo per eccellenza
la materia che studia i processi di produzione
di senso che avvengono nella società, è la
disciplina che più si è prestata nel corso
del tempo all’analisi della pubblicità e della
comunicazione di marca.
Per sua stessa natura però, essa presenta dei
limiti. Come ad esempio le varie differenze di
definizione dei concetti fra diverse correnti
di pensiero, oppure il fatto che l’efficacia di
un’analisi dipenda molto dalle capacità dello
studioso, oppure ancora il fatto che non tutti
i metodi semiotici siano applicabili a tutti i
tipi di messaggi pubblicitari. Ma è proprio la
mancanza di rigidità teorica della semiotica
che fa di questa disciplina uno strumento utile
per la ricerca sulla comunicazione di marca,
perché la rende maggiormente flessibile e
adattabile alle molteplici necessità date dalle
diverse casistiche.
A partire dagli studi di Roland Barthes
degli anni 60 la semiotica cominciò ad
approcciarsi alla pubblicità. Tra tutte le forme
di comunicazione Barthes riteneva che la
pubblicità fosse una fra le più importanti,
poiché la riteneva: “uno strumento in grado
di consentire di superare i problemi connessi
Storytelling / Storyshowing
120
Capitolo 3 - L’analisi della comunicazione
121
3.4.1
Le funzioni della
comunicazione
di Jakobson
Roman Jakobson
1896 - 1982
Linguista e semiologo Russo,
uno dei principali esponenti
della scuola del formalismo
e dello strutturalismo.
Storytelling / Storyshowing
122
Capitolo 3 - L’analisi della comunicazione
Per capire come si pone l’occhio semiotico
nei confronti di un testo/messaggio verranno
esposti due dei metodi di decodifica della
comunicazione e del linguaggio.
Nel 1963, basandosi su degli studi sulle
telecomunicazioni, il linguista e semiologo
russo Roman Jakobson pubblicò un saggio
dove schematizzò quelli che secondo si
suoi studi erano gli aspetti fondamentali
della comunicazione. Questi aspetti fanno
riferimento alla comunicazione verbale ma
anche quella non verbale, e possono essere estesi
ad ogni tipo di linguaggio, poiché ovunque si
palesi un messaggio di qualunque tipo, ovunque
sia presente un “testo” e un destinatario a
interpretarlo, si instaurerà un dialogo.
123
Le funzioni della comunicazione
sono 6 e sono le seguenti:
la funzione referenziale (riferita al contesto):
è la funzione più pratica, quella che riguarda
il contenuto comunicato e il contesto fisico.
Solitamente fa riferimento a merci o servizi
realmente esistenti.
la funzione emotiva (riferita al mittente):
con la funzione emotiva l’intento è prendere
l’io del mittente ed inserirlo nel messaggio,
stimolanto i suoi sentimenti e umori, e
facendo appello alla sua visione del mondo e
alle sue idee
la funzione conativa (riferita al destinatario):
la funzione conativa fa riferimento a un
messaggio che contenga un comando o un
appello riferito direttamente al destinatario,
con lo scopo di chiamarlo all’attenzione
direttamente e suscitare una reazione attiva.
la funzione fàtica (riferita al contatto):
questa funzione riguarda l’attenzione al
mantenimento del canale di comunicazione
in sè per sé, con lo scopo di mantenere viva la
relazione con i destinatari.
la funzione poetica (riferita al messaggio):
riguarda il modo in cui il messaggio si
presenta ai destinatari, dal punto di vista
estetico e di forma, le sue proprietà dal
punto di vista dei sensi, e il modo in cui si fa
percepire e comprendere.
la funzione metalinguistica (riferita al
codice): è la funzione che riguarda le regole
di esposizione e le forme di espressione di
un messaggio. È predominante quando
usiamo un linguaggio per parlare di un altro
linguaggio, oppure per spiegare una legge o
descrivere delle regole.
Storytelling / Storyshowing
124
Bonfantini, Bramati, Zingale
“Sussidiario di semiotica”
ATìeditore, 2007
Capitolo 3 - L’analisi della comunicazione
Le funzioni della comunicazione fanno
riferimento si alla comunicazione, ma
lateralmente ad un modo di vedere il
mondo, decodificandolo secondo quella
rete relazionale di continua suggestione e
interpretazione dialogica.
Con l’emergere della definizione delle
funzioni comunicative di Jakobson è possibile
osservare la comunicazione in maniera
non convenzionale, come fosse un gioco
di relazioni dinamiche e dialogiche e non
lineari, in quello che viene recentemente
definito “Gioco semiotico”. “Comunicare non
è trasmettere e decodificare un messaggio,
ma è agire all’interno di un gioco di
relazioni dialogiche[…] un atto di relazione
sociale condivisa e sorretta da regole, di
individuazione di spazi di azione, di strategie
per il conseguimento di un fine, di azioni che
producono senso”. Jakobson afferma anche
che esse non sono per forza tutte presenti
in ogni tipo di messaggio e che dipende dal
tipo di comunicazione, per lo stesso motivo
inoltre la gerarchia delle funzioni può
cambiare; Egli inoltre spiega come la funzione
emotiva/espressiva sia quella più utilizzata
nella pubblicità e più in generale nella
comunicazione del mondo di marca, poiché
l’intento è comunicare delle storie attraverso
suggestioni ed emozioni, costruendo delle
dimensioni narrative iconiche.
125
3.4.2
Il modello
attanziale
di Greimas
Algirdas Julien Greimas
1915 - 1992
Storytelling / Storyshowing
126
Capitolo 3 - L’analisi della comunicazione
Un tipo di analisi semiotica sorta fra gli anni
‘60 e ‘70 riguarda un livello più profondo
rispetto a quello sintattico: quello narrativo.
Secondo un punto di vista semiotico, tutto ciò
che ci circonda è racconto, poiché è messaggio
che stimola interpretazione e crea del senso,
e perché in qualsiasi tipo di comunicazione
avviene una semiosi. Per l’interpretazione
del livello narrativo di una forma di
comunicazione è possibile applicare lo schema
di analisi degli attanti di Greimas.
Algirdas Julien Greimas è stato un linguista e
semiologo Lituano, ha fortemente contribuito
allo sviluppo della teoria semiotica fondando
la semiotica strutturale.
Il suo modello mira appunto ad evidenziare
i cosiddetti attanti, che sono gli elementi che
agiscono all’interno di un gioco comunicativo.
Essi sono sei, e sono divisi fra attanti, che
operano in una sfera narrativa astratta,
127
e attori, che vivono nella narrazione ed
interagiscono con gli avvenimenti della storia.
Il destinatore affida un compito a un
destinatario, il quale diviene un soggetto
alla ricerca di un oggetto; nel corso della
narrazione il soggetto incontra un aiutante
e un opponente, che rispettivamente
faciliteranno la ricerca o la contrasteranno.
Esistono alcuni casi in cui destinatario e
soggetto coincidono, e quindi gli elementi del
modello diventano cinque, mentre in altri casi
ancora avviene che oltre a questa coincidenza
il soggetto si autodestini (Per esempio uno
studente che inizia a studiare pensando
“voglio passare l’esame”)
“Sussidiario di semiotica”
Bonfantini, Bramati, Zingale
ATìeditore, 2007
Naturalmente i risultati di questo modello di
analisi emergono palesemente analizzando
una storia letteraria o cinematografica, ma la
cosa interessante è che con un sforzo di analisi
ulteriore può essere applicata potenzialmente
a qualsiasi situazione.
Per esempio: “Anche entrare in una stanza
è un compito. E a suo modo, entrare in
una stanza, è anche una microstoria. È
un’azione nella quale rispecchiano tutte le
figure attanziali. Se la porta è l’opponente,
l’aiutante sarà la maniglia.”
Per la comunicazione di marca però avviene
un altro tipo di processo.
In un universo narrativo di marca il ruolo
dell’oggetto non riguarda un certo prodotto
o il marchio in sé, ma è rappresentato da
una serie di valori, qualità o stati associati ad
essi, e il consumatore, (tu stesso fruitore) è
contemporaneamente soggetto e destinatario
Questo perché la pubblicità non cerca
generalmente di convincere il consumatore
che ha bisogno dei prodotti pubblicizzati in
quanto tali, ma piuttosto che questi prodotti
possono aiutarlo ad ottenere qualcos’altro di
cui sente di avere la necessità, come ad
esempio la salute o il successo o ancora
l’autorealizzazione
SOGGETTO
Lo schema del modello attanziale di Greimas
Op. Cit.
Storytelling / Storyshowing
128
Capitolo 3 - L’analisi della comunicazione
129
3.4.3
Analisi di un
artefatto
pubblicitario
di Barthes
Stefano Traini
“Semiotica della comunicazione pubblicitaria”
Bompiani, Milano
2008
Storytelling / Storyshowing
130
Capitolo 3 - L’analisi della comunicazione
Si può risalire a un momento preciso in cui
è nata la semiotica della comunicazione
pubblicitaria: nel 1964, con la pubblicazione
del saggio intitolato “Retorica dell’mmagine”
di Roland Barthes. In esso egli analizza un
annuncio pubblicitario stampato della marca
di prodotti da cucina Panzani, sancendo di
fatto l’ingrasso della semiotica nel mondo
delle marche. Con questa analisi egli evidenzia
come: “Il messaggio pubblicitario inscrive in
un piano ideologico secondo (connotativo),
all’interno del primo piano di lettura
(denotativo). L’immagine che noi vediamo
incorpora e naturalizza un messaggio
ideologico che veicola effetti connotativi
secondi. […] questo significa che l’immagine
pubblicitaria possiede un complesso valore
comunicativo, e che lo scopo della semiologia
deve essere quello di studiare il suo
potenziale di significazioni attraverso una
131
retorica delle immagini”
Secondo Barthes ogni messaggio visivo
è costituito da due livelli di lettura, uno
intrinseco all’altro, rimandando a significati
e valori che spaziano al di là del primo livello
di lettura, quello estetico e linguistico. Egli
dimostra questi concetti analizzando un
artefatto pubblicitario della marca Panzani.
Ecco allora che la borsa che viene appoggiata
sul piano significa il ritorno dal mercato
appena avvenuto e quindi una freschezza dei
prodotti, mentre i colori della composizione
rimandano a quelli del tricolore italiano e
Gianfranco Marrone
“Corpi sociali. Processi comunicativi
e semiotica del testo“
Einaudi, Torino
2001
Storytelling / Storyshowing
132
Capitolo 3 - L’analisi della comunicazione
quindi alla tradizione genuina del nostro
paese. I prodotti Panzani insieme a prodotti
naturali dimostra come Panzani produca
tutto quello di cui si ha biosgno, ma nel
rispetto della natura, sottolineandone
ancora la genuinità e la freschezza. Inoltre la
composizione degli elementi e l’inquadratura
rimandano a un valore artistico che riferisce
alla natura morta.
L’analisi di Barthes getta le basi per l’analisi
semiotica nel campo della pubblicità, anche
se ad oggi essa è concettualmente superata,
poiché si fermava soltanto agli elementi
presi così come vengono presentati nella
composizione, e non la composizione nel suo
complesso e significati che può comunicare al
di là della componente visiva.
Gianfranco Marrone dimostra ad esempio
come nell’immagine dell’annuncio Panzani
sia presente una narrazione di tipo implicito:
la partenza, il viaggio, e l’azione della scelta
dei prodotti, il viaggio di ritorno, la futura
preparazione della pietanza e il suo consumo.
Visivamente non sono presenti soggetti umani
o attori espliciti in questa narrazione, ma essa
è presente come sottotesto concettuale,
ad un livello più profondo del messaggio.
Lo spettatore può cioè ricostruire
mentalmente un racconto chenell’immagine
pubblicitaria non è narrato esplicitamente,
ma soltanto suggerito. Ampliando il punto
di vista, Marrone ci dimostra la potenza
della comunicazione di marca, di come possa
sfondare i limiti della composizione visiva,
e possa comunicare implicitamente un
messaggio narrativo al di là del significato
più esplicito.
133
3.5
Conclusioni:
Oltre la
pubblicità
Stefano Traini
“Semiotica della comunicazione pubblicitaria”
Bompiani, Milano
2008
Storytelling / Storyshowing
134
Capitolo 3 - L’analisi della comunicazione
In tempi recenti, quest’occhio analitico
delle narrazioni ha ampliato il suo sguardo,
staccandosi dalla narrazione nel senso
letterale e letterario del termine; Osservando
la realtà sociale, il sistema di linguaggi e
comunicazioni di ogni sfumatura del nostro
mondo, e in particolare delle relazioni che
avvengono nel mondo della comunicazione
di marca. “Il nuovo marketing ha lo scopo
di raccontare storie, e non di concepire
pubblicità” ha detto Seth Godin, l’inventore
americano del marketing virale. Con l’infittirsi
di nuove strategie comunicative e con il
continuo sviluppo di nuove tecnologie il
passaggio è stato via via inevitabile, partendo
dall’analisi degli artefatti pubblicitari
stampati, per i messaggi pubblicitari trasmessi
in televisione, per poi arrivare ad oggi.
135
i semiologi hanno creato? È possibile far
emergere delle tendenze e delle metodologie?
Queste domande sono alla base della ricerca
e dell’analisi di questa tesi; di seguito si
esporranno una selezione di schemi e matrici
semiotiche che sono state ritenute le più utili
alla stesura di un’analisi sperimentale di un
corpus di casi studio.
Oggi, il mondo di marca non si costruisce
più soltanto su un logo e sull’immagine
coordinata, o su una storia raccontata nei 30
secondi di uno spot, o sui banner stampati;
esso emerge da un insieme intrinseco e corale
di vari elementi, caratterizzati da diversi
formati e composti da diversi messaggi
coordinati, veicolati su differenti canali.
Universi transmediali tutto intorno a noi,
le narrazioni ci sono ancora, solo che è più
difficile distinguerle, ci parlano con un
efficacia e un coinvolgimento sempre più forte
e con delle tecnologie sempre più stupefacenti
e pervasive.
“Le grandi narrazioni che hanno segnato
la storia dell’umanità, da Omero a Tolstoj
e da Sofocle a Shakespeare, raccontavano
miti universali e trasmettevano le lezioni
delle generazioni passate, lezioni di saggezza,
frutto dell’esperienza accumulata. Lo
storytelling percorre il cammino inverso:
incolla sulla realtà racconti artificiali,
blocca gli scambi, satura lo spazio simbolico
di sceneggiati e di stories. Non racconta
l’esperienza del passato, ma disegna i
comportamenti, orienta i flussi di emozioni,
sincronizza la loro circolazione.”
Quello che prima era solo narrazione e
racconto oggi è storytelling. È qualcosa che va
oltre la narrazione classica e oltre la pubblicità.
Oggi le marche vivono con noi.
Ma con l’infittirsi e lo stratificarsi delle
informazioni e dei canali è ancora possibile
decodificarle e analizzarne le caratteristiche?
È ancora possibile utilizzare i mezzi che
Storytelling / Storyshowing
136
Capitolo 3 - L’analisi della comunicazione
137
Capitolo 4
GLI SCHEMI SEMIOTICI
Storytelling / Storyshowing
138
Capitolo - Paragrafo
139
4.1
Il quadrato
semiotico
di Greimas
Gli elementi che fanno parte del quadrato
semiotico sono ovviamente quattro e sono
disposti uno per angolo e collegati tra loro da
relazioni di natura differente: contrarietà (sui
lati orizzontali), complementarietà (sui lati
verticali) e contraddizione (sulle diagonali).
Osservando lo schema si può quindi vedere la
seguente divisione delle relazioni fra i soggetti:
- S1 e S2, ~S1 e ~S2: sono contrari
- S1 e ~S1, S2 e ~S2: sono contraddittori
- S1 e ~S2, S2 e ~S1: sono complementari
Uno dei contributi di Greimas più importanti
e conosciuti nel campo della semiotica è
stato l’introduzione del cosiddetto “quadrato
semiotico”. Il quadrato semiotico è un metodo
di analisi e classificazione dei concetti di un
determinato testo(dove con la parola “testo”
si intende la definizione in semiotica di un
messaggio comunicativo contenente dei segni
che stimolano un’interpretazione), ponendoli
in una condizione di contrasto e opposizione.
Questo schema trova le sue radici sulla teoria
Aristoteliana del “Quadrato delle opposizioni”,
un metodo creato dal filosofo per l’analisi delle
relazioni logiche fra quattro proposizioni di
un determinato sistema. Una sorta di schema
grafico, atto a facilitare l’analisi dei soggetti in
gioco all’interno di un sillogismo.
Storytelling / Storyshowing
140
Il quadrato semiotico è uno schema di tipo
logico che consente di raffigurare le principali
tra le possibili articolazioni di una qualunque
categoria semantica. Esso è la matrice
dal quale sono state in seguito sviluppate
numerose varianti, sulla base di diverse
necessità derivanti da differenti studi sula
classificazione dei concetti semantici.
Ovviamente essendo un metodo semiotico
non tratta i concetti con una precisione e una
Capitolo 4 - Gli schemi semiotici
141
sicurezza scientifiche, ma si affida alla capacità
di analisi del semiologo che li prende in esame.
Ciò non toglie che sia comunque uno schema
di classificazione utile per la comprensione
di testi più o meno complessi, è anzi proprio
per questo tipo di flessibilità empirica si offre
come un efficace metodo di analisi concettuale
della comunicazione di Brand.
Storytelling / Storyshowing
142
Capitolo - Paragrafo
143
4.1.1
Le ideologie
pubblicitarie
di Floch
- Pratica, relativa al valore d’uso e all’utilità del
bene: confort, affidabilità, ecc.;
- Utopica, relativa agli aspetti esistenziali del
rapporto di consumo: identità, avventura,
ecc. (come sottolinea lo stesso Floch, qui
utopico non è da intendersi con il significato
di illusorio, ma nel senso di tensione ideale, di
valore immaginifico. );
- Critica, relativa agli aspetti non-esistenziali
del consumo: rapporto qualità-prezzo,
rapporto costo-benefici, esame circostanziato
del bene, ecc;
Jean Marie Floch
1947 - 2001
Storytelling / Storyshowing
- Ludica, relativa agli aspetti non utilitari:
gratuità, raffinatezza, ecc. (qui Floch con
l’aggettivo «ludico» vuole intendere l’attività
libera per eccellenza, non semplicemente
quella che ha a che fare con il gioco).
Colui che per primo pensò di utilizzare il
quadrato semiotico per decodificare il confuso
campo della comunicazione di marca fu il
semiologo francese Jean-Marie Floch. Egli fu
un importante collaboratore di Greimas e,
parallelamente al suo interesse per lo studio
della semiotica, svolgeva la professione di
pubblicitario professionista. Questi due fattori
spinsero Floch a volgere lo sguardo semiotico
sullo studio della fenomeno pubblicitario e
a capire fino a che punto si potesse spingere
un’analisi semiotica dei messaggi pubblicitari,
di qualsiasi tipo essi fossero. Egli ha impiegato
il quadrato semiotico per analizzare numerosi
fenomeni di consumo. In particolare, ha
individuato e verificato sperimentalmente
mediante apposite ricerche condotte su
campioni di consumatori, quattro tipi di
possibili «valorizzazioni dei beni di consumo»,
ponendole sugli angoli del quadrato
144
Ora, questi concetti si riferiscono alla
valorizzazione del bene di consumo, e quindi
al prodotto in sé. il passaggio determinante
fu invece il seguente. Partendo dalle basi
fornite da queste valorizzazioni, Floch
elaborò i concetti secondo i quali idealmente
una marca poteva scegliere di posizionarsi
nell’atto dell’elaborazione di un messaggio
pubblicitario, o più in generale nella ricerca
di una linea di condotta per una campagna
pubblicitaria, e quindi, pensando ancora più in
grande, nella costruzione della propria identità
di marca.
Capitolo 4 - Gli schemi semiotici
145
leggende, eroi e simboli, ovvero a referenti
mitici che sono già conosciuti e strutturati e
che vengono associati al brand.
Questi concetti presero il nome di “ideologie
pubblicitarie” e furono così suddivise:
Ideologia referenziale: il messaggio svolge
una funzione rappresentativa, cioè di semplice
rappresentazione della realtà.
La pubblicità si limita a rispecchiare la realtà
del prodotto (spesso attraverso il meccanismo
della dimostrazione) Nella pubblicità il
consumatore deve ritrovare elementi del suo
vissuto, come una situazione di necessità, o un
problema ricorrente, ed essa deve essere onesta
per poter garantire l’acquisto del prodotto;
Ideologia sostanziale: è la negazione della
pubblicità mitica, considerata in questo caso
una forma di pubblicità che usa il prodotto in
maniera pretestuosa. Essa si batte invece
per far vivere il prodotto in pubblicità,
attribuendogli, con le sue virtù, una chiara
centralità. Si focalizza sulla centralità del
prodotto a discapito del consumatore. Si tratta
di una valorizzazione critica dei valori del
prodotto che non ha nulla a che fare con la
valorizzazione esistenziale. Vengono proposti
valori come rapporto qualità/prezzo e costi/
benefici. È differente dalla valorizzazione
pratica della pubblicità referenziale perché non
si parla di fruibilità del prodotto ma di utilitàbeneficio.
Jean Marie Floch
“Semiotica, marketing e comunicazione”
FrancescoAngelli, Milano
2015
Ideologia obliqua: è la negazione della
pubblicità referenziale, in quanto sostiene che
nel messaggio il significato non è già dato e
utilizza la forza dell’ironia e del paradosso
per attivare la capacità cognitiva del fruitore e
stimolare quest’ultimo a co-produrre
il significato attraverso una strategia di
spostamento, di messa in distanza rispetto
al discorso che riguarda le finalità del prodotto
è contraddittoria rispetto all’ideologia
referenziale, che sostiene la funzione
rappresentazionale del linguaggio, perché essa
nega questa funzione; sostiene che il senso
sia da costruire, mediante l’ironia, la malizia;
concepisce il consumatore come soggetto
attivo, la cui intelligenza viene messa alla
prova. Il momento cruciale è il passaggio dal
pubblicitario allo spettatore, la sua capacità di
comprenderne il messaggio;
Ideologia mitica: sostiene che la pubblicità
debba far sognare il consumatore, distrarre
dalla monotonia dell’acquisto, avvolgere il
prodotto di altro senso, che non ha per sua
natura, e rivestirlo di sogno; per ottenere
questo effetto di senso si ricorre spesso a
Storytelling / Storyshowing
146
Capitolo 4 - Gli schemi semiotici\
147
Nella definizione delle ideologie pubblicitarie
Floch precisa che: «tale modello non va inteso
come uno schema statico che illustra una serie
di possibilità in alternativa fra loro, ma come
uno strumento operativo utile a ricostruire i
movimenti interni ai testi, le trasformazioni
semantiche che sono presenti nelle varie
storie pubblicitarie»21. Quindi anche se
tendenzialmente un brand si posiziona
prevalentemente su di una, è possibile che
si verifichi un andamento altalenante che si
sposti da una ideologia all’altra.
È doveroso precisare che un modello del
genere di fronte a dei consumatori instabili
e consapevoli come quelli contemporanei
può presentare delle imprecisioni di
rappresentazione; specialmente considerando
gli sforzi dei marchi talvolta di assecondarli, o
di cercare sempre nuovi canali e linguaggi per
veicolare messaggi diversi.
Inoltre, come anticipato in precedenza, questo
metodo è stato pensato per analizzare dei
messaggi pubblicitari il cui spazio di fruizione
fosse circoscritto a un messaggio stampato,
divulgato via radio, o un breve messaggio
pubblicitario; il fatto di utilizzare questo
metodo per analizzare una campagna di
comunicazione contemporanea rappresenta
un intento sperimentale. Il quadrato semiotico
è comunque uno strumento particolarmente
utile per mettere a fuoco i concetti sui quali
si basano gli immaginari delle marche, e
per evidenziare se il cambiamento nella
comunicazione di marca può ancora
effettivamente essere osservato attraverso una
sorta di lente d’ingrandimento.
Storytelling / Storyshowing
148
Capitolo - Paragrafo
149
4.2
Lo schema
dei campi
semantici
di Remaury
Bruno Remaury
“Brands and Narrative - Brands and
the cultural collective unconscious”
Hors Coll, Parigi
2008
Storytelling / Storyshowing
Essi si dividono in:
Tempo: il campo semantico del tempo
riguarda la dimensione temporale originaria
che identifica la marca; ha strettamente a che
fare con il significato di tradizione (come le
grandi marche di moda che fanno delle loro
origini artigianali un valore fondante), ma
può anche appoggiarsi all’immaginario di una
determinata epoca temporale (come anni venti
o anni sessanta).
Luogo: i racconti nel campo semantico del
luogo fanno riferimento a una determinata
dimensione geografica e/o localizzata, ad
esempio a un determinato paese o nazione,
oppure anche ad un determinato posto in una
città o in un edificio. Esso può fare riferimento
ad esempio anche ad una terra fantasiosa,
ad un luogo inventato, o ad un certo tipo di
contestualizzazione.
Uno studioso che ha recentemente investito
parte della sua opera nell’analisi della
comunicazione di marca, è l’antropologo
francese Bruno Remaury. Egli si è focalizzato
sull’immaginario di marca, e sulle possibili
aree di significato entro al quale il racconto
valoriale di un brand può spaziare. Attraverso
l’incrocio di discipline di analisi etnografica,
storiografica, semiotica e di mercato egli
ha sviluppato quella definisce la “Lettura
antropologica del racconto della marca”.
Questa teoria consiste nel racchiudere in
sei differenti macrotipi o macrocategorie
i campi semantici più rilevanti, entro ai
quali un brand può decidere di far spaziare
il proprio messaggio valoriale. Sei differenti
campi semantici, come dei capisaldi dei
valori comunicativi, entro i quali è possibile
riassumere ogni immaginario di marca.
150
Stati esistenziali: questo campo fa riferimento
alla gli stati esistenziali come femminilità/
mascolinità, ricchezza/povertà, giovinezza/
vecchiaia, alle estrazioni sociali, gli status quo,
a tutto ciò che ci definisce come determinate
persone nella società.
Personaggi: il campo dei personaggi
comprende racconti al cui interno viene
utilizzato l’artificio della mascotte, o che
comunque presentano dei personaggi
stereotipati inventati che diventano
incarnazione stessa dell’immaginario.
Esso avviene sia con characters fantastici e
inventati che con dei testimonial reali, che,
Capitolo 4 - Gli schemi semiotici
151
come per i protagonisti di un film, si fanno
portatori dei valori della marca.
Saper fare: questo campo è legato ai
mestieri qualificanti, è legato alla qualità e
all’esperienza. Riguarda il saper fare ma anche
il far saper fare, cioè l’essere un medium per
riuscire ad ottenere quello che si desidera,
come ad esempio un risultato atletico, come
avviene negli immaginari di molti brand
sportivi.
Materia: infine i racconti che riguardano la
materia fisica sia essa naturale o tecnologia,
futuristica o retrò, riguarda gli ingredienti
che compongono un determinato prodotto
come ad esempio quelli caseari o i cosmetici.
Questo campo è molto legato alla ricerca e
all’innovazione.
Giulia Ceriani
“Hot spots e sfere di cristallo. Semiotica della
tendenza e ricerca strategica”
Franco Angeli, 2007
Storytelling / Storyshowing
Questi sono i campi semantici pensati da
Bruno Remaury, dai quali si può elaborare
uno schema di analisi delle campagne di
comunicazione di marca. D’altronde, come
afferma Giulia Ceriani: “Il senso di queste
tematiche brandizzate è quello di assegnare
alla marca dei racconti culturali che ne
integrano il discorso proprio, lo ancorano,
gli associano tutta l’aurea e il potenziale
connotativi che è dovuto alle forme
mitologiche sulla base di sedimentazioni
lontane nel tempo e consolidate dalla
condivisione stereotipica.” Come funziona
per una favola, per una leggenda, o per un film
cult, il brand si inserisce in un immaginario
collettivo, che sarà quello che la renderà
veramente immortale.
152
4.3
La “Storytelling
Matrix”
il loro lavoro sulla creazione di modalità
innovative per veicolare il brand content,
contribuendo ad ampliarne l’immaginario di
marca e a raggiungere più utenti possibile.
Il motivo per il quale vale la pena citare questa
agenzia è la loro cosiddetta “Storytelling
matrix”. La matrice dello storytelling, è uno
schema tridimensionale inventato dai creativi
di Story Worldwide, con lo scopo di avere uno
strumento per aiutare i loro clienti a meglio
capire in che tipo di canale mediatico essi
vogliono posizionarsi, e quindi di conseguenza
di elaborare dei metodi comunicativi e dei
contenuti adeguati.
La storytelling matrix si divide in 3 assi che
rappresentano tre diverse caratteristiche:
Attività, Complessità e Personalità; ognuna
delle quali ha due vertici che rappresentano la
diversa natura della caratteristica.
A seconda del canale e del tipo di supporto
e di comunicazione in cui avviene la
comunicazione, la narrazione può avere
intensità diverse, nonché maggiori o minori
possibilità di interazione un grado di
interattività, aggiunto alla struttura della
storia. Ad esempio, la televisione è un canale a
interazione zero, ma può raggiungere intensità
alte. Per quanto riguarda il digital invece
avviene il contrario, l’interazione può essere
molto alta, ma il contenuto diminuisce di
intensità. D’altro canto, giochi e applicazioni
sono quelli con il più alto grado di interattività
ma con una minore intensità.
www.storyworldwide.com
Story worldwide
studio specializzato in branding
e digital storytelling
Storytelling / Storyshowing
L’asse dell’attività rappresenta il
coinvolgimento a cui un utente viene
stimolato nella fruizione di un contenuto;
da una parte sarà lineare, quindi a bassa
interazione e tendenzialmente passiva, come
ad esempio accade con la tv, dalla parte
opposta l’attività sarà alta e quindi sarà
altamente interattivo.
L’asse della complessità è composto dei
due estremi opposti da bassa intensità e
alta densità, aggettivi che si riferiscono
all’intensità del contenuto che viene fruito.
Contenuti documentaristici o istruttivi
presenterebbero un’alta intensità, mentre ad
esempio la fruzione di un video promozionale
su youtube è generalmente a bassa intensità.
Story Worldwide è un’agenzia newyorkese
che focalizza il proprio lavoro sul brand
storytelling, cercando costantemente nuovi
metodi efficaci per la comunicazione di marca.
Si sono costruiti una discreta fama basando
154
Capitolo 4 - Gli schemi semiotici
155
L’asse della personalità infine si riferisce al
grado di personalizzazione che un contenuto
offre agli utenti, ed è diviso in prodotto di
massa e customizzato. Esso esprime quanto un
determinato contenuto sia stato creato ad-hoc
per un certo tipo di target, o sia stato pensato
per le masse, quindi per raggiungere il maggior
numero di utenti.
Frame dal video di spiegazione
della matrice.
https://www.youtube.com/
watch?v=Vr9adE55MzI
Fra gli estremi di ogni asse ovviamente
risiedono tutti i gradi intermedi di questi tre
attributi. A livello visivo ognuna di queste
assi sono poste rispettivamente sugli assi
dello spazio x, y e z a formare una matrice
all’interno della quale ci si può posizionare,
decidendo i vari gradi di attività, complessità e
personalità che si vogliono comunicare.
Questa matrice è stata ideata da Story
Worldwide per aiutare i clienti in fase di
definizione di un brief, a livello quindi
preliminare per la definizione di un progetto.
Questo non significa però, che non sia
una matrice molto valida per analizzare
una determinata tendenza comunicativa
a posteriori, cercando di far emergere gli
obbiettivi e le tendenze che stanno dietro alle
scelte comunicative di un brand.
Storytelling / Storyshowing
156
Capitolo 4 - Gli schemi semiotici
157
CONCLUSIONI
Storytelling / Storyshowing
158
Capitolo - Paragrafo
159
CONCLUSIONI
Giunti alla conclusione della ricerca degli
schemi di più adatti e funzonali all’analisi
della comunicazione di marca, e dopo aver
delineato il contesto generale nel quale queste
storie vengono raccontate, si è proceduto di
conseguenza alla ricerca di un corpus di casi
studio adatti ad essere analizzati.
Tali casi studio sono stati scelti da un insieme
delle migliori piattaforme sul marketing,
sull’advertising, sul design e sul mondo della
comunicazione più in generale.
In seguito è stato elaborato uno standard di
analisi che mette insieme tutti gli schemi
esposti in precedenza, attraverso il quale è
stato sondato ogni singolo caso studio, fino
ad ottenere un report di analisi che è possibile
consultare separatamente e che costituisce le
conclusioni di analisi a questa tesi.
Storytelling / Storyshowing
160
Conclusioni
161
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170
Capitolo - Paragrafo
171
RINGRAZIAMENTI
Ringrazio coloro che sono stati un monolito indistruttibile
nel sostenere i miei cambiamenti, sopportare le mie nevrosi e
supportare la mia crescita, e senza i quali non starei finalmente
scrivendo dei ringraziamenti così ovvi e mielosi: la mia famiglia.
I miei genitori, mia nonna, e quell’individuo insostituibile, il The
partner in crime, il braccio destro, il deus ex machina, quello
che ognuno desidererebbe avere al proprio fianco dall’ora più
buia a quella più lucente: mio fratello. Ringrazio coloro che
mi sono stati vicini in questo percorso e che continureanno ad
esserlo nei prossimi. Ringrazio coloro che sono passati e sono
andati e coloro che sono passati e sono rimasti. Ringrazio gli
“Amichevoli caldi” per avermi assecondato e accettato come
quel cugino un po’ strano che non capisci bene ma gli vuoi
bene uguale, e in particolare “I Coguari:” Gabbo, Giacomo e
Modo, che anche se distanti sempre tenuti vicini dal legame
indissolubile del bromance; ringrazio “I Nefandi”: Storchi, Matt,
Flo e il Cugino più bello e buono del mondo: Matteo, per farmi
sempre sentire a casa e in famiglia; ringrazio Marco e Bea, per
avermi praticamente adottato e aperto le porte dell’underground;
ringrazio Ste lari e tutti i Bisteccas, perché non c’è niente di
meglio dei soci con cui ti vedi 3 volte ogni 5 mesi, ma ti capisci
come fossero 5 minuti; ringrazio Beppe, per volermi bene ed
essere diventato praticamente un fratello acquisito; ringrazio
Nicolò, il coinquilino più nerd che potessi desiderare, che
nonostante il mio carattere mi è stato sempre vicino; ringrazio
“Il Turco” Nikolai Rizo, per la sua amicizia e per avermi accettato
nella cumpa salvandomi dai meandri della Bovisa; ringrazio
Fulvia Bleu, Professoressa, Relatrice, Mentore e Amica, per la
sua pazienza e fiducia nei miei confronti; ringrazio te che sai chi
sei ma non si può dire; ringrazio di cuore tutti i Bonsaininja, dal
primo all’ultimo, per avermi accettato nella loro grande famiglia
di pazzoidi in maniera così candida e commovente; ringrazio
Netflix, Hbo, Showtime, Sky, e tutti i produttori delle mie serie
tv preferite per essersi uniti ed aver deciso all’unanimità di creare
una finestra temporale di stasi fra le stagioni e permettermi di
laurearmi prima del 2025. Grazie, senza il vostro intervento non
c’è l’avrei fatta. Ringrazio infine me stesso, per essere ogni giorno
il mio peggior nemico, spingendomi invece ad essere il mio
migliore alleato.
Storytelling / Storyshowing
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