Lezione2

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Gli operatori
Per introdurre i postulati della meccanica quantistica abbiamo bisogno di uno
strumento matematico: gli operatori. Illustriamo quindi preliminarmente
cosa intendiamo per operatore e alcuni elementi dell’algebra degli operatori.
Un operatore è una regola che ci permette di agire su una funzione per
ottenere una nuova funzione.
operatore derivata
∂
(1)
∂x
esempi di applicazione
∂
f(x) = f 0 (x)
∂x
(2)
∂ 2
(x + kx) = 2x + k
∂x
(3)
SQRT
(4)
operatore radice quadrata
esempi di applicazione
SQRT(f(x)) =
√
f(x)
1/2
SQRT(x2 + kx) = x2+ kx
(5)
(6)
Possiamo definire la somma di due operatori come
(α + β)f (x) = αf (x) + βf (x)
(7)
Il prodotto di due operatori è definito come successione ordinata della loro
applicazione
αβf (x) = α [βf (x)]
(8)
Il prodotto di commutatori gode della proprietà associativa e cioè
α(βγ) = (αβ)γ
(9)
αβf (x) 6= βαf (x)
(10)
In generale
1
Esempio
∂
[f (x)] = xf 0 (x)
∂x
(11)
∂
∂
x [f (x)] =
[xf (x)] = f (x) + xf 0 (x)
∂x
∂x
(12)
x
e quindi
∂
∂
x − x )f (x) = f (x)
∂x
∂x
Possiamo definire il commutatore di due operatori
(
[α, β] = αβ − βα
nell’esempio precedente abbiamo
∂
∂
∂
,x = ( x − x ) = 1
∂x
∂x
∂x
(13)
(14)
(15)
Se [α, β] = 0 e quindi αβ = βα si dice che che i due operatori commutano.
La quantità
[α, β]
(16)
viene chiamata commutatore Nella meccanica quantistica siamo interessati
ad operatori lineari, cioè operatori che hanno la seguente proprietà
α(f (x) + g(x)) = αf (x) + αg(x)
(17)
αcf (x) = cαf (x)
(18)
dove c è una costante. Si vede chiaramente che gli operatori derivata, integrale, moltiplicazione per sono operatori lineari mentre gli operatori estrazione di radice e elevazione al quadrato non sono operatori lineari.
Talora applicando un operatore ad una funzione si riottiene la stessa funzione
moltiplicata per una costante. Ad esempio
α=
αf (x) =
∂
∂x
f (x) = ekx
∂ kx
e = kekx = kf (x)
∂x
2
(19)
(20)
In questi casi si dice che la funzione è una autofunzione dell’operatore e la
costante (nell’esempio k) è un autovalore dell’operatore.
Di particolare importanza in meccanica quantistica sono gli operatori Hermitiani che che hanno la seguente proprietà
Z
Z
∗
Ψ (x)αΦ(x)dx = Φ(x)α∗ Ψ∗ (x)dx
(21)
dove Ψ e Φ sono delle funzioni, il simbolo ∗ indica il complesso coniugato e
l’integrale è esteso a tutto il campo di variabilità di x. Gli operatori Hermitiani hanno due importanti proprietà:
a) gli autovalori degli operatori Hermitiani sono reali;
b) le autofunzioni degli operatori Hermitiani sono o possono essere scelte
ortogonali. Due funzioni sono ortogonali se
Z
Ψ∗1 (x)Ψ2 (x)dx = 0
(22)
Queste due importanti proprietà possono essere dimostrate facilmente. Nella
meccanica quantistica ci si trova costantemente a lavorare con operatori che
agiscono su funzioni e con integrali di queste funzioni sulle coordinate spaziali.
Può allora essere utile avere una notazione compatta e semplificata. Questa
è la notazione di Dirac. In questa notazione una funzione che dipende da un
indice m viene indicata con un ket
ket
Ψm =⇒| Ψm >≡| m >
(23)
La funzione complessa coniugata viene invece indicata con un bra
bra Ψ∗m =⇒< Ψm |≡< m |
(24)
Con questa notazione semplificata gli integrali di interesse possono essere
scritti ed indicati in una forma molto più compatta e cioè
Z
Ψ∗m Ψn dτ =⇒< m | n >
(25)
Z
Ψ∗m αΨn dτ =⇒< m | α | n >=⇒ αmn
con le proprietà
3
(26)
< m | n >∗ =< n | m >
(27)
< m | m >∗ =< m | m >
(28)
I postulati della meccanica quantistica
Non esiste un set unico di postulati nè come numero nè come ordine. La cosa
non è rilevante in quanto la cosa veramente importante è di introdurre tutti
i concetti che sono necessari.
1◦ postulato
Tutte le informazioni sul nostro sistema sono contenute in una funzione delle
coordinate q e del tempo t, Ψ(q,t) che viene detta funzione di stato o funzione
d’onda. Ciò detto ci chiediamo quali proprietà debbano avere queste funzioni
per essere funzioni adatte per la meccanica quantistica. Le funzioni devono
essere
- continue
- a singolo valore
ed inoltre devono essere tali che
< Ψ | Ψ >=⇒ f inito
(29)
Questo è necessario se | Ψ(q) |2 dq deve rappresentare una probabilità di
trovare la particella nell’elemento di volume dq. La funzione di stato deve
allora essere normalizzata nel senso
< Ψ | Ψ >= 1
in modo che la probabilità totale sia uguale a uno.
4
(30)
2◦ postulato
Ad ogni variabile dinamica viene associato un operatore. Gli operatori associati alle variabili fondamentali sono i seguenti
Variabile
t
q
p
Operatore
t
q
∂
h ∂
= ~i ∂q
2πi ∂q
tempo
coordinata
momento
h
dove ~ ≡ 2π
.
Con queste regole base ed usando le regole per agire sugli operatori illustrate
sopra possiamo scrivere l’espressione per l’operatore associato a qualsiasi
grandezza fisica (che può essere espressa in funzione delle coordinate, del
tempo e dei momenti). A questo fine scriviamo prima l’espressione classica
della grandezza e poi procediamo alla trasformazione
Energia cinetica
Energia potenziale
Energia totale
(Hamiltoniano)
p2
~2 ∂ 2
T = 2m
Tb = − 2m
∂q 2
b
V(q)
V = V (q)
p2
~2 ∂ 2
b
H = 2m + V (q) H = − 2m
+ V (q)
∂q 2
3◦ postulato
La funzione di stato soddisfa l’equazione di Schrödinger dipendente dal tempo
~ ∂Ψ
(31)
i ∂t
dove H è l’operatore Hamiltoniano. Più esplicitamente possiamo scrivere
l’equazione
~2 ∂ 2
~ ∂Ψ
−
+ V (q) Ψ(q, t) = −
(32)
2
2m ∂q
i ∂t
HΨ(q, t) = −
Poiché H è un operatore Hermitiano lineare se Ψ(q, t) è una buona funzione
di stato lo è anche la funzione cΨ(q, t) con c costante complessa. Quindi la
5
funzione di stato è definita a meno di una costante. D’altra parte ad un certo
punto applicheremo la condizione di normalizzazione e questo fissa il modulo
della costante c ma non la sua fase. Quindi la funzione di stato è definita a
meno di un fattore eiα .
Se H non dipende dal tempo in modo esplicito ci sono delle soluzioni speciali.
Possiamo infatti scrivere la funzione di stato nella forma
Ψ(q, t) = Ψ(q) · e
−iEt
~
(33)
dove la parte spaziale soddisfa allora l’equazione di Schrödinger indipendente
dal tempo
~2 ∂ 2
−
+ V (q) Ψ(q) = EΨ(q)
(34)
2m ∂q 2
Abbiamo allora degli stati stazionari che non dipendono dal tempo per i quali
la funzione di stato è autofunzione dell’operatore H. Per ora consideriamo
E come una costante: vedremo in seguito quale è il suo significato.
4◦ postulato
Sia il nostro sistema descritto da una sua funzione di stato e consideriamo
una variabile dinamica A a cui associamo il suo operatore. Ci chiediamo
quale sarà il valore della grandezza in quello stato. Se facciamo delle misure
avremo una certa dispersione dei risultati delle misure; il valore medio della
grandezza è dato da
Z
< A >= Ψ∗ AΨdq
(35)
o più sinteticamente
< A >= hΨ | A | Ψi
(36)
Dato che A è Hermitiano il valore di aspettazione sarà reale. Noi siamo particolarmente interessati al valore di aspettazione dell’energia. Considerando
l’operatore H abbiamo
< E >=< Ψ | H | Ψ >
Se in particolare siamo in uno stato stazionario
6
(37)
HΨ = EΨ
(38)
< E >=< Ψ | H | Ψ >= E < Ψ | Ψ >
(39)
avremo
e quindi, in uno stato stazionario, il valore di aspettazione dell’energia è un
valore perfettamente definito uguale all’autovalore.
C’è una importante implicazione di questo postulato. Supponiamo di avere
una quantità f (x, y, z) e di volerne trovare il valor medio. Da un punto di
vista classico ne prendiamo il valore in ogni punto n, moltiplichiamo per la
probabilità nel punto e sommiamo normalizzando (se la probabilità non lo è
già per conto suo)
N
1 X
f =< f >=
f (qn )P (n)
N
In meccanica quantistica abbiamo
Z
Z
Z
∗
∗
< f >= Ψ f Ψdq = f Ψ Ψdq = f Ψ2 dq
−
(40)
(41)
questo giustifica per analogia il significato di Ψ2 come probabilità nel punto
(x, y, z) secondo l’interpretazione della Scuola di Copenhagen.
Come abbiamo detto, se la funzione è autofunzione dell’operatore, la grandezza
ha un valore preciso e lo scarto tra il valore misurato ed il valor medio è zero.
Una questione di grande importanza è la relazione tra gli errori (esattamente
le deviazioni quadratiche medie) di due grandezze diverse A e B. Questa domanda ripropone la questione del principio di indeterminazione che abbiamo
visto nella forma elementare
∆x∆px v ~
(42)
Si può giungere ad una formulazione più generale del principio di indeterminazione. Si può dimostrare che si ha
∆A∆B ≥
1
<Ψ|C|Ψ>
2
(43)
dove C è il commutatore di A e B
iC = [A, B]
7
(44)
Omettiamo la dimostrazione e prendiamo questa come la formulazione più
generale del principio di indeterminazione. Possiamo convincerci semplicemente di questo calcolando il principio per posizione e momento. In questo
caso avremo
∂
∂
iC = xpx − px x = i~ x
−
x = i~
(45)
∂x ∂x
per cui si riottiene
1
∆x∆px ≥ ~
(46)
2
Usando i postulati che abbiamo già visto possiamo trovare come varia nel
tempo, mentre il sistema evolve, il valore di aspettazione di una grandezza
A: vogliamo cioè trovare la equazione del moto per il valore di aspettazione.
Si può facilmente dimostrare che
d<A>
∂A
=< Ψ | [A, H] | Ψ > + < Ψ |
|Ψ>
(47)
dt
∂t
da cui si vede che ci sono due contributi: il secondo dipende dalla dipendenza intrinseca dell’operatore dal tempo ed il primo dal commutatore con
l’Hamiltoniano.
Si vede quindi che il commutatore con H ha un significato particolare. Se A
non dipende dal tempo esplicitamente e se commuta con H allora hAi non
varia con il tempo: in questo caso A è una costante del moto. Caso particolare
ma importante è quello dell’Hamiltoniano di un sistema conservativo per il
quale ∂H
= 0. In questo caso E = hHi è ovviamente una costante del
∂t
moto. Ciò vale anche se non siamo in uno stato stazionario e quindi non è
un risultato banale.
Partendo da questo ultimo risultato e conoscendo come varia hAi nel tempo
possiamo considerare un principio di indeterminazione tra energia e tempo
i~
∆E∆t v ~
(48)
Naturalmente è necessario definire t sopratutto considerando che il tempo
non è una vera variabile dinamica ma piuttosto un parametro numerico. Se
A non dipende esplicitamente dal tempo possiamo scrivere
∆E∆A ≥
1
1
1 d<A>
< Ψ | [A, H] | Ψ >= i~
2
i
2i
dt
8
(49)
Definiamo la quantità
∆t =
∆A
d < A > /dt
(50)
che ha certamente dimensioni di un tempo. Secondo questa definizione ∆t
moltiplicato per la velocità di variazione di hAi ci dice di quanto varia hAi
∆A
nel tempo d<A>/dt
. Usando questa definizione possiamo scrivere
1
∆E∆t ≥ ~
(51)
2
L’incertezza energia-tempo allora riguarda l’incertezza quadratica media sull’energia
e il tempo in cui hAi varia di una quantità paragonabile con l’incertezza
quadratica media. Per illustrare il significato di tutto questo consideriamo
un sistema inizialmente in uno stato stazionario. Se accendiamo una perturbazione il sistema evolverà nel tempo e ci sarà ora una incertezza ∆E sulla
energia. La variazione col tempo di una qualsiasi grandezza A diventerà
determinabile (cioè dell’ordine della deviazione quadratica media) dopo un
~
tempo 21 ∆E
.
Perciò il tempo di vita di uno stato stazionario (∆E = 0) è infinito. La presenza di perturbazioni (come l’interazione con l’ambiente) porta all’accorciamento
dei tempi di vita.
5◦ postulato
Questo postulato riguarda gli sviluppi in serie.
Consideriamo l’equazione di Schrödinger agli autovalori e consideriamo una
particolare soluzione k
HΨk = εk Ψk
(52)
L’insieme delle soluzioni {Ψk } costituisce quello che si dice un set completo e
chiuso per tutti gli operatori del sistema. Set completo vuol dire che qualsiasi
funzione Φ con le stesse condizioni al contorno delle nostre autofunzioni può
essere espresse come una combinazione lineare delle autofunzioni e cioé
X
Φ=
ck Ψk
(53)
k
dove i c sono coefficienti numerici (eventualmente complessi e dipendenti
dal tempo). Ciò detto ci chiedimo quale sia il significato dei coefficienti
9
nella espansione. Per questo, ricordando che le autofunzioni di operatori
Hermitiani sono o possono essere ortogonali) scriviamo
X
< Ψn | Φ >=
ck < Ψn | Φk >=< Ψn | Ψn > cn = cn
(54)
k
da cui vediamo che il coefficiente cn è la sovrapposizione tra Ψn e Φ cioè
rappresenta quanto componente dell’uno c’è nell’altro. Esiste una perfetta
analogia tra questo ed il formalismo che abbiamo in uno spazio di vettori. Se
identifichiamo con le autofunzioni di base (cioè con le funzioni Ψn ) i vettori
fondamentali dello spazio vettoriale in questione (ad esempio i,j e k che indichiamo genericamente con ei con i=1,2,3) e con le costanti c le componenti
del vettore possiamo scrivere i corrispettivi delle equazioni viste sopra come
X
r=
ci ei
(55)
i
ci = ei · r
(56)
La proprietà di chiusura significa che se A è l’operatore associato ad una
qualsiasi variabile dinamica del sistema anche AΦ si può espandere nel set
completo
X
AΦ =
bk Ψk
(57)
k
Questo è ovvio in quanto AΦ è anche essa una funzione dello stesso spazio
funzionale. Di nuovo esiste una completa analogia con gli spazi vettoriali:
infatti se agiamo con un operatore su un vettore certamente otterremo un
nuovo vettore nello stesso spazio (genericamente un vettore ruotato) il quale
si potrà ancora esprimere in termini delle sue componenti nella base
X
Rr = r0 =
c0i ei
(58)
i
Quindi in base a questo postulato se conosciamo le autofunzioni di un operatore (ad esempio H) di un sistema possiamo esprimere le autofunzioni
di H di un altro sistema in questa base, purché le condizioni al contorno
siano le stesse. Anche se questo è teoricamente possibile ci sono delle limitazioni dovute al fatto che ci sono infinite funzioni nel set di base e quindi
dovremmo trovare infiniti coefficienti. L’efficacia degli sviluppi in serie è massima quando la funzione da sviluppare è simile ad una funzione della base
10
perché in questo caso possiamo limitare lo sviluppo in termini di un gruppo
limitato del set di base.
Ci sono due importanti proprietà dei set completi di autofunzioni. La prima
dice che se due operatori commutano essi hanno un set completo di autofunzioni comune. La commutazione è condizione necessaria e sufficiente come si
puó dimostrare facilmente.
Condizione necessaria:
Sia
AΨi = ai Ψi
(59)
BΨi = bi Ψi
(60)
ABΨi = Abi Ψi = bi AΨi = ai bi Ψi
(61)
BAΨi = Bai Ψi = ai bi Ψi
(62)
allora potremo scrivere
ed anche
per cui avremo per tutte le Ψi
(AB − BA)Ψi = 0
Inoltre per una funzione arbitraria avremo
X
Φ=
ci Ψi
(63)
(64)
i
e quindi
X
(AB − BA)ci Ψi = (AB − BA)Φ = 0
(65)
i
e quindi è dimostrato che gli operatori commutano.
Condizione sufficiente:
Sia [A, B] = 0. Se
BΨi = bi Ψi
possiamo scrivere
11
(66)
ABΨi = bi AΨi = BAΨi
(67)
e quindi anche AΨi è autofunzione di B con lo stesso autovalore di Ψi e
quindi sarà uguale a Ψi moltiplicata per una costante, cioè
AΨi = ai Ψi
(68)
La seconda importante proprietà è la seguente. Sia [A, B] = 0 ed inoltre
AΨi = ai Ψi
(69)
AΨj = aj Ψj
(70)
ai 6= aj
(71)
< Ψi | B | Ψj >= 0
(72)
< Ψi | BA | Ψj >= aj < Ψi | B | Ψj >=< Ψi | AB | Ψj >=
< BΨj | A | Ψi >∗ = ai < BΨj | Ψi >∗ = ai < Ψi | B | Ψj >
(73)
aj < Ψi | B | Ψj >= ai < Ψi | A | Ψj >
(74)
con
Si può dimostrare che
Infatti abbiamo:
e cioè
da cui discende la proprietà che volevamo dimostrare.
Da questo postulato e da queste proprietà si vede che le proprietà di commutazione sono particolarmente importanti. Se H commuta con un operatore A
vuol dire che ci sono stati in cui E ed A hanno valori perfettamente definiti.
Se anche B commuta con H e con A, esiste un set completo di stati in cui le
tre quantità sono perfettamente definite. Più grande è il numero di operatori
che commutano vicendevolmente più completa sarà la caratterizzazione possibile dello stato del sistema. Gli autovalori simultanei sono costanti del moto
e forniscono lo stato di massima conoscenza possibile consentita dal principio
12
di indeterminazione. Se a questo punto prendo una nuova variabile che non
commuta con il set di variabili precedenti e cerco di misurare anche questa
con precisione, automaticamente introduco una incertezza in almeno un’altra
delle variabili. Si dicono variabili compatibili quelle che hanno operatori che
commutano.
Esempio: particella libera V (x, y, z) = 0
~ ∂
i ∂x
~ ∂
py =
i ∂y
px =
(75)
(76)
~ ∂
i ∂z
2
1 2
~2
∂
∂2
∂2
2
2
H=
(p + py + pz ) = −
+
+
2m x
2m ∂x2 ∂y 2 ∂z 2
pz =
(77)
(78)
H e le tre componenti del momento ovviamente commutano tutti tra loro (in
quanto l’ordine di derivazione non ha importanza). Quindi le autofunzioni di
H sono anche autofunzioni delle tre componenti del momento e nello stato di
massima conoscenza possibile del sistema sono contemporaneamente definite
perfettamente queste 4 variabili. Se volessi conoscere con precisione un’altra
variabile, ad esempio la posizione lungo x, introdurrei una incertezza in una
delle variabili precedenti, in questo caso px . In particolare per la particella
libera le autofunzioni di H, come vedremo in seguito, hanno la seguente
forma
Ψk (r) = N e−ikr
(79)
dove N è un fattore di normalizzazione e gli autovalori delle nostre variabili
compatibili saranno
E
~2 2
k
2m
px
~kx
py
~kx
pz
~kx
Concludiamo con un’ultima considerazione che riguarda gli sviluppi in serie.
Il sistema sia in uno stato generico Φ che noi esprimiamo con una espansione
13
nelle autofunzioni di massima conoscenza relativa alle variabili compatibili
E,A,B.....
X
Φ=
ck Ψk
(80)
k
La probabilità che in esperimento di misura il sistema si trovi nello stato di
massima conoscenza Ψk sarà chiaramente
wk =| ck |2 =|< Ψk | Φ >|2
(81)
Il valore di aspettazione di una variabile A sarà
< A >=< Ψ | A | Ψ >=
X
c∗k cl < Ψk | A | Ψl >=
X
c∗k cl Al < Ψk | Ψl >=
X
k
kl
kl
(82)
e quindi in conclusione
< A >=
X
wk Ak
(83)
k
Si vede quindi che wk ci da la frequenza (probabilità) con cui in un processo
di misura trovo il mio sistema nello stato k. Cerchiamo di chiarire meglio il
significato di questo. Sia il nostro sistema descritto da una Φ come definita
sopra come sovrapposizione di tutti gli autostati del sistema. Se misurando
la grandezza A trovo il valore Ak è come se il mio apparato di misura avesse
forzato il sistema ad una transizione Φ =⇒ Ψk (riduzione della autofunzione)
senza che questo avvenga in base ad una tradizionale legge di causalità.
Quindi wk è la probabilità che il mio processo di misuarazione lasci il sistema
nello stato k senza riferimento a come questo avviene.
Conviene completare questa esposizione con una precisazione sull’uso della
notazione di Dirac per le espansioni in serie anche per chiarire cosa significa
che il set di autofunzioni di un operatore è chiuso. L’espansione di una
funzione
X
f=
ci ϕi
(84)
i
può essere riscritta come
| f >=
X
i
14
ci | ϕi >
(85)
| ck |2 Ak
con
< ϕn | f >= cn
Possiamo quindi riscrivere
X
X
| f >=
| ϕi > c i =
| ϕi >< ϕi | f >
i
(86)
(87)
i
da cui si ricava l’importante relazione
X
| ϕi >< ϕi |= 1
(88)
i
nota come relazione di chiusura.
OPERATORE PARITÀ
Abbiamo finora considerato operatori che sono associati a variabili dinamiche
classiche. Diciamo che questi operatori hanno un analogo classico. Ci sono
altri operatori che non sono associati a variabili dinamiche e che non hanno
un analogo classico. Questi operatori però possono essere molto utili per
dedurre proprietà delle funzioni che a noi possono interessare. Uno di questi
operatori è l’operatore parità che agisce su una funzione cambiando di segno
a tutte le variabili e cioé
Πf (x, y, z) = f (−x, −y, −z)
(89)
Vogliamo trovare gli autovalori e le autofunzioni dell’operatore parità Π
Πgi = ci gi
(90)
Per questo notiamo che evidentemente
Π2 f = ΠΠf = f
(91)
Π2 = 1
(92)
Π2 gi = ΠΠgi = Πci gi = ci Πgi = c2i gi
(93)
e quindi
da cui si ottiene che
15
Questo implica che c2i = 1 e quindi ci = ±1
Se ci = 1
Πg(x, y, z) = g(x, y, z)
=⇒
g(−x, −y, −z) = g(x, y, z)
(94)
e la funzione si dice pari. Se invece ci = −1
Πg(x, y, z) = −g(x, y, z)
g(−x, −y, −z) = −g(x, y, z)
=⇒
(95)
e la funzione si dice dispari. Se l’operatore parità commuta con l’Hamiltoniano
[Π, H] = 0
(96)
i due operatori avranno autofunzioni comuni e quindi le autofunzioni di H
saranno necessariamente pari o dispari. Verifichiamo allora se commutano.
Si ha
[Π, H] = [Π, T + V ] = [Π, T ] + [Π, V ]
(97)
e per l’energia cinetica
~2
[T, Π] = −
2m
2
∂
∂2
∂2
[ 2 , Π] + [ 2 , Π] + [ 2 , Π]
∂x
∂y
∂z
(98)
Poiché
Π
∂2
∂
∂
∂2
f
(x,
y,
z)
=
f
(−x,
−y,
−z)
=
Πf (x, y, z)
∂x2
∂(−x) ∂(−x)
∂x2
(99)
[T, Π] = 0
(100)
allora
Per quanto riguarda l’energia potenziale abbiamo
ΠV (x, y, z)f (x, y, z) = V (−x, −y, −z)f (−x, −y, −z) = V (−x, −y, −z)Πf (x, y, z)
(101)
e quindi se il potenziale è una funzione pari
V (−x, −y, −z) = V (x, y, z)
16
(102)
allora è anche
[V, Π] = 0
(103)
e quindi l’Hamiltoniano commuta con l’operatore parità. Questa conclusione
può essere estesa al caso di molte particelle e quindi se il potenziale è una
funzione pari in generale:
[Π, H] = 0
(104)
In tale caso le autofunzioni di H saranno funzioni pari o dispari (avranno
una parità definita)
17
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