Guerra e memoria dell`esperienza bellica nel Basso

Guerra e memoria
dell’esperienza bellica
nel Basso Lazio
PERCORSI
DI STORIA LOCALE
iPerTeSTo
PERCORSI DI STORIA LOCALE
Al centro del sistema difensivo tedesco
PERCORSI DI STORIA LOCALE
Nell’autunno del 1943, Frosinone e la sua provincia si trovarono improvvisamente scaraventate nell’occhio del ciclone. Fino ad allora, la guerra mondiale aveva toccato gli abitanti di quella zona del Lazio solo di striscio, con la partenza dei giovani chiamati alle armi
o il razionamento dei generi alimentari. Dopo l’8 settembre, invece, i tedeschi trasformarono
la regione di Frosinone nel centro nevralgico dell’efficace sistema difensivo (chiamato linea Gustav) che in poco tempo riuscirono a contrapporre agli Alleati. Bloccati per
mesi, gli anglo-americani ricorsero in modo sistematico al bombardamento delle retrovie nemiche, con una serie di azioni che, però, investivano anche le città, i borghi contadini e persino gli agricoltori al lavoro nei campi; quando poi, finalmente, gli Alleati riuscirono a sfondare il fronte, il primo impatto della popolazione con i liberatori fu traumatico, dal momento che le truppe marocchine inquadrate nell’esercito francese agirono in modo feroce e brutale, stuprando un altissimo numero di donne: un tragico episodio che l’intero Paese conobbe molti anni più tardi, grazie al romanzo La ciociara, di
Alberto Moravia (1957) e all’omonimo film di Vittorio De Sica, del 1960.
L’occupazione tedesca fu rapida, quasi fulminea, in quanto reparti della Wehrmacht
erano già presenti nell’area fin dal giugno 1943. Tra settembre e ottobre, apposite dispoIL FRUSINATE
Roma
Anagni
Frosinone
Latina
Montecassino
Vallecorsa
Cassino
Pontecorvo Collelungo
Caserta
F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
Guerra e memoria dell’esperienza bellica nel Basso Lazio
1
➔Retate per
catturare
manodopera
UNITÀ VIII
iPerTeSTo
PERCORSI DI STORIA LOCALE
sizioni di Hitler autorizzarono il generale Kesselring (comandante supremo delle truppe
tedesche in italia) a emanare ordinanze vincolanti per la popolazione italiana e a punire
con la pena di morte qualsiasi atto di sabotaggio o di ostilità. Di fatto, in tutta la zona in
cui si svolgevano le operazioni militari, la sovranità della Repubblica sociale italiana fu completamente soppressa e la sua autorità sostituita da un’onnipotente amministrazione militare germanica. La principale richiesta tedesca riguardava la manodopera per completare e rafforzare il sistema di fortificazioni: a partire dal 20 settembre, alla popolazione maschile fu ordinato di presentarsi ai centri di reclutamento per il lavoro obbligatorio. Tuttavia, poiché al 6 ottobre – su 6960 operai previsti – si erano presentati solo 765 uomini, i tedeschi procedettero a grandi retate in città e a rastrellamenti nelle campagne. Durante queste operazioni, chiunque fosse stato scoperto in un nascondiglio o avesse tentato la fuga era spesso ucciso sul posto, con uno stillicidio di esecuzioni sommarie difficile da quantificare.
Nel giro di poco tempo, il comportamento dei tedeschi nei confronti dei civili si fece
sempre più spietato e, soprattutto, più gratuito. Alle eliminazioni occasionali di maschi
adulti (militari sbandati dopo l’8 settembre, renitenti al lavoro obbligatorio o alla chiamata alle armi della rSi) si aggiunsero le stragi di gruppi interi, composti anche da donne, anziani e bambini. Uno degli episodi più gravi, verificatosi a Collelungo, il 27 dicembre
1943, causò la morte di 42 persone. A volte queste stragi (che nell’insieme provocarono
334 vittime) erano provocate dal rifiuto di una famiglia o di un villaggio di consegnare
il bestiame o altre risorse alimentari, indispensabili per sopravvivere durante l’inverno. in
molte occasioni, tuttavia, si ha l’impressione che la violenza sui civili nascesse da un senso di frustrazione dei soldati, consapevoli dell’imminente sconfitta: sui contadini inermi,
sfogavano la rabbia che non potevano scaricare contro gli Alleati, e da quella dimostrazione di potenza ottenevano per compensazione una profonda gratificazione emotiva.
Bombardamenti e memorie individuali
L’ITALIA NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE
2
➔Una esperienza
traumatica
intervistati a distanza di vari decenni dalla fine della guerra, molti abitanti della provincia
di Frosinone hanno rilasciato dichiarazioni molto interessanti, ai fini della comprensione
di come le persone comuni hanno vissuto, in italia, l’esperienza bellica. il primo dato singolare è che – nella memoria di numerose persone – la guerra iniziava davvero nell’autunno
del 1943. «A settembre degli ’43 scoppia la guerra… e i tedeschi arrivano a Cassino e se
fermano», raccontò un uomo al ricercatore che lo interrogava negli anni Novanta. Per lui,
e per molti altri, tutto quello che precedette l’avvicinarsi del fronte alle case e ai villaggi dei
soggetti intervistati era una specie di rombo confuso e lontano, con l’ovvia eccezione di
coloro che avevano personalmente partecipato alle campagne d’Africa, di Grecia o di russia. «La (g)uerra comincette – aggiunse però una donna – quando iniziettero a butta’ le bombe, la notte quando comincettero a ittare (gettare) chigli razzi che facevano la luce, e tanne (allora) cominciarono a dirci che la (g)uerra veniva, che passavano a Cassino».
Giustamente questa persona (e, come lei, tante altre) percepì nella prassi del bombardamento
una cesura formidabile, un’esperienza del tutto nuova, che in italia nessuno aveva sperimentato nel precedente conflitto e che invece faceva ora prepotentemente irruzione nella vita quotidiana di tutti. Tra i bombardamenti più gravi, ricordiamo quelli di Pontecorvo
(1o novembre 1943, 500 morti circa), Vallecorsa (15 marzo 1944, 91 morti) e Anagni (19
marzo 1944, 130 morti). Le memorie dei sopravvissuti a questi disastri conservavano ancora a distanza di vari decenni l’eco di un trauma, su cui le persone avevano riflettuto per
moltissimo tempo. Alcuni ricordavano un terrore paralizzante, oppure un assoluto prevalere dell’istinto di sopravvivenza: con evidente senso di colpa, avevano ben presente che,
per un tempo più o meno lungo, avevano dimenticato i più forti legami di solidarietà (verso i genitori, i figli, la moglie ecc.), non avevano trovato l’energia per prestare tempestivo soccorso a familiari in difficoltà o si erano dati a un’irrefrenabile fuga, in cerca di salvezza. in varie memorie, poi, affiorava che l’unico rimedio allo sgomento e all’angoscia
era stato fornito dalla religione, che poteva offrire alcune categorie utili a sostenere l’individuo: mentre si chiedeva la protezione della Madonna o di qualche santo, si pote-
F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
3
➔Incapacità di capire
➔Indigenza assoluta
Guerra e memoria dell’esperienza bellica nel Basso Lazio
va pensare al bombardamento come a una terribile prova mandata da Dio, in vista della
purificazione e della conquista del paradiso.
A livello collettivo, uno dei ricordi più forti era costituito dalla distruzione dell’abbazia
di Montecassino (15 febbraio 1944), che provocò 296 morti civili; ancora più grave, però,
fu l’attacco sulla città di Cassino, il giorno seguente, con i suoi 1912 morti accertati.
Distruzioni e morti non sempre trovano adeguata spiegazione a livello di strategia militare. L’impressione è che gli anglo-americani, impossibilitati ad avanzare, abbiano trattato le retrovie della Wehrmacht come terra tedesca, da bombardare a tappeto, tralasciando
il fatto che i civili non erano dei tedeschi di cui poteva essere vantaggioso tentare di fiaccare il morale e la volontà di continuare a combattere, ma contadini di un Paese che, dall’ottobre 1943, era formalmente amico e alleato. Agli occhi di chi subiva i bombardamenti,
essi risultavano semplicemente privi di qualsiasi logica. ed era una ben misera consolazione l’osservazione di quegli ex soldati italiani che – memori degli assalti frontali lanciati
senza troppi scrupoli dai generali del regio esercito – notavano che «gli ammericani ce tenevano ai surdati loro. Pecciò con gli aerei bumbardavano tutti gli paesi addò ce stavano
gli tedeschi». in realtà, in quei paesi, in prevalenza stavano dei civili indifesi, e non truppe tedesche. Solo nel dopoguerra il trauma dei bombardamenti sarebbe stato almeno in
parte e gradualmente assorbito, grazie ai massicci aiuti economici e alimentari che avrebbero alleviato le gravi sofferenze della popolazione, dopo il disastro della guerra mondiale.
in effetti, per molti abitanti del Frusinate, l’esperienza più traumatica fu quella di essere improvvisamente catapultati in una situazione di indigenza assoluta, che investiva i più elementari
bisogni dell’esistenza. La necessità di sfuggire ai bombardamenti portò un gran numero di
persone a rifugiarsi fra le montagne, in zone isolate. La relativa sicurezza era pagata al prezzo di un vero ritorno allo stato di natura, con l’assenza di case, letti, stoviglie o posate: di tutti quegli oggetti, cioè, capaci di distinguere, per così dire, la civiltà dalla situazione selvaggia. La fame, inoltre, era un problema assillante per tutti gli sfollati: e poiché i maschi dovevano restare nascosti, o comunque erano più esposti al rischio di essere catturati o uccisi, spettava alle donne scendere a valle, presso i contadini, e acquistare al mercato nero i viveri di prima necessità. Nelle memorie di molte persone, l’esperienza della guerra a ridosso della linea Gustav, si riassume in questa coppia di elementi: fame e bombe dal cielo.
PERCORSI DI STORIA LOCALE
L’abbazia
di Montecassino
completamente distrutta
dopo il bombardamento
aereo delle forze alleate
il 15 febbraio 1944.
iPerTeSTo
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PERCORSI DI STORIA LOCALE
iPerTeSTo
Sfondamento del fronte e violenza
contro le donne
UNITÀ VIII
➔Lo sbarco di Anzio
L’ITALIA NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE
4
➔Soldati marocchini
e algerini
Kesselring sfruttò nel modo migliore il terreno su cui doveva difendersi. Poiché la catena
degli Appennini, al centro della Penisola, era un territorio su cui sarebbe stato molto difficile far avanzare un esercito e, ancor più, usare in modo efficace i mezzi corazzati, il comandante
in capo tedesco concentrò le proprie forze nelle zone più prossime al mar Tirreno e al mar
Adriatico. in queste regioni, le vallate dei fiumi potevano essere facilmente trasformate in
efficaci linee di difesa, cioè diventare barriere insuperabili per le truppe alleate.
A est, nella regione adriatica, il primo ostacolo da oltrepassare fu il fiume Sangro, che gli inglesi superarono tra il 20 novembre e il 2 dicembre 1943; i tedeschi, però, bloccarono per vari
mesi l’avanzata nemica a ortona, una piccola città costiera in cui si combatté casa per casa.
Sul versante opposto, invece, il sistema difensivo tedesco era centrato su Montecassino, in
quanto la grande abbazia dominava le valli dei fiumi rapido e Liri. il 22 gennaio 1944, gli
anglo-americani sbarcarono ad Anzio, a nord della linea Gustav, con l’obiettivo di accerchiare i tedeschi e di liberare roma. Lo sbarco, tuttavia, fu gestito con scarsa abilità strategica: la
sorpresa non fu sfruttata, sicché i tedeschi ebbero il tempo di fermare anche questa avanzata.
Dal 12 febbraio al 17 maggio, la zona di Montecassino fu attaccata per quattro volte, e
fu durante l’assalto del 15-18 febbraio che l’abbazia e il paese di Cassino furono pesantemente bombardati. Militarmente, si trattò di una mossa del tutto errata, non tanto perché all’interno del monastero non c’erano truppe tedesche, ma soprattutto perché i tedeschi si annidarono dentro le rovine e le trasformarono in una fortezza imprendibile.
La situazione militare si sbloccò solo con il quarto attacco (11-18 maggio), sostenuto in
primo luogo dai reparti polacchi del generale Wladyslaw Anders, che benché decimati riuscirono a conquistare Montecassino. Per i tedeschi, però, la situazione strategica divenne disperata quando si accorsero che, passando attraverso i monti, anche il Corpo di spedizione francese era riuscito a sfondare il fronte. A quel punto, le truppe di Kesselring si
ritirarono e per gli Alleati si aprì il cammino fino a roma (4 giugno 1944).
i 12 000 uomini del Corpo di spedizione francese, in realtà, erano in prevalenza soldati
marocchini e algerini. reclutati sulle montagne del Maghreb, erano denominati goumiers,
Macerie e distruzione
a Cassino, nel maggio
del 1944, dopo
la ritirata tedesca
e la contemporanea
avanzata delle forze
alleate.
F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
Gli stupri di massa
➔Disciplina
durissima
Riferimento
storiografico
DOCUMENTI
La testimonianza seguente fu rilasciata a un ricercatore da Angela C., contadina di Esperia, nell’ambito
di un vasto progetto di ricostruzione del vissuto bellico mediante la cosiddetta storia orale. Seguendo
questo procedimento, i protagonisti di una vicenda vengono intervistati e la loro testimonianza è registrata. Non importa, in questo tipo di operazione, se l’intervistato commette degli errori o riferisce gli
eventi in modo scorretto: quello che si vuole conoscere, infatti, è proprio il suo vissuto soggettivo, o meglio la percezione che di un evento quella persona ebbe all’epoca e il ricordo emotivo che essa poi ha
conservato nel tempo.
Stavamo sfollate goppa a Polleca, sulla montagna. Alla muriana (alla sera) ne arrivettero
na ventina fori alla nostra capanna. Erano niri, brutti, vestiti con tutti chigli panni longhi, co gli
’recchini come le donne. Certi c’avevano gli ’recchini pure agliu nase e i capigli lunghi a treccia… Che paura! Io e sorema (mia sorella) ci salvemmo pe miraculo… Uno co gliu mitra steva
vicino alla porta. Entrarono tutti dentro e pigliarono le femmene che non riusciettero a
scappà… Ste femmene le vattetero (picchiarono). Furono come alle bestie… Peggio delle be- Che cosa ricorda
stie, cinque o sei a pestare sopra una femmina, facevano a ripetizione uno dopo l’altro e alla protagonista
lucavano (strillavano)… In grazie a Dio nui, chaccheduna de nui, riuscì a scappà. Ma tante atre
dell’aspetto fisico
so morte, tutte rotte e dissanguate, tutte scassate o infettate le atre che sono rimaste vive.
dei soldati
Era tutto uno scappa scappa. La vallata era tutto nu pianto e nu lamento. I marocchini c’amarocchini?
vevano carta bianca e per due iuorni fecero gli diavoli. Fu nu passaggio… come all’inferno. Quali immagini
Chigli non abbadavano a (g)niente, nemmeno all’età. Anche le veccie e gli omini pigliettero…
evoca, per
esprimere il suo
T. BAriS, Tra due fuochi. Esperienza e memoria della guerra lungo la linea Gustav,
sgomento?
Laterza, roma-Bari 2003, p. 100
F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
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PERCORSI DI STORIA LOCALE
pag. 9
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Guerra e memoria dell’esperienza bellica nel Basso Lazio
perché suddivisi in gruppi (goums) di circa 70 uomini, comandati da un ufficiale francese. Nelle battaglie precedenti, i goumiers si erano segnalati per la loro ferocia contro il nemico e per alcuni atti di violenza contro la popolazione civile; pertanto, erano stati sottoposti a una disciplina particolarmente dura e severa. Dopo la durissima prova che furono chiamati a sostenere sulla linea Gustav (alla fine della battaglia rimasero in 7000),
il loro comandante, generale Alphonse Juin, ritenne opportuno allentare le regole, ma il
risultato fu disastroso, in quanto i marocchini si resero colpevoli per circa due settimane
(dal 15 maggio al 1o giugno) di una serie interminabile di crimini, che rimase profondamente impressa nella memoria degli abitanti del Frusinate.
oltre alle rapine e agli omicidi, l’esperienza più atroce per la popolazione fu quella degli
stupri di massa, che investirono tutte le donne e, in alcuni casi, persino degli uomini e
dei bambini. Secondo i dati ufficiali del ministero degli interni italiano, le persone violentate furono 3100; se si tiene presente che (secondo il medico condotto locale) nel solo
paese di esperia vi furono almeno 700 stupri, in realtà, di sicuro, a essere brutalizzate furono molte di più: al massimo, il numero ufficiale comprende le donne rimaste incinte
o contagiate da malattie veneree, costrette, per così dire, ad emergere e a rendere pubblica la loro tragica esperienza. La maggioranza delle donne, al contrario, cercò di mantenere il più assoluto riserbo e di nascondere alla collettività la violenza subita. Ciò nonostante, negli anni Novanta, quando alcuni ricercatori hanno intervitato le persone sopravvissute, la vicenda dell’arrivo dei marocchini era ancora la più vivida nella memoria
sia dei singoli sia delle comunità. Prima di tutto, gli abitanti dei borghi contadini presi
di mira dai goumiers furono colpiti dal loro aspetto fisico e dal loro abbigliamento, del
tutto diverso da quello conosciuto: «erano na razzaccia brutta e sporca. C’avevano gli ‘recchini agliu nase, certe vesti longhe». Spesso, per rendere l’animalesca ferocia di cui furono vittime, le donne intervistate evocarono la bestialità. Ma, proprio perché il contatto
con questi soggetti alieni, radicalmente altri, era stato terribile e traumatico al di là di ogni
esperienza nota, il parallelo che ricorse più frequentemente fu quello con l’inferno e i suoi
demoni scatenati: «erano brutti. Parevano gli diavoli… Ce rubettero chiglia poche che
c’era remasto e fecettero tanto scempio della populazione».
«in tre iuorni, facettero l’inferno… Pe tutta la montagna se sentivano strilli e lamenti».
iPerTeSTo
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UNITÀ VIII
iPerTeSTo
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L’ITALIA NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE
6
L’immagine dello straniero nella memoria
collettiva
2
Riferimento
storiografico
pag. 10
Un soldato americano,
accolto da una folla
festante, tiene in
braccio un bambino
subito dopo la cacciata
dei tedeschi a Roma.
Se in un primo
momento gli Alleati
furono percepiti come
eroi, successivamente
il senso di superiorità
con cui si accostavano
agli italiani contribuì
a far cambiare opinione
ai cittadini
del Frusinate.
il trauma dello stupro di massa provocò un singolare meccanismo di rimozione, nella memoria collettiva del Frusinate. infatti, a distanza di tempo, le persone intervistate finivano spesso per dimenticare la brutalità e le stragi naziste, per concentrarsi sui marocchini.
Nelle conversazioni degli anni Novanta, i tedeschi e le loro violenze non hanno una precisa identità: spesso, i ricordi che li riguardano sono espressi da frasi impersonali, senza soggetto, come se la loro furia omicida (così frequentemente documentata dagli archivi) fosse una catastrofe naturale senza volto umano, più simile a una tempesta o a un terremoto che a un conflitto. Nei casi limite, la rimozione arriva fino a trasformare il ricordo in
mito, cioè a trasformare il tedesco (persino in località in cui le truppe della Wehrmacht avevano compiuto stragi o ucciso diversi civili) in soldato buono e corretto, oppure in un povero Cristo che saccheggiava per fame: «Mai che gli tideschi fecero chello che facettero gli
marocchi… i tedeschi so stati bravi con nui. Pigliettero tutte le bestie per mangià, ma, puveracci, che potevano fa. Stevano agliu fronte qua e dovevano mangià».
in un primo tempo, la figura straniera più amata fu quella dell’americano, di solito contrapposta non solo al marocchino, ma anche all’inglese, di cui si sottolineava l’arroganza e l’avarizia: «Quando passavano gli sfollati dalla parte di Cassino, niente, gli inglesi non
ti davano niente, niente… mentre gli americani ti davano tutto quello che tenevano…
gli americani erano ricchi, ricchi, ricchi». Le forze armate statunitensi fecero subito colpo, al momento dello sfondamento del fronte, per la loro potenza militare e l’enorme disponibilità di mezzi: «Centinaia di carrarmati, autoblindo, camion carichi di soldati… anche il cielo era coperto da aerei che appoggiavano l’avanzata. Noi eravamo attoniti, abituati con i tedeschi che non possedevano neanche la centesima parte di tutta quella roba, non potevamo nascondere
la nostra meraviglia».
Lo stupore di fronte all’abbondanza
americana trovò rinforzo nella generosità
delle truppe, disponibili a dare alla popolazione grandi quantità di pane («Ce dettero nu pezzo de pane bianco. Non le pagnotte de pane niro come ce stavano prima
da nui. Nu pezzo de pane bianco…») e di
cioccolato, che la maggioranza degli italiani
del Centro-Sud non conosceva assolutamente («Pe nui era veramente na cosa nuova, mai vista. Non l’eravamo mai magnata prima»).
Tuttavia, nel giro di qualche tempo, anche
il rapporto con gli americani cambiò di
tono, o per lo meno assunse venature e sfumature diversificate. Con molta amarezza,
diverse testimonianze sottolineano che vari
soldati statunitensi ridevano della povertà
estrema della popolazione e si comportavano
con gli italiani come se fossero animali: ad
esempio, gettando verso un gruppo i generi
più disparati, e assistendo divertiti alle
zuffe che nascevano tra coloro che cercavano
di conquistare qualcosa. Di nuovo, poi, il
punto più dolente riguardava le donne, in
quanto l’estrema miseria spinse molte raF.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
PERCORSI DI STORIA LOCALE
Tedeschi
Marocchini
Inglesi
Americani
Realtà storica
documentata
Compiono razzie
e stragi
Compiono razzie,
stragi e stupri
di massa
Bombardano
impietosamente
le retrovie
Distribuiscono vestiti
e alimenti senza
parsimonia
Ricordo rimasto
nella memoria
Soldati desiderosi
di mangiare, corretti
verso le donne
Incarnano il male
assoluto, al punto
da provocare la
rimozione delle
violenze tedesche
Indifferenza verso
le sofferenze della
povera gente italiana
Ricchezza, opulenza,
potenza,
accompagnate da
senso di superiorità
verso la povera gente
gazze a prostituirsi, in cambio di cibo con cui sfamare le proprie famiglie («Si vendevano agli surdati per mangià»). Nella memoria collettiva (alimentata, su questo versante, dal
duro giudizio espresso dai parroci su quelle meretrici: in realtà donne poverissime, prostitute per disperazione), le truppe alleate assunsero pertanto un risvolto ambiguo, cioè
si trasformarono in elementi pericolosi, capaci di distruggere tutti i valori tradizionali, a
cominciare dalla castità e dall’onore femminile.
Memoria dell’esperienza bellica e politica
nel dopoguerra
F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
Riferimento
storiografico
pag. 12
3
7
Guerra e memoria dell’esperienza bellica nel Basso Lazio
Nelle diverse realtà italiane, il modo in cui il conflitto fu combattuto e vissuto dalle popolazioni ebbe un’incidenza decisiva sugli sviluppi politici del dopoguerra. Così, in emilia romagna e in varie altre regioni del Nord, che sperimentarono un movimento partigiano molto attivo e politicamente maturo, a guerra finita il Partito comunista, che a quel
movimento aveva dato il contributo maggiore, si impose come forza trainante ed egemone.
in certe zone al contrario, almeno da una parte della popolazione, la presenza e l’azione
dei partigiani fu percepita come dannosa e portatrice solo di sventure: è il caso, ad esempio, di Civitella (in provincia di Arezzo) e di altri centri che nel 1944 subirono durissime rappresaglie, dopo uno scontro tra partigiani e soldati tedeschi. in tutti questi casi,
le dolorose vicende degli anni 1943-1945 diedero luogo a quella che Giovanni Contini
ha definito «memoria divisa», cioè a un lunghissimo strascico di polemiche e di rancori, basati su una valutazione di segno opposto, sui medesimi eventi. in sede politica ed
elettorale, a guerra finita, ciò ha naturalmente significato che settori importanti della popolazione hanno indirizzato il proprio voto e le proprie simpatie alla Democrazia cristiana,
o ad altri partiti alternativi al PCi.
i termini del problema si pongono in modo molto diverso per la provincia di Frosinone
e per altre aree che non registrarono un vero movimento di resistenza, ma altre specifiche e particolari esperienze di guerra. Nel Frusinate, il ruolo di leadership morale e civile che in altre zone d’italia fu svolto dai partiti politici e dal movimento partigiano, fu invece assunto dalla Chiesa cattolica, l’unica istituzione che restò vicina alla gente nei
terribili mesi che separarono l’8 settembre dallo sfondamento alleato della linea Gustav.
innanzi tutto, la religione fu l’unica ancora di salvezza psicologica per la popolazione, aiutandola a sostenere le violenze e i bombardamenti; inoltre, mentre tutti i rappresentanti
dello Stato (podestà e carabinieri, ad esempio) si eclissarono, vescovi e parroci rimasero
al loro posto, assumendo un delicatissimo ruolo di assistenza e mediazione. in varie circostanze, il clero locale intervenne per convincere i tedeschi a non infierire sulla popolazione civile; ovunque, agli sfollati e a una popolazione bisognosa di tutto, solo la Chiesa
offrì il minimo vitale per sopravvivere. e così, mentre nei comuni e nelle città del Nord
fu il Comitato di liberazione nazionale (CLN) ad assumere il potere nelle confuse giornate
della liberazione, in varie località del Frusinate gli alleati investirono provvisoriamente i
parroci anche della carica di sindaco, in assenza di qualsiasi altro soggetto capace di guidare la comunità, dopo la ritirata dei tedeschi.
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Soggetti
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LA PERCEZIONE DELLO STRANIERO
➔Parroci nominati
sindaci
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UNITÀ VIII
➔Schiacciante
vittoria della DC
nel 1948
L’ITALIA NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE
8
Per gli abitanti della provincia di Frosinone, le formule politiche vincenti nelle aree ad
alta presenza partigiana, cioè gli appelli del PCi o del Partito d’Azione a realizzare una compiuta democrazia, dopo che le masse avevano partecipato all’insurrezione dell’aprile 1945,
non avevano alcun significato, mentre nessuno dei liberatori si era mostrato degno di apprezzamento e ammirazione incondizionata, tali da poter spodestare in prestigio la tradizionale istituzione ecclesiastica. Come ricorda un protagonista, intervistato in un progetto di storia orale, «dopo la guerra la Chiesa era l’unica cosa che ancora esisteva qua e
che aiutava un po’ tutti». Di conseguenza, l’unico messaggio che realmente arrivò agli abitanti del Frusinate fu l’appello a ricostruire una società nuovamente e integralmente cristiana, capace di non ripetere gli orrori della guerra appena finita.
Temendo che la repubblica aprisse la porta al comunismo, la Chiesa invitò i fedeli a votare per la monarchia, giudicata come una solida garanzia di stabilità e ordine; al referendum istituzionale del 2 giugno 1946, i monarchici ottennero il 60% dei voti nell’insieme della provincia, e in alcuni centri (come Cassino) sfiorarono il 90%.
in provincia di Frosinone, la Democrazia cristiana nacque per diretta iniziativa del clero, che spinse all’azione politica numerosi elementi del laicato cattolico, già attivi nell’Azione cattolica. Ai più importanti appuntamenti elettorali del dopoguerra, questa DC fortemente legata all’istituzione ecclesiastica si impose con risultati schiaccianti. Alle elezioni
amministrative del 1946 (prime libere elezioni, dopo vent’anni di dittatura), il partito cattolico conquistò il 52,7% dei suffragi a Frosinone e il 64,5% ad Alatri. il massimo trionfo
si verificò tuttavia alle elezioni del 18 aprile 1948, che nel Frusinate videro la DC conquistare
il 60,68%. Qualche giorno prima del voto, dal pulpito, leggendo una lettera pastorale dei
vescovi del Lazio meridionale, tutti i parroci avevano esortato «ad andare con Cristo e non
contro Cristo», cioè a votare per quei candidati e quelle liste «di cui si ha la certezza che
rispetteranno e difenderanno l’osservanza della legge divina e i diritti della religione e della Chiesa nella vita privata e pubblica». Anzi, anticipando la scomunica che, formalmente,
sarebbe stata emanata solo nel 1949, molti sacerdoti (con la piena approvazione dei vescovi) negarono i sacramenti a coloro che sostenevano le sinistre. «e ste cose qua – ricorda
un protagonista – hanno pesato quando si trattava di andare a votare».
ESPERIENZA BELLICA E SCELTE POLITICHE DEL DOPOGUERRA: TENDENZE DI MASSIMA
Tipologia delle zone
Zone a forte presenza
partigiana, sostenuta
attivamente
dalla popolazione
Zone a forte presenza
partigiana, contestata
da una parte
della popolazione,
a causa delle stragi
naziste
Zone a scarsa
presenza partigiana,
con forte influenza
(religiosa e
assistenziale)
della Chiesa
Voto espresso
al referendum
istituzionale
del 2 giugno 1946
Netta preferenza
per la Repubblica
Distribuzione
delle preferenze
tra Monarchia
e Repubblica
Netta preferenza
per la Monarchia
Voto espresso
alle elezioni politiche
del 18 aprile 1948
Risultati elettorali
positivi per le sinistre
Distribuzione dei voti
tra sinistre e DC
Trionfo elettorale
della DC
Memoria collettiva
a lungo termine
della esperienza
bellica
• Condanna senza
appello della violenza
nazifascista
• Celebrazione del ruolo
positivo della
Resistenza, fondamento
della nuova repubblica
democratica
• Intenso ricordo
delle stragi tedesche
• Memoria divisa
sul ruolo storico del
movimento partigiano
• Memoria traumatica
della liberazione
(bombardamenti, stupri)
• Distanza critica
o indifferenza verso
la memoria della
Resistenza
• Rimozione delle
violenze tedesche
F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
PERCORSI DI STORIA LOCALE
Gli stupri: la guerra contro i civili, al femminile
La guerra ai civili non fu certo risparmiata all’Italia. Vennero a combattere da tutti gli angoli del mondo: americani, francesi, inglesi, tedeschi, neozelandesi, indiani, polacchi, senegalesi, marocchini, algerini, tunisini, nepalesi… Per quasi due anni, dal luglio del 1943 al
maggio 1945, subimmo una durissima legge del contrappasso: il fascismo che aveva inseguito i suoi deliri imperiali in terre lontane, portò la guerra sull’uscio delle nostre case, in
un turbinio di stragi naziste, bombardamenti, rappresaglie, battaglie campali. Invasori, liberatori, occupanti, comunque si chiamassero, le truppe straniere guardarono all’Italia come
a un paese vinto. E si comportarono di conseguenza. Si materializzò così anche lo spettro
di Nanchino, l’incubo delle violenze e degli stupri, l’altra faccia della guerra al femminile: per
gli eserciti vittoriosi gli stupri diventano l’occasione per l’esercizio di un potere anche simbolicamente straripante, in grado di espropriare gli sconfitti non solo della loro dimensione
pubblica (il loro stato, il loro territorio nazionale) ma anche di quella privata, penetrando nelle
loro case, squarciando gli interni domestici, spezzandone i legami di cittadinanza insieme
a quelli familiari e parentali. […]
Tra il 1943 e il 1945 sulle donne italiane si scatenarono violenze di tutti i i tipi e su tutti
i fronti: sulla «linea gotica», i tedeschi infierirono soprattutto nei dintorni di Marzabotto, quasi
a voler reiterare [ripetere, compiere di nuovo, n.d.r.] la strage in altre forme; sull’Appennino ligure-piemontese, nel 1944, in sei mesi, si registrarono 262 casi di stupro ad opera
dei mongoli (i disertori dell’Asia sovietica arruolati nell’esercito tedesco). Ma niente può
eguagliare la tragedia che investì le marocchinate: è una brutta parola, ma allora la usavano tutti e si capiva subito di cosa si parlava. Nel 1960, Vittorio De Sica ne immortalò le
sofferenze in un film che valse l’Oscar a Sofia Loren: La ciociara era tratto da un romanzo
di Alberto Moravia. Paradossalmente, mentre il cinema e la letteratura trovarono subito i
modi per raccontare le scene che si svolsero allora nelle terre in cui, a combattere i tedeschi, arrivarono le truppe delle colonie francesi (non solo marocchini, ma anche tunisini, algerini), gli storici furono come bloccati, lasciando praticamente sguarnita di studi e
ricerche quella pagina dolorosa della nostra storia. Una serie di libri recenti, ha finalmente
ovviato a questo silenzio; secondo il racconto di Jean-Christophe Notin, i […] francesi del
corpo di spedizione comandato da Juin furono schierati sul fianco sinistro della V Armata americana e subito scaraventati al fronte, nella fornace ardente di Cassino.
E furono i primi a sfondare, il 13 maggio 1944, i capisaldi della linea Gustav. Poi,
la furia francese rotolò lungo la valle del Liri, sconvolse il frusinate, proseguì
verso nord, verso Roma, verso la Toscana e lì si fermò. Nell’agosto del 1944,
dopo lo sbarco alleato sulle coste della Provenza, le truppe di Juin furono
richiamate in patria. Alle loro spalle lasciarono ben 7485 caduti ma anche
una scia di lacrime. […]
Già nel marzo 1944, De Gaulle, durante la sua prima visita al fronte
italiano, parla di rimpatriare i goums (o goumiers, come venivano chiamati) in Marocco e impegnarli solo per compiti di ordine pubblico. In
quello stesso mese gli ufficiali francesi chiesero insistentemente di
rafforzare il contingente di prostitute al seguito delle truppe nordafricane:
occorreva ingaggiare 300 marocchine e 150 algerine; ne arrivarono solo
171, marocchine. Dopo lo sfondamento della linea Gustav, la furia francese travolse soprattutto il paesino di Esperia, che aveva come unica
colpa quella di essere stato sede del quartier generale della 71a divisione
tedesca. Tra il 15 e il 17 maggio oltre 600 donne furono violentate; identica sorte subirono anche numerosi uomini e lo stesso parroco del paese.
Il 17 maggio, i soldati americani che passavano da Spigno sentirono le urla
disperate delle donne violentate: al sergente McCormick che chiedeva cosa
fare, il sottotenente Buzick rispose: «Credo che stiano facendo quello che gli itaF.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
PERCORSI DI STORIA LOCALE
Il secondo conflitto mondiale si distinse nettamente dalla Grande Guerra per il numero molto più
alto di civili uccisi, di gran lunga superiore perfino a quello dei militari caduti in battaglia. In varie situazioni (Nanchino, 1937; Frusinate, 1944; Berlino e Germania orientale, 1945), la conquista di territorio nemico fu accompagnata inoltre da stupri di massa, che alcuni antropologi spiegano come atto simbolico che deve manifestare l’avvenuto passaggio di potere: dopo la vittoria, i nuovi maschi vincitori si
appropriano con la forza di ciò che in precedenza era possesso degli sconfitti.
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In questa fotografia
del 1944 scattata
a Latina due donne
trasportano una cesta:
dietro di loro alcuni
soldati inglesi che
hanno liberato la città
dai tedeschi.
Guerra e memoria dell’esperienza bellica nel Basso Lazio
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iPerTeSTo
Riferimenti storiografici
PERCORSI DI STORIA LOCALE
UNITÀ VIII
iPerTeSTo
liani hanno fatto in Africa». Ma gli alleati
erano sinceramente scandalizzati: un rapporto inglese parlava di donne e ragazze,
adolescenti e fanciulli stuprati per strada, di
prigionieri sodomizzati, di ufficiali evirati.
[…] Si mosse la magistratura militare francese: fino al 1945 furono avviati 160 procedimenti giudiziari che riguardavano 360
individui; ci furono condanne a morte e ai
lavori forzati. A queste cifre sicure occorre
aggiungere il numero, sconosciuto, di
quanti furono colti sul fatto e fucilati immediatamente (15 marocchini solo il 26 giugno). Si tratta comunque di alcune centinaia di casi. Le fonti italiane dànno cifre
molto diverse. Una ricerca in merito parla di
molte migliaia di donne stuprate. Un numero enorme, spaventoso. Fu proprio a
Esperia che nacquero le voci sulla carta
bianca. Come premio per aver sfondato la
linea Gustav, gli ufficiali francesi avrebbero
concesso ai soldati 24 ore in cui tutto era
permesso. Notin smentisce con forza. Resta il fatto che la disposizione dei francesi
nei nostri confronti non era delle migliori:
nessuno aveva dimenticato la pugnalata
alle spalle del 10 giugno 1940, il bombardamento di Blois senza necessità militari, i
mitragliamenti delle colonne di rifugiati a
sud della Loira.
G. De LUNA, Il corpo del nemico ucciso. Violenza e
morte nella guerra contemporanea,
einaudi, Torino 2006, pp. 135-138
L’ITALIA NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE
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Sofia Loren,
in una scena del film
La ciociara di Vittorio
De Sica (1960).
Spiega l’espressione «subimmo una durissima legge del contrappasso».
Che cosa sostenevano le voci sulla carta bianca?
Quale scarto esiste tra le valutazioni francesi e quelle italiane sul numero delle vittime?
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La rimozione delle violenze tedesche
Intervistate a distanza di molti anni, tantissime persone che vissero l’esperienza bellica in provincia di Frosinone dimostrarono di essere state traumatizzate dalla tragica vicenda degli stupri compiuti dalle truppe marocchine, al punto da rimuovere di fatto o minimizzare ampiamente la durezza dell’occupazione nazista.
Le disposizioni del comando generale lasciavano ampio spazio alla decisione del comandante di ciascuna unità. Ciò spiega anche la difformità di comportamenti delle truppe
tedesche. Alcuni reparti ricercavano realmente i partigiani, responsabili di sabotaggi o di attacchi, altri consideravano ostile l’intera popolazione, che subiva quindi la rappresaglia. Anche tra i secondi vi erano differenze. Per taluni la guerra, come nella sua interpretazione culturale più antica, era scontro militare tra uomini. Si uccidevano perciò gli uomini e i giovani
atti alle armi (in quanto nemici potenziali), come a Ripi o a Piglio, in forma di esecuzioni ordinate, in genere fucilazioni. Per altri, l’obiettivo diveniva lo sterminio dell’intera popolazione,
senza distinzione tra uomini, donne e bambini. Le vittime, dopo essere state radunate, venivano uccise a sangue freddo, come a Vallemaio o a Collelungo. […]
Le modalità della liberazione segnarono profondamente il processo di rappresentazione
del periodo bellico, portando alla rivalutazione dei comportamenti dei soldati tedeschi,
come segnalato da documenti coevi agli eventi. Il parroco di Monticelli, frazione di Esperia, don Pasquale Proia, definisce i giorni della conquista marocchina «momenti peggiori
F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
PERCORSI DI STORIA LOCALE
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Guerra e memoria dell’esperienza bellica nel Basso Lazio
di tutti gli altri che ho vissuto sotto l’incubo tedesco». Altri sfollati
riferirono di «aver sofferto più nelle 24 ore trascorse a contatto con
i militari marocchini che negli otto mesi passati sotto i tedeschi. I
tedeschi avevano portato via capre, pecore, vino e viveri, ma avevano rispettato le nostre donne: i marocchini si sono precipitati su
di noi…, riducendoci in condizioni pietose».
Il mito del tedesco buono si costruisce innanzitutto sul differente
comportamento dei militari della Wehrmacht verso le donne: «I tedeschi come donne non hanno torto un capello a nessuno», dice
Giovanni Mariani. «Veramente i tedeschi, specie in confronto dei
francesi, sono stati dei galantuomini, erano bravissime persone»,
dice Maria Pardi. «Sui tedeschi qua non hanno mai detto molto di
male, qua nei ricoveri ci stavano le donne, se quegli erano come
gli inglesi o i marocchini facevano un macello, invece le donne le
avevano rispettate, non gli hanno fatto niente», racconta Gino Lunghi. «I tedeschi alle donne devo dire che non gli hanno dato fastidio, almeno con chi voleva», insiste Ersilia Gradini. A Esperia,
ad esempio, le razzie e i saccheggi dei tedeschi sono ricordati, ma
vengono presentati come accadimenti inevitabili, dovuti alla fame,
che toccava tutti, anche i soldati: «I tedeschi non hanno fatto
(g)niente, manco alle femmine, – disse una donna di Esperia, il
paese più colpito dallo stupro di massa – alle guaglione (ragazze)
non le toccavano, i marocchini so stati a fa gli sfregi; i tedeschi
non se so comportati male con gliu popolo, solo che certo ivavano truvenne la robba, avevano da magnà era pè magnà che
Un reparto mortai
le facevano, ma non lo facevano a sfregio», racconta Maria De Angelis. […]
In questo sfondo di privazioni materiali, anche dell’esercito occupante, scompare la tedesco in attesa di
consapevolezza delle trasgressioni abituali, come furti e razzie, compiute dai soldati, rac- entrare in azione.
contate dagli intervistati senza essere riconosciute come tali. «I tedeschi non s’hanno comportato male, non sono iuti a rubbà», dice Antonio Imperioli, superstite dell’eccidio di Ripi.
«Loro hanno venuto qua e hanno pigliato la pecora, ce l’hanna pajata però, c’hanno fatto
la ricevuta», accettata perché «sennò se la pigliavano uguale la pecora, pè senza (g)niente».
[…] Probabilmente l’incapacità di cogliere la violenza, pur conservandone il ricordo, è da
ricondurre all’interpretazione della guerra delle società rurali, dove i conflitti bellici sono sentiti come eventi particolarmente drammatici, ma considerati comunque inevitabili. Le metafore utilizzate per indicare la guerra attengono al campo degli agenti atmosferici abitualmente rovinosi per il lavoro nei campi: grandine, pioggia, tempesta. Una calamità
naturale lontana e indecifrabile, a cui non ci si può sottrarre e di cui è impossibile rintracciare la causa scatenante. «La guerra è distruzione, è come un terremoto che distrugge
tutte le persone e le cose che uno c’ha», dice Maria Pardi. Questa interpretazione culturale [tipica della cultura contadina, n.d.r.] dello scontro cancella le responsabilità individuali,
annullando le colpe dei singoli soldati. Il massacro è analizzato nella dimensione propria
della guerra, dove l’uccidere rientra, in qualche misura, nell’ordine naturale delle cose: «Mio
padre non ha mai detto niente di rancoroso nei confronti dei tedeschi, nonostante c’abbia perso un fratello in questa questione di Collelungo, ma lui, tutto sommato, nonostante
questo, diceva: “erano momenti di guerra, bisogna capire” », dice Giovanni Rongione, ri- Per quali ragioni
badendo che «quello che hanno fatto i tedeschi era comprensibile: i tedeschi stavano in
quello del tedesco
buono, in realtà,
guerra, erano in guerra e poi erano pure incazzati perché le stavano prendendo. […]»
è un mito?
Nella memoria collettiva, si verifica la rimozione del ruolo attivo dei soldati tedeschi, a
cui corrisponde la loro espunzione dalle narrazioni come soggetto grammaticale, ricor- Quali metafore
rendo alla forma passiva o impersonale. «Fatta la nominata, s’è fatto sto rastrellamento
vengono usate dai
contadini per parlare
qua», dice Amerigo Imperioli, mentre Giacinta D’Adamo racconta l’uccisione del marito
della guerra? Quale
senza citare mai in maniera esplicita i tedeschi: «Quando allora suonarono…, gli hanno
effetto viene
chiappati…, gli ammazzarono de botta…, cominciarono a sparà». I soldati perdono così
ottenuto, grazie a
il loro carattere di persone fisiche, concretamente esistenti, attraverso un processo a cui
quelle espressioni
contribuisce la loro condizione di stranieri di cui non si riesce «neppure a capire le parole»,
figurate?
e quindi di figure aliene ed estranee alla realtà locale. Perché, come ricorda Giovanni ConQuale
«strategia
tini, «chi non parla o, quando parla, non è comprensibile, è come se non parlasse, e può
di linguaggio»
facilmente trasformarsi in calamità naturale, essere dimenticato come essere umano». […]
(grammaticale)
ottiene lo stesso
T. BAriS, Tra due fuochi. Esperienza e memoria della guerra lungo la linea Gustav,
risultato?
Laterza, roma-Bari 2003, pp. 39-46
iPerTeSTo
PERCORSI DI STORIA LOCALE
PERCORSI DI STORIA LOCALE
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UNITÀ VIII
iPerTeSTo
Politica e memoria dell’esperienza bellica
nel dopoguerra
L’ITALIA NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE
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Nelle regioni del Nord Italia, il 25 aprile è una festa molto sentita, a livello popolare. Nel Frusinate,
invece, a lungo fu celebrata in sordina, senza alcuna solennità pubblica. La ragione di questa diversità
si trova nella diversa memoria dell’esperienza bellica: in un caso, al centro fu posto il contributo della
Resistenza alla liberazione nazionale e alla sconfitta del nazifascismo (vissuto e narrato come male assoluto); nell’altro, rimosso o ridimensionato il peso delle violenze tedesche, il ricordo fu sbilanciato a
favore del ruolo positivo della Chiesa, a favore delle vittime. In tal modo, però, nel Frusinate l’antifascismo
e i valori della Resistenza ebbero un ruolo minimo, nella costruzione dell’identità collettiva delle comunità.
Alcune suore
distribuiscono i viveri
alla popolazione
durante gli anni della
seconda guerra
mondiale.
[Dopo la guerra], le autorità religiose sottolinearono soprattutto gli atti di pietas avvenuti durante l’occupazione, attraverso la mediazione dei parroci, contrapponendo la resistenza senza armi a quella armata come sola autentica espressione popolare e alla figura
del partigiano quella del vescovo defensor pacis [difensore della pace, n.d.r.], come prototipo del vero resistente, votato al contenimento della violenza. Il rifiuto delle armi finiva per
identificarsi con l’equidistanza tra i diversi schieramenti. La stessa gestione della memoria
pubblica nei centri amministrati dalla Democrazia cristiana avveniva all’insegna di una lettura conciliante con i passati avversari. Le ragioni peculiari della lotta antifascista venivano
sottaciute, attenuando il suo ricordo specifico. Si sottolineava, nelle celebrazioni ufficiali, la
tragicità della guerra con il suo portato complessivo di distruzioni. La ferocia nazifascista
era omologata al trauma più generale di tutte le esperienze belliche. La giornata dedicata
al ricordo degli eccidi nei comuni governati dalla DC non era il 25 aprile, né il giorno della
strage, ma il 4 novembre, giorno dei caduti in guerra, ricorrenza del vecchio stato monarchico, ma soprattutto festa inclusiva, perché permetteva a tutti, senza distinzioni, di celebrare i propri caduti, resi uguali dal comune sacrificio per la patria. Racconta Ernesto De
Magistris: «Io so pure rappresentante dell’associazione Vittime di guerra a Vallemaio… Me
ricordo che alle celebrazioni del 4 novembre se ricordavano tutti i morti della guerra…, se
faceva l’elenco dei caduti della prima guerra mondiale e pure quelli dell’ultima guerra. Se
portava la corona al monumento dei caduti delle guerre, per i soldati de Vallemaio morti agliu
fronte e se ricordavano pure tutti questi ammazzati dai tedeschi insieme alla gente morta
sotto le bombe degli americani. Insomma ce steva sta celebrazione che riguardava i morti
F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
T. BAriS, Tra due fuochi. Esperienza e memoria della guerra lungo la linea Gustav, Laterza, roma-Bari 2003,
pp. 51-54
Spiega l’espressione «festa inclusiva», applicata al 4 novembre. In che senso, invece, festeggiare
il 25 aprile poteva sembrare non inclusivo?
Spiega l’affermazione: La tendenza ad accomunare, nel discorso pubblico, l’esperienza
della seconda guerra mondiale a quella della grande guerra […] ha prodotto la sottovalutazione
o l’oblio di pratiche o avvenimenti non strettamente inquadrabili in quelle categorie».
Perché una simile equiparazione tra le due guerre è risultata molto comoda in Germania
(e, in fondo, anche in Italia)? Che cosa era possibile nascondere o dimenticare?
Spiega l’affermazione «La memoria individuale non si è fatta memoria collettiva».
F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
PERCORSI DI STORIA LOCALE
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Guerra e memoria dell’esperienza bellica nel Basso Lazio
di tutte le guerre… Qui da noi non s’è mai usato festeggià il 25 aprile. Nun se so mai fatte
cose speciali. C’era il giorno de vacanza e basta. Gliu comune non è che faceva manifestazioni o cose simili».
Come ha dimostrato recentemente Pietre Lagrou, la tendenza ad accomunare, nel discorso pubblico, l’esperienza della seconda guerra mondiale a quella della grande guerra,
attraverso i prismi del patriottismo e della resistenza all’invasore straniero, non è fenomeno
esclusivamente italiano, e in tutta l’Europa occidentale ha prodotto la sottovalutazione o l’oblio di pratiche o avvenimenti non strettamente inquadrabili in quelle categorie. Nel caso specifico, però, è lo stesso discorso antifascista a essere estromesso dalla memoria pubblica.
Per decenni infatti non sono stati costruiti, in molti comuni, monumenti dedicati alle vittime
degli eccidi tedeschi. Le steli commemorative sono ancora quelle della grande guerra, erette
durante il ventennio fascista, che riportano insieme (spesso senza alcuna specificazione) i
nomi dei soldati morti durante le guerre mondiali sui vari fronti, i civili caduti sotto i bombardamenti alleati, le vittime delle rappresaglie tedesche. Non esistono quindi quei luoghi
della memoria, finalizzati alla trasmissione dei valori civici dell’Italia repubblicana, indispensabili per la costruzione di una nuova identità politica. Contrariamente a quanto avvenuto
in altre parti d’Italia, i massacri non sono stati quindi neppure «incorporati nella grande narrazione della Resistenza, attraverso le annuali commemorazioni, nel corso delle quali i civili
sono stati assimilati ai partigiani caduti in combattimento, gli uni e gli altri vittime del nazifascismo, gli uni e gli altri caduti della Resistenza» (G. Contini). Soltanto nel 1984 ad Arpino
venne costruito un cippo per le vittime della rappresaglia tedesca a Collecarino. I morti di
Ripi furono ricordati in un monumento del 1985, che raccoglie comunque i nomi di tutti i caduti civili; a Vallerotonda solo nel 1993 fu eretto un sacrario per i caduti di Collelungo. A Vallemaio la stele per le vittime dell’eccidio del 9 maggio è stata eretta nel 1998, con l’avvento
di una nuova amministrazione. […]
Le narrazioni dei familiari conservano una forte valenza emotiva, restituendo l’orrore del
massacro nella loro concretezza e facendo emergere una ferocia e crudeltà degli uccisori
assolutamente spropositata e eccessiva, ma la memoria individuale non si è fatta memoria
collettiva: le stragi non sono diventate un fattore di autoriconoscimento. Le realtà periferiche hanno preferito dimenticare, come dimostra la cancellazione dalla memoria del ruolo
svolto dai collaboratori italiani dei tedeschi nelle stragi. A Vallemaio, a Castrocielo, come a
Collelungo, sono stati infatti alcuni abitanti del luogo a indicare le persone da colpire, come
segnalano i familiari delle vittime, ma né la pubblicistica locale né le interviste nel resto del
paese segnalano queste divisioni interne. Difficilmente le singole comunità possono «ricordare… tutto e sino in fondo», perché «è troppo doloroso, perché rischia di non ricomporre
le fratture e non dà spazio a chi intende dissociarsi dal suo passato» (M. Dondi); si è scelto
quindi di rimuovere il ruolo dei collaborazionisti italiani, possibile causa di nuove lacerazioni
intestine, lasciando sole le famiglie coinvolte nei massacri. […] Soltanto nelle zone della provincia dove la resistenza ai tedeschi ha gettato le basi della successiva esperienza di governo dei partiti di sinistra, legittimandone il loro ruolo nel nuovo assetto istituzionale, si conserva una forte memoria delle stragi naziste.
iPerTeSTo
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