Capitolo 1

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In a shade of blue - Eddie S. Glaude
Odoya
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Nessuno mette realmente in discussione l’impegno democratico di John
Dewey. Le sue opere filosofiche e la sua vita politica sono un magnifico
esempio della lotta per la creazione di una società veramente cooperativa.
Ma cosa pensare del suo relativo silenzio sul problema della razza negli
Stati Uniti? A dire il vero, le scelte politiche di Dewey erano la manifestazione del desiderio di mettere fine al razzismo. La sua partecipazione alla
creazione dell’NAACP e il suo saggio del 1922 Racial Prejudice and Friction
dimostrano l’interesse per la sfida posta dalla razza e dal razzismo alla sua
idea di democrazia. Ma Dewey non è mai stato veramente attento al problema del razzismo in America all’interno della sua opera filosofica; in nessuno
dei suoi libri più significativi sulla democrazia è mai stato alle prese con la
sfida posta dalla razza alle sue idee. Cosa dobbiamo pensare delle intuizioni
filosofiche di Dewey sulla democrazia alla luce di tutto ciò? Ci offre qualche
strumento per riflettere sui problemi attuali della razza negli Stati Uniti?
Voglio sostenere che la filosofia pragmatica di Dewey offre intuizioni
uniche che possono aiutarci ad affrontare, in maniera creativa e intelligente, alcuni dei problemi più intrattabili posti dal razzismo negli Stati Uniti,
dalle difficoltà dell’identità politica alla persistenza strutturale del razzismo.
Ma prima bisogna ricostruire la filosofia della democrazia di Dewey alla
luce della realtà della razza che ha definito questa nazione. Ciò significa
che si deve verificare un incontro prolungato tra gli impegni deweyani nella
democrazia partecipativa e i problemi perenni della razza che vanificano
tali impegni; quello che Cornel West descrive come il “lato oscuro” della
democrazia americana. Se il pragmatismo americano deve essere inteso, in
Estratto dal sito: www.odoya.it
1. Tragedia ed esperienza morale:
John Dewey e Amatissima di
Toni Morrison
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parte, come uno prodotto storico e culturale specifico della civiltà americana, e come un insieme particolare di pratiche sociali che esprimono certi
desideri, valori e risposte americane, allora deve affrontare esplicitamente
la tragedia della razza in America.
Molti studiosi ritengono che la versione del pragmatismo di Dewey
sia guastata da una fede ingenuamente ottimistica nella scienza, o da una
grave mancanza d’attenzione per le modalità d’azione del potere. Le sue
opinioni – sostengono – trascurano in generale il “lato oscuro” della vita.
Queste descrizioni di Dewey speculano su un’idea sbagliata: che la sua fede
eterna nella nostra capacità di influire sul nostro mondo vada di pari passo
con quella che sostiene la mancanza di limiti alle possibilità di azione. È sicuramente vero che riflettendo sul significato e sul valore della democrazia
americana, Dewey enfatizzava, come Ralph Waldo Emerson, le capacità
eroiche della gente comune, in un mondo di contingenza radicale. Ma il
nostro modo di considerare il posto della contingenza nella visione filosofica complessiva di Dewey esprime il modo in cui dovremmo considerare la
portata dell’agire umano nel suo pensiero, così come i suoi aspetti tragici.
Il capitolo è diviso in due parti. Nella prima sostengo che dietro alla
nozione di contingenza di Dewey si nasconda quella che può essere definita
una tragica sensibilità. Dewey riteneva che l’incertezza pervadesse le nostre
vite e ci trascinasse verso il pericolo del male, che ci fossero aspetti della vita
fuori dal nostro controllo (che intensificano il «senso della nostra dipendenza
da forze che battono la loro strada indipendentemente dal nostro desiderio e
dai nostri progetti»),1 e che questa incertezza definisse la nostra vita morale,
grazie alla possibilità di non ricorrere a regole universali fisse che invece
risolverebbero i nostri dilemmi morali. Al contrario, le nostre vite morali ci
chiedono continuamente di scegliere tra valori in competizione e di vivere
con le conseguenze di quelle scelte senza cedere alla disperazione. Dewey si
aggrappa a un’intuizione sofoclea sulla ragione pratica e rifiuta di semplificare la complessità delle nostre vite morali. Suggerisco, poi, che l’orientamento di base dell’opera di Dewey sia incline a un tentativo di ricostruzione
di questa complessità, alla luce della tragedia della razza negli Stati Uniti.
Dopo aver esposto questa visione in termini generali, la difendo dalle
autorevoli critiche fatte a Dewey da Hilary Putnam e Cornel West. I lettori meno interessati a questi dibattiti filosofici potrebbero voler passare
alla seconda parte del capitolo, sebbene tali dibattiti dovrebbero incuriosire anche i non specialisti. In Rinnovare la filosofia Putnam dichiara che,
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tra le altre cose, la visione di Dewey dell’intelligenza non riesce a cogliere
cosa ci sia realmente in gioco nelle situazioni moralmente tragiche: ovvero
che genere di persone crediamo di essere. Secondo lui, l’invocazione che
Dewey fa dell’intelligenza riguarda semplicemente la massimizzazione del
bene e tradisce un’ingenua fede nella scienza, nell’accezione più vasta del
termine. West, dal canto suo, in Pragmatism and the Sense of the Tragic, sostiene
che Dewey semplicemente non riesce ad affrontare seriamente la tragedia
e il problema del male. Per West, il pragmatismo di Dewey non si occupa
delle realtà del terrore, della malattia e della morte che minacciano i nostri
modi democratici di pensare e di vivere. La fede deweyana nell’intelligenza
critica, secondo West, semplicemente non riesce a far fronte alla sfida posta
dal pessimismo debilitante che può sopraffarci di fronte a queste realtà. Sostengo che sia Putnam che West non riescono a cogliere l’importanza della
contingenza e del conflitto nella filosofia dell’azione di Dewey. Né, credo,
apprezzano il modo in cui la sua visione di tali questioni limita la portata
dell’intelligenza critica e offre risorse per una migliore visione pragmatista
della tragedia.
Nella seconda parte di questo capitolo approfondiscono la mia lettura
degli aspetti tragici del pensiero di Dewey attraverso una breve analisi del
romanzo di Toni Morrison Amatissima.2 Suggerisco che la decisione del personaggio di Morrison, Sethe, di salvare la figlia dalla schiavitù attraverso
la morte è efficacemente descritta dal senso pragmatico del tragico che sviluppo nella mia interpretazione di Dewey. Esamino anche il modo in cui il
personaggio Baby Suggs, nella sua esortazione «Tienilo a mente ed esci dal
giardino», dà voce a una concezione della tragedia e del male come parte
delle esigenze morali della vita. Sono entrambi aspetti ineluttabili del mondo dell’azione: dobbiamo sempre tenerlo a mente, ma agire lo stesso. Io lo
interpreto come una ricostruzione particolarmente efficace di quella che
Dewey chiamava sperimentazione intelligentemente guidata. La mia lettura di Amatissima offre poi a grandi linee una visione pragmatica del tragico
che prende seriamente la realtà della razza che ha formato questo paese,
realtà che esplicita a sua volta le tragiche implicazioni della filosofia morale
e politica di Dewey. La lezione che il romanzo di Toni Morrison consegna
al pragmatismo deweyano è che negli Stati Uniti i problemi della razza
si affrontano meglio se ci si misura col proprio passato e con la tragedia
in esso contenuta, e questo proprio per invadere in maniera intelligente il
futuro. L’intelligenza creativa e un approccio sperimentale, arricchiti dalla
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conoscenza delle nostre esperienze razziali, ci permettono di individuare i
seri conflitti che affliggono l’America e ci forniscono i metodi per occuparcene. La tragedia resta. Dobbiamo tenerlo a mente e agire lo stesso.
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