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-PEDAGOGIA-
DEWEY
La pedagogia americana ed europea è oggi ispirata dalle teorie educative di Dewey, la cui
influenza è stata paragonata a quella di Rousseau nell’800.
Il suo primo vero esperimento pedagogico si rivela con la fondazione di una scuola elementare –
laboratorio a Chicago nel 1896, in cui intendeva attuare la concezione froebeliana.
Froebel aveva assegnato all’educazione il compito di inserire attivamente il fanciullo nella vita
mediante il duplice mondo della natura e della società e Dewey impostava appunto l’educazione
sulla base delle occupazioni manuali e della collaborazione con i compagni e l’insegnante.
Sintesi di tali teorie sarà la sua opera fondamentale pubblicata nel 1916 (DEMOCRAZIA ED
EDUCAZIONE). In seguito le passioni scatenate dalla Prima Guerra Mondiale, le intolleranze dei
totalitarismi, lo inducono ad un profondo ripensamento. Le tragedie belliche e il profondo disagio
sociale nei vari paesi gli appaiono dovuti allo squilibrio tra i risultati antiquati della filosofia
nell’elaborazione dei valori e quelli progrediti della scienza nella sua attuazione del “Regnum
Homnis” come dominio sulla natura.
In questa visione l’educazione assume un compito fondamentale: quello di inserire attivamente
nella vita individui, facendo esprimere ad essi volontà e capacità operativa.
Il ragazzo dovrà perciò conoscere, puntualizzato nel presente, il passato, per modificarlo; dovrà
vivere il proprio presente che include l’esperienza del passato e l’intenzione per il futuro, non dovrà
considerare niente di statico e assoluto, ma tutto come momentaneo e da rinnovare in meglio, vivere
in spirito di critica, indagine e ricerca, antidogmaticamente, respingere sempre il ruolo della
passività per assumere quello dell’iniziativa e dell’attività.
Questi presupposti esigevano una scuola attiva, antitradizionale. Secondo Dewey la scuola è scuola
passiva, tutto è preordinato per ascoltare, per questo è anche antipsicologica (il giovane non ha
possibilità di scelta di interessi), è antisociale in quanto sviluppa l’individualismo fino a portarlo
all’egoismo con l’emulazione verso i compagni e un metodo di studio che esclude ogni possibile
cooperazione con essi.
La scuola proposta da Dewey è invece una scuola attiva in cui non vi sono più libri e maestri al
centro, ma l’attività stessa del fanciullo organizzata nel lavoro di tipo sociale, la scuola cioè intesa
come comunità in embrione. In essa non ci saranno più programmi fissi e preordinati, ma
l’iniziativa del fanciullo sarà liberamente esplicata secondo i suoi interessi profondi, in una scuola
secondo la psicologia dell’alunno e non del maestro. I contenuti dell’insegnamento non dovranno
volgersi verso il passato (sapere conservato), ma protendersi sempre verso il nuovo e l’avvenire.
Nella scuola non si dovrà esplicare un’attività che si limiti a constatare ma che si esperimenti. Tutto
questo non significa finire in una scuola ‘professionale’, ma la scuola deve essere una scuola del
lavoro per essere sociale e non perché miri ad una professione. Essa mira allo svolgimento del
fanciullo e lo fa lavorare perché solo mediante l’azione egli può volgersi impegnando tutta la sua
personalità. Il lavoro è assunto perciò come mezzo di scoperta e il fine della scuola non è l’utile, ma
l’impulso creatore che promuove. Il lavoro infatti con i riferimenti scientifici, storici, economici,
geografici, matematici, che implicano, diventa centro e mezzo di vita culturale. In tale scuola anche
la disciplina non dipende più dall’ autorità del maestro, ma, sorge spontaneamente dalla vita stessa
della scuola operosa. Ecco che la scuola anziché ‘preparatrice alla vita’ è diventata vita stessa,
microcosmo sociale che vede in atto tutti i suoi problemi e la forma della vita reale. Restano perciò
ispirazioni feconde, anche se con talune riserve sulla possibilità di realizzazione pratica, tutte le
teorie di Dewey: l’affermazione dell’esigenza sociale in educazione; la correzione dell’esclusivo
indirizzo matematico, nel senso di una sua integrazione mediante un’esperienza di lavoro;
l’affermazione della personalità di fronte alle stesse professioni sociali, da svolgere interamente e
secondo le proprie capacità ( ossia secondo libertà); la ‘vita’, il ‘lavoro’ padre di ogni disciplina,
l’aderenza ai veri istinti del fanciullo; la scuola rivolta al completo sviluppo e all’evoluzione dello
scolaro che è il perno della scuola stessa; l’organizzazione scolastica secondo il concetto di
cooperazione e di produttività con esercitazioni in concretezza di scopi; la disciplina operosa e
spontanea, quella dell’ordine e delle occupazioni. Ecco i principi preziosi che hanno fatto di Dewey
il fondatore della scuola attiva, della pedagogia contemporanea, l’ispiratore e maestro di tutti gli
scrittori e tecnici di educazione.
Le idee di Dewey trovano la loro sintesi e il loro banco di prova nelle concezioni sociali e
pedagogiche.
La rivoluzione scientifico-industriale moderna esige l’abbandono sia de vecchio autoritarismo (con
le sue rigide opposizioni gerarchiche e l’astratta e aristocratica separazione tra teoria e pratica,
lavoro manuale e lavoro intellettuale), sia dell’individualismo esasperato del primo liberalismo. E’
necessaria una forma di democrazia che miri a favorire l’integrazione sociale di tutte le classi e di
tutte le esperienze, con la mediazione di uno stato che incarni l’interesse pubblico e favorisca una
continua azione di intelligente autorettifica.
La nuova pedagogia attiva deve abbandonare ogni contenuto prefissato e mirare invece al metodo.
L’insegnante non deve imporre valori, ma deve favorire la ricerca e lo sviluppo delle
capacità critiche. La scuola, abbandonato ogni nozionismo, deve saldarsi con la concreta esperienza
del fanciullo, con i suoi reali interessi e con l’ambiente naturale e sociale circostante. L’attivismo
pedagogico di Dewey e anche il suo strumentalismo filosofico hanno esercitato una notevole
influenza sulla cultura italiana a partire dagli anni cinquanta.
MARIA
M O N T E S S O R I ( 1870 – 1952 )
Laureata in medicina nel 1896, si dedicò, come assistente, presso la clinica psichiatrica
dell’Università di Roma, allo studio dei bambini anormali, elaborando un programma di educazione
speciale che trovò pratica applicazione nella creazione a Roma della Scuola Ortofrenica magistrale,
di cui ella stessa assunse la direzione. Il notevole successo ottenuto dai suoi metodi educativi, che
avevano portato al recupero, talora totale degli handicappati, spinse ad applicare tali tecniche anche
in sede di pedagogia generale. Nel 1906 M. fu chiamata a curare l’organizzazione di scuole materne
per i figli di famiglie operaie di alcuni quartieri popolari romani; nacquero così le prime “case di
bambini”, presto conosciute ed imitate in tutto il mondo, grazie anche ai continui viaggi della
Montessori all’estero.
Per la M. il fanciullo è essenzialmente un essere attivo, il quale racchiude in sé energie
creative e disposizioni affettive, spesso represse dalle strutture educative volute dagli adulti.
L’educatore deve porsi come scopo fondamentale quello di creare le condizioni che permettano
l’estrinsecarsi di tali energie e disposizioni.
La scuola materna
deve quindi essere strutturata in funzione dell’autosviluppo e
dell’autoeducazione dei bambini, fornendo loro un ambiente accogliente, familiare, in cui i vari
oggetti (tavoli, sedie, lavagne, ecc.) siano proporzionati alle loro esigenze. Tutto ciò favorisce la
libera attività dei fanciulli che, aiutandosi a vicenda, compiono loro stessi tutte le operazioni di
vita quotidiana necessarie all’organizzazione del gruppo. Gli adulti preposti ne devono rispettare la
spontaneità, lasciando che ognuno scelga e svolga liberamente la propria attività, intervenendo solo
su richiesta di aiuto ed esimendosi dal dispensare premi o castighi. L’ambiente della scuola stimola
lo sviluppo dei piccoli anche mediante l’utilizzazione di serie di materiali preordinati, predisposti
in parte sulla base di una ricerca personale della M. e in parte ricavati da una sua lettura delle
opere di due medici francesi ; tali materiali favoriscono l’attività intellettuale personale e
permettono l’autocorrezione dell’errore. Con il sussidio di materiale speciale (lettere mobili,
foglietti da applicare su oggetti, cose da contare) vengono insegnati anche i rudimenti della lettura,
della scrittura e dell’aritmetica.
Opere principali:
Il metodo della pedagogia scientifica applicata all’educazione infantile nella casa dei bambini
L’ autoeducazione nelle scuole elementari
Manuale di pedagogia scientifica
Il segreto dell’infanzia
La mente del bambino
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