ditec LEZIONI DI FISICA TECNICA 1 AA 2004-2005

annuncio pubblicitario
ditec
Dipartimento di Termoenergetica e Condizionamento Ambientale
LEZIONI DI FISICA TECNICA 1
Per allievi ingegneri meccanici e navali
Giovanni Guglielmini e Guido Milano
Parte Prima
A.A. 2004-2005
LEZIONI DI FISICA TECNICA 1
Per allievi ingegneri meccanici e navali
PARTE PRIMA
1. INTRODUZIONE
1.1. L’energia nelle sue varie forme
1.2. Tipo e disponibilità delle fonti energetiche primarie
1.2.1. Situazione delle fonti energetiche non rinnovabili nel mondo
1.2.2. Situazione delle fonti energetiche rinnovabili
1.2.3. Domanda di energia nel mondo e prospettive per il futuro
1.2.4. Situazione energetica in Italia
1.3. Introduzione alla Termodinamica Applicata
1.3.1. Sviluppo storico delle macchine per produrre lavoro meccanico
pag.
1
2
7
2. PROPRIETA' TERMODINAMICHE E UNITA' DI MISURA
2.1. Contesto macroscopico della termodinamica classica
2.2. Proprietà termodinamiche
2.2.1. La densità e il volume specifico
2.2.2. La pressione
2.2.3. L’energia
2.2.4. La potenza
2.2.5. La temperatura
2.2.6. Scala Internazionale di Temperatura ITS
2.2.7. Altre unità di misura per la temperatura
2.3. Sistema termodinamico
2.4. Trasformazioni ed equilibrio di un sistema
13
13
23
25
3. SCAMBIO DI LAVORO E DI CALORE
3.1. Definizione termodinamica di scambio di lavoro
3.2. Scambio di lavoro nei sistemi fluidi
3.3. Scambio di calore
27
30
38
4. IL PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA
4.1. Il primo principio della Termodinamica
4.2. Interpretazione analitica delle risultanze sperimentali
4.3. Contenuto energetico di un sistema termodinamico
4.4. Formulazione del I principio per un volume di controllo a regime permanente
4.5. La funzione di stato Entalpia
4.6. Conservazione della massa per un volume di controllo in condizioni non stazionarie
4.7. Bilancio energetico di un volume di controllo in condizioni non stazionarie
4.8. Formulazione del bilancio energetico in funzione delle proprietà locali
45
47
48
58
61
67
68
70
5. IL SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA
5.1. Evidenze sperimentali
5.2. Enunciati del secondo principio
5.3. La funzione di stato Entropia
73
75
80
5.4. Bilancio entropico per un sistema chiuso e per un volume di controllo
5.5. La trasformazione reversibile equivalente
5.6. Lavoro scambiato nelle trasformazioni reali
5.7. Espressioni delle funzioni di stato in termini di entropia
5.8. Produzione entropica per irreversibilità
5.9. Equazioni di validità generale
5.10. Precisazioni sull’equilibrio termodinamico
86
89
90
91
92
97
98
6. PROPRIETA’ DELLE SOSTANZE
6.1. Introduzione
6.2. Relazione p,v,T per le sostanze pure
6.2.1. La superficie p,v,T
6.2.2. Il diagramma delle fasi
6.2.3. Il passaggio di stato liquido-vapore – Diagramma di Clapeyron
6.2.4. Il diagramma T,S
6.2.5. Il diagramma H,S
6.2.6. Il diagramma p,H
6.3. Proprietà termodinamiche dei gas reali
6.3.1. La costante universale
6.3.2. Il fattore di comprimibilità
6.3.3. La carta generalizzata del fattore di comprimibilità
6.3.4. Il gas perfetto
6.4. L’espansione di Joule Thomson
6.5. Il coefficiente di Joule Thomson
6.6. Funzioni di stato e calori specifici del gas perfetto
6.7. Trasformazioni del gas perfetto
6.7.1. Isocore
6.7.2. Isobare
6.7.3. Isoterme
6.7.4. Adiabatiche
6.7.5. Politropiche
6.8. Miscele di gas perfetti
6.8.1. Proprietà termodinamiche di una miscela di gas perfetti
101
101
113
118
119
121
124
130
7. RELAZIONI TRA LE PROPRIETA’ TERMODINAMICHE
7.1. Introduzione
7.2. Differenziali esatti e non esatti
7.3. Equazioni di Maxwell
7.4. Espressioni generali per U,H,S nelle regioni monofase
7.5. Calori specifici fondamentali
7.6. Applicazione dell'equazione di Clapeyron ai passaggi di stato
7.7. Costruzione delle funzioni di stato dei vapori
APPENDICI
A. Il sistema internazionale: SI
B. La scala internazionale di temperatura ITS
137
137
138
140
142
144
146
------------------------------------------------------------------------------------------------
CAPITOLO
1
INTRODUZIONE
----------------------------------------------------------------------------------------------------------------
L'energia nelle sue varie forme. Breve rassegna delle fonti energetiche rinnovabili e non rinnovabili.
Disponibilità delle fonti primarie e consumi energetici nel mondo ed in Italia. Introduzione alla termodinamica
applicata e sviluppo storico delle macchine termiche.
1.1 L'energia nelle sue varie forme
L’insegnamento della Fisica Tecnica nelle Facoltà di Ingegneria delle Università
Italiane ha subito nel tempo una significativa evoluzione ed oggi comprende tre discipline di
notevole interesse fondamentale ed applicativo: la Termodinamica applicata, la Trasmissione
del calore ed il Condizionamento ambientale. L’elemento che accomuna queste discipline e
le rende consequenziali è rappresentato dall’Energia nelle sue varie forme e componenti e dai
processi di conversione energetica dalle fonti primarie alle forme utilizzate.
L’energia di un corpo o di un sistema può definirsi come l’attitudine a compiere lavoro.
Energia è un termine astratto già presente nella lingua greca antica e, nel linguaggio comune,
è sinonimo di vigoria. Anche in ambito scientifico l’energia è considerata un concetto
astratto, non facilmente afferrabile sul piano intuitivo.
Il concetto di energia ha interessato dapprima le discipline meccaniche. Una attenta
osservazione del pendolo aveva mostrato che due erano gli aspetti in cui si manifestava
qualcosa che cominciò a chiamarsi energia meccanica: l’energia cinetica e l’energia legata
alla posizione di un corpo rispetto ad un riferimento. Il moto del pendolo permette di
osservare il convertirsi e riconvertirsi dell’energia cinetica in energia di posizione, finché, nel
tempo, tutta l’energia conferita inizialmente al pendolo apparentemente svanisce....ma
l’energia non svanisce, si converte in altra forma trasferendosi ai mezzi circostanti.
Anche se non è definito un criterio generale di classificazione, si possono riconoscere
componenti energetiche riconducibili a: energia in transito ed energia immagazzinata (o
accumulata). L'energia in transito è quella che è in via di trasferimento attraverso il confine
del sistema. L'energia immagazzinata (o accumulata) è presente nel sistema essendo associata
ad una data massa, ovvero alla posizione assunta in un campo di forze; questo tipo di energia
può facilmente convertirsi in energia in transito.
Con riferimento ai fenomeni fisici che accompagnano le trasformazioni energetiche si
possono poi individuare le seguenti sei forme energetiche: meccanica, elettrica,
elettromagnetica, chimica, nucleare e termica.
In termodinamica l'energia meccanica è definita come l'energia che può essere usata per
sollevare un peso. L’energia meccanica in transito è detta lavoro, mentre nella forma
immagazzinata l’energia meccanica può essere energia potenziale o cinetica.
1
L'energia potenziale è energia connessa con la posizione assunta da una massa in un campo di
forze (spesso quello gravitazionale) mentre l’energia cinetica è quella associata ad una data
massa in moto rispetto ad altri corpi.
Una caratteristica molto importante dell'energia meccanica è che può essere facilmente ed
efficientemente convertita in altre forme (elettrica, termica etc.).
L'energia elettrica è associata al flusso (componente in transito) o all'accumulo di elettroni.
Anche l'energia elettrica, come quella meccanica, può essere facilmente ed efficientemente
convertita in altre forme.
L'energia elettromagnetica è associata alle radiazioni elettromagnetiche ed è energia pura,
non riferita cioè ad una data massa. Le diverse classi di energia elettromagnetica sono
definibili in base alla lunghezza d'onda della radiazione. L'energia elettromagnetica è
proporzionale al valore della frequenza della radiazione.
L'energia chimica è di per sé di tipo accumulato e si libera come risultato di interazioni tra
elettroni, per le quali atomi e molecole si combinano in modo da dare composti chimici più
stabili.
Anche l'energia nucleare esiste solo nella forma di energia accumulata e viene resa libera
solo a seguito di particolari interazioni riguardanti il nucleo atomico.
L'energia termica, associata alle vibrazioni atomiche o molecolari dei mezzi in cui si propaga,
viene denominata calore nella forma in transito, mentre nella forma immagazzinata è presente
in ogni mezzo come calore sensibile o calore latente (energia interna). L'energia termica è
una componente fondamentale di energia nella quale possono essere convertite
completamente tutte le altre ad esempio lavoro→calore, energia elettrica→calore etc. La
conversione in senso inverso, ad esempio calore → lavoro, calore→ energia elettrica, è
controllata severamente dal secondo principio della termodinamica.
I problemi ingegneristici connessi con l'energia sono essenzialmente di due tipi:
analisi della disponibilità di fonti energetiche primarie; conversione dell'energia primaria
nelle forme direttamente utilizzate.
Il primo aspetto riguarda più specificamente i corsi di Energetica, mentre il secondo è
strettamente legato ai principi della Termodinamica e pertanto verrà analizzato nella prima
parte del corso.
In particolare la Termodinamica Applicata si occupa principalmente delle relazioni esistenti
tra le forme energetiche "calore" e "lavoro" (energia in transito termica la prima e meccanica
od elettrica la seconda) ed esamina in che modo si può convertire una forma nell'altra ed a
prezzo di quali "perdite". Strettamente connessa con gli aspetti termodinamici è poi la
Trasmissione del calore disciplina che studia le modalità con cui il calore si può trasferire
all’interno di un corpo, tra due o più corpi a contatto, tra un fluido ed un corpo solido o, per
irraggiamento, tra più corpi quando tra di essi è interposto un mezzo trasparente od anche il
vuoto.
Prima di entrare nel vivo delle tematiche della termodinamica tecnica è utile fare
qualche breve considerazione sulla disponibilità di fonti energetiche primarie a livello
planetario.
1.2 Tipo e disponibilità delle fonti energetiche primarie
Le fonti energetiche primarie includono sia le materie prime energetiche, sia quei
fenomeni naturali che rappresentano fonti potenziali opportunamente convertibili in forme
energetiche utilizzabili. Le materie prime energetiche appartengono alla classe delle fonti non
2
rinnovabili (capitale energetico depauperabile) mentre i fenomeni naturali sono fonti
rinnovabili in quanto hanno generalmente come origine comune il Sole.
Le principali fonti energetiche primarie non rinnovabili comprendono: il carbone, il petrolio,
il petrolio non convenzionale, il gas naturale e i combustibili nucleari.
Tra le principali fonti energetiche di tipo rinnovabile si possono invece citare l'energia
idraulica, quella solare, l' eolica, la geotermica, le maree, i gradienti termici nel mare, le
biomasse (legno, residui agricoli ).
Per quantificare l'ammontare di una fonte energetica primaria, viene usata, per
comodità, la seguente unità di misura: la tonnellata di petrolio equivalente e cioè il tep. Vale
per il tep la seguente equivalenza:
3
4
3
1 tep (tonnellata equivalente di petrolio)= 1 t·10 kg/t 10 kcal/kg·4.186·10 J/kcal
e cioè:
1 tep=4.186·10
10
J
Alcuni multipli molto usati del tep sono poi: il Mtep (megatep) ed il Gtep (gigatep)
1 Mtep= 4.186·10
16
J;
1 Gtep= 4.186·10
19
J;
Per avere un idea dell'energia elettrica che può essere prodotta da un tep si può considerare il
fatto che una centrale termoelettrica da 1000 MWe (megawatt elettrico), operando 6600
ore/anno con un coefficiente di carico 0.75, richiede un consumo di combustibile pari a circa
1.09 Mtep.
1.2.1 Situazione delle fonti energetiche non rinnovabili nel mondo
Per quanto riguarda il petrolio le riserve stimate nel mondo sono: 260 Gtep già trovate
e 160 da scoprire. Purtroppo è da notare che in ciascun giacimento petrolifero, il rapporto tra
la produzione annuale P e la riserva R restante non può scendere per motivi tecnici al di sotto
di:
P/R ≅2/15.
Le riserve di gas naturale nel mondo sono stimate pari a 274 Gtep di cui 74 già trovate
e 200 da scoprire. Per questa fonte energetica primaria va detto tuttavia che i costi di
estrazione sono comparabili a quelli del petrolio mentre i costi di trasporto sono notevolmente
maggiori.
E’ comunque previsto nel breve e medio termine un consistente sviluppo della
distribuzione e dei consumi del gas naturale.
Sotto la denominazione di petroli non convenzionali si intendono gli olii pesanti, le
sabbie e scisti bituminose che si stimano presenti nel mondo in quantità notevoli,
corrispondenti a circa 5000 Gtep ma, per uno sfruttamento consistente di questa fonte
energetica, occorre accettare un costo di produzione circa il doppio di quello attuale.
Il carbone ha dominato la scena delle forniture mondiali di energia fino alla fine della
seconda guerra mondiale mentre oggi soddisfa solo il 20% del consumo energetico globale.
Le riserve stimate sono di circa 7000 Gtep di cui la parte tecnicamente ed economicamente
sfruttabile è pari a circa 500 Gtep.
3
Alcuni degli ostacoli che si frappongono per uno sfruttamento più intensivo sono: barriere
ecologiche, scomodità di impiego, alto costo della mano d’opera per l'estrazione. Vi sono
tuttavia notevoli prospettive di sviluppo con la tecnologia di liquefazione e gassificazione.
La potenza nucleare attualmente installata nel mondo è di circa 500 GWe ed il suo contributo
alla copertura dei fabbisogni energetici mondiali è oggi dell’ordine del 7%. I recenti incidenti
gravi ad alcune centrali nucleari e gli attuali elevati costi di realizzazione degli impianti
hanno rallentato (ed in alcune nazioni fermato) lo sviluppo di questa fonte energetica. Si spera
di poter riprendere lo sfruttamento dell’energia nucleare di fissione con la costruzione di
impianti del tipo “a sicurezza intrinseca” che sembrano offrire caratteristiche molto
soddisfacenti di sicurezza.
Le riserve accertate di uranio sono relativamente abbondanti e corrispondono con gli attuali
reattori a circa 90 Gtep. Con l’impiego di reattori veloci autofertilizzanti si possono ricavare
dall’uranio quantitativi di energia circa 60 volte quelli ottenibili con i più tradizionali reattori
termici. Una ulteriore riserva è rappresentata dal torio (con abbondanza tripla rispetto
all’uranio) che, in un processo di autofertilizzazione si può trasformare in un isotopo
fissionabile di uranio. Le riserve di combustibile nucleare, se si considera il processo di
autofertilizzazione e l'impiego del torio sono pertanto immense.
1.2.2 Situazione delle fonti energetiche rinnovabili
Le energie rinnovabili sono riconducibili, in forma diretta o indiretta, all'effetto
dell'irraggiamento termico solare sulla terra ad esclusione dell’energia delle maree che è
invece dovuta a fenomeni gravitazionali. Le fonti primarie rinnovabili sono dunque
disponibili in grande quantità, la loro scarsa utilizzazione è dovuta a specifiche motivazioni di
carattere operativo: bassa densità ed intermittenza nella disponibilità, elevato costo ed
impiego di materie prime negli impianti, tecnologie di utilizzazione non mature, competitività
economica con altre fonti.
La potenza solare che arriva sul nostro pianeta è pari a 1.78 1017 W , equivalente a 5.6 1024
J/anno, e cioè a circa 20000 volte il consumo energetico mondiale. Se si riuscisse a captare e a
trasformare in energia meccanica od elettrica anche solo l'un per mille dell'energia solare che
arriva sulla terra si avrebbe pur sempre a disposizione un quantitativo gigantesco di energia
pari a circa 20 volte il fabbisogno energetico planetario. Purtroppo la bassissima densità
superficiale con cui essa è disponibile, la caratteristica di intermittenza giorno-notte e gli
elevati costi dei captatori, ne limitano fortemente l'uso. Le previsioni ottimistiche per lo
sfruttamento di questa forma di energia sono dell’1% della totale domanda nei prossimi
decenni.
La potenza ricavata con la fonte energetica idraulica equivale a circa 180 Mtep/anno e
rappresenta solo il 20% dell’energia che si potrebbe produrre per via idroelettrica. La maggior
parte della espansione è prevista nei paesi in via di sviluppo, che possiedono il 48% del
potenziale idraulico mondiale.
Per quanto riguarda le altre fonti energetiche rinnovabili, pur essendo oggetto di
intensi studi e ricerche, non hanno assunto ancora una valida alternativa all'uso di
combustibili tradizionali ed il loro impiego per la produzione di energia elettrica è ancora
oggi trascurabile nel panorama mondiale.
4
1.2.3 Domanda di energia nel mondo e prospettive per il futuro
Nella tabella 1.1 sono riportati i consumi energetici mondiali nell'anno 1997 suddivisi
secondo il tipo di fonte primaria.
Tabella 1.1 - Consumi di energia nel mondo in Mtep
Fonte energetica
Anno 1997
Mtep
Combustibili solidi
Gas naturale
Petrolio
Elettricità nucleo
Fonti rinnovabili
Totale
2298
1958
3403
595
255
%
27.0
23.0
40.0
7.0
3.0
8509.0 100%
Si può affermare che i combustibili chimici diventeranno sempre più scarsi tra poche
generazioni e ciò induce a dedicare sempre maggiori attenzioni alla ricerca di possibilità di
risolvere i problemi energetici in modo più sistematico e globale.
Una delle possibilità che si prospettano consiste nella reazione nucleare di fusione
contrapposta alla reazione di fissione nucleare utilizzata nei reattori attualmente in funzione.
Nella reazione di fusione (processo essenziale dell'energia prodotta dal sole ed in generale
dalle stelle) i nuclei degli atomi degli elementi leggeri si combinano per formare nuclei più
pesanti con la liberazione di una grande quantità di energia. Utilizzando gli atomi di idrogeno
come elementi leggeri, non si avrebbe mancanza di materiale primario. Tuttavia è noto che la
reazione si sviluppa solo a temperature molto superiori ai valori raggiunti dalla tecnologia
attuale e quindi gli studi e le sperimentazioni in corso sono rivolte alla ricerca di mezzi che
consentano l'innesco, il contenimento ed il controllo della fusione per ottenere energia.
Alcune delle reazioni di fusione nucleare impiegabili per la produzione di energia
sono:
Deuterio-Deuterio:
H 2 + 1 H 2 → 2 He 3 + 0 n 1 + 3.27 MeV
1
1
H 2 + 1 H 2 →1 H 1 + 1 H 1 + 2 0 n 1 + 4.03MeV
Atomo di idrogeno
Deuterio
Tritio
Deuterio-Tritio:
2
3
4
1
1 H + 1 H → 2 He + 0 n + 17. 59 MeV
protone
neutrone
elettrone
Elio
2
H4
5
Il deuterio è contenuto nell'idrogeno naturale nella percentuale 0.015%. Un metro cubo di
acqua contiene circa 33 g di deuterio e, nel mare, si trovano circa 5 miliardi di tonnellate di
deuterio con energia disponibile per miliardi di anni.
Il Tritio è molto instabile e praticamente non esiste in natura ma può ottenersi da reazioni
neutrone litio. La reazione Deuterio-Tritio presenta una sezione efficace più grande di quella
Deuterio-Deuterio ed un'energia liberata più di quattro volte maggiore.
Si noti che l'unità energetica eV (elettronvolt) equivale a:
-19
1 eV=1.6 10
J
Alle alte temperature è anche noto che i gas conducono elettricità e un gas conduttore
defluendo in un campo magnetico si comporta allo stesso modo di un conduttore solido in
rotazione in una dinamo convenzionale. Si realizza così un processo di conversione magnetoidrodinamica (MHD) dell'energia: l'energia termica può convertirsi direttamente in energia
elettrica senza l'impiego di parti rotanti (il fluido conduttore può essere sia un plasma, sia un
metallo liquido).
Molti studi sono impegnati per lo sviluppo di questo effetto nella produzione di energia
elettrica. In tal modo si potrebbe ottenere infatti una diminuzione del consumo di
combustibile. Questo processo potrebbe essere utilizzato nel medio termine, prima del
processo di fusione, su base industriale, per produrre energia elettrica.
1.2.4 Situazione energetica in Italia
Nella Tabella 1.2 sono riportati i consumi energetici in Italia negli anni 1985 e 1997 ripartiti
secondo il tipo di fonte primaria.
Tabella 1.2 - Fonti primarie in Mtep
Fonte energetica
%
Mtep
%
17.7
28.9
105.4
2.0
11.0
10.7
17.5
63.9
1.2
6.7
13.2
48.8
96.5
8.8
11.5
7.4
27.3
54.0
4.9
6.4
165.0
100%
178.8
100%
Mtep
Combustibili solidi
Gas naturale
Petrolio
Elettricità nucleo
Elettricità importazione
Fonti rinnovabili
Totale
1997
1985
Nella successiva Tabella 1.3 sono indicati gli usi finali di energia in Italia negli anni 1985 e
1990 ripartiti secondo il settore di impiego.
6
Tabella 1.3 - Usi finali di energia negli anni 1985 - 1990 in %
Settore
1985
1990
%
%
Alta temp.
Bassa temp.
20.5
7.4
19.3
6.8
Bassa temp.
27.9
28.8
26.1
27.8
15.9
18.6
27.4
27.4
100.0 %
100.0 %
Temperatura
Usi termici
Industriali
Totale parziale
Usi termici
agr.-civili
Usi elettrici
obbligati
Carburanti
Trasporto
totale generale
Si possono fare le seguenti osservazioni:
- la fonte energetica primaria ancora maggiormente utilizzata in Italia è il petrolio anche se si
nota una tendenza, nel tempo, a ridurne il peso; il consumo di combustibile solido è diminuito
mentre è fortemente aumentato quello del gas naturale.
- il totale consumo energetico in Italia appare così mediamente ripartito: un 1/4 circa per usi
industriali, un po' più di 1/4 per usi civili (riscaldamento) ed in agricoltura, un po' più di 1/4
circa per il trasporto, ed 1/5 circa per usi elettrici obbligati (perdite nelle linee di trasmissione,
trasformazioni, etc.).
1.3 Introduzione alla Termodinamica Applicata
La Termodinamica Applicata è la Scienza che studia le relazioni tra calore e lavoro e
le proprietà dei sistemi. Nata nel XVIII secolo, con l'avvento delle macchine termiche e
l'esigenza di migliorare il processo di conversione:
energia termica ⇒ energia meccanica
è la Scienza che studia le proprietà ed il comportamento dei sistemi, la loro evoluzione ed
interazione con l'ambiente esterno che li circonda.
I principi della Termodinamica, insieme alle leggi della Meccanica dei fluidi e della
Trasmissione del calore, costituiscono gli elementi fondamentali per l'analisi di molteplici
fenomeni fisici ed il progetto di numerosi sistemi e componenti ingegneristici.
E’ comunque importante osservare che le uniche basi su cui è fondata la Termodinamica sono
le osservazioni sperimentali dei fenomeni fisici e le relative misure. Non esiste alcuna altra
base di tipo teorico. Pertanto le leggi della termodinamica come quelle di ogni altra disciplina
scientifica, hanno carattere di postulati che sono ritenuti veri finché non contraddetti da
qualche osservazione sperimentale. Le prime osservazioni sperimentali che fornirono le basi
per la formulazione delle leggi termodinamiche furono quelle relative ai sistemi termici che
utilizzavano combustibile fossile per la produzione di lavoro meccanico.
7
Fu proprio nello sforzo di migliorare il funzionamento e l’efficienza di tali macchine termiche
che i primiricercatori cominciarono a studiare con metodo scientifico le relazioni
fondamentali che governano le trasformazioni energetiche (calore → lavoro), l’evoluzione
dei sistemi e la loro interazione con l’ambiente esterno, nonché le proprietà dei fluidi
impiegati come vettori energetici.
Tra i pionieri che contribuirono allo sviluppo della termodinamica sono da citare: Benjamin
Thompson (1753-1814), James Watt (1736-1819), Sadi Carnot (1796-1832), Rudolph J.
Clausius (1822-1888), Lomonosoff (1747-1780), Lord Kelvin (1824-1907), James Prescott
Joule (1818-1889), J. Willard Gibbs (1839-1903), Max Planck (1858-1947). Anche se in
continuo sviluppo, è possibile individuare nella evoluzione storica della termodinamica tre
tipi di impostazioni metodologiche. Quella di Poincarè-Planck elaborata tra il 1897 ed il 1908
è la metodologia seguita dalla maggior parte dei testi didattici moderni di termodinamica e
sarà adottata anche in questi appunti. Essa è relativamente semplice da comprendere perché
usa concetti e idee tratte da altre branche della fisica e quindi più familiari al lettore e
consente al contempo conclusioni valide e accurate per la maggior parte delle applicazioni
ingegneristiche. Quella di Caratheodory (1909) è considerata molto elegante e rigorosa dal
punto di vista matematico anche se tuttavia l’intuizione del problema fisico risulta meno
immediata. Presenta la caratteristica di non usare volutamente il concetto di calore mentre i
concetti di adiabaticità (assenza di calore) e lavoro sono diffusamente utilizzati. Infine la
metodologia di Keenan e Hatsopoulos (1962) tratta le leggi tradizionali della termodinamica
come corollari di un unico assioma chiamato “legge dell’equilibrio stabile”.
1.3.1. Sviluppo storico delle macchine per produrre lavoro meccanico
La prima macchina termica in grado di funzionare fu costruita in Inghilterra nel 1712
ed è nota come "macchina di Newcomen". In questa macchina schematizzata in Fig. 1.1
veniva accoppiato il sistema cilindro pistone con l'uso del vapore acqueo. Con l'azione
alternativa del pistone veniva azionata una pompa, utilizzata per estrarre l'acqua dalle miniere.
La macchina di Newcomen è anche chiamata macchina a "pressione atmosferica" perché,
contrariamente a quanto avviene ora nelle macchine a vapore alternative, la fase utile del
ciclo non è quella relativa all'immissione del vapore (ad alta pressione) nel cilindro, ma quella
successiva, per opera della pressione atmosferica esterna. La macchina di Newcomen opera
infatti nel seguente modo. Nella caldaia viene prodotto vapore acqueo a pressione
atmosferica, che viene immesso nel cilindro mediante apposita valvola. Quando lo stantuffo
raggiunge il punto morto superiore la valvola di immissione del vapore si chiude e si apre
quella che immette nel cilindro un getto di acqua fredda che provoca la rapida condensazione
del vapore ed una riduzione della pressione nel cilindro. Per effetto della pressione
atmosferica che agisce sulla superficie opposta a quella interna, lo stantuffo si muove ora
verso il punto morto inferiore dando luogo alla fase utile del ciclo.
A James Watt professore dell'Università di Glasgow fu affidato l'incarico di riparare un
modello di macchina di Newcomen con cilindro di bronzo di 2 pollici di diametro e corsa di 6
pollici. La potenza fornita dalla macchina era di circa 40 cavalli ed il consumo era di 8 kg di
carbone per ogni cavallo ora. Watt studiò la macchina con spirito di ricercatore, ne rilevò il
grande consumo specifico di vapore e finì per riconoscere la causa principale del difetto nel
raffreddamento che ad ogni doppia corsa la parete metallica del cilindro subiva da parte
dell'acqua iniettatavi. Eseguì numerose operazioni per accertare alcune proprietà del vapore,
per trovare la quantità di vapore ottenibile da una caldaia per ogni kg di carbone bruciato
8
Fig. 1.1 Macchina di Newcomen del 1712. Il vapore, generato a pressione atmosferica nella
caldaia, riempie il cilindro durante la corsa verso l'alto del pistone. La valvola di adduzione del
vapore si chiude alla fine della corsa, ed il vapore viene condensato da un jet di acqua fredda. Ciò
riduce la pressione al di sotto dello stantuffo e, per effetto della pressione atmosferica che agisce
invece al di sopra dello stantuffo, si ha la fase utile del ciclo verso il basso (da cui "macchina a
pressione atmosferica"). Il pistone viene quindi alzato di nuovo per effetto del momento di
bilanciamento fornito dall'asta della pompa, il vapore viene quindi introdotto nel cilindro ed il
ciclo si ripete.
9
Fig. 1.2 Macchina ad azione singola di Watt (1769). Si notano alcuni miglioramenti
apportati da Watt alla macchina di Newcomen, quali: il condensatore del vapore separato dal
cilindro e la pompa di estrazione dell'aria.
e per determinare la massa d'acqua necessaria per condensare una data massa di vapore. Dopo
tutti questi studi, Watt pervenne nel 1769 alla sua prima invenzione, quella del "condensatore
separato" (Fig. 1.2), con lo scopo di "permettere al cilindro di restare caldo quanto il vapore
che vi entrava"; al condensatore applicò la "pompa d'aria" per estrarre con l'acqua anche l'aria
che vi penetrava riducendo il vuoto; circondò il cilindro di vapore per riscaldarlo (inviluppo
di
10
vapore). Watt attuò poi la sua vecchia idea di limitare l'introduzione del vapore nel cilindro ad
una parte della corsa dello stantuffo e di farlo espandere durante la parte rimanente;
introdusse il "doppio effetto" ed altre migliorie meccaniche; introdusse il volano e rese con
ciò la macchina adatta ad ogni uso industriale; inventò il regolatore di velocità a forza
centrifuga e l'indicatore di pressione. Così, diede al mondo, lo strumento poderoso che doveva
rivoluzionare la produzione industriale.
Negli stessi anni venivano compiuti i primi esperimenti per impiegare la potenza del
vapore per la propulsione navale (dati gli elevati pesi ed ingombri delle macchine). La prima
nave commerciale a vapore fu costruita negli USA nel 1807 (Fulton, fiume Hudson). I
tentativi di costruire macchine a vapore per trasporti terrestri fallirono fino all'introduzione
della rotaia come supporto per le macchine pesanti dell'epoca.
La macchina alternativa a vapore non era tuttavia senza sfide: venivano infatti
compiuti tentativi per eliminare il vapore quale intermediario tra il combustibile ed il pistone.
Nella seconda metà dell'800 venne sviluppato il motore a combustione interna che impiegava
sia il gas combustibile ottenuto dalla parziale combustione del carbone (gassificazione), sia
benzina, un prodotto leggero, ricavato dal petrolio. A questi motori si aggiunge presto il
motore a combustibile pesante in cui una miscela di aria e olio veniva incendiata nel cilindro
in conseguenza dell'aumento di temperatura dell'aria compressa.
Con l'avvento di questi motori sembrava che l'era del vapore fosse tramontata quando
ritornò di nuovo come elemento principale per una fortunata combinazione dell'uso del
vapore con il principio del mulino a vento, dovuta a Parsons nel 1884. La nuova macchina era
la turbina a vapore a reazione in cui il vapore ad alta pressione defluiva attraverso una serie di
palette fisse alternate con palette mobili montate su di un albero rotante. Si poteva così
ottenere da una macchina di dimensioni modeste una rilevante potenza con un minor consumo
di combustibile.
Il risultato fu una rinascita degli impianti di potenza a vapore che nella nuova forma
hanno mantenuto per molti anni la supremazia nella propulsione navale. Essi costituiscono
ancor oggi la tipologia più diffusa nella produzione di energia elettrica.
Nel secolo XX si assiste ad un perfezionamento dei motori a combustione interna sia a
benzina, sia ad olio pesante. Il motore a benzina viene prevalentemente impiegato per i
veicoli leggeri, mentre quello ad olio pesante per i veicoli commerciali più pesanti a causa del
minor consumo di combustibile. La macchina alternativa a vapore, utilizzata per la ferrovia,
viene gradualmente sostituita con motori Diesel o elettrici.
All'inizio di questo secolo vengono compiuti i primi tentativi di propulsione aerea: i
motori devono essere potenti e leggeri, caratteristiche queste peculiari del motore a benzina.
Nel 1930 viene introdotta la turbina a gas impiegata in misura sempre maggiore nella
propulsione aerea.
Il principio dell'impianto a gas trova applicazione sia per la turbina a gas vera e propria, sia
per la propulsione "a reazione". Negli impianti a terra, il suo avanzamento, in competizione
con altri mezzi di produzione di potenza, è molto più lento. In questi impianti il consumo di
combustibile è molto più importante della leggerezza e della semplicità meccanica,
caratteristiche queste peculiari della turbina a gas.
11
Lo sviluppo storico delle macchine termiche è sintetizzato nel seguente schema
SCHEMA DELLO SVILUPPO DELLE MACCHINE TERMICHE
----------------------------------------------------------------------------------------------------------------MACCHINA DI NEWCOMEN (1712)
XVIII secolo
PERFEZIONAMENTO DI WATT
(1769)
----------------------------------------------------------------------------------------------------------------XIX secolo NAVE COMMERCIALE A VAPORE (Fulton, 1807)
FERROVIA: macchina alternativa a vapore (rotaia)
(eliminazione vapore come
intermediario comb.-pistone)
MOTORI A GAS (II metà '800)
O A BENZINA
TURBINA A VAPORE (Parsons 1884)
PROPULSIONE NAVALE
MOTORI A OLIO PESANTE
PRIMI IMPIANTI DI POTENZA
----------------------------------------------------------------------------------------------------------------XX secolo:
- Perfezionamento macchine a combustione e demarcazione limiti di impiego.
- Tentativi di volo con motori a benzina.
- Sostituzione macchine alternative a vapore nelle ferrovie con motori Diesel od
- elettrici.
- Diesel per la propulsione navale.
- Turbine a gas per la propulsione aerea: turboelica, sistemi a reazione.
- Impianti terrestri a gas.
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------
12
----------------------------------------------------------------------------------------------
CAPITOLO
2
PROPRIETÀ TERMODINAMICHE E UNITÀ DI MISURA
------------------------------------------------------------------------------------------In questo capitolo vengono definite le principali grandezze comunemente impiegate nello studio dei
processi termodinamici quali: la pressione, il volume specifico, la densità, la temperatura. Vengono altresì
definiti alcuni concetti fondamentali nel linguaggio termodinamico quali: sistema, confine, esterno
2.1 Contesto macroscopico della termodinamica classica
Nella termodinamica classica le grandezze utili per studiare i processi e le
trasformazioni sono definite in un contesto macroscopico. Questo significa che nello studio
di una trasformazione termodinamica, ciò che interessa è il comportamento globale del
sistema, ad esempio un fluido, mentre ha scarsa rilevanza lo studio a livello microscopico
delle modalità di interazione delle singole particelle che compongono il sistema stesso.
Associato al concetto di sistema macroscopico vi è quello di sistema continuo. Si
suppone cioè che la scala delle lunghezze e dei volumi del sistema sia molto grande rispetto
alle dimensioni molecolari e che il sistema stesso contenga un numero elevatissimo di
molecole. In questo modo si assume che le proprietà che caratterizzano il sistema possano
sempre essere definite in ogni suo punto e che non esista discontinuità tra i valori delle
proprietà valutate in punti vicini gli uni agli altri.
Il concetto di sistema macroscopico e continuo si adatta agevolmente alla grande
maggioranza dei processi tecnici con l'unica eccezione dei gas rarefatti, nei quali il libero
cammino medio molecolare può essere comparabile con la scala delle lunghezze del sistema.
In questi casi non è più lecita l'ipotesi di sistema continuo ed occorre far ricorso ad altri
approcci metodologici.
2.2 Proprietà termodinamiche
Per proprietà termodinamica si intende una qualunque caratteristica macroscopica del
sistema il cui valore può essere assegnato ad un dato istante senza conoscere la "storia" del
sistema (sono ad esempio proprietà: massa, volume, energia, pressione, temperatura etc.).
Per stato di un sistema si intende l'insieme dei valori assunti dalle proprietà
macroscopiche che lo caratterizzano. Per la descrizione dello stato di un sistema occorre
quindi precisare un certo numero di proprietà macroscopiche tra di loro indipendenti. Alcune
di esse hanno un'origine meccanica quali ad esempio la velocità e la pressione mentre altre,
come la temperatura, appartengono più propriamente alla disciplina termodinamica.
13
Alcune proprietà come ad esempio il volume totale V o la massa totale M di un sistema sono
direttamente misurabili. Per la determinazione di altre proprietà, che si chiamano derivate,
come ad esempio la temperatura, l'energia interna e l'entropia occorre servirsi di relazioni
fisiche appropriate, ovvero del primo e del secondo principio della termodinamica.
Le proprietà termodinamiche possono essere classificate in due categorie: estensive ed
intensive. Una proprietà estensiva è direttamente proporzionale alla quantità di materiale
presente nel sistema mentre una proprietà intensiva ne è del tutto indipendente. Esempio del
primo tipo sono il volume totale V o la massa totale M di un sistema che dipendono
evidentemente dalla quantità di materia presente. Anche l'energia interna totale o l'entropia
totale di un sistema sono proprietà estensive perché il loro valore è direttamente
proporzionale alla massa presente. Esempio di proprietà intensiva è invece la pressione o la
temperatura che non dipendono dalla quantità di materiale da cui è costituito il sistema. Se il
volume totale V viene diviso per la massa del sistema si ottiene il volume specifico v che è una
proprietà intensiva. In generale dividendo una proprietà estensiva (ad eccezione di M ) per la
massa totale del sistema M si ottiene la corrispondente proprietà intensiva. Ad esempio,
dividendo l'entropia totale di un sistema S • (proprietà estensiva) per la massa totale M si
ottiene l'entropia specifica S per unità di massa del sistema (proprietà intensiva) e così dicasi
per altre proprietà funzioni di stato quali l'energia interna e l'entalpia.
Vi è poi un'ulteriore classificazione in proprietà additive e non additive. Alle prime
appartengono ad esempio, il volume totale V e la massa M . Risulta infatti che la massa di
due sistemi, ciascuno di massa M1 ed M2 è espressa, numericamente, dalla somma M1+M2 e
così dicasi per i volumi totali. Le grandezze meccaniche, ed in genere tutte quelle costruite
per sovrapposizione di un campione, sono additive. Anche l'energia interna totale ovvero
l'entropia totale di un sistema sono esempi di proprietà additive, risulta infatti che se S1• e S 2•
sono le entropie totali di due sistemi di massa M1 e M2 l'entropia complessiva dei due sistemi
è espressa dalla somma S1• + S 2• . La temperatura appartiene invece alla classe delle proprietà
non additive. Se infatti si pongono a contatto due corpi aventi la stessa temperatura T si
ottiene un sistema complessivo che ha ancora la stessa temperatura T e non 2T.
Nel seguito verranno definite le seguenti proprietà termodinamiche: la densità, il volume
specifico, la pressione e la temperatura.
2.2.1 La densità e il volume specifico
La densità ρ di una sostanza è definita come la massa per unità di volume. La densità
risulta quindi:
ρ=
M
V
(2.1)
3
Nel sistema internazionale l'unità di misura della densità è il kg/m .
Il volume specifico v di una sostanza è invece definito come il volume per unità di massa:
v=
V
M
(2.2)
14
3
Nel sistema internazionale l'unità di misura del volume specifico è il m /kg.
Nel seguito, per caratterizzare i fluidi dal punto di vista volumetrico, verrà quasi
esclusivamente impiegato il volume specifico v anziché il volume totale V.
Come si può osservare dalle due precedenti definizioni, il volume specifico è l'inverso della
densità e viceversa:
1
ρ=
(2.3)
v
Si ricorda, infine, che il peso specifico γ di una sostanza è definito come la forza peso per
unità di volume:
γ=
F peso
V
=
M ⋅g
= ρ⋅ g
V
(2.4)
3
L'unità di misura del peso specifico, nel sistema internazionale, è il N/m .
2.2.2 La pressione
La pressione in termodinamica ha la stessa definizione che ha in meccanica e cioè è
definita come la forza normale, per unità di area, che agisce su di una superficie. In un fluido
in equilibrio statico, la pressione in un determinato punto è la stessa in ogni direzione
(caratteristica di isotropia) ed il suo valore dipende soltanto dalla posizione del punto e dal
tipo di fluido. Nel sistema internazionale SI, la pressione è misurata in pascal e si indica con il
simbolo abbreviato Pa.
2
1 Pa = 1 N/m
(2.5)
La pressione di 1 pascal equivale alla pressione esercitata dalla forza normale di un
newton distribuita su di un metro quadrato di superficie. La pressione di un pascal è in verità
una pressione assai debole (circa un centomillesimo della pressione atmosferica). Sono
pertanto molto impiegati, nei processi tecnici, i multipli del pascal e cioè il kPa (chilopascal)
ed il MPa (megapascal)
1 kPa = 10 3 Pa; 1 MPa = 10 6 Pa
(2.6)
Come unità di misura della pressione nel sistema SI viene comunemente impiegato anche il
bar che è un multiplo del pascal:
1 bar = 10 5 Pa = 10 2 kPa
(2.7)
Per la misura della pressione atmosferica in meteorologia viene utilizzato spesso un
sottomultiplo del bar il mbar (millibar)
2
1 mbar = 10 −3 bar = 100 Pa = 100 N/m
(2.8)
Tra le unità di misura della pressione, peraltro meno frequentemente impiegate, vi sono anche
l' atmosfera normale (atm), l'atmosfera tecnica (at) ed il millimetro di mercurio (torr).
15
La pressione corrispondente ad una atmosfera normale vale:
1 atm = 101325 Pa = 101.325 kPa = 1.01325 bar = 1013.25 mbar
(2.9)
Il valore di una atmosfera normale indicato dalla (2.9) corrisponde alla pressione
esercitata alla base di una colonna di mercurio alta 760 mm. Infatti, dalla relazione
fondamentale della statica dei fluidi ed indicando con h l'altezza della colonna di fluido
risulta:
p = γ ⋅h = ρ ⋅ g ⋅ h
(2.10)
1 atm = ρ mercurio ⋅ g ⋅ 0.760 m = 13594.6 kg / m 3 ⋅ 9.807 m / s 2 ⋅ 0.760 m = 101325 Pa (2.11)
L'atmosfera tecnica è l'unità di misura della pressione nell'ormai obsoleto (e fuori
legge) sistema di misura tecnico, nel quale la forza, anziché la massa, compariva tra le
grandezze fondamentali. Per l'atmosfera tecnica vale la relazione:
1 at = 1 kgf / cm 2 =
1 kg ⋅ 9.807 m / s 2
= 98070 Pa = 0.9807 bar
1 cm 2 ⋅ 10 − 4 m 2 / cm 2
(2.12)
Non deve stupire, infine, che come unità di misura della pressione possa essere
adottata l'altezza di una colonna di fluido, come ad esempio il millimetro di mercurio a cui è
stato dato il nome di torr. La relazione (2.10) consente immediatamente di valutare la
corrispondenza tra pressione ed altezza di una colonna fluida. In questo caso si ha:
1 torr =1 mm Hg = ρ mercurio ⋅ g ⋅ h =13594.6 kg / m 3 ⋅ 9.807 m / s 2 ⋅ 0.001 m =133.3222 Pa (2.13)
Naturalmente la pressione può essere misurata con un'altezza di colonna di qualunque altro
fluido oltre al mercurio, come ad esempio di acqua.
Occorre prestare attenzione al fatto che la pressione misurata può essere assoluta o
relativa. Una pressione è assoluta se ha come riferimento il vuoto assoluto, mentre è relativa
se ha come riferimento la pressione atmosferica. Nello schema riportato in Fig. 2.1 risultano
evidenti i riferimenti per la pressione relativa e per quella assoluta.
prel
pass
pat
Vuoto assoluto
Fig.2.1 Relazione tra pressione relativa ed assoluta
Si ha pertanto:
p assoluta = p relativa + p atmosferica
(2.14)
Nello studio delle trasformazioni termodinamiche e nelle equazioni di stato per i fluidi
occorre considerare la pressione assoluta. In altre applicazioni, come ad esempio nel calcolo
16
delle effettive sollecitazioni a cui è soggetto un recipiente in pressione può essere richiesta la
conoscenza della pressione relativa. Spesso, anziché la conoscenza della pressione assoluta o
relativa è utile valutare la differenza di pressione tra due punti in un fluido, chiamata
pressione differenziale.
Per misurare la pressione di un fluido sono disponibili vari strumenti e sensori. Tra
questi il più semplice, ed anche il più antico, è il cosiddetto tubo manometrico. Esso è
costituito da un tubo di piccolo diametro (ma non troppo piccolo per evitare fenomeni di
capillarità) nel quale è contenuto un fluido manometrico: in genere il mercurio o, per piccole
pressioni, l'acqua. Questo tubo, collegato anche con tratti flessibili, viene messo in
comunicazione con il fluido di cui occorre misurare la pressione e si osserva il livello che
raggiunge, rispetto ad un riferimento, il fluido manometrico.
Il tubo può essere aperto o chiuso all'estremità. Nel primo caso si misura una pressione
relativa, mentre nel secondo si misura una pressione assoluta.
~ vuoto
patm
p*
h2
h*
h1
p
p
(a) tubo manometrico aperto
(b) tubo manometrico chiuso
Fig.2.2- Misura della pressione di un fluido con un tubo manometrico aperto (a) e chiuso (b).
Come si può osservare dagli schemi riportati in Fig. 2.2: nel caso (a), il dislivello h1 di
mercurio nel manometro aperto misura la pressione relativa del fluido contenuto nel
recipiente, mentre nel caso (b) il dislivello di mercurio nel tubo chiuso all'estremità, misura la
pressione assoluta. In corrispondenza della linea tratto e punto, sui due rami del manometro,
si ha la stessa pressione. Infatti il fluido (mercurio) e la quota sono gli stessi. D'altra parte la
pressione p all'interno del recipiente ha lo stesso valore che vige all'interfaccia del tubo di
sinistra del manometro perché il fluido è lo stesso (fluido contenuto nel recipiente) e i due
punti hanno ancora la stessa quota.
Nel caso (a) si ha:
p − p atm
p rel
p = γ mercurio ⋅ h1 + p atm ;
h1 =
=
(2.15)
γ mercurio
γ mercurio
La pressione del fluido in un altro punto del recipiente, ad esempio ad una quota superiore a
quella dell'interfaccia dei menischi, si può ricavare immediatamente conoscendo il dislivello
h* ed il peso specifico del fluido contenuto nel recipiente γf . Risulta infatti:
p* = p − γ f ⋅ h*;
Nel caso (b), poiché nel tratto terminale del tubo chiuso la pressione è circa nulla, dato il
basso valore della tensione di vapore del mercurio, si ha:
17
p = γ mercurio ⋅ h2 + ≈ 0;
h2 ≅
p
γ mercurio
=
p ass
γ mercurio
(2.16)
Con un tubo manometrico chiuso si può anche misurare la pressione atmosferica
attuale come schematizzato in Figura 2.3 . Infatti, se si capovolge un tubo di vetro pieno di
mercurio e chiuso ad una estremità su di un recipiente anch'esso riempito di mercurio, il
mercurio all'interno del tubo si porta ad un determinato dislivello h , rispetto al pelo libero del
recipiente.
≈vuoto
mercurio
h
Pressione atmosferica
Fig.2.3 Misura della pressione atmosferica con un tubo manometrico chiuso.
In corrispondenza del livello indicato con tratto e punto, la pressione esercitata
dall'aria atmosferica uguaglia quella dovuta alla colonna di mercurio alta h. Nell'ipotesi che
l'altezza risulti, ad esempio, h=770 mmHg si ha:
patm = γ mercurio ⋅ h = ρ mercurio ⋅ g ⋅ h = 13594.6 kg / m 3 ⋅ 9.807 m / s 2 ⋅ 0.770 m = 102658 Pa (2.17)
ovvero
p atm = 1026 . 58 mbar = 770 torr = 1 . 013 atm
(2.18)
2.2.3 L'energia
L'energia è una proprietà derivata e, nel sistema internazionale, ha per unità di misura
il joule e come simbolo J . L'energia di un joule corrisponde al lavoro fatto dall'applicazione
della forza di un newton per lo spostamento (nella stessa direzione della forza) di un metro.
1 joule = 1 N ⋅ 1 m = 1 J
(2.19)
Il joule è l'unità di misura energetica impiegata in termodinamica per esprimere sia lo
scambio di lavoro sia lo scambio di calore, correlati questi ultimi dal primo principio della
termodinamica. Altre forme di energia meccanica, quali l'energia potenziale e quella cinetica
sono anch'esse espresse in joule nel sistema SI.
Tra le vecchie unità di misura dell'energia termica (calore scambiato) vi è la caloria od il suo
multiplo chilocaloria. La corrispondenza tra calorie o chilocalorie e joule è la seguente:
1 cal = 4.1868 J ; 1 kcal = 4186.8 J
18
2.2.4 La potenza
Anche la potenza è una proprietà derivata ed è definita come l'energia sviluppata
nell'unità di tempo. Nel sistema SI l'unità di misura della potenza è il watt ed ha simbolo W.
Si ha la potenza di un watt quando viene sviluppato il lavoro di un joule in un secondo:
1W =1 J / s
(2.20)
Si noti che il kWh (chilovattora) è un'unità di misura di energia e non di potenza. Infatti il
kWh corrisponde all'energia sviluppata dall'applicazione di una potenza di un kW per un
tempo di un'ora:
1 kW h = 10 3 W ⋅ 1 h ⋅ 3600 s / h = 10 3 J / s ⋅ 3600 s = 3.6 ⋅ 10 6 J = 3.6 MJ
(2.21)
Tra le vecchie unità di misura della potenza, ormai in disuso, vi è il cavallo vapore con
simbolo cv, numericamente molto vicino, ma non coincidente con il cavallo vapore di origine
inglese avente simbolo hp (horse-power). La corrispondenza tra cavallo vapore e watt è la
seguente:
1 cv = 736 W = 0.736 kW
(2.22)
La potenza termica scambiata veniva espressa, nelle vecchie unità di misura del cosiddetto
sistema tecnico in chilocalorie all'ora. La corrispondenza con la potenza in watt è la seguente:
1 kcal / h =
4186.8 J
= 1.163 J / s = 1.163 W
3600 s
2.2.5 La temperatura
In questo paragrafo viene considerata la nozione empirica di temperatura che consiste
nella valutazione di quanto un corpo è più caldo o più freddo. La definizione più rigorosa di
temperatura, come conseguenza del secondo principio della termodinamica, verrà ripresa in
seguito. La termometria empirica è basata sul principio zero della termodinamica:
"quando due corpi A e B sono in equilibrio termico con un terzo corpo C, i due corpi A e B
sono in equilibrio termico tra di loro e si dice che tutti e tre i corpi hanno la stessa
temperatura"
A
C
B
Fig. 2.4 Schematizzazione del principio zero della termodinamica
Nello schema di Fig. 2.4, che sintetizza il principio zero della termodinamica, i corpi A e B
sono posti in contatto diatermico (in modo da consentire scambi di calore) con il corpo C. Si
noti tuttavia che i corpi A e B non hanno alcun contatto ed, in generale, alcuna percezione
dell'esistenza l'uno dell'altro. Se si attende un tempo sufficiente, tra ciascuno dei corpi A e B
ed il terzo C si stabilisce un equilibrio termico (cioè non si osserva più alcun tipo di
cambiamento nelle proprietà termodinamiche dei due corpi).
19
In queste condizioni, il principio zero asserisce che anche i corpi A e B sono in equilibrio
termico tra di loro, pur non essendosi verificato alcun contatto o scambio energetico diretto
tra di loro.
Un importante corollario del principio zero è il seguente:
"se si pongono in contatto diatermico due corpi che si trovano alla stessa temperatura non si
osserva alcun cambiamento nelle proprietà termodinamiche"
La temperatura viene misurata con strumenti chiamati termometri nei quali si utilizza la
variazione di una determinata proprietà. Ad esempio si può utilizzare come proprietà
termometrica: la dilatazione dei liquidi (termometri a mercurio, ad alcool), il potere
termoelettrico delle coppie elettriche (termocoppie), la resistenza elettrica dei conduttori
(termometri a resistenza), etc. La scala di temperatura non è altro che la formula che descrive
la legge di variazione della proprietà termometrica considerata, in funzione della temperatura.
Gli schemi della successiva Fig. 2.5 esemplificano l'importanza del principio zero nella
termometria empirica.
B
A
A
B
C
(a)
(b)
Fig. 2.5 Calibrazione per confronto di un termometro con un termometro campione (a) e
misura di temperatura di un corpo (b).
Nel caso di Fig 2.5 (a) viene eseguita una calibrazione per confronto del termometro di lavoro
A con il termometro campione B. Entrambi vengono immersi in un bagno termostatico C la
cui temperatura viene mantenuta costante mediante un termostato, ovvero si tratta di una
sostanza che subisce un passaggio di stato a pressione costante. Dopo un tempo
sufficientemente lungo, entrambi i termometri raggiungono l'equilibrio termico con il bagno
C e tutti e tre i corpi hanno la stessa temperatura. Si può pertanto riferire il valore letto da A
con quello fornito dal termometro campione B . La procedura può essere naturalmente
ripetuta per diversi valori di temperatura agendo opportunamente sul termostato, per ottenere
una calibrazione in un esteso intervallo termico. Nel secondo schema (b) viene impiegato il
termometro A, opportunamente calibrato, per misurare la temperatura del corpo B. Il
termometro A viene messo in contatto diatermico con B fino al raggiungimento dell'equilibrio
e ne viene letta la temperatura. La calibrazione eseguita in precedenza assicura che la
temperatura letta da A coincide, entro una certa tolleranza, con il valore che leggerebbe, nelle
stesse condizioni, il termometro di riferimento B. Come si può notare il principio zero ed il
suo corollario vengono continuamente applicati nella termometria pratica. Si noti tuttavia che
i suddetti esempi valgono solo se si riesce a raggiungere un equilibrio termico tra i vari corpi,
20
e ciò è possibile solo se il bagno termostatico C od il corpo B permangono in condizioni
stazionarie per un tempo sufficientemente lungo. Se, come spesso accade, i corpi hanno una
temperatura che varia nel tempo, la sua misura richiede accorgimenti e correttivi assai
complicati, che esulano dagli scopi di questa semplice trattazione.
In ogni caso un buon termometro dovrebbe godere delle seguenti caratteristiche:
1) sensibilità, variazioni relativamente elevate della proprietà termometrica con piccole
variazioni di temperatura;
2) accuratezza, le letture effettuate dal termometro dovrebbero essere molto vicine a quelle
di un termometro campione di riferimento (standard);
3) riproducibilità, il termometro dovrebbe fornire, continuativamente, le stesse letture per la
stessa temperatura di equilibrio;
4) precisione, è la caratteristica che somma insieme la riproducibilità e l'accuratezza;
5) rapidità di risposta, il termometro dovrebbe richiedere tempi brevi per raggiungere
l'equilibrio termico con il corpo di cui occorre misurare la temperatura e quindi dovrebbe
essere in grado di seguire rapidamente eventuali variazioni di temperatura nel tempo.
Un termometro ripetibile ed accurato al tempo stesso si dice preciso. Per schematizzare
questo concetto si suole rappresentare le letture di un termometro come segue:
riproducibilità
+
accuratezza
=
precisione
Fig. 2.6 Risultati di letture termometriche effettuate con: un termometro riproducibile (a), un
termometro accurato (b) ed uno preciso (c).
2.2.6 Scala Internazionale di Temperatura ITS
È stata recentemente introdotta una scala di temperatura internazionale denominata
ITS (International Temperature Scale). Detta scala definisce innanzitutto l'unità di misura che
deve essere utilizzata per esprimere la grandezza fisica fondamentale temperatura
termodinamica assoluta (simbolo T ) che è il kelvin (simbolo K). Il grado kelvin è definito
come la frazione 1/273.16 della temperatura termodinamica del punto triplo dell'acqua.
La scala ITS prevede anche la possibilità di esprimere la temperatura usando l'unità
grado celsius (non viene più chiamato grado centigrado) con simbolo °C, che continua ad
essere molto diffuso in numerose applicazioni civili ed industriali. La temperatura in gradi
celsius (simbolo t) si esprime come differenza tra la temperatura assoluta espressa in kelvin
ed il valore 273.15 K (temperatura quest'ultima corrispondente al punto di fusione del
ghiaccio alla pressione atmosferica normale e non del punto triplo dell'acqua).
t °C = T K − 273.15
(2.23)
Un intervallo di temperatura assume lo stesso valore numerico in gradi celsius e kelvin. Infatti
si ha:
1 °C (intervallo) =1 K (intervallo)
21
Tabella 2.1
Punto fisso
Punto triplo di equilibrio dell'idrogeno
Punto triplo di equilibrio del neon
Punto triplo di equilibrio dell'argon
Punto triplo di equilibrio dell'ossigeno
Punto triplo di equilibrio del mercurio
Punto triplo dell'acqua
Punto di fusione del gallio
Punto di solidificazione dell'indio
Punto di solidificazione dello stagno
Punto di solidificazione dello zinco
Punto di solidificazione dell'alluminio
Punto di solidificazione dell'argento
Temperatura
K
13.8033
24.5561
83.8058
54.3584
234.3156
273.16
-
Temperatura
°C
-38.8344
+0.01
29.7646
156.5985
231.928
419.527
660.323
961.78
La scala ITS definisce periodicamente e con sempre maggior precisione, i valori delle
temperature di diversi punti fissi facilmente riproducibili in laboratorio. come ad esempio il
punto triplo dell'acqua ed alcuni punti di fusione, di ebollizione o di solidificazione di
sostanze pure. L'ultimo aggiornamento risale al 1990 ed è per questo motivo che si suole
indicare oggi la scala internazionale con la sigla ITS-90 (ma già si parla di una nuova scala
ITS-2000, con qualche piccola variazione rispetto alla ITS-90). Ad esempio in Tabella 2.1
vengono riportati i valori delle temperature definiti dalla ITS-90 per alcuni punti fissi. Si noti
che le temperature compaiono con numerosi decimali e ciò perché vengono utilizzati
strumenti ed apparati di misura molto sofisticati e precisi con i quali è possibile rilevare anche
variazioni di ±0.0001°C. Normalmente, nell'industria, la misura della temperatura viene
effettuata con strumenti e metodi assai meno precisi, con una tolleranza che spesso non è
migliore a ±1°C. Si può però osservare che, anche nel caso di impiego di strumentazioni
sofisticate e costose, la precisione intrinseca, con cui può essere definita e misurata la
grandezza temperatura, seppure molto elevata, non è confrontabile con quella relativamente
assai più elevata che caratterizza le grandezze elettriche. In altre parole, è in genere più facile
misurare accuratamente una grandezza elettrica che una termica.
Dopo aver assegnato ai vari punti fissi i corrispondenti valori di temperatura vengono stabilite
le procedure che occorre seguire per definire la scala di temperatura nell'intero campo termico
compresi gli intervalli tra i punti fissi. Tali procedure sono molto complicate e costose ma
sono indispensabili per assicurare l'elevato grado di precisione richiesto. In Appendice B sono
riportate, in dettaglio, alcune procedure che occorre seguire per definire la scala ITS-90
2.2.7 Altre unità di misura per la temperatura
Nel sistema di misura anglosassone veniva impiegato, per la temperatura, il grado fahrenheit
con simbolo ° F. La corrispondenza tra gradi fahrenheit e gradi celsius è la seguente:
9
t ° F = 32 + ⋅ t °C
5
(2.24a)
22
Ovvero, per avere la corrispondenza tra gradi celsius e fahrenheit:
5
t °C = ⋅ ( t ° F − 32 )
9
(2.24b)
Per la misura della temperatura assoluta, sempre nel sistema anglosassone, veniva impiegato
il grado rankine con il simbolo °R. La corrispondenza tra le diverse unità di misura per la
temperatura rankine, fahrenheit e kelvin è regolata dalle seguenti formule.
t ° R = t ° F + 459.67
(2.24c)
1 °F (intervallo) =1 °R(intervallo)
(2.24d)
1 K (intervallo) =
9
°R (intervallo)=1.8 °R
5
(2.24e)
Alcuni esempi di corrispondenza sono riportati nello schema di Fig. 2.7.
T K
T °C
373.15
T °R
T °F
212
100
Punto di ebollizione dell'acqua
a
pressione
atmosferica
671.67
Punto triplo dell'acqua
273.16
273.15
0.01
0
491.69
491.67
32.018
32.0
Temperatura di solidificazione
dell'acqua
alla
pressione
atmosferica normale
0
-273.15
-459.67
0
Livello dello zero assoluto
Fig. 2.7 Riferimenti assunti per alcune unità di misura di temperatura ed espressione,
nelle diverse unità, delle seguenti temperature: zero assoluto, punto ghiaccio fondente a
pressione atmosferica, punto triplo dell'acqua e punto di ebollizione dell'acqua a
pressione atmosferica.
2.3 Sistema termodinamico
Nel linguaggio termodinamico vengono impiegati frequentemente alcuni concetti
fondamentali quali sistema, esterno, stato, equilibrio, etc, che costituiscono la base di ogni
successivo sviluppo e che conviene quindi definire subito.
Il sistema è ciò che si vuol analizzare dal punto di vista termodinamico e può essere
costituito da: un qualunque oggetto, una quantità di materia o una regione di spazio (anche
vuota) che viene idealmente separata da ogni altra cosa che la circonda e che ne diventa
l’esterno. E’ importante osservare che come sistema oggetto dello studio viene scelto
23
ragionevolmente di volta in volta quello che risulta più conveniente per gli scopi particolari
che ci si è prefissi. Esso può essere pertanto semplice come un chilogrammo di gas omogeneo
o complesso come ad esempio un intero impianto per la produzione di energia elettrica. La
composizione chimica di materia del sistema può essere fissata o variare in conseguenza di
reazioni chimiche; inoltre la forma ed il volume del sistema non sono necessariamente
costanti. La superficie immaginaria che racchiude il sistema e lo separa dall’esterno viene
chiamata superficie di confine. Attraverso il confine possono (ovvero non possono) attuarsi
delle interazioni con l’esterno. Se ad esempio il sistema è chiuso la superficie che lo delimita
e che ne costituisce il confine è impermeabile alla massa. Un sistema chiuso è costituito
pertanto da una data e ben definita quantità di materia; esso viene talvolta indicato con
“massa di controllo” perché, rimanendo costante la massa del sistema durante le
trasformazioni, è conveniente riferirsi a questa grandezza. Naturalmente un sistema chiuso
può essere fermo o in moto rispetto ad un referenziale solidale con l’osservatore e, anche se il
confine di un sistema chiuso è impermeabile alla massa, possono tuttavia avvenire, attraverso
di esso, interazioni energetiche con l’esterno (scambi di lavoro e/o di calore).
L
sistema chiuso o
"massa di controllo"
confine
esterno
Q
Fig. 2.7 Schema di un sistema chiuso costituito da una massa di gas contenuta
in un cilindro con stantuffo.
Nella Fig. 2.7 è schematizzato un esempio di sistema chiuso frequentemente considerato in
termodinamica. Esso è costituito da una determinata massa di gas contenuta in un cilindro con
stantuffo. In questo caso, la superficie di confine è una superficie reale e coincide con le
pareti interne del cilindro. Come si può notare il sistema di Fig. 2.7 è chiuso perché sono
impediti scambi di massa con l'esterno, ma sono consentite altre interazioni con l'esterno
quali, ad esempio, scambi di lavoro (attraverso la superficie mobile dello stantuffo) e/o di
calore (attraverso le pareti del cilindro).
Per lo studio di dispositivi quali turbine, pompe, ecc., componenti attraverso cui fluisce un
fluido di lavoro, risulta più comodo non limitare l'analisi ad una data massa, ma considerare
come sistema un volume di riferimento attraversato da una portata massica di fluido che
interagisce con l'esterno mediante scambi di lavoro e di calore. Per sistema aperto o “volume
di controllo” si intende quindi una definita regione dello spazio, limitata da una superficie
permeabile alla massa che ne consente quindi l'ingresso e l'uscita attraverso opportune
aperture.
24
Q
Volume di controllo
L
Fig. 2.8 Schema di un sistema aperto o volume di controllo
2.4 Trasformazioni ed equilibrio di un sistema
L'osservazione del mondo fisico suggerisce che ogni cosa è continuamente variabile.
Tuttavia si può anche notare che in certe condizioni le variazioni delle proprietà di un sistema
sono estremamente piccole.
Equilibrio termodinamico per un sistema isolato è la condizione di permanenza
(invarianza) delle proprietà termodinamiche. L'equilibrio termodinamico include: l’equilibrio
termico, meccanico, chimico e di fase. Quando la temperatura all'interno di un sistema è
uniforme ed uguale a quella dell'esterno circostante, il sistema è detto in equilibrio termico.
Quando non esistono forze sbilanciate all'interno del sistema e le forze che esso esercita sul
confine sono bilanciate da quelle esterne, il sistema si dice è in equilibrio meccanico. Quando
infine la composizione chimica del sistema resta costante, così come le proporzioni tra le fasi
presenti, il sistema è in equilibrio chimico e di fase. Ad uno stato di equilibrio si può
associare un unico valore di tutte le proprietà che caratterizzano il sistema. Il concetto di
equilibrio nella termodinamica classica è un concetto importante e primitivo. Si tratta in realtà
di una astrazione perché i sistemi reali non sono mai strettamente in equilibrio, tuttavia si
assume che ogni sistema possa raggiungere una condizione di equilibrio e, se isolato,
permanere indefinitamente nello stato di equilibrio raggiunto.
Trasformazione termodinamica è la situazione in cui le proprietà di un sistema
cambiano nel tempo e quindi lo stato del sistema passa da una condizione di equilibrio ad
un'altra. Le trasformazioni o processi termodinamici, avvengono in conseguenza di
interazioni energetiche tra il sistema e l'ambiente esterno: dalla loro entità dipende lo sviluppo
della trasformazione stessa. Gli scambi energetici intervengono attraverso il confine del
sistema e l’ambiente esterno. Si possono individuare due distinte modalità: scambi di calore e
di lavoro. Entrambi saranno definiti in dettaglio nel paragrafo successivo.
Qui, è sufficiente anticipare che, per convenzione, si considera positivo uno scambio di calore
diretto (fornito) dall’esterno verso il sistema, negativo nel caso opposto (dal sistema verso
l’esterno).
Si considera invece positivo il lavoro fatto dal sistema sull'esterno, negativo nel caso opposto
(fatto dall’esterno sul sistema).
È importante infine notare che gli scambi energetici, definiti in entità, modalità e segno
consentono il controllo della trasformazione in tutti i suoi elementi.
25
------------------------------------------------------------------------------------------------
CAPITOLO
3
SCAMBIO DI LAVORO E DI CALORE
-----------------------------------------------------------------------------------------------In questo capitolo vengono definiti operativamente gli scambi di lavoro e di calore nel contesto della
termodinamica. Viene altresì introdotto il concetto limite di trasformazione reversibile e viene fornita la
relazione per valutare lo scambio di lavoro nell’ipotesi di reversibilità.
3.1. Definizione termodinamica di scambio di lavoro
Come è noto, in meccanica, il lavoro è definito come il prodotto della componente
della forza nella direzione dello spostamento, per lo spostamento stesso. In termodinamica, lo
scambio di lavoro tra sistema ed esterno è definito in maniera analoga, ed è valutabile quindi
come il prodotto scalare del vettore forza per il vettore spostamento. Le forze da considerare
agiscono sul confine mobile del sistema e sono quelle esercitate dall’esterno sul sistema.
Lo spostamento è rappresentato dal movimento, durante la trasformazione, della superficie di
confine del sistema sulla quale agiscono le forze. Inoltre, per soddisfare le convenzioni
assunte sui segni e cioè considerare positivo il lavoro se è fatto dal sistema sull'esterno e
negativo se è l'esterno che compie lavoro sul sistema, risulta:
r r
dL• = − ∑ Fe ⋅ ds
(3.1)
confine
sistema
r
dove dL• è lo scambio di lavoro elementare espresso in J o kJ , Fe è la forza esterna che
r
agisce sul confine mobile del sistema e ds è il vettore spostamento. Pur avendo
essenzialmente la stessa definizione, in termodinamica, lo scambio di lavoro tra sistema ed
esterno presenta tuttavia alcune peculiarità che è opportuno notare.
Innanzitutto con la parola scambio, si sottolinea che in termodinamica il lavoro è il risultato di
una reciproca interazione tra sistema ed esterno. Quindi, se il sistema compie un lavoro
L• sistema sull'esterno, un lavoro L• esterno di pari entità , ma di segno opposto, è ricevuto,
durante la stessa trasformazione, dall'esterno in modo che risulta sempre:
L•
sistema
= - L•
esterno
ovvero
L•
sistema
+ L•
esterno=0
(3.2)
In secondo luogo, il lavoro scambiato tra sistema ed esterno dipende da come è stato definito
il sistema stesso. Il successivo esempio è in grado di chiarire queste due importanti
peculiarità. Nella Fig. 3.1, è schematizzata una gru che solleva un peso P=10 kN per
un'altezza di 2 m dal suolo. Ci si propone di valutare lo scambio di lavoro che ne consegue,
secondo i criteri della termodinamica.
In Fig. 3.1 è stato selezionato, come sistema, il peso da sollevare. Come si può osservare,
durante la trasformazione (in questo caso il sollevamento del peso) una delle superfici di
26
s=2 m
Fe=T=10 kN
P=10 kN
s=2 m
a
b
Fig. 3.1 Esempio di valutazione dello scambio di lavoro tra sistema ed esterno in termodinamica:
si è assunto come sistema il peso P da sollevare.
confine, sulla quale è applicata la forza esercitata dall’esterno sul sistema e corrispondente
alla tensione della fune, si muove per uno spostamento s pari a 2 m.
Inoltre la direzione dello spostamento coincide, in questo caso, con la direzione della tensione
della fune. Nell'ipotesi di considerare la tensione che agisce sulla superficie mobile del
sistema una forza puramente resistiva e cioè la tensione T , durante il sollevamento, si
mantenga più grande del peso del corpo P di una quantità infinitesima e assumendo anche la
fune anelastica con una tensione della fune ovunque uniforme si ha:
Fe = T ≅ P
L•
sistema peso =
(3.3)
r r
− Fe ⋅ s = −T ⋅ s ⋅ cos 0 = −10 kN ⋅ 2 m ⋅1 = −20 kJ
(3.4)
La relazione (3.4) fornisce, coerentemente, un lavoro negativo in quanto, in questo caso è
l'esterno (gru) che ha compiuto lavoro sul sistema (peso), sollevandolo di due metri.
s=2 m
180 °
Fe=T=10 kN
P=10 kN
s=2 m
a
b
Fig. 3.2 Esempio di valutazione dello scambio di lavoro tra sistema ed esterno in termodinamica:
si è assunto ora, come sistema, tutto ciò che, di significativo, è esterno al peso da sollevare.
Nello schema di Fig. 3.2 , è stato selezionato, come sistema, tutto quanto di significativo è
esterno al peso è cioè la gru e la fune. La forza esercitata dall’esterno sulla superficie mobile
del sistema è ancora la tensione della fune T che però ha, in questo caso, direzione opposta a
quella dello spostamento. Infatti, se si immaginasse di tagliare la fune in corrispondenza della
27
superficie mobile di separazione sistema-esterno, l’effetto di trazione esercitato dall’esterno
(il peso) dovrebbe essere sostituito da una tensione applicata alla fune diretta verso il basso.
Lo scambio di lavoro risulta in questo caso:
r r
L• sistema gru = − Fe ⋅ s = −T ⋅ s ⋅ cos180 = −10 kN ⋅ 2 m ⋅ cos180 = 20 kJ
(3.5)
P=10 kN
s=2 m
Fig. 3.3 Esempio di valutazione dello scambio di lavoro tra sistema ed esterno in termodinamica:
si è assunto, come sistema, l'insieme costituito dalla gru e dal peso.
La relazione (3.5) fornisce, coerentemente, un lavoro positivo perché il sistema gru ha
compiuto un lavoro positivo sull'esterno (il peso), sollevandolo di due metri.
Si consideri infine, come sistema, l'insieme formato dalla gru e dal peso, come mostrato nella
successiva Fig. 3.3. Durante il sollevamento del peso, nessuna delle superfici di confine
subisce alcun movimento. In questo caso, si ha:
L•
sistema (gru +peso)=
0
(3.6)
Ovviamente, per sollevare il peso, occorre sempre fornire un lavoro, ma, secondo le
definizioni termodinamiche, nel caso di Fig. 3.3, il lavoro necessario per il sollevamento del
peso risulta generato all’interno del sistema, non ne attraversa il confine e quindi non viene
scambiato con l’esterno.
In definitiva gli esempi considerati nelle Figg. 3.1, 3.2 e 3.3 mostrano chiaramente che l'entità
dello scambio di lavoro, in una trasformazione termodinamica, è strettamente legata alla
scelta del sistema rispetto all'esterno, pur essendo sempre verificate le relazioni di mutua
corrispondenza indicate dalle (3.2). Si ha infatti sempre, per tutte le situazioni di Figg. 3.1,
3.2, 3.3:
L• sistema= - L• esterno
(3.7)
Si noti infine che, nel caso in cui non si potesse più assumere la tensione della fune una forza
puramente resistiva e la fune anelastica perché, ad esempio, il sollevamento non viene
effettuato molto lentamente e con velocità uniforme e/o la fune subisce deformazioni
elastiche, per la valutazione dello scambio di lavoro effettivo vale sempre l’espressione
generale:
r r
d L• = − Fe ⋅ ds
Sarà più difficile, in questo caso, esprimere correttamente il modulo della forza esterna Fe,
che non si manterrà più uguale alla forza peso durante il sollevamento e, per la sua eventuale
valutazione, occorrerà sviluppare modelli meccanici più complessi e in regime dinamico.
Avendo ben presente tutte le precedenti considerazioni, è possibile comprendere meglio la
28
definizione generale di scambio di lavoro nella termodinamica classica, che è quella fornita
da
Poincaré: “Si dice che un sistema compie lavoro positivo sull'esterno, durante una
determinata trasformazione, se il sistema può essere in grado di eseguire la stessa
trasformazione avendo come unico effetto, su tutto ciò che è esterno, il sollevamento di un
peso. L'entità del lavoro fornito è ottenuta contando il numero di pesi standard che possono
essere alzati (in un campo gravitazionale) da un livello di riferimento ad un altro.
L'entità del lavoro fornito dal sistema all'esterno è identica a quella ricevuta dall'esterno.”
Si ritrovano sintetizzate nell’enunciato di Poincaré, alcuni dei concetti illustrati in precedenza
e cioè: lo scambio di lavoro definito come il risultato di una reciproca interazione tra sistema
ed esterno, le relazioni di equivalenza (3.2) e la convenzione dei segni. Inoltre, nella prima
parte dell’enunciato è contenuta un’ulteriore generalizzazione. Infatti, perché un sistema
compia un lavoro positivo sull'esterno non si dice che durante la trasformazione deve
necessariamente essere sollevato un peso, ma che “il sistema può essere in grado di eseguire
la stessa trasformazione avendo come unico effetto, su tutto ciò che è esterno, il sollevamento
di un peso “
Il successivo esempio chiarisce questa ulteriore importante distinzione. In Fig. 3.4 (a) viene
considerato un accumulatore (sistema) che dissipa corrente (trasformazione) in una resistenza
elettrica (esterno). In questa trasformazione, secondo la meccanica, non viene prodotto alcun
lavoro mentre, secondo la definizione di Poincaré, il sistema può essere in grado di eseguire la
stessa trasformazione, secondo lo schema di Fig. 3.4 (b) ottenendo come unico effetto su tutto
ciò che è esterno il sollevamento di un peso (supponendo trascurabili eventuali dissipazioni
nel motore e nel dispositivo puleggia-fune). È stato sufficiente sostituire alla resistenza, un
motore elettrico collegato ad un sistema di sollevamento con il quale può essere alzato il peso.
motore
+
-
+
batteria
resistenza
(a)
batteria
(b)
P
Fig. 3.4 Corrispondenza tra flusso di corrente che attraversa il confine del sistema e sollevamento di un peso
3.2. Scambio di lavoro nei sistemi fluidi
Nella termodinamica tecnica sviluppata in questo corso, i sistemi saranno costituiti
quasi esclusivamente da fluidi. È pertanto utile analizzare in dettaglio come può essere
valutato lo scambio di lavoro durante le trasformazioni eseguite da fluidi.
E' già stato precisato che lo scambio di lavoro è associato alle forze esercitate dall’esterno
sulla superficie di confine del sistema che subisce uno spostamento. Si tratta ora di stabilire in
quali condizioni e con quali ipotesi si è in grado di calcolare le forze che agiscono su di una
superficie mobile in un fluido, e quindi, noto anche l’entità dello spostamento, come poter
valutare l'effettivo scambio di lavoro.
29
superficie di confine
p'
p
esterno
sistema
r
n
r r
ds = n ds
Fig. 3.5 Schema per la valutazione dello scambio di lavoro per un sistema fluido
Con riferimento alla Fig. 3.5, si consideri una superficie (ideale) di confine in un fluido, ad
esempio un gas. Per la valutazione dello scambio di lavoro conseguente allo spostamento
r
elementare ds di questa superficie occorre applicare la relazione:
r r
dL• = − Fe ⋅ ds
Se si ipotizza che la pressione che esercita il fluido dall’esterno, durante lo spostamento, si
mantenga uniforme su tutta la superficie e pari al valore p' il lavoro può essere valutato con la
seguente semplice espressione :
r r
dL• = − Fe ⋅ ds = − p ' ⋅ A ⋅ ds cos180 = p ' dV
(3.8)
dove A rappresenta l’area della superficie mobile e dV=A ds è il volume elementare generato
dallo spostamento della superficie stessa. Poiché nella termodinamica è più conveniente
riferirsi al volume specifico v di un fluido anziché al volume totale V, moltiplicando e
dividendo la (3.8) per la massa M di fluido presente nel volume V si ottiene:
dL• = p' M
dV
= p' M dv
M
(3.9)
Anziché esprimere il lavoro elementare scambiato da una massa M di fluido ( dL• ) si
preferisce introdurre il lavoro specifico, scambiato per unità di massa di fluido. Nel seguito il
lavoro specifico verrà indicato con il simbolo dL e sarà espresso nel sistema internazionale in
J/kg ovvero kJ/kg. In conclusione si potrà scrivere:
J
dL•
dL =
= p ' dv
kg
M
(3.10)
Nell’ipotesi di conoscere e di poter considerare uniforme la pressione esterna p', la (3.10)
fornisce una semplice espressione del lavoro elementare scambiato tra sistema ed esterno.
Tuttavia risulta difficile utilizzare in pratica la relazione (3.10) perché la pressione esterna p'
non è in genere nota, mentre molto più conveniente sarebbe poter esprimere lo scambio di
lavoro elementare mediante le forze interne al sistema, introducendo la pressione p esercitata
dal fluido sulla superficie mobile dalla parte interna. In tal modo, sarebbe possibile esprimere
30
gli scambi energetici tra sistema ed esterno mediante i parametri caratteristici del sistema e
non quelli dell’esterno che, in generale, sono di difficile determinazione e comunque di scarso
interesse per la trasformazione eseguita dal sistema stesso.
Per poter esprimere lo scambio di lavoro elementare coinvolgendo le forze interne, occorre
fare altre due ipotesi. Con la prima si suppone la pressione interna p anch’essa uniforme nelle
vicinanze della superficie di confine mobile e, con la seconda, si suppone che, durante lo
spostamento, la pressione interna si mantenga, istante per istante, uguale a quella esterna e
cioè: p = p'. Se sono verificate queste ulteriori due ipotesi, lo scambio di lavoro elementare si
può esprimere semplicemente:
dL = pdv = p' dv
(3.10)
Se infine si vuole valutare la pressione interna p in vicinanza della superficie mobile,
misurando con opportuni sensori manometrici un unico valore di pressione, rappresentativo
per tutta la massa di fluido contenuta nel sistema, occorre ipotizzare che la pressione interna
si mantenga uniforme non solo in prossimità della superficie mobile ma anche in tutto il
sistema.
In conclusione, per la validità della (3.10) occorre ipotizzare che la pressione interna del
fluido sia uniforme ovunque nel sistema e, istante per istante durante la trasformazione, si
mantenga uguale a quella esterna, anch’essa supposta uniforme. Il problema consiste ora
nell’accertare quando e in che misura le precedenti ipotesi risultano verificate nelle effettive
trasformazioni eseguite dai fluidi.
Piccolo peso
gas
(a)
(b)
(c)
(d)
Fig. 3.6 Schema di una trasformazione con scambio di lavoro con l’esterno
eseguita da un sistema gassoso in condizioni prossime a quelle di quasi equilibrio
Per approfondire la questione conviene riferirsi allo schema di Fig. 3.6. In essa, è
rappresentato un sistema costituito da una massa di gas contenuta in un cilindro con stantuffo.
Inizialmente, la pressione interna del gas è uniforme, e la forza risultante sulla superficie
interna dello stantuffo è perfettamente bilanciata dalla risultante della pressione atmosferica
esterna, dalla forza peso dello stantuffo e da quella di numerosi piccoli pesi, appoggiati sulla
superficie esterna (Fig. 3.6 a). In queste condizioni si dice che il sistema è in equilibrio
meccanico perché tutte le forze agenti sono bilanciate. Supponiamo ora di togliere un piccolo
peso. Lo stantuffo risulterà momentaneamente sbilanciato e tenderà a salire verso l’alto,
contemporaneamente la pressione interna subirà una piccola diminuzione, a causa della
dilatazione subita dal gas. Il movimento dello stantuffo sarà inevitabilmente influenzato da
fenomeni di attrito nel fluido e tra stantuffo e cilindro, i quali daranno origine a piccoli
squilibri locali di pressione e quindi di densità ed anche di temperatura.
31
In ogni caso, dopo aver atteso un tempo sufficiente, lo stantuffo ed il sistema gassoso
raggiungerà una nuova posizione di equilibrio. Viene quindi tolto un altro piccolo peso, e si
attende di nuovo un tempo sufficiente perché una nuova condizione di equilibrio venga
raggiunta. In questo modo, se l’entità del peso è molto piccolo e se le forze di attrito che
agiscono nel sistema sono anch’esse molto piccole, può essere eseguita una trasformazione
con scambio di lavoro sull’esterno (positivo in questo caso) che differisce molto poco da una
successione di stati di equilibrio. Durante questa trasformazione cioè, gli squilibri di
pressione (e di tutti gli altri parametri di stato) che necessariamente si creano tra sistema ed
esterno e all’interno del sistema sono molto modesti.
Si immagini ora di far tendere a valori infinitesimi l’entità di ogni peso. In questo modo la
trasformazione tende ad una successione di stati di equilibrio che viene anche chiamata
trasformazione in quasi-equilibrio, o reversibile. Se, dopo aver tolto un peso infinitesimo
questo viene rimesso, il sistema e l’esterno si riporteranno in una condizione di equilibrio
uguale a quella precedente, e la trasformazione si dice reversibile. È evidente che la
reversibilità è una condizione limite ideale, impossibile da soddisfare completamente nelle
trasformazioni reali. Ad essa ci si può soltanto avvicinare, entro certi limiti. Una condizione
essenziale, per avvicinarsi alla reversibilità, è comunque quella di eseguire la trasformazione
molto lentamente, in modo da ridurre gli squilibri di pressione e le perturbazioni indotte nei
parametri di stato, i quali tuttavia devono variare perché si realizzi una trasformazione.
Per contro, appare evidente che, se da una situazione iniziale di equilibrio, vengono tolti
contemporaneamente un numero molto elevato di pesi, si avrà una forte perturbazione nel
sistema con squilibri rilevanti della pressione del gas in prossimità della superficie interna
dello stantuffo e con notevoli differenze, variabili nel tempo, tra le pressioni interne e quelle
esterne. Una siffatta trasformazione sarà dichiaratamente irreversibile.
In conclusione, per poter valutare lo scambio di lavoro con l’espressione:
dLrev = p dv
(3.11)
con p pressione interna uniforme del fluido, occorre l’ipotesi di reversibilità.
Ci si può anche domandare quale sia l’importanza pratica della (3.11) se questa espressione
può essere impiegata solo in condizioni di reversibilità, impossibili da realizzare nelle
trasformazioni reali. L’importanza è notevole per svariati motivi. Il primo è che la
reversibilità, anche se impossibile da ottenere nella realtà, costituisce comunque
un’importante condizione di riferimento con cui confrontare le trasformazioni reali e quindi
irreversibili. Il secondo motivo, come si vedrà meglio in seguito, consiste nel fatto che alcune
relazioni termodinamiche fondamentali possono essere esplicitate in forma semplice, grazie
all’ipotesi della reversibilità. In tal modo è possibile calcolare con altrettanta semplicità le
variazioni delle funzioni di stato. Queste ultime, infatti, godono della proprietà che il loro
valore dipende solo dagli stati termodinamici e non dal tipo di trasformazione che si percorre
per portarsi da uno stato all’altro, né dal modo (reversibile o irreversibile) con cui tale
trasformazione viene realizzata.
Lo scambio di lavoro in condizioni di reversibilità può essere rappresentato con evidenza nel
piano termodinamico che riporta la pressione (assoluta) in ordinata ed il volume specifico in
ascissa. In questo piano, chiamato anche piano di Clapeyron, il lavoro elementare scambiato
in condizioni di reversibilità è rappresentato dall’area sottesa dal tratto elementare di
trasformazione. In particolare si ha lavoro positivo, nullo o negativo secondo il verificarsi
delle seguenti condizioni:
32
dv > 0 (dilatazione) → dL > 0 ;
→ dL = 0 ;
dv = 0 (isocora)
dv < 0 (contrazione) → dL < 0 ;
p
(3.12)
1≡ 2
2
1
1
L1, 2 > 0
dL
2
+
(a)
(b)
(c)
v
Fig. 3.7 Rappresentazione grafica dello scambio di lavoro nel piano p-v.
Trasformazione reversibile aperta (a); trasformazione reversibile chiusa (ciclo) (b);
trasformazione irreversibile (c)
Per una trasformazione reversibile aperta, che porta il sistema da uno stato 1 ad un altro stato
2, lo scambio di lavoro è espresso dall’integrale :
2
L1, 2 = ∫ p dv
1
(3.13)
ed è rappresentato dall’area sottesa da tutta la trasformazione che collega lo stato iniziale a
quello finale. La curva od il percorso, che collega i punti 1 e 2 nel diagramma, rappresenta gli
stati di equilibrio attraverso cui passa il sistema durante la trasformazione reversibile. Si vede
immediatamente che il lavoro scambiato dipende dalla trasformazione, perché l’area sottesa
dalla curva dipende ovviamente dal tipo di curva. Per questo motivo si scrive il pedice 1,2 che
vuole evidenziare appunto la dipendenza dello scambio di lavoro dalla particolare
trasformazione che porta il sistema dallo stato 1 a 2. Si dice, sinteticamente, che lo scambio di
lavoro non è una funzione di stato, perché il suo ammontare, calcolato tra due stati generici,
dipende dal percorso e quindi dalla trasformazione che viene seguita per collegare i due stati.
Per evidenziare il fatto che il lavoro non è una funzione di stato e quindi il suo differenziale
non è esatto, in alcuni testi lo scambio elementare di lavoro viene espresso con il simbolo δL
anziché dL . Tuttavia nel seguito, per semplicità, si continuerà ad indicare uno scambio
elementare di lavoro con il simbolo dL , pur tenendo sempre ben presente che lo scambio di
lavoro non è una funzione di stato.
Nel caso di una trasformazione reversibile chiusa o ciclica in cui cioè lo stato iniziale
coincide con quello finale, si può notare facilmente che l’area racchiusa dal ciclo rappresenta
lo scambio di lavoro netto tra sistema ed esterno. Questo è positivo se il ciclo è percorso in
senso orario, mentre è negativo se è percorso in senso antiorario.
33
Infine si può osservare che, se la trasformazione non è reversibile, non è possibile
rappresentarla con una linea continua in alcun piano termodinamico, perché i parametri di
stato non sono uniformi e subiscono variazioni discontinue e, in genere, sconosciute durante
la trasformazione. Convenzionalmente, una trasformazione irreversibile la si indica con una
linea irregolare o tratteggiata. In ogni caso, anche se rappresentata da una tratteggiata, l’area
sottesa da una trasformazione irreversibile nel piano p-v non rappresenta in alcun modo il
lavoro scambiato dal sistema.
Esempio
Del gas è contenuto in un cilindro con stantuffo privo di attrito. L’area della superficie dello stantuffo è A=0.03
m2 . La pressione del gas all’interno del cilindro è tale da equilibrare la pressione atmosferica pa=100 k Pa ed il
peso dello stantuffo mobile P=1.5 kN.
Del calore viene somministrato al sistema e, come risultato, lo stantuffo subisce un innalzamento s=0.3 m.
Assumendo il gas come sistema, valutare il lavoro scambiato con l’esterno. Valutare anche il lavoro scambiato
se nel sistema si include lo stantuffo.
p a = 100 kPa
s = 0.3 m
gas
gas
In questo esempio, sono note le forze esterne (pressione atmosferica e forza peso dello stantuffo) che agiscono
sul sistema e che, durante la trasformazione si mantengono costanti ed uniformi. È quindi possibile valutare lo
scambio di lavoro mediante la relazione:
r r
L1•, 2 = −∑ Fe ⋅ s ;
Nel caso in cui viene assunto il gas come sistema si ha:
∑F
e
e quindi:
= 100 kPa 0.03 m2 + 1.5 kN=4.5 kN
L1•, 2 = −∑ Fe ⋅ s ⋅ cos180 = - 4.5 kN · 0.3 m · (-1) = 1.35 kJ
Nel caso in cui venga incluso nel sistema anche lo stantuffo si ha:
∑F
e
= 100 kPa · 0.03 m2 = 3.0 kN
e quindi:
34
L1•, 2 = −∑ Fe ⋅ s ⋅ cos180 = - 3.0 kN · 0.3 m · (-1) = 0.9 kJ
Si noti che, per la soluzione di questo problema, la conoscenza delle forze esterne supposte uniformi e costanti
non ha richiesto particolari ipotesi di reversibilità per la trasformazione.
Esempio
Una massa M=0.6 kg di gas è contenuta in un cilindro con stantuffo privo di attrito. L’area della superficie dello
stantuffo è A=0.03 m2 . Viene fornito calore al sistema, in quantità e con modalità opportune, in modo da
ottenere una dilatazione a pressione costante del gas. Lo stantuffo viene sopraelevato di 0.3 m e, durante la
trasformazione, la pressione costante del gas all’interno del cilindro è pari a 1500 kPa. Valutare il lavoro
scambiato assumendo la massa M di gas come sistema.
s = 0.3 m
p
gas
gas
In questo esempio, per valutare il lavoro scambiato dal sistema, occorre supporre che la pressione interna si
mantenga uniforme in tutta la massa di gas durante la trasformazione e che la forza risultante esercitata sulla
faccia interna dello stantuffo si mantenga uguale, istante per istante, a quella esercitata sulla stessa superficie
dalle forze esterne.
In definitiva, occorre assumere la trasformazione reversibile. Poiché nell’esempio si dice che la pressione si
mantiene costante, la trasformazione eseguita dal sistema diventa una isobara reversibile. Nel piano p-v tale
trasformazione è rappresentata da una segmento parallelo all’asse delle ascisse ed il lavoro specifico scambiato
dall’area di un rettangolo.
p
1
2
v
Si ha:
2
L1•, 2 = M ⋅ ∫ p dv = M ⋅ p ⋅ (v 2 − v1 ) = p ⋅ (V2 − V1 );
1
L1•, 2 = p ⋅ (V2 − V1 ) = p ⋅ A ⋅ s = 1500 kPa ⋅ 0.03 m 2 ⋅ 0.3 m = 13.5 kJ
35
Il lavoro specifico, per unità di massa vale:
L1, 2 =
L1•, 2
M
=
13.5 kJ
kJ
= 22.5
0.6 kg
kg
Esempio
Un gas contenuto in un cilindro con stantuffo è sottoposto ad un processo di espansione per il quale la relazione
tra pressione e volume segue l’equazione della politropica p v = cos t
k
La pressione iniziale è p1 = 3 bar ; il volume iniziale è V1 = 0.1 m 3 mentre quello finale è V2 = 0.25 m 3 .
La massa di gas contenuta nel cilindro è M = 0.25 kg . Determinare il lavoro scambiato durante il processo di
espansione nel caso in cui l’esponente n vale: k=1.5 (a); k=1.0 (b); k=0 (c).
p
bar
1
3
2
1
0.4
0.8
2 (c)
k=0
2 (b)
k=1.0
2 (a)
k=1.5
v m3/kg
In questo esempio, non viene esplicitamente citata l’ipotesi di reversibilità. Tuttavia, si dice che il sistema (gas)
segue una trasformazione governata da una equazione analitica e quindi reversibile per definizione e
rappresentabile nel piano p-v come mostrato in figura.
Per la valutazione del lavoro scambiato si può quindi utilizzare la relazione:
2
L1, 2 = ∫ pdv
1
dove il legame tra la pressione ed il volume specifico è fornito dall’equazione della politropica p =
cos t
;
vk
L’equazione della politropica comporta che tra due stati generici 1 e 2 valga l’uguaglianza:
p1v1k = p 2 v 2k = cos t ;
L’integrazione della politropica, nel caso in cui k ≠1 fornisce:
L1, 2
2
(
)
2
⎡ v − k +1 ⎤
v 2− k +1 − v1− k +1
cos t
−k
=∫
=
⋅
=
⋅
=
t
⋅
dv
t
v
dv
t
cos
cos
cos
;
⎢
⎥
∫1
1 vk
1− k
⎣ − k + 1⎦ 1
2
L1, 2 =
p 2 v 2k ⋅ v 12− k − p1v1k ⋅ v11− k ( p 2 v 2 − p1v1 )
=
1− k
1− k
36
Se k=1, l’integrale diventa:
L1, 2 = ∫
2
1
v
v
v
cos t
= cos t ⋅ ln 2 = p1v1 ln 2 = p 2 v 2 ln 2
v1
v1
v1
v
Con riferimento ai dati forniti dal problema si ottiene:
v1 =
V1
0.1 m 3
=
= 0.4 m 3 kg −1
M 0.25 kg
v2 =
V2
0.2 m 3
=
= 0.8 m 3 kg −1
M 0.25 kg
Dall’equazione della politropica si può ricavare la pressione p 2 :
k
⎛v ⎞
⎛ 0. 4 ⎞
p 2 = p1 ⎜⎜ 1 ⎟⎟ = 3 bar ⋅ ⎜
⎟
v
⎝ 0.8 ⎠
⎝ 2⎠
Per:
k=1.5
si ha
k=1 (isoterma)
k=0 (isobara)
k
p 2 = 1.061 bar ;
p 2 = 1.500 bar ;
p 2 = 3.000 bar ;
p 2 v 2 − p1v1
= 70.2 kJ kg −1 ; L1•, 2 = M ⋅ L1, 2 = 17.56 kJ ;
1− n
v
= p1v1 ⋅ ln 2 = 83.18 kJ kg −1 ; L1•, 2 = M ⋅ L1, 2 = 20.79 kJ ;
v1
Caso (a) k=1.5
L1, 2 =
Caso (b) k=1
L1, 2
Caso (c) k=0
L1, 2 = p(v 2 − v1 ) = 120 kJ kg −1 ;
L1•, 2 = M ⋅ L1, 2 = 30.00 kJ ;
Il lavoro scambiato dal sistema è positivo in tutti i casi ed è crescente al diminuire dell’esponente k da 1.5 a 0.
Il significato di area sottesa da una trasformazione reversibile nel piano p-v conferma qualitativamente i risultati
ottenuti per via analitica.
3.3. Scambio di calore
Lo scambio di calore può essere definito semplicemente come l’interazione tra
sistema ed esterno che si manifesta in virtù di una differenza di temperatura. Come lo
scambio di lavoro, anche lo scambio di calore è il risultato di una interazione tra sistema ed
esterno attraverso la superficie di confine. Il calore, come il lavoro non è una proprietà del
sistema, né si può parlare di calore “contenuto” in un sistema.
Se non esiste alcuna differenza di temperatura tra sistema ed esterno non vi può essere alcuno
scambio di calore. Non vi è alcuno scambio di calore anche nel caso in cui la superficie di
confine è adiabatica. Una superficie adiabatica è una superficie (anche ideale, priva cioè di
spessore) che impedisce il passaggio del calore, rendendo nulli i gradienti di temperatura
locali.
Storicamente, la definizione dello scambio di calore appare più travagliata di quella del lavoro
e risente di grandi cautele. Ciò è dovuto alla difficoltà oggettiva di definire un tipo di
interazione energetica in transito, quella termica, difficile da osservare direttamente. Fino alla
metà del 19mo secolo si credeva, erroneamente, che il calore fosse una sostanza materiale
chiamata “calorico“ le cui proprietà furono così descritte da Dalton nel 1808:
37
“…un fluido elastico, molto difficile da osservare, le cui particelle si respingono le une con le
altre ma che sono attratte da tutti gli altri corpi”. Successivamente Joule, nel 1840, condusse
degli esperimenti che dimostrarono che poteva ottenersi un effetto equivalente di
riscaldamento mediante uno scambio di lavoro.
Il celebre esperimento di Joule è schematizzato in Fig. 3.8 (a) e consiste in un mulinello che,
ruota all’interno di un recipiente contenente acqua. Il mulinello ed il recipiente sono
accuratamente coibentati ed hanno, ad esempio, la stessa temperatura ambiente. L’esperienza
consiste nel dissipare in calore, per effetto dell’attrito viscoso del fluido, il lavoro
corrispondente alla caduta di una massa m per una altezza h nel campo gravitazionale.
Indicando con w la velocità acquisita dalla massa m e trascurando eventuali altre dissipazioni
per attrito nei dispositivi di trasmissione meccanica e l’energia cinetica impressa all’acqua
dalle palette del mulinello, il lavoro L• ceduto dall’esterno al sistema acqua + mulinello
risulta:
1
L• = −(mg ⋅ h − m w 2 )
(3.14)
2
Calorimetro a ghiaccio fondente
mg
mulinello
H2O in equilibrio
a 0 = °C
ghiaccio fondente
h
+
motore
H2O
isolante
-
tubo capillare con mercurio
(a)
(b)
Fig. 3.8 Esperimento per dimostrare l’equivalenza tra scambio di lavoro e di calore nella
versione originale di Joule (a) ed in quella più moderna di Rowland (b).
La dissipazione del lavoro in attrito viscoso determina un aumento della temperatura del
sistema) costituito da acqua + mulinello e supposto in questa fase adiabatico. Si immagini ora
di mettere in comunicazione diatermica con l’esterno il sistema acqua + mulinello, e di
scambiare una quantità di calore Q • negativa, fino a farlo tornare alla stessa temperatura e
pressione iniziale. In questo modo, il sistema compirebbe un ciclo perché, dopo essere stato
oggetto di scambi di lavoro e di calore con l’esterno, ritorna ad assumere gli stessi parametri
di stato che aveva all’inizio. In queste condizioni, le misure di L• e di Q • mostrano che tra il
lavoro ed il calore vi è una equivalenza (legge di equivalenza di Mayer):
L• = J • Q •
(3.15)
38
In una successiva versione più moderna di Rowland, il mulinello è fatto ruotare, con più
regolarità, da un motore elettrico, come mostrato in Fig. 3.8 (b). In questo caso è possibile
valutare lo scambio di lavoro, mediante la misura del flusso di corrente assorbito dal motore
elettrico (sempre tenendo conto di eventuali disperdimenti meccanici ed elettrici). In Fig. 3.8
(b) il calorimetro è del tipo a ghiaccio fondente (Bunsen). Parte del ghiaccio che aderisce
all’esterno del contenitore del mulinello si scioglie per effetto del calore generato per attrito
viscoso. Poiché alla temperatura di 0 °C il volume specifico del ghiaccio è maggiore di quello
m3
m3
dell’acqua in fase liquida ( v ghiaccio = 1.087 ⋅ 10 −3
; vliquido = 1.002 ⋅ 10 −3
; ) il quantitativo
kg
kg
di ghiaccio disciolto può essere determinato misurando lo spostamento del mercurio
contenuto in un tubo capillare, come mostrato in Fig. 3.8 (b). Con il calorimetro a ghiaccio
fondente, il sistema acqua + mulinello si mantiene, durante l’esperienza, alla stessa
temperatura (0 °C) e pressione. Pertanto, dopo la discesa della massa m, si può dire che il
sistema compie un ciclo, perché ritorna nelle stesse condizioni iniziali ed il calore Q • può
essere valutato misurando la quantità di ghiaccio che si scioglie.
Le misure originali effettuate da Joule portarono al seguente valore della costante di
equivalenza J ∗ :
L•
ft ⋅ lbf
J
= 4185.9
J = • = 778
BTU
kcal
Q
∗
(3.16a)
Le misure attuali più accurate forniscono un valore della costante di equivalenza metrologica
J ∗ molto vicino a quello misurato da Joule:
J∗ =
L•
J
kJ
= 4186.8
= 4.1868
•
kcal
kcal
Q
(3.16b)
La chilocaloria (kcal) è la vecchia unità utilizzata per misurare il calore scambiato. Più
precisamente la kcal è definita come il calore necessario per far aumentare di 1 °C , da 14.5
°C a 15.5 °C, la temperatura di 1 kg di acqua distillata, alla pressione atmosferica normale
pari a 760 mmHg. Per far aumentare la temperatura di 1°C alla massa di 0.1 kg di acqua
distillata sarebbe ad esempio necessario dissipare in calore tutto il lavoro corrispondente alla
caduta di una massa di circa 4.3 kg, per una quota h=10 m. Si noti che l’equivalenza espressa
dalla (3.15) tra lavoro e calore è di tipo puramente metrologico e non implica assolutamente
una completa equivalenza operativa. Infatti, mentre è possibile trasformare completamente in
calore del lavoro meccanico o elettrico, come l’esperienza di Joule dimostra, non è possibile
ottenere l’effetto opposto e cioè trasformare completamente in lavoro meccanico o elettrico
del calore disponibile. Questa importante dissimmetria operativa tra scambi di lavoro e di
calore è regolata dal secondo principio della termodinamica, di cui si parlerà in seguito.
Gli studi di Joule e la legge di equivalenza di Mayer costituirono la base per la formulazione
del primo principio della termodinamica a cui la definizione di scambio di calore è
strettamente connessa. Di fatto, non è semplice definire correttamente ed esaurientemente il
calore come un concetto base, prima di introdurre il primo ed il secondo principio della
termodinamica. E questo è il motivo che ha indotto alcuni autori (Caratheodory) a definire lo
scambio di calore come una quantità derivata, deducendolo dal primo principio, e cioè come
la somma del lavoro scambiato più la variazione di energia interna del sistema.
39
Secondo altri (Hatsopoulos e Keenan) il calore viene definito come “ una interazione il cui
unico effetto su tutto ciò che è esterno al sistema non può essere ricondotto al sollevamento di
un peso “. Ciò equivale a dire, in pratica, che il calore è ogni altra interazione tra sistema ed
esterno che non sia lavoro.
Poincaré definisce il calore come “l’effetto di un sistema su di un altro in virtù di una
disuguaglianza di temperatura”. Quest’ultima è una definizioni molto seguita nella
termodinamica classica ed è in pratica quella adottata all’inizio di questo paragrafo.
Uno scambio di calore in una generica trasformazione verrà indicato con il simbolo Q1•, 2 . Le
unità di misura, nel sistema internazionale, sono J o kJ mentre il pedice 1,2 sottolinea il fatto
che il calore scambiato, non essendo una funzione di stato, dipende dalla trasformazione che
porta il sistema dallo stato iniziale a quello finale. Il calore scambiato per unità di massa,
verrà indicato con il simbolo Q1, 2 è sarà espresso in J ⋅ kg −1 od anche in kJ ⋅ kg −1 . Come già
visto per il lavoro, uno scambio elementare di calore andrebbe scritto con il simbolo δQ per
evidenziare il fatto che Q non è una funzione di stato e quindi il suo differenziale non è esatto.
Tuttavia nel seguito, per semplicità, si indicherà uno scambio elementare con il simbolo più
comune dQ , pur tenendo sempre ben presente che il calore non è una funzione di stato.
T'
r
q
T
T'> T
esterno
sistema
r
n
A
superficie di confine
Fig. 3.9 Schema per la valutazione dello scambio di calore
Durante una trasformazione il calore elementare scambiato tra sistema ed esterno può essere
valutato con la seguente espressione:
dQ • = −
r r
∑ (q ⋅ n dA) dt
(3.17)
confine
sistema
r
dove, con riferimento alla Fig.3.9, q è il vettore flusso termico che agisce sulla superficie di
r
confine, dA è l’area elementare della superficie, n è il versore della normale alla superficie
stessa orientato verso l’esterno, dt è il tempo elementare in cui agisce il flusso. La sommatoria
della relazione (3.17) è naturalmente estesa a tutte le superfici di confine non adiabatiche,
interessate ad una differenza di temperatura e, quindi, ad uno scambio termico.
Il segno negativo della (3.17) è dovuto al fatto che, in accordo con le convenzioni sui segni
adottate dalla termodinamica, se il calore entra nel sistema è positivo mentre se esce dal
40
sistema e si riversa sull’esterno è negativo. Il calore scambiato in una trasformazione finita è
l’integrale, esteso alla trasformazione, dello scambio di calore elementare:
2
Q1•, 2 = ∫ dQ •
(3.17)
1
Se la differenza di temperatura in prossimità del confine tra sistema ed esterno è molto
piccola ed il calore è scambiato molto lentamente, la trasformazione passa attraverso stati che
differiscono molto poco da stati di equilibrio. Anche per lo scambio di calore si può
ipotizzare, come caso limite, un processo di reversibilità. Si consideri, ad esempio, la
situazione di Fig. 3.10 . Del gas (sistema), è contenuto in un cilindro con stantuffo, che a sua
volta è contenuto in un termostato (esterno). Quest’ultimo è un apparecchio in grado di
mantenere il sistema ad una data temperatura controllandone gli scambi termici, ovvero in
grado di realizzare scambi termici con il sistema facendone assumere valori di temperatura
desiderati.
gas
termostato
T + 2∆T
T + ∆T
T
Fig. 3.10 Schema di una trasformazione con scambio di calore in condizioni di quasi equilibrio
p
1
2
v
Fig. 3.11 Trasformazione reversibile per un gas con aumento di temperatura
(scambio di calore positivo).
Inizialmente il sistema si trova in equilibrio termico alla temperatura T e cioè la distribuzione
di temperatura nel sistema è uniforme ed il suo valore è uguale a quello del termostato esterno
lungo tutta la superficie di confine. Si supponga di voler realizzare uno scambio di calore
41
positivo, mediante una trasformazione che si avvicini il più possibile alla condizione di
reversibilità. A partire dalla condizione iniziale, il termostato viene settato a valori crescenti
di temperatura con incrementi ∆T molto piccoli, aspettando, di volta in volta, un tempo
sufficiente per consentire al sistema di assestarsi su nuove condizioni di equilibrio termico.
Questa trasformazione differisce molto poco da una successione di stati di equilibrio.
Immaginando di far tendere l’incremento di temperatura a valori infinitesimi, si può pensare
di raggiungere, come caso limite, una condizione di reversibilità. In realtà, perché la
trasformazione si possa considerare reversibile, occorre che siano assenti anche tutte le altre
eventuali cause di irreversibilità, quali attriti viscosi nel fluido, attriti tra stantuffo e cilindro
(nell’esempio di Fig. 3.10 libero di muoversi), i quali provocherebbero squilibri di pressione
locale nel fluido e quindi anche di densità e di temperatura.
Se al contrario, il termostato venisse impostato su di un valore molto più grande della
temperatura iniziale, lo scambio di calore positivo si realizzerebbe con forti gradienti di
temperatura tra esterno e sistema e all’interno del sistema e la trasformazione sarebbe
marcatamente irreversibile. In conclusione, perché una trasformazione possa, come caso
limite, considerarsi reversibile occorre che siano assenti tutte le possibili cause di
irreversibilità che, come si è visto, possono essere ricondotte a: squilibri di pressione,
fenomeni di attrito nel sistema e tra sistema ed esterno, squilibri di temperatura nel sistema e
tra sistema ed esterno. In Fig. 3.11 è rappresentata una trasformazione in cui un sistema
gassoso subisce un aumento di temperatura e di volume specifico a pressione costante.
Si tratta di una trasformazione reversibile (linea continua) con scambio di calore e di lavoro
positivo, simile a quella descritta nell’esempio di Fig. 3.10, durante la quale si può ipotizzare
che la pressione si mantenga costante. La disciplina termodinamica si occupa dell’entità e
dell’interazione tra scambi di calore e di lavoro ma, nello studio delle trasformazioni
termodinamiche, non vi è molto interesse nel valutare la velocità con cui si attuano tali
scambi. Per contro, nella progettazione ingegneristica degli organi preposti agli scambi di
calore e di lavoro, risulta di grande interesse la velocità con cui tali scambi si riescono ad
attuare. La disciplina che studia in dettaglio le modalità e la velocità con cui si realizza uno
scambio di calore si chiama trasmissione del calore e non verrà esaminata in questa sede. Qui
è sufficiente elencare, molto sinteticamente, le principali modalità con cui il calore si propaga
e si trasferisce da un corpo ad un altro.
Le modalità sono essenzialmente tre: la conduzione, la convezione e l’irraggiamento.
Nella conduzione termica il calore si propaga in un mezzo o tra due mezzi posti a contatto,
per effetto di un gradiente di temperatura, quando non vi è un movimento macroscopico delle
particelle che compongono il mezzo stesso. La conduzione è il meccanismo di scambio
termico che interessa i solidi od anche strati di fluido, nei quali però non vi siano movimenti
convettivi.
La convezione è invece la modalità di scambio termico che interessa i fluidi, nei quali si
hanno tipicamente movimenti macroscopici delle particelle, chiamati moti convettivi. Se il
movimento è causato artificialmente dall’esterno (con pompe, circolatori, ventilatori etc.), la
convezione si dice forzata. Se invece il movimento è dovuto ai gradienti di temperatura
presenti nel fluido che generano a loro volta gradienti di densità e quindi spinte gravitazionali
di tipo archimedeo, la convezione si dice naturale.
Infine l’irraggiamento è la modalità di scambio termico che non richiede l’interposizione di
alcun mezzo. In prossimità di una parete solida che si trova ad una certa temperatura, parte
dell’energia interna del corpo si trasforma in energia elettromagnetica, che si propaga, nel
vuoto, alla velocità della luce. Quando questa energia elettromagnetica, avente una
determinata distribuzione spettrale, propagandosi nel vuoto od in un mezzo trasparente,
42
colpisce la superficie di un altro corpo, si verifica il processo opposto, e cioè, parte di questa
energia viene assorbita in prossimità della superficie e si converte in energia interna.
In Fig. 3.12 è rappresentato un esempio di scambio termico che coinvolge le tre modalità
esaminate in precedenza. Vi sono due pareti solide con interposta dell’aria. Le temperature
delle pareti sono diverse, come indicato in figura, e si instaura un flusso termico da sinistra
verso destra governato dalla conduzione, nelle pareti solide, dalla convezione, all’interfaccia
tra pareti solide e fluido, e dall’irraggiamento che si instaura tra le superfici delle pareti solide
affacciate.
Irraggiamento
(vuoto o mezzo trasparente)
T1
aria
T1 >T2 >T3 >T4
T2
Conduzione
(parete solida)
T3
Convezione
(fluido)
T4
Fig. 3.12 Schema riassuntivo per le tre modalità di scambio termico: la conduzione,
la convezione e l’irraggiamento.
43
------------------------------------------------------------------------------------------------
CAPITOLO
4
IL PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA
-----------------------------------------------------------------------------------------------In questo capitolo viene presentato il primo principio della Termodinamica detto anche principio di
conservazione dell'energia. Attraverso un accurato studio dei fenomeni sperimentali, è possibile proporre una
descrizione del mondo fisico basata su alcuni concetti e postulati o leggi, che vengono accettati come fatti
scientifici. Uno dei concetti fondamentali è l'energia. La legge fisica che sta a fondamento di tale concetto è che
l'energia non può essere creata, né distrutta. Il "teorema" di conservazione dell'energia meccanica, formulato da
Galileo-Newton viene generalizzato per costituire un principio per il quale, introducendo opportuni termini
energetici caratteristici del sistema e termini “di scambio”, rappresentanti le interazioni energetiche tra il sistema
e l'esterno, è possibile affermare la costanza della somma algebrica dei termini medesimi.
4.1 Il primo principio della Termodinamica
Il primo principio della Termodinamica verrà formulato facendo riferimento ad un
processo ciclico reale che si realizza in un sistema costituito da una successione di organi
collegati in serie, in ciascuno dei quali avviene uno scambio energetico con l’esterno.
La catena dei componenti costituenti il sistema è chiusa nel senso che l'ultimo è connesso con
il primo ed il fluido che percorre l'intero sistema in regime permanente cinematico di massa e
termodinamico, descrive una trasformazione ciclica. Nello schema di Fig. 4.1 il fluido
attraversa quattro organi in due dei quali si realizza uno scambio di lavoro con l’esterno
mentre negli altri due si ha uno scambio di calore. E’ stato scelto come esempio questo tipo di
processo perché, come si vedrà nel seguito, questo è lo schema semplificato di un tipico
impianto motore.
Il sistema oggetto del nostro studio è costituito da una determinata massa di fluido
(massa di controllo) che, attraversando i diversi componenti, subisce gli scambi di calore e
lavoro indicati. Le parti dell’ambiente circostante che interagiscono con il sistema in esame
costituiscono l’esterno (al sistema). Il confine tra esterno e sistema è supposto impermeabile
alla materia ed il sistema in tali condizioni è detto chiuso, poiché non si ha rinnovo di massa.
Poniamo note tutte le quantità che concorrono a precisare lo stato attuale del sistema
ed ammettiamo che in ogni sezione le grandezze siano uniformi e costanti nel tempo.
In tali condizioni si constata che:
- il kg di fluido (massa di controllo) dopo aver attraversato tutti gli organi, ritorna nello stesso
stato che aveva all'inizio e si dice che ha eseguito una trasformazione “ciclica”;
- il rapporto tra la somma algebrica degli scambi di calore ( ∑ Q • ) e la somma algebrica
degli scambi di lavoro ( ∑ L • ) è uguale ad una costante positiva:
∑Q •
∑L •
=A
(4.1)
44
- il risultato è valido comunque si varino l'entità degli scambi energetici ed il processo
termodinamico, purché questo sia ciclico e descritto da un sistema chiuso.
QB
.
B
A
C
D
LA
Lc
QD
Fig. 4.1. Schema di un sistema termodinamico chiuso che effettua un processo ciclico.
La relazione ottenuta costituisce in sintesi il I Principio della Termodinamica secondo
l’enunciato di Poincaré (1908):
“quando un sistema chiuso descrive un processo ciclico il lavoro netto è
proporzionale al calore netto scambiato” .
E’ opportuno notare che per la validità dell'equazione precedente è assolutamente
necessario che il processo sia ciclico e dunque che tutte le quantità di stato riprendano, dopo
aver percorso il ciclo, il loro valore originale; è inoltre necessario che il sistema sia chiuso
(cioè senza rinnovo di massa).
Si usa dire che del calore si è trasformato in lavoro e viceversa, ma questo va al di là
dell'osservazione sperimentale: ciò che si constata è la proporzionalità tra i due scambi
energetici netti.
La costante positiva A dipende soltanto dalle unità di misura. Famose esperienze di
laboratorio condotte da James Prescott Joule tra il 1840 ed il 1849 (Cfr. Fig. 3.8), hanno
consentito di precisare il cosiddetto equivalente meccanico del calore J:
J=
kg forza ⋅ m
1
1 kWh
Joule
= 4186.8
= 426.6
=
A
kcal
kcal
860 kcal
Nel sistema internazionale, esprimendo nelle stesse unità gli scambi di calore e lavoro, la
costante A diventa adimensionale con valore unitario. La (4.1) costituisce una legge
sperimentale del tutto generale, applicabile a qualunque sorta di processo che si sviluppa nelle
condizioni sopra precisate. Con riferimento alla Fig. 4.1, l’entità degli scambi energetici ed il
tipo e numero degli organi che realizzano questi scambi è arbitrario.
Numerosi altri enunciati del primo principio sono stati formulati in letteratura. Una
importante conseguenza del primo principio, indipendentemente dalla formulazione, è
rappresentata dall’introduzione del concetto di energia, fondamentale per la termodinamica.
45
4.2. Interpretazione analitica delle risultanze sperimentali
Gli scambi di calore e di lavoro si effettuano in generale con continuità in alcune fasi
del ciclo. Sostituendo allora al simbolo di sommatoria quello più appropriato di integrale
•
esteso al ciclo, ∫ dQ = ∑ Q •
e
•
•
∫ dL = ∑ L , la (4.1) può scriversi:
∫ (dQ
•
− dL• ) = 0
(4.2)
in cui si è posta uguale ad 1 la costante A relativa al fattore di conguaglio tra le diverse unità.
In questa forma il risultato ottenuto ci permette di postulare l'esistenza di una funzione
potenziale (nel seguito indicata con E) il cui differenziale, dato dalla quantità integranda nella
(4.2), è esatto: la funzione che può essere ricavata è una funzione di stato.
La prima legge della Termodinamica implica dunque l'esistenza di una grandezza che
chiameremo energia e che è una proprietà del sistema, poiché le sue variazioni dipendono
soltanto dagli stati estremi e non dalla trasformazione. Dalla (4.2), con riferimento all’unità si
massa, si perviene alla seguente espressione differenziale del primo principio:
dQ −dL = dE
(4.3)
Per una proprietà fondamentale delle funzioni di stato, se un sistema si porta in uno stato
definito la E acquista uno ed un solo valore. Non si può affermare l’implicazione inversa, e
cioè che, data la variazione ∆E tra due stati definiti, siano determinati gli scambi energetici e
le trasformazioni che hanno provocato tale variazione. Come prima conseguenza, in una
trasformazione aperta (non ciclica) di un sistema, gli scambi energetici sono legati tra loro
dalla variazione che la funzione di stato ora introdotta subisce tra gli stati estremi:
Q1, 2 − L1, 2 = ∆E = E 2 − E1
(4.4)
In altri termini è possibile esprimere le interazioni del sistema con l'esterno, concretizzate
attraverso i termini di scambio energetici, per mezzo della variazione di una opportuna
proprietà del sistema. Nella (4.4) con Q1, 2 e L1, 2 sono stati indicati, rispettivamente, il calore
ed il lavoro effettivamente scambiati con l’esterno durante la particolare trasformazione che
ha portato il sistema dallo stato 1 allo stato 2. Il pedice 1, 2 sottolinea che quel dato scambio di
calore Q1, 2 o di lavoro L1, 2 si è realizzato durante la particolare trasformazione aperta 1,2 ,
come ad esempio schematizzato in Fig. 4.2.
Q 1, 2
x
2
2
1
L1, 2
1
y
Fig. 4.2. Trasformazione aperta 1-2 di un sistema costituito da una definita massa.
46
Per interpretare fisicamente la grandezza E prima introdotta notiamo che:
- Q ed L sono scambi energetici e quindi, per omogeneità dimensionale, anche la funzione
E deve essere un termine energetico.
- Q ed L rappresentano i soli scambi di energia che il sistema può effettuare con l'esterno: la
loro somma algebrica esprime pertanto la variazione del contenuto energetico del sistema.
(Quando la trasformazione è chiusa o ciclica la variazione del contenuto energetico del
sistema è nulla.)
- dQ e dL non sono differenziali esatti; calore e lavoro sono energie in transito che,
attraversando il confine del sistema, diventano contenuto energetico del sistema o
dell'esterno.
- Il contenuto energetico E è stato introdotto in forma differenziale. Pertanto il suo valore
per un dato sistema, in un definito stato termodinamico, può determinarsi con riferimento
ad un valore arbitrario assegnato ad uno “stato di riferimento convenzionale”.
La (4.4) può essere considerata una formulazione alternativa del primo principio se si tiene
conto che E è una proprietà del sistema. Un caso particolare di notevole interesse è quello di
un sistema chiuso completamente isolato, in cui cioè sono assenti gli scambi di calore e di
lavoro. Per tale sistema:
∆E = 0
E = cost
(4.4’)
Quest’ultima equazione rappresenta un corollario del primo principio che è noto come legge
di conservazione dell’energia:
“l’energia di un sistema rimane costante se il sistema è isolato dall’esterno”.
Si noti che il contenuto energetico E è una grandezza estensiva e viene normalmente espresso
per unità di massa. Le (4.3) e (4.4) hanno validità del tutto generale e valgono quindi anche
per sistemi termodinamici non in equilibrio ovvero per trasformazioni non reversibili.
Dalla (4.3) può infine ottenersi un’espressione del primo principio valida in condizioni
tempovarianti. Derivando rispetto al tempo entrambi i membri si ha:
dQ dL dE
−
=
dτ dτ dτ
ovvero:
q − Pe =
dE
dτ
(4.3’)
in cui q e Pe rappresentano, rispettivamente, il valore attuale del calore trasmesso al sistema
per unità di tempo (flusso termico) ed il valore attuale del lavoro fatto sull’esterno, sempre per
unità di tempo (potenza meccanica trasferita).
4.3. Contenuto energetico di un sistema termodinamico
La funzione E ha dunque il significato di contenuto energetico ed è una grandezza
dipendente dalle quantità che caratterizzano completamente lo stato del sistema considerato.
Per un sistema ad n variabili, x1 , x2 , x3 ,..... xn , il suo differenziale, essendo esatto, vale:
⎛ ∂E
⎛ ∂E ⎞
⎟⎟dx1 + ⎜⎜
dE = ⎜⎜
⎝ ∂x 2
⎝ ∂x1 ⎠
⎛ ∂E
⎛ ∂E ⎞
⎞
⎟⎟dx3 ..... + ⎜⎜
⎟⎟dx 2 + ⎜⎜
⎠
⎝ ∂x n
⎝ ∂x 3 ⎠
⎞
⎟⎟dx n
⎠
(4.5)
47
Se si considerano particolari categorie di fenomeni, caratterizzabili da sole componenti
energetiche di tipo termodinamico, meccanico e chimico (con esclusione ad esempio di
fenomeni nucleari, elettromagnetici e di capillarità), i diversi contributi del contenuto
energetico complessivo del sistema possono esplicitarsi nella forma:
dE = dU t + dE p + dEc
(4.6)
essendo dU t la variazione di energia interna totale del sistema, dE p la variazione di energia
potenziale e dEc la variazione di energia cinetica. L'energia interna totale U t viene
denominata “interna” perché definibile indipendentemente da un riferimento spazio temporale
esterno al sistema. Nello sviluppo della U t è necessario considerare tutti i termini presenti,
che sono tanti quante sono le variabili indipendenti caratterizzanti lo stato “interno” del
sistema. In generale, tra questi termini è presente anche la componente chimica dell’energia
interna.
La relazione fondamentale del I Principio della termodinamica diventa:
dQ − dL = dU t + dE p + dEc
(4.7)
che, per un sistema con baricentro fermo, si riduce a:
dQ − dL = dU t
(4.8)
L’energia interna totale, in assenza di reazioni chimiche in atto, viene detta energia interna
termodinamica o semplicemente energia interna.
Nel seguito, salvo diversa precisazione, verranno considerati soltanto fluidi a due variabili
termodinamiche (liquidi ed aeriformi chimicamente definiti, liquido in equilibrio con il suo
vapore) indicando questa loro caratteristica con la denominazione di fluido termodinamico.
1. Per un sistema costituito da un fluido termodinamico con baricentro fermo, si può porre:
dQ − dL = dU
(4.9)
dQ − pdv = dU
(4.9’)
e per una trasformazione reversibile:
Si noti che lo scambio di calore che compare nella (4.9’) è da considerarsi reversibile come lo
scambio di lavoro. Di fatto, se ci fossero delle irreversibilità nello scambio di calore, per
effetto ad esempio di squilibri di temperatura, queste si ripercuoterebbero anche in
irreversibilità nello scambio di lavoro. Per rimarcare questo fatto, e per evitare confusioni
nell’uso della (4.9’), sarebbe più preciso scrivere:
dQrev − pdv = dU
(4.9’’)
Tuttavia, nello sviluppo delle relazioni termodinamiche, si preferisce quasi sempre
sottintendere il pedice rev per gli scambi di calore supposti reversibili. Occorre però fare
attenzione al fatto che nella (4.9’), l’ipotesi di reversibilità si estende anche allo scambio di
calore.
48
Per definire univocamente l’energia interna termodinamica può essere utilizzata una
qualunque coppia di parametri di stato tra di loro indipendenti. Ad esempio, possono essere
scelti temperatura e pressione ovvero volume specifico e pressione, ottenendosi le seguenti
espressioni differenziali:
⎛ ∂U ⎞
⎛ ∂U ⎞
⎟⎟ dp
dU = ⎜
(4.10’)
⎟ dT + ⎜⎜
⎝ ∂T ⎠ p
⎝ ∂p ⎠ T
⎛ ∂U
⎛ ∂U ⎞
dU = ⎜
⎟ dv + ⎜⎜
⎝ ∂v ⎠ p
⎝ ∂p
⎞
⎟⎟ dp
⎠v
(4.10’’)
Di norma si preferisce esprimere l’energia interna termodinamica in funzione di temperatura e
volume specifico:
⎛ ∂U ⎞
⎛ ∂U ⎞
dU = ⎜
⎟ dT + ⎜
⎟ dv
⎝ ∂T ⎠ v
⎝ ∂v ⎠ T
(4.10’’’)
Le derivate parziali che compaiono nella (4.10’’’) vengono determinate sperimentalmente.
Come vedremo in seguito, la prima, per un sistema di massa unitaria, viene chiamata calore
specifico a volume costante :
⎛ ∂U ⎞
(4.11)
cv = ⎜
⎟
⎝ ∂T ⎠ v
Sperimentalmente, il calore specifico a volume costante cv risulta sempre positivo per tutti i
materiali. L’altra derivata parziale è nulla per il cosiddetto sistema termodinamico“gas
⎛ ∂U ⎞
perfetto” : ⎜
⎟ = 0, cosicché, sempre per il gas perfetto, la (4.10’’’) si riduce a:
⎝ ∂v ⎠ T
dU = c v dT
(4.11’)
Dalla (4.11’) si deduce che, per un gas perfetto, l’energia interna dipende solo dalla
temperatura. Si noti che, in generale, il calore specifico c v non è una costante ma dipende
dalla temperatura e cioè:
c = cv (T )
Ne consegue che l’energia interna dei gas perfetti non è una funzione lineare della
temperatura.
Particolarizzando la (4.9’) per una trasformazione isocora reversibile si ha:
⎛ ∂U ⎞
⎛ ∂U ⎞
dQrev − pdv = dU = ⎜
⎟ dT + ⎜
⎟ dv
⎝ ∂T ⎠ v
⎝ ∂v ⎠ T
e cioè
⎛ ∂U ⎞
dQrev = ⎜
⎟ dT
⎝ ∂T ⎠ v
(4.11’’)
49
Dalla (4.11’’) e tenendo conto della (4.11) risulta che il calore specifico a volume costante
può essere espresso come:
⎛ dQ ⎞
(4.11’’’)
cv = ⎜ rev ⎟
⎝ dT ⎠ v =cos t
Il calore specifico cv può essere quindi determinato sperimentalmente, misurando il calore che
occorre scambiare a volume costante con un chilogrammo di fluido per ottenerne la
variazione di temperatura di 1 K (1°C). Tuttavia, l’espressione (4.11’’’) mette chiaramente in
luce che occorre realizzare, nell’esperienza, una isocora reversibile. La definizione (4.11)
risulta invece più generale, perché svincolata dalla ipotesi di reversibilità, coinvolgendo una
derivata parziale di una funzione di stato.
2. In presenza di reazioni chimiche, per descrivere lo stato del sistema si introduce, per ogni
reazione indipendente, una ulteriore variabile chimica. Lo stato termodinamico è
completamente determinato da 2 variabili termodinamiche e dalle concentrazioni attuali dei
singoli componenti presenti nel sistema durante lo sviluppo della reazione o delle reazioni
contemporanee. Il totale bilancio energetico interno si rappresenta dunque considerando, oltre
ai termini “termodinamici”, i termini “chimici” espressi in funzione delle derivate parziali
dell’energia interna totale rispetto alle singole concentrazioni.
Nel caso di una definita reazione è possibile considerare una sola variabile chimica, detta
grado di avanzamento della reazione, indicato con x. Si abbia la reazione chimica
convenzionalmente rappresentata dall’equazione:
0 = ν 1 A1 + ν 2 A2 + ....ν i Ai ... ν n −1 An −1 + ν n An
in cui ν i è il coefficiente stechiometrico dell' i.mo componente Ai .
Le variazioni dn1 , dn 2 , .... del numero di moli dei componenti A1 , A2 , .... durante uno
sviluppo elementare della reazione, non sono tra di loro indipendenti ma risultano
direttamente collegate ai corrispondenti coefficienti stechiometrici. La variazione elementare
del grado di avanzamento di una reazione chimica è definita dal rapporto:
dx =
da cui:
dni = ν i dx
dni
(4.12)
νi
i = 1,2,....n
La variazione del numero di moli del generico componente risulta direttamente proporzionale
al grado di avanzamento della reazione. Quest’ultimo assume lo stesso valore per tutti i
componenti, reagenti e prodotti, quando si convenga di considerare negativi i coefficienti
stechiometrici dei reagenti e positivi quelli dei prodotti della reazione. Con tale convenzione
attraverso x si precisa di quanto si è sviluppata la reazione. Normalmente x viene posto uguale
a zero all’inizio, quando ancora la reazione non si è sviluppata, si ha così:
xiniziale = x0 = 0
ni − ni 0 = ν i
∫
x
0
ni = n i 0
dx = ν i x
ni = ni 0 + ν i x
i = 1,2,....n
(4.12’)
50
dove con ni 0 si è indicato il numero di moli del generico componente i.mo presente all’inizio
della reazione. Talvolta viene anche introdotto un grado di avanzamento percentuale definito
dal rapporto:
x
(4.12’’)
⋅ 100
x% =
x finalex − xiniziale
dove x è il grado di avanzamento definito in precedenza, xiniziale e x finale rappresentano
rispettivamente i valori che x assume all’inizio e a reazione completamente avvenuta.
Esempio 4.1
Si consideri la reazione chimica di combustione:
C + O2 → CO 2
ovvero, secondo la rappresentazione convenzionale:
0 = −C − O2 + CO 2
Si supponga, per semplicità, che siano inizialmente presenti una mole di carbonio ed una di ossigeno.
Si ha:
A1 = C
ν 1 = −1
n 1 0 = 1 mol
A2 = O2
ν 2 = −1
n 2 0 = 1 mol
A3 = CO2
ν3 =1
n 3 0 = 0 mol
Quando x = 0 , la reazione chimica di combustione non è ancora iniziata ed è ancora presente una mole di
carbonio ed una di ossigeno.
A reazione completamente avvenuta 1 mole di carbonio (tutta quella presente inizialmente) ha reagito con 1
mole di ossigeno (tutta quella presente inizialmente) per formare 1 mole del nuovo composto anidride carbonica.
Il valore della x finale possiamo calcolarlo semplicemente dalla conoscenza del numero di moli finale ed iniziale
della CO2 (4.12’):
x finale =
n 3 finale − n3 0
ν3
=
1− 0
= 1 mol
1
Quando x=1mol il grado di avanzamento percentuale vale:
x% =
x
x finale − x0
=
1
= 100%
1− 0
e cioè la reazione si è sviluppata completamente, al 100%.
Il numero di moli presenti dei vari componenti, a reazione completamente avvenuta, risulta:
n1 finale = n 1 0 + ν 1 x finale = 1 − 1 ⋅ 1 = 0
n2 finale = n 2 0 + ν 2 x finale = 1 − 1 ⋅ 1 = 0
n3 finale = n 3 0 + ν 3 x finale = 0 + 1 ⋅ 1 = 1 mol
51
Quando invece x = 0.5 mol, si ha:
x=
n 1− n 1 0
ν1
=
n2 − n2 0
ν2
=
n 3 − n 30
ν3
= 0.5 mol
il numero attuale di moli dei componenti risulta:
n1 = n 1 0 + ν 1 x = 1 − 0.5 ⋅ 1 = 0.5 mol
n2 = n 2 0 + ν 2 x = 1 − 0.5 ⋅1 = 0.5 mol
n3 = n 30 + ν 3 x = 0 + 0.5 ⋅1 = 0.5 mol
ed il grado di avanzamento percentuale vale:
x% =
x
x finale − x0
=
0 .5
= 50%
1− 0
si può dire, cioè, che la reazione si è sviluppata per metà, al 50%.
Con l'introduzione della variabile chimica e nell'ipotesi di una sola reazione in atto, il
differenziale della energia interna totale diventa:
⎛ ∂U ⎞
⎛ ∂U ⎞
⎛ ∂U ⎞
dU t = ⎜ t ⎟ dT + ⎜ t ⎟ dx + ⎜ t ⎟ dν
⎝ ∂ν ⎠T , x
⎝ ∂x ⎠ v ,T
⎝ ∂T ⎠ v , x
(4.13)
In generale in un sistema sede di reazione chimica si attua un trasferimento (energetico)
interno tra il termine chimico e quelli termodinamici veri e propri, espressi in funzione di T e
v ovvero di T e p, nell'uno o nell'altro senso.
Se il sistema è adiabatico ( dQ = 0 ) e non scambia lavoro con l'esterno ( dL = 0 ), tale
trasferimento è governato dall’equazione: dU t = 0 . Si consideri infatti la cosiddetta
esperienza di Berthelot-Mahler chiamata anche la “bomba” di Mahler.
Questa esperienza porta alla definizione operativa del calore di reazione isocoro e consiste
nel bruciare molto rapidamente (da qui il termine di bomba) una certa quantità di
combustibile con del comburente in grande eccesso, contenuti all’interno di un vaso chiuso
indilatabile ed indeformabile.
Termometro
Calorimetro ad acqua
Candela per innesco
della combustione
Combust.
+O2
Fig. 4.3. Esperienza di Berthelot-Mahler per la determinazione
del calore di reazione isocoro.
In Fig.4.3 è rappresentato il recipiente contenente il combustibile ed il comburente, a sua
volta contenuto in un calorimetro ad acqua. Inizialmente tutto è in equilibrio termico e viene
innescata la reazione ad esempio con una scintilla.
52
Se la reazione è esotermica (combustione), il calore generato determina un aumento della
temperatura dei prodotti della reazione (fumi). Questi scambiano successivamente calore con
l’acqua del calorimetro che aumenta di temperatura e consente di effettuare la misura del
calore di reazione isocoro.
Il processo descritto si può schematizzare nelle seguenti due fasi.
1a fase:
Combustione isocora che, per la sua rapidità, può essere considerata con buona
approssimazione, adiabatica:
dQ − dL = dU t + dE c + dE p
(4.14)
Il sistema combustibile+comburente è chiuso, ha baricentro fermo rispetto ad un referenziale
esterno, non scambia lavoro (pareti del recipiente indilatabili) né calore (reazione rapida). La
(4.14) si riduce a:
dU t = 0
(4.15)
da cui, sviluppando il differenziale si ha:
⎛ ∂U ⎞
⎛ ∂U ⎞
⎛ ∂U ⎞
dU t = ⎜ t ⎟ dT + ⎜ t ⎟ dx + ⎜ t ⎟ dν = 0
⎝ ∂T ⎠ v , x
⎝ ∂x ⎠ v ,T
⎝ ∂ν ⎠ T , x
(4.16)
Ma, tenendo conto che per una isocora dv=0, la (4.16) si riduce a:
⎛ ∂U t ⎞
⎛ ∂U ⎞
⎜
⎟ dT = −⎜ t ⎟ dx
⎝ ∂T ⎠ v , x
⎝ ∂x ⎠ v ,T
(4.17)
La (4.17) mette in evidenza il trasferimento di energia interna dalla componente chimica
(secondo membro) a quella termodinamica (primo membro) durante l’evolversi della
reazione.
Si chiama calore di reazione attuale isocoro isotermo la quantità:
(∆Qc )v , T
⎛ ∂U ⎞
= −⎜ t ⎟
⎝ ∂x ⎠ v , T
(4.18)
Il calore di reazione attuale isocoro isotermo rappresenta il calore che occorrerebbe
scambiare affinché una reazione elementare si attuasse a v e T costanti, preso con il segno
cambiato.
53
⎛ ∂U ⎞
Se ⎜ t ⎟ < 0 la reazione si dice esotermica, e cioè durante la reazione viene generato del
⎝ ∂x ⎠ v ,T
calore e risulta quindi (∆Qc )v , T > 0 . Per riportare il sistema nelle condizioni iniziali, occorre
scambiare calore dal sistema verso l’esterno.
⎛ ∂U ⎞
Se invece ⎜ t ⎟ > 0 la reazione si dice endotermica, e cioè durante la reazione si ha un
⎝ ∂x ⎠ v , T
assorbimento di calore e risulta quindi (∆Qc )v , T < 0 . Per riportare il sistema nelle condizioni
iniziali, occorre scambiare calore dall’esterno verso il sistema.
2a fase:
Dopo che la reazione chimica è completamente avvenuta, il sistema è divenuto un fluido
termodinamico a due variabili. In questa fase si attua lo scambio di calore tra i prodotti della
reazione e l’acqua del calorimetro. Si opera in modo che il sistema scambi calore fino a
raggiungere una temperatura finale uguale a quella iniziale prima della reazione. Si adopera
normalmente una quantità di H2O ed una di combustibile tale da determinare un aumento di
3-4 °C di temperatura dell’acqua, mentre la temperatura e la pressione dei prodotti della
reazione ritornano praticamente a quelli iniziali.
Il primo principio per il sistema chiuso costituito dai prodotti della reazione si scrive ora:
dQ − dL = dU fumi
(4.19)
ma lo scambio di lavoro è sempre nullo perchè le pareti del recipiente sono rigide e quindi:
dQ = dU fumi
(4.20)
Integrando lungo la trasformazione isocora si ha:
2
Q1, 2 = ∫ (dQ) v = (U 2 fumi − U 1 fumi ) •
1
(4.21)
Si chiama calore medio di combustione isotermo isocoro la quantità:
(∆Qc )v , T
= − (U 2 fumi − U 1 fumi )
(4.22)
Per calore di reazione isotermo isocoro medio si intende un valore medio nel campo di
variazione della pressione e della temperatura durante l’esperienza.
54
T2
T
T1
0
1
x%
All’equazione (4.22) si può pervenire integrando direttamente l’equazione (4.17).
Conviene studiare il percorso di integrazione nel piano termodinamico che riporta in ascissa il
grado di avanzamento percentuale ed in ordinata la temperatura. La reazione chimica di
combustione è altamente irreversibile ed è molto difficile conoscerne lo sviluppo reale (linea
tratteggiata). Tuttavia, sfruttando le proprietà delle funzioni di stato ( Ut ) si può scegliere, per
l’integrazione della (4.17), un qualunque percorso semplice e reversibile che porti il sistema
dallo stesso stato iniziale a quello finale. In questo caso, se si sceglie come percorso quello
formato da un primo tratto (orizzontale) a temperatura costante T=T1 con x% che varia da 0 a 1
ed un secondo tratto (verticale) con grado di avanzamento costante x%=1 ma con variazione
della temperatura da T1 a T2 , l’integrazione risulta particolarmente semplice.
Si ha infatti:
T2 ⎛ ∂U ⎞
1 ⎛ ∂U ⎞
t
t
=
dT
(4.22’)
⎟
⎜
∫ T1 ⎝ ∂T ⎠ v, 1
∫0 − ⎜⎜⎝ ∂x% ⎟⎟⎠ dx%
v, T
1
Il primo membro della (4.17) fornisce un contributo diverso da zero solo lungo il tratto
verticale con variazione di T e con grado di avanzamento bloccato al valore 1 (reazione
completamente avvenuta) mentre il secondo membro dà un contributo non nullo solo lungo il
tratto orizzontale, quando x% varia da 0 ad 1 e la temperatura è bloccata al valore T1
(temperatura iniziale del sistema). Il primo membro della (4.22’) rappresenta, con x%=1 la
variazione di energia interna dei fumi della combustione tra T1 e T2 , mentre il secondo
membro costituisce il valor medio del calore di reazione isotermo isocoro (∆Qc )v , T .
La (4.22’) fornisce quindi la (4.22):
(U
2 fumi
− U 1 fumi ) = −(∆Qc ) T , v
Esempio 4.2
In una bomba calorimetrica 0.02 mol di propano C3 H 8 vengono completamente ossidati in anidride carbonica
CO2 e vapore acqueo ( H 2 O ) bruciando con 0.6 mol di aria. Si determini la composizione finale del sistema. Si
assuma l’aria contenere il 21% in mole di ossigeno ( O2 ) ed il 79% di azoto ( N 2 ).
----------------------------------------------------------La reazione di ossidazione può essere descritta convenzionalmente dalla relazione:
C 3 H 8 + 5 O 2 ⇒ 3 CO 2 + 4 H 2 O
In forma algebrica, considerando tra le specie chimiche anche l’azoto non partecipante, si può scrivere:
55
5
0 = ∑ν i Ai
i =1
essendo:
A1 = C3 H 8
A2 = O2
A3 = N 2
A4 = CO2
A5 = H 2 O
ν1
ν1
ν1
ν1
ν1
= −1
= −5
=0
=3
=4
Il numero iniziale di moli è:
n10
n 20
n30
n 40
= 0.02 mol
= 0.21 ⋅ 0.6 = 0.126 mol
= 0.79 ⋅ 0.6 = 0.474 mol
= n50 = 0
Il numero finale di moli di propano è uguale a zero e dunque:
x finale =
x% =
n1 finale − n10
ν1
x finale
x finale − x0
=
⋅ 100 =
0 − 0.02
= 0.02 gmoli
−1
0.02
= 100%
0.02 − 0
Si ha così:
C3 H 8
n1 finale = 0
O2
n2 finale = n20 + (−5) ⋅ 0.02 = 0.126 mol
N2
n3 finale = n3 0 = 0.474 mol
CO2
n4 finale = n40 + (3) ⋅ 0.02 = 0.06 mol
H 2O
n5 finale = n50 + (4) ⋅ 0.02 = 0.08 mol
Esempio 4.3
Si consideri un sistema costituito da 2 kg di vapore d’acqua saturo contenuti in un cilindro con pistone (Fig.
4.4). Il vapore subisce una trasformazione termodinamica con aumento di volume durante la quale la sua energia
interna passa dal valore U 1 = 2700 kJ/kg, al valore U 2 = 2650 kJ/kg. Il processo è inoltre caratterizzato da uno
•
= 32 kJ e da scambi di lavoro con l’esterno che si effettuano sia con lo spostamento del
pistone, sia mediante un’elica in movimento che compie un lavoro sul fluido pari a Lelica = 7.4 kJ. Si valuti il
scambio termico Q
1, 2
lavoro scambiato con il pistone nell’ipotesi che il baricentro del sistema sia fermo.
-----------------------------------------------------------
56
Per la (4.9) si ha:
Q1, 2
Q1, 2 − L1, 2 = U 2 − U 1
Il
lavoro
L1, 2
rappresenta
Lelica
L pistone
il
complessivo scambio dinamico netto
( L ), comprendente quindi sia il
∑
lavoro fatto dall’elica, sia quello
dovuto allo spostamento del pistone.
Quest’ultimo risulta pertanto:
Fig. 4.4
L⋅ pistone = Q ⋅1, 2 − (U 2 − U 1 )m − L⋅ elica = 32 – 2 (2650 – 2700) – (- 7.4) = 139.4 kJ
Il lavoro fatto dal fluido sul pistone è positivo e pari alla somma degli apporti energetici di calore e lavoro più la
diminuzione di energia interna.
4.4 Formulazione del I principio per un volume di controllo a regime permanente
La relazione fondamentale che esprime il primo principio della termodinamica per un
sistema costituito da una definita massa (sistema chiuso), viene estesa ad un volume di
controllo (sistema aperto) il cui confine è attraversato da un deflusso di massa che costituisce,
per lo stesso volume, un apporto energetico “convettivo”, in aggiunta ai possibili scambi di
calore e lavoro.
Si definisce volume di controllo o sistema aperto, una determinata regione dello
spazio, in cui si attua un deflusso di massa (v. par. 2.3). La superficie limitante il volume di
controllo è detta superficie di controllo (c.v.). La scelta del volume di controllo è effettuata in
modo da rendere più agevole l'analisi termodinamica del processo in esame. Sistemi con
deflusso di massa sono assai frequenti in molteplici applicazioni, riguardano ad esempio:
turbine, compressori assiali o centrifughi, pompe, scambiatori di calore ecc. Per l’analisi di
questi componenti risulta più conveniente formulare il I principio con riferimento al "volume
di controllo" piuttosto che ad una “massa di controllo”.
Si consideri un generico componente di impianto schematizzabile con un definito
volume dotato di due aperture per l’ingresso e l’uscita di un fluido. Siano verificate le
seguenti condizioni:
- regime di massa permanente: la massa entrante in un dato intervallo di tempo ∆τ è uguale
a quella uscente nello stesso intervallo;
- regime termodinamico permanente: le proprietà termodinamiche del fluido (p, v, T,...) in
ogni sezione di deflusso, sono costanti nel tempo ed uniformi (modello
monodimensionale).
Il sistema è schematizzato in Fig. 4.5, dove si è supposto che un fluido (per semplicità a
composizione chimica costante) entri nella sezione 1 alla quota z1 , con velocità costante w1
ed esca in 2, alla quota z 2 , con velocità costante w2 . Indichiamo con M la massa di fluido
contenuta nel volume di controllo e con Q • e L• l’ammontare degli scambi di calore e lavoro
che, attraverso la superficie di controllo, si attuano nel tempo ∆τ in cui la massa m entra nel
sistema in esame.
57
Q •1, 2
p1
w1
z1
A1
Q •1, 2
c.v
m
1
2 p2
M
L• e 1, 2
p1
w1
z1
A1
c.v.
1
2
w2
z2
A2
M
L• e 1, 2
a)
b)
m
p2
w2
z2
A2
Fig. 4.5 Rappresentazione schematica di un volume di controllo attraversato dalla massa (m+M) che
all’istante τ assume la configurazione (a) e all’istante τ+∆τ la configurazione (b).
Al fine della valutazione del lavoro scambiato dal sistema è conveniente considerare la
superficie di controllo costituita da due parti:
- le sezioni di ingresso e di uscita del fluido (permeabili alla massa) di area A1 e A2 ;
- la restante superficie, sia essa rigida come le pareti di un recipiente o mobile come quella
delle pale di un’elica (per lo scambio di lavoro).
Con riferimento alle due parti, il lavoro (totale) scambiato attraverso l’intera superficie di
confine può essere suddiviso in due contributi:
- lavoro di pulsione L•p (o lavoro di deflusso) quello connesso con le distribuzioni di
pressione sulle due sezioni di ingresso e di uscita del fluido;
- lavoro esterno netto L•e (o lavoro tecnico o continuo) quello scambiato attraverso la
restante superficie di confine (le porzioni mobili della stessa) e comunque comprendente ogni
altro effetto (elettrico, magnetico, di capillarità ecc.).
Il totale lavoro scambiato è pertanto:
c.v.
L• = L•p + L•e .
(4.23)
x1
p1
A1
Il lavoro di pulsione si può
valutare in base alle pressioni
p1 e p 2 , vigenti sulle
m
sezioni
1
e
2,
se
uniformemente distribuite e
Fig. 4.6. Valutazione del lavoro di pulsione per introdurre la massa m.
misurate sulla faccia esterna
delle stesse.
Con riferimento alla Fig. 4.6, il lavoro fatto dall'esterno (negativo secondo le convenzioni) per
introdurre la massa m (di volume V1 = A1 x1 ) nella sezione 1, risulterà:
L•p ,1 = − p1 A1 x1 = − p1V1 = −m p1v1
essendo p1 e v1 la pressione ed il volume specifico in 1.
Analogamente il lavoro fatto dal sistema sull’esterno (positivo) nella
sezione di uscita 2, per espellere la massa m sarà:
L•p , 2 = m p 2 v 2
58
Il lavoro di pulsione netto, scambiato per introdurre ed espellere la massa m risulta:
L•p = L•p ,1 + L•p , 2 = m ( p 2 v 2 − p1v1 )
(4.24)
Applichiamo ora il primo principio al sistema chiuso (massa di controllo) comprendente la
massa m, che entrerà nel volume di controllo nel tempo di osservazione ∆τ , e la massa M,
presente nello stesso volume all’istante iniziale. Il bilancio energetico relativo a tale sistema,
di massa (m+M), per la trasformazione attuatasi nel tempo ∆τ , si scrive:
Q1•, 2 − L•1, 2 = E • (τ + ∆τ ) − E • (τ )
ovvero:
•
•
Q1•, 2 − L•1, 2 = E CV
(τ + ∆τ ) − E CV
(τ ) + ( E 2 − E1 )m
avendo indicato con E il contenuto energetico specifico (per unità di massa) relativo alla
•
massa m, con ECV
quello totale della massa M presente nel volume di controllo e con Q1•, 2 e
L 1•, 2 gli scambi energetici attraverso la superficie di controllo nel tempo ∆τ .
Nell’ipotesi di regime permanente, la variazione del contenuto energetico della massa M
presente nel volume di controllo è nulla. Può invece variare il contenuto energetico di m che,
nell'intervallo considerato ∆τ , passa dalle condizioni vigenti nella sezione di ingresso 1 a
quelle vigenti nella sezione di uscita 2 (da p1 , v1 , w1 , z1 a p2 , v2 , w2 , z2 ): il sistema aperto in
regime permanente di massa equivale dunque ad un sistema chiuso con baricentro in
movimento. La variazione del contenuto energetico di m dovrà uguagliare il complessivo
scambio energetico, di calore e di lavoro, che si effettua attraverso la superficie di controllo.
Valutando il contenuto energetico della massa m costituito da energia cinetica, energia
potenziale (associata alla quota del baricentro della sezione di efflusso (z) e da energia interna
termodinamica, ponendo il fluido a composizione chimica costante, si ha così:
Q •1, 2 − L•1, 2 = m(U 2 − U 1 ) +
1
m( w22 − w12 ) + mg ( z 2 − z1 )
2
(4.25)
Tenendo conto delle (4.23) e (4.24) e dividendo per m , si ha:
Q1, 2 − Le 1, 2 = (U 2 + p 2 v 2 ) − (U 1 + p1v1 ) +
1 2
( w2 − w12 ) + g ( z 2 − z1 )
2
Se infine si indica con H la somma (U + pv ) , si può scrivere:
Q1, 2 − Le1, 2 = H 2 − H 1 +
1 2
( w2 − w12 ) + g ( z 2 − z1 )
2
(4.26)
L'equazione (4.26) fornisce il bilancio energetico di un sistema aperto in regime
permanente. Q1, 2 e Le 1, 2 rappresentano gli scambi di calore e di lavoro esterno netto
attraverso la superficie di confine, riferiti al kg di fluido defluente. La grandezza H è
denominata entalpia ed è una funzione di stato in quanto i due termini che la costituiscono (U
ed il prodotto pv) sono entrambi proprietà di stato del sistema.
Il differenziale della funzione entalpia è un differenziale esatto perché somma di due
differenziali esatti come risulta dalla (4.26’):
59
dH = dU + d ( pv)
(4.26’)
Anziché integrata tra gli estremi 1 e 2 della trasformazione, l’equazione (4.26) può essere
espressa in forma differenziale:
⎛ w2 ⎞
⎟⎟ + gdz
(4.26’’)
dQ −dLe = dH + d ⎜⎜
⎝ 2 ⎠
Inoltre la (4.26) può essere generalizzata al caso in cui vi siano più ingressi e più uscite del
fluido, con differenti valori delle relative portate in massa.
Indicando con Q1•, 2 il totale calore scambiato attraverso la superficie di controllo nel
tempo ∆τ , con L•e 1, 2 il totale lavoro esterno netto e con m& i la portata in massa che attraversa
la generica apertura i.ma (positiva se uscente, negativa se entrante), l'equazione di bilancio
diventa:
2
wi
•
•
Q1, 2 − Le1, 2 = ∆τ ∑ m& i ( H i +
+ gz i )
(4.27)
2
i
con
∑ m&
i
= 0 , poiché il processo è a regime permanente di massa. Se si dividono entrambi i
membri della (4.27) per ∆τ e si fa tendere ∆τ a zero, si ha:
q − Pe = ∑ m& i ( H i +
i
2
wi
+ g zi )
2
(4.28)
in cui q e Pe rappresentano i valori attuali, rispettivamente, del flusso termico e della potenza
meccanica scambiati attraverso il confine del sistema.
4.5 La funzione di stato Entalpia
La quantità H = U + pv , come già notato, è una funzione di stato, sono tali infatti i
termini che la costituiscono: l'energia interna ed il lavoro di pulsione. L’entalpia non ha il
significato di un contenuto energetico del sistema. Fondamentalmente è una funzione di stato
introdotta per convenienza matematica in quanto associa quantità termodinamiche che
frequentemente compaiono insieme nelle equazioni.
Per i sistemi sede di reazioni chimiche, alla componente termodinamica U dell’energia
interna occorre aggiungere il termine chimico esprimibile in funzione delle variabili chimiche
indipendenti x1 , x 2 ,… xn (una per ogni reazione indipendente). Per quanto riguarda il
prodotto pv è da notare che in una reazione chimica, sussiste un legame funzionale tra
pressione, volume specifico ed il grado di avanzamento della reazione stessa, essendo definiti
i volumi specifici delle specie chimiche e le loro concentrazioni attuali. Il prodotto pv è
dunque funzione di x e pertanto, se l’energia interna è espressa completamente, la somma
H t = U t + pv risulta caratteristica dello stato del sistema e fornisce l’entalpia totale Ht .
Se si considera la sola componente termodinamica dell’entalpia, la sua variazione è:
dH = dU + pdv + vdp
60
Nell’ipotesi di reversibilità ( dL = pdv ), per la (4.9’), si ha:
dH = dQ rev + vdp
(4.29)
e pertanto in una trasformazione isobara reversibile la variazione di entalpia rappresenta il
calore scambiato:
dH = [ dQ rev ] p =cos t
Essendo dH un differenziale esatto, si può anche scrivere:
⎛ ∂H ⎞
⎛ ∂H ⎞
⎟⎟ dp
dH = ⎜
⎟ dT + ⎜⎜
⎝ ∂T ⎠ p
⎝ ∂p ⎠ T
(4.29’)
ovvero:
⎛ ∂H ⎞
⎛ ∂H ⎞
⎛ ∂H ⎞
⎛ ∂H ⎞
⎟⎟ dp
dH = ⎜
⎟ dv = ⎜
⎟ dv + ⎜⎜
⎟ dT + ⎜
⎝ ∂v ⎠ T
⎝ ∂v ⎠ p
⎝ ∂T ⎠ v
⎝ ∂p ⎠ v
Il primo sviluppo differenziale (4.29’) è quello più usato per l’entalpia e la derivata parziale
⎛ ∂H ⎞
⎜
⎟ viene denominata calore specifico a pressione costante, risulta cioè:
⎝ ∂T ⎠ p
⎛ ∂H ⎞
(4.29’’)
cp = ⎜
⎟
⎝ ∂T ⎠ p
Sperimentalmente risulta che il calore specifico a pressione costante è una quantità positiva
per tutte le sostanze. Per una trasformazione isobara reversibile si ha:
⎛ ∂H ⎞
dH = [dQrev ] p = ⎜
⎟ dT = c p dT
⎝ ∂T ⎠ p
(4.30)
da cui si può ricavare:
⎛ dQ ⎞
⎛ ∂H ⎞
cp = ⎜
⎟ = ⎜ rev ⎟
⎝ ∂T ⎠ p ⎝ dT ⎠ p =cos t
(4.30’)
Il calore specifico a pressione costante può quindi essere determinato sperimentalmente come
rapporto tra il calore scambiato (reversibilmente) per unità di massa e la conseguente
variazione di temperatura, in un processo isobaro. Il calore specifico a pressione costante
potrebbe anche essere definito come “il calore che occorre fornire ad 1 kg di sistema, a
pressione costante, per innalzarne la temperatura di 1 K”. La definizione attraverso la derivata
parziale della funzione di stato entalpia è più soddisfacente e generale perché riferita ad una
quantità di stato e non ad un processo che, in aggiunta, deve essere realizzato reversibilmente.
La seconda derivata parziale dell’entalpia nello sviluppo (4.29’) può ottenersi
sperimentalmente da un processo isoentalpico (entalpia costante) con variazione di pressione.
In tal caso si ha infatti:
⎛ ∂H ⎞
⎛ dT ⎞
⎜⎜
⎟⎟ = −c p ⎜⎜
⎟⎟
(4.31)
⎝ ∂p ⎠ T
⎝ dp ⎠ H =cos t
61
⎛ ∂H ⎞
⎟⎟ per i diversi fluidi può risultare positiva, negativa o nulla, in
La derivata parziale ⎜⎜
⎝ ∂p ⎠ T
funzione della loro composizione chimica e dello stato termodinamico in cui si trovano. Per il
gas perfetto, come vedremo, il suo valore è nullo e l’entalpia risulta funzione soltanto della
temperatura:
(4.31’)
dH = c p dT
Si noti che, in generale il calore specifico cp è funzione della temperatura e l’entalpia non è
una funzione lineare della temperatura.
Per un sistema a tre variabili, come nel caso di una reazione chimica in atto, il differenziale
dell’entalpia totale può scriversi:
⎛ ∂H
⎛ ∂H t ⎞
dH t = ⎜
⎟ dT + ⎜⎜ t
⎝ ∂T ⎠ p , x
⎝ ∂p
⎞
⎛ ∂H ⎞
⎟⎟ dp + ⎜ t ⎟ dx
⎝ ∂x ⎠ T , p
⎠T ,x
(4.32)
La prima derivata parziale è ancora un calore specifico isobaro, per il miscuglio di
composizione corrispondente al valore attuale x del grado di avanzamento della reazione
chimica. Il terzo termine rappresenta la componente chimica dell’entalpia totale.
La definizione operativa del calore di reazione isobaro isotermo può essere ottenuta con una
esperienza analoga a quella di Berthelot-Mahler, operando però a pressione costante, in un
processo isobaro.
Fumi caldi della
combustione
Serpentino
H2O out
Combustibile +
O2
1
Camera di
combustione
Fumi freddi della
combustione
2
3 Scambiatore
acqua-fumi
H2O in
Fig. 4.7 Esperienza per la determinazione del calore di reazione isobaro.
In Fig.4.7 è rappresentata una possibile esperienza di combustione isobara. Una camera di
combustione, opportunamente coibentata, è alimentata con una portata massica costante di
una miscela di combustibile e di comburente. La combustione avviene praticamente a
pressione costante (atmosferica) ed i fumi caldi vengono convogliati in un tubo a serpentino
immerso in uno scambiatore di calore acqua-fumi utilizzato come calorimetro e
successivamente scaricati all’atmosfera. In maniera del tutto analoga a quanto visto per il caso
isocoro, il processo isobaro si può schematizzare nelle seguenti due fasi.
1a fase:
Combustione isobara. Dati i flussi di massa entranti ed uscenti in regime permanente dal
volume di controllo, occorre considerare la seguente equazione di bilancio per i sistemi aperti.
dQ − dLe = dH t + dw 2 / 2 + gdz
(4.33)
62
Nella prima fase la (4.33) va integrata tra le sezioni 1 e 2. Supponiamo che queste sezioni
abbiano il baricentro alla stessa quota z rispetto ad un referenziale e che la velocità media w1
in ingresso sia praticamente uguale a quella in uscita w2. Inoltre non vi è scambio di lavoro
esterno netto (pareti del recipiente indilatabili) né di calore (per la rapidità della combustione
e la coibentazione della camera di combustione). La (4.33) si riduce a:
dH t = 0
(4.34)
da cui, sviluppando il differenziale si ha:
⎛ ∂H
⎛ ∂H ⎞
⎛ ∂H ⎞
dH t = ⎜ t ⎟ dT + ⎜ t ⎟ dx + ⎜⎜ t
⎝ ∂T ⎠ p , x
⎝ ∂x ⎠ p ,T
⎝ ∂p
⎞
⎟⎟ dp = 0
⎠T , x
(4.35)
Ma, tenendo conto che per una isobara dp=0, la (4.35) si riduce a:
⎛ ∂H t ⎞
⎛ ∂H ⎞
⎜
⎟ dT = −⎜ t ⎟ dx
⎝ ∂T ⎠ p , x
⎝ ∂x ⎠ p ,T
(4.36)
La (4.36) mette in evidenza il trasferimento di entalpia dalla componente chimica (secondo
membro) a quella termodinamica (primo membro) durante l’evolversi della reazione.
Si definisce calore di reazione isobaro isotermo la quantità:
(∆Qc ) p, T
⎛ ∂H ⎞
= −⎜ t ⎟
⎝ ∂x ⎠ p , T
(4.37)
Il calore di reazione attuale isobaro isotermo rappresenta il calore che occorrerebbe
scambiare affinché una reazione elementare si attuasse a p e T costanti, preso con il segno
cambiato.
⎛ ∂H ⎞
Se ⎜ t ⎟ < 0 la reazione si dice esotermica, e cioè durante la reazione viene generato del
⎝ ∂x ⎠ p ,T
calore e risulta quindi (∆Qc ) p , T > 0 . Per riportare il sistema nelle condizioni iniziali, occorre
scambiare calore dal sistema verso l’esterno.
⎛ ∂H ⎞
Se invece ⎜ t ⎟ > 0 la reazione si dice endotermica, e cioè durante la reazione si ha un
⎝ ∂x ⎠ p , T
assorbimento di calore e risulta quindi (∆Qc ) p v , T < 0 . Per riportare il sistema nelle condizioni
iniziali, occorre scambiare calore dall’esterno verso il sistema.
2a fase
Dopo che la reazione chimica è completamente avvenuta, il sistema è divenuto un fluido
termodinamico a due variabili. In questa fase si attua lo scambio di calore tra i prodotti della
reazione e l’acqua dello scambiatore di calore attraverso il serpentino. Si opera in modo che il
sistema scambi calore fino a raggiungere una temperatura finale dei fumi praticamente uguale
a quella iniziale prima della reazione.
63
Il primo principio per il sistema aperto costituito dai prodotti della reazione defluenti nel
serpentino:
dQ − dLe = dH fumi
(4.38)
ma lo scambio di lavoro è sempre nullo perché le pareti del recipiente sono rigide e quindi:
dQ = dH fumi
(4.39)
Integrando lungo la trasformazione isobara 2-3 si ha:
3
Q2,3 = ∫ (dQ) p = ( H 3 fumi − H 2 fumi ) •
2
(4.40)
Si chiama calore medio di combustione isotermo isobaro la quantità:
(∆Qc ) p, T
= − (H 3 fumi − H 2 fumi )
(4.41)
Per calore di reazione isotermo isobaro medio si intende un valore medio nel campo di
variazione della temperatura durante l’esperienza.
T3
T
T2
0
1
x%
All’equazione (4.41) si può pervenire integrando direttamente l’equazione (4.36).
Anche in questo caso, come già fatto per la combustione isocora, conviene studiare il
percorso di integrazione nel piano termodinamico che riporta in ascissa il grado di
avanzamento percentuale ed in ordinata la temperatura.
La reazione chimica di combustione, altamente irreversibile non è nota (linea
tratteggiata). Tuttavia, sfruttando le proprietà delle funzioni di stato ( Ht ) si può scegliere, per
l’integrazione della (4.36), un qualunque percorso semplice e reversibile che porti il sistema
dallo stesso stato iniziale a quello finale.
In questo caso, se si sceglie come percorso quello formato da un primo tratto
(orizzontale) a temperatura costante T=T2 con x% che varia da 0 a 1 ed un secondo tratto
(verticale) con grado di avanzamento costante x%=1 ma con variazione della temperatura da
T2 a T3 , l’integrazione risulta particolarmente semplice.
Si ha infatti:
1 ⎛ ∂H ⎞
T3 ⎛ ∂H ⎞
t
t
=
dT
⎜
⎟
∫T2 ⎝ ∂T ⎠ p, 1 ∫0 − ⎜⎜⎝ ∂x% ⎟⎟⎠ dx%
p , T1
(4.41’)
64
Il primo membro della (4.36) fornisce un contributo diverso da zero solo lungo il tratto
verticale con variazione di T e con grado di avanzamento bloccato al valore 1 (reazione
completamente avvenuta) mentre il secondo membro dà un contributo non nullo solo lungo il
tratto orizzontale, quando x% varia da 0 ad 1 e la temperatura è bloccata al valore T2
(temperatura iniziale del sistema).
Il primo membro della (4.41’) rappresenta, con x%=1, la variazione di entalpia dei
fumi della combustione tra T2 e T3 , mentre il secondo membro costituisce il valor medio del
calore di reazione isotermo isobaro (∆Qc ) p , T .
La (4.41’) fornisce quindi la (4.41):
(H
3 fumi
− U 2 fumi ) = −(∆Qc ) p , T
Esempio 4.4
Una portata di vapore di 1.36 kg/s, viene fatta espandere adiabaticamente in una turbina in un processo a regime
permanente. Lo stato termodinamico del vapore in ingresso è p1 =35 bar e T1 =538 °C, mentre all’uscita della
turbina si ha p 2 = 6.9 bar e T2 = 290 °C. Si determini la potenza in uscita dalla turbina assumendo trascurabili
le variazioni di energia cinetica e potenziale del fluido.
-----------------------------------------------------------
Noti i valori della pressione e della temperatura negli stati di ingresso e di uscita dalla turbina, si possono
determinare i corrispondenti valori di entalpia che risultano:
H1= 3536.6 kJ/kg
e
H 2 = 3040.0 kJ/kg
Dalla (4.16) e con le ipotesi fatte, il lavoro esterno netto per unità di massa è dato da:
− Le1, 2 = H 2 − H1
da cui
Le1, 2 = 496.6 kJ/kg
La potenza fornita dalla turbina è pertanto:
P = m& Le1, 2 = 675.3 kW
65
Esempio 4.5
Un compressore preleva aria da un ambiente dove la pressione è 1 bar e la temperatura 27°C. Sullo scarico del
compressore la pressione è di 3.8 bar, la temperatura 204 °C e la velocità 104 m/s. La portata d’aria nel
compressore è di 1.5 kg/s, se ne determini la potenza.
Si assumano le seguenti ulteriori ipotesi:
- processo adiabatico e a regime permanente
- fluido gas perfetto
- velocità dell’aria in ingresso trascurabile
- variazione di energia potenziale trascurabile.
----------------------------------------------------------Noti gli stati termodinamici dell’aria in ingresso ed in uscita, dalle tabelle dell’aria si possono ottenere i valori di
entalpia:
H 1 = 300.6 kJ/kg e
H 2 = 481.3 kJ/kg
L’equazione di bilancio a regime permanente (4.16) , tenendo presenti le ipotesi fatte diventa:
− L e1, 2 = H 2 − H 1 +
w 22
2
Sostituendo i valori noti si ottiene:
Le1, 2 = − 186.11 kJ/kg
La potenza richiesta dal compressore è pertanto
P = m& Le1, 2 = 279.1 kW
4.6 Conservazione della massa per un volume di controllo in condizioni non stazionarie
Con riferimento ad un volume di controllo attraversato da un fluido, per la
conservazione della massa si può porre in generale:
portata massica entrante nel
volume di controllo
_
portata massica uscente dal
volume di controllo
=
Variazione nel tempo della
massa presente nel volume di
controllo
Tale bilancio espresso analiticamente diventa:
m& e − m& u =
avendo indicato con M cv = ∫ ρ dV
dM cv
dτ
(4.42)
la massa attualmente presente nel volume di controllo,
V
con m
& e la portata entrante nel volume di controllo e con m
& u la portata uscente da esso. Se si
definisce una opportuna densità media ρ ed una velocità media w , le portate possono
esprimersi nella forma:
m& = ∫ ρ w dA = ρ w A
(4.43)
A
essendo A l’area della sezione attraversata dal fluido.
66
L’equazione (4.42) costituisce una formulazione del principio di conservazione della
massa ed è spesso denominata equazione di continuità. Come indica la (4.43), i termini che
esprimono le portate attraverso la parte permeabile della superficie di confine del volume di
controllo, possono essere descritti da un integrale di superficie che definisce il flusso di massa
attraverso il confine del sistema. Questo approccio è frequentemente seguito nella meccanica
dei fluidi.
dM cv
= 0 . La
Per un volume di controllo a regime permanente di massa è m& e = m& u e dunque
dτ
massa M cv è costante anche nel caso di portate nulle, allora il sistema è chiuso.
Utilizzando le caratteristiche locali del deflusso, il bilancio di massa può essere posto
nella forma:
d
dτ
∫ ρdV = ∑ (∫ ρwdA) − ∑ (∫ ρwdA)
e
e
V
A
u
u
(4.44)
A
in cui ρ e w rappresentano, rispettivamente, la densità locale e la velocità del fluido in
direzione normale all’area elementare dA.
4.7 Bilancio energetico di un volume di controllo in condizioni non stazionarie
Nel paragrafo 4.4 è stata ricavata una espressione del primo principio per un volume di
controllo attraversato da un fluido in condizioni di regime permanente termodinamico e di
massa. In molte applicazioni, tuttavia, interessa poter formulare il bilancio energetico in
condizioni non stazionarie, per rappresentare processi di riempimento o svuotamento di
componenti, transitori termici e fluidodinamici. Scriveremo pertanto l’espressione più
generale del bilancio energetico per sistemi aperti includendo la variabile tempo.
Tale espressione può essere ottenuta facendo riferimento ad una definita massa che,
essendo in movimento, occupa differenti regioni dello spazio agli istanti τ e τ+∆τ, rispetto al
volume di controllo. Indicando con me ed mu , rispettivamente, la massa entrante e quella
uscente dal volume di controllo nell’intervallo ∆τ e con M cv (τ) e M cv (τ+∆τ) , le masse
presenti nel volume di controllo agli istanti τ e τ+∆τ, per la conservazione della massa, si ha:
me + M cv (τ ) = mu + M cv (τ + ∆τ ) = M
Per tale massa M il contenuto energetico all’istante iniziale (τ) potrà scriversi:
we2
E (τ ) = E cv (τ ) M cv (τ ) + me (U e +
+ gz e )
2
•
(4.45)
dove:
- E cv (τ ) è il contenuto energetico specifico della massa presente nel volume di controllo
all’istante τ ;
we2
- (U e +
+ gz e ) il contenuto energetico specifico della massa me nella regione di ingresso
2
del volume di controllo.
67
Nel tempo di osservazione ∆τ tutta la massa presente nella regione di ingresso ( me ) entrerà
nel volume di controllo, mentre dallo stesso uscirà la massa mu , nelle condizioni vigenti nella
regione di uscita. Durante l’intervallo ∆τ, attraverso la superficie di confine del volume di
controllo, potranno intervenire scambi termici ( Q∆τ ) e di lavoro ( L∆τ ). Il contenuto
energetico della massa di riferimento M, al tempo (τ+∆τ) sarà in generale diverso e risulterà:
E • (τ + ∆τ ) = E cv (τ + ∆τ ) M cv (τ + ∆τ ) + mu (U u +
wu2
+ gz u )
2
(4.46)
Anche se la massa di controllo M occupa differenti regioni nel tempo, si può comunque per
essa scrivere l’equazione che esprime il primo principio:
Q∆τ − L∆τ = E • (τ + ∆τ ) − E • (τ )
(4.47)
Sostituendo le (4.45) e (4.46) nella precedente si ha:
Q∆τ − L∆τ = Ecv (τ + ∆τ ) M cv (τ + ∆τ ) − Ecv (τ ) M cv (τ ) + mu (Uu +
wu2
w2
+ gzu ) − me (Ue + e + gze ) (4.48)
2
2
Per il totale lavoro scambiato dal sistema si può porre:
L ∆τ = L e , ∆τ + m u p u v u − m e p e v e
(4.49)
in tal modo la (4.48) diventa:
Q∆τ − Le,∆τ = Ecv (τ + ∆τ ) Mcv (τ + ∆τ ) − Ecv (τ ) Mcv (τ ) + mu (Hu +
wu2u
2
+ gzu ) − me (He +
we2
+ gze ) (4.50)
2
Dividendo entrambi i membri della (4.50) per ∆τ e passando al limite, per ∆τ tendente a zero,
si ottiene l’espressione del primo principio per un volume di controllo in condizioni
tempovarianti:
wu2
w2
dE • cv
= q − Pe + m& e ( H e + e + gz e ) − m& u ( H u + u + gz u )
dτ
2
2
(4.51)
in essa:
E • cv è il contenuto energetico attuale della massa presente nel volume di controllo;
è il flusso termico attuale che attraversa la superficie limitante il volume di controllo;
q
Pe
è la potenza meccanica attuale corrispondente al lavoro esterno netto.
Il contenuto energetico della massa presente nel volume di controllo può dunque variare non
solo per gli scambi di calore e di lavoro, ma anche per gli apporti energetici associati alle
masse entranti ed uscenti dallo stesso volume.
La (4.51) può essere generalizzata al caso di più sezioni di ingresso e di uscita
considerando la sommatoria degli apporti energetici connessi alle portate entranti ed uscenti:
we2
wu2
dE • cv
&
&
= q − Pe + ∑ me ( H e +
+ gz e ) − ∑ mu ( H u +
+ gz u )
dτ
2
2
e
u
(4.52)
68
Le equazioni (4.51) e (4.52) sono formalmente “equazioni di bilancio” in quanto
stabiliscono una uguaglianza tra la variazione del contenuto energetico del volume di
controllo, per unità di tempo, e la somma algebrica delle potenze scambiate attraverso la
superficie di confine, inclusi i contributi dovuti al trasporto di massa. Le stesse equazioni
sono riconducibili alle (4.25) e(4.26) nel caso di regime permanente termodinamico e di
massa, in cui è nulla la variazione del contenuto energetico del volume di controllo.
4.8 Formulazione del bilancio energetico in funzione delle proprietà locali
Può essere conveniente esprimere il bilancio energetico di un volume di controllo in
funzione delle proprietà locali sviluppando i diversi termini della (4.51) come valori attuali di
integrali di volume o di superficie. La totale energia associata al volume di controllo potrà
così scriversi:
w2
E • cv = ∫ ρ E dV = ∫ ρ (U +
+ g z )dV
2
V
V
Similmente i termini relativi agli apporti energetici attraverso le sezioni di ingresso e di uscita
del fluido si potranno scrivere:
∑ (∫ ( H +
A
w2
+ g z ) ρ wdA
2
Si ottiene così:
d
dτ
∫ ρ E dV = q − Pe + ∑ (∫ ( H +
V
A
w2
w2
+ g z ) e ρ wdA − ∑ ( ∫ ( H +
+ g z ) u ρ wdA
2
2
A
(4.53)
Nella (4.53), si noti, anche il flusso termico q può esprimersi come integrale del flusso
che attraversa una porzione elementare della superficie di confine del volume di controllo ed
analogamente la potenza meccanica scambiata come integrale riferito alle forze normali e
tangenziali agenti sulla stessa superficie con l’eccezione delle porzioni permeabili alla massa.
Esempio 4.6
Un recipiente contenente dell’aria alla pressione di 1 bar e temperatura di 20°C, viene connesso ad una linea
che fornisce aria a 7.0 bar e 20°C. Per mezzo dell’apertura di una valvola il serbatoio viene riempito di gas fino
a raggiungere la pressione di 2.5 bar. Sapendo che il volume del recipiente è di 28 dm3, si determini la
temperatura di equilibrio dell’aria nel recipiente alla fine del processo e la massa di aria introdotta.
Si assumano le seguenti ipotesi:
il processo adiabatico e senza lavoro esterno netto;
- Il fluido gas perfetto a calori specifici costanti;
- variazioni di energia cinetica e potenziale trascurabili;
- capacità termica del recipiente e della valvola trascurabile.
-----------------------------------------------------------
69
Al volume di controllo indicato con linea tratteggiata nella figura, si può applicare l’equazione (4.51) che
diventa:
∫
m2U 2 − m1U 1 − H e dme = 0
Aria a 7.0 bar,
ciò assumendo che il contenuto energetico della
massa d’aria nel volume di controllo sia costituito
dalla sola componente di energia interna
termodinamica. Poiché il riempimento avviene a
pressione e temperatura costanti, la precedente
può ancora scriversi:
m 2U 2 − m1U 1 = H e (m 2 − m1 )
Ricordando che per un gas perfetto è ∆U = c v ∆T , e che ancora
∆H = c p ∆T , con m =
pV
, sostituendo
R1T
nell’equazione di bilancio si ricava:
T2 =
p 2 c p Te
cv ( p 2 − p1 ) + p1c p Te / T1
=
p 2 k Te
( p 2 − p1 ) + p1k Te / T1
Applicando l’equazione così ottenuta al caso in esame si ricava T2 = 80.7°C .
La massa d’aria introdotta durante il processo risulta:
m 2 − m1 =
V p 2 p1
(
− ) = 0.036 kg
R1 T2 T1
Esempio 4.7
Una turbina a vapore, operante a regime permanente, fornisce una potenza utile di 1000 kW. All’ingresso della
turbina la pressione è di 6 MPa, la temperatura è di 400°C, la velocità del vapore surriscaldato è 10 m/s e l’area
della sezione del condotto di adduzione è pari a 6.05 10-3 m2. Il vapore all’uscita dalla turbina è saturo a 0.01
MPa, con titolo 0.9, la sua velocità è di 50 m/s. Trascurando la variazione di energia potenziale, si determini il
flusso termico scambiato dal sistema con l’esterno.
----------------------------------------------------------Dalle tabelle del vapore surriscaldato, per le
condizioni di ingresso, si ottiene :
v1 = 0.047379 m 3 / kg
H 1 = 3180.1 kJ / kg
Si può pertanto calcolare la portata evolvente:
m& = wAρ =1.277 kg/s
Le tabelle del vapore saturo forniscono per le
condizioni all’uscita:
T2 = 45.83°C
p1 = 6 MPa
T1 = 400 K
P = 1000 kW
w1 = 10 m / s
2
1
p 2 = 0.01 MPa
x 2 = 0.9
w 2 = 50 m / s
H 2 = H l , 2 + r2 x 2 = 2345.4 kJ / kg
Dalla (4.33) si ottiene:
⎡
w 2 − w12 ⎤
q = Pe + m& ⎢( H 2 − H 1 ) + 2
⎥ = - 64.4 kW.
2
⎦⎥
⎣⎢
70
Esempio 4.8
Un recipiente a pressione del volume V=0.85 m3, contenente inizialmente acqua nello stato di vapore saturo a
260°C e titolo 0.7, riceve calore fino a completa vaporizzazione a pressione costante. Il mantenimento della
costanza della pressione è assicurato da una valvola calibrata per lo scarico del vapore in eccesso.
Si determini il calore fornito nel processo trascurando effetti legati a variazioni di energia cinetica e potenziale.
-----------------------------------------------------------
c.v.
1)
c.v.
2)
Tenendo conto delle ipotesi fatte, le equazioni che esprimono la conservazione della massa
conservazione dell’energia (4.32) si scrivono:
dM cv
= − m& u
dτ
(4.23) e la
dU • cv
= q − m& u H u
dτ
da cui:
dM cv
dU • cv
= q + Hu
dτ
dτ
Integrando la precedente per H u costante durante il processo si ottiene:
U cv , 2 − U cv ,1 = Q1, 2 + H u ( M cv , 2 − M cv ,1 )
avendo indicato con i pedici 1 e 2 , rispettivamente, i valori delle grandezza all’inizio ed alla fine del processo e
con Q1,2 i l calore complessivamente scambiato.
Le variabili di stato in 1 e 2 risultano:
v1 = 0.02987 m 3 / kg
H u = 2796 kJ / kg
U cv , 2 = 2600
v 2 = 0.04213 m 3 / kg
U cv ,1 = 2158 kJ / kg
kJ / kg
da cui:
M cv,1 =
V
= 28.46 kg
v1
M cv, 2 =
V
= 20.18 kg
v2
e infine:
Q1, 2 = 14185
kJ .
H1= 3536.6 kJ/kg
e
H 2 = 3040.0 kJ/kg
Dalla (4.16) e con le ipotesi fatte, il lavoro esterno netto per unità di massa è dato da:
− Le1, 2 = H 2 − H1
da cui
Le1, 2 = 496.6 kJ/kg
La potenza fornita dalla turbina è pertanto:
P = m& Le1, 2 = 675.3 kW
71
------------------------------------------------------------------------------------------------
CAPITOLO
5
IL SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA
-----------------------------------------------------------------------------------------------Nel precedente capitolo è stato introdotto il primo principio della Termodinamica che stabilisce una
equivalenza metrologica tra calore e lavoro in un processo ciclico di un sistema chiuso. E' stato osservato che
tale equivalenza riguarda soltanto la possibilità di trasferire energia ad un sistema, sia sotto forma di calore, sia
di lavoro. Calore e lavoro non sono tuttavia "la stessa cosa". Considerando molteplici applicazioni si osserva che
il lavoro è una forma qualitativamente superiore di energia poiché è possibile la sua integrale conversione in
calore, mentre non vale il processo inverso e cioè l’integrale conversione di calore in lavoro. Il secondo
principio della Termodinamica evidenzia tale asimmetria di comportamento e fornisce un criterio per la
valutazione dei processi di conversione energetica che è possibile realizzare. In questo capitolo viene introdotta
la funzione di stato entropia e vengono ricavate relazioni fondamentali tra grandezze di stato ed equazioni di
bilancio entropico.
5.1. Evidenze sperimentali
Alla luce delle relazioni stabilite dal primo principio sembra perfettamente lecita
l’operazione di convertire l’energia termica (calore) in energia meccanica (lavoro) ed in
maniera integrale. Si potrebbe perciò immaginare di realizzare una macchina ciclica in grado
di convertire direttamente una data quantità di calore in lavoro, secondo lo schema:
Q⇒
⇒ L
Per sapere se l’operazione è realmente possibile faremo ancora riferimento all’esperienza, alla
ricerca di un criterio che indichi in quale direzione procedere nei riguardi dei processi di
conversione dell’energia.
Q1
T1
B
A
L2
C
D
L1
T2
Q2
Fig. 5.1 . Schema di un sistema termodinamico chiuso che effettua un processo ciclico
72
Si consideri nuovamente il processo reale ciclico esaminato per introdurre il primo
principio (Fig. 5.1) e si analizzino in particolare gli scambi termici. Si supponga per
semplicità che tali scambi avvengano con due sole sorgenti termiche a temperatura fissata.
Indicando con T1 e T2 le temperature assolute delle sorgenti esterne, superiore ed inferiore,
Q1 Q2
e
.
con le quali si attuano gli scambi Q1 e Q2 , si valutino le quantità
T1
T2
Effettuando la somma algebrica di tali due termini, si trova che, comunque si operi, risulta
Q Q
sempre: ( 1 + 2 ) <0. Anche se si invertisse il senso delle trasformazioni termodinamiche,
T1 T2
passando ad esempio da un processo ciclico motore ad uno inverso frigorigeno, la precedente
disuguaglianza ancora risulterebbe verificata. In ogni caso dunque il rapporto tra il valore
assoluto dello scambio termico negativo e la corrispondente temperatura risulta sempre
maggiore dell’altro rapporto tra lo scambio positivo e la corrispondente temperatura.
Negli impianti reali gli scambi termici non avvengono in genere a temperatura
costante, normalmente si effettua una serie di scambi termici positivi, a diverse temperature,
ed una serie di scambi negativi a temperature ancora differenti. Il risultato sperimentale è
tuttavia sempre:
Q
dQ
(5.1)
∫ T <0
∑ Ti < 0 ovvero
i
Sul valore della disuguaglianza ha influenza il modo con cui si realizzano le
trasformazioni del sistema che costituiscono l’intero processo. Se infatti le condizioni
operative si discostano molto da quelle già definite di “reversibilità” (attrito nullo, assenza di
gradienti di pressione e di temperatura) il risultato è molto minore di zero, mentre se si
avvicinano ad esse la sommatoria tende a zero, per cui estrapolando al caso limite della
reversibilità si può scrivere:
Q
dQ
(5.2)
≤0
∑ Ti ≤ 0 e
∫
T
i
Le (5.2) costituiscono il criterio ricercato, in quanto sperimentalmente verificate per
qualsiasi processo ciclico reale: si possono cioè ritenere realizzabili soltanto quei processi che
soddisfano le disuguaglianze espresse dalle (5.2).
Tenendo conto delle relazioni sperimentali sopra riportate, si può allora verificare la
possibilità di realizzare una macchina chiusa e ciclica che trasformi integralmente in lavoro
tutto il calore ricevuto. Per ipotesi tale macchina sarà caratterizzata da dQ>0, si avrà dunque
dQ
∫ T > 0 : poiché la (5.2) è contraddetta, il processo dovrà ritenersi irrealizzabile.
L’operazione inversa, si noti, di convertire lavoro in calore è invece sempre possibile, come
dQ
dimostra l’esperienza. In quest’ultimo caso si ha infatti: ∫
< 0 . Queste considerazioni
T
evidenziano una profonda differenza tra le due componenti di scambio energetico calore Q e
lavoro L. Sussiste una dissimmetria operativa sintetizzabile con lo schema seguente.
Q⇒
⇒L
a) processo impossibile
L ⇒
⇒Q
b) processo possibile
73
L’unico modo di inquadrare il problema, salvaguardando il principio di conservazione, è
quello di ammettere una differenza operativa tra i due termini Q ed L: uno scambio di lavoro
non è operativamente equivalente ad uno scambio di calore. Basti pensare che uno scambio
di calore Q, prossimo alla temperatura ambiente, non consente di ottenere alcun lavoro utile.
5.2. Enunciati del secondo principio
Il primo principio stabilisce una eguaglianza (puramente metrologica) tra calore e
lavoro: in un processo chiuso e ciclico è infatti ∑ Q = ∑ L . La formulazione più interessante
del II principio è rappresentata dalla seconda delle (5.2),
∫
dQ
≤0
T
(5.2’)
La (5.2’) è nota come disuguaglianza di Clausius, ed esprime il fatto che, per le
dQ
trasformazioni reali (e quindi irreversibili), l’integrale ciclico del differenziale
è
T
negativo, essendo dQ l’effettivo calore scambiato tra sistema ed esterno e T la temperatura a
cui esso si effettua. In base a tale disuguaglianza, le possibilità di conversione energetica
offerte dalla disponibilità di una certa quantità di calore, come si vedrà meglio in seguito,
dipendono in modo essenziale dalla temperatura a cui esso è disponibile.
In questi fatti consiste gran parte del significato del II principio della termodinamica
che si sintetizza attraverso varie formulazioni. Tra le più significative vi sono le due seguenti.
Enunciato di Clausius:
“il calore si propaga spontaneamente dai corpi più caldi verso quelli più freddi; non è
tuttavia impossibile provocare il passaggio in senso inverso in un concreto processo ciclico,
purché si effettui sul sistema, durante il ciclo, una adeguata azione compensatrice”
ovvero, in modo equivalente:
“è impossibile costruire una macchina termica, operante secondo un processo ciclico,
il cui unico effetto sia il trasferimento di calore da un corpo a temperatura minore ad un
altro a temperatura maggiore”
L’azione compensatrice può consistere nell’applicazione di un lavoro meccanico sul sistema
ciclico, cioè in uno scambio di lavoro dall’esterno verso il sistema oppure in un passaggio di
calore in senso spontaneo.
Enunciato di Kelvin Planck:
“è impossibile costruire un sistema chiuso, ciclico, motore, monotermodiabatico (che
scambia calore con una sola sorgente); è invece possibile realizzare un processo inverso
monotermodiabatico”
Per “motore” si deve intendere un sistema che fa lavoro sull’esterno (scambio positivo) e per
“sorgente” un mezzo in grado di scambiare calore a temperatura costante. Il processo
“inverso” è caratterizzato da scambio di lavoro negativo.
Entrambi gli enunciati evidenziano dei vincoli al nostro operare. Il primo indica l’esistenza di
una direzione privilegiata nei processi spontanei. Il secondo esprime in modo più preciso la
dissimmetria tra gli scambi di calore e di lavoro.
74
Diverse proposizioni sul comportamento di sistemi termodinamici (corollari) sono state
dedotte dalle leggi sopra citate ragionando “per assurdo”, assumendo cioè vera l’affermazione
contraria alla proposizione e dimostrando che la logica conseguenza contraddice la legge di
partenza.
L’equivalenza tra i due enunciati può essere dimostrata in modo analogo, mettendo in
evidenza come la violazione di uno di essi implichi la violazione dell’altro (“reductio ad
absurdum”).
Si considerino a tale scopo due macchine termiche entrambe interagenti con due sorgenti a
diversa temperatura T1 e T2 ( T1 > T2 ) e si supponga che le stesse macchine possano operare,
l’una o l’altra, in violazione dei precedenti enunciati. Si può dimostrare che:
Se è violato l’enunciato di Clausius è violato anche quello di Kelvin-Planck:
Si ammetta che la macchina di sinistra nello schema di Fig. 5.2, possa operare in contrasto
con l’enunciato di Clausius, in modo tale che una quantità di calore Q2 venga trasferita dalla
sorgente fredda a quella calda, senza alcuna azione compensatrice. La macchina di destra
invece riceve Q1 , cede Q2 alla sorgente termica inferiore, e compie un lavoro positivo
L = Q1 − Q2 , in accordo con l’enunciato di Kelvin-Planck. Con tali ipotesi, il sistema
combinato, costituito dalle due macchine (racchiuso dalla linea tratteggiata), può essere visto
come una macchina che riceve calore dalla sorgente superiore per un ammontare Q1 − Q2 e
lo converte integralmente in lavoro L = Q1 − Q2 : il sistema combinato viola dunque
l’enunciato di Kelvin-Planck.
Q2
Q1
T1
L = Q1 - / Q2 /
T2
Q2
Q2
Fig. 5.2. Schema per dimostrare che se è violato l’enunciato di
Clausius è di conseguenza violato anche quello di Kelvin-Planck.
Se è violato l’enunciato di Kelvin-Planck è violato anche quello di Clausius:
Si supponga che la macchina di destra nello schema di Fig. 5.3 operi violando l’enunciato di
Kelvin-Planck: il calore Q1 che essa riceve dalla sorgente calda è trasformato integralmente
in lavoro. La macchina di sinistra, in accordo con l’enunciato di Clausius, utilizza il lavoro L
per sottrarre Q2 alla sorgente fredda, cedendo alla sorgente calda L + Q2 = Q1 + Q2 .
Con tali ipotesi, il sistema combinato (racchiuso dalla linea tratteggiata) risulta equivalente ad
una macchina che, senza alcuna azione compensatrice, trasferisce il calore Q2 dalla sorgente
a temperatura inferiore a quella a temperatura superiore: il sistema combinato viola
l’enunciato di Clausius.
75
Q1
Q2 + Q1
T1
L
T2
Q2
Fig. 5.3. Schema per dimostrare che se è violato l’enunciato di KelvinPlanck è di conseguenza violato anche quello di Clausius.
Ordine e disordine
Quanto discusso in precedenza può anche essere formulato in termini di ordine e
disordine. Se infatti consideriamo una componente energetica esprimibile sotto due forme
distinte, possiamo convenire di dire che è operativamente ordinata quando può essere
trasferita dall’una all’altra forma in tutte le proporzioni, disordinata quando ciò non si
verifica.
Consideriamo un congegno elettromeccanico: in linea di principio il termine energetico
elettrico (lavoro elettrico fornito al sistema) può ritrovarsi integralmente in quello meccanico
e viceversa. In un sistema ciclico termo-meccanico ovvero termo-elettrico, invece, il termine
meccanico o elettrico può ritrovarsi in quello termico uscente, ma non viceversa, nemmeno in
linea di principio: sulla base del criterio esposto le componenti meccanica ed elettrica sono
“ordinate”, quella termica “disordinata”. Si esprime tutto questo dicendo anche che il
“rendimento” di conversione di un sistema elettromeccanico è, in linea di principio, unitario.
Non è invece così per una macchina che attua una conversione termo-meccanica o termoelettrica, nemmeno in linea di principio. La componente energetica termica presenta, come
meglio vedremo, carattere evolutivo.
Ripetibilità libera e reversibilità
E’ in genere sempre possibile operare in modo che un sistema compia un ciclo, cioè
ritorni allo stato iniziale al termine delle operazioni. In generale però l’esterno non ritorna
esattamente nelle condizioni iniziali: conserva una “traccia permanente” dell’esecuzione del
ciclo. Tale traccia consiste nel fatto che l’esterno acquista una data quantità di calore, così è
ad esempio per:
- un congegno meccanico, in cui l’attrito produce calore,
- un motore termico ciclico, che versa calore alla sorgente inferiore.
Per chiarire meglio questo aspetto si consideri lo schema di Fig. 5.4
76
Ciclo diretto
(motore)
T1
Ciclo inverso
(frigorigeno)
Q1a
Q1b
T1
La
T2
Lb
T2
Q2a
Q2b
(a)
(b)
Fig. 5.4. Schema per individuare la traccia termodinamica sull’esterno nei cicli irreversibili
Si consideri il ciclo diretto (motore) indicato in Fig. 5.4 (a). Questo ciclo riceve il calore Q1a
(positivo) dalla sorgente superiore alla temperatura T1, cede il calore Q2a (negativo) alla
sorgente inferiore alla temperatura T2 e fornisce il lavoro (positivo) sull’esterno La . Per
dQ
questo ciclo reale, come per qualunque altro, vale la disuguaglianza di Clausius: ∫
<0
T
che, in questo caso, si scrive:
Q2 a
Q1a Q2 a
Q
+
<0
e cioè
> 1a
(5.3)
T1
T2
T2
T1
Si immagini ora di realizzare un ciclo inverso (frigorigeno) reale, operante tra due sorgenti
alle stesse temperature T1 e T2 come indicato in Fig.5.4 (b) . Tale ciclo, impiegando il lavoro
(negativo) Lb , preleva il calore Q2b (positivo) dalla sorgente inferiore e cede il calore Q1b
(negativo) alla sorgente superiore. Sarà sempre possibile operare in modo che:
Q2 a = Q2 b
(5.4)
La domanda che ci si può porre è la seguente: è possibile, facendo funzionare
contemporaneamente i due cicli, che risulti anche:
Q1a = Q1b
e
La = Lb
(5.5)
in modo che sul sistema e sull’ esterno non rimanga alcuna traccia del nostro operare?
Applichiamo la disuguaglianza di Clausius anche al ciclo inverso:
Q1b Q2b
+
<0
T1
T2
e cioè
Q1b
T1
>
Q2 b
T2
(5.6)
Combinando allora la (5.3) con la (5.6) si ha:
77
Q1b
T1
>
e cioè:
Q2 b Q2 a
Q
=
> 1a
T2
T2
T1
(5.7)
Q1b > Q1a
(5.8)
La (5.8) mette in evidenza che nel ciclo inverso viene riversato sull’esterno un maggior calore
(Q1b) di quanto non ne venga prelevato dal ciclo diretto (Q1a). Inoltre, applicando il primo
principio ai due sistemi chiusi ciclici di Fig. 5.4 (a) e (b) si ottiene:
Q1a + Q2 a = La
Q1b + Q2b = Lb
(5.9)
Sommando membro a membro le due espressioni (5.9) e ricordando che si è assunto
Q2 a = Q2b si ricava:
Q1a + Q1b = La + Lb
(5.10)
Ma la (5.8) mostra che la somma degli scambi di calore a primo membro della (5.10) è
negativa e quindi risulta negativa anche la somma degli scambi di lavoro a secondo membro
della (5.10). Si ha quindi:
Lb > La
(5.11)
Per far funzionare il ciclo inverso di Fig. 5.4 (b) , nelle condizioni operative precisate, occorre
applicare dall’esterno un lavoro Lb maggiore, in modulo, di quello fornito dal ciclo diretto La .
Se ne può concludere che, per effetto delle irreversibilità, l’esterno conserva una traccia
permanente dell’esecuzione dei due cicli, in quanto, per cicli reali, non è possibile operare in
modo da verificare le uguaglianze espresse dalla (5.5). In particolare, la traccia
termodinamica σ e risulta in questo caso:
σ e = −∫
⎛Q
Q ⎞
dQ
= −⎜⎜ 1a + 1b ⎟⎟ > 0
T
T1 ⎠
⎝ T1
(5.12)
Il sistema ciclico è dunque testimone di una conservazione in quanto per esso è ∫ dE = 0 ,
mentre l’esterno è testimone di una evoluzione a causa della suddetta traccia. La legge di
conservazione stabilita dal primo principio si concilia con l’evoluzione indicata dal secondo
ammettendo che l’energia si conserva degradandosi.
Solo nel caso di completa reversibilità, sia il sistema che l’esterno ritornerebbero allo stato
iniziale senza recare alcuna traccia dell’esecuzione dei suddetti cicli.
Di fatto, in caso di processo reversibile, data l’assenza di disequilibri tra il sistema e l’esterno,
operando sul sistema in modo che esso effettui un ciclo, anche quella parte dell’esterno che
interagisce con il sistema compie un ciclo e dunque torna allo stato iniziale. Con un solo ciclo
avremmo però variata la composizione energetica dell’esterno, che ad esempio, ha fornito
calore ∫ dQ > 0 e ricevuto lavoro ∫ dL > 0. Se però lo stesso ciclo reversibile è descritto in
senso inverso tutto ritorna allo stato iniziale e tale situazione è denominata di ripetibilità
libera. Secondo la definizione di ripetibilità libera viene considerato completamente
reversibile un processo se, al termine di esso, sistema ed esterno possono essere riportati
nelle condizioni iniziali. Tale definizione di reversibilità risulta quindi più generale di quella
considerata in precedenza, che riguardava principalmente il sistema, senza considerare anche
tutto l’esterno interagente con esso.
78
Quando un sistema subisce una trasformazione termodinamica, si possono trovare
irreversibilità sia nel sistema, sia nell’esterno con il quale interagisce. In molte analisi è
opportuno distinguere le irreversibilità interne dalle irreversibilità esterne, anche se la
localizzazione del confine può essere arbitraria.
I processi reali sono tutti irreversibili e le trasformazioni reversibili devono essere
considerate come casi limite ideali, in cui irreversibilità interne ed esterne sono ridotte al
minimo. Così ad esempio si può immaginare il passaggio di un gas attraverso un ugello ben
dimensionato o l’oscillazione di un pendolo nel vuoto, con attrito ridotto al minimo.
Un altro interessante esempio è fornito da un gas alternativamente compresso ed espanso in
un sistema cilindro pistone, quando è nullo lo scambio termico con l’esterno e l’attrito tra il
pistone e la parete del cilindro è trascurabile. Un piccolo incremento della pressione esterna
provoca la compressione del gas, con piccola variazione delle proprietà intensive (T, p, v…)
che si mantengono uniformi all’interno del sistema. Analogamente ad un decremento della
pressione esterna corrisponde una espansione del gas che può avvenire con proprietà intensive
uniformi. In tali condizioni il gas può essere riportato nello stato iniziale e così anche
l’esterno. Il lavoro fatto sul gas durante la compressione eguaglia quello fatto dal gas durante
l’espansione. In assenza di ulteriori attriti nello scambio di lavoro tra il pistone ed il sistema
meccanico ricevente esterno, il processo è reversibile e né il gas, né l’esterno con il quale
interagisce conservano traccia delle trasformazioni. Diverso è invece il caso in cui il gas
venga compresso e fatto espandere rapidamente: la pressione al suo interno non è uniforme e
gli stati intermedi del processo non sono di equilibrio. Riportando lo stato del gas
all’equilibrio iniziale una traccia permanente rimane comunque nell’esterno in quanto il
lavoro fatto per la compressione risulta maggiore di quello ottenuto dall’espansione.
Aspetti operativi del II principio:
I diversi enunciati del II principio indicano che alcuni processi sono realizzabili ed altri no.
In questo senso il II principio fornisce precise indicazioni operative poiché consente di:
- prevedere la direzione dei processi spontanei,
- stabilire le condizioni di equilibrio,
- determinare la migliore prestazione teorica di un processo,
- valutare quantitativamente i fattori che impediscono il raggiungimento della
migliore prestazione.
5.3. La funzione di stato Entropia
Il risultato sperimentale descritto in precedenza può essere interpretato analiticamente
per ricavarne importanti conseguenze. La disuguaglianza di Clausius (5.1) può essere
trasformata in uguaglianza, sommando al primo membro una opportuna quantità positiva σe
in modo tale che risulti:
Q
(5.13)
∑ Ti + σ e = 0
i
La quantità σe è un termine, sempre positivo, il cui valore dipende dal grado di reversibilità
del processo. Per definizione è dunque:
Q
σ e = − ∑ i ( ≥ 0)
Ti
79
e, generalizzando:
σ e = −∫
dQ
(≥ 0)
T
(5.14)
Ogni volta che viene realizzato un processo ciclico in cui sono presenti scambi termici si
origina dunque una σ e ≥ 0, denominata traccia termodinamica sull’esterno (Cfr. l’esempio
descritto in Fig. 5.4 e la relazione (5.12) ).
Ricordando la (5.2) risulta pertanto che:
σe = 0
σe > 0
σe <0
nei processi reversibili,
nei processi reali, con irreversibilità
condizione impossibile.
Le diverse irreversibilità forniscono un contributo indipendente alla formazione della traccia.
Nell’introdurre il primo principio sono stati considerati gli scambi energetici di calore
e di lavoro che intervengono in un processo reale ciclico di un sistema chiuso. Il risultato
dell’osservazione sperimentale è stato poi generalizzato con la definizione di una nuova
proprietà del sistema: l’energia. In modo analogo, sempre partendo dall’osservazione
sperimentale di un processo ciclico concreto, può definirsi una nuova proprietà del sistema,
chiamata da Clausius entropia, che consente di esprimere il II principio in forma analitica.
Indicando con dS s il contributo elementare alla traccia termodinamica, si può porre:
σ e = ∫ dS s
con dS s ≥ 0
L’equazione (5.14) è allora esprimibile nella forma:
∫
dQ
+ ∫ dS s = 0
T
ovvero
∫( T
dQ
+ dS s ) = 0
Anche in questo caso si può affermare che il differenziale integrando è un differenziale esatto
e pertanto che esiste una funzione di stato S definita da:
dS =
dQ
+ dS s
T
(5.15)
Tale funzione è detta entropia ed è la grandezza fondamentale per esprimere
quantitativamente i significati del II principio. Ovviamente sarà ∫ dS = 0 . La (5.15) è nota
come uguaglianza di Clausius e il termine dS s è detto anche produzione entropica.
In una trasformazione elementare, l’entropia di un sistema varierà per effetto di due
contributi: il primo legato all’effettivo scambio termico dQ, con il suo segno, il secondo,
sempre positivo, interpretabile come produzione entropica nel sistema per effetto delle
irreversibilità ivi operanti. Le cause di irreversibilità, responsabili della produzione entropica,
vengono dette sorgenti entropiche.
Per la (5.15) in una trasformazione aperta finita tra due stati, iniziale 1 e finale 2, si ha:
2
2
dQ 2
+ ∫ dS s = S 2 − S1
1 T
1
∫ dS = ∫
1
(5.16)
80
L’entropia, come detto, è una proprietà del sistema e per le sostanze pure può essere calcolata
e tabulata in funzione di due variabili indipendenti. Come l’energia, anche l’entropia è stata
definita attraverso un differenziale e quindi a meno di una costante. Pertanto, per un sistema
di nota costituzione fisico-chimica, il valore dell’entropia, in un definito stato termodinamico,
può valutarsi dopo averle attribuito un valore convenzionale arbitrario in uno stato di
riferimento. Infine, l’entropia è una proprietà estensiva e ne viene pertanto normalmente
considerato il valore specifico, in riferimento all’unità di massa.
Poiché come si vedrà nel seguito il processo più efficiente tra due stati definiti è quello
reversibile (Cfr. cap. 8), porre nulla la produzione entropica è utile per individuare il massimo
risultato ottenibile da un processo termodinamico.
Valutazione dell’entropia
dQ
e dSs . Tuttavia,
T
ricordando che l’entropia è una funzione di stato, la sua variazione può essere valutata lungo
una qualunque trasformazione, anche reversibile, che collega lo stato iniziale con quello
finale. Ciò significa che per una trasformazione aperta 1-2 di un sistema reale, la
corrispondente ∆S è pari a quella di una qualsiasi trasformazione reversibile tra gli stessi stati
estremi 1 e 2:
2
dQ
∆S = S 2 − S1 = ∫ rev
(5.17)
T
1
In genere per una trasformazione reale non sono noti i contributi
Il fattore 1/T , che trasforma il differenziale non esatto dQrev nel differenziale esatto dS, è
detto fattore integrante (del dQrev considerato). Si noti però che lungo la trasformazione reale
da 1 a 2 l’effettivo calore scambiato con l’esterno non è uguale a dQrev , ma è tale da
soddisfare la (5.16), come ben illustra l’esempio della trasformazione adiabatica reale.
Tra i diversi processi termodinamici, di particolare interesse per le applicazioni
ingegneristiche sono le espansioni e le compressioni reali che si sviluppano così rapidamente
da potersi ritenere adiabatiche. Esse sono generalmente caratterizzate da scambio termico
effettivo trascurabile e da un incremento di entropia del fluido evolvente. Data infatti una
trasformazione adiabatica reale 1-2, se si associa ad essa una successiva reversibile
(qualsiasi), tale da riportare il sistema allo stato iniziale (Fig. 5.5), per il complessivo processo
ciclico che ne risulta vale la disuguaglianza di Clausius e si ha:
dQ
∫T
<0
da cui:
2
∫
1
⎛ dQ ⎞
⎛ dQ ⎞
+ ∫⎜
⎜
⎟
⎟ <0
⎝ T ⎠ reale 2 ⎝ T ⎠ rev
T
1
reale
1
ed infine, essendo nullo lo scambio termico
effettivo lungo la 1-2 reale:
⎛ dQ ⎞
0 + ∫⎜
⎟ <0
T ⎠ rev
2⎝
1
rev
2
S
Fig.5.5. Variazione di entropia in una trasformazione
adiabatica reale.
81
Risulta quindi: ( S1 − S 2 ) <0 e pertanto S 2 > S1 . Nell’adiabatica reale l’entropia aumenta, lo
scambio termico effettivo dQ è per ipotesi nullo, mentre risulta positivo lo scambio dQrev
lungo una qualsiasi reversibile tra gli stati 1 e 2.
Secondo la procedura suggerita dalla (5.17) l’entropia di un definito sistema nei
diversi stati termodinamici può essere determinata partendo da uno stato di riferimento e
calcolando poi le variazioni lungo convenienti trasformazioni reversibili. La relazione (5.17)
è anche utilizzabile per ricavare alcune espressioni dell’entropia dei fluidi termodinamici,
essendo possibile in questo caso precisare indipendentemente il valore di dQrev . Per fluidi a
due variabili e nel caso di trasformazioni reversibili, dQrev è infatti valutabile con le relazioni
(4.9’) e (4.9”):
dQrev = dH − vdp
dQ rev = dU + pdv
da esse si ottiene:
dS =
dQrev dU pdv
=
+
T
T
T
(5.18)
dS =
dQrev dH vdp
=
−
T
T
T
(5.19)
Se sono note le funzioni U e H, rispettivamente componente termodinamica dell’energia
interna e dell’entalpia, la variazione di entropia per unità di massa di fluido può ottenersi per
integrazione delle (5.18) e (5.19).
T
S − S0 = ∫
T0
T
S − S0 =
∫
T0
v
dU
pdv
+∫
T v0 T
dH
−
T
p
(5.20)
vdp
T
∫
p0
(5.21)
dove il pedice 0 si riferisce ad una condizione di riferimento arbitraria.
Nel caso di fluidi termodinamici, i differenziali esatti dU e dH sono sviluppabili, in generale,
in due termini. Nel caso particolare di fluido termodinamico costituito da gas perfetto, come
si dimostrerà nel seguito, l’energia interna e l’entalpia risultano dipendere soltanto dalla
temperatura secondo le espressioni:
dU = c v dT
e
dH = c p dT
mentre l’equazione di stato del gas perfetto è:
p v = R1 T
Nel caso di gas perfetto risultano particolarmente semplici le integrazione delle (5.20) e
(5.21) che forniscono le seguenti espressioni:
82
T
S − S 0 = ∫ cv
T0
T
v
dT
+ R1 ln
T
v0
S − S0 = ∫ c p
T0
dT
p
− R1 ln
T
p0
(5.22)
(5.23)
Nelle (5.22) e (5.23) si preferisce lasciare indicato gli integrali a secondo membro per il fatto
che i calori specifici cp e cv risultano dipendenti dalla temperatura. Le (5.22) e (5.23)
esprimono la variazione di entropia per una massa unitaria di gas perfetto, in funzione,
rispettivamente, di T e v, ovvero di T e p rispetto ad un valore di riferimento arbitrario S0 .
Un caso particolare di notevole interesse è rappresentato anche dalle sostanze
“incomprimibili” come solidi e liquidi, per le quali il volume specifico può ritenersi
essenzialmente costante. Per esse la variazione di entropia, data dalla (5.18) si riduce a:
dS =
dU c dT
=
T
T
(5.24)
in cui è stato indicato con c il calore specifico a volume costante, approssimativamente uguale
a quello a pressione costante per solidi e liquidi. Per una isobara e per la (5.19) è infatti anche:
dS =
dH c dT
=
T
T
Integrando la (5.24) tra la temperatura di riferimento T0 e la temperatura generica T, si
ottiene:
T c dT
S − S0 = ∫
(5.25)
T0 T
dove si ha S = S 0 per T = T0 .
Il diagramma entropico
La conoscenza dell’entropia fornisce la possibilità di una rappresentazione molto interessante
dei processi termodinamici basata sull’uso del diagramma entropico, che porta la S in ascisse
e la T in ordinate. In questo piano, per la (5.15) il calore scambiato in una trasformazione
reversibile è rappresentato dall’area sottostante la trasformazione fino ad incontrare l’asse
passante per T= 0 K, come illustra la Fig. 5.6 (a).
Anche il valore attuale del calore specifico di una generica trasformazione reversibile può
essere interpretato graficamente nel diagramma T, S notando che, per definizione:
c=
dQrev
dS
=T
dT
dT
83
T
1
T
2
P
dQrev=TdS
α
S
A
(a)
B
S
(b)
Fig. 5.5. Rappresentazione sul piano T,S di una trasformazione reversibile: (a) significato delle aree, (b)
sottotangente in un punto.
Si ha infatti, con riferimento alla Fig. 5.6 (b), che il calore specifico attuale è dato dalla
sottotangente ( AB ) alla trasformazione, nel punto (P) considerato
AB =
PB
T
TdS
=
=
=c
tgα dT / dS
dT
Esempio 5.1
Un contenitore a pareti rigide e indilatabili contiene 2.5 kg di aria alla pressione di 1.2 bar ed alla temperatura di
15 °C. L’aria viene riscaldata fino a 40 °C fornendo calore in un processo a volume costante. Determinare:
- la quantità di calore necessaria per realizzare il processo;
- la variazione di entropia dell’aria;
--------------------------Dati i valori di pressione e temperatura che intervengono nel processo, si può assumere che l’aria si comporti
come un gas perfetto e che il suo calore specifico sia costante ( c v = 0.718 kJ/kg K). Si ammetta inoltre che il
sistema sia immobile.
Per il primo principio, applicato al sistema costituito dalla massa d’aria contenuta nel recipiente a pareti regide
ed indilatabili ( L1, 2 =0), si può scrivere:
Q1•,2 = m (U2 − U1) = m cv (T2 − T1) = 44.875 kJ
Il processo di scambio termico è accompagnato da una variazione di entropia dell’aria, da 1 a 2, valutabile per
mezzo della (5.22) che, per v 2 = v1 , si riduce a:
( S 2 − S1 )• = m cv ln
T2
313 .16
= 2.5 ⋅ 0.718 ⋅ ln
= 0.149 kJ / K
T1
288 .16
Durante il riscaldamento si ha dunque un aumento di entropia che è stato agevolmente determinato essendo noti
lo stato iniziale e finale della trasformazione.
84
Esempio 5.2
Si valuti l’entropia specifica dell’acqua (compressa) alla temperatura di 50°C, assumendo S 0 = 0 per il punto
triplo ( T0 = 273.16 K), nello stato di liquido saturo.
--------------------------Se si pone trascurabile la variazione del calore specifico nell’intervallo di temperatura considerato, dalla (5.25),
integrando, si ottiene:
T
S = S 0 + c ln
T0
Per c = 4.186 kJ / kgK , risulta: S = 0.704 kJ / kgK .
5.4. Bilancio entropico per un sistema chiuso e per un volume di controllo
Per un sistema chiuso (massa di controllo) il bilancio entropico è espresso in forma
differenziale dalla relazione (5.15) che integrata fornisce:
2
2
1
1
S 2 − S1 = ∫ dS = ∫
dQ
+ ∆S s
T
(5.26)
Il termine integrale a secondo membro può essere valutato se è noto lo scambio termico
interessante ogni porzione non adiabatica della superficie di confine del sistema e la locale
temperatura (sul confine). Nel caso in cui lo scambio termico riguardi porzioni finite di
superfici di confine, ciascuna a diversa temperatura si può porre:
S 2 − S1 = ∑
j
Qj
Tj
+ ∆S s
in cui Q j / T j è l’entropia “trasmessa” attraverso la regione j , alla temperatura T j .
Il bilancio entropico per un volume di controllo può essere ottenuto dalla (5.20)
mediante un approccio simile a quello seguito per esprimere i bilanci di massa e di energia di
un volume di controllo, a partire dalla forma relativa ad un sistema chiuso. Si osserva che
l’entropia, come la massa e l’energia, è una proprietà estensiva e pertanto può essere trasferita
dal o nel volume di controllo per mezzo di un flusso di materia. Poiché questa è la principale
differenza tra un sistema chiuso ed un sistema aperto, il precedente bilancio relativo ad una
data massa si può estendere al volume di controllo nella forma:
qj
dS • cv
= ∑ + ∑ m& e S e − ∑ m& u S u + ∆S& • s ,cv
dτ
j Tj
e
u
(5.27)
dS • cv
La variazione di entropia per unità di tempo del volume di controllo (
) è infatti uguale
dτ
all’entropia trasferita (per unità di tempo) attraverso la superficie di confine (funzione dei
flussi termici q j e delle temperature locali T j ), più il flusso entropico (entrante) netto che
accompagna il trasporto di massa attraverso la superficie di controllo, più la produzione
85
entropica, per unità di tempo, dovuta alle irreversibilità nel volume di controllo ∆S& s ,cv .
Nella (5.27) S e ed S u rappresentano l’entropia specifica della portata entrante m& e e di quella
uscente m& u , rispettivamente.
Nel caso di regime permanente la (5.27) diventa:
qj
∑T
j
j
+ ∑ m& e S e − ∑ m& u S u + ∆S& s ,cv = 0
e
(5.28)
u
Per le applicazioni che riguardano sistemi aperti con un solo ingresso (sezione 1) ed una sola
uscita (sezione 2), la variazione di entropia per unità di massa tra l’ingresso e l’uscita si
riduce a:
qj
1
1
S 2 − S1 = (∑ ) + ∆S& s ,cv
(5.29)
m& j T j
m&
Le equazioni di bilancio entropico sopra considerate mettono in evidenza come l’entropia
generalmente non si conserva, al contrario di quanto avviene per massa ed energia. In
particolare, nel regime permanente, la massa entrante nel volume di controllo eguaglia quella
uscente, così come la totale energia fornita eguaglia quella uscente dallo stesso volume. La
(5.29) mostra invece che l’entropia uscente dal volume di controllo può risultare maggiore di
quella ad esso trasferita per effetto dello scambio termico, in conseguenza delle irreversibilità
interne ( ∆S& s ,cv >0).
La (5.27) può infine esprimersi in funzione delle proprietà locali, operando in analogia al
bilancio energetico formulato nel par. 4.8. La totale entropia del volume di controllo
all’istante τ è data dall’integrale esteso all’intero volume di controllo V:
S cv• = ∫ ρ S dV
V
in cui ρ ed S indicano la densità e l’entropia specifica locale. Il valore istantaneo
dell’entropia trasferita (per unità di tempo) attraverso la superficie di confine si può ottenere
come integrale, esteso alla superficie del volume di controllo Acv , del rapporto tra il flusso
termico specifico locale q" e la relativa temperatura locale sul confine T . Infine, i termini
che rappresentano il flusso entropico entrante ed uscente possono esprimersi come integrali
sulle aree di ingresso e di uscita del fluido Ae ed Au . Ne risulta la seguente equazione:
d
ρ S dV =
dτ V∫
q"
∫ ( T ) dA + ∫ ρSwdA − ∫ ρSwdA + ∆S&
s
Acv
Ae
s , cv
(5.30)
Au
Esempio 5.3
Con riferimento al processo di cui all’esempio 5.1, si calcoli la produzione entropica, nell’ipotesi che per il
riscaldamento dell’aria venga utilizzata una sorgente a 100°C.
---------------------------
86
Il riscaldamento dell’aria, si noti, avviene ponendo il sistema (aria) a contatto con una sorgente termica a
•
temperatura più elevata. Ne consegue una trasformazione irreversibile la cui produzione entropica ∆S s , per la
(5.26), può ottenersi sottraendo all’effettiva variazione di entropia dell’aria il rapporto tra il calore ad essa
ceduto e la temperatura (assoluta), valutata sul confine del sistema, a cui avviene lo scambio termico:
∆ S s• = ( S 2 − S 1 ) • −
Q1•, 2
T
= 0 .149 −
44 .875
= 0 .028 kJ / K
373 .16
Esempio 5.4
Per riscaldare dell’aria, alla pressione di 1 bar, da 27°C a 62 °C si utilizza uno scambiatore di calore in cui del
vapore d’acqua, saturo secco, condensa completamente alla temperatura costante di 100 °C. Il componente di
scambio termico è rappresentato schematicamente in Fig. 5.7 ed opera a regime permanente. Nell’ipotesi che le
variazioni di energia cinetica e potenziale siano trascurabili per entrambe le correnti fluide, si determini la
produzione entropica per unità di tempo, per ogni chilogrammo di aria defluente. Si ammetta inoltre trascurabile
il flusso termico disperso attraverso il volume di controllo indicato in Fig. 5.6.
---------------------------
Le due correnti aria e vapore condensante sono separate e la
condizione di regime permanente comporta dunque:
2
aria
vapore condensante
c.v.
m& 1 = m& 2
m& 3 = m& 4
1
4
3
m& aria
m& vap
I bilanci energetico ed entropico, per la (4.18) e la (5.28), con le
ipotesi fatte forniscono:
energia:
m& 1 ( H1 − H 2 ) + m& 3 ( H 3 − H 4 ) = 0
entropia:
m& 1 ( S1 − S 2 ) + m& 3 ( S 3 − S 4 ) + ∆S s•,cv = 0
Fig. 5.7
I valori delle grandezze entalpia ed entropia, in ingresso ed in uscita dallo scambiatore possono essere ottenuti
dalle tabelle dell’aria e dell’acqua, noti gli stati termodinamici. Si ha:
H 1 = 300.6 kJ / kg
H 2 = 336.1 kJ / kg
H 3 = 2676.0 kJ / kg
S 2 = 6.9741 kJ / kgK
H 4 = 419.1 kJ / kg
S 4 = 1.3069 kJ / kgK
S1 = 6.8726 kJ / kgK
S 3 = 7.3554 kJ / kgK
Sostituendo i valori sopra riportati nell’equazione di bilancio energetico si ottiene:
m& 3 H 2 − H 1
=
= 0.0157
m& 1 H 3 − H 4
In base al rapporto tra le portate si può ottenere la produzione entropica per unità di tempo (nel volume di
controllo), per chilogrammo di aria defluente:
∆S s•,cv
m&
= ( S 2 − S1 ) + 3 ( S 4 − S 3 ) = 0.1015 + 0.0157 ⋅ ( −6.0485 ) = 0.0065 kJ / kgK
m& 1
m& 1
87
6.5. La trasformazione reversibile equivalente
Si consideri un sistema costituito da una definita massa che descrive una
trasformazione reale 1-2. Come già notato, per valutare la variazione di entropia del sistema
tra gli stati estremi è sufficiente considerare una qualunque trasformazione reversibile tra gli
stessi e calcolare lungo di essa la variazione di entropia.
Per trasformazioni reversibili di sistemi a due variabili valgono le relazioni (4.9’) e (4.9”):
dU = dQrev − pdv
dH = dQrev + vdp
(5.30’)
per un tratto elementare della trasformazione reversibile scelta è inoltre:
TdS = dQrev
Si può quindi scrivere:
dU = TdS − pdv
(5.31)
dH = TdS + vdp
(5.32)
E’ opportuno notare che, mentre le relazioni (5.30’) valgono soltanto per trasformazioni
reversibili, le equazioni (5.31) e (5.32) hanno validità del tutto generale e possono quindi
essere applicate direttamente allo studio di una trasformazione reale. Di fatto, le (5.31) e
(5.32) contengono soltanto valori attuali di grandezze di stato e variazioni effettive di funzioni
di stato e sono quindi applicabili a qualunque trasformazione, anche irreversibile.
Per quanto riguarda in particolare l’effettiva variazione elementare di entropia dS , lungo il
tratto elementare di trasformazione reale, si dovrà per essa ritenere:
TdS = dQ + TdS s
essendo, come già notato, dQ lo scambio termico effettivo e dS s la produzione entropica
elementare. Per la trasformazione reale si avrà in definitiva:
dU = dQ + TdS s − pdv
(5.33)
dH = dQ + TdS s + vdp
(5.34)
Tra le diverse trasformazioni reversibili
corrispondenti agli stessi stati estremi 1 e
2, può risultare conveniente scegliere
quella caratterizzata, per ogni suo
elemento, da uno scambio di calore
(reversibile) pari a :
dQrev = dQ + TdS s
T
1
rev.1
rev. equiv.
2
S
essendo dQ , e TdS s quantità che si
riferiscono al processo reale.
Fig. 5.8. T rasformazione reversibile
“equivalente” a quella reale.
88
La trasformazione reversibile così scelta, viene denominata reversibile equivalente alla
trasformazione reale considerata. Per ogni suo elemento si ha infatti la stessa variazione di
entropia della trasformazione reale, alla temperatura attuale del sistema. La reversibile
equivalente è caratterizzata quindi in ogni suo elemento dagli stessi valori di S e T della
trasformazione reale e, per i sistemi a due variabili, anche dagli stessi valori di tutte le altre
grandezze. La successione degli stati fisici della trasformazione reale può allora essere
studiata mediante tale trasformazione che, tuttavia, non è affatto equivalente alla
trasformazione reale dal punto di vista degli scambi energetici.
5.6. Lavoro scambiato nelle trasformazioni reali
Si consideri un sistema chiuso costituito da un fluido termodinamico, con baricentro
fermo. Dal confronto tra l’equazione (5.33) precedentemente ricavata e l’equazione (4.9) che
esprime il I principio nelle stesse condizioni:
dU = dQ + TdS s − pdv
dU = dQ − dL
(5.33)
(4.9)
si ottiene l’interessante relazione:
dL = pdv − TdS s
(con dS s >0)
(5.35)
Lo scambio di lavoro meccanico può dunque essere espresso anche per le trasformazioni
irreversibili in funzione di pdv , ma apportando la correzione − TdS s , sottraendo cioè
l’equivalente dinamico del termine di dissipazione. Se allora dv>0 ( pdv >0) l’effettivo lavoro
ottenuto dalla dilatazione del sistema è minore di quello che si avrebbe in condizioni di
reversibilità. Nel caso invece di una contrazione del sistema dv<0 ( pdv <0) il lavoro che deve
essere applicato, per effetto delle irreversibilità, è maggiore di quello necessario in condizioni
reversibili. Come caso limite, se la trasformazione è reversibile, dS s = 0 e la (5.35) fornisce
la ben nota espressione:
dLrev = pdv (con dS s =0)
(5.35’)
Considerazioni analoghe possono svilupparsi per il lavoro esterno netto. Dalle
equazioni (4.26’’) e (5.34):
dH = dQ + TdS s + vdp
(5.34)
1
dQ −dLe = dH + dw 2 + g dz
(4.26’’)
2
per sostituzione, nel caso di variazioni di energia cinetica e potenziale del fluido trascurabili,
si ricava l’equazione corrispondente alla (5.35):
dLe = −vdp − TdS s
(con dS s >0)
(5.36)
Il lavoro esterno netto (meccanico) nelle trasformazioni reali è pari a quello corrispondente al
89
termine ( − vdp ) diminuito del termine di dissipazione TdS s .
Come caso limite, se la trasformazione è reversibile, dS s = 0 e la (5.36) fornisce
l’espressione:
dLe
rev
= −vdp
(con dS s =0)
(5.36)
Le precedenti espressioni dei lavori sono valide per sistemi fermi nel referenziale
inerziale di riferimento, o comunque quando possono essere trascurati i termini macroscopici.
Più in generale occorre invece aggiungere i termini corrispondenti alle variazioni di energia
cinetica e potenziale.
5.7. Espressioni delle funzioni di stato in termini di Entropia
Con l’introduzione dell’entropia è possibile esprimere le funzioni di stato energia
interna ed entalpia in funzione della variabile “termica” S e delle variabili “meccaniche” p e v.
Per sistemi a due variabili si ha:
dU = TdS − pdv
con
⎛ ∂U ⎞
T =⎜
⎟
⎝ ∂S ⎠ v
⎛ ∂U ⎞
− p=⎜
⎟
⎝ ∂v ⎠ s
(5.37)
dH = TdS + vdp
con
⎛ ∂H ⎞
T =⎜
⎟
⎝ ∂S ⎠ p
⎛ ∂H ⎞
⎟⎟
v = ⎜⎜
⎝ ∂p ⎠ s
(5.38)
Per sistemi a tre variabili possono scriversi espressioni analoghe includendo i termini
corrispondenti alla variabile chimica. Così per l’energia interna totale si ha:
⎛ ∂U ⎞
dU t = dU + ⎜ t ⎟ dx
⎝ ∂x ⎠ T , v
(5.39)
Assumendo come variabili indipendenti S, v ed x, è anche:
dU t = TdS − pdv + Xdx
(5.40)
L’entalpia, per definizione si può scrivere:
dH t = dU t + d ( pv)
Sostituendo l’espressione della dU t data dalle (5.37) e (5.38), si ricava:
dH t = TdS − pdv + Xdx + d ( pv) = TdS + vdp + Xdx
(5.41)
Dal confronto tra le espressioni (5.40) e (5.41) si ottiene infine:
⎛ ∂U ⎞
⎛ ∂H ⎞
X =⎜ t ⎟ =⎜ t ⎟
⎝ ∂x ⎠ S , v ⎝ ∂x ⎠ S , p
(5.42)
90
⎛ ∂U ⎞
Le due derivate parziali della (5.42) non vanno confuse con le analoghe ⎜ t ⎟ e
⎝ ∂x ⎠ T , v
⎛ ∂H t ⎞
⎜
⎟ considerate nel precedente capitolo.
⎝ ∂x ⎠ T , p
5.8. Produzione entropica per irreversibilità
Per quanto precisato nel par. 5.3, i processi reali sono caratterizzati da una produzione
entropica ∆S s , dovuta a modalità del processo dette sorgenti entropiche. Queste sono causa
di irreversibilità e la corrispondente ∆S s ne è una misura.
Le sorgenti entropiche possono essere suddivise in varie categorie:
- attrito e resistenze varie al deflusso di massa;
- trasmissione spontanea del calore;
- fenomeni di equilibramento della distribuzione spaziale di una qualunque quantità fisica o
chimica ed in particolare di: pressione, temperatura, concentrazione dei diversi
componenti;
- reazioni chimiche spontanee, e cioè variazioni nel tempo delle concentrazioni globali;
- fenomeni elettrici, magnetici, elettrochimici e termoelettrici irreversibili.
Il metodo generale per il calcolo della produzione entropica si basa sull’equazione
(5.7), ricordando che l’entropia è una funzione di stato e quindi la sua variazione tra due stati
definiti è indipendente dal “cammino” che li congiunge. E’ dunque sempre possibile valutare
la variazione di entropia se sono note sufficienti informazioni su altre proprietà del sistema,
tali da consentire di descrivere una trasformazione reversibile tra gli stati estremi.
Per la (5.5) inoltre, se il processo è adiabatico, la variazione effettiva di entropia subita dal
sistema fornisce la produzione entropica che misurerà il contributo di tutte le cause di
irreversibilità. Se si riesce ad isolare una di esse la effettiva variazione di entropia del sistema,
posto adiabatico, dà il corrispondente singolo contributo.
A titolo esemplificativo ricaviamo il valore della produzione entropica associata ad alcune di
tali sorgenti entropiche.
1. Resistenza d’attrito e gradienti di pressione
Si consideri ad esempio l’attrito viscoso che incontra un fluido in moto in regime
permanente in un condotto.
Applicando al fluido in moto all’interno del condotto il primo principio per i sistemi aperti:
dQ − dLe = dH + wdw + g dz
Nelle ipotesi di: condotto orizzontale a pareti rigide, fluido incomprimibile e condotto a
sezione costante si ha: dz=0, dLe = 0 , dw = 0 . Il primo principio si riduce quindi a:
dQ = dH
Introducendo ora l’espressione della variazione di entalpia ottenuta nella (5.34), si ottiene la
seguente equazione:
91
p
x
p2
p1
w
w
1
2
Fig. 5.9 Schema per la valutazione della sorgente entropica per
attrito viscoso in un fluido in moto all’interno di un condotto.
dQ = dQ + TdS s + vdp
ed in conclusione, la produzione entropica risulta:
dS s = −
v
dp
T
(5.43)
dove − dp è la caduta elementare di pressione per attrito. Poiché il volume specifico e la
temperatura assoluta sono quantità entrambe positive deve essere dp < 0 , dovendo risultare
dS S > 0 . Ne consegue che la pressione del fluido, in direzione del moto, non può che
diminuire come indicato nello schema della figura. Questa riduzione di pressione viene anche
chiamata perdita di carico per attrito viscoso. Si noti che a questo risultato si è giunti senza
effettuare l’ipotesi di adiabaticità.
La produzione entropica complessiva potrà ottenersi per integrazione della (5.43) tra le
sezioni 1 e 2 del condotto:
2
v
∆S s = ∫ − dp
(5.43’)
1
T
La relazione (5.43’) permette anche di valutare la produzione entropica dovuta ad un
disequilibrio finito di pressione tra le diverse parti del sistema, quando tale disequilibrio viene
neutralizzato per dissipazione.
Questo risultato può essere interpretato più in generale in termini di equilibrio
termodinamico. Se un sistema isolato è sede di un gradiente di pressione iniziale, quando
questo si annulla ( dp < 0 ), si ha un incremento dell’entropia ( dS > 0 ). L’entropia
all’equilibrio assume dunque un valore massimo.
2. Trasmissione spontanea del calore
Si consideri un sistema isolato, costituito da due masse M 1 ed M 2 , contenuto in un
involucro indeformabile ed adiabatico. Si ammetta l’esistenza di una differenza finita di
temperatura tra le due parti del sistema (con T1 > T2 , per ipotesi), separate da una parete
anch’essa indeformabile, ma che consente il passaggio del calore. Se nessun movimento può
svilupparsi tra le parti del sistema, l’attrito è nullo. Si supponga inoltre la pressione uniforme
92
all’interno dell’involucro, le temperature uniformi in ciascuna delle due parti e la
composizione chimica del sistema costante. In queste condizioni il sistema evolve
spontaneamente verso la condizione di equilibrio termico finale caratterizzato da una
temperatura uniforme T f . Al passaggio di calore spontaneo tra i due corpi, per effetto di una
differenza di temperatura finita (inizialmente T1,i-T2,i ), è associata una sorgente entropica di
irreversibilità che si vuole esplicitare in questo esempio.
Se i volumi delle due parti sono costanti, il primo principio fornisce:
dQ1• = dU 1•
dQ2• = dU 2•
per il corpo 1 :
per il corpo 2 :
La variazione di energia interna di entrambi i corpi avviene a volume costante e può quindi
valutarsi con la relazione dU • = M cv dT .
T
M1
dQ
T1
T1
M2
Tf
T2
T2
dτ
τ
Fig. 5.10. Schema per la valutazione della sorgente entropica dovuta alla trasmissione
spontanea di calore in un sistema isolato con iniziale differenza finita di temperatura.
In un tratto elementare di trasformazione il corpo 1 cede calore M 1 cv1 dT1 < 0 , essendo
dT1 < 0 , mentre il corpo 2 riceve calore M 2 cv 2 dT2 > 0 , essendo dT2 > 0 .
Orbene la variazione di entropia complessiva è data dalla somma delle corrispondenti
variazioni antropiche dei due corpi, dato il carattere estensivo della grandezza. La
trasmissione spontanea di calore è come già detto una trasformazione irreversibile ma noi
possiamo calcolarne la variazione entropica ipotizzando una qualunque trasformazione
reversibile tra gli stessi stati iniziali e finali. Per le ipotesi fatte possiamo scegliere per i
sistemi 1 e 2 una trasformazione isocora reversibile. Per un tratto elementare di
trasformazione, che si attua nel tempo dτ , la variazione di entropia per i due corpi a contatto
risulta dunque:
dQ
dT
dS1• = M 1 1 = M 1cv1 1
per il corpo 1:
(<0)
T1
T1
dQ2
dT
dS 2• = M 2
= M 2 cv 2 2
(>0)
per il corpo 2:
T2
T2
e, per l’intero sistema, si ha:
dT
dT
dS • = dS1• + dS 2• = (M 1 + M 2 ) dS = M 1cv1 1 + M 2 cv 2 2
T1
T2
93
Indicando con dQ • = M 1cv1 dT1 = M 2 cv 2 dT2 , il valore assoluto del calore scambiato a
volume costante tra i due corpi, risulta in definitiva:
(M 1 + M 2 ) dS = dQ • (− 1
T1
+
1
)
T2
Poiché, fino al raggiungimento dell’equilibrio, risulta T2 < T1 , si ha dS > 0 .
Consideriamo ora l’intero sistema, che ricordiamo è isolato dall’esterno e quindi per esso
sono nulli gli scambi di calore dQ e di lavoro dL con l’esterno:
dS =
dQ
+ dS s = dS s
T
Per l’intero sistema isolato, la produzione entropica specifica è dovuta alla sola causa di
irreversibilità esaminata e risulta:
dS s =
dQ •
1 1
(− + )
( M 1 + M 2 ) T1 T2
(5.44)
La totale variazione entropica specifica può ottenersi integrando la (5.44) lungo tutta la
trasformazione:
Tf
⎛ Tf
dT
dT ⎞
1
(5.45)
∆S s =
⋅ ⎜⎜ ∫ M 1cv 1 1 + ∫ M 2 cv 2 2 ⎟⎟
T
T
2,i
M 1 + M 2 ⎝ 1, i
T1
T2 ⎠
Se si assumono costanti i calori specifici a volume costante dei due corpi si può procedere
nell’integrazione della (5.45):
∆S s =
1
M 1 +M 2
⎛
Tf
Tf
⋅ ⎜ M 1c v 1 ln
+ M 2 c v 2 ln
⎜
T1, i
T2, i
⎝
⎞
⎟
⎟
⎠
(5.46)
mentre la temperatura finale di equilibrio Tf può essere determinata risolvendo l’equazione di
bilancio:
M 1 cv 1 (T f − T1, i ) + M 2 cv 2 (T f − T2, i ) = 0
(5.47)
Con riferimento alla questione dell’equilibrio termodinamico si nota che per un
sistema isolato, in presenza di gradienti di temperatura finiti al suo interno, l’entropia
aumenta fino al raggiungimento dell’uniformità di temperatura: in questa condizione finale
(di equilibrio) l’entropia è massima e tale permane.
Si noti che la (5.44) può applicarsi al calcolo della produzione entropica elementare
che accompagna un passaggio spontaneo di calore da un corpo caldo ad uno freddo. Per una
differenza di temperatura tra il sistema considerato e l’esterno si può infatti procedere in
maniera analoga, comprendendo nell’involucro isolato la parte di esterno interessata allo
scambio termico.
94
Esempio 5.5
Si determini la produzione entropica per unità di tempo associata al flusso termico di 2.36 MW, scambiato tra
due sorgenti termiche alle temperatura rispettive di 2000 K e 500 K.
---------------------------
Il flusso di produzione entropica associato alla trasmissione del calore tra le due sorgenti può determinarsi in
base all’equazione (5.44) che, per il problema in esame, diventa:
∆S s• = q (
1
1
1
1
− ) = 2.36 ⋅10 3 ⋅ (
−
) = 3.54 kJ / K
T2 T1
500 2000
Esempio 5.6
Una massa di rame di 1 kg, inizialmente alla temperatura di Ti ,Cu =450 °C, viene immersa in acqua alla
temperatura iniziale di Ti , H 2O =20°C. Il sistema costituito dalle due massa è termicamente isolato dall’esterno e
si può ritenere che le variazioni di volume delle parti che lo compongono rimangano costanti durante il processo
spontaneo di scambio termico, fino al raggiungimento della temperatura finale di equilibrio. Si determini la
temperatura finale del sistema e l’ammontare della produzione entropica, assumendo che la massa di acqua sia
pari a 40 kg.
(Si assuma:
cCu = 0.385 kJ / kgK , c H 2O = 4.18 kJ / kgK ).
---------------------------
La temperatura finale di equilibrio si ottiene dal bilancio energetico del sistema combinato, per il quale l’energia
complessiva si conserva (5.47):
mCu cCu (T f − Ti ,Cu ) + m H 2O c H 2O (T f − Ti , H 2O ) = 0
Si ricava così:
Tf =
mCu cCu Ti ,Cu + m H 2O c H 2O Ti , H 2O )
mCu cCu + m H 2O c H 2O
= 294.6 K
La produzione entropica, essendo il sistema complessivo adiabatico, è pari alla variazione di entropia totale che
risulta:
Tf
Tf
∆S s• = mCu cCu ln
+ m H 2O c H 2O ln
Ti ,Cu
Ti , H 2O
In definitiva risulta:
∆S s• = −0.3457 + 0.8250 = 0.4793 kJ / K
La massa di rame, che cede calore all’acqua, è soggetta ad una diminuzione di entropia. L’entropia dell’acqua
invece aumenta. In accordo con il secondo principio, l’entropia del sistema isolato complessivo (rame + acqua)
aumenta nel processo spontaneo di riequilibrio della temperatura.
95
3. Produzione entropica per reazione chimica
Per valutare la produzione entropica associata alla variabile chimica, si consideri
infine una reazione chimica adiabatica ed isocora.
Il processo in esame, in assenza di scambi termici e di lavoro con l’esterno, per il I principio è
descritto dall’equazione: dU t = 0 . Per la (5.40) si ha quindi:
TdS − pdv + Xdx = 0
ma dv = 0 ed inoltre TdS = dQ + Tds s con dQ = 0 , è dunque:
dS s = −
X
1 ⎛ ∂U ⎞
dx = − ⎜ t ⎟ dx
T
T ⎝ ∂x ⎠ S , v
(5.48)
Le irreversibilità connesse alle reazioni chimiche si possono valutare facendo riferimento alla
(5.48) ed applicando la definizione operativa del calore di reazione.
5.9. Equazioni di validità generale
In questo capitolo e nel precedente sono state introdotte numerose equazioni mediante
le quali è possibile descrivere il comportamento termodinamico di un sistema in relazione agli
scambi energetici ed alle variazioni delle sue proprietà termodinamiche. Tra le relazioni
sviluppate alcune hanno validità generale, possono cioè essere applicate anche a processi
irreversibili, mentre altre valgono soltanto nel caso limite di reversibilità. Le equazioni di
validità generale appartengono alle seguenti tre categorie.
1. Equazioni di bilancio: contengono entrambi i termini effettivi di scambio ( dQ e dL ),
valgono con generalità, anche per trasformazioni irreversibili, essendo espressioni
derivate dall’osservazione sperimentale.
Tra le equazioni appartenenti a questa categoria si possono ricordare ad esempio:
l’equazione di bilancio energetico per un sistema chiuso, con baricentro mobile in un
definito referenziale spazio-temporale nel caso di tre variabili interne di stato:
dQ − dL = dU t + dE p + dEc
(5.49)
l’equazione di bilancio energetico di un sistema aperto (volume di controllo), in regime
permanente, nel caso di un solo ingresso ed una sola uscita, attraversato da un fluido
termodinamico:
1
Q1, 2 − Le 1, 2 = H 2 − H 1 + ( w22 − w12 ) + g ( z 2 − z1 )
2
(5.50)
l’equazione del bilancio energetico di un volume di controllo, con più ingressi ed uscite,
nel caso di regime non stazionario, per un fluido termodinamico:
dE cv
w2
w2
= q − Pe + ∑ m& e ( H e + e + gz e ) − ∑ m& u ( H u + u + gz u ) (5.51)
2
2
dτ
e
u
96
2. Equazioni contenenti soltanto valori attuali e variazioni effettive di quantità di
stato. Tra le equazioni di questa categoria si riportano ad esempio le espressioni
dell’energia interna e dell’entalpia, in funzione dell’entropia e del volume specifico,
ovvero della pressione, oltre che della variabile chimica, per sistemi a tre variabili
interne:
3.
dU t = TdS − pdv + Xdx
(5.52)
dH t = TdS + vdp + Xdx
(5.53)
Equazioni contenenti la produzione entropica: sono dedotte dalle combinazione di
equazioni della prima e della seconda categoria con la relazione di Clausius,
contengono un solo termine di scambio, ma anche il termine di dissipazione. Dalle
(5.40) e (5.41), ad esempio, sostituendo la (5.15), si ottengono le seguenti:
dU t = dQ + TdS s − pdv + Xdx
(5.54)
dH t = dQ + TdS s + vdp + Xdx
(5.55)
Si noti infine che le equazioni contenenti soltanto un termine di scambio sono normalmente
applicabili solo a processi reversibili.
5.10. Precisazioni sull’equilibrio termodinamico
Un sistema viene detto in equilibrio termodinamico quando, isolato dall’esterno, le sue
proprietà macroscopiche non subiscono variazioni nel tempo. Un importante requisito per
l’equilibrio è l’uniformità di temperatura. Se questa condizione non fosse soddisfatta si
verificherebbe infatti un passaggio di calore spontaneo tra le parti del sistema. Inoltre, non
devono esserci forze non bilanciate tra le parti del sistema. Tali condizioni assicurano che il
sistema è in equilibrio termico e meccanico, ma c’è ancora la possibilità di non completo
equilibrio per altri processi che ad esempio possono riguardare reazioni chimica e fenomeni di
trasporto di massa tra diverse fasi.
Un criterio per definire condizioni di equilibrio meccanico e termico di una sostanza
pura può essere ottenuto in base alle equazioni fondamentali del I e II principio.
In assenza di moto del sistema ed ignorando gli effetti della gravità, per un fluido a due
variabili, si ha:
I principio:
dU = dQ − dL
(4.9)
II principio: TdS = dQ + TdS s
(5.15)
Combinando le due equazioni si ottiene:
TdS − TdS s − dU − dL = 0
ed infine
TdS − dU − dL = TdS s
97
Così, ad esempio, in un processo riguardante un sistema chiuso e isolato ( dQ = 0, dL = 0 e
quindi dU=0), le sole variazioni possibili di quantità di stato possono avvenire con aumento di
entropia:
TdS − dU − dL = TdS s > 0
e quindi
dS = dS s > 0
I soli processi possibili per il sistema chiuso e isolato sono quelli che avvengono con un
aumento di entropia. Questo implica anche che l’entropia tenderà a raggiungere un valore
massimo mentre il sistema evolve verso l’equilibrio, dopodiché più nessuna trasformazione
spontanea potrà avvenire.
98
------------------------------------------------------------------------------------------------
CAPITOLO
6
PROPRIETA’ DELLE SOSTANZE PURE
------------------------------------------------------------------------------------------------
In questo capitolo vengono presentate le proprietà delle sostanze pure ed il loro comportamento nei
diversi stati di aggregazione e nei passaggi di stato. La conoscenza delle proprietà delle sostanze è fondamentale
per l'applicazione dei bilanci energetici ed entropici ai sistemi termodinamici. Di particolare interesse è il
comportamento dei fluidi, sostanze in fase liquida e aeriforme, per essi vengono descritti i principali diagrammi
termodinamici ed alcune caratteristiche e trasformazioni fondamentali. Il comportamento dei gas reali viene
esaminato in particolare per introdurre il gas perfetto e le sue caratteristiche. Del gas perfetto vengono studiate le
principali trasformazioni.
6.1. Introduzione
Una sostanza omogenea, a composizione chimica costante, è definita sostanza pura,
indipendentemente dallo stato di aggregazione. Quindi l'acqua liquida, una sua miscela con
vapore acqueo ovvero una miscela di acqua in fase liquida e ghiaccio, costituiscono tutti
esempi di una stessa sostanza pura. D'altra parte una miscela di acqua liquida e di aria in fase
aeriforme non è una sostanza pura, poiché la composizione chimica della fase liquida è
diversa da quella della fase aeriforme. Talvolta una miscela di gas, come ad esempio l'aria, è
considerata sostanza pura fintanto che non si hanno passaggi di stato, in tali condizioni infatti
il suo comportamento è simile a quello di una sostanza pura.
Le sostanze che verranno di seguito trattate sono anche dette sostanze comprimibili semplici
(simple compressible substances) per indicare che per esse non si hanno significativi effetti
dovuti alla tensione superficiale o a fenomeni magnetici ed elettrici. Per tali sostanze lo
scambio di lavoro è solo di tipo meccanico e si determina in presenza di una dilatazione o
contrazione del sistema.
6.2. La relazione p,v,T per le sostanze pure
6.2.1. La superficie p,v,T
Lo stato di un sistema in equilibrio è la condizione descritta dai valori delle sue
proprietà termodinamiche. Dall'osservazione di molti sistemi termodinamici è noto che non
tutte le proprietà sono tra loro indipendenti. L'esperienza dimostra che per una sostanza pura,
il volume specifico e la temperatura possono essere ritenute variabili indipendenti e la
pressione determinata in funzione di esse: p = p ( v , T ) . Il grafico di una tale funzione è
noto come superficie p , v , T .
99
Le coordinate di un punto di tale superficie rappresentano il valore che pressione, volume
specifico e temperatura assumerebbero quando il sistema fosse in equilibrio. In Fig. 6.1 è
rappresentata la superficie p , v , T tipica della maggior parte delle sostanze che solidificando
si contraggono, mentre la Fig. 6.2 descrive il comportamento di alcune sostanze che, come
l'acqua, solidificando si dilatano.
Fig. 6.1. Superficie p , v , T tipica della maggior
parte delle sostanze che, solidificando, si
contraggono.
Fig. 6.2. Superficie p , v , T caratteristica di una
sostanza che, come l'acqua, solidificando si dilata.
In entrambe le superfici p , v , T sono presenti regioni indicate con solido, liquido, vapore. In
tali regioni, lo stato termodinamico è precisato da una qualsiasi coppia delle proprietà:
pressione, volume specifico ovvero temperatura, poiché tutte queste grandezze sono a due a
due indipendenti in presenza di una sola fase.
Tra le regioni monofase si trovano le zone di esistenza di due fasi che possono coesistere in
equilibrio, come nei passaggi di stato: liquido-vapore, solido-liquido, solido-vapore. Nelle
regioni bifase la pressione e la temperatura non sono indipendenti, ma sono legate
biunivocamente. Lo stato è allora precisato dalla conoscenza di p , ovvero T , e di un'altra
grandezza indipendente come ad esempio il volume specifico; valgono quindi le coppie v , p e
v , T . Si parla in questo caso di un sistema ad un solo grado di libertà: data la pressione (o la
temperatura), è fissata all’equilibrio la temperatura (o la pressione).
Tre fasi possono infine coesistere in equilibrio lungo la linea denominata linea tripla: in tal
caso il sistema perde ogni grado di libertà, pressione e temperatura hanno valori determinati.
Vale, come è noto, la regola delle fasi di Gibbs, per la quale il numero di proprietà intensive
indipendenti (gradi di libertà) (i) è pari al numero delle specie molecolari o componenti (C)
più 2, meno il numero delle fasi presenti nel sistema(F): i = C + 2 − F .
Le linee che separano le regioni monofase da quelle bifase sono dette linee di saturazione ed
ogni punto su di esse rappresenta uno stato di saturazione. Così la linea che separa la regione
100
della fase liquida dalla regione bifase liquido vapore è detta del liquido saturo, mentre la linea
del vapore saturo (secco) separa la regione bifase liquido vapore dalla regione del solo
vapore.
Le due linee del liquido saturo e del vapore saturo secco convergono in uno stato di
saturazione, caratterizzato da un unico valore del volume specifico, detto punto
termodinamico critico. La sua temperatura, denominata temperatura critica, è la temperatura
massima a cui possono coesistere in equilibrio liquido e vapore. La pressione ed il volume
specifico nel punto critico sono denominati, rispettivamente, pressione critica e volume
specifico critico.
Dalle proiezioni della superficie p , v , T si possono ottenere più convenienti diagrammi
bidimensionali. La proiezione sul piano p , T , rappresenta il diagramma delle fasi o
diagramma di stato della sostanza. Le proiezioni sui piani p,v e p,T, forniscono i
corrispondenti piani termodinamici, di cui il primo di particolare interesse.
6.2.2. Il diagramma delle fasi
La proiezione della superficie p , v , T sul piano p , T determina un diagramma
denominato diagramma delle fasi o diagramma di stato. In questo piano le regioni bifase si
riducono a linee, ogni punto delle quali rappresenta una miscela bifase in una particolare
condizione di equilibrio.
p
p
liquido
liquido
P.C.
pB
solido
P.C.
solido
A
pA
vapore
B
vapore
Ps(TA)
P.T.
P.T
T
Fig. 6.3. Diagramma delle fasi per sostanze che
solidificando si contraggono.
T A TS ( p B ) TB
T
Fig. 6.4. Diagramma delle fasi per sostanze che, come
l’acqua, solidificando si dilatano.
Le figure 6.3 e 6.4 riportano due di tali diagrammi, rispettivamente, per una sostanza che
solidificando si contrae e per una, come l'acqua, che invece solidificando si dilata.
In questi diagrammi si hanno tre curve, corrispondenti a condizioni di equilibrio tra fasi, che
separano le regioni in cui la sostanza si presenta in forma liquida, solida o aeriforme, da ciò il
nome di diagramma delle fasi. Le tre curve confluiscono nel punto triplo (P.T.), proiezione
della linea tripla della superficie p , v , T sul piano p , T . E' importante notare che la linea tripla
rappresenta una molteplicità di stati fisici (non è un definito stato termodinamico).
101
Il punto triplo dell'acqua è utilizzato come riferimento nella definizione delle scale di
temperatura. Il valore di temperatura assegnato al punto triplo dell'acqua è 273.16 K, a cui
corrisponde una pressione di equilibrio misurata pari a 0.6113 kPa.
Il termine temperatura di saturazione viene usato per indicare la temperatura di passaggio di
stato ad una data pressione, che a sua volta si dice pressione di saturazione per il passaggio di
stato ad una definita temperatura.
La curva che separa la regione della fase liquida da quella della fase aeriforme è denominata
curva di vaporizzazione (o di condensazione). Termina in un punto detto punto critico (P.C.),
ed ogni suo punto, con l'eccezione di quello critico, non rappresenta un definito stato
termodinamico, ma una molteplicità di stati. La pendenza della curva è per tutte le sostanze
positiva, questo significa che la temperatura di ebollizione cresce con la pressione.
La curva che separa la fase solida dalla fase liquida è detta curva di solidificazione (o di
fusione). La sua pendenza per la maggior parte delle sostanze è positiva, solo per alcune, tra
le quali l'acqua, è negativa. Si ha così che la temperatura di solidificazione dell'acqua
diminuisce all'aumentare della pressione ed il ghiaccio, sottoposto ad una elevata pressione
locale, si scioglie originando uno strato lubrificante liquido che, per esempio, facilita lo
scorrimento dei pattini sul ghiaccio.
Infine, la curva separante la fase solida dalla fase aeriforme è chiamata curva di sublimazione
(o di condensazione). La pendenza è positiva per tutte le sostanze. Come si può notare, un
solido può passare direttamente allo stato aeriforme soltanto a pressione e temperatura
inferiori a quelle del punto triplo. In condizioni climatiche particolarmente fredde si stabilisce
il passaggio inverso per l'acqua con il vapore acqueo che gela. Diverse sono le applicazioni di
questo fenomeno fisico in connessione con la solidificazione a secco, ad esempio in
elettronica il processo di sublimazione consente il deposito di film sottili su altre superfici per
la produzione di circuiti integrati.
Il piano p , T consente infine di introdurre i concetti di vapore surriscaldato e liquido
compresso (sottoraffreddato). Se si considera ad esempio (Fig.6.4) uno stato A nella regione
del liquido, si dirà che trattasi di liquido compresso perché la pressione attuale p A è
maggiore della pressione di saturazione ( p s (T A ) ) corrispondente alla temperatura attuale T A .
In modo analogo si dirà vapore surriscaldato il vapore nello stato B, trovandosi ad una
temperatura TB maggiore della temperatura di saturazione ( Ts ( p B ) ) corrispondente alla
pressione attuale p B .
I passaggi di stato sono sempre accompagnati da un forte scambio di calore con l’esterno:
positivo (calore fornito al sistema) nel caso della fusione e della vaporizzazione; negativo
(calore sottratto al sistema) nel caso della solidificazione e della condensazione
(liquefazione). Il calore scambiato dall’unità di massa che effettua il passaggio di stato è detto
calore latente del passaggio di stato in esame: quello di fusione, per una data sostanza, è
uguale in valore assoluto a quello di solidificazione, così come quello di vaporizzazione è
uguale e di segno contrario a quello di liquefazione. I calori latenti sono funzione della
temperatura a cui avviene il passaggio di stato.
Poiché i passaggi di stato in equilibrio avvengono a pressione costante, si usa anche
denominare i calori latenti come variazioni di entalpia al passaggio di stato.
6.2.3. Il passaggio di stato liquido-vapore - Diagramma di Clapeyron
Per rappresentare il comportamento delle sostanze pure a temperature vicine a quelle
di liquefazione si presta bene il diagramma di Clapeyron, nel quale sulle ascisse sono portati i
volumi specifici e sulle ordinate le pressioni (Fig. 6.5). Su questo piano le linee “isoterme”
102
per temperature lontane da quella termodinamica critica sono prossime a delle iperboli, come
per il cosiddetto “gas perfetto”, mentre assumono un andamento caratteristico a temperature
minori.
Le prime trasformazioni isoterme di gas reali furono studiate da Andrews (1869) che analizzò
il comportamento dell’anidride carbonica. A temperature superiori a 48°C le isoterme della
CO2 si allontanano poco dall’andamento iperbolico, pur essendo il prodotto pv piuttosto
diverso da quello corrispondente allo stato perfetto. Per temperature inferiori le isoterme
presentano un flesso con tangente di inclinazione sempre minore finché per T = 30.9°C (dato
di Andrews) la tangente è orizzontale. Per temperature ancora minori l’isoterma presenta un
tratto orizzontale la cui lunghezza aumenta col diminuire della temperatura. Lungo questo
tratto dunque la pressione rimane costante pur avendosi una importante variazione del volume
specifico: si ha la liquefazione dell’anidride, che ha inizio all’estremo destro di ogni tratto e
termina all’estremità di sinistra. A partire da questo punto le isoterme salgono rapidamente
data la piccolissima comprimibilità dei liquidi.
L’anidride carbonica ad una temperatura superiore a 30.9°C non si presenta mai allo stato
liquido, qualunque sia la pressione a cui è sottoposta. Per temperature minori si può ottenerne
la liquefazione e con pressioni di equilibrio tanto minori quanto minore è la T. L’isoterma
separante le due regioni è detta isoterma critica ( T = Tc ).
p
CO2
P.C.
c.l.i
I
T= cost
II
T=Tc=cost=30.9 °C
IV
c.l.s.
III
M
A
vl
v
B
vv
v
Fig. 6.5. Diagramma p, v ottenuto da Andrews per l’anidride carbonica.
Un comportamento simile è presentato da tutti gli aeriformi: al di sopra di una particolare
temperatura (critica), caratteristica della sostanza, essi non possono essere liquefatti, sono
cioè incoercibili; al di sotto sono liquefacibili. Fu questa scoperta che diede nuovo impulso ai
tentativi di liquefazione dei gas e così fu possibile ottenere liquidi l’ossigeno, l’idrogeno,
l’elio e raggiungere temperature vicinissime allo zero assoluto.
Nel diagramma p , v il luogo dei punti che rappresentano la condizione di liquido saturo
prende il nome di curva limite inferiore (c.l.i.), mentre con curva limite superiore (c.l.s.) si
103
indica il luogo dei punti rappresentativi dello stato di vapore saturo secco. Considerando le
suddette due curve limite e l’isoterma critica si possono individuano quattro zone:
I)
al di sopra della isoterma critica il fluido è allo stato aeriforme ed è
denominato gas;
II)
la regione compresa tra le curve limiti è detta del vapore saturo ed il fluido
presenta le due fasi liquido e vapore in equilibrio;
III)
tra la curva limite superiore e l'isoterma critica la sostanza si presenta in fase
aeriforme ed è denominata vapore surriscaldato;
IV)
tra l'isoterma critica e la curva limite inferiore si ha il liquido compresso.
Al riguardo della distinzione tra gas e vapore surriscaldato è opportuno notare che essa non ha
riscontro nel comportamento delle sostanze: si parla di gas o vapore soltanto in relazione alla
temperatura attuale del sistema, rispetto alla temperatura dello stato termodinamico critico.
Nella tabella seguente si riportano le coordinate termodinamiche del punto critico (P.C.) e del
punto triplo (P.T.) di alcune sostanze:
Sostanza
T P.C. , K
p P.C. , kPa
T P.T. , K
p P.T. , kPa
H2 O
C2 O
O2
N2
647.13
304.20
154.58
126.20
22055
7377
5043
3390
273.16
216.48
54.36
63.50
0.61
517
0.15
12.53
Esaminiamo ora più in dettaglio la regione del vapore saturo (zona II), in cui si ha una
miscela di liquido e vapore ad una pressione che è la massima compatibile con la temperatura
a cui si trova. Per tali miscele si dice titolo (x) il rapporto tra la massa di vapore e la massa
totale della miscela:
mv
(6.1)
x=
m v + ml
Indicando con vl il volume specifico del liquido saturo, con v v il volume specifico del vapore
saturo secco e con v quello della miscela, si può facilmente dimostrare che:
v = (1 − x) vl + x vv
ovvero che:
v = v l + x (v v − v l )
(6.2)
da cui:
x=
v − vl
AM
=
v v − vl
AB
(6.3)
avendo indicato con M il punto rappresentativo dello stato della miscela, con A e B i punti
appartenenti alla stessa isotermobarica, situati sulla curva limite inferiore e sulla curva limite
superiore, rispettivamente. Lungo la curva limite inferiore il titolo è zero (tutto liquido) e lo
stato corrispondente è definito liquido saturo, lungo la curva limite superiore il titolo è
unitario (solo vapore) e si parla di vapore saturo secco. Il titolo e la pressione, ovvero il titolo
e la temperatura, caratterizzano la miscela nella regione del vapore saturo.
104
Processi a volume costante
Se una miscela liquido-vapore in equilibrio (a saturazione) viene riscaldata
gradualmente a volume costante, il processo può svilupparsi con diverse modalità, in funzione
del rapporto di massa iniziale tra le due fasi, come è ad esempio indicato nelle figure 6.6 e 6.7
a), b) e c).
Si supponga che una quantità di calore Q venga fornita ad un vapore saturo contenuto in un
recipiente a pareti rigide ed indilatabili. Si possono verificare le seguenti condizioni:
a) rapporto iniziale liquido-vapore relativamente piccolo (elevati valori del titolo):
all'aumentare della temperatura, cresce con essa la pressione di equilibrio, il punto
caratteristico dello stato della miscela si approssima alla curva limite superiore e l’attraversa,
il menisco di separazione tra le fasi si abbassa verso il fondo del contenitore, fino alla
vaporizzazione completa del liquido.
p
Vapore
surriscaldato
Liquido
Vapore
saturo
b)
c)
a)
v
Fig. 6.6. Trasformazioni a volume costante di un vapore saturo
(b) rapporto iniziale liquido vapore elevato (bassi titoli): fornendo calore il punto
rappresentativo dello stato termodinamico attraversa la curva limite inferiore ed il menisco
sale; il riscaldamento provoca infatti la condensazione del vapore, per l'aumento della
pressione.
(c) il rapporto liquido-vapore è tale che la trasformazione passa per il punto critico: il menisco
tende a non spostarsi fino a scomparire progressivamente, poiché le proprietà delle due fasi e
l'indice di rifrazione in particolare, tendono ad eguagliarsi rendendo impercettibile la
separazione.
Q
Q
a)
Q
b)
c)
Fig.6.7. Schema del processo di riscaldamento di un vapore saturo a volume costante.
105
Processi a pressione costante
Si consideri un liquido compresso (stato 1) e si supponga di trasferire ad esso del
calore a pressione costante. Per effetto dello scambio termico, la temperatura aumenterà
dapprima dal valore iniziale T1 fino al valore di saturazione Tsat mentre successivamente, si
avrà la vaporizzazione del liquido, a temperatura costante, con grande aumento del volume
specifico della miscela. Raggiunto lo stato di vapore saturo secco (x=1), l’ulteriore apporto di
calore provocherà il surriscaldamento del vapore con aumento della temperatura (stato 2).
T1
p
Tsat
2
1
Tsat
v
Fig. 6.8. Passaggio di stato a pressione costante di un liquido.
6.2.4. Il diagramma T,S
Per lo studio delle proprietà termodinamiche e dei processi che interessano le sostanze
pure, allo stato liquido o aeriforme, è spesso conveniente utilizzare il piano T , S , denominato
diagramma entropico o diagramma di Gibbs.
Per i processi ciclici che si attuano nelle macchine termiche, il campo dei valori di
temperatura generalmente considerato è al di sopra del punto triplo. Le curve di equilibrio
liquido vapore hanno un andamento caratteristico a campana e, in scala lineare, è possibile
rappresentarle per intero, come è mostrato nella Fig. 6.9 che riporta il piano entropico
dell’acqua. Per tale sostanza il diagramma è generalmente costruito ponendo all’origine degli
assi il punto triplo avente coordinate T = 0.01 °C, p = 0.6113 kPa, nello stato di liquido
saturo. Per convenzione internazionale, in tale stato si è assunta uguale a zero l’entropia.
Le curve limite inferiore e superiore rappresentano anche le linee isotitolo a x = 0 e x = 1 ,
rispettivamente. La generica curva a titolo x può ottenersi notando che l’entropia della
miscela liquido-vapore nel generico punto M, in quanto proprietà estensiva, può scriversi:
S = S l (1 − x) + S v x
avendo indicato con S l l’entropia specifica del liquido saturo, con S v l’entropia specifica del
vapore saturo secco e con S quella della miscela. Dalla precedente si ha:
S − Sl
(6.4)
Sv − Sl
Ogni segmento isotermobarico può suddividersi proporzionalmente al titolo e da ciò si
possono ottenere le curve isotitolo.
x=
106
Le isobare sono parallele all’asse delle ascisse nella regione del vapore saturo, essendo in
quella condizione anche isoterme, mentre nella regione del liquido risultano molto vicine tra
loro ed alla curva limite inferiore. Nel passaggio dall’interno all’esterno della regione del
vapore saturo presentano un punto angoloso, mentre nelle regioni di esistenza della fase
aeriforme (vapore e gas) le isobare sono caratterizzate da pendenza positiva, crescente con la
temperatura, secondo la relazione:
T
⎛ dT ⎞
⎜
⎟ =
⎝ dS ⎠ p c p
(6.5)
ottenuta dalla relazione
dH = TdS + vdp .
Nelle stesse regioni presentano andamento analogo, ma pendenza più elevata, le linee isocore
(a volume costante), essendo:
T
⎛ dT ⎞
⎜
⎟ =
⎝ dS ⎠ v c v
(6.6)
ottenuta dalla relazione :
dU = TdS − pdv .
Le isocore nella regione del vapore saturo hanno pendenza positiva, come si è notato
descrivendo i passaggi di stato a volume costante, al riguardo delle variazioni di temperatura
e pressione.
T °C
S kJ / kg K
Fig. 6.9. Diagramma entropico dell’acqua, con l’origine nello stato di riferimento: punto triplo, liquido saturo.
107
Le linee isoentalpiche, infine, sono caratterizzate da pendenza negativa in tutto il piano, con
la sola eccezione della regione del liquido compresso in prossimità della curva limite
inferiore. Si ha infatti:
⎛ ∂S ⎞
v
⎜⎜ ⎟⎟ = − ,
T
⎝ ∂p ⎠ H
ovvero:
⎛ ∂S ⎞
v
⎛ ∂S ⎞ ⎛ ∂T ⎞
⎟⎟ = −
⎜⎜ ⎟⎟ = ⎜
⎟ ⋅ ⎜⎜
T
⎝ ∂p ⎠ H ⎝ ∂T ⎠ H ⎝ ∂p ⎠ H
da cui :
v ⎛ ∂T ⎞
v 1
⎛ ∂S ⎞
⎟⎟ = −
⎟ = − / ⎜⎜
⎜
T ⎝ ∂p ⎠ H
T µJ
⎝ ∂T ⎠ H
(6.7)
⎛ ∂T ⎞
⎟⎟ = µ J è detta coefficiente di Joule Thomson (Cfr. par. 6.4) ed è di
⎜⎜
⎝ ∂p ⎠ H
segno positivo in tutto il piano entropico con l’eccezione sopra indicata.
Dall’andamento delle isoentalpiche si ricava che l’entalpia specifica del vapore saturo secco
dell’acqua è massima ad una temperatura di circa 240°C, inferiore alla temperatura critica.
La quantità
6.2.5. Il diagramma H,S
E’ denominato diagramma entalpico o diagramma di Mollier, dal nome di chi, per
primo, lo introdusse. Riporta sulle ascisse e sulle ordinate due grandezze estensive ed è
pertanto riferito all’unità di massa. Anche questo diagramma è molto utilizzato per
l’importanza delle variazioni di entalpia nei processi termodinamici concreti.
Una schematizzazione del piano H, S è riportata in Fig. 6.10, ancora con riferimento
all’acqua.
Nell’origine del diagramma è lo stato di liquido saturo del punto triplo, con valore nullo
dell’entropia e molto prossimo a zero per l’entalpia espressa nelle unità consuete del S.I.. Le
curve limite inferiore e superiore individuano la zona di esistenza del vapore saturo. La curva
limite superiore, in particolare, si “chiude” sul segmento che rappresenta il passaggio di stato
isotermobarico al punto triplo.
Dalla equazione dH = TdS + vdp , per dp = 0 , risulta:
⎛ dH ⎞
⎟ =T
⎜
⎝ dS ⎠ p
(6.8)
Le isobare hanno dunque pendenza positiva e pari a T in tutto il piano. Nella regione del
vapore saturo le isobare sono anche isoterme e dunque rettilinee. Nella regione del vapore
surriscaldato e del gas, le isobare hanno pendenza positiva, di valore crescente con l’entalpia,
e per una valore fissato di H la pressione diminuisce all’aumentare dell’entropia. Le stesse
isobare non presentano punti angolosi nel passaggio attraverso le curve limiti inferiore e
superiore.
Il valore del titolo in un generico punto interno alla regione del vapore saturo, può essere
ottenuto dal rapporto tra segmenti individuati sull’isotermobarica corrispondente. Essendo
l’entalpia e l’entropia grandezze estensive, si ha infatti:
108
S = S l (1 − x) + S v x
H = H l (1 − x) + H v x
da cui:
x=
S − Sl
H − Hl
AM
=
=
Sv − Sl H v − H l
AB
(6.9)
Le curve isotitolo possono tracciarsi in base alla (6.9) come semplici rapporti tra segmenti.
Si noti infine che, nella regione del vapore surriscaldato e del gas, le isocore hanno
andamento simile a quello delle isobare e che le isoterme tendono a diventare isoentalpiche
per basse pressioni ed elevate temperature.
H
kJ / kg K
S kJ / kg K
Fig. 6.10. Diagramma entalpico o di Mollier (H,S) dell’acqua.
6.2.6. Il diagramma p,H
Riporta in ordinate la pressione ed in ascisse l’entalpia ed è utilizzato in modo
particolare per la rappresentazione dei cicli termodinamici inversi. Nel campo di valori della
pressione di normale impiego, il diagramma assume la configurazione tipica rappresentata in
Fig. 6.11, in cui la pressione è normalmente posta in scala logaritmica.
Come si può notare le isoterme nella regione del liquido hanno un andamento praticamente
verticale e quindi coincidente con le isoentalpiche; andamento verticale si ha anche
asintoticamente nella regione del vapore, per elevate temperature e basse pressioni.
Nella regione del vapore saturo il titolo è proporzionale all’entalpia, per una data pressione.
Ne segue che le isotitolo possono ottenersi come luogo dei punti che presentano la stessa
variazione relativa di entalpia nel passaggio di stato isotermobarico.
109
In tutto il diagramma le isoentropiche sono caratterizzate da pendenza positiva, senza spigoli,
poiché risulta, dalla (5.16):
1
⎛ ∂p ⎞
⎜
⎟ =
⎝ ∂H ⎠ s v
(6.10)
Per una definita pressione il valore dell’entropia è poi funzione crescente dell’entalpia.
Fig. 6.11. Diagramma ( p, H ) di un generico refrigerante, con scala logaritmica della pressione.
Esercizio 6.1
Un recipiente a pareti rigide ed indilatabili contiene 1 kg di vapore d’acqua saturo alla pressione di 1.2 bar. Il
sistema costituito dal fluido riceve calore a volume costante fino al raggiungimento dello stato termodinamico
critico. Si valuti il volume del recipiente, la massa di liquido e di vapore inizialmente presenti e la quantità di
calore fornita per la trasformazione.
----------------------------------La trasformazione è isocora e quindi il volume del recipiente può ottenersi dal volume specifico dell’acqua nel
punto termodinamico critico v c .
Dalle tabelle dell’acqua risulta v c = 0.00317 m3/kg e quindi il volume del recipiente è V=0.00317 m3.
Le masse di fase liquida e fase vapore nello stato iniziale possono ottenersi dal calcolo del titolo del vapore
saturo nello stesso stato. Per la (6.3):
x1 =
v − vl
0 . 00317 − 0 . 001048
=
= 0 . 0015
1 . 428 − 0 . 001048
vv − vl
avendo indicato con v c e vl , rispettivamente, il volume specifico del vapore saturo secco e quello del liquido
saturo alla pressione iniziale di 1.2 bar.
La massa di liquido e di vapore presenti nella miscela iniziale risultano:
ml = m (1 − x) = 0.9985kg
La quantità di calore fornita per la trasformazione è data da:
mv = m x = 0.0015kg
Q1, 2 • = (U 2 − U 1 ) m = [U c − (U l (1 − x1 ) + U v x1 )] m = 1.6 kJ
110
avendo indicato con U c , U l e U v l’energia interna (specifica) nel punto critico, quella del liquido saturo e
quella del vapore saturo secco nello stato iniziale. L’energia interna iniziale è ottenuta come somma delle
energie interne delle due fasi essendo, si noti, una grandezza estensiva.
Esercizio 6.2
Ad 1 kg di vapore acqueo saturo alla pressione di 2 MPa e titolo 0.9, viene fornito calore a pressione costante,
fino allo stato di vapore saturo secco. Si valuti l’entità degli scambi di calore e lavoro, nonché la variazione di
entropia nell’ipotesi di reversibilità della trasformazione.
----------------------------------Nello stato iniziale 1 si hanno i seguenti valori delle principali proprietà:
v1 = vl + (vv − vl ) x1 = 0.0896 m3/kg
H 1 = H l + ( H v − H l ) x1 = 2608.3 kJ/kg
S1 = S l + ( S v − S l ) x1 = 5.9488 kJ/kg K
I valori nello stato 1 sono infatti calcolabili considerando che le proprietà considerate sono grandezze estensive
e che il sistema è costituito da una miscela di liquido e vapore saturo secco in equilibrio, con frazione ponderale
di liquido x.
Lungo l’isobara gli scambi risultano:
Q1, 2 = H 2 − H 1 = H v − H 1 = 188.9 kJ/kg
L1, 2 = p (vv − v1 ) = 19.9 kJ/kg
La variazione di entropia è infine:
∆S = S v − S1 = - 1.543 kJ/kgK
6.3. Proprietà termodinamiche dei gas reali
In molti processi termodinamici il fluido evolvente si presenta in fase aeriforme
(vapore surriscaldato o gas) ed in tale condizione le sostanze vengono dette gas reali. La
valutazione delle proprietà e lo studio delle relazioni tra pressione, temperatura e volume
specifico dei gas reali, riveste dunque grande importanza, anche allo scopo di introdurre
modelli denominati “gas ideali”. Tra questi il “gas perfetto” è ampiamente utilizzato per
studiare trasformazioni e cicli termodinamici in prima approssimazione.
6.3.1. La costante universale
Si consideri una mole di un dato gas, contenuta in un cilindro con pistone e si
supponga che il tutto sia mantenuto a temperatura costante. Spostando il pistone si possono
ottenere diversi stati di equilibrio del gas, alla stessa temperatura. Indicando con V il volume
molare del gas, si osserva che il rapporto pV/T, in funzione della pressione p, a pressioni
relativamente basse, fornisce andamenti simili a quelli rappresentati in Fig. 6.12.
Estrapolando per p → 0 il valore dei rapporti (pV/T), per tutte le temperature sperimentali
considerate, si ricava un valore limite comune R del rapporto stesso:
111
lim
p →0
pV
=R
T
(6.11)
pV / T
T1
R
T2
T3
p
Fig. 6.12. Andamento del prodotto p V / T in funzione della pressione, per un dato gas, a varie temperature.
Se questa procedura viene ripetuta per altri gas reali, operando sempre su una mole di gas, si
trova che il valore limite di R per p → 0 è sempre lo stesso, cosicché R assume il
significato di costante universale dei gas. Il suo valore determinato sperimentalmente risulta:
R = 8.314
kj
kmol K
6.3.2. Il fattore di comprimibilità
Il rapporto adimensionale pV/RT è denominato fattore di comprimibilità ed è
generalmente indicato con Z . Poiché il volume molare V (pari al volume totale V, diviso per
il numero di moli n) si può esprimere in funzione della massa molecolare del gas M e del suo
volume specifico v, come V=M v, Z può anche scriversi:
Z=
pV
pv
pV
pV
=
=
=
RT R1T mR1T nRT
(6.12)
avendo indicato con R1 = R / M la costante caratteristica del gas e con m la massa di gas.
Dalle precedenti relazioni (6.11) e (6.12) si ha:
lim Z = 1
p →0
Il fattore di comprimibilità, al tendere a zero della pressione, tende dunque ad 1 per tutti i gas,
a tutte le temperature. Per altri valori di p e T si possono ottenere diagrammi simili a quello di
Fig. 6.13, relativo all’idrogeno.
112
Le variazioni di Z con p e T vengono generalmente espresse mediante uno sviluppo in serie in
funzione della pressione del tipo:
Z = 1 + Bˆ (T ) p + Cˆ (T ) p 2 + Dˆ (T ) p 3 + .........
(6.13)
Fig. 6.13. Andamento del fattore di comprimibilità Z per l’idrogeno, al variare di pressione e temperatura.
in cui i coefficienti Bˆ (T ), Cˆ (T ) , Dˆ (T ) .... sono determinati, almeno in dati intervalli, in
funzione della temperatura. Alternativamente lo sviluppo in serie può essere scritto in
funzione del volume molare, nella forma:
Z = 1+
B(T ) C (T ) D(T )
+ 2 +
+ .........
V
V
V3
(6.14)
Le equazioni (6.13) e (6.14) sono note come espansioni viriali ed i coefficienti come
coefficienti viriali. Le espansioni viriali possono essere derivate dalla meccanica statistica ed
ai coefficienti può attribuirsi un significato fisico preciso: B / V tiene conto delle interazioni
tra due molecole, C /V 2 delle interazioni tra tre molecole ecc. In linea di principio i
coefficienti viriali possono essere calcolati usando espressioni della meccanica statistica
sviluppate a partire da considerazioni sui campi di forze intorno alle molecole di un gas, ma
possono anche ottenersi sperimentalmente da relazioni p-v-T. Al tendere a zero della
pressione le forze di interazione tra molecole diventano trascurabili ed il fattore Z si
approssima all’unità.
Le (6.13) e (6.14) costituiscono relazioni base per lo sviluppo di equazioni di stato dei gas.
6.3.3. La carta generalizzata del fattore di comprimibilità
113
Diagrammi simili a quello dell'idrogeno (Fig. 6.13) possono ottenersi per altri gas. Ne
risultano andamenti qualitativamente simili, con curve che diventano quasi sovrapponibili se
si utilizzano coordinate opportunamente modificate. Il comportamento dei gas diventa anche
quantitativamente simile per opportune variabili ridotte e ciò è noto come principio degli stati
corrispondenti (proposto da van der Walls nel 1881).
Con tale approccio il fattore Z viene riportato in funzione della pressione ridotta ( p R ) e della
p R = p / p c , TR = T / Tc , essendo p c e Tc , rispettivamente, la
temperatura ridotta ( TR ):
pressione critica e la temperatura critica.
Fig. 6.14. Carta generalizzata del fattore di comprimibilità per diversi gas, in coordinate ridotte.
Il diagramma di Fig.6.14 mostra la carta generalizzata del fattore di comprimibilità ottenuta
per diversi gas, in cui in ascisse compare la pressione ridotta ed a parametro delle curve
interpolanti i dati sperimentali, la temperatura ridotta. Per ogni valore della temperatura
ridotta, lo scarto tra i valori di Z misurati per i diversi gas tende a crescere con la pressione,
ma è comunque sempre piuttosto contenuto. Il criterio degli stati corrispondenti rappresenta
tuttavia soltanto una approssimazione. Per tutte le sostanze la carta fornisce un valore medio
di Z di circa 0.27 al punto critico termodinamico, con valori estremi compresi tra 0.23 e 0.33.
La imprecisione può essere ridotta considerando separatamente le sostanze che presentano lo
stesso valore di Z al punto critico, ovvero assumendo la correlazione:
Z = Z ( p R , TR , Z c )
in cui Z c è il fattore di comprimibilità al punto critico.
114
Il diagramma generalizzato del fattore di comprimibilità utilizza spesso la scala logaritmica
per le pressioni ridotte al fine di evidenziare la regione del vapore saturo. Si ottiene così il
diagramma di Fig. 6.15 in cui si può osservare la regione del vapore estesa fino allo stato
termodinamico critico.
Fig. 6.15. Diagramma generalizzato del fattore Z in coordinate semilogaritmiche.
6.3.4. Il gas perfetto
L'esame della carta generalizzata del fattore di comprimibilità mostra l'esistenza di
molte condizioni in cui lo stesso fattore è praticamente unitario. In particolare ciò accade per:
- pressioni ridotte inferiori a circa 0.05;
- temperature ridotte maggiori di 15;
- un esteso campo di valori della pressione ridotta per temperature ridotte dell'ordine di 2 3 unità.
Vi sono dunque ampie condizioni per le quali approssimativamente risulta:
pV
pv
=
=1
(6.15)
RT R1T
questa equazione definisce il gas perfetto o gas ideale e ne rappresenta il comportamento.
Molti gas di interesse tecnico sono utilizzati in campi di valori di pressione e temperatura in
cui è possibile applicare la (6.15) con ottima approssimazione, come può dedursi dalla tabella
seguente che riporta le coordinate del punto critico per diversi fluidi.
Z=
Aria
H2
N2
Ar
CH4
O2
H 2O
p c [bar ]
37.7
13.0
33.9
48.6
46.0
50.4
220.6
Tc [K ]
132.0
33.2
126.2
150.7
190.6
154.6
647.1
115
La (6.15) può scriversi in forme alternative:
pV = RT
pv = R1T
ovvero
ovvero
pV = nRT
pV = mR1T
Per il gas perfetto si può dimostrare attraverso relazioni termodinamiche generali che l'energia
interna e l'entalpia dipendono soltanto dalla temperatura. Si ha cioè:
dU =cv dT
e
dH =c p dT
L'energia interna e l'entalpia nel gas perfetto sono dunque funzioni soltanto della temperatura,
mentre nei gas reali dipendono anche da una variabile meccanica.
6.4. L'espansione di Joule Thomson
Si consideri il deflusso di un gas attraverso un setto poroso che introduce una
significativa caduta di pressione, secondo un processo molto simile alla laminazione
adiabatica, impiegato estesamente in applicazioni impiantistiche. La trasformazione subita dal
gas è nota come espansione di Joule-Thomson e può ottenersi mediante il dispositivo
rappresentato schematicamente in Fig. 6.16.
Il gas entra in 1 nelle condizioni p1 ,T1 ed esce nello stato p 2 ,T2 . Il dispositivo opera a
regime permanente. Il condotto è orizzontale, a pareti rigide ed indeformabili, ed il rapido
deflusso può ritenersi adiabatico. Le aree delle sezioni 1 e 2 del condotto sono inoltre
dimensionate in modo tale da rendere uguali le velocità del gas in ingresso ed in uscita.
In tali condizioni l'espansione del gas, provocata dal setto poroso, è un'adiabatica reale, con
produzione entropica per irreversibilità dovuta all'attrito.
Dall’equazione di bilancio dei sistemi aperti risulta:
si ha inoltre:
dH = 0
(6.16)
TdS s = −vdp
(6.17)
Le reversibile equivalente è dunque una isoentalpica. La trasformazione è inoltre
“dichiaratamente” irreversibile, perché se si annullasse la produzione entropica non si avrebbe
espansione del fluido.
1
2
p1 ,T1
p 2 ,T2
Fig. 6.16. Schema di un dispositivo per realizzare l’espansione di Joule-Thomson.
116
L'esperienza di Joule-Thomson (1853) assume particolare significato nello studio del
comportamento dei gas se si considera la variazione della temperatura tra ingresso ed uscita
(∆T = T1 − T2 ) , in funzione dello stato iniziale e della caduta di pressione imposta dal setto.
Per la maggior parte dei fluidi, alle temperature e pressioni ordinarie, durante l'espansione si
stabilisce un raffreddamento. Così, ad esempio, per l'aria si ha una diminuzione di 0.3 °C per
ogni atmosfera di caduta di pressione, nell'intorno di 0°C. Alcuni gas, invece, si riscaldano
espandendo: l'idrogeno presenta un incremento della temperatura di circa 0.03 °C, per ogni
atmosfera di caduta di pressione, sempre nell'intorno di 0°C. Questi risultati indicano una
dipendenza dell'entalpia dalla pressione, contrariamente a quanto può dedursi dall'equazione
di stato del gas perfetto. Per i vapori tale dipendenza è molto più sensibile.
Si può dunque in generale ottenere dalla sperimentazione il valore della derivata parziale
dell'entalpia rispetto alla pressione, a volume costante; è infatti:
dH = c dT + (
p
e poiché dT ≠ 0, dp ≠ 0:
(
∂H
) dp = 0
∂p T
dT
∂H
) T = −c p ( ) H
dp
∂p
(6.18)
dT
) H = µ J prende il nome di coefficiente di Joule-Thomson e dalla sua
dp
determinazione, noto il calore specifico a pressione costante, può ottenersi la derivata
dell'entalpia a pressione costante per il gas in esame. Lo stesso coefficiente può invece essere
utilizzato per valutare il calore specifico a volume costante se si conosce il valore del calore
di dilatazione isoterma (definito nel cap.7), legato alla variazione di entalpia con la pressione.
Si ha infatti:
1 ∂H
cp = −
(
)T
µ J ∂p
e per la (7.17):
∂v ⎤
1 ⎡
(6.19)
cp = −
v −T( )p ⎥
⎢
∂T ⎦
µJ ⎣
Il rapporto (
6.5. Il coefficiente di Joule-Thomson
Può essere determinato sperimentalmente, come già notato, misurando le variazioni di
temperatura e di pressione che si stabiliscono nel processo di laminazione isoentalpica.
Partendo da uno stato definito ( p1 ,T1 ), di data entalpia, se si riduce progressivamente la
pressione p 2 di fine espansione e si attua una successione di espansioni, è possibile
determinare sperimentalmente l’andamento delle trasformazioni isoentalpiche. Tali
trasformazioni, sul piano T , p presentano pendenza µ J che può risultare in generale positiva
o negativa. Gli stati in cui µ J =0 sono detti stati di inversione. L’insieme degli stati di
inversione definisce la curva di inversione che divide il piano T , p in due regioni, una in cui
è µ J > 0 ed un’altra in cui è µ J < 0 , come si può osservare nella Fig. 6.17.
Si noti che non tutte le isoentalpiche presentano stati di inversione, ad esempio la curva a più
elevata entalpia, indicata in figura, è sempre a pendenza negativa. Laminando un gas a partire
da uno stato termodinamico su tale curva, il gas comunque si riscalda. Per curve isoentalpiche
aventi un punto di massimo (inversione della derivata) la temperatura all'uscita può essere
maggiore, uguale o minore di quella iniziale, in funzione della pressione finale assegnata.
117
Tmax di inversione
T
H3=cost
H2=cost
µJ < 0
µJ > 0
2
1
T1
p1
H1=cost
p
Fig. 6.17. Andamento delle linee isoentalpiche nel piano T,p.
Per stati alla sinistra dello stato di inversione µ J è positivo, la temperatura decresce
riducendo la pressione in uscita. Questo effetto può essere utilizzato nella liquefazione dei gas
e comunque nella refrigerazione. L’effetto frigorigeno che si realizza nei più comuni impianti
frigorigeni è normalmente associato ad espansioni isoentalpiche effettuate nella regione in cui
la pendenza delle curve è negativa ( µ J > 0 ). Nella Fig.6.18 seguente sono rappresentati i
diagrammi T , p relativi all’azoto ed all’elio.
La temperatura a cui la curva di inversione interseca l’asse delle ordinate è chiamata
temperatura massima di inversione : quando la temperatura iniziale di una espansione di
Joule Thomson è maggiore di essa, non è possibile ottenere alcun raffreddamento mediante
una espansione. Alcuni valori della temperatura massima di inversione sono riportati nella
tabella seguente.
Tmax, K
CO2
O2
Ar
N2
Aria
H2
He
1500
761
723
621
603
202
40
118
Fig.6.18. Andamento della curva di inversione per l’azoto e l’elio.
6.6. Funzioni di stato e calori specifici del gas perfetto
Per un gas perfetto, che segue la (6.15), l’energia interna dipende soltanto dalla
temperatura:
(6.20)
dU = c v dT
Anche l’entalpia per il gas perfetto, data la definizione, dipende soltanto dalla temperatura:
dH = dU + d ( pv) = c p dT
(6.21)
Le (6.20) e (6.21) forniscono una importante relazione tra i calori specifici fondamentali del
gas perfetto:
c p = cv + R1
(6.22)
La (6.22) è stata scritta in riferimento all’unità di massa, ma può anche formularsi su base
molare, indicando con ĉ v e ĉ p i calori molari a volume e pressione costante:
cˆ p = cˆv + R
(6.23)
119
I calori specifici sono in generale funzione crescente della temperatura, le (6.22) e (6.23)
mostrano inoltre che essi differiscono per una costante. Le stesse equazioni indicano inoltre
che è sempre c p > cv essendo positiva la costante dei gas.
Per un gas ideale anche il rapporto tra i calori specifici fondamentali dipende dalla
temperatura:
c p (T )
R
k=
= 1+ 1
(6.24)
cv (T )
c v (T )
con k > 1 , decrescente con T.
Dalle equazioni (6.24) e (6.22) si ottengono le seguenti:
R1
k −1
kR1
cp =
k −1
cv =
(6.25)
(6.26)
che possono scriversi ovviamente anche su base molare.
L’integrazione delle (6.20) e (6.21) richiede la conoscenza dei calori specifici in funzione
della temperatura, ottenuta sperimentalmente. Per molti gas, ai quali si può applicare il
modello del gas perfetto, la valutazione dell’energia interna e dell’entalpia è facilitata dalla
disponibilità di tabelle che forniscono direttamente i valori di tali grandezze in funzione della
temperatura. Si pone normalmente H 0 = U 0 = 0 , per Trif = 0 K , e la tabulazione è effettuata
integrando. Per l’entalpia ad esempio si ha:
T
H (T ) = ∫ c p (T ) dT
0
(6.27)
L’energia interna può anche determinarsi ricordando che:
U = H − R1T .
L’espressione dell’entropia per il gas perfetto, in funzione di T e v, ovvero di T e p, è
stata ricavata nel capitolo 5. Le equazioni (5.12) e (5.13):
2
S 2 − S1 = ∫ cv
1
2
S 2 − S1 = ∫ c p
1
v
dT
+ R1 ln 2
T
v1
(5.12)
p
dT
− R1 ln 2
T
p1
(5.13)
assumono le seguenti forme differenziali:
dS = c v
dT
dv
+ R1
T
v
(6.28)
dS = c p
dT
dp
− R1
T
p
(6.29)
ovvero, per le (6.15) e (6.22):
120
dv
dp
+ cv
(6.30)
v
p
Anche per l’entropia sono disponibili tabelle che ne consentono il calcolo tenendo conto della
variabilità dei calori specifici con la temperatura. I valori tabulati sono normalmente per un
sistema alla pressione di riferimento di 1 bar e sono determinati a partire da una temperatura
di riferimento T0 . Essi forniscono la variazione di entropia da T0 a T , alla pressione
(costante) di riferimento p 0 :
dS = c p
T
S T , p0 − S T0 , p0 = ∫ c p
T0
dT
T
(6.31)
il valore dell’entropia nello stato considerato ( T , p ), sarà pertanto dato da:
S T , p = S T , p0 − R1 ln p
(6.32)
esprimendo la pressione p in bar. Nel piano entropico T , S la (6.31) rappresenta l’isobara
alla pressione di riferimento, e cioè una curva con pendenza positiva e crescente con T,
essendo per la (6.29):
dT
T
(6.33)
( )p =
dS
cp
con il calore specifico che cresce con la temperatura, ma meno rapidamente. Le isobare a
pressione diversa da quella di riferimento risulteranno traslate in base alla (6.32) verso valori
di entropia minori all’aumentare della pressione. Sullo stesso piano entropico le
trasformazioni a volume costante saranno rappresentate anch’esse da curve a pendenza
positiva, crescente con T, secondo la:
dT
T
( )v =
(6.34)
dS
cv
T
p1
linee isocore
p3
p2
v3
v2
v1
linee isobare
p1 > p 2 > p3
v1 > v 2 > v3
S
Fig. 6.19. Andamento delle isobare e delle isocore del gas perfetto nel piano T,S.
121
Le curve isocore risulteranno più ripide delle isobare ( c p > cv ) e anch’esse traslate per
differenti valori del volume specifico verso come indica la (6.30).
6.7. Trasformazioni del gas perfetto
Vengono di seguito ricavate alcune relazioni per lo studio delle trasformazioni
fondamentali del gas perfetto nell’ipotesi di reversibilità.
6.7.1 Isocore
Sono trasformazioni a volume costante ( dv = 0 ). Applicando ad esse il primo
principio per un sistema con baricentro fermo, si ottiene:
dQ = dU = TdS = cv dT
(6.35)
da cui integrando:
2
2
1
1
Q1, 2 = U 2 − U 1 = ∫ TdS = ∫ cv dT
(6.36)
La variazione di energia interna tra lo stato iniziale e quello finale in una isocora è dunque
uguale al calore scambiato ed è quindi valutabile nel piano entropico mediante l’area
sottostante al tratto di trasformazione isocora compreso tra i due stati stessi. Il lavoro
scambiato è nullo.
6.7.2 Isobare
Sono trasformazioni a pressione costante ( dp = 0 ). Applicando ad esse il primo
principio per un sistema con baricentro fermo, si ottiene:
dQ = TdS = c p dT = dU + pdv = dH
(6.37)
da cui integrando:
2
2
1
1
Q1, 2 = H 2 − H 1 = ∫ TdS = ∫ c p dT
(6.38)
La variazione di entalpia tra lo stato iniziale e quello finale in una isobara è dunque uguale al
calore scambiato ed è quindi valutabile nel piano entropico mediante l’area sottostante al
tratto di trasformazione isobara compreso tra i due stati stessi. Il lavoro scambiato lungo
l’isobara è dato da:
L1, 2 = p(v 2 − v1 )
(6.39)
6.7.3 Isoterme
122
Sono dette isoterme le trasformazioni a temperatura costante ( dT = 0 ), per esse sono
nulle le variazioni di energia interna e di entalpia. Dall’equazione di stato del gas perfetto si
ha inoltre:
dT = d ( pv) = pdv + vdp = 0
(6.40)
per cui integrando:
p v = cos t
(6.41)
Il primo principio, per un sistema a baricentro fermo, fornisce:
dQ = pdv = TdS
(6.42)
Integrando la (6.42) si ottiene:
2
Q1, 2 = L1, 2 = T ( S 2 − S1 ) = ∫ R1T
1
v
p
dv
= R1T ln 2 = − R1T ln 2
v
v1
p1
(6.43)
Per la (6.43) il calore scambiato in una isoterma eguaglia il lavoro fatto; entrambi sono
rappresentabili nel diagramma entropico e nel piano p,v mediante le aree sottostanti il tratto di
trasformazione isoterma compreso tra gli stati 1 e 2.
Per la (6.41), sul piano p,v le isoterme sono rappresentate da iperboli equilatere.
6.7.4 Adiabatiche
Sono definite da dQ = 0 e, nell’ipotesi fatta di reversibilità, anche da dS = 0 .
L’equazione che rappresenta le trasformazioni isoentropiche può essere ottenuta dalla (6.30)
nella forma:
dv
dp
k
=−
(6.44)
v
p
Assumendo costanti i calori specifici e quindi anche il loro rapporto k, integrando l’equazione
precedente si ottiene:
p v k = cos t
(6.45)
T v k −1 = cos t
(6.46)
T p (1− k ) / k = cos t
(6.47)
ed ancora:
Dal primo principio applicato ad un sistema chiuso con baricentro fermo, si ha in generale per
una adiabatica di un fluido termodinamico:
L1, 2 = U 1 − U 2
(6.48)
Nel caso considerato di trasformazione reversibile e gas perfetto risulta:
123
dL = pdv = − dU = −cv dT
(6.49)
Dalle (6.49) e (6.44), per integrazione, con l’ipotesi di calori specifici costanti, si ottiene
anche:
2
2
d ( pv)
1
L1, 2 = ∫ pdv = ∫
=
( p1v1 − p 2 v 2 ) = cv (T1 − T2 )
(6.50)
1− k
k −1
1
1
La trasformazione adiabatica può anche essere esaminata in riferimento ad un sistema aperto
a regime permanente. Assumendo per ipotesi che le variazioni delle componenti
macroscopiche dell’energia siano nulle, dall’equazione di bilancio dei sistemi aperti si
ottiene:
dLe = − dH
(6.51)
La (6.51) applicata ad una trasformazione reversibile (isoentropica) 1-2, di un gas perfetto con
calori specifici costanti, permette di ottenere la seguente espressione del lavoro esterno netto:
2
Le1, 2
p
k
k
d ( pv) =
p1v1 [1 − ( 2 )
= H 1 − H 2 = c p (T1 − T2 ) = ∫
k −1
k −1
p1
1
k −1
k
]
(6.52)
Il lavoro scambiato lungo una isoentropica da 1 a 2, da un sistema chiuso, a baricentro fermo,
corrisponde nel piano T , S all’area sottostante il tratto di isocora da 1 a B della Fig. 6.19; è
infatti per la (6.49):
T2
L1, 2 = ∫ c v dT
(6.53)
T1
Analogamente, il lavoro esterno netto scambiato lungo una isoentropica da 1 a 2, da un
sistema aperto, a regime permanente e con variazioni di energia cinetica e potenziale
trascurabili, corrisponde nel piano T , S all’area sottostante il tratto di isobara da 1 ad A della
Fig. 6.20. Si ha infatti per la (6.52):
T2
Le1, 2 = ∫ c p dT
(6.54)
T1
Si osserva infine che le equazioni (6.45), (6.46) e (6.47) e seguenti sono state ottenute
nell’ipotesi che i calori specifici fossero costanti, il che è vero soltanto per il gas perfetto
monoatomico. In alcuni casi interessa esprimere l’equazione dell’isoentropica del gas
perfetto, tenendo conto delle variazioni dei calori specifici con la temperatura. Dalla (6.29),
esprimendo l’equazione di stato del gas perfetto in forma differenziale:
dv dp dT
+
=
v
p
T
si ricava:
124
cp
dT
dv dT
+ R1 ( −
)=0
T
v
T
(6.55)
ed integrando:
∫c
p
dT
+ R1 (ln v − ln T ) = cos t
T
(6.56)
ovvero:
e
∫ cp
dT
T
⋅ (vT −1 ) R1 = cos t
(6.57)
equazione dell’adiabatica reversibile del gas perfetto a calori specifici variabili con T,
espressa in funzione di temperatura e volume specifico.
p1 = cos t
T
v1 = cos t
1
T1
T2
p 2 = cos t
A
B
2
S
Fig. 6.20. Rappresentazione sul piano T,S del lavoro scambiato in trasformazioni isoentropiche di gas perfetto.
6.7.5 Politropiche
Le trasformazioni reversibili, rappresentabili mediante equazioni del tipo:
pv a = cos t
(6.58)
vengono denominate politropiche. L’esponente a caratterizza la trasformazione e può
assumere qualsiasi valore tra − ∞ e + ∞ . In molti casi pratici le trasformazioni dei gas
possono rappresentarsi con la (6.58) attribuendo un opportuno valore alla costante a . Alla
categoria delle politropiche appartengono le trasformazioni precedentemente esaminate. Si ha
infatti che:
a=0
la trasformazione è isobara
per
per
a=∞
la trasformazione è isocora
per
a =1
la trasformazione è isoterma
per
a=k
la trasformazione è isoentropica
valori negativi della costante a hanno scarso interesse pratico rappresentando trasformazioni
in cui entrambe le grandezze p,v concordemente aumentano o diminuiscono.
125
L’andamento delle principali politropiche sui piani termodinamici p, v e T , S è rappresentato
in Fig. 6.21 a) e b), rispettivamente.
Il lavoro eseguito lungo una politropica reversibile da un sistema chiuso costituito da un gas
perfetto, si esprimere con la (6.50) sostituendo a k la costante caratteristica a:
2
2
1
1
d ( pv)
1
=
( p1v1 − p 2 v 2 )
1− a a −1
L1, 2 = ∫ pdv = ∫
(6.59)
in modo analogo si esprimerà il lavoro esterno netto per un sistema aperto a regime
permanente (6.52).
a=∞
T
p
a=∞
a=k
a=0
a=0
a =1
a =1
a=k
S
v
a)
b)
Fig. 6.21. Trasformazioni politropiche sui piani p,v (a) e T,S (b).
Il calore specifico della politropica può esprimersi in modo generale partendo dalla
definizione:
c=
dv
pdv
dQ dU
=
+p
= c v + R1
= c v + (c p − c v )
dT dT
dT
d ( pv)
ma per la (6.58), è:
a pdv = −vdp
si ha così infine:
c = cv +
c p − cv
1− a
= cv
1
vdp
1+
pdv
(6.60)
(6.61)
k −a
1− a
(6.62)
La (6.62) esprime il calore specifico per una politropica qualsiasi. Nella (6.62) sono contenute
le trasformazioni prima studiate:
per
a=0
è
c = cp
(isobara)
126
per
per
per
a=∞
a =1
a=k
c = cv
c = ±∞
c=0
è
è
è
(isocora)
(isoterma)
(isoentropica)
Gli andamenti del calore specifico della politropica in funzione della costante a sono
rappresentati nella Fig. 6.22.
c
cp
cv
0
1
a
Fig. 6.22. Andamento del calore specifico di una politropica in funzione di a.
Esercizio 6.3
In un cilindro del volume di 2 m3 è contenuto ossigeno alla pressione iniziale di 500 kPa ed alla temperatura di
25°C. A seguito della perdita di gas attraverso una valvola, la pressione lentamente scende a 300 kPa, mentre la
temperatura resta costante.
Assumendo l’ossigeno perfetto calcolare la gas massa fuoriuscita per la perdita.
----------------------------------Applicando l’equazione di stato del gas perfetto (6.15), si ha:
m1 =
p1 V
R1T1
m2 =
p2 V
R1T2
in cui, per l’ossigeno, è:
R1 =
R 8314
=
= 286.7 J/kg K
32
M
La massa iniziale e quella finale si ottengono dall’applicazione delle precedenti equazioni:
m1 =
5 ⋅ 10 3 [ Pa] ⋅ 2 [m 3 ]
= 12.91 kg
286.7 [ J / kgK ] ⋅ 298.15 [ K ]
m2 = m1
p2 3
= m1 = 7.75 kg
p1 5
La massa di ossigeno dispersa è dunque di 5.16 kg.
127
Esercizio 6.4
Dell’aria subisce una trasformazione isoentropica reversibile dalla stato iniziale caratterizzato da T1=300 K e
p1=100 kPa, allo stato finale con pressione p2=500 kPa. Determinare la temperatura finale ed il lavoro scambiato
lungo la trasformazione.
----------------------------------Assumendo l’aria gas perfetto, con calori specifici costanti, per la (7.47) si ha:
p
T2 = T1 ( 2 )
p1
k −1
k
5
= 300( )
1
1.4 −1
1.4
= 475 K
Il lavoro scambiato sarà infine:
L1, 2 = −(U 2 − U 1 ) = cv (T2 − T1 ) =
R1
(T2 − T1 ) = 125.4 kJ/kg
k −1
Esercizio 6.5
Un chilogrammo di aria subisce una compressione reversibile in un sistema cilindro pistone dallo stato iniziale
T1=300 K e p1=100 kPa, allo stato finale con pressione p2=1000 kPa.
La trasformazione può rappresentarsi con una politropica di esponente a=1.35. Assumendo l’aria gas perfetto a
calori specifici costanti, determinare:
- la temperatura finale;
- il lavoro scambiato durante la trasformazione;
- la variazione di entropia.
----------------------------------La temperatura finale può ottenersi tramite l’espressione che definisce la politropica in T e p:
p
T2 = T1 ( 2 )
p1
Il lavoro scambiato è valutabile con la (6.59):
L1, 2 =
a −1
a
10
= 300( )
1
1.35−1
1.35
= 545 K
R1
0.2867
(T1 − T2 ) =
(300 − 545) = −118.8 kJ/kg
a −1
1.35 − 1
Infine la variazione di entropia , dalla (5.13) risulta:
T2
p
− R1 ln 2 = −0.609 kJ/kgK
T1
p1
La stessa variazione per la politropica si può ottenere direttamente in termini di rapporto di compressione
sostituendo nella precedente l’equazione che esprime il rapporto tra le temperature in funzione del rapporto tra le
pressioni. Si ottiene infatti:
S 2 − S1 = c p ln
S 2 − S1 =
p
(a − k )
R1 ln 2
a(k − 1)
p1
6.8 Miscele di gas perfetti
128
Lo studio delle miscele di gas perfetti è di notevole importanza perché la maggior
parte dei gas che si incontrano nella tecnica sono in realtà costituiti da più aeriformi, come è
ad esempio per l’aria.
Si consideri una miscela di gas non reagenti chimicamente, costituita da n moli, che in
equilibrio alla temperatura T ed alla pressione p, occupano il volume V. Se la miscela può
essere trattata come un gas perfetto, si ha:
pV = nRT
con:
(6.63)
n = n1 + n2 + n3 + ⋅ ⋅ ⋅ = ∑ ni
i
Si può immaginare di separare la miscela nei suoi componenti in modo che ciascuno di essi
occupi ancora l’intero volume V, mantenendosi alla temperatura di equilibrio T (Fig. 6.23).
V, T
V, T
V, T
n1
n2
n = n1 + n 2
p1
p2
p = p1 + p 2
Miscela di gas
Componenti della
i l
Fig. 6.23. Legge di Dalton delle pressioni parziali
Assumendo che ogni componente sia trattabile come gas perfetto, per ciascuno si avrà:
pi V = ni RT
(6.64)
dove pi è denominata pressione parziale dell’i.mo. Sostituendo la (6.64) nella (6.63) si
ottiene:
p = p1 + p 2 + p3 + ⋅ ⋅ ⋅ = ∑ pi
(6.65)
i
L’equazione (6.65) stabilisce che la pressione totale della miscela è uguale alla somma delle
pressioni che ciascun componente eserciterebbe se occupasse da solo l’intero volume
disponibile, alla stessa temperatura. Questa relazione è nota come legge di Dalton delle
pressioni parziali ed è illustrata nel suo significato fisico dalla Fig. 6.22. La legge, confermata
sperimentalmente, è anche ottenibile dalla termodinamica statistica in base al fatto che
ciascun componente non è influenzato dalla presenza degli altri.
Dividendo membro a membro la (6.64) per la (6.63) si ricava:
p i ni
=
=νi
p
n
ovvero:
pi = ν i p
(6.66)
129
La pressione parziale di un componente della miscela ( pi ) è dunque uguale alla frazione
molare di quel componente (ν i ) per la pressione totale p.
L’equazione di stato del gas (6.64) può anche scriversi nella forma:
p i V = mi
R
T = mi R1,i T
Mi
(6.67)
che sostituita nella (6.65), consente di ricavare la costante R1 media della miscela ( R1,m ). Si
ha infatti:
pV = T
∑m
i
R1,i
(6.68)
i
da cui:
R1,m =
∑m R
i
1,i
i
m
= ∑ π i R1,i
(6.69)
i
La costante che caratterizza la miscela è dunque ottenibile dalle frazioni ponderali ( π i ) e
dalle costanti R1,i dei singoli componenti. Così ad esempio per l’aria, assumendo che si possa
ritenere una miscela a due componenti O2 ed N2 , con frazioni ponderali, rispettivamente di
0.232 e 0.768, si ottiene:
R1,aria = ∑ π i R1,i = 0.232 ⋅
i
8314
8314
+ 0.768 ⋅
= 286.7 J / kgK
32
28
Ciò equivale a considerare una massa molecolare apparente pari a:
M a = R / R1,m = ∑ mi / ∑ ni = ∑ν i M i
i
i
(6.70)
i
che, per l’aria risulta uguale a 29.27.
p, T
n = n1 + n 2
p, T
p, T
n1
V = V1 + V2
n2
V1
V2
Miscela di gas
Componenti della miscela
Fig. 6.24. Legge di Amagat dei volumi parziali
130
Per caratterizzare nella sua composizione quantitativa una miscela, oltre alla frazione molare
ed a quella ponderale, si definisce anche una frazione volumetrica ( α ) come il rapporto tra il
volume Vi che sarebbe occupato dal componente i.mo se fosse sottoposto alla pressione totale
p ed il volume totale V. Si immagini di separare i componenti della miscela in modo tale che
ciascuno occupi un volume proprio Vi, risulti sottoposto alla pressione totale p ed alla stessa
temperatura di miscela T.
Dall’equazione di stato applicata al componente in miscela e quando è separato e sottoposto
alla pressione totale, a parità di temperatura, risulta:
pVi = pi V = ni R T
(6.71)
Si ha pertanto:
p
n
Vi
= i = i =νi
p
n
V
αi =
(6.72)
e la frazione volumetrica coincide con la frazione molare. Sommando tutti i volumi parziali Vi
si ottiene:
∑ V = ∑ν V = V∑ν
i
i
i
i
i
=V
(6.73)
i
Il volume (totale) di una miscela di gas è uguale alla somma dei volumi parziali dei
componenti quando questi sono determinati alla pressione e temperatura della miscela. Questa
regola è nota come legge di Amagat, ed è illustrata in Fig. 6.24.
Entrambe le frazioni volumetrica e molare sono infine esprimibili per mezzo delle frazioni
ponderali, in base alle massa molecolari dei componenti:
mi
Mi
n
νi = i =
=
mi
n
∑i M
i
πi
Mi
(6.74)
πi
∑M
i
i
Applicando la (6.73) si possono ad esempio ricavare le frazioni volumetriche di ossigeno e
azoto in base alle proporzioni ponderali sopra indicate. Si ottengono così, per l’aria
“standard” (secca), le seguenti frazioni:
πO
πN
2
νO =
2
nO2
n
=
πO
M O2
2
M O2
+
πN
= 0.209
2
M N2
νO =
2
nN2
n
=
πO
2
M N2
2
M O2
+
πN
= 0.791
2
M N2
131
Esercizio 6.6
La composizione volumetrica di un gas naturale è la seguente:
CH4
85,8%
C2H6
13.2%
CO2
0.9%
N2
0.1%
Nell’ipotesi che il gas possa trattarsi come una miscela di gas perfetti, si determini:
- la massa molecolare apparente;
- la composizione ponderale;
- la costante dei gas della miscela.
-----------------------------------
La massa molecolare apparente della miscela può ottenersi tramite la (6.70):
M a = R / R1,m =
∑ m / ∑ n = ∑ν M
i
i
si ha così:
Ma =
∑ν M
i
i
i
i
i
i
(6.70)
i
= 0.858 ⋅ 16 + 0.132 ⋅ ⋅30 + 0.009 ⋅ 44 + 0.001 ⋅ ⋅28 = 18.11 kg/kmole
i
-
La composizione ponderale si ottiene dalla definizione di frazione ponderale:
πi =
mi
∑m
=
i
ni M i
M
=νi i
n Ma
Ma
i
si ottiene così:
π CH 4 = ν CH 4
M CH 4
Ma
π C 2 H 6 = ν C2 H 6
π CO2 = ν CO2
π N2 = ν N2
-
=0.7580
M C2 H 6
Ma
M CO2
Ma
M N2
=02187
=0.0218
=0.001
Ma
La costante dei gas della miscela risulta infine:
R
=0.4591 kJ/kg K
Ma
R1,m =
6.8.1 Proprietà termodinamiche di una miscela di gas perfetti
Poiché ogni componente di una miscela di gas perfetti si comporta come se occupasse
da solo l’intero volume alla stessa temperatura della miscela, l’energia interna e tutte le
proprietà estensive possono valutarsi sommando i contributi dei singoli componenti nelle
condizioni di temperatura e pressione in cui si trovano in miscela (legge di Gibbs).
Come previsto dalla legge di Amagat si ha:
V = ∑ Vi = ∑ mi vi
i
(6.75)
i
132
per la legge di Gibbs, risulta inoltre per l’energia interna, l’entalpia e l’entropia:
U • = ∑ U • i = ∑ miU i
(6.76)
H • = ∑ H • i = ∑ mi H i
(6.77)
S • = ∑ S • i = ∑ mi S i
(6.78)
i
i
i
i
i
i
Dividendo le precedenti equazioni per la massa totale della miscela si possono ottenere le
grandezze specifiche corrispondenti:
V
= ∑ π i vi
m
i
per la legge di Gibbs, risulta inoltre per l’energia interna, l’entalpia e l’entropia:
v=
(6.79)
U=
U•
= ∑ π iU i
m
i
(6.80)
H=
H•
= ∑π i H i
m
i
(6.81)
S•
= ∑π i Si
m
i
S=
(6.82)
Ricordando che l’energia interna e l’entalpia del gas perfetto dipendono soltanto dalla
temperatura e che le loro variazioni sono proporzionali ai calori specifici fondamentali, si
possono ricavare anche per questi ultimi i valori riferiti alla miscela applicando le loro
definizioni alle (6.80) e (6.81):
dU
= ∑ π i cv , i
dT
i
dH
= ∑π i c p, i
cp =
dT
i
cv =
risulta infine:
k=
cp
cv
∑π c
=
∑π c
i
(6.83)
(6.84)
p, i
i
(6.85)
i v, i
i
Tutte le proprietà ricavate in questo paragrafo con riferimento alle masse dei componenti e
relative frazioni ponderali, possono anche ovviamente esprimersi in funzione delle moli e
delle corrispondente frazioni molari.
133
------------------------------------------------------------------------------------------------
CAPITOLO
7
RELAZIONI TRA LE PROPRIETA’ TERMODINAMICHE
-----------------------------------------------------------------------------------------------Tra le numerose proprietà di un sistema termodinamico, alcune, come la pressione, la temperatura, il
volume e la massa, sono direttamente misurabili. Altre possono invece essere determinate soltanto per via
indiretta, sulla base di equazioni generali che assumono pertanto importanza fondamentale nello sviluppo della
Termodinamica. In questo capitolo vengono presentate le principali relazioni tra le grandezze termodinamiche
introdotte nei precedenti capitoli ed altre grandezze, definite nel seguito, come le funzioni di Helmholtz e di
Gibbs.
7.1. Introduzione
Nei precedenti capitoli sono stati introdotti il primo ed il secondo principio della
termodinamica e le proprietà delle sostanze pure. Il primo principio definisce l'energia come
proprietà di un sistema termodinamico e stabilisce una fondamentale relazione tra calore,
lavoro e le variazioni del contenuto energetico del sistema. Il secondo principio, con la
definizione della funzione di stato entropia, fornisce un criterio per analizzare i concreti
processi di conversione e l'evoluzione spontanea dei sistemi. Entrambi i principi consentono
lo studio dei processi termodinamici se completati dalla conoscenza delle proprietà e del
comportamento delle sostanze.
Le sostanze che possono intervenire nei processi termodinamici sono molteplici,
tuttavia particolare importanza assumono le sostanze pure, il cui comportamento può essere
precisato mediante la conoscenza di due variabili indipendenti. Tali sistemi, omogenei ed
isotropi, sono denominati, come già notato, fluidi termodinamici.
7.2. Differenziali esatti e non esatti
Se si considera una funzione continua z di due variabili indipendenti x ed y , così che
z = z ( x, y ) , il differenziale totale della stessa, scritto nella forma:
dz = M dx + N dy
è un differenziale esatto, se:
(
∂M
∂N
)x = ( )y
∂y
∂x
Tale relazione rappresenta la condizione necessaria e sufficiente affinché dz sia un
differenziale esatto ed è anche indicata come “test per l’esattezza”. Quando è soddisfatta,
allora si ha anche conseguentemente:
134
∫
dz ( x, y ) = 0
l'integrale del differenziale esatto lungo una qualsiasi linea chiusa è uguale a zero.
Inoltre, l’integrale lungo una linea aperta:
z ( x2 , y 2 )
∫
dz ( x, y ) = z ( x 2 , y 2 ) − z ( x1 , y1 )
z ( x1 , y1 )
vale la differenza tra i valori assunti dalla funzione in corrispondenza degli estremi ed è
indipendente dal cammino di integrazione.
Queste caratteristiche sono valide per tutte le proprietà termodinamiche intensive
( p, v, T , S ,U , H ) il cui differenziale è dunque esatto. Quando la quantità dz = M dx + N dy
non è un differenziale esatto, è possibile renderlo tale moltiplicando per un opportuno fattore
integrante. In particolare ciò è quanto accade per il calore elementare scambiato dQ ,
moltiplicandolo infatti per 1 / T si ottiene dQ / T che, per un processo reversibile, rappresenta
la variazione elementare di entropia dS , differenziale esatto. Applicando le proprietà dei
differenziali esatti si ottengono numerose utili relazioni tra grandezze termodinamiche che, in
particolare, coinvolgono l'entropia.
7.3. Equazioni di Maxwell
Sono equazioni che pongono in relazione le derivate parziali delle proprietà
termodinamiche p, v, T e S, per sostanze pure, comprimibili. Le equazioni di Maxwell
possono essere sviluppate applicando le proprietà dei differenziali esatti alle relazioni
termodinamiche fondamentali tra l'entropia e le principali funzioni di stato.
Date le relazioni:
dU = TdS − pdv
dH = TdS + vdp
(5.21)
(5.22)
applicando la condizione di reciprocità che pone l'uguaglianza delle derivate seconde miste, a
variabili di derivazione invertite, si ha:
(
∂T
∂p
) s = −( ) v
∂s
∂v
(
∂T
∂v
)s = ( ) p
∂s
∂p
(7.1)
Dall'energia interna e dall'entalpia possono dedursi due nuove funzioni di stato:
Fv = U − TS = f (v, T )
F p = H − TS = f ( p, T )
(7.2)
differenziando e tenendo presenti le (5.21) e (5.22) , si ha:
dFv = − pdv − SdT
dF p = vdp − SdT
(7.3)
(7.4)
135
Dalle (7.3) e (7.4), per le proprietà dei differenziali esatti, si ottengono le equazioni:
(
∂s
∂p
) v = ( )T
∂v
∂T
(
∂v
∂s
) p = −( ) T
∂p
∂T
(7.5)
Le (7.1) e (7.5) sono note come equazioni di Maxwell. Esse mettono in relazione
pressione, temperatura e volume specifico con l'entropia, consentono dunque il calcolo della
funzione entropia mediante valutazioni o misure riguardanti le variabili di stato.
Le relazioni di Maxwell hanno un significato fisico ben definito. La prima delle (7.1)
stabilisce che se si fa dilatare isoentropicamente il fluido, la diminuzione di temperatura per
∆v = 1 è uguale all'aumento di pressione che si avrebbe in una isocora qualora fosse fornito
calore al fluido per una variazione di entropia unitaria. La seconda che l'aumento di
temperatura in una compressione isoentropica, tale che sia ∆p = 1 , è equivalente all'aumento
di volume corrispondente a ∆S = 1 lungo una isobara.
La prima delle (7.5) afferma che in un riscaldamento a volume costante, l'aumento di
pressione, per una variazione unitaria di temperatura, è pari alla variazione di entropia in una
dilatazione isoterma, quando ∆v = 1 . Infine, l'ultima relazione stabilisce l'uguaglianza tra
l'aumento di volume in un riscaldamento isobaro con ∆T = 1 e la diminuzione di entropia in
una compressione isoterma per ∆p = 1 .
Occorre notare che negli sviluppi è stato implicitamente assunto che ogni variabile
dipendente fosse esprimibile con due altre variabili indipendenti. In realtà nei passaggi di
stato di una sostanza pura, temperatura e pressione sono legate tra loro in modo biunivoco,
mentre risultano indipendenti per sostanze omogenee.
Dalle (5.21), (5.22) e dalle (7.3), (7.4) si ottiene anche il seguente insieme di relazioni:
T =(
∂U
)v
∂S
−p=(
T =(
∂H
)p
∂S
v=(
∂Fv
)v
∂T
− p=(
−S =(
−S =(
∂F p
∂T
v=(
)p
∂U
)S
∂v
∂H
)S
∂p
∂Fv
)T
∂v
∂F p
∂p
)T
La funzione di stato Fv , definita dalla (7.2) e ottenuta dall'energia interna, prende il
nome di funzione di Helmholtz o energia libera di Helmholtz . Per una isoterma risulta:
dFv = − pdv
e quindi nel caso di reversibilità:
2
L1, 2 = ∫ pdv = Fv ,1 − Fv , 2 : il lavoro scambiato è qui
1
uguale alla diminuzione della funzione Fv e da ciò il nome di energia libera assegnato da
Helmholtz alla funzione stessa.
136
Dall'entalpia si ottiene la funzione di stato F p che può anche scriversi F p = Fv + pv .
Essa è dedotta da Fv come l’entalpia dall’energia interna. In una trasformazione che sia
contemporaneamente isobara ed isoterma, come si ha ad esempio nei passaggi di stato di
aggregazione, per la (7.4), la funzione F p è costante. Per questa ragione è stata chiamata
potenziale isotermobarico o energia libera di Gibbs.
7.4. Espressioni generali per U,H,S nelle regioni monofase
Per la valutazione delle principali funzioni di stato è opportuno disporre di equazioni
di validità generale in funzione delle proprietà che possono essere determinate
sperimentalmente come la pressione, il volume specifico, la temperatura ed i calori specifici
fondamentali. Tali equazioni possono essere ottenute attraverso le equazioni di Maxwell
ricavate nel paragrafo precedente.
Entropia
dU p
+ dv
T
T
Dalla (5.8) si ha:
dS =
da cui, sviluppando dU:
dS = c v
dT ⎡ ∂U
⎤ dv
+ ⎢(
)T + p⎥
T ⎣ ∂v
⎦T
(7.6)
∂U
) v è denominato calore specifico a volume costante, poiché
∂T
rappresenta il rapporto tra il calore scambiato e la variazione di temperatura dell’unità di
massa, nel caso di una trasformazione isocora, reversibile.
La quantità indicata in parentesi quadra viene denominata calore di dilatazione isoterma l
poiché esprime il rapporto tra il calore scambiato e la variazione di volume dell’unità di
massa di sistema, in una trasformazione reversibile isoterma. Per definizione si ha:
Nella precedente cv = (
⎛ ∂U ⎞
l =⎜
⎟ +p
⎝ ∂v ⎠ T
risulta inoltre:
(7.7)
l
∂S
= ( )T
∂v
T
Tenendo presente la prima delle (7.5), si ha pertanto:
∂p
)v
(7.8)
∂T
espressione di grande importanza per lo studio dei fluidi termodinamici. Si osserva che il
calore di dilatazione isoterma, e quindi anche le derivate parziali dell'entropia e dell'energia
interna rispetto al volume specifico, a temperatura costante, possono esprimersi, per la (7.8),
in funzione di una sola derivata parziale, facilmente misurabile o calcolabile se è noto il
comportamento del fluido. La (7.8) prende il nome di equazione di Clapeyron.
Dalla (5.9) si ha anche:
l = T(
137
dS =
dH v
− dp
T
T
dS = c p
da cui:
⎤ dp
dT ⎡ ∂H
+ ⎢(
)T − v⎥
T ⎣ ∂p
⎦T
(7.9)
∂H
) p è denominato calore specifico a pressione costante, poiché rappresenta il
∂T
rapporto tra il calore scambiato e la variazione di temperatura dell’unità di massa, nel caso di
una trasformazione isobara, reversibile.
La quantità indicata in parentesi quadra nella (7.9) viene denominata calore di compressione
isoterma h’ ; esprime infatti, in una trasformazione reversibile isoterma, il rapporto tra il
calore scambiato e la variazione di pressione dell’unità di massa di sistema. Per definizione si
ha:
In cui c p = (
⎤1
h' ⎡ ∂H
∂S
= ⎢(
)T − v⎥ = ( )T
T ⎣ ∂p
∂p
⎦T
(7.10)
Tenendo presente la seconda delle (7.5), si ricava:
h' = −T (
∂v
)p
∂T
(7.11)
Analogamente alla (7.8) la precedente è relazione di grande importanza per la determinazione
delle funzioni di stato.
Tenendo conto delle equazioni (7.8) e (7.11) si può infine esprimere il differenziale
dell’entropia in ( T , v ) e ( T , p ) nelle forme generali:
dS = c v
dT
∂p
+ ( ) v dv
T
∂T
(7.12)
dS = c p
dT
∂v
− ( ) p dp
T
∂T
(7.13)
Applicando le precedenti equazioni al caso di gas perfetto si ottiene:
dS = c v
dT
dv
+ R1
T
v
(7.14)
dS = c p
dT
dp
− R1
T
p
(7.15)
Energia interna ed Entalpia:
Mediante l'equazione di Clapeyron (7.8) si può ottenere una espressione generale del
differenziale dell'energia interna in funzione delle variabili di stato ( p, v, T ):
138
⎡ ⎛ ∂p ⎞
⎤
dU =cv dT + (l − p )dv =c v dT + ⎢T ⎜
⎟ − p ⎥ dv
⎣ ⎝ ∂T ⎠ v
⎦
Analogamente per l'entalpia, ricordando la definizione di calore specifico c p = (
(7.16)
∂H
) p e le
∂T
(7.10) (7.11), si ottiene:
⎡
⎛ ∂v ⎞ ⎤
dH =c p dT + (h'+ v)dp =c p dT + ⎢v − T ⎜
⎟ ⎥ dp
⎝ ∂T ⎠ p ⎦⎥
⎣⎢
(7.17)
Nel caso di gas perfetto, le (7.16) e (7.17) si semplificano nelle:
dU =cv dT
(7.18)
dH =c p dT
(7.19)
L'energia interna e l'entalpia del gas perfetto sono dunque funzioni soltanto della temperatura,
mentre per i gas reali dipendono anche da una variabile meccanica.
∂H
∂U
Si noti che le derivate (
)T e (
) T sono sempre molto piccole per i gas reali lontani dalle
∂v
∂p
condizioni di liquefazione, pertanto vengono generalmente trascurate nei calcoli tecnici. Non
è così per il vapore surriscaldato.
7.5. Calori specifici fondamentali
Le equazioni esprimenti le variazioni delle principali funzioni di stato contengono,
come già notato, i calori specifici a volume e pressione costante, indicati con il termine di
calori specifici fondamentali. La conoscenza dei loro valori è utile per il calcolo delle
funzioni di stato energia interna, entalpia, entropia, così come è interessante ricavare le
variazioni degli stessi in funzione delle principali variabili di stato.
I calori specifici a volume costante ed a pressione costante sono stati definiti dalle:
cv = (
∂U
)v
∂T
cp = (
∂H
)p
∂T
In base alle (7.6) e (7.9), considerando le funzioni S = S (T , v) e S = S (T , p ) si ottiene
anche:
cv
∂S
= ( )v
∂T
T
cp
T
=(
∂S
)p
∂T
(7.20)
Per la regola di reciprocità dei differenziali esatti, dalle (7.12) e (7.13) si ha inoltre:
(
∂c v
∂2 p
)T = T ( 2 ) v
∂v
∂T
(
∂c p
∂p
) T = −T (
∂ 2v
)p
∂T 2
(7.21)
139
Le equazioni (7.20), insieme alle (7.16) e (7.17), evidenziano la possibilità di calcolare
le variazioni della funzione di stato entropia in base alla conoscenza dei calori specifici
fondamentali e ad informazioni riguardanti la relazione p, v, T nelle regioni in cui la sostanza
è monofase. Dati sperimentali sui calori specifici dei gas reali sono generalmente disponibili
in funzione della temperatura a bassa pressione. Questi dati possono essere usati per ottenere
informazioni sui valori a più elevate pressioni attraverso un approccio analitico basato sulle
(7.21). Dalla seconda, in particolare, si può ottenere il valore del calore specifico c p alla
pressione p e temperatura T, integrando a T = cost , noto il valore c p 0 ad una pressione di
riferimento. Si ha infatti:
p
c p − c p0 = −T ∫ (
p0
∂ 2v
) p dp
∂T 2
(7.22)
espressione che può essere usata per ottenere il calore specifico a pressioni più elevate
partendo dalla conoscenza del suo valore ad una pressione di riferimento, noto il
comportamento del gas o l'equazione di stato p, v, T .
E' interessante determinare anche la differenza tra i calori specifici fondamentali c p e
c v . Sottraendo membro a membro le (7.12) e (7.13) si ha:
(
c p − cv
T
)dT = (
∂v
∂p
) p dp + ( ) v dv
∂T
∂T
(7.23)
Si può ora esprimere la variazione di temperatura dT in funzione di pressione e volume
specifico, nella forma differenziale:
dT = (
∂T
∂T
) v dp + ( ) p dv
∂p
∂v
(7.24)
e risolvere la (7.23) rispetto a dT . Uguagliando i coefficienti di dp nell'equazione così
ottenuta si ricava:
c p − cv = T (
∂v
∂p
) p ( )v
∂T
∂T
(7.25)
Per la regola ciclica dei differenziali, applicata alla relazione tra le grandezze p, v, T, si ha:
(
∂p
∂v
∂p
) v = −( ) p ( ) T
∂T
∂T
∂v
(7.26)
Sostituendo la (7.26) nella (7.25) si ricava infine:
c p − cv = −T (
∂v 2 ∂p
) p ( )T
∂T
∂v
(7.27)
L'equazione così ottenuta consente alcune importanti osservazioni.
140
1. Sperimentalmente si osserva che la derivata parziale della pressione rispetto al volume
specifico a temperatura costante è negativa per tutte le sostanze, ne deriva che sempre
risulta c p ≥ cv , per tutte le sostanze, in tutte le fasi.
2. La (7.27) indica anche che la differenza tra i calori specifici è proporzionale alla
temperatura assoluta e dunque tende a zero per T che si approssima a zero. Si può inoltre
notare che per i liquidi e per i solidi la variazione del volume specifico con la temperatura,
a pressione costante, è molto piccola, il suo valore elevato al quadrato rende trascurabile
la differenza (c p − c v ) . Per i liquidi ed i solidi normalmente si assume allora l'uguaglianza
dei calori specifici fondamentali e molte tabelle forniscono infatti un sol valore del calore
specifico.
3. Per il gas perfetto, le derivate parziali contenute nella (7.27) possono essere calcolate in
base all'equazione di stato; dal calcolo si ricava:
c p − cv = R1
(7.22)
7.6. Applicazione dell'equazione di Clapeyron ai passaggi di stato
L'equazione di Clapeyron (7.8), come già notato, permette interessanti considerazioni
sui passaggi di stato. Si può intanto osservare che in questi fenomeni si ha sempre una
variazione di volume specifico, essendo diverse le densità delle due fasi in equilibrio, e tale
variazione può porsi in relazione con lo scambio di calore durante la trasformazione, per
mezzo del calore di dilatazione isoterma.
Tenendo presente che l rappresenta il rapporto tra calore scambiato e variazione di
volume lungo una reversibile isoterma e che in un passaggio di stato le variabili pressione e
temperatura sono univocamente determinate l'una dall'altra, la (7.8) può scriversi:
∆H e = ∆ve T
dp
dT
(7.28)
avendo indicato con ∆H e la variazione di entalpia durante il passaggio di stato considerato,
con ∆ve la corrispondente variazione di volume e con p e T , rispettivamente, la pressione e
la temperatura a cui avviene il passaggio di stato ( p = f (T ) ). L'espressione (7.28) è
importante sia dal punto di vista teorico, sia da quello pratico.
Il calore scambiato nella fusione, ovvero nella vaporizzazione, è per tutte le sostanze
dp
ha lo stesso segno della variazione di volume ∆ve .
positivo così che la derivata
dT
Consegue che nei corpi per i quali nella fusione si ha un aumento di volume (come è per la
maggior parte), ad un aumento della pressione deve corrispondere un aumento della
temperatura di fusione, come dice l'esperienza. Per l'acqua è invece ∆ve < 0 (il ghiaccio
galleggia) e conseguentemente ad un aumento della pressione corrisponde una diminuzione
della temperatura di fusione (la derivata è dell’ordine di –0.007 K/bar). Nella vaporizzazione
è invece sempre ∆ve > 0 e quindi dev'essere positiva la derivata della pressione di equilibrio
rispetto alla temperatura. Le pendenze delle curve separanti due fasi nel diagramma di stato
(ved. Fig. 6.2 ) sono concordi con le considerazioni svolte. Questi fatti vengono considerati
verifiche indirette del secondo principio, da cui deriva l'equazione di Clapeyron.
141
Dal punto di vista pratico la (7.28) permette la determinazione delle variazioni
dell'entalpia di passaggio di stato con la temperatura in base alla conoscenza della relazione
tra temperatura e pressione di equilibrio per il corpo considerato.
L'equazione (7.28) può anche ottenersi direttamente dalla funzione di Gibbs o
potenziale isotermobarico, definito dalla seconda delle (7.2). Come già notato si ha infatti che
il potenziale assume lo stesso valore per le due fasi in equilibrio di una sostanza pura. Così
per un liquido in equilibrio con il suo vapore si ha:
F p ,l = F p , v
e per una variazione della temperatura di saturazione dT , con variazione corrispondente della
pressione dp , devono risultare uguali le variazioni del potenziale per le due fasi, cioè:
dF p ,l = dF p ,v
da cui:
− S l dT + vl dp = − S v dT + vv dp
Ne deriva che:
dp S v − S l
=
dT vv − vl
e infine, ricordando che TdS = dp , si ha:
H − Hl
dp
= v
dT T (vv − vl )
(7.29)
Equazioni analoghe possono anche essere scritte per altri passaggi di stato, sublimazione o
fusione, a pressione e temperatura costanti. Tutte sono riconducibili alla equazione di
Clapeyron (7.8).
Una espressione approssimata della (7.29) può ottenersi quando è ipotizzabile che: (1) il
volume specifico del liquido sia molto minore di quello del vapore ( vv >> vl ); (2) la
pressione è così bassa da poter valutare il volume specifico del vapore saturo secco con
l’equazione di stato del gas perfetto. In tali condizioni si ha:
dp H v − H l ( H v − H l )
=
=
p
R1T
dT
R1T 2
T
p
(7.30)
da cui:
R1T 2 dp
(7.31)
H l ,v = H v − H l =
p dT
La (7.31) può essere usata per il calcolo dell’entalpia di passaggio di stato ( H l ,v ), nota la
relazione tra la pressione e la temperatura di saturazione. Se è invece noto H l ,v , si può
142
ottenere la relazione tra pressione e temperatura di saturazione integrando la (7.31) in un
piccolo intervallo in cui si possa ritenere costante l’entalpia di passaggio di stato:
ln p = −
H l ,v
R1T
+ cos t
(7.32)
Esempio 7.1
L’entalpia di vaporizzazione dell’ossigeno a 100 K è 202.61 kJ/kg e la pressione di saturazione è 254.03 kPa. Si
valuti la pressione di saturazione a 105 K, applicando la (7.32).
----------------------------------------------------L’equazione (7.32) può scriversi nella forma:
ln
H
1 1
p2
= − l ,v ( − )
p1
R1 T2 T1
Si ha quindi:
ln
p2
202610 1
1
(
=−
−
) = 0.371
259.8 105 100
p1
da cui : p 2 = 368 .2 kPa .
Il valore tabulato della pressione di saturazione a 105 K risulta di 378.6 kPa e differisce di circa il 3% da quello
così ottenuto.
7.7. Costruzione delle funzioni di stato per sostanze reali
I valori delle principali funzioni di stato, energia interna, entalpia ed entropia, dei
vapori utilizzati nella tecnica sono riportati in tabelle o supporti informatici e sono stati
ottenuti sulla scorta di numerosi dati sperimentali calorimetrici e meccanici. Gli stessi dati
sono anche utilizzati per costruire diagrammi allo scopo di facilitare lo studio delle
trasformazioni termodinamiche.
La sperimentazione normalmente riguarda le misure di pressione e temperatura di
saturazione, di calore specifico ( c p o c v ) e dell’entalpia di passaggio di stato, le relazioni tra
le variabili p, v e T. Le misure relative a queste ultime sono frequentemente effettuate
facendo variare pressione e temperatura per un fissato volume di riferimento, variando quindi
lo stesso volume in un ampio campo di valori. I dati sperimentali ottenuti consentono di
sviluppare le equazioni di stato e da queste sono dedotte tutte le proprietà termodinamiche
mediante le relazioni fondamentali ricavate nei paragrafi precedenti.
La procedura per ricavare il valore delle principali funzioni di stato consiste
nell’individuare condizioni di riferimento ed assumere per esse un valore convenzionale della
funzione in esame. Per l’acqua lo stato di riferimento convenzionalmente assunto dalla
normativa internazionale (Conferenza di New York 1963) è quello del punto triplo (T= 0.01
°C, p = 0.6113 kPa), liquido saturo. Per tale condizione si pongono convenzionalmente pari a
zero due funzioni di stato indipendenti: l’energia interna e l’entropia (ovvero la funzione di
Helmholtz Fv ). Ne risulta per l’entalpia un valore assai piccolo ( H 0 = p0 v0 ) normalmente
indicato nelle tabelle con 0+, per ricordare che si tratta di una quantità positiva, di valore
143
trascurabile. Con tale convenzione, per il punto triplo dell’acqua, si ottengono i valori delle
funzioni di stato riportati nella tabella seguente.
Solido
Volume specifico
v (m3/kg)
0.0010905
Energia interna
U (kJ/kg)
-333.5
Entalpia
H (kJ/kg)
-333.5
Entropia
S (kJ/kgK)
-1.2209
Liquido
0.0010002
0
0.000611
0
Vapore
206.1629
2375.6
2501.6
9.1575
Fase
Il calcolo delle funzioni di stato può essere effettuato sulla base dei dati sperimentali e delle
equazioni generali, stabilite le condizioni di riferimento. Così per entalpia del liquido saturo
il valore alla temperatura generica T e pressione p di equilibrio corrispondente, può ottenersi
dalla (7.17), integrando tra lo stato di riferimento ( p 0 , T0 ) e lo stato in esame ( p, T ):
T
p ⎡
⎛ ∂v ⎞ ⎤
H l − H l ,0 = ∫ c p dT + ∫ ⎢vl − T ⎜ l ⎟ ⎥ dp
T0
p0
⎝ ∂T ⎠ p ⎥⎦
⎢⎣
(7.33)
avendo indicato con vl il volume specifico del liquido saturo. Degli integrali a secondo
membro della (7.33), il primo fornisce la variazione entalpica nel riscaldamento isobaro,
mentre il secondo misura la variazione di entalpia nella compressione isoterma del liquido a
T0 . Operativamente è preferibile considerare prima la compressione isoterma (a T0 ) e
successivamente il riscaldamento isobaro (alla pressione p) essendo entrambe le
trasformazioni caratterizzate da una variazione del volume specifico del sistema molto piccola
( v ≅ vl ).
L’energia interna del liquido saturo sarà poi ottenibile dalla definizione di entalpia:
U l = H l − pvl
Nel passaggio di stato in condizioni di equilibrio, a pressione e temperatura costanti, il calore
di vaporizzazione fornito ( H l ,v ) misura la variazione di entalpia, dunque per il vapore saturo
secco:
H v = H l ,v + H l
Indicando con ρ la variazione di energia interna durante il passaggio di stato, l’energia
interna del vapore saturo secco risulta:
Uv = ρ +Ul
ovvero, per la definizione di entalpia:
U v = H v − pv v
avendo indicato con v v il volume specifico del vapore saturo secco alla pressione p.
Per il vapore saturo a titolo x , ricordando il carattere estensivo delle due grandezze, energia
interna ed entalpia, valgono le seguenti relazioni:
144
H x = H l + H l ,v x
(7.34)
U x = U l + ρx
(7.35)
Si può notare che l’energia interna e l’entalpia del vapore saturo secco aumentano con
l’aumentare della temperatura fino a circa 230 ÷ 235 °C, per poi diminuire col crescere della
stessa T, mentre le variazioni delle stesse funzioni durante il passaggio di stato diminuiscono
col crescere della temperatura fino al punto critico.
Sulla natura del calore di vaporizzazione si può notare che durante il passaggio di fase il
sistema riceve calore, a temperatura e pressione costanti, con un forte aumento di volume.
Dalla (7.29) si può ottenere il rapporto tra il calore di passaggio di stato ed il lavoro di
dilatazione durante la vaporizzazione:
H l ,v
p (v v − v l )
=
T dp
p dT
(7.36)
d’altra parte per il I principio applicato all’unità di massa del sistema è:
H l , v = ρ + p (v v − v l )
(7.37)
Conseguentemente il rapporto tra la variazione di energia interna ed il lavoro di dilatazione
nella vaporizzazione risulta:
ρ
p (v v − v l )
=
T dp
−1
p dT
(7.38)
Tale rapporto risulta sempre assai maggiore dell’unità e quindi la variazione di energia
interna associata al cambiamento di fase (lavoro di disgregazione) è sempre molto maggiore
del lavoro di dilatazione fatto sull’esterno.
L’entalpia del vapore surriscaldato, che si trova cioè ad una temperatura Ts maggiore
di quella T di equilibrio alla pressione attuale (p), si può ottenere notando che in un
surriscaldamento a pressione costante la variazione di entalpia è uguale al calore scambiato.
Dunque:
Ts
H s = H v + ∫ c p dT
T
(7.39)
in cui c p è il calore specifico del vapore surriscaldato. Il valore dell’entalpia del vapore
surriscaldato è normalmente riportato nelle tabelle in funzione di T e p.
La determinazione dell’entropia è fatta ponendo nullo il valore della funzione nello
stato di riferimento (punto triplo, liquido saturo), come già notato. Ciò è consentito trattandosi
di un sistema a due variabili, per il quale è possibile la scelta ad arbitrio di due grandezze di
riferimento. L’entropia del liquido saturo alla generica temperatura T (e pressione di
equilibrio p(T)) può ottenersi integrando la (7.13); precisamente:
145
T
Sl = ∫ c p
T0
p ∂v
dT
− ∫ ( l ) p dp
po ∂T
T
(7.40)
e valgono le stesse considerazioni fatte per la (7.33).
Se sono noti i valori dell’entalpia del liquido saturo, quelli dell’entropia possono anche essere
ottenuti procedendo per piccoli intervalli successivi considerando valori medi delle variabili
di stato secondo l’espressione:
∆S l =
∆H l v l
− ∆p
Tm
T
Per ottenere l’entropia del vapore saturo secco basta aggiungere l’entropia di vaporizzazione
calcolata a T costante. Per una miscela a titolo x si ha dunque:
S x = Sl +
H l ,v
T
x
(7.41)
Infine, per il vapore surriscaldato fino alla temperatura Ts occorre ancora aggiungere
l’entropia di surriscaldamento a pressione costante, ne risulta:
Ts
Ss = Sv + ∫ c p
T
dT
T
(7.42)
Esempio 7.2
Utilizzando le tabelle delle proprietà termodinamiche dell’acqua – vapore surriscaldato e gas (TAB. 3A), si
determini il valore del volume specifico, entalpia ed entropia di un vapore a 1000 kPa e 520 °C.
----------------------------------------------------Alla pressione di 10 bar (1000 kPa) la tabella in questione riporta:
T→
p=10 bar
(Tsat=179.9
°C)
v, m3/kg
H, kJ/kg
S, kJ/kgK
500 °C
0.3540
3478.3
7.7627
600 °C
0.4010
3697.4
8.0292
Mediante interpolazione lineare si ottengono i seguenti valori alla temperatura richiesta di 520°C:
520 − 500
= 0.3634 m 3 /kg
600 − 500
520 − 500
= 3521.8 kJ/kg
H = 3478.3 + (3697.4 − 3478.3)
600 − 500
520 − 500
= 7.8173 kJ/kgK
S = 7.7627 + (8.0292 − 7.7627)
600 − 500
v = 0.3540 + (0.4010 − 0.3540)
146
----------------------------------------------------------------------------------------------
APPENDICE
A
IL SISTEMA INTERNAZIONALE: SI
------------------------------------------------------------------------------------------A.1- Caratteristiche ideali di un sistema di unità di misura.
Un sistema di unità di misura ideale dovrebbe essere:
omogeneo, coerente, assoluto, decimale.
La caratteristica di omogeneità significa che le unità di misura di tutte le grandezze fisiche
possono essere ricavate dalle unità fondamentali per mezzo di una formula monomia in cui
compaiono soltanto esponenti interi, positivi o negativi. Ad esempio l'unità di misura
dell'accelerazione 1 m/s2 è omogenea perché l'accelerazione (grandezza fisica derivata) viene
espressa in funzione del metro m e del secondo s (entrambe unità fondamentali) mediante la
formula monomia con esponenti interi m/s2 mentre 1 g (dove g è l'accelerzione di gravità) non
è un'unità di misura omogenea perché non è espressa in termini di unità fondamentali. Nel
vecchio ed ormai desueto sistema di unità di misura CGS venivano assunte soltanto tre unità
fondamentali: il centimetro, il grammo ed il secondo. Nel sistema CGS l'unità di misura della
corrente elettrica risultava quindi un'unità derivata ed era espressa in cm1/2 g1/2 s-1 che è una
formula monomia di unità fondamentali ma non con esponenti interi.
La caratteristica di coerenza significa che il coefficiente delle espressioni monomie per le
unità derivate deve essere uguale ad 1. Ad esempio, per la velocità, l'unità di misura 1 m/s è
coerente mentre 1 km/h non è coerente perché il coefficiente moltiplicativo, espresso in unità
fondamentali, non è intero. Risulta infatti: 1 km/h=10/36 m/s.
Un sistema si dice assoluto se le sue unità di misura sono invariabili in ogni tempo e luogo.
Ad esempio i vecchi e desueti "sistemi tecnici" assumevano tra le unità fondamentali, il
chilogrammo forza-peso anziché il chilogrammo massa. Ne consegue che i sistemi tecnici non
sono assoluti perché l'unità di misura fondamentale forza-peso varia da punto a punto sulla
terra e nello spazio perde addirittura di significato.
Un sistema è decimale se tutti i multipli e sottomultipli delle unità di misura sono espressi con
potenze intere di dieci. Ad esempio i vecchi sistemi anglosassoni non erano decimali perché si
aveva: 1 ft (piede) = 12 in (pollici); 1 lb (libbra massa) = 16 oz (once massa).
Tra i requisiti che dovrebbe avere un sistema di unità di misura ideale vi è anche il fatto che
non dovrebbe assumere né troppe né troppo poche unità fondamentali. Infatti, troppe unità
fondamentali determinano il proliferare dei "campioni di riferimento" per le stesse, mentre
troppo poche comportano la necessità di utilizzare le stesse unità di misura per grandezze tra
di loro fisicamente diverse. Ad esempio, nel già citato sistema CGS la resistenza elettrica
aveva come unità di misura il centimetro al secondo cm/s che era la stessa unità per la
velocità, grandezza quest'ultima fisicamente diversa dalla resistenza elettrica.
i
A.2- Il Sistema Internazionale SI
Il Sistema di Unità di Misura Internazionale o Sistema SI , adottato dall'Italia fin dal 1982, è
un sistema che gode di tutte le caratteristiche descritte in precedenza. Il Sistema SI è infatti
omogeneo, coerente, assoluto e decimale. Il sistema SI assume sette unità fondamentali e due
supplementari riuscendo, in questo modo, ad attribuire, nella maggioranza dei casi, unità di
misura diverse a grandezze fisicamente diverse tra di loro.
Le sette unità fondamentali assunte dal sistema SI sono:
la lunghezza con unità il metro (simbolo: m), il tempo con unità il secondo (simbolo: s), la
massa con unità il chilogrammo (simbolo: kg), l'intensità di corrente elettrica con unità
l'ampere (simbolo: A), la temperatura termodinamica con unità il grado kelvin (simbolo: K),
l'intensità luminosa con unità la candela (simbolo: cd), la quantità di materia, con unità la
mole (simbolo: mol).
Le due grandezze supplementari sono: l'angolo piano, con unità il radiante (simbolo: rad), e
l'angolo solido con unità lo steradiante (simbolo: sr).
In quanto segue vengono brevemente definite tutte le unità fondamentali e supplementari
assunte dal sistema SI.
La lunghezza (con unità il metro) è definita come la distanza percorsa nel vuoto dalla luce
nell'intervallo di tempo pari a 1/299 792 458 s).
Il tempo (con unità il secondo) è definito come la durata pari a 9 192 631 770 cicli della
radiazione corrispondente alla transizione entro i due livelli iperfini dello stato fondamentale
dell'isotopo 133 del cesio.
La massa (con unità il chilogrammo) è definita come la massa uguale a quelle del campione
di platino-iridio conservato a Sèvres (Francia) presso l'Ufficio Internazionale dei Pesi e delle
Misure.
L'intensità di corrente elettrica (con unità l'ampere) è l'intensità di corrente costante che, se
mantenuta in due conduttori paralleli, rettilinei, posti nel vuoto alla distanza di 1 m ed aventi
sezione circolare trascurabile rispetto alla distanza, produce in questi conduttori una forza
attrattiva o repulsiva pari a 2⋅10-7 newton per metro di lunghezza.
La temperatura termodinamica (con unità il grado kelvin) è la frazione 1/273.16 della
temperatura termodinamica del punto triplo dell'acqua.
L'intensità luminosa (con unità la candela) è l'intensità luminosa, in una data direzione, di una
sorgente che emetta una radiazione monocromatica di frequenza 540⋅1012 hertz (pari ad una
lunghezza d'onda di 0.555 µm) e la cui intensità energetica in quella direzione sia di 1/683
watt per steradiante.
La quantità di materia con unita la mole, è la quantità di materia presente in un sistema che
contiene tante entità elementari (quali ad esempio atomi, molecole od elettroni), quanti sono
gli atomi contenuti in 0.012 kg di carbonio 12.
ii
Tabella A1
Fattore
10-18
10-15
10-12
10-9
10-6
10-3
10-2
10-1
101
102
103
106
109
1012
1015
1018
Prefisso Simbolo
atto
femto
pico
nano
micro
milli
centi
deci
deca
etto
chilo
mega
giga
tera
peta
exa
a
f
p
n
µ
m
c
d
da
h
k
M
G
T
P
E
Oltre a fissare le unità di misura per le grandezze fondamentali e derivate il sistema SI
stabilisce anche una serie di regole di scrittura per le unità stesse che occorre conoscere e
cercare di seguire.
Innanzitutto per adeguare gli ordini di grandezza delle unità di misura all'entità del fenomeno
in esame in modo da non avere numeri troppo piccoli o troppo grandi, si hanno a disposizione
una serie di sottomultipli e multipli elencati in tabella A1.
Come si può osservare i fattori hanno un intervallo di tre decadi, ad eccezione della zona
centrale della tabella, compresa tra 10-3 e 103, in cui gli intervalli hanno una cadenza più fitta,
variando di una decade.
I simboli dei fattori moltiplicativi vanno applicati davanti al simbolo della grandezza fisica di
seguito, senza nessun punto o spazio di separazione.
Esempi corretti:
EJ (exajoule), GW (gigawatt), mbar (millibar),
µm (micrometro), mK (millikelvin)
Esempi errati:
E J, GigaW, m.bar, µ m, m K(significa metro per kelvin)
Vi sono poi un certo numero di regole da seguire per scrivere e rappresentare correttamente le
unità di misura.
1) Quando l'unità di misura non è accompagnata dal valore numerico si scrive per esteso, in
carattere minuscolo e senza accenti, anche quando si tratti di nomi di persona o l'unità sia
preceduta da simboli di multipli o sottomultipli elencati in Tabella A1.
Esempi corretti:
joule, watt, kelvin, ampere, megawatt, newton, chilopascal, celsius.
Esempi errati:
Joule, Watt, Kelvin, Ampère, ampère, Megawatt, megaWatt, Newton,
kPascal, Celsius.
2) Quando l'unità di misura accompagna il valore numerico occorre esclusivamente utilizzare
i simboli previsti per quella unità. Tali simboli non vanno seguiti dal punto (infatti non sono
da considerasi delle abbreviazioni) e vanno sempre scritti dopo il valore numerico e senza
parentesi.
Esempi corretti:
54.7 W, 100 J/s, 401.3 K, 25 mbar
iii
Esempi errati
54.7 W., 100 J./s, 100 J al secondo, 201.3 Kelvin, 25 mbar.
3) Per indicare il segno di moltiplicazione tra i simboli delle unità di misura si usa il punto a
metà altezza ⋅ ovvero uno spazio vuoto, mentre per indicare divisione si usa la barra / od un
esponente negativo.
Esempi corretti:
m⋅K(metro per kelvin), m K(metro per kelvin), W/(m K), W m-1 K-1,
W
, Wm-1K-1
Esempi errati:
mK(significa millikelvin e non metro per kelvin),
mK
4) Cercare di non fare confusione tra il simbolo k(minuscolo) del multiplo chilo ed il simbolo
K (maiuscolo e senza il segno °) di grado kelvin.
Esempi corretti:
kJ (chilojoule), kW (chilowatt), kg (chilogrammo), K (kelvin), °C
(celsius).
Esempi errati:
KJ, KW, Kg, °K, C.
5) Il simbolo °C viene utilizzato per esprimere il grado celsius e non più, come si diceva una
volta, grado centigrado.
6) Per indicare un valore di temperatura si può indifferentemente scegliere il grado kelvin o
quello celsius, mentre per esprimere una differenza di temperatura ovvero unità derivate che
includono differenze di temperatura si deve impiegare il grado kelvin K e non quello celsius
°C..
Esempi corretti: differenza di temperatura di 20 K, conduttività termica di 0.05 W/(m K)
calore specifico di 0.480 kJ/(kg K), temperatura di 25 °C.
Esempi errati:
differenza di temperatura di 20 °C, conduttività termica di 0.05 W/(m °C)
calore specifico di 0.480 kJ/(kg °C), temperatura pari a 25 °.
7) I nomi degli elementi chimici si scrivono con l'iniziale minuscola ma i rispettivi simboli
sono maiuscoli.
Esempi corretti:
azoto, ossigeno, N2, O2.
Esempi errati:
Azoto, Ossigeno n2, o2
8) I simboli per indicare ore, minuti e secondi sono rispettivamente: h, min, s
Gli apici semplici e doppi ' e '' indicano il minuto ed il secondo d'arco. Ricordare che anche
il simbolo ° da solo indica il grado d'arco e non può quindi essere impiegato, da solo, per
indicare la temperatura in gradi celsius.
iv
----------------------------------------------------------------------------------------------
APPENDICE
LA SCALA INTERNAZIONALE DI TEMPERATURA
B
ITS
-------------------------------------------------------------------------------------------
B.1- Definizione della scala di temperatura ITS-90
Occorre innanzitutto servirsi di un termometro campione primario a resistenza di platino
costruito con particolari accorgimenti e materiali che assicura una estrema accuratezza e
riproducibilità. In particolare, per un termometro campione primario la resistenza di platino
deve essere pura ed esente da stati di tensione (meccanica) interni. Inoltre, il rapporto tra la
resistenza elettrica alla temperatura di fusione del gallio Rga (T=29.4676 K) e quella al punto
triplo dell'acqua Rpt (T=173.16 K) deve essere:
R ga
R pt
> 1.11807
Nel campo di temperature compreso tra 13.8033 K e 273.16 K la scala internazionale ITS-90
(International Temperature Scale) è definita dalla seguente funzione:
⎡ ln(T / 273.16 K ) + 1.5 ⎤
ln[Wr (T )] = A 0 + ∑ Ai ⎢
⎥
1 .5
⎦
⎣
i =1
12
i
(B.1.1)
dove Wr(T) rappresenta il rapporto tra la resistenza elettrica del termometro primario alla
temperatura attuale T e quella alla temperatura del punto triplo dell'acqua:
Wr (T ) =
Rr (T )
Rr (273.16 )
Lo sviluppo in serie di potenze B.1.1, essendo assegnati i tredici coefficienti A0 ed Ai ,
definisce la scala di temperatura nell'intervallo 13.8033 - 273.16 K, nel senso che ad ogni
valore di temperatura, compreso in questo intervallo, corrisponde un valore univoco del
rapporto Wr(T) misurato dal termometro primario. Per le applicazioni pratiche di misura è più
conveniente disporre di una funzione inversa della B.1.1 che, noto il rapporto Wr(T) misurato
fornisca il corrispondente valore di temperatura:
15
⎡W (T )1 / 6 − 0.65 ⎤
T
= B 0 + ∑ Bi ⎢ r
⎥
273.16
0.35
i =1
⎣
⎦
i
(B.1.2)
v
I coefficienti Bi sono riportati nella Tabella B.1
In maniera del tutto analoga, nel campo di temperature compreso tra 0 - 961.78 °C la scala
internazionale è definita dalla seguente funzione:
⎡ T − 754.15 ⎤
Wr (T ) = C 0 + ∑ C i ⎢
481 ⎥⎦
⎣
i =1
9
i
(B.1.3)
ovvero dallo sviluppo inverso:
⎡W (T ) − 2.64 ⎤
T − 273.15 = D0 + ∑ Di ⎢ r
⎥
1.64
⎣
⎦
i =1
9
i
(B.1.4)
Anche i nove coefficienti Di sono riportati in Tabella B.1
Gli sviluppi polinomiali B.1.1, B.1.2, B.1.3, B.1.4 valgono per un termometro primario a
resistenza di platino di riferimento. Naturalmente è impossibile costruire termometri primari
commerciali tutti uguali e che soddisfino esattamente le funzioni B.1.1-B.1.4 in
corrispondenza dei punti fissi. Allora la scala ITS-90 fornisce la procedura per uniformare
ogni termometro a resistenza primario a quello di riferimento. Viene a questo scopo introdotta
una funzione di deviazione i cui coefficienti sono da determinare calibrando il proprio
termometro primario in alcuni punti fissi. Ad esempio, nell'intervallo di temperatura 0-961.78
°C , la funzione di deviazione è la seguente:
W (T ) − Wr (T ) = a[W (T ) − 1] + b[W (T ) − 1] + c[W (T ) − 1] + d [W (T ) − W (660.323 °C )] (B.1.5)
2
3
2
Tabella B.1
B0 =
B1 =
B2 =
B3 =
B4 =
B5 =
B6 =
B7=B8=B9=B10=
B11=
B12=B13=B14=
B15=
0.183 324 722
0.240 975 303
0.209 108 771
0.190 439 972
0.142 648 498
0.077 993 465
0.012 475 611
0.032 267 127
0.075 291 522
0.056 470 670
0.076 201 285
0.123 893 204
0.029 201 193
0.091 173 542
0.001 317 696
0.026 025 526
D0 = 439.932 854
D1 = 472.418 020
D2 =
37.684 494
D3 =
7.472 018
D4 =
2.920 828
D5 =
0.005 184
D6 =0.963 864
D7=0.188 732
D8=
0.191 203
D9=
0.049 025
I coefficienti a, b, c, d nella (B.1.5) vengono determinati calibrando il proprio termometro
primario nei seguenti punti fissi: punto triplo dell'acqua(0.01 °C), punto di solidificazione
dello stagno (231.928 °C), punto di solidificazione dello zinco (419.527 °C), punto di
solidificazione dell'alluminio (660.323 °C) ed il punto di solidificazione dell'argento (961.78
vi
°C). Nella funzione di deviazione (B.1.5), il rapporto W(T) è quello misurato dal proprio
termometro mentre Wr(T) è quello fornito dalla relazione (B.1.3) (termometro primario di
riferimento) in corrispondenza degli stessi punti fissi.
Pertanto, se indichiamo con FD la funzione di deviazione definita dalla (B.1.5):
FD = W (T ) − Wr (T )
(B.1.6)
la scala ITS-90 sarà definita dalle misure del rapporto W(T) fornite dal proprio termometro
primario opportunamente corrette come segue:
Wr (T ) = W (T ) − FD
(B.1.7)
Dopo che sono state eseguite tutte queste procedure, si ha a disposizione un termometro
primario che segue la scala internazionale della temperatura in un determinato intervallo
termico con una accuratezza dell'ordine del millesimo di grado. Con questo termometro
vengono poi eseguite le calibrazioni per confronto, del tipo di quella descritta nel Cap. 2, di
altri termometri a resistenza di platino meno costosi ed accurati, chiamati termometri
secondari con precisione dell'ordine di ±0.01 K. Questi ultimi vengono quindi impiegati per
calibrare, sempre per confronto, i veri e propri termometri di lavoro, impiegati in laboratorio o
nell'industria. Ad ogni passaggio, corrisponde naturalmente una perdita di accuratezza,
cosicché, per una normale termocoppia di lavoro, che è un sensore già costituzionalmente
meno preciso di un termometro a resistenza di platino, calibrata con un termometro
secondario, la precisione non supera, normalmente ±0.1 K.
vii
------------------------------------------------------------------------------------------------
CAPITOLO
8
ANALISI TERMODINAMICA DEI PROCESSI DI
CONVERSIONE
-----------------------------------------------------------------------------------------------In questo capitolo viene presentata un’analisi dei processi di conversione energetica, basata sul primo e
sul secondo principio. Vengono considerati i processi motori ed inversi per delinearne le caratteristiche
termodinamiche ed analizzare le possibilità di incremento della loro efficienza definita su base energetica.
8.1. Introduzione
Il secondo principio della termodinamica, introdotto nel cap. 5, si può sintetizzare
affermando che non è possibile trasformare integralmente calore in lavoro: esiste cioè una
limitazione termodinamica a tale conversione energetica. Le equazioni (5.14), in particolare,
precisano che possono essere realizzati soltanto quei processi ciclici che danno origine ad un
valore positivo o nullo della traccia termodinamica:
σ e = −∑
Qi
Ti
(≥ 0)
ovvero
σ e = −∫
dQ
T
(≥ 0)
(5.14)
In base a questo criterio, come è già stato notato, per un sistema chiuso non può essere
realizzato un processo ciclico motore monotermodiabatico, in cui cioè si converte energia
termica in energia meccanica scambiando calore con una sola sorgente (enunciato di KelvinPlanck). Per convertire energia termica in energia meccanica sono necessarie almeno due
sorgenti. Ciò suggerisce di esaminare le relazioni esistenti tra un sistema, che compie con
continuità lavoro sull’esterno in un ciclo motore o diretto, e le sorgenti termiche,
considerando il più semplice processo, tra due sole sorgenti, una a T1 e l’altra a T2 , per
verificarne la fattibilità. Per sorgente termica si intende un sistema o apparato in grado di
scambiare calore senza che vari la sua temperatura; l’acqua dell’oceano e l’aria atmosferica
possono rappresentare degli esempi naturali di sorgente termica.
8.2. Frazione utilizzata ed utilizzabile di un ciclo semplice motore
Si consideri un ciclo motore in cui il sistema evolve tra due temperature estreme T1 e
T2 (quelle delle sorgenti, tali che sia T1 > T2 per ipotesi) scambiando, rispettivamente, le
quantità di calore Q1 e Q2 , in modo isotermo. Al fine di completare il ciclo con due sole
sorgenti termiche, è necessario collegare le trasformazioni isoterme con due adiabatiche, che
possono essere reversibili o irreversibili. Il processo ciclico risultante è detto ciclo semplice o
1
bitermico ed è dunque costituito da due trasformazioni isoterme intervallate da due
adiabatiche (v. schema Fig. 8.1).
Per stabilire la direzione secondo la quale dovrebbero essere effettuati gli scambi di calore al
fine di ottenere lavoro meccanico con continuità, si può considerare l’espressione del secondo
principio, nella formulazione (5.14), unitamente al bilancio energetico del sistema. Si ha così:
σe = −
Q1 Q2
−
≥0
T1 T2
Q1 Q2
+
≤0
T1 T2
ovvero:
da cui:
Q1 Q2 Q2 Q2
+
+
−
≤0
T1 T2
T1 T1
e infine:
Q1 + Q2
1 1
+ Q2 ( − ) ≤ 0
T1
T2 T1
Essendo il ciclo motore, è per ipotesi
(Q1 + Q2 ) = L > 0 . Inoltre è T2 < T1 ; deve
dunque essere Q2 < 0 .
In un ciclo motore semplice, il sistema
termodinamico riceve dunque calore dalla
sorgente a temperatura superiore e ne cede
parte alla sorgente inferiore. Gli scambi
energetici hanno la direzione indicata in Fig.
8.1.
Si noti inoltre che Q2 non può essere ridotto
quanto si vuole. Il suo valore limite è dato
dalla condizione σ e = 0 ; pertanto il calore
ceduto alla sorgente inferiore non è mai
nullo e per la (8.1) si ha:
Q2 ≤ − L
(8.1)
T1
Q1
L
Q2
T2
Fig. 8.1. Schema di un ciclo motore semplice.
T2
T1 − T2
(8.2)
La prestazione di un sistema che compie un ciclo motore termodinamico può in generale
essere descritta su base energetica considerando la frazione di energia fornita sotto forma di
calore che è convertita in lavoro meccanico e cioè il rapporto tra l’effetto desiderato e quanto
si richiede per ottenerlo. Per un qualsiasi sistema motore si definisce allo scopo frazione
utilizzata (in lavoro meccanico) dello scambio termico positivo Q1 , o efficienza termica del
processo (motore) di conversione, il rapporto:
η=
L
Q1
(8.3)
tra il lavoro netto ottenuto L ed il calore fornito Q1 .
2
Il valore dell’efficienza η di un ciclo semplice può scriversi in funzione delle grandezze
prima introdotte, mediante le seguenti due relazioni fondamentali, espressioni del primo e del
secondo principio:
Q Q
Q1 + Q2 = L
e
σe = − 1 − 2 ≥ 0
T1 T2
Sostituendo la prima nella (8.3) risulta:
η=
Q1 + Q2
Q
= 1+ 2
Q1
Q1
(8.4)
Dalla seconda si ha inoltre:
Q2 = −T2 (σ e +
Q1
)
T1
e quindi:
η = 1−
T2 T2
− σe
T1 Q1
(8.5)
La relazione (8.5) evidenzia due effetti che rendono l’efficienza di un ciclo semplice minore
dell’unità: l’effetto Carnot, associato soltanto alle temperature assolute delle due sorgenti, e
l’effetto Clausius, associato alle irreversibilità. La massima efficienza per un processo con
due date sorgenti, cioè la frazione utilizzabile ( η 0 ) in lavoro meccanico del calore fornito al
sistema, si ottiene nel caso di produzione entropica nulla, cioè di trasformazioni tutte
reversibili:
T
η0 = 1 − 2
(8.6)
T1
Il ciclo motore semplice reversibile, costituito da due isoterme e due adiabatiche, viene
denominato ciclo (diretto) di Carnot, in onore di Sadi Carnot, il termodinamico francese che
per primo lo propose (1824). Alla reversibilità delle trasformazioni si associa, nel ciclo di
Carnot, il presupposto di scambi di calore effettuati con sorgenti termostatiche.
Per un ciclo semplice, reversibile o no, è dunque:
T
η = η0 − 2 σ e
(8.7)
Q1
Ne risulta che in un processo semplice motore, reale, il calore Q1 fornito al sistema dalla
sorgente alla temperatura superiore si ritrova in parte in lavoro meccanico (nella frazione η)
ed in parte in calore versato alla sorgente inferiore, come conseguenza dell’effetto Carnot e
dell’effetto Clausius:
Q1
⇒
- lavoro meccanico netto:
L = η Q1
+
- calore ceduto alla sorgente inferiore Q2 , costituito da :
T2
Q
T1 1
(effetto Carnot) +
T2
σ Q (effetto Clausius).
Q1 e 1
3
La grandezza η , definita dalla (8.3) viene anche detta rendimento, ma generalmente per
“rendimento” si intende il rapporto tra ciò che effettivamente si ricava da un processo e ciò
che si otterrebbe nel caso ideale, ammettendo il valore limite unitario per processi ideali. Nei
cicli termodinamici semplici motore la (8.6) misura la frazione dell’energia termica
convertibile in energia meccanica in un processo ideale ed è una quantità minore dell’unità.
Per questi motivi sembra più appropriato utilizzare per la frazione (8.3) le denominazioni di
frazione utilizzata o efficienza termica.
Per caratterizzare la qualità del processo rispetto agli effetti delle irreversibilità, può invece
definirsi rendimento ( ρ ) il rapporto tra la frazione utilizzata e la frazione utilizzabile,
rapporto che viene detto alla Clausius perché ammette un valore limite unitario. Per un ciclo
semplice risulta:
ρ=
T σ
η
= 1− 2 e
Q1 η 0
η0
(8.8)
Il ciclo di Carnot presenta dunque rendimento ρ unitario e, come verrà specificato, la più
elevata efficienza tra tutti i possibili cicli diretti.
8.3. Energia termica convertibile in lavoro meccanico
Come già notato commentando la (8.5), l’effetto Carnot dipende dal rapporto tra le
temperature delle sorgenti e non si può pertanto modificare una volta fissate le temperature
stesse. L’effetto Clausius può essere ridotto operando in modo da ridurre le irreversibilità
delle trasformazioni. L’aumento della frazione utilizzata, per una data T1 , può dunque aversi
sia diminuendo la temperatura della sorgente inferiore T2 , sia diminuendo la produzione
entropica per irreversibilità.
Con riferimento ad un ciclo semplice reversibile si può facilmente osservare che non si ha
convenienza a diminuire la temperatura T2 al di sotto della temperatura ambiente Ta . Per
realizzare infatti una sorgente termica (operante a regime) a T2 < Ta è necessario che il calore
ad essa trasferito ( Q2 ) venga con continuità asportato con un ciclo inverso.
Un tale sistema risulterebbe quindi costituito da un ciclo motore operante tra T1 e T2 (< Ta ) ,
e da un ciclo inverso che riceve il calore
Q1
Q2 rilasciato dal ciclo motore (a T2 ) e cede
T
calore all’ambiente a Ta , secondo lo
T1
schema di Fig. 8.2.
Q1,inv
Complessivamente si avrebbe:
Ta
η0 =
L Lmotore − Linv
=
Q1
Q1
Dalla rappresentazione dei cicli semplici
nel piano entropico, tenendo conto del
significato delle aree, si evidenzia che il
complesso dei due cicli è equivalente ad un
T2
Q2
Q2
S
Fig. 8.2. Schema per indicare la non convenienza
termodinamica ad operare con T2 < Ta .
4
unico ciclo motore funzionante tra le temperature T1 e Ta .
L’efficienza massima di conversione di una data quantità di calore disponibile a T1 è
pertanto:
(8.9)
(η 0 ) max = 1 − TTa
1
In un processo di conversione dell’energia, anche se reversibile, una parte dell’energia
termica disponibile ( Q1 ) non può dunque essere utilizzata: questa parte è proporzionale alla
temperatura ambiente ( Ta ) ed alla variazione di entropia ( Q1 / T1 ) che accompagna
l’acquisizione del calore da parte del sistema evolvente.
In sintesi il primo principio non esclude la possibilità di trasformare completamente energia
da una forma ad un’altra. Il secondo principio precisa però che esiste una limitazione
termodinamica e che la trasformazione integrale di calore in lavoro non è possibile.
Data una quantità di calore fornito da una sorgente termica, una porzione di essa può essere
convertita in lavoro meccanico ed è chiamata “energia utilizzabile” (available energy) o
“exergia”, la rimanente parte è “energia non convertibile” (unavailable energy). Per una
sorgente a T1 , da cui viene estratta una quantità di calore Q1 , l’energia non utilizzabile è
Q2 = Ta Q1 / T1 . Assegnate dunque uguali quantità di calore Q a differenti temperature ( T1 e
T1' ), la possibilità di conversione in lavoro meccanico dipende dalla temperatura a cui esse
T
Q
Energia termica convertibile
T1
Q
T1’
Ta
∆S 1
∆S1’
S
Fig. 8.3. La frazione di energia termica convertibile dipende dalla
temperatura a cui è disponibile.
sono disponibili e la frazione di energia termica convertibile è tanto maggiore quanto più
elevata è tale temperatura. In Fig. 8.3 è schematicamente indicata, per due uguali quantità di
calore ( Q = T1 ∆S1 = T1' ∆S1' ), la corrispondente frazione convertibile in lavoro meccanico:
essa dipende chiaramente dalla temperatura, che costituisce una misura della “qualità”
dell’energia termica.
Esempio 8.1
Determiniamo la quantità minima di calore da fornire alla temperatura t1 di 600 °C per ottenere una
unità di lavoro netto, nell’ipotesi che la temperatura T2 sia pari a 300 K.
5
In questo caso si ha T1=600+273.15= 873.15 K.
La massima efficienza per un processo con due date sorgenti, cioè la frazione utilizzabile ( η 0 ) è data dalla (8.6):
η0 =
T
L
300
= 1− 2 = 1−
= 0.656
Q1
T1
873.15
(8.6)
ovvero
⎛ Q1 ⎞
= 1.523
⎜ ⎟
⎝ L ⎠ minimo
Si conclude che, nelle ipotesi date, per ottenere 1 kJ di lavoro netto, si deve fornire ad un ciclo almeno 1,523 kJ
di calore.
8.4. Frazione utilizzata di cicli diretti composti
I cicli motori che si realizzano nelle macchine termiche non sono, in generale,
semplici; essi per varie ragioni sono caratterizzati da scambi termici che possono interessare
una molteplicità di sorgenti a diversa temperatura e vengono perciò detti cicli composti.
Il ciclo termodinamico generico, che li rappresenta in condizioni di reversibilità, è dato da una
curva chiusa che, nel diagramma T, S, è compresa tra una temperatura massima T1 ed una
minima T2 .
Si consideri ad esempio il ciclo reversibile rappresentato in Fig. 8.4. Per il significato delle
aree nel piano entropico:
T
la
trasformazione
A-B-C
è
caratterizzata da uno scambio termico
B
T
1
6
positivo pari a
∑A
j =3
A1
;
j
la
trasformazione
C-D-A
è
caratterizzata da uno scambio termico
A3
∑A
j =4
j
C
A
6
negativo pari a
A2
.
Il confronto tra l’efficienza del ciclo in
esame e quella di un ciclo semplice
operante tra le stesse temperature
estreme, fornisce:
A4
D
A6
SA
SC
S
Fig. 8.4. Generico ciclo motore composto reversibile.
- per il ciclo composto:
η '0
A5
T2
∑Q
= 1+
∑Q
i
2
i
1
∑Q
= 1−
∑Q
i
2
i
1
= 1−
A4 + A5 + A6
A3 + A4 + A5 + A6
- per il ciclo semplice:
η0 = 1 −
A6
6
∑A
k =1
k
6
E’ pertanto η ' 0 < η 0 e dunque la frazione utilizzabile di un ciclo di Carnot è sempre maggiore
di quella di un ciclo composto a parità di temperature massima e minima.
Sempre per un ciclo reversibile, indicando con T1 e con T2 le temperature medie a cui
avvengono lo scambio termico positivo e quello negativo, rispettivamente, si può anche
scrivere:
Q1 =
∫ TdS = T ∆S
1
A− C
ABC
Q2 =
∫ TdS = T ∆S
2
C− A
CDA
da cui ancora:
η '0 = 1 +
Q2
T
= 1− 2
Q1
T1
(8.10)
Notando che T2 > T2 e T1 < T1 , si conclude ancora che η ' 0 < η 0 .
L’espressione (8.10) ottenuta per la frazione utilizzabile mette in evidenza come l’efficienza
termica di un ciclo composto dipenda dalle temperature medie di acquisizione e cessione del
calore. Operativamente, poiché le temperature massime sono limitate da esigenze di carattere
tecnologico, miglioramenti nella efficienza di conversione derivano dal rendere più elevata
possibile la temperatura media a cui il sistema riceve calore, riducendo nel contempo la
temperatura media a cui il calore viene ceduto all’esterno.
Più in generale, per un ciclo composto reale, si ha:
∫
ABC
dQ
dQ
+ ∫CDA
+ σe = 0
T
T
(8.11)
Si può inoltre porre:
Q1
dQ
'
=
ξ
ABC T
T1
con
∫
dQ = Q1
e
ξ’>1
Q
dQ
= ξ" 2
CDA T
T2
con
∫
dQ = Q2
e
ξ”<1
∫
∫
ABC
CDA
Ne deriva che:
ξ'
Q1
Q2
+ ξ ''
+ σe = 0
T1
T2
e quindi:
Q2 = −(σ e + ξ '
Q1 T2
)
T1 ξ "
Essendo comunque per il primo principio Q1 + Q2 = L , risulta:
η=
Q
T σ T
T
L
= 1 + 2 = 1 − 2 − e 2 − 2 (ξ − 1)
Q1
Q1
T1 ξ " Q1 T1
(8.12)
7
in cui si è posto ξ = ξ ' / ξ " , quantità maggiore di uno.
Attraverso la (8.12), vengono quindi messi in evidenza tre effetti che rendono minore
dell’unità la frazione utilizzata per un generico ciclo motore: l’effetto Carnot, misurato dal
T
rapporto tra le due temperature estreme delle sorgenti termiche 2 ; l’effetto Clausius,
T1
dipendente dalla produzione entropica e dato da
σr
, ed infine l’effetto di molteplicità delle
ξ"
sorgenti termiche (ξ − 1) T2 / T1 .
Si può facilmente notare che il fattore ξ’ diminuisce (avvicinandosi all’unità) col diminuire
dell’ampiezza del campo di variazione della temperatura, durante la fase di scambio termico
positivo. Analogamente il fattore ξ " aumenta, tendendo all’unità, col diminuire dell’ampiezza
del campo di variazione della temperatura durante la fase di scambio termico negativo. Per
questa ragione negli impianti tecnici si cerca di concentrare gli scambi termici in due fasi, a
cui corrispondano variazioni relativamente contenute della temperatura, adottando opportuni
accorgimenti tra cui, ad esempio, scambi termici con trasferimento di energia “interno” al
sistema, che si attuano in particolari componenti detti rigeneratori.
8.5. Rappresentazione del ciclo semplice motore reale nel diagramma entropico
Si consideri un ciclo semplice
motore in cui le irreversibilità siano
distribuite nelle sole trasformazioni
adiabatiche di compressione e di
espansione. Il processo è dunque
costituito da due isoterme e da due
adiabatiche reali.
Se sono noti i valori di T1 , T2 e Q1 la
trasformazione 1-2 è determinata e si
Q
ha: ∆S1,2 = 1 . Per individuare lo stato
T1
3, sull’isoterma a T2 , occorre
conoscere la produzione entropica
∆S S ' che caratterizza l’espansione 2-3.
Similmente la 3-4 è individuata se è
nota la produzione entropica ∆S S '' della
4-1. Il calore scambiato lungo la 3-4
risulta infatti:
Q2 = −( ∆S s' + ∆S s" +
T
Q1
1
T1
2
T2
3
4
Q2
∆S s"
Q1 / T1
∆S s'
S
Fig. 8.5. Ciclo semplice motore reale.
Q1
)T
T1 2
(8.13)
Lo scambio termico Q2 dovrà dunque essere tale da produrre una variazione di entropia
complessiva pari alla somma delle produzioni entropiche dovute alle irreversibilità più la
variazione entropica associata allo scambio termico reversibile Q1 .
8
Il diagramma riportato in Fig. 8.5 permette di individuare la parte del calore Q1 non utilizzata
per effetto Carnot ( T2 (Q1 / T1 ) ), mentre le due aree T2 ∆S s' e T2 ∆S s" misurano le quote non
utilizzate per effetto Clausius (v. eq. (8.5)).
Si può infine notare che l’area racchiusa dal ciclo tracciato non rappresenta gli effettivi
scambi tra il sistema e l’esterno, per la presenza delle trasformazioni irreversibili. Gli scambi
termici effettivamente rappresentati dalle aree sottostanti le trasformazioni sono soltanto
quelli relativi alle due trasformazioni isoterme e lo scambio di lavoro netto, nel suo
equivalente termico, è ottenuto sottraendo al calore fornito al fluido Q1 il totale calore ( Q2 )
non utilizzato meccanicamente, dato dalla relazione (8.13).
8.6. Il ciclo semplice inverso
Se si inverte la direzione dei processi termodinamici del ciclo semplice diretto, tutti gli
scambi energetici di calore e lavoro cambiano il loro segno: il sistema evolvente riceve una
data quantità di lavoro L per estrarre la quantità di calore Q2 dalla sorgente a bassa
temperatura T2 , versando alla sorgente alla temperatura più elevata T1 la quantità di calore:
Q1 = Q2 + L
(8.14)
Il processo semplice inverso che così si realizza non contraddice il secondo principio come
enunciato da Clausius, poiché il trasferimento di calore dalla sorgente a bassa temperatura a
quella a temperatura più elevata non è “spontaneo”, ma richiede l’applicazione del lavoro L
dall’esterno (Fig. 8.6).
Un ciclo inverso come quello descritto può
T1
essere utilizzato con due differenti finalità in
relazione al valore delle temperature delle
Q1
sorgenti,
rispetto
alla
temperatura
L
dell’ambiente esterno circostante.
Se la temperatura della sorgente inferiore T2
è uguale a quella dell’ambiente esterno, il
Q2
ciclo inverso può essere utilizzato per
T2
effettuare il “riscaldamento termodinamico”
e l’impianto è detto a pompa di calore. La
quantità di calore Q2 è sottratta alla sorgente
Fig. 8.6. Schema di un ciclo inverso semplice.
inferiore (costituita dall’ambiente esterno)
applicando il lavoro L e la somma
Q1 = Q2 + L viene trasferita al mezzo da riscaldare a temperatura più elevata T1 .
L’efficacia di un processo a pompa di calore è in generale valutata mediante il rapporto tra il
calore utile per il riscaldamento termodinamico ed il lavoro applicato al sistema: tale rapporto
è denominato coefficiente di prestazione ( COPhp ) della pompa di calore:
COPhp = ε hp =
Q1
L
= 1+
Q2
>1
L
(8.15)
9
Come mostra la (8.15) il coefficiente di prestazione è sempre maggiore di 1 e pertanto è
anche detto coefficiente di amplificazione (COA).
In un ciclo inverso semplice reversibile (di Carnot) il calore sottratto alla sorgente inferiore è
proporzionale alla temperatura termodinamica di questa, mentre l’equivalente termico del
lavoro è proporzionale alla differenza tra le temperature delle due sorgenti. Dalla (8.15) si ha
dunque:
T1
(8.16)
COPhp ,0 = ε hp ,0 =
T1 − T2
Una diversa utilizzazione del ciclo inverso riguarda i sistemi frigorigeni in cui l’ambiente
esterno opera da sorgente termica superiore ( T1 ) ed allora l’effetto che si vuol produrre
consiste nella sottrazione di calore alla sorgente inferiore mediante applicazione di lavoro. Il
ciclo sarà quindi tanto più efficace quanto maggiore è il calore sottratto ( Q2 ) e minore il
lavoro speso L . Il criterio di bontà per un ciclo frigorigeno è in genere dato dall’effetto
frigorigeno specifico ( ε ) o coefficiente di prestazione (COPf) definito dalla:
Q2
L
Per un ciclo inverso di Carnot, l’effetto frigorigeno specifico risulta:
COPf = ε f =
COPf ,0 = ε f ,0 =
T2
T1 − T2
(8.17)
(8.18)
Le (8.16) e (8.18) indicano che l’efficacia di un ciclo inverso di Carnot è tanto più elevata
quanto più piccola è la differenza tra le temperature delle due sorgenti termiche.
Per valutare le prestazioni di un ciclo inverso frigorigeno può anche utilizzarsi il reciproco del
coefficiente di prestazione, detto consumo meccanico specifico γ :
γ =
L
Q2
=
Q1 + Q2
Q2
=−
Q1 + Q2
Q
= − 1 −1
Q2
Q2
(8.19)
Sostituendo nella precedente la (5.14) scritta per il ciclo semplice, si ottiene:
γ = −1 + σ e
T1 T1
+
Q2 T2
(8.20)
Il consumo meccanico specifico, nel caso di reversibilità ( σ e = 0 ), è dunque minimo ed è
funzione delle sole temperature estreme:
γ0 =
T1
−1
T2
(8.21)
10
8.7. Rappresentazione del ciclo semplice inverso reale nel diagramma entropico
Si consideri un ciclo semplice inverso in cui le irreversibilità siano ancora distribuite
nelle sole fasi di compressione ed espansione adiabatica. Il processo sarà costituito da due
isoterme e da due adiabatiche reali.
T
Se sono noti i valori di T1 , T2 e Q2 , la
Q1
Q
4
3
1-2 è determinata e si ha: ∆S1,2 = 2 .
T1
T2
Per determinare lo scambio termico Q1
occorre conoscere le produzioni
T2
entropiche ∆S S ' e ∆S S '' . Il calore
2
1
scambiato lungo la 3-4 risulta infatti:
Q
2
Q1 = −(∆S s' + ∆S s" +
Q2
)T1
T2
(8.22)
∆S s'
Q2 / T2
∆S s"
S
Fig. 8.7. Ciclo semplice inverso reale.
Il lavoro speso durante il processo è uguale, per il bilancio energetico, alla differenza tra il
calore ceduto all’esterno alla sorgente superiore e quello asportato alla sorgente inferiore;
graficamente è dato dall’area del ciclo più il totale calore di irreversibilità.
Esempio 8.2
Determiniamo la produzione entropica in un ciclo inverso, che si svolge fra la temperatura T2=250 K e la
temperatura T1= 300 K, nel quale viene sottratta una quantità di calore pari a 700 kJ alla sorgente a temp.
inferiore spendendo un lavoro pari a 200 kJ.
Con riferimento al ciclo di Fig. 8.7, il primo principio della termodinamica fornisce
Q1• = L• − (Q2• )
Q1• = −200 − (700) = −900 kJ
mentre dalla seconda delle (5.14), scritta per una massa m di fluido, si ha
∫
δQ •
T
=
Q1• Q2•
+
= −m ⋅ σ e = − ∆S s•
T1 T2
ovvero
⎛ − 900 700 ⎞
∆S s• = −⎜
+
⎟ = 0.2
⎝ 300 250 ⎠
kJ ⋅ K −1
Poiché la produzione entropica non è nulla, il ciclo risulta irreversibile. Verifichiamo che il COPf (caso frigo) sia
minore di quello di Carnot. Applicando la (8.17) e la (8.18) otteniamo rispettivamente:
COPf =
Q2 700
=
= 3.5
L
200
COPf ,0 =
T2
250
=
= 5 .0
T1 − T2
50
(8.17)
(8.18)
11
8.8. Rendimenti isoentropici dell’espansore e del compressore
Nei processi tecnici concreti assumono particolare importanza alcune trasformazioni
reali generalmente caratterizzate da una certa produzione entropica. Sono tali ad esempio le
compressioni ed espansioni con scambio di lavoro esterno netto che si realizzano in idonei
componenti di impianto.
Stabiliti i valori delle pressioni estreme ( p1 , p 2 ) e lo stato iniziale del sistema, la
rappresentazione delle suddette trasformazioni sul piano entropico può essere fatta se è nota
la produzione entropica complessiva dovuta alle irreversibilità, tenendo conto che
generalmente le stesse trasformazioni possono ritenersi adiabatiche.
p1
T
p2
1
2’
0K
S1
p2
T
2
p1
2’
2
S2
1
0K
S1 S 2
S
S
b)
a)
Fig. 8.8. Confronto tra isoentropiche e adiabatiche reali per la definizione dei rendimenti isoentropici
dell’espansore (a)) e del compressore (b)).
Come si può notare dagli andamenti sul piano entropico (Fig. 8.8) relativi ad un gas o vapore
surriscaldato, entrambe le trasformazioni reali (espansione e compressione) portano ad una
temperatura finale maggiore di quella corrispondente alle reversibili. Le aree sottostanti i
2
segmenti 1-2 non rappresentano gli scambi di calore con l’esterno; la quantità
∫ TdS
s
viene
1
anche denominata, come già notato, calore di irreversibilità o di attrito.
Si definisce rendimento isoentropico di un espansore il rapporto:
ρe =
H1 − H 2
H 1 − H 2'
(8.23)
tra l’effettiva caduta di entalpia del fluido e la caduta di entalpia della espansione isoentropica
tra le stesse pressioni estreme p1 e p 2 (ved. Fig. 8.8 a)).
Nel caso di adiabaticità, e per variazioni di energia cinetica e potenziale del fluido
trascurabili, il rendimento isoentropico dell’espansore fornisce il rapporto tra l’effettivo
lavoro esterno netto (positivo) e quello che si otterrebbe nel caso limite di reversibilità. Il suo
valore è in genere compreso tra 0.8 e 0.9. L’aumento della produzione entropica per
irreversibilità riduce il salto entalpico disponibile a parità di variazione di pressione.
12
Si definisce rendimento isoentropico di un compressore il rapporto:
ρc =
H 2' − H 1
H 2 − H1
(8.24)
tra la variazione di entalpia nella isoentropica e la variazione di entalpia nella compressione
reale, tra le stesse pressioni estreme p1 e p 2 .
Il rendimento isoentropico di un compressore, nelle ipotesi consuete, assume il significato di
rapporto tra il lavoro esterno netto isoentropico del compressore e quello che effettivamente
occorre applicare nella compressione reale. Normalmente il suo valore è compreso tra 0.75 e
0.85.
Con riferimento alla compressione si noti che essa può essere ottenuta anche senza l’applicazione di lavoro
esterno netto, purché si realizzi una opportuna variazione di energia cinetica. Si ha infatti:
w2
dQ − dLe = dH + d
+ gdz
2
e:
dH = dQ + TdS s + vdp
Combinando le due equazioni e integrando nel caso di lavoro esterno netto nullo, si ha:
2
2
w12 − w2 2
= vdp + TdS s
1
1
2
∫
∫
se w2 < w1 e se la variazione di energia cinetica non viene dissipata completamente in attrito, allora il fluido
subisce un aumento di pressione denominato “compressione dinamica”.
Esempio 8.3
Determinare, nelle ipotesi di poter trascurare i termini macroscopici energia cinetica e potenziale, il lavoro di
compressione per unità di massa, la temperatura all’uscita e l’entropia specifica generata in un compressore
adiabatico caratterizzato da ηc= 0.83.
Temperatura all’ingresso pari a 300 K.
Rapporto fra pressioni di uscita ed ingresso pari a 4.0
Fluido evolvente azoto da assimilare a gas perfetto (R1=296.8 JKg-1K-1),
con prop.termofisiche costanti: cp=1039 JKg-1K-1 e k=1.4.
Dalla Eq.(6.52) otteniamo una espressione per il lavoro in condizioni reversibili (vedi Fig.8.8b):
⎡ ⎛ p ⎞ ( k − 1) / k ⎤
k
⎥
Le 1, 2′ = H 2 ′ − H 1 =
R1T1 ⎢1 − ⎜⎜ 2 ⎟⎟
k −1
⎢⎣ ⎝ p1 ⎠
⎥⎦
1 .4
0.4 / 1.4
Le 1, 2′ = H 2′ − H 1 =
296 .8 ⋅ 300 1 − (4 )
= − 151500 Jkg −1
0 .4
[
]
valore che risulta negativo in quanto fornito al sistema.
13
In virtù dell’Eq.(8.24), il lavoro esterno netto reale risulterà pari a:
Le 1, 2 = H 2 − H 1 =
H 2′ − H 1
ρc
=
− 151500
= −182500
0.83
Jkg −1
calcoliamo la temperatura in 2’ utilizzando la forma più opportuna dell’Eq. delle adiabatiche reversibili ovvero
l’Eq. (6.47):
Tp (1− k ) / k = cost.
(6.47)
per cui
⎛ p ⎞
T2′ = T1 ⎜⎜ 1 ⎟⎟
⎝ p 2′ ⎠
(1− k ) / k
⎛1⎞
= 300 ⎜ ⎟
⎝4⎠
− 0 .4 / 1 . 4
= 445 .8
K
Avendo considerato costanti le proprietà termofisiche (k, quindi cp e cv ) ricaviamo la temperatura di uscita della
trasformazione reale notando che:
ρc =
H 2 ' − H 1 c p (T2 ' − T1 ) T2 ' − T1
=
=
H 2 − H 1 c p (T2 − T1 ) T2 − T1
per cui
T2 = T1 +
T2' − T1
ρc
= 475.7 K
Infine, l’entropia specifica generata, S2-S1,è pari a S2-S2’ ed è quindi calcolabile utilizzando l’espressione
dell’entropia in trasformazioni isobare reversibili di un gas perfetto:
⎛T ⎞
S 2 − S1 = c p ln⎜⎜ 2 ⎟⎟ = 67.4
⎝ T2′ ⎠
Jkg −1 K −1
14
------------------------------------------------------------------------------------------------
CAPITOLO
9
I PROCESSI TECNICI MOTORI
-----------------------------------------------------------------------------------------------Vengono introdotti i cicli termodinamici di riferimento impiegati nei processi di conversione
dell’energia termica in energia meccanica. Tali processi sono perciò detti “motori” e le relative trasformazioni
termodinamiche “cicli diretti”. Il fluido di lavoro subisce infatti una serie di trasformazioni con un complessivo
scambio di lavoro positivo.
9.1. Processi di conversione energetica
Uno degli obiettivi più importanti dell’ingegneria è quello di convertire energia da una
forma ad un’altra. In questo capitolo vengono introdotti cicli termodinamici di riferimento in
cui si rende disponibile energia meccanica a partire da energia termica proveniente da una
sorgente energetica di altra natura come ad esempio l’energia chimica, nucleare o solare. La
presentazione è organizzata in tre principali tipologie: gli impianti motore a vapore, gli
impianti motore a gas ed i motori a combustione interna. Verranno esaminati i processi che
consentono la conversione di energia termica in energia meccanica e le modalità di
valutazione delle efficienze di conversione.
Diversi concetti introdotti in precedenti capitoli risultano fondamentali per la presente
discussione. Il principio di conservazione dell’energia stabilisce che il lavoro netto sviluppato
è uguale al calore netto fornito. Il secondo principio fornisce un criterio guida per stabilire le
possibili direzioni nei processi di conversione energetica e le relative limitazioni. L’esame
preliminare svolto nel precedente capitolo suggerisce che per migliorare le prestazioni
termodinamiche occorre ridurre le irreversibilità dei processi.
Prima di procedere in questo esame consideriamo un quadro esemplificativo delle efficienze di
conversione dei principali sistemi di nostro interesse (v. tabella 1).
La conversione di energia chimica in termica può essere effettuata con valori dell’efficienza
che variano dal 65%, per piccole caldaie, ad oltre il 90% per le grosse caldaie a vapore
industriali ove la perdita principale è rappresentata dal calore sensibile dei fumi scaricati
attraverso il camino.
Le più elevate efficienze di conversione energia termica - lavoro meccanico che si possono
ottenere nei moderni processi a vapore (con combustibile chimico) sono di circa il 45%.
Tenendo conto del generatore elettrico (ηe= 0.99) e del rendimento energetico di combustione
(ηc= 0.88), l’efficienza termica complessiva nella conversione energia chimica - energia
elettrica risulta dell’ordine di η = 0.45ּ0.99ּ0.88 = 0.40. Valori inferiori si hanno nel caso
degli impianti di potenza nucleari, in quanto le limitazioni sulla temperatura del “core”,
comportano temperature del vapore molto al di sotto dei 500 - 600 °C che costituiscono i
15
Tabella 1
valori massimi ottenibili in cicli con combustibili tradizionali. I sistemi impiegati per trazione
operano con efficienze di conversione piuttosto basse (35% Diesel, 28% ciclo Otto). Questi
sistemi, come è noto, impiegano motori a combustione interna nei quali si converte
direttamente energia chimica del combustibile in lavoro meccanico. Il fluido di lavoro è
costituito dai gas di combustione e tali macchine operano secondo un ciclo aperto in cui i
prodotti della combustione vengono scaricati direttamente all’atmosfera.
Con il termine “motori a combustione interna” si intendono tutti i sistemi a ciclo aperto,
comprendendo sia i motori per trazione propriamente detti (a ciclo Otto e Diesel), sia gli
impianti a turbina a gas ed a getto, in cui la combustione avviene in una camera che precede
l’organo di espansione, sia esso la turbina o un ugello.
16
Classificazione Processi Tecnici Motori
MACCHINE TERMICHE
A combustione interna
Alternative
A combustione esterna
Rotanti
Alternative
Rotanti
(turbine a vapore)
Ignizione per
Compressione
(Diesel)
Ignizione a
candela
Turbina a
gas
A benzina
A vapore
A gas
(Stirling)
A benzina
A gas
Nel seguito verranno considerati i processi motori e nel successivo capitolo i processi inversi.
Gli impianti in cui tali processi si realizzano possono essere raggruppati in termofluosistemi e
macchine alternative. Al primo gruppo appartengono impianti in cui il fluido evolvente
attraversa più organi aperti collegati in serie tra loro per descrivere le trasformazioni del ciclo.
Nel secondo gruppo il fluido che descrive il processo evolve in un sistema cilindro pistone.
Una ulteriore classificazione riguarda fondamentalmente il fluido impiegato che può essere un
gas o un vapore che cambia di stato evolvendo nell’impianto.
9.2. Caratteristiche generali dei termofluosistemi
Con termofluosistema si intende un complesso di organi aperti collegati in serie tra
loro a formare una catena continua di organi, ciascuno sede di deflusso di massa. Il
termofluosistema è chiuso quando l’ultimo organo scarica tutto il fluido nel primo. Nelle
condizioni del regime permanente di massa e termodinamico, la portata del fluido di lavoro e
le variabili di stato sono costanti in ogni sezione di deflusso. In tali condizioni il fluido
evolvente, con il ritorno in una data sezione, dopo aver attraversato tutti gli elementi della
catena, descrive un ciclo termodinamico.
Si consideri un termofluosistema chiuso costituito da quattro organi aperti distinti:
- due componenti caratterizzati da solo scambio termico (B, D);
- due componenti caratterizzati da lavoro esterno netto non nullo (A,C).
17
Q1
p 2v2
esterno
p 3v3
B
Le,C
Le,E
A
C
sistema
p 1v1
D
p 5v5
p 4v4
Q2
Fig. 9.1. Schema di un termofluosistema motore nella configurazione più semplice.
Se si prescinde dalle cadute di pressione provocate dagli attriti e distribuite lungo i condotti, il
fluido uscente da ogni componente entra nel successivo alla stessa pressione. Così il fluido
uscente dal componente D alla pressione p5 (volume specifico v5 ) entra in A alla stessa
pressione ( p 5 = p1 ).
Definito esterno al sistema tutto ciò che non fa parte della catena, i termini di scambio calore
e lavoro, per ogni organo, possono essere valutati sia in riferimento all’esterno del
termofluosistema, sia considerando gli scambi di massa ed energia che intervengono con gli
organi adiacenti. Si consideri ad esempio l’organo A: lo scambio di lavoro reversibile che
interessa 1 kg di fluido che attraversa il componente e subisce la trasformazione 1-2, vale
2
∫ pdv . Tale lavoro può anche essere scritto come somma algebrica del lavoro esterno netto e
1
del lavoro di pulsione:
2
Lt = L p + Le
ovvero
2
2
∫ pdv = ∫ d ( pv) −∫ vdp
1
1
(9.1)
1
Ad ogni termine della precedente espressione corrisponde una definita area sul piano p,v
(Fig. 9.2), associabile alla trasformazione 1-2. Rispetto all’intero termofluosistema il
contributo dell’organo A allo scambio di lavoro con l’esterno è fornito dal solo termine
2
Le = − ∫ vdp , che corrisponde all’area 1-2 del piano p, v (Fig. 9.2), proiettata sulle ordinate.
1
Per questo motivo tale lavoro è detto esterno netto; si usa anche l’espressione lavoro continuo
perché, in una macchina attraversata da un flusso di massa continuo, tiene conto anche dei
lavori a monte ed a valle della macchina stessa.
18
p2v2
Le
p
Lt
2
p2
Le,C
A
1
p1
esterno
v2
p1v1
v1
v
Fig. 9.2. Lavoro scambiato dal fluido che attraversa il componente aperto A.
Se si considerano gli scambi di lavoro dell’intero termofluosistema con l’esterno, si può
facilmente verificare che i lavori di pulsione rappresentano scambi interni, relativi cioè ai
singoli organi della catena: essi poi si neutralizzano mutuamente e nei riguardi dell’esterno la
loro sommatoria è rigorosamente zero. Il totale lavoro scambiato dal termofluosistema con
l’esterno (L) è allora dato dalla somma algebrica dei soli lavori esterni netti dei singoli
organi:
L = ∑ Le ,i
(9.2)
i
ciò giustifica l’introduzione del lavoro esterno netto nell’equazione di bilancio dei sistemi
aperti. Complessivamente dunque, per il primo principio, indicando con ∑ Qi la somma
i
algebrica degli scambi termici con l’esterno, si ha:
∑Q = ∑ L
i
e ,i
(9.3)
Per il secondo principio, il bilancio entropico relativo all’intero termofluosistema risulterà:
∫
dQ
+ ∑ ∆S s ,i = 0
T
i
(9.4)
poiché nel processo ciclico è nulla la variazione di entropia del fluido che lo descrive.
9.3. Il termofluosistema motore
Nella configurazione più semplice un termofluosistema motore è costituito da quattro
componenti (Fig. 9.1), poiché si fa in modo che gli scambi di calore e di lavoro (netto) si
attuino, per quanto è possibile, in organi distinti. Due di essi riguardano gli scambi con le
sorgenti termiche controllate: uno per lo scambio termico positivo, di ammontare
complessivo Q1 , l’altro per lo scambio termico negativo Q2 . Negli altri due si effettuano gli
scambi di lavoro esterno netto relativi, rispettivamente, all’espansione del fluido ( Le, E ) ed
alla sua compressione ( Le,C ):
19
Le , E > 0 ,
Le ,C < 0
Condizione necessaria affinché il processo sia motore, è ovviamente che:
Le , E ≥ Le ,C
La frazione utilizzata in lavoro meccanico è definita da:
η=
Le ,E + Le , C
Q1
(9.5)
Generalmente i componenti a scambio di lavoro esterno non nullo possono ritenersi
adiabatici, sono inoltre a pareti rigide ed indeformabili i componenti (scambiatori) in cui si
effettuano gli scambi termici. Se si assumono trascurabili le variazioni energetiche relative ai
termini macroscopici per tutti i componenti, gli scambi che compaiono nella (9.5) possono
esprimersi mediante le corrispondenti variazioni entalpiche:
Le, E = − ∆H E = −(∆H E ) s ρ E
Le,C = − ∆H C = −(∆H C ) s / ρ C
Q1 = ∆H +
avendo indicato con ρ E e ρ C i rendimenti isoentropici dell’espansore e del compressore, con
(∆H E ) s e (∆H C ) s le corrispondenti variazioni isoentropiche di entalpia e con ∆H + la
variazione di entalpia associata allo scambio termico positivo Q1.
Sostituendo le precedenti nella (9.5) si ottiene la frazione utilizzata, che diremo di riferimento,
perché approssimata, espressa da:
ηr = −
(∆H E ) s
(∆H C ) s 1
(ρ E +
)
(∆H E ) s ρ C
∆H +
(9.6)
Si può ora notare che il rapporto tra le variazioni di entalpia nel compressore e nell’espansore
è comunque una quantità negativa, caratteristica del fluido (vedi p. seguente). Posto allora:
−ε2 =
(∆H C ) s
(∆H E ) s
(9.7)
ηr = −
(∆H E ) s
ε2
(ρ E −
)
ρC
∆H +
(9.8)
si ha:
Nel caso limite di reversibilità, essendo unitari i rendimenti isoentropici, risulterebbe:
η r ,0 = −
(∆H E ) s
(1 − ε 2 )
∆H +
(9.9)
20
Pertanto il rendimento alla Clausius (rapporto η r / η r ,0 ) assume qui il valore:
ηr
ρE ρC − ε 2
ρ=
=
η r , 0 ρ C (1 − ε 2 )
(9.10)
Il rendimento specifico così ottenuto si riferisce al solo processo termodinamico e tiene conto
delle sole irreversibilità relative a compressore ed espansore.
Si osservi che sia ηr , sia η r ,0 , aumentano al diminuire di ε2. Ci si potrebbe chiedere se non
fosse possibile ridurre a zero tale parametro. Facilmente si può però concludere che ciò non è
possibile, per la necessità di ripristinare il valore della pressione all’ingresso dell’espansore.
ε2 può tuttavia essere notevolmente ridotto con una particolare scelta del fluido evolvente:
scegliendo cioè un fluido che sia in fase liquida nel compressore ed in fase aeriforme
nell’espansore. Si ricorda infatti che, per le reversibili, è:
Le, E = −(∆H E ) s
Le,C = −(∆H C ) s
ed inoltre, sempre per le reversibili, si ha:
Le = − ∫ vdp
In queste ipotesi, ponendo uguali le pressioni estreme di integrazione, si può allora scrivere:
p2
(∆H C ) s ∫p1 vC dp
v
=− C
−ε2 =
= p1
vE
(∆H E ) s
v dp
∫
p2
(9.11)
E
Il valore del rapporto è determinato dai valori medi assunti dal volume specifico del fluido
durante la compressione ( vC ) e durante l’espansione ( v E ). Per rendere piccolo ε2 è dunque
conveniente utilizzare un fluido bifase che sia liquido durante la compressione ed aeriforme
nella espansione.
9.4. Il ciclo motore a vapore
Il ciclo diretto a vapore prevede la compressione del fluido in fase liquida e
l’espansione in fase aeriforme. Lo schema fondamentale dell’impianto ed i vari organi in cui
opera il fluido bifase sono rappresentati in Fig. 9.3.
Il liquido che alimenta la caldaia (vaporizzatore) viene in essa vaporizzato e successivamente
fatto espandere in una turbina a vapore (espansore) fino alla pressione vigente nel
condensatore in cui, cedendo calore, condensa completamente a bassa pressione e
temperatura. Il condensato passa nella pompa dove è compresso alla pressione vigente nel
vaporizzatore. In un impianto motore a vapore il fluido di lavoro viene quindi
alternativamente vaporizzato e fatto condensare.
21
Fumi
Espansore
vapore
Combustibile
+ aria
Le,E
Q1
Vaporizzatore
Condensatore
Pompa
Q2
Refrigerante
Le,C
liquido
Fig. 9.3. Schema funzionale di un impianto motore a vapore.
Nell’ipotesi che le irreversibilità per attrito nei condotti siano di entità trascurabile, si può
ritenere che, esclusi i processi di espansione e compressione, le trasformazioni che il fluido
subisce evolvendo nell’impianto siano isobare. In tal caso il ciclo termodinamico si sviluppa
tra due distinte pressioni. La distribuzione della pressione nel termofluosistema è
schematizzata nel diagramma qualitativo di Fig. 9.4.
Le variazioni di entalpia del fluido evolvente sono precisate se si considera l’equazione di
bilancio di un volume di controllo a regime permanente. Per quanto notato precedentemente,
se si ammettono trascurabili le variazioni di energia cinetica e potenziale del fluido nei diversi
componenti, le variazioni di entalpia rappresentano lo scambio termico per gli organi a pareti
rigide e lo scambio di lavoro esterno netto (a meno del segno) per gli organi adiabatici. Si ha
dunque un incremento di entalpia molto elevato nel vaporizzatore a cui corrispondono cadute
di entalpia nella turbina e nel condensatore, praticamente di pari entità complessiva. La
variazione di entalpia nella pompa è infatti molto piccola, essendo la compressione effettuata
sul fluido in fase liquida.
Le variazioni di entropia subite dal fluido dipendono dagli scambi termici e dalle
irreversibilità. Risultano variazioni positive nel vaporizzatore (scambio termico positivo) e
negli organi adiabatici, per effetto delle irreversibilità; soltanto nel condensatore l’entropia
diminuisce riportandosi al valore iniziale per effetto del calore ceduto all’esterno.
La distribuzione della temperatura può infine essere precisata tenendo conto delle variazioni
di entalpia subite dal fluido attraversando i diversi organi dell’impianto, inclusi quelli a lavoro
esterno netto diverso da zero. Per tutti i fluidi utilizzati negli impianti motori durante le
espansioni e compressioni adiabatiche reali, e nel campo di temperature di interesse, la
derivata dell’entalpia rispetto alla temperatura è positiva. Ad ogni caduta entalpia corrisponde
così un raffreddamento e ad ogni aumento un riscaldamento.
22
H
S
T
S
S
H
T
p
p
H
T
p
Pompa
Vaporizzatore
Turbina
Condensatore
Fig. 9.4. Andamento qualitativo delle principali grandezze termodinamiche in un ciclo diretto a vapore.
Dopo queste osservazioni è possibile precisare le principali caratteristiche che dovrebbe
possedere un fluido bifase per rispondere alle esigenze di un impianto motore:
1. punto di fusione inferiore alla minima temperatura economicamente realizzabile
(quindi minore della temperatura ambiente);
2. temperatura termodinamica critica elevata, perché si ha interesse a vaporizzare il
fluido alla temperatura più elevata del ciclo (fornire calore ad alta temperatura lungo
un processo isotermo-isobaro);
3. pressione di saturazione durante la vaporizzazione non troppo elevata, per limitare la
pressurizzazione dell’impianto;
4. pressione di saturazione durante la condensazione non troppo bassa e preferibilmente
maggiore di quella esterna atmosferica (per evitare la necessità di operare con apparati
ausiliari per mantenere il vuoto);
5. calore di vaporizzazione elevato (alla temperatura superiore del ciclo) per ridurre la
portata massica defluente a parità di potenza dell’impianto;
6. elevata densità alle temperature e pressioni operative, per ridurre le dimensioni
dell’impianto;
7. piccolo rapporto fra volume specifico medio in fase di compressione ed in fase di
espansione (ε2), per ridurre la potenza spesa nella fase di compressione.
8. elevata pendenza ( dT / dS ) della curva limite superiore, per ridurre la necessità di
imporre valori elevati di surriscaldamento e risurriscaldamento;
9. buone caratteristiche chimiche ed in generale di ordine tecnico, economico,
ambientale: non tossico, non corrosivo, chimicamente stabile, compatibile con
l’ambiente, basso costo, facilmente disponibile ecc..
L’acqua è usata come fluido di lavoro perché abbondante, di basso costo, non tossica,
chimicamente stabile e relativamente non corrosiva (p.to 9).
Le sue caratteristiche soddisfano inoltre gli altri punti esclusi il (2) ed il (4). La temperatura
di fusione è inferiore a quella ambiente (ambiente qui rappresentato dall’acqua di
refrigerazione). L’acqua presenta elevata entalpia di vaporizzazione, con limitati valori di
portata defluente per un data potenza. La densità soddisfacente ed il rapporto ε2 è piccolo.
23
Meno soddisfacente è la temperatura critica di solo 374 °C, molto al di sotto delle temperature
massime di ingresso in turbina oggi consentite (∼600 °C). Per migliorare quindi l’efficienza di
conversione si richiede di operare con surriscaldamento e rigenerazione (vedi paragrafi
seguenti). Un sensibile aumento della temperatura media a cui fornire calore al fluido,
potrebbe ottenersi operando a pressioni ipercritiche, con elevati costi di impianto.
L’altra caratteristica indesiderabile è infine rappresentata dal valore della pressione di
saturazione che, alle normali temperature di condensazione, è ben al di sotto della pressione
atmosferica. In prospettiva si ritiene possano essere introdotti sistemi a pressioni ipercritiche,
e cicli binari che utilizzano l’acqua a basse temperature ed altri fluidi alle temperature più
elevate.
9.5. Caratteristiche del ciclo Rankine
Nell’ipotesi che le irreversibilità per attrito nei condotti siano di entità trascurabile, si
può ritenere che, esclusi i processi di espansione e di compressione, le trasformazioni che il
fluido subisce evolvendo nell’impianto siano isobare. D’altra parte, assumendo trascurabili gli
scambi termici e le irreversibilità nell’espansore e nel compressore, le trasformazioni che si
effettuano in detti componenti sono isoentropiche. In tali condizioni il ciclo termodinamico
compiuto dal fluido evolvente nell’impianto (Fig. 9.3) è costituito da due isobare e due
isoentropiche.
Il ciclo ideale che corrisponde alle ipotesi fatte è noto con il nome di ciclo Rankine, a vapore
saturo o surriscaldato, in relazione alle caratteristiche del fluido in uscita dal vaporizzatore,
all’ingresso della turbina.
Il ciclo di Rankine è normalmente rappresentato nei piani termodinamici T,S ed H,S. In Fig.
9.5, come esempio, si riporta un ciclo Rankine reversibile a vapore surriscaldato. Le
trasformazioni rappresentate hanno carattere indicativo e non corrispondono esattamente alle
operazioni che intervengono negli impianti reali.
Lungo la aa’ il liquido subisce una compressione (isoentropica) con variazione di temperatura
molto più piccola di quella indicata nel diagramma.
c
T
H
c
d
b
a’
a’
a
b
a
d
s
S
Fig. 9.5. Rappresentazione di un ciclo Rankine reversibile, a vapore surriscaldato, nei piani
termodinamici entropico T,S, e di Mollier H,S.
24
La a’b rappresenta il riscaldamento isobaro alla pressione vigente nel vaporizzatore fino alla
temperatura di vaporizzazione (T1). Da b a c si ha la vaporizzazione ed il surriscaldamento
isobaro del vapore. Segue l’espansione isoentropica in turbina (cd) al termine della quale il
vapore può risultare in parte condensato alla pressione inferiore. Il ciclo è infine chiuso
dall’isotermobarica di condensazione (da) che si attua nel condensatore alla pressione di
equilibrio a T2.
Per la (9.9) la frazione utilizzabile, trascurando il lavoro fatto dalla pompa (ε2≅0) , risulta:
η r ,0 =
Hc − Hd
Hc − Ha
(9.12)
è cioè data dal rapporto tra la caduta isoentropica di entalpia in turbina e la variazione totale
di entalpia nelle fasi a scambio termico positivo. Il diagramma di Mollier (H,S) fornisce in
modo evidente il valore della frazione utilizzabile.
Si noti che il surriscaldamento del vapore in caldaia, attuato in un fascio di tubi, in assenza
della fase liquida, è conveniente per tre principali motivazioni: aumenta la temperatura media
dello scambio termico positivo, aumenta la potenza fornita alla turbina, ed infine favorisce un
più elevato titolo termodinamico del vapore alla fine dell’espansione in turbina.
Il ciclo esaminato non considera l’effetto delle irreversibilità che tuttavia sono sempre
presenti ed influenzano, come più volte notato, l’efficienza energetica del processo. In modo
particolare non possono essere normalmente trascurate le irreversibilità che intervengono
nella espansione del fluido e per le quali è stato definito un rendimento isoentropico. L’effetto
di tali irreversibilità è quello di ridurre il lavoro utile netto ed aumentare conseguentemente il
calore scambiato al condensatore, con diminuzione della frazione utilizzata.
9.5.1. Criteri ed accorgimenti per incrementare la frazione utilizzata
Per aumentare la frazione utilizzabile caratteristica dei cicli delle macchine a vapore si
hanno i seguenti mezzi:
- il surriscaldamento del vapore: come già notato, per incrementare l’efficienza e soprattutto
per prevenire effetti di erosione delle palettature della turbina a bassa pressione, si effettua il
surriscaldamento del fluido ed in genere anche il risurriscaldamento del vapore. Questi, dopo
aver eseguito una prima espansione fino ad una pressione intermedia e condizioni prossime
alla saturazione, abbandona la turbina e passa in un surriscaldatore ove, a pressione costante,
viene riportato alla temperatura iniziale; da qui espande nuovamente (Fig.9.7).
- l’incremento della pressione (e quindi della temperatura) in caldaia: aumentando la
pressione da p1 a p1’, l’area del ciclo non varia in modo significativo, il Q2 però si riduce e
della stessa entità varia Q1 . L’aumento della pressione porta però a diminuzioni eccessive del
titolo del vapore negli ultimi stadi della turbina, così da richiedere un risurriscaldamento del
vapore, in presenza di un limite sulla temperatura massima del ciclo (Fig.9.8).
- diminuzione della pressione (e quindi della temperatura) al condensatore: dato il particolare
andamento delle isotermobariche, la maggior caduta di entalpia all’espansore che si può
ottenere passando da p2 a p2’, supera il maggior incremento di entalpia che si richiede al
vaporizzatore (Fig.9.9).
Ulteriori miglioramenti si possono ottenere con la rigenerazione in cui nella fase di
riscaldamento dell’acqua, parte del calore ceduto dall’esterno è sostituito da uno scambio di
calore dall’interno del ciclo.
25
T
T
T
c
b
c
b
c
a’
b
a’
d
a
a’
d
a
d
d’
a
s
s
Ciclo reversibile senza
surriscaldamento
s
Ciclo reversibile con
surriscaldamento
Ciclo reale con
surriscaldamento
Fig. 9.6. Tipologie base di ciclo Rankine
T
f
f
d
e
d
b
c
e’
c
e
A.P.
B.P.
b
g
a’
g
g'
a
s
a
a'
Fig. 9.7. Ciclo Rankine reale con risurriscaldamento (doppio surriscaldamento) e schema funzionale
aa’
a’b
bc
cd
de
- compressione in fase liquida
- riscaldamento "
" ( p= cost )
- vaporizzazione a p e T cost.
- 1° surriscaldamento ( p= cost )
- 1a espansione reale ( turbina A.P.)
de’
ef
fg
fg’
ga
- 1a espansione isoentr( turbina A.P.)
- 2° surriscaldamento ( p=cost )
- 2a espansione reale ( turbina B.P.)
- 2a espansione isoentr.( "
")
- condensazione a p=cost.
T
H
Tmax
p’
p2
p
s
Fig. 9.8. Effetto della pressione di vaporizzazione
sul ciclo Rankine reversibile.
p2’
S
Fig. 9.9. Effetto della pressione di condensazione sul
ciclo Rankine reversibile.
26
9.5.2. Cicli con rigenerazione
Si consideri il ciclo Rankine reversibile (per semplicità, senza surriscaldamento)
rappresentato in Fig. 9.10. Si immagini di interrompere l’espansione isoentropica in d’, d’’,
d’”.... effettuando condensazioni parziali del fluido (fino a c’,c’’,c’’’…), e di utilizzare il
calore di condensazione per aumentare l’entalpia del liquido uscente dalla pompa, prima di
inviarlo in caldaia, in modo che vi giunga a temperatura più elevata. E’ evidente il vantaggio
sulla frazione utilizzata per l’aumento della temperatura media a cui si effettua lo scambio
termico positivo.
d’ c’
d’’ c’’ d’’’ c’’’’
T
c
c
b
T1
c’
b’
c”
b’’
b’’’
T2
a’
a
c’”
Vap.
d’
d”
b’’
b’
d ”’
b’’’
a’
d
Condensatore
S
a
d
Fig. 9.10. Ciclo Rankine rigenerativo ideale a vapore saturo e schema funzionale.
Si ammetta di portare al limite il procedimento indicato: si sottragga calore con uniformità al
vapore in espansione fornendo lo stesso calore al liquido uscente dalla pompa, con uno
scambio termico interno al sistema fino alla temperatura limite di saturazione vigente in
caldaia. Operando in questo modo si può ritenere, come caso limite, che il ciclo sia costituito
da due adiabatiche e due isoterme, realizzando così un ciclo ideale di Carnot, con la massima
frazione utilizzabile. Un tale ciclo richiederebbe però l’utilizzo di un componente espansore condensatore (v. Figura 9.10) di fatto non realizzabile.
Poiché non è possibile effettuare una trasformazione di espansione e condensazione,
interessante l’intera portata di fluido, operativamente si provoca la condensazione completa di
una parte di vapore prelevata, mediante uno spillamento, ad una pressione intermedia, nella
fase di espansione. Il calore di condensazione viene poi fornito al liquido uscente dalla pompa
in un componente di scambio termico denominato rigeneratore.
Nei concreti impianti numerosi sono gli spillamenti ed i rigeneratori. Ad ogni rigeneratore
introdotto corrisponde un incremento dell’efficienza di conversione del ciclo termodinamico,
ma tale incremento decresce all’aumentare del numero di rigeneratori: per questa ragione il
numero di rigeneratori adottati è limitato: non più di cinque, frequentemente tre.
Come indicato negli schemi seguenti i rigeneratori possono essere di tipo “aperto” (a
miscelazione), ovvero di tipo “chiuso” (a correnti separate). Nel seguito vengono indicati
alcuni schemi di impianti con uno e due rigeneratori, e le corrispondenti trasformazioni
termodinamiche sul piano entropico.
In Fig. 9.11 è riportato lo schema di un impianto che utilizza un rigeneratore aperto,
costituito essenzialmente da uno scambiatore di calore a contatto diretto, in cui due correnti a
diversa temperatura sono miscelate tra loro. Il ciclo è riportato nel diagramma entropico
nell’ipotesi che le trasformazioni siano tutte reversibili, per semplicità di rappresentazione.
27
2
(1)
T
2
Turbina
Vap.
3
(m)
1
(1)
4
1
Cond.
(1-m)
1
6
R
1
7
1
6
1
5
(m)
3
7
(1-m)
4
5
s
Fig. 9.11. Ciclo a vapore rigenerativo con un rigeneratore di tipo aperto.
Il vapore alimenta la turbina nello stato 2 ed espande in un primo stadio fino allo stato 3, dove
una frazione (m) della portata totale viene estratta, o spillata, per alimentare il rigeneratore R
alla pressione intermedia. La rimanente portata di vapore prosegue nell’espansione attraverso
il secondo stadio di turbina (stato 4) per essere poi condensata. Il liquido saturo così ottenuto
(5) è successivamente pompato nel rigeneratore alla pressione intermedia di spillamento. La
corrente derivante dalla miscelazione (7) è infine compressa alla pressione vigente nel
generatore di vapore. Nel caso qui considerato, la portata di vapore spillata è tale da
consentire il raggiungimento della condizione di liquido saturo all’uscita del rigeneratore. Il
bilancio energetico del rigeneratore, supposto adiabatico, fornisce il valore della frazione di
portata di spillamento:
H − H6
m H 3 + (1 − m) H 6 = H 7
da cui:
(9.13)
m= 7
H3 − H6
Il diagramma entropico mostra come
trasformazione 1-2, e cioè a partire dallo
rigenerazione. D’altra parte soltanto una
secondo stadio di turbina. Si ha dunque
riduzione del lavoro meccanico utile:
il calore Q1 venga ora fornito al fluido nella
stato 1 anziché da 6, come si avrebbe in assenza di
frazione della totale portata di vapore espande nel
una diminuzione del calore fornito, ma anche una
Le = ( H 2 − H 3 ) + (1 − m)( H 3 − H 4 )
Q1 = H 2 − H 1
(9.14)
In pratica, le condizioni operative possono essere scelte in modo tale da consentire un
incremento significativo dell’efficienza termica del ciclo termodinamico, in accordo con
quanto discusso nel capitolo precedente sull’effetto di molteplicità delle sorgenti.
La rigenerazione può anche essere effettuata con scambiatori a correnti separate (rigeneratore
chiuso) in cui l’acqua da preriscaldare fluisce entro tubi all’esterno dei quali condensa il
vapore di spillamento. Poiché le due correnti non vengono miscelate, le loro pressioni possono
anche essere diverse, così il vapore estratto dal condensare può ad esempio essere compresso
direttamente alla pressione di vaporizzazione. In Fig. 9.12 è riportato uno schema di impianto
con un rigeneratore chiuso ed il relativo ciclo termodinamico. La totale massa di
28
2
(1)
T
Turbina
2
Vap.
3
(m)
1
4
(1-m)
(1)
Cond.
1
1
R
1
6
1
6
5
7
1
3
(1-m)
5
1
(m)
7
8
8
4
s
Fig. 9.12. Ciclo a vapore rigenerativo con un rigeneratore a correnti separate.
vapore che alimenta la turbina espande fino alla pressione intermedia corrispondente allo
stato (3). A questo stato una frazione m della stessa portata viene inviata al rigeneratore dove
condensa conseguendo lo stato (7). Il condensato è introdotto nel condensatore con una
espansione irreversibile di laminazione. La portata totale di condensato nello stato (5), è
compressa al valore di pressione vigente in caldaia (stato 6) ed entra nel rigeneratore dove
viene riscaldata fino allo stato (1). Il bilancio energetico del rigeneratore (adiabatico), fornisce
il valore della frazione di portata di spillamento:
m=
H1 − H 6
H3 − H7
(9.15)
Il lavoro ed il calore scambiati si possono valutare come nel caso precedente.
Esempio 9.1
Un impianto motore a vapore a semplice surriscaldamento opera nelle seguenti condizioni:
- pressione al condensatore
pa = 0.05 bar
- pressione in caldaia
pa'= 125 bar
- T max surriscaldamento
Td= 450 °C
- rendimento isoentropico dell'espansore
ρE = 0.75
- portata massica vapore
m& = 90 ton/h
Si determini:
1) la frazione utilizzabile η0 e utilizzata η
2) La potenza PE sviluppata dalla turbina
&H
3) La portata m
2O
di raffreddamento
& c di combustibile
4) La portata m
5) La potenza Pc delle pompe di alimento
29
T
d
d
c
b
c
e
a'
a
e'
e
s
a
a'
Condizioni in (a), liquido saturo all'uscita condensatore:
pa=0.05 bar ;→ Sa = 0.4763 [kJ/kg K]
inoltre
Ta= 32.9 °C , Ha= 137.8 [kJ/kg]
Condizioni in (a'), liquido compresso all'ingresso caldaia:
Pa’=125 bar ;→ Sa'= Sa= 0.4763 [kJ/kg K]
siccome la aa’ è una isoentropica (ip. adiabatica reversibile), sappiamo che Sa'=Sa. Si potrebbe allora, nota S e p,
risalire ad H mediante tabelle dell'acqua compressa, ma non le abbiamo. Si procede allora così:
essendo dS=0 dalla Eq. (5.32): dH = TdS + vdp segue che dH= vdp Considerando un valore medio del
volume specifico sarà allora
H a' − H a = v ⋅ ( p a' − p a )
facendo una approssimazione assumiamo v = va . Dalle tabelle risulta:
per cui sarà
va= 0.0010052 [m3/kg]
H a ' = 137 .8 + 0.0010052 ⋅ (125 − 0.05) ⋅ 100 = 150 .4 [kJ / kg ]
Volendo calcolare Ta' procediamo come visto in precedenza: ad un valore di 150.4 [kJ/kg] dell'entalpia
corrisponde, sulla curva del liquido saturo, una temperatura di 35.91 °C (occorre interpolare).
Condizioni in (b), liquido saturo in caldaia:
a pb=125 bar corrisponde sulla curva del liquido saturo Tb=327.7 °C (determinata per interpolazione):
analogamente per entalpia ed entropia si trova
Hb= 1511.8 [kJ/kg]
Sb= 3.5293 [kJ/kg K]
Condizioni in (c), vapore saturo secco:
pc=125 bar
Ovviamente la temperatura è la stessa di prima
per entalpia ed entropia troviamo:
Hc= 2678.1 [kJ/kg]
Tc=327.7 °C
Sc= 5.4706 [kJ/kg K]
30
Condizioni in (d) , vapore surriscaldato:
Pressione e temperatura sono note: pd=125 bar; Td=450 °C
Questa volta si utilizza la tabella del vapore saturo
1
(3343.3 + 3042.9) = 3193.1[kJ / kg ]
2
1
S d = (6.4654 + 6.0481) = 6.2568[kJ / kg K ]
2
Hd =
Condizioni in (e') , espansione isoentropica:
pe'=0.05 bar
L'entropia sarà la stessa del punto precedente ovvero
S e' = 6.2568 [kJ / kg K ]
nella tavola del vapore saturo, in corrispondenza a p=0.05 bar, troviamo
Sl = 0.4763 [kJ/kg K]
Sv= 8.3960 [kJ/kg K]
siccome Sl < Se' < Sv siamo nel campo del saturo: Te'=39.2 °C. Calcoliamo il titolo:
x=
Per l'entalpia sarà allora
S − Sl
(r / T )
x e' =
6.2568 − 0.4763
= 0.73
7.9197
H e' = 137.8 + 0.73 ⋅ 2423 .8 = 1907 .2[kJ / kg ]
Condizioni in (e) , espansione reale:
Si è assunto ρE= 0.75
la definizione del rendimento isoentropico di espansione porge:
ρE =
segue
Hd − He
H d − H e'
H e = H d − ρ E ⋅ ( H d − H e' )
H e = 3193 .1 − 0.75 ⋅ (3193 .1 − 1907 .2) = 2228 .7[kJ / kg ]
si vede che He < Hv(=2561.6 [kJ/kg]) : siamo nel saturo.
per il titolo sarà:
xe =
infine l'entropia specifica varrà:
H e − H l 2228.7 − 137.8
=
= 0.863
r
2423.8
s e = 0.4763 + 0.863 ⋅ 7.9197 = 7.308[kJ / kg K ]
Frazione utilizzabile
η0 = 1+
H a − H e'
1907.2 − 137.8
= 1−
3193.1 − 150.4
H d − H a'
η0 = 0. 418
Frazione utilizzata
η = 1+
Ha − He
2228.7 − 137.8
= 1−
3193.1 − 150.4
H d − H a'
η = 0. 313
31
Potenza all'asse della turbina
& v= 90 [ton/h] ovvero m& v= 90/3.6 = 25 [kg/s]
La portata di vapore è m
PE= Gv (Hd-He) = 25 (3193.1-2228.7) = 24110 [kW]
PE = 24.11[MW ]
Portata d'acqua al condensatore
Supponiamo di avere a disposizione acqua a 15 °C ( Ti ). In uscita si può assumere una temperatura 6-7 °C
inferiore a quella di saturazione. Quindi Tu= 25.9 °C.
Scriviamo il bilancio delle potenze termiche
m& H 2O c p H 2O (Tu − Ti ) = m& v ( H e − H a )
m& H 2O = m& v
He − Ha
c p H 2O (Tu − Ti )
m& H 2O = 25[kg / s ]
(2228.7 − 137.8)[kJ / kg ]
= 1145.6[kg / s ]
4.186[kJ / kgK ](25.9 − 15)[K ]
il rapporto fra le portate è circa 46.
Portata di combustibile
Assumendo un potere calorifico inferiore Qi= 40000 [kJ/kg] ( es. gasolio ) e un rendimento di combustione
ηc=0.85 avremo:
η c m& c Qi = m& v ( H d − H a' )
m& c = m& v
m& c = 25
( H d − H a' )
η c Qi
(3193.1 − 150.4)
0.85 ⋅ 40000
= 2.237 [kg / s ]
Potenza pompe di alimento
Pc= Gv (Ha'-Ha) = 25 (150.4-137.8) = 315 [kW]
Pc = 0.315[MW ]
32
9.6. Termofluosistemi a gas
Gli impianti a vapore esaminati utilizzano un fluido di lavoro che alternativamente
viene vaporizzato e condensato. Nel seguito verranno considerati processi in cui il fluido
evolvente è un gas. I relativi termofluosistemi possono essere aperti o chiusi a seconda che il
fluido di lavoro venga continuamente rinnovato (con immissione e scarico) oppure mantenuto
nell’impianto. Nel primo caso si ha generalmente la combustione all’interno del fluosistema
ed il gas immesso è l’aria che alimenta la combustione stessa. Per utilizzare al meglio l’elevata
temperatura originata dalla combustione, i prodotti gassosi operano come fluido di lavoro che
espande in turbina. Nei termofluosistemi chiusi il gas evolvente riceve calore da una sorgente
esterna e descrive un ciclo termodinamico, cedendo parte del calore ricevuto ad un pozzo
termico.
Gli impianti a gas sono normalmente più leggeri e compatti rispetto agli impianti a vapore e
sono usati per generazione di potenza. Il favorevole rapporto potenza-peso li rende inoltre
adatti alla propulsione (soprattutto aerea, marina, terrestre).
Per lo studio termodinamico di entrambi gli impianti si utilizza un ciclo di riferimento ad aria
in cui la composizione chimica del gas è assunta costante ed il processo di combustione è
rappresentato da uno scambio termico fittizio. Il ciclo Brayton (o ciclo Joule) costituisce il
riferimento termodinamico per lo studio dei termofluosistemi motore a gas.
9.6.1. Ciclo Brayton
Nei termofluosistemi a gas, per ottenere lavoro meccanico, il gas ad alta temperatura
viene fatto espandere in turbina. Per mantenere elevata la pressione all’ingresso della turbina è
necessario prima comprimerlo, ma se lo si facesse subito espandere il lavoro utile sarebbe
nullo; tra la compressione e l’espansione il gas viene riscaldato e maggiore è l’energia termica
che gli viene fornita, maggiore è il lavoro ottenuto dall’espansione.
Nel caso di termofluosistema aperto il fluido di lavoro è aria atmosferica ed il componente di
scambio termico interposto tra compressore e turbina è normalmente una camera di
combustione (a pressione costante). La trasformazione in cui viene ceduto il calore Q2 si
verifica nell’atmosfera, dove la turbina scarica gli esausti che disperdono energia termica
mescolandosi con l’aria esterna.
Nel circuito chiuso le trasformazioni in cui si verificano gli scambi termici Q1 e Q2
avvengono a pressione costante, in due scambiatori di calore (Fig.9.13).
Q1
Combustibile
Scambiatore 1
C
T
C
T
Scambiatore 2
Ari
Prodotti
combustione
Q2
a)
b)
Fig. 9.13. Schema di un impianto motore a gas a ciclo aperto (a) ed a ciclo chiuso (b).
33
Ciclo di riferimento
Il ciclo a gas di riferimento per lo studio di questi impianti è il ciclo Brayton o ciclo Joule.
Esso è costituito da due isobare e due adiabatiche reversibili.
Le ipotesi di prima approssimazione per l’analisi di tale
ciclo sono:
p
2
- il fluido è aria, considerata gas perfetto, a
composizione chimica costante e calori
specifici costanti;
- le trasformazioni reversibili;
- il sistema opera a regime permanente.
3
1
4
v
La frazione utilizzabile risulta:
Fig. 9.14. Ciclo Brayton di riferimento.
T4
− 1)
c p (T4 − T1 )
Q2
T1
T
1
= 1−
= 1−
η0 = 1 +
= 1 − 1 = 1 − k −1
T
T2
Q1
c p (T3 − T2 )
rp k
T2 ( 3 − 1)
T2
Si ha infatti:
T1 (
T2
p k −1
=( 2) k
T1
p1
T3
p k −1
=( 2) k
T4
p1
(9.16)
T2T4 = T1T3
e dunque
L’efficienza termica cresce dunque con il rapporto di compressione, con l’andamento
monotono riportato in figura 9.15; tende asintoticamente all’unità per rapporto di
compressione tendente ad infinito. Per la (9.16) la frazione utilizzabile risulta uguale a quella
di un ciclo di Carnot operante tra le temperature di inizio e fine compressione T1 e T2 (o di
inizio e fine espansione).
Nella valutazione dell’efficienza occorre tenere presente che esiste una temperatura massima
per il gas all’ingresso della turbina ( T3 ) imposta da considerazioni di carattere tecnologico.
D’altra parte la temperatura minima T1 è
prossima alla temperatura ambiente.
ηo
E’ dunque utile confrontare i cicli
0.4
termodinamici alle diverse pressioni a
parità di temperature massima e minima.
0.3
0.2
Il lavoro (netto) complessivo del ciclo
può valutarsi in base agli scambi:
0.1
0
0
L = Q1 + Q2 = c p (T3 − T2 ) − c p (T4 − T1 )
2
4
6
8
10 rp
Fig. 9.15. Frazione utilizzabile di un ciclo Brayton ideale in
funzione del rapporto di compressione.
da cui:
1
L = c p T3 (1 −
k −1 ) − c p T1 ( rp
rp
k −1
k
− 1)
(9.18)
k
34
La relazione ottenuta stabilisce che per un ciclo Brayton ideale, operante tra due temperature
estreme fissate, il lavoro utile netto dipende soltanto dal rapporto di compressione.
Risulta inoltre che tale lavoro è nullo per rp = 1 e per il rapporto di compressione
k
T
(rp ) max = ( 3 ) ( k −1) , per il quale si ha T2 = T3 .
T1
Il massimo lavoro, per unità di massa di fluido evolvente, corrispondente all’area massima
racchiusa dal ciclo reversibile nel piano entropico (Fig. 9.16) si realizza con il rapporto di
compressione ottimale:
k
T
(rp ) 0 = ( 3 ) 2 ( k −1) = (rp ) max
T1
(9.19)
Tale rapporto si può ottenere derivando L dato dalla (9.18) rispetto ad rp ed uguagliando a
zero.
T
3
T3
A
B
C
4
2
T1
1
S
Fig. 9.16. Effetto del rapporto di compressione sul lavoro netto specifico, a parità di
temperature massima e minima.
Per le turbine a gas utilizzate per la propulsione è desiderabile operare con piccole dimensioni
e pesi dell’impianto. La turbina dovrebbe perciò operare con rapporti di compressione (rp )
prossimi al valore (rp ) 0 che rende massimo il lavoro per unità di massa del fluido evolvente
nell’impianto.
Si può facilmente verificare che l’efficienza di un ciclo Brayton è inferiore a quella di un ciclo
di Carnot operante tra le stesse temperature estreme.
Ciclo Brayton reale
Assumendo le irreversibilità trascurabili nelle trasformazioni isobare in cui avvengono gli
scambi termici, il ciclo nel diagramma entropico si rappresenta come in Fig.9.17.
I lavori corrispondenti al compressore ed alla turbina risultano:
35
T
3
2'
2
4
4'
1
s
Fig. 9.17. Ciclo Brayton reale, piano T-S.
Le ,C = −c p
T1
ρc
Le , E = c p T3 ρ E (1 −
(rp m − 1)
1
rp m
)
(9.20)
k −1
. Pertanto il lavoro utile netto vale:
k
T
1
Le = c p T3 ρ E (1 − m ) − c p 1 (rp m − 1)
(9.21)
ρc
rp
e la frazione utilizzata:
T
1
c p T3 ρ E (1 − m ) − c p 1 (rp m − 1)
ρc
rp
L
η= e =
(9.22)
Q1
c p (T3 − T2 )
ovvero:
T3
1
1
ρ E (1 − m ) −
(r m − 1)
ρc p
T1
rp
(9.23)
η=
rp m − 1
T3
− (1 +
)
ρc
T1
T
All’aumentare del rapporto tra le temperature estreme 3 aumenta sia il lavoro netto, sia la
T1
frazione utilizzata del ciclo. Analogamente accade per i rendimenti isoentropici.
Mediante la (9.21) si può facilmente dimostrare che il lavoro utile netto, al variare del rapporto
di compressione, diventa massimo per:
con m =
k
T
(rp ) 0 = ( 3 ρ E ρ C ) 2 ( k −1)
T1
(9.24)
k
e si annulla per rp = 1 e per (rp ) max
T
= ( 3 ρ E ρ C ) ( k −1) .
T1
Si noti infine che i gas scaricati dalla turbina sono normalmente caratterizzati da una
temperatura ben al di sopra della temperatura ambiente e quindi sono potenzialmente idonei
per preriscaldare il gas uscente dal compressore. Un modo di utilizzare l’energia dei gas
esausti è quello di adottare uno scambiatore rigeneratore, riducendo la portata di combustibile
nella camera di combustione.
Un ciclo Brayton modificato per includere il rigeneratore è rappresentato in Fig. 9.18.
36
rigen.
c.c.
C
T
Fig. 9.18. Schema di un impianto a gas con rigeneratore.
Esempio 9.2
Nel compressore di un ciclo Brayton l'aria entra alla pressione di 100 [kPa] ed alla temperatura di 300 [K], con
una portata volumetrica Gv di 5 [m3/s]. Il rapporto di compressione è 10, mentre i rendimenti isoentropici del
compressore e dell’espansore sono pari a 0.8. La temperatura di ingresso in turbina è 1400 [K]. Si determini:
a) l'efficienza termica del ciclo (ovvero la frazione utilizzata)
b) la potenza netta sviluppata
T
Q1
3
3
2
2'
2
4
4'
1
4
1
s
Q2
T1= 300 [K]
T2= 1400 [K]
p1= 1 [bar]
p2= 10 [bar]
L'aria viene trattata come gas perfetto, si trascurano gli effetti cinetici e potenziali.
Occorre determinare l'entalpia corrispondente a ciascuno stato.
stato 1
T1= 300 [K]
H1=300.6 [kJ/kg]
p1=1 [bar]
S1=Sr1=6.873 [kJ/kg K]
stato 2'
ma
p2'=10 [bar]
S 2'= S r2'-R1ln(p2')
S 2'=S1
S r2'= 6.873 + 0.287 ln(10)= 7.534 [kJ/kg K]
per interpolazione otteniamo T2 '
T = 500 + 100
2'
7.534 − 7.390
= 575.8[K ]
7.580 − 7.390
analogamente per l'entalpia:
H 2' = 504.5 + (608.5 − 504.5)
7.534 − 7.390
= 583.3[kJ / kg ]
7.580 − 7.390
oppure anche:
37
H 2' = 504.5 + (608.5 − 504.5)
575.8 − 500
= 583.3[kJ / kg ]
100
stato 2
ρc =
H 2' − H 1
⇒H 2 = H 1 +
H 2' − H 1
H 2 − H1
ρc
583.3 − 300.6
H 2 = 300.6 +
= 654[kJ / kg ]
0 .8
stato 3
T3=1400 [K]
p3= 10 [bar]
H3=1517.6 [kJ/kg]
S r3= 8.533 [kJ/kg K]
S 3 = 8.533 - 0.287 ln(10)= 7.872 [kJ/kg K]
S3= S r3 - R1ln(p3)
stato 4'
p4'= p1= 1 [bar] S 4'= S r4'= S 3=7.872 [kJ/kg K]
dalle tavole:
7. 872 − 7. 746
T4' = 700 + 100
= 786. 9 K
7. 891 − 7. 746
h4' = 714 + (822. 4 − 714 )
stato 4
ρE =
7. 872 − 7. 746
= 808. 2 kJ / kg
7. 891 − 7. 746
H3 − H4
⇒ H 4 = H 3 − ρ E ( H 3 − H 4' )
H 3 − H 4'
H 4 = 1517.6 − 0.8 ⋅ (1517.6 − 808.2) = 950.1[kJ / kg ]
a) La definizione di frazione utilizzata ( efficienza termica ) porge:
∑L = L
+ Lc ( H 3 − H 4 ) + ( H1 − H 2 )
=
Q1
Q1
H3 − H 2
(1517. 6 − 950.1) + (300. 6 − 654 ) 214.1
η=
=
= 0. 248 ( 24. 8%)
1517. 6 − 654
863. 6
η=
E
b) la potenza netta sviluppata è data da
P = m& ⋅ ∑ L =
G v1
v1
⋅∑ L
nelle ipotesi di gas perfetto abbiamo:
R1 aria T1 287 J / kg K ⋅ 300 K
v1 =
= 0. 861 m 3 / kg
=
p1
1 ⋅ 10 5 Pa
per cui
m& = 5 [ m3/s] / 0.861 [m3/kg] = 5.807 [kg/s]
ed infine:
P = 5. 807 kg / s ⋅ 214.1 kJ / kg = 1243 kW
38
Applicazione dei cicli a gas alla propulsione aerea
Poiché spazio e peso sono elementi di fondamentale importanza nel progetto dei motori per aerei, i cicli che
utilizzano turbine a gas risultano particolarmente idonei per la propulsione aerea.
L’apparato più usato per la propulsione è attualmente il turbogetto, la Fig. 9.19 ne mostra uno schema. I
principali elementi che lo compongono sono: il diffusore in ingresso, il compressore, la camera di combustione,
la turbina e l’ugello di uscita. Il diffusore rallenta l’aria in ingresso e ne aumenta la pressione. Dopo il
compressore l’aria ad elevata pressione entra nel combustore dove è iniettato il combustibile. I prodotti della
combustione espandono in turbina fino ad una pressione tale da produrre la potenza sufficiente a trascinare il
compressore e gli apparati ausiliari. In tal modo nessun lavoro netto è disponibile e l’energia dei gas esausti è
convertita nell’ugello di uscita in energia cinetica, ad elevata velocità. La variazione della quantità di moto del
gas entrante e di quello che lascia l’unità determina una forza propulsiva sul sistema.
0
1
Diffusore Compressore
2
3
Camera di
combustione
4
Turbina
5
Ugello di efflusso
Fig. 9.19. Schematizzazione di un turbogetto.
Il ciclo termodinamico caratteristico del sistema descritto è riportato nel diagramma di Fig. 9.20, con l’ipotesi che
tutte le trasformazioni siano reversibili. Nelle condizioni di regime permanente, con variazioni trascurabili di
energia potenziale, possono scriversi i seguenti bilanci
3
energetici:
T
- per il diffusore:
4
1 2
1 2
H 0 + w0 = H 1 + w1
5
2
2
- per il compressore e la turbina:
Le , E = Le ,C
cioè
- per il combustore:
Q1 = H 3 − H 2
- per l’ugello di efflusso:
1 2
1 2
H 4 + w 4 = H 5 + w5
2
2
H 2 − H1 = H 3 − H 4
2
1
0
S
Fig. 9.20. Ciclo ideale per un turbogetto.
In accordo con la seconda legge di Newton, la spinta propulsiva prodotta è uguale alla variazione della quantità
di moto del fluido che passa attraverso il sistema:
F = m& ( w5 − w0 ) + m& c w5
essendo m& la portata di aria ed m& c la portata di combustibile.
Nella propulsione aerea mediante turbine a gas c’è una varietà di soluzioni. Nel caso dei turboelica (turboprop),
il lavoro esterno netto ottenuto dall’espansione in turbina, fino alla pressione atmosferica, aziona il compressore,
ma anche e soprattutto il propulsore ad elica trascinato da un riduttore. I sistemi ad elica offrono una notevole
spinta propulsiva a basse velocità di volo. D’altra parte il turbogetto è efficiente ad elevate velocità e dunque, per
moderate velocità, la combinazione delle due azioni propulsive risulta conveniente, particolarmente per lunghi
voli. Il turbogetto a doppio flusso (turbofan) è un sistema con spinta addizionale (efficace soprattutto al decollo)
dovuta alla presenza di un flusso indotto da un turboventilatore.
39
9.7. Motori a combustione interna
Anche se la maggior parte degli impianti con turbina a gas sono sistemi a combustione
interna (cicli aperti), questa denominazione è normalmente riservata alle sole macchine
alternative usualmente applicate alla trazione. Il processo termodinamico si realizza all’interno
di un sistema cilindro pistone e non in una serie di componenti interconnessi.
I due principali tipi di motori a combustione interna sono: il motore a ignizione con candele, in
cui una scintilla provoca l’ignizione della miscela aria–combustibile, ed il motore a ignizione
per compressione, in cui l’aria è compressa a pressione e temperatura sufficientemente elevata
da provocare la combustione spontaneamente quando viene iniettato il combustibile.
Una rappresentazione del ciclo reale può essere ottenuta esaminando il diagramma che riporta
l’andamento della pressione interna al cilindro in funzione dello spostamento del pistone. In
Fig. 9.21 è rappresentato in ciclo indicato per un motore a quattro tempi, in cui il pistone
esegue quattro distinte corse nel cilindro per ogni doppia rotazione dell’albero a manovella.
p
espansione
compressione
apertura valvola scarico
scarico
chiusura valvola aspirazione
aspirazione
p.m. sup.
p.m. inf.
spostamento
Fig. 9.21. Diagramma pressione- spostamento (ciclo meccanico indicato) di un motore
alternativo a combustione interna.
Con la valvola di aspirazione aperta, il pistone effettua una corsa di aspirazione, tra il punto
morto superiore e quello inferiore, in cui una carica fresca è introdotta nel cilindro. La carica è
una miscela di aria e combustibile nel caso di motori ad ignizione a candela; è soltanto aria per
motori ad ignizione per compressione. A valvole chiuse il pistone, muovendo in direzione
opposta, effettua la compressione del fluido e ciò richiede del lavoro dall’esterno. Ancora a
valvole chiuse si innesca la combustione con aumento di temperatura e pressione. Il
successivo ritorno del pistone costituisce la fase utile di espansione da cui si ottiene lavoro
meccanico. Infine, a valvola di scarico aperta, il pistone effettua una corsa che determina lo
scarico dei prodotti di combustione. Il ciclo “meccanico” di Fig. 9.21, non rappresenta un
ciclo termodinamico per il contenuto del cilindro: il fluido è infatti introdotto con una data
composizione chimica ed è scaricato con una composizione diversa.
40
Lo studio dettagliato delle prestazioni dei m.c.i. è piuttosto complesso e dovrebbe tener conto
dei numerosi fenomeni che si verificano:
- il processo di combustione nel cilindro;
- i fenomeni di dissociazione e riassociazione dei gas combusti;
- la variabilità dei calori specifici con la temperatura;
- le irreversibilità associate ad attriti, gradienti di pressione, gradienti di temperatura;
- lo scambio termico tra il gas e le pareti del cilindro;
- il lavoro per introdurre e scaricare il gas.
Per un primo esame del funzionamento complessivo si effettua tradizionalmente un’analisi
termodinamica elementare basata su cicli termodinamici di riferimento. Tali cicli non
rappresentano la reale successione delle trasformazioni, si assume infatti che il fluido
evolvente sia aria, trattata come gas perfetto a calori specifici costanti, sostituendo il processo
di combustione con uno scambio termico fittizio con l'esterno. Sono cicli di riferimento il ciclo
Otto ed il ciclo Diesel.
9.7.1. Ciclo Otto di riferimento
Fu ideato da Beau de Rochas nel 1862 e realizzato da Nicholaus Otto nel 1876. E’
costituito da una compressione adiabatica (1-2), un riscaldamento isocoro (2-3), una
espansione adiabatica (3-4) ed un raffreddamento isocoro (4-1). Il processo ciclico (e chiuso)
così descritto rappresenta un modello del processo reale in cui alla combustione corrisponde il
riscaldamento isocoro ed allo scarico dei prodotti della combustione il raffreddamento ancora
a volume costante.
Il ciclo Otto di riferimento prevede le seguenti ipotesi:
3
p
- fluido gas perfetto con calori specifici costanti;
- trasformazioni tutte reversibili.
In queste condizioni la frazione utilizzabile risulta:
Q
1
4
Q
c (T − T )
η0 = 1 + 2 = 1 − v 4 1
Q1
cv (T3 − T2 )
Q2
2
1
v2
v1
v
da cui:
η o ,Otto = 1 −
T1
1
= 1 − k −1
T2
rc
(9.25)
Fig. 9.22. Ciclo Otto di riferimento
avendo indicato con rc il rapporto volumetrico di compressione definito da v1 / v 2 .
In relazione al risultato ottenuto si possono fare le seguenti osservazioni:
la frazione utilizzabile dipende esclusivamente dal rapporto volumetrico di compressione
rc ed aumenta con esso: ad es. per rc =8 si ha ηo=0.57 e per rc =9 si ha ηo=0.60;
si può dimostrare che l'efficienza di un ciclo Otto è minore di quella di un ciclo di Carnot
operante tra le stesse temperature massime (e ciò perché il calore Q2 viene trasmesso
all'esterno ad una temperatura maggiore della minima del ciclo mentre Q viene ricevuto ad
una temperatura minore della massima).
La possibilità che intervengano fenomeni di autoignizione pone un limite superiore al rapporto
di compressione. L'autoignizione della miscela (incombusta) può intervenire se la temperatura
1
41
è troppo alta; essa provoca un'onda di pressione nel cilindro che può portare a perdite di
potenza e danneggiamenti. I combustibili con piombo tetraetile sono resistenti
all'autoignizione, ma il rispetto dei limiti di polluzione ambientale, induce ad usare benzina
senza piombo per la quale il valore massimo di rc è di circa 9-10. Valori più elevati , nel
campo 12-20, possono essere ottenuti con l'ignizione per compressione e combustibile meno
raffinato con più alta temperatura di accensione.
I valori di frazione utilizzata reali risultano notevolmente ridotti rispetto a quelli dati dalla
(9.25). Ad essi si può pervenire attraverso calcoli più accurati tenendo conto della reale
composizione del fluido, dell'attrito, dei disperdimenti termici, della variazione di cp e cv con T
e della combustione.
Esempio 9.3
Si valutino gli scambi di lavoro e di calore, per unità di massa, e la frazione utilizzabile per il seguente ciclo Otto
di riferimento:
Aria come fluido:
T1= 300 K
p1= 1 bar
k= cp/cv =1.4
T3=1675 K
rc= v1/v2=6
------------------------
(ipotesi g.p.)
v1 = R1
T1
p1
= 287 J / kgK
adiabatica 1-2:
k −1
2 2
Tv
300 K
10 5 Pa
k −1
1 1
=Tv
= 0. 861 m 3 / kg
⎛v
→ T2 = T1 ⎜⎜ 1
⎝ v2
0.4
⎞
⎟⎟
⎠
k −1
= T1 ⋅ rck −1
T2= 300·6 = 614 [K]
per il lavoro di compressione sarà (dL = - dU):
2
2
1
1
Lc = ∫ pdv = − ∫ cv dT = cv (T1 − T2 ) =
ricordando che R1= cp- cv ed assumendo cp=1005 [J/kg K]
cv= 1005 - 287 = 718 [J/kg K]= 0.718 [kJ/kg K]
Lc= 0.718·( 300 - 614 ) = -225.5 [kJ/kg]
calcoliamo p2:
T2
6
rc
= R1T2 = 287 J / kgK ⋅ 614 K
= 12. 28 ⋅ 10 5 Pa = 12. 3 bar
p2 = R1
v2
v1
0. 861 m 3 / kg
oppure possiamo procedere così ( con meno errori di arrotondamento):
k
⎛v ⎞
p 2 v 2k = p1v1k → p 2 = p1 ⎜⎜ 1 ⎟⎟ = p1 ⋅ rck = 1[bar ] ⋅ 61.4 = 12.3[bar ]
⎝ v2 ⎠
calcolo calore fittizio combustione
Q1= cv ( T3 - T2 )
Q1= 0.718·( 1675-614) = 762 [kJ/kg]
calcoliamo p3 sfruttando il fatto che la tr. 2-3 è isocora:
42
p2 v2 = R1T2
⇒
p3v2 = R1T3
p3
p2
p3 = 12. 3 bar
calcolo di T4 ( tr. 3-4 adiabatica ):
k −1
4 4
k −1
3 3
=T v
Tv
ma v3=v2 e v4 = v1 quindi v3/v4 1/rc
T4 = 1675
=
T3
→ p3 = p2
T2
1675
614
T3
T2
= 33. 6 bar
⎛v
→ T4 = T3 ⎜⎜ 3
⎝ v4
⎞
⎟⎟
⎠
k −1
1
= 818 K
6 0. 4
per p4 sarà: p4= R1T4/v4= 287·818/0.861 =2.73·10 [Pa] = 2.73 [bar]
5
Il lavoro associato alla fase di espansione varrà :
4
4
3
3
Le = ∫ pdv = − ∫ cv dT = cv (T3 − T4 )
Le= 0.718·( 1675 - 818 ) =615 [kJ/kg]
La frazione utilizzabile varrà allora ( utilizzabile perchè tr. reversibili)
η0 =
∑ L = 615 − 225.5 = 0.51
Q1
762
in realtà tenendo conto di tutte le irreversibilità η ≈ 25%
43
9.7.2. Ciclo Diesel di riferimento
E' un ciclo ideale in cui il calore Q1 viene fornito durante una trasformazione a
pressione costante che inizia quando il pistone ha raggiunto il punto morto superiore.
L'aria viene aspirata e compressa adiabaticamente lungo la 1-2. Alla fine della compressione
viene iniettato il combustibile che si accende per la elevata temperatura raggiunta dall'aria
nella compressione. La combustione avviene a pressione costante e quindi interessa già la
successiva corsa dello stantuffo. Segue quindi l'espansione adiabatica 3-4 ed a fine corsa dello
stantuffo si aprono le valvole di scarico e si ha il
p 2
3
lavaggio del cilindro con lo stantuffo.
Dall’esame
degli
scambi
nelle
diverse
trasformazioni si ha:
1-2:
Q1, 2 = 0
4
L1, 2 = −(U 2 − U 1 ) = −c v (T2 − T1 )
1
2-3:
v
Q2,3 = c p (T3 − T2 )
L2 , 3 = p 2 ( v 3 − v 2 )
3-4:
Τ
Q3, 4 = 0
2
L3, 4 = −(U 4 − U 3 ) = −cv (T3 − T4 )
4-1:
3
4
Q4,1 = c v (T1 − T4 )
1
L4,1 = 0
S
Si ha pertanto:
ηo = 1 +
Q2
c (T − T )
= 1− v 4 1
Q1
c p (T3 − T2 )
Fig.9.23. Ciclo Diesel di riferimento.
(9.26)
da cui:
T4
− 1)
1
T1
ηo = 1 −
T
k
T2 ( 3 − 1)
T2
T1 (
e infine:
η o , Diesel
1 1 ( β k − 1)
= 1 − k −1
rc k ( β − 1)
(9.27)
(9.28)
v3
v
e con rc = 1 , rispettivamente, il rapporto volumetrico di
v2
v2
combustione a pressione costante ed il rapporto volumetrico di compressione. In Fig. 9.24 è
riportato l’andamento della frazione utilizzabile di un ciclo Diesel di riferimento (eq. 9.28) in
funzione dei rapporti volumetrici β ed rc .
avendo indicato con β =
44
η0
Ciclo Otto β=1
0.4
β=2
β=3
Ciclo Diesel
0.3
0.2
0.1
5
10
15
rc
20
Fig. 9.24. Frazione utilizzabile di un ciclo Diesel di riferimento ( k =1.41).
Confrontando le due frazioni utilizzabili espresse dalle (9.25) e (9.28) si nota che per il ciclo
Diesel il termine che si sottrae all’unità viene moltiplicato per una quantità solitamente
maggiore di 1, con β>1 e k>1. A parità di rapporto volumetrico si ha dunque che il ciclo Otto
di riferimento è più efficiente di un ciclo Diesel di riferimento. In pratica a causa dei possibili
effetti di preignizione e detonazione il rapporto di compressione del ciclo Otto è
significativamente inferiore a quello adottabile per il ciclo Diesel: i motori Diesel operano a
più elevati valori del rapporto di compressione con conseguenti più elevate efficienze.
Un confronto tra i due cicli può effettuarsi in modo significativo assumendo per entrambi lo
stesso calore fornito Q1 . Con riferimento al diagramma entropico di Fig. 9.25, se si effettua il
confronto a pari rapporto di compressione (caso a)), per il ciclo Diesel risulta un più elevato
valore del calore ceduto Q2 e minore è la frazione utilizzabile. Lo stesso confronto a pari Tmax
raggiunta comporta invece maggiore Q2 per il ciclo Otto. Si hanno così le seguenti situazioni.
T
3
3'
T
3'
2=2'
3
2'
2=2'
4'
1=1'
4
4
1=1'
S
S
a) Confronto a parità di Q1 e di rc
b) Confronto a parità di Q1 e di Tmax
Fig. 9.25. Confronto tra i cicli di riferimento Otto (trasformazioni 1-2-3-4) e Diesel (trasformazioni 1’-2’-3’-4’) a
parità di rapporto di compressione (caso a) ed a parità di temperatura massima (caso b)).
45
Esempio 9.4
Si valutino gli scambi di lavoro, di calore per unità di massa e la frazione utilizzabile per il seguente ciclo Diesel
di riferimento:
Aria come fluido:
T1= 300 K
p1= 1 bar
k= cp/cv =1.4, cp= 1.005 kJ/kg K
T3=1675 K
rc= v1/v2=16
------------------------
stato 2 ( tr. 1-2 adiab. isoentr.)
⎛v ⎞
T2 = T1 ⎜⎜ 1 ⎟⎟
⎝ v2 ⎠
k −1
= T1 ⋅ rck −1 = 300 ⋅ 16 0.4 = 909[K ]
k
⎛v ⎞
p 2 = p1 ⎜⎜ 1 ⎟⎟ = p1 ⋅ rck = 1 ⋅ 161.4 = 48.5[bar ]
⎝ v2 ⎠
siamo in grado di calcolare L1,2 e Q1
L1,2= -cv (T2-T1) = - 0.718 (909-300)= - 437.3 [kJ/kg]
Q1= cp(T3-T2) = 1.005 (1675-909) = 769.8 [kJ/kg]
Vediamo ora di calcolare Q1 utilizzando invece le tavole dell’entalpia:
75
h3 = 1757.1 + ( 2006 − 1757.1)
= 1850. 4 kJ / kg
200
9
h2 = 933. 5 + (1046. 4 − 933. 5)
= 943. 7 kJ / kg
100
Q1 = h3 - h2 = 906.7 [kJ/ kg]
Questo valore è decisamente maggiore del precedente. Se noi cerchiamo il valore di cp nelle tabelle vediamo che
cp= 1.005 [kJ/kgK] vale per temperatura ambiente. Per T=909 K e 1675 K troviamo valori pari rispettivamente a
circa 1.12 e 1.26 [kJ/kgK] con media aritmetica pari a circa 1.19 [kJ/kgK]. Utilizzando tale valore si ottiene un
valori di Q1 :
Q1= cp(T3-T2) =1.19 (1675-909) = 911.5 [kJ/kg]
molto vicino a quello ottenuto utilizzando le tavole dell’entalpia. Occorre comunque dire che fra medie ed
interpolazioni conviene allora valutare direttamente le entalpie.
Per il lavoro nella (2-3) abbiamo:
L2,3 = p2 ( v3 − v2 ) = R1 ( T3 − T2 ) = 0. 287 ⋅ (1675 − 909 ) = 219. 8 kJ / kg
stato 3
p3=p2= 48.5 bar
T3=1675 K
stato 4 ( tr. 3-4 adiab. isoentr. )
⎛v
T4 = T3 ⎜⎜ 3
⎝ v4
⎞
⎟⎟
⎠
k −1
⎛v ⎞
= T3 ⎜⎜ 3 ⎟⎟
⎝ v1 ⎠
k −1
ma sull'isobara 2-3 vale la seguente:
v3
v2
=
T3
T2
quindi
46
⎛v
T4 = T3 ⎜⎜ 2
⎝ v1
⎞
⎟⎟
⎠
k −1
⎛ T3
⎜⎜
⎝ T2
⎞
⎟⎟
⎠
k −1
⎛ 1
= T3k ⋅ ⎜⎜
⎝ rc ⋅ T2
⎞
⎟⎟
⎠
k −1
⎛ 1 ⎞
= 16751.4 ⋅ ⎜
⎟
⎝ 16 ⋅ 909 ⎠
0.4
= 705.6[K ]
analogamente
⎛v
p 4 = p3 ⎜⎜ 3
⎝ v4
k
k
k
⎛ T ⎞
⎞
⎛v ⎞
⎛ 1675 ⎞
⎟⎟ = p3 ⎜⎜ 3 ⎟⎟ = p3 ⎜⎜ 3 ⎟⎟ = 48.5⎜
⎟
⎝ 16 ⋅ 909 ⎠
⎠
⎝ v1 ⎠
⎝ rc ⋅ T2 ⎠
1.4
= 2.35[bar ]
L3,4 = cv (T3-T4) =0.718 ( 1675 - 705.6 ) = 696 [kJ/kg]
Lnetto = L1,2 + L2,3 + L3,4 = - 437.3 + 219.8 + 696 = 478.5 [kJ/kg]
Calcoliamo Q2:
Q2= cv ( T1 -T4)= 0.718 ( 300 -705.6 ) = -291.2 [kJ/kg]
La frazione utilizzabile vale:
η0 =
Lnetto 478.5
=
= 0.62
Q1
769.8
(62%)
47
----------------------------------------------------------------------------------------------------
CAPITOLO
10
IMPIANTI A CICLO INVERSO
--------------------------------------------------------------------------------------------------In questo capitolo vengono trattati i cicli termodinamici inversi ed i relativi impianti. Tali cicli trovano
attualmente una diffusione crescente per le applicazioni del freddo, in particolare per la conservazione dei prodotti
alimentari, e per il controllo delle condizioni termoigrometriche ambientali.
10.1. Introduzione
In un processo termodinamico inverso il fluido riceve lavoro esterno netto (o calore) e
trasferisce calore da una sorgente a bassa temperatura ad una a temperatura più elevata. Se lo
scopo primario del processo è sottrarre calore alla sorgente fredda il ciclo è detto frigorigeno, se
invece lo scopo è quello di fornire calore al mezzo più caldo, allora il ciclo viene detto a pompa
di calore. I due sistemi operano con identico principio e non sussistono ragioni termodinamiche
per ulteriori distinzioni, salvo il diverso campo di temperature in cui operano, che comporta
dispositivi meccanicamente diversi per raggiungere l’obiettivo fissato con migliore efficienza.
I sistemi frigorigeni trovano oggi un vasto campo di applicazioni dall’uso comune del
ghiaccio alla conservazione dei prodotti alimentari, dal condizionamento dell’aria alle piste di
pattinaggio su ghiaccio, dalla conservazione del plasma sanguigno alla criogenia ed alla
liquefazione dei gas. Le pompe di calore vengono sempre più utilizzate per la climatizzazione ed
in processi industriale anche per i vantaggi che offrono sotto il profilo della tutela ambientale.
Ciascuna applicazione interessa un diverso campo di temperatura e presenta per il progettista
una sua specificità.
10.2. Il ciclo inverso di Carnot
Costituisce il più semplice riferimento per lo studio dei processi inversi trattandosi di un
ciclo (inverso) semplice reversibile. Consiste di due isoterme e di due adiabatiche, isoentropiche.
Le prestazioni del sistema vengono valutate attraverso i seguenti coefficienti:
-
per il ciclo frigorigeno:
- il consumo meccanico specifico:
γ0 =
L
Q2
=
− (Q1 + Q2 )
Q
T − T2
= − 1 −1 = 1
Q2
Q2
T2
(10.1)
48
- l’effetto frigorigeno specifico o coefficiente di prestazione (C.O.P.)f :
ε 0 = (C.O.P.) f , 0 =
-
Q2
T2
=
L T1 − T2
(10.2)
per la pompa di calore:
- il coefficiente di prestazione o fattore di moltiplicazione termica (C.O.P.) hp , 0 :
(C.O.P.) hp , 0 =
Q1
T1
=
= (C.O.P.) f , 0 + 1
L T1 − T2
(10.3)
10.3. Cicli frigorigeni a compressione di vapore
Gli impianti frigorigeni a compressione di vapore costituiscono la tipologia di processi
inversi maggiormente diffusa per sistemi di piccole e medie dimensioni.
L’utilizzo di un gas come fluido di lavoro presenta infatti difficoltà in relazione ai bassi valori del
coefficiente di convezione termica che implicano elevate velocità del fluido e superfici di
scambio termico estese. Queste difficoltà si possono superare utilizzando un fluido che cambia di
stato: vaporizza a pressione e temperatura costanti nella fase in cui sottrae calore e
successivamente condensa, sempre a T e p costanti, mentre cede calore a pressione e temperatura
più elevate. Durante i cambiamenti di fase l’efficienza di trasmissione del calore è sempre molto
elevata e le due trasformazioni possono effettuarsi con superfici di scambio relativamente ridotte.
L’elevata entalpia di passaggio di stato consente inoltre di operare con piccole portate in massa
del fluido refrigerante.
Per introdurre alcuni importanti aspetti della refrigerazione si consideri il ciclo semplice
reversibile (ciclo inverso di Carnot), con cambiamento di fase del fluido, rappresentato in Fig.
10.1.
T
T1
T2
Q1
3
2
1
4
Q2
S
Fig. 10.1. Ciclo semplice inverso reversibile (ciclo di Carnot).
49
Il fluido frigorigeno entra nel vaporizzatore nello stato di vapore saturo (4) e, sottraendo calore
alla sorgente inferiore, vaporizza parzialmente fino allo stato 1. E’ quindi compresso
isoentropicamente dallo stato 1 allo stato 2 di vapore saturo secco. Durante questo processo la
temperatura aumenta da T2 a T1 , ed anche la pressione aumenta. La trasformazione 2-3 si attua
nel condensatore dove il fluido frigorigeno condensa completamente, come risultato del calore
ceduto all'esterno. Lo stato 4 viene infine ripristinato con una espansione isoentropica attraverso
una turbina. Essendo il ciclo reversibile, le aree individuate sul piano T,S dalle singole
trasformazioni, rispetto all'asse delle ascisse (a 0 K), rappresentano gli scambi di calore e l’area
interna al ciclo rappresenta il lavoro (esterno netto) complessivamente scambiato. Si possono così
facilmente ricavare le relazioni riportate nel precedente paragrafo (10.2).
E’ necessario tuttavia notare che gli attuali cicli frigorigeni si discostano sensibilmente da quello
ideale semplice, sopra descritto. Tra le ragioni che rendono di fatto inattuabile il ciclo inverso di
Carnot alcune riguardano la compressione e l'espansione. La compressione, dallo stato 1 allo
stato 2, dovrebbe attuarsi con vapore saturo, in presenza quindi di una miscela di liquido e
vapore. Tale compressione, denominata "umida", viene normalmente evitata perché la fase
liquida presente, può danneggiare il compressore. Nella maggior parte dei casi, per impianti
piccoli e medi, il compressore è di tipo alternativo, e la fase liquida, incomprimibile, tende ad
occupare il volume “nocivo” del compressore rischiando di comprometterne l’integrità
meccanica. Il liquido tende inoltre a lavare il velo di olio lubrificante dalle pareti del cilindro
aumentando gli attriti che si oppongono al moto. Attualmente si preferisce dunque operare una
compressione "secca", in cui lo stato iniziale del fluido è di vapore saturo secco, e si assume che
il fluido operativo sia nello stato liquido saturo all’uscita del condensatore.
Per quanto riguarda poi l'espansione, si nota che, effettuata con vapore saturo a basso titolo,
produrrebbe un lavoro esterno netto molto più piccolo di quello necessario per la compressione.
Per tale motivo la turbina è sostituita da un semplice dispositivo di laminazione e si rinuncia del
tutto al corrispondente lavoro esterno. L'espansione è dunque totalmente dissipativa e si realizza
in una valvola o in un capillare, componenti statici e assai poco costosi (trasformazione 3-4).
T
Q1
2
3
condensatore
2
2’
T1
3
Tc
Tf
T2
4
1
vaporizzatore
vaporizzatore
1
4
S
Q2
Fig. 10.2. Ciclo frigorigeno standard e schema funzionale dell’impianto relativo.
50
Infine, si deve tenere conto che per effettuare gli scambi termici delle trasformazioni 4-1 e 2-3,
con temperature costanti e definite delle sorgenti esterne a Tc (temperatura del fluido esterno
caldo) e T f (temperatura del fluido esterno freddo), è necessario che la vaporizzazione avvenga
a temperatura inferiore di alcuni gradi a T f e che la condensazione si effettui a temperatura
maggiore, ancora d’alcuni gradi, rispetto a Tc . Lo schema dell'impianto che ne deriva
comprende dunque i seguenti componenti: evaporatore, compressore, condensatore, valvola di
laminazione (o capillare). Il corrispondente ciclo termodinamico è riportato in Fig. 10.2, in cui
sono state assunte isobare e reversibili le trasformazioni nell’evaporatore e nel condensatore.
Le prestazioni del sistema di Fig. 10.2 possono valutarsi esprimendo gli scambi energetici che
avvengono nei diversi componenti per mezzo delle corrispondenti variazioni entalpiche, secondo
l’equazione di bilancio per un volume di controllo, nel regime permanente termodinamico e di
massa, con variazioni trascurabili delle energie cinetica e potenziale. Si ha così:
- consumo meccanico specifico:
γ=
L
Q2
=
H 2 − H1
H1 − H 4
(10.4)
- effetto frigorigeno specifico o coefficiente di prestazione:
ε = (C.O.P.) f =
Q2 H 1 − H 4
=
L
H 2 − H1
(10.5)
Nelle precedenti equazioni la quantità di calore Q2 rappresenta l’effetto utile (effetto
frigorigeno), ottenuto a spese del lavoro esterno netto del compressore L . Si noti che, con le
ipotesi fatte, tale lavoro può esprimersi come somma algebrica degli scambi di calore che
intervengono nel vaporizzatore e nel condensatore e risulta:
L = Q1 + Q2 = ( H 3 − H 2 ) + ( H 1 − H 4 ) = H 1 − H 2
essendo isoentalpico il processo di laminazione ( H 3 = H 4 ).
Come è già stato notato, poiché non vi sono differenze dal punto di vista termodinamico, il ciclo
inverso può essere visto anche come un ciclo a pompa di calore. In questo caso l’effetto utile è
rappresentato dal calore Q1 ceduto ad un mezzo a temperatura più elevata di quella ambiente. Il
coefficiente di prestazione, definito in base a tale effetto utile, può allora esprimersi con la
relazione:
Q1 H 2 − H 3
(10.6)
=
L
H 2 − H1
Il ciclo inverso standard sopra descritto è di seguito rappresentato sul piano p, H , spesso usato
proprio per lo studio dei cicli inversi (v. Fig. 10.3).
ε ' = (C.O.P.) p.c. =
51
p
2’ 2
3
4
1
H
Fig. 10.3 Rappresentazione del ciclo frigorigeno a semplice compressione di vapore sul piano p,H.
Esempio 10.1
Si consideri un ciclo frigorigeno che utilizza R 134a come fluido di lavoro. Con riferimento alla Fig. 10.2, sono
note le temperature di vaporizzazione T2 = −16°C e di condensazione T1 = 34°C e si ammette che all’uscita del
condensatore si abbia liquido saturo ed all’ingresso del compressore si abbia vapore saturo secco.
Nell’ipotesi che il rendimento isoentropico del compressore sia pari a 0.75 e che il flusso termico asportato dal
vaporizzatore sia 8 kW, calcolare:
- il coefficiente di prestazione del ciclo,
- il flusso termico scambiato al condensatore
- la potenza meccanica spesa e la portata volumetrica all’aspirazione del compressore.
-----------------------I dati del problema sono sufficienti per determinare le proprietà termodinamiche nei punti 1,2, 3 e 4. Dalle tabelle
delle proprietà termodinamiche del refrigerante si ha:
- stato 2’:
H 1 = 287.7 kJ / kg
H 2 ' = 328 kJ / kg
- stato 2:
H 2 = H1 +
- stato 3:
H 3 = 147.3 kJ / kg
S 3 = 1.1614 kJ / kgK
- stato 4:
H4 = H3
x4 =
- stato 1:
H 2' − H 1
ρc
S 1 = 1.7328 kJ / kgK
S 2' = S 1
p1 = 1.5748 bar
p 2 ' = 8.6247 bar
H 2 = 341.4 kJ / kg
p 2 = p 2'
p3 = p 2
H4 − Hl
= 0.33
H l ,v
p 4 = p1
Il coefficiente di prestazione (effetto frigorigeno specifico) risulta:
(C.O.P.) f =
H1 − H 4
= 2.61
H 2 − H1
La portata di fluido frigorigeno evolvente nell’impianto vale:
m& =
q2
= 0.057 kg / s
H1 − H 4
52
Dal valore della portata si ottengono le seguenti grandezze:
- flusso termico ceduto al condensatore:
q1 = m& ( H 3 − H 2 ) = −11.06 kW
- potenza del compressore:
P = m& ( H 2 − H 1 ) = 3.06 kW
( P = q1 + q 2 )
- portata volumetrica all’ingresso del compressore: V& = v1 m& = 0.1247 ⋅ 0.057 = 7.108 ⋅10 −3 m 3 / s .
Il flusso termico ceduto al condensatore è pari alla somma della potenza meccanica spesa e del flusso termico
asportato dal vaporizzatore.
10.4. Caratteristiche dei fluidi frigorigeni
Numerosi sono i fluidi frigorigeni utilizzabili nei cicli inversi, tra questi oggi i più diffusi
sono gli idrocarburi alogenati. Dal punto di vista termodinamico le caratteristiche ideali di un
fluido frigorigeno riguardano:
- la temperatura termodinamica critica: è opportuno sia molto superiore a quella di
condensazione per operare in un campo di elevati valori dell'entalpia di passaggio di stato;
- la temperatura del punto triplo: deve essere ben al di sotto della temperatura di vaporizzazione,
per evitare il congelamento del fluido;
- la pressione di condensazione: dovrebbe risultare non troppo elevata, anche in rapporto alla
pressione al vaporizzatore, per ridurre il lavoro del compressore ed evitare la doppia
compressione;
- la pressione di vaporizzazione: non deve essere troppo bassa e possibilmente maggiore di
quella atmosferica per impedire infiltrazioni di aria umida dall'ambiente;
- l'entalpia di vaporizzazione: deve essere elevata per ottenere un elevato effetto frigorigeno, per
unità di massa del fluido evolvente;
- il volume specifico del vapore surriscaldato: deve essere basso per ridurre la portata
volumetrica ed il lavoro esterno netto del compressore.
Altre caratteristiche di fondamentale importanza riguardano la compatibilità ambientale, la non
tossicità, la non infiammabilità, il costo e la disponibilità, la compatibilità chimica con gli altri
materiali dell'impianto.
Tra i fluidi possibili l'acqua presenta ottime caratteristiche ambientale e buone proprietà
termodinamiche, con la eccezione della pressione di saturazione molto bassa a basse temperature
e del volume specifico del vapore molto elevato. Il suo impiego è tuttavia limitato a condizioni
del tutto particolari dato che non si può scendere al di sotto del punto triplo (0.01 °C). Viene
utilizzata, come si vedrà, negli impianti ad assorbimento per il condizionamento ambientale.
Altri fluidi furono utilizzati in passato. Il primo ciclo termodinamico inverso fu realizzato nel
1834 da J. Perkins che impiegò come fluido etere etilico. Nel 1863 il francese Tellier introdusse
l'etere metilico, nell'impianto della nave "Frigorifiche" adibita al trasporto della carni
dall'Argentina. Seguì l'utilizzo dell'ammoniaca (NH3) nel 1874 e dell'anidride solforosa (SO2).
Nello stesso periodo comparve il compressore a CO2 utilizzato con successo a partire dal 1890.
Successivamente questi fluidi furono abbandonati e sostituiti per vari motivi di ordine
termodinamico, ma anche perché infiammabili e/o tossici. La sola ammoniaca continuò ad essere
utilizzata in particolari applicazioni di grande potenza frigorigena, per le buone caratteristiche
termodinamiche.
Nel 1930 apparvero i clorofluorocarburi. A partire da quell'anno furono proposti diversi fluidi
frigorigeni alogenati, ottenuti dal metano (CH4) e dall'etano (C2H6) per la sostituzione totale o
53
parziale degli atomi di idrogeno con atomi di cloro, fluoro e poi anche di bromo. L'impiego di tali
fluidi ebbe inizio nel 1930 e si sviluppò sempre più intensamente negli anni successivi. Introdotti
con il nome commerciale di "freons", sono oggi prodotti da numerose industrie chimiche e
vengono indicati con una sigla che ha per iniziale la lettera R, dal termine inglese "refrigerant",
seguita da un numero di più cifre convenzionalmente corrispondenti alla composizione chimica.
Nella sigla Rxyz, x indica il numero di atomi di carbonio presenti nella molecola diminuito di 1,
y il numero degli atomi di idrogeno aumentato di 1, z indica il numero degli atomi di fluoro.
Quando è uguale a zero, x viene omesso, pertanto per i derivati del metano R è seguito da due
sole cifre. Tra i refrigeranti più utilizzati si hanno i seguenti:
R11
R12
R22
R113
R134
tricloro-monofluoro-metano
dicloro-difluoro-metano
monocloro-difluoro-metano
tricloro-trifluoro-etano
tetrafluoro-etano
CCl3F
CCl2F2
CHClF2
C2Cl3F3
C2H2F4
La sigla è talvolta seguita da una lettera per distinguere tra loro gli isomeri, fluidi che hanno la
stessa composizione chimica ma diversa struttura molecolare. Il fluido R134a è caratterizzato da
una disposizione non simmetrica degli atomi di idrogeno.
I fluidi frigorigeni alogenati si possono anche distinguere in relazione agli elementi che ne
compongono la molecola:
CFC
HCFC
HFC
FC
(cloro-fluoro-carburi)
(idro-cloro-fluoro-carburi)
(idro-fluoro-carburi)
(fluoro-carburi)
contengono cloro, non idrogeno (es. R11, R12, R113)
contengono sia cloro, sia idrogeno (es. R22)
contengono idrogeno, ma non cloro (es. R134)
non contengono né cloro, né idrogeno
Quest'ultima classificazione ai fini della compatibilità ambientale è diventata molto importante.
E' stato infatti recentemente scoperto che i freons per la notevole stabilità chimica della loro
molecola possono produrre un grave danno all'atmosfera. Il cloro contenuto nei fluidi CFC e
HCFC, immessi accidentalmente nell'aria e trascinati ad elevate quote, può esercitare un'azione
catalizzatrice nella trasformazione dell'ozono (O3) instabile in ossigeno molecolare (O2)
riducendo la concentrazione dell'ozono atmosferico. In tal modo viene a ridursi l'azione protettiva
esercitata dall'ozono che assorbe in modo sensibile le radiazioni solari ultraviolette. Da questo
punto di vista i CFC sono più dannosi degli HCFC perché l'idrogeno atomico (H+), contenuto
negli HCFC, combinandosi con il radicale OH- presente nell'atmosfera riduce la vita media delle
molecole.
L'uso dei CFC è stato proibito dal 1' gennaio 1995, dalla legislazione italiana ed europea, ed è
stata prevista una riduzione progressiva dell'uso degli HCFC fino al bando completo dal 1'
gennaio 2015. L'impiego degli altri fluidi (HFC, FC) non è oggi limitato in relazione al danno
allo strato di ozono atmosferico, tutti i fluidi alogenati contribuiscono tuttavia all'effetto serra
presentando spettri di assorbimento in corrispondenza alle radiazioni emesse nell'infrarosso dalla
Terra. Per questo si propone che in futuro vengano sostituiti con altri fluidi.
54
10.5. Scelta dei parametri operativi
Per definire la configurazione del ciclo termodinamico, lo schema funzionale e le
dimensioni di un impianto frigorigeno, è necessario effettuare una valutazione delle grandezze
termodinamiche e della portata di fluido evolvente, in base ai requisiti cui esso deve soddisfare.
I parametri indispensabili che devono essere inizialmente noti per una valutazione di massima
riguardano: la temperatura del “fluido esterno caldo” Tc , la temperatura del fluido esterno freddo
T f , la potenza frigorigena Pf che l’impianto deve sviluppare.
La prima temperatura caratteristica Tc è relativa al fluido che riceve il calore ceduto dal vapore
evolvente nel condensatore, in base ad essa si stabilisce la temperatura di condensazione,
precedentemente indicata con T1 . Deve essere T1> Tc e la differenza tra le due temperature
( ∆T = T1 − Tc ) deriva da un compromesso tra le opposte esigenze di limitare l’area della
superficie di scambio termico del condensatore, adottando una elevata ∆T , e di non ridurre
eccessivamente il coefficiente di prestazione che decresce all’aumentare della differenza tra le
temperature di condensazione e vaporizzazione. In pratica si assume per ∆T un valore di circa
10 °C.
Un analogo ragionamento si applica per definire la temperatura di vaporizzazione T2 in base alla
temperatura T f del fluido esterno freddo a cui viene sottratto il calore corrispondente all’effetto
frigorigeno. Normalmente anche in questo caso si assume una differenza tra le due temperature di
circa 10°C, ponendo T2 ≅ T f -10 °C.
Stabilite così le temperature di vaporizzazione e di condensazione, T2 e T1 , si procede alla scelta
del fluido frigorigeno secondo i criteri generali esposti nel paragrafo precedente, avendo ben
presente che sussiste una relazione biunivoca tra le temperature e le pressioni di passaggio di
stato, massima e minima del ciclo termodinamico. Note tali pressioni il ciclo frigorigeno standard
può essere completamente determinato.
Per determinare la portata di fluido frigorigeno evolvente e dunque le dimensioni dell’impianto, è
necessaria la conoscenza della potenza frigorigena. Quest’ultima può valutarsi soltanto
conoscendo i dettagli dell’applicazione, attraverso un bilancio energetico che riguarda il fluido
esterno freddo la cui temperatura deve essere controllata dall’impianto. Nel caso ad esempio
della cella frigorigena di un magazzino per la conservazione di prodotti alimentari, si dovrà tener
conto dei flussi termici scambiati attraverso le pareti termicamente isolate che la delimitano, della
potenza dovuta alle sorgenti termiche interne, di quella legate al rinnovo di aria ed infine della
potenza che si richiede per raffreddare le masse introdotte all’interno della cella nei tempi
opportunamente stabiliti. Quest’ultimo termine, di tipo capacitativo, costituisce l’elemento
predominante nel calcolo di Pf . La portata di fluido frigorigeno necessaria sarà infine data dal
rapporto tra la potenza frigorigena ed l’effetto frigorigeno utile.
10.6. Sistemi frigorigeni a compressione di vapore con schema più complesso
Allo schema base di Fig. 10.2 vengono normalmente apportate variazioni per migliorare
le prestazioni dell’impianto ovvero per particolari applicazioni. Un semplice accorgimento
consiste nel sottoraffreddare il fluido prima della laminazione per ridurre il titolo termodinamico
del vapore saturo all’ingresso dell’evaporatore ed aumentare l’effetto frigorigeno. L’analisi
55
elementare effettuata in precedenza (paragrafo 10.2) ha inoltre posto in evidenza come il
coefficiente di prestazione risulta tanto più elevato quanto più piccola è la differenza tra le
temperature delle sorgenti. L’esperienza conferma che quando la differenza tra le temperatura di
condensazione e di vaporizzazione supera 60-70 K, le efficienze dei cicli inversi a semplice
compressione diventano eccessivamente basse. Per questo si utilizzano cicli in cascata (con
differenti fluidi frigorigeni) ovvero cicli con compressione multistadio del vapore e separazione
delle fasi nel processo di laminazione. Si hanno così diverse possibili soluzioni impiantistiche,
alcune di esse verranno illustrate di seguito.
10.6.1. Ciclo frigorigeno a rigenerazione
In questo ciclo il liquido all’uscita del condensatore viene sottoraffreddato mediante uno
scambio termico interno a spese del calore ceduto al vapore che così si surriscalda, prima
dell’ingresso nel compressore (Fig.10.4).
Le trasformazioni 3-3’ e 1-1’ si attuano nel rigeneratore R, per il quale, nel caso di adiabaticità
verso l’esterno, vale il seguente bilancio:
H 3 − H 3' = H 1' − H 1
(10.7)
Il coefficiente di prestazione, nelle consuete ipotesi, risulta pertanto:
ε = (C.O.P.) f =
Q2 H 1 − H 4
=
L
H 2 − H 1'
(10.8)
Q1
T
2
2’
3
condensatore
2
3
T1
R
3’
T2
4
1
1’
vaporizzatore
vaporizzatore
1’
4
S
Q2
Fig. 10.4. Ciclo termodinamico inverso con rigenerazione.
56
La presenza dello scambiatore rigenerativo comporta dunque un più elevato effetto frigorigeno
( Q2 ) per il minore titolo del vapore all’ingresso del vaporizzatore. Il lavoro esterno netto speso
nel compressore tuttavia aumenta poiché la trasformazione è spostata nella regione del vapore
surriscaldato dove più elevato è il volume specifico del fluido, a parità di variazione della
pressione. La variazione del (C.O.P.) f dovuta alla rigenerazione risulta in generale positiva, ma
può anche diventare negativa in funzione delle condizioni operative e del fluido.
Aspetti positivi della rigenerazione sono comunque rappresentati dall’operare in condizioni
controllate di vapore surriscaldato all’ingresso del compressore e di liquido sottoraffreddato
all’ingresso dell’organo di laminazione. Questo rende molto improbabile la presenza di gocce
liquide nel compressore e di bolle nella laminazione.
Esempio 10.2
Si consideri un ciclo frigorigeno che utilizza R 134a come fluido di lavoro. Con riferimento alla Fig. 10.4, sono
note le temperature di vaporizzazione T2 = −16°C e di condensazione T1 = 34°C e si ammette inoltre che all’uscita
dello scambiatore rigenerativo si abbia liquido sottoraffreddato di 8 °C.
Nell’ipotesi che il rendimento isoentropico del compressore sia pari a 0.75 e che il flusso termico asportato dal
vaporizzatore sia 8 kW, calcolare:
- il coefficiente di prestazione del ciclo,
- il flusso termico scambiato al condensatore,
- la potenza meccanica spesa e la portata volumetrica all’aspirazione del compressore.
-----------------------I dati del problema sono sufficienti per determinare le proprietà termodinamiche nei punti 1, 3, 3’ e 4. Dalle tabelle
delle proprietà termodinamiche del refrigerante si ha:
- stato 3:
- stato 3’:
H 1 = 287.7 kJ / kg
H 3 = 147.3 kJ / kg
H 3' = 138.0 kJ / kg
S 1 = 1.7328 kJ / kgK
S 3 = 1.1614 kJ / kgK
p3 = p3'
- stato 4:
H 4 = H 3'
x4 =
- stato 1:
H4 − Hl
= 0.28
H l ,v
p1 = 1.5748 bar
p 3 = 8.6247 bar
p 4 = p1
L’entalpia del punto 1’ può essere ottenuta dalla (10.7) che esprime il bilancio energetico del rigeneratore:
H 1' = H 1 + ( H 3 − H 3' ) = 297.0 kJ / kg
Lo stato 2’ ha la stessa entropia dello stato 1’, ma la pressione è quella di condensazione. L’entalpia in 2’, dedotta
dalle tabelle risulta:
H 2' = 336.0 kJ / kg
L’entalpia in 2 può ottenersi in base al rendimento isoentropico del compressore:
H − H 1'
H 2 = H1' + 2'
H 2 = 349.0 kJ / kg
ρc
Il coefficiente di prestazione (effetto frigorigeno specifico) risulta:
(C.O.P.) f =
H1 − H 4
= 2.88
H 2 − H 1'
La portata di fluido frigorigeno evolvente nell’impianto vale:
m& =
q2
= 0.0534 kg / s
H1 − H 4
57
Dal valore della portata si ottengono le seguenti grandezze:
- flusso termico ceduto al condensatore:
q1 = m& ( H 3 − H 2 ) = −10.78 kW
- potenza del compressore:
P = m& ( H 2 − H 1' ) = 2.78 kW
( P = q1 + q 2 )
- portata volumetrica all’ingresso del compressore: V& = v1 m& = 6.95 ⋅ 10 −3 m 3 / s .
Il flusso termico ceduto al condensatore è pari alla somma della potenza meccanica spesa e del flusso termico
asportato dal vaporizzatore. La rigenerazione ha consentito di migliorare le prestazioni dell’impianto e rendere più
affidabile l’impianto.
10.6.2. Cicli frigorigeni in cascata
Si ottengono accoppiando più cicli frigorigeni per mezzo di scambiatori intermedi. In
Fig.10.5 è rappresentato lo schema di un sistema a due cicli in cascata, in cui due cicli a
compressione di vapore sono posti in serie da uno scambiatore controcorrente. In esso il calore di
condensazione del ciclo A, operante a più basse temperature, è fornito al refrigerante che
vaporizza nel ciclo B, a temperatura media più elevata. L’effetto frigorigeno si realizza nel
vaporizzatore del ciclo A ed il calore viene ceduto all’esterno nel condensatore del ciclo B. Il
coefficiente di prestazione complessivo del sistema deve tener conto della complessiva potenza
spesa nei compressori:
Q2 , A m& A
(10.9)
ε = (C.O.P.) f =
Le , A m& A + Le , B m& B
Q1
Condensatore
m& B
Ciclo B
Vaporizzatore B
vaporizzat
Condensatore A
m& A
Ciclo A
Vaporizzatore
Q2
Fig.10.5. Esempio schematico di un sistema frigorigeno costituito da due impianti standard in cascata.
58
Le portate di fluido frigorigeno, m& A ed m& B , sono generalmente diverse nei cicli A e B. Tuttavia
esse sono legate tra loro dall’equazioni di bilancio energetico e di massa dello scambiatore che
connette il condensatore e l’evaporatore dei due cicli.
Il principale vantaggio dei cicli in cascata è quello di consentire l’uso di fluidi frigorigeni diversi,
ciascuno scelto in modo da presentare convenienti valori delle pressioni di vaporizzazione e
condensazione nel campo di temperature operative. Si può così, ad esempio, operare con
pressione non troppo bassa nell’evaporatore del ciclo A e pressione non eccessivamente elevata
nel condensatore del ciclo B, a parità di temperature minima e massima.
Lo schema descritto può naturalmente essere esteso a più cicli in cascata, nel caso di differenze
particolarmente elevate tra le temperature dei fluidi esterni freddo e caldo.
10.6.3. Cicli frigorigeni a compressione di vapore multistadio
Il lavoro esterno netto del compressore può in generale ridursi effettuando la
compressione in più stadi, con refrigerazione intermedia del vapore. Nei sistemi frigorigeni,
poiché il fluido refrigerante è per lo più a temperature inferiori all’ambiente esterno, la
refrigerazione intermedia viene effettuata con scambio termico interno utilizzando il fluido
frigorigeno stesso.
Uno schema che realizza la doppia compressione con refrigerazione intermedia è, ad esempio,
quello rappresentato in Fig.10.6, in cui è anche tracciato il diagramma termodinamico nell’ipotesi
di reversibilità delle trasformazioni. Come si può notare lo schema prevede anche una doppia
laminazione, con interposto un separatore di fase (S). La refrigerazione intermedia si effettua
mediante uno scambiatore a miscelazione (R) in cui il vapore proveniente dalla prima
compressione si desurriscalda per contatto diretto con il vapore saturo secco uscente dal
separatore. Il vapore “miscelato” viene compresso nel secondo compressore fino alla pressione
vigente nel condensatore.
Q1
5
4
condensatore
T
4
R
6
(x)
5
3
9
7
7
2
S
2
6
8
(1-x)
9
3
1
vaporizzatore
8
1
Q2
S
Fig.10.6. Schema di un impianto frigorigeno a doppia compressione con refrigerazione intermedia
e relativo ciclo termodinamico.
59
Operando in questo modo il lavoro specifico richiesto dai due compressori risulta minore di
quello che occorrerebbe per la compressione in un unico stadio. La temperatura del vapore
all’uscita del secondo compressore è inoltre minore di quella che si avrebbe con un solo stadio di
compressione. A ciò corrispondono minori irreversibilità esterne associate allo scambio termico
nel condensatore.
In questo tipo di impianto un ruolo importante è affidato al separatore liquido vapore. Il vapore
saturo che lo alimenta viene infatti ripartito in due correnti. Mentre il vapore saturo secco effettua
la refrigerazione nello scambiatore a miscelazione, il liquido espande in una valvola di
laminazione posta all’ingresso del vaporizzatore, dove si realizza l’effetto frigorigeno. Ponendo
unitaria la massa che defluisce nel condensatore, la frazione che alimenta lo scambiatore è data
dal titolo del vapore a valle della prima laminazione (x), mentre la massa che espande
ulteriormente è data dalla frazione di liquido (1-x). Il rapporto tra le portate del fluido frigorigeno
al condensatore ed al vaporizzatore è dunque maggiore dell’unità e vale 1/(1-x). Una variante
allo schema di Fig. 10.6 prevede che siano integrati in un unico componente il separatore ed il
refrigeratore; il secondo compressore è direttamente alimentato con il vapore saturo secco.
Il coefficiente di prestazione nel caso considerato può esprimersi mediante la relazione:
ε = (C.O.P.) f =
( H 1 − H 8 )(1 − x)
Q2
=
L ( H 2 − H 1 )(1 − x) + ( H 4 − H 3 )
(10.10)
I miglioramenti dell’efficienza ottenibili con cicli a doppia compressione e laminazione
consentono di raggiungere temperature di evaporazione dell’ordine di –60°C, con le normali
temperature di condensazione. Per ottenere temperature di evaporazione ancora più basse occorre
ricorrere a configurazioni di impianto più complesse, riportate in testi specializzati.
Esercizio 10.3
Il carico termico di una cella frigorifera, mantenuta a - 10 °C, è di 116 kW. Ipotizzando l’impiego del refrigerante R
134a e disponendo di acqua di refrigerazione a 15 °C determinare:
La portata del fluido refrigerante
La potenza del compressore (si assuma un rendimento isoentropico di 0.85)
Il C.O.P. dell’impianto
La portata di acqua al condensatore.
Si assuma che sia il vapore che lascia l'evaporatore che il liquido che lascia il condensatore siano saturi.
____________________________
60
Determinazione delle temperature di evaporazione e di condensazione
La temperatura di evaporazione deve necessariamente essere più bassa della temperatura della cella per permettere lo
scambio termico dalla cella al fluido refrigerante. La differenza tra queste temperature sarà indicativamente
compresa tra 5 e 10 K. Nel caso in esame (temperatura della cella - 10 °C) imponiamo una temperatura di
condensazione di - 18 °C.
Analogamente la temperatura di condensazione deve essere più alta della temperatura del fluido refrigerante. Nel
caso in esame (temperatura dell’acqua disponibile = 15 °C) assumiamo la temperatura di condensazione di 26 °C
e la temperatura di uscita dell’acqua pari a 20 °C. ( ∆Tmedio =26-17.5 = 8.5 K )
p
3
2'
2
1
4
H
Definizione del ciclo termodinamico
Dalle tabelle del refrigerante (saturazione) si ricavano le pressioni all’evaporatore e al condensatore:
pev = 1.4 bar
all’evaporatore:
Tev = - 18 °C
pcond = 6.85 bar
al condensatore:
Tcond = 26 °C
Ipotizzando che all’uscita del condensatore il fluido sia liquido saturo si può tracciare il ciclo termodinamico nel
piano p – H. Al fine di valutare gli scambi di lavoro e calore si determinano i valori dell’entalpia nei punti 1, 2, 2',
3 e 4 e precisamente:
Punto
1:
T1 = - 18 °C
p1 = 1.4 bar
x1 = 1
dalle tabelle (saturo) o dal diagramma p-H:
H1 = 286.51 kJ/kg
1.7345 kJ/kg K
S1 =
Punto 2’:
la trasformazione 1-2’ è isoentropica, pertanto :
S2’ = S1 = 1.7345 kJ/kg K
dal piano p - H per il refrigerante R 134a si ricava graficamente:
Punto
2:
H2’ = 322 kJ/kg
dalla definizione di rendimento isoentropico del compressore:
ρc = (H2’ - H1) / (H2 - H1)
si ricava l’entalpia del fluido all’uscita del compressore
Punto
3:
H2 = H1 + (H2’ - H1) / ρc = 286 + (322 - 286 ) / 0.85 = 328 kJ/kg
26 °C
T3 =
61
Dalle tabelle (liquido saturo):
h3 =
135.73 kJ/kg
Punto 4:
T4 = - 18 °C
La trasformazione 3-4 è una laminazione isoentalpica, pertanto:
H4 = H3 = 135.73 kJ/kg
Possiamo calcolare il titolo x nel punto 4 note l’entalpia del liquido saturo e del punto 4, infatti:
⋅
H4 = Hl + x4 Hl,v
dove Hl,v rappresenta l’entalpia di vaporizzazione.
Utilizzando i dati in tabella si ottiene:
x4 = (H4 - Hl ) / Hl,v = ( 135.73 - 76.75 ) / 209.76 = 0.28
Calcolo della portata del refrigerante R 134a
Il flusso termico asportato dall’evaporatore Q2* è dato da:
Q2* =
m& R 134a⋅ (H1 - H4)
& R 134a si intende la portata massica del refrigerante che risulta pertanto:
dove con m
m& R 134a = Q* / (h1 - h4) = 116 / ( 286.51 - 135.73) = 0.77 kg/s
m& R 134a = 0.77 ⋅ 3600 =2.77
t/h
Calcolo della potenza del compressore
Il lavoro netto del compressore è dato da:
LC = H2 - H1 = 328 - 286.5 = 41.5 kJ/kg
La potenza del compressore è data da:
Pcomp = LC⋅ m& R 134a = 41.5 ⋅ 0.77 = 31.9 kW
Calcolo del C.O.P.:
Per definizione il C.O.P. di un sistema frigorigeno è dato da:
C.O.P. = Qev / Lc
dove Qev corrisponde al calore sottratto alla cella (effetto frigorigeno) per unità di massa di fluido evolvente.
In termini di entalpia scriviamo:
C.O.P.= (H1 - H4 ) / (H2 - H1) = (286.52 - 135.73) / (328 - 286.51) = 3.7
Il C.O.P. è ovviamente calcolabile direttamente dal flusso termico asportato alla cella e la potenza del compressore.
Calcolo della portata d’acqua al condensatore
Il calore da asportare al condensatore (per unità di massa del refrigerante) risulta, in termini di entalpia:
Qcond = H2 - H3
La potenza termica da asportare è data da prodotto Qcond m& R 134 a
La potenza termica asportata dall’acqua di refrigerazione è data da
62
m& H2O⋅cH2O⋅( tu H2O - ti H2O)
dove cH2O rappresenta il calore specifico dell’acqua.
Il bilancio termico del condensatore risulta pertanto:
m&
R 134a
⋅(H2 - H3)= m& ⋅c ⋅ (tu
H2O
H2O
H2O
- tu H2O)
da cui si ricava:
m& H2O = [ m&
R 134a
⋅(H2 - H3) ] / [ c ⋅ (tu
H2O
⋅
H2O
- ti H2O) ] =
⋅
= [0.77 (328 - 135.73)]/[4.18 (20 - 15)]= 7.1 kg / s
m& H2O = 7.1 ⋅ 3600 = 25.5 t / h
Esempio 10.4
Con riferimento ala Fig. 10.6, si consideri un ciclo frigorifero a doppia compressione e doppia laminazione, operante
con R134a tra la temperatura d’evaporazione di -15 °C e la temperatura di condensazione di 40 °C.
Nelle ipotesi che:
- all’uscita del condensatore si abbia liquido saturo ed all’ingresso dei compressori si abbia vapore saturo secco,
- la pressione intermedia sia la media geometrica delle pressioni d’evaporazione e condensazione,
- i rendimenti isoentropici dei compressori siano pari a 0.7,
- il flusso termico asportato dall’evaporatore sia pari a 8 kW,
si calcolino:
- il C.O.P. del ciclo
- il flusso termico scambiato al condensatore
- le potenze meccaniche spese
- le portate volumetriche all’aspirazione dei compressori
-----------------------Le informazioni fornite dal testo sono sufficienti a determinare le proprietà termodinamiche nei punti 1 e 5. Si
procede quindi a calcolare la pressione intermedia
pi =
pe pc =
p1 p5 = 0.1650 ⋅ 1.0171 = 0.41 MPa
e si trovano quindi le proprietà termodinamiche dei punti 2’,3,4’,6,7 ed 8. Successivamente utilizzando i valori dei
rendimenti isoentropici si valuteranno H2 e H4:
H 2 = H1 +
H4 = H3 +
H 2' − H 1
ρ ic
H 4' − H 3
ρ ic
= 415.8 kJ / kg
= 431.0 kJ / kg
Siccome all’ingresso dei compressori si ha vapore saturo secco il punto 9 e 3 coincidono.
Per determinare il rapporto fra le portate di massa circolanti nell’evaporatore e nel condensatore si applica il primo
principio al separatore, supposto adiabatico:
m& c ( H 3 − H 6 ) = m& e ( H 2 − H 7 )
da cui:
m& c H 2 − H 7
=
m& e H 3 − H 6
63
Il C.O.P. potrà essere calcolato in base alle portate circolanti e alle entalpie:
C.O.P. =
m& e ( H 1 − H 8 )
(H1 − H 8 )
=
m& e ( H 2 − H 1 ) + m& c ( H 4 − H 3 ) ( H 2 − H 1 ) + m& c / m& e ( H 4 − H 3 )
si ricava
C.O.P. =
176
= 2.76
26.6 + 1.375 ⋅ 27
& e sarà pari a:
la portata di vapore m
m& e =
Q8−1
8
=
= 0.04545 kg / s
H 1 − H 8 176
si ottiene allora
Q4 −5 = m& c ( H 4 − H 5 ) = 10.90 kW
P1− 2 = m& e ( H 2 − H 1 ) = 1.21 kW
P3− 4 = m& e ( H 2 − H 1 ) = 1.21 kW
V&1 = m& e v1 = 0.04545 ⋅ 0.1201 = 5.459 ⋅ 10 −3
m3 / s
V&3 = m& c v 3 = 1.375 ⋅ 0.04545 ⋅ 0.0501 = 3.131 ⋅ 10 −3
m3 / s
10.7. Cicli frigorigeni ad assorbimento
Nei fluosistemi frigorigeni ad assorbimento il compressore viene sostituito da un circuito
sede di un doppio processo che richiede un lavoro esterno molto piccolo, ma in compenso una
certa quantità di calore.
Lo schema dell’impianto differisce da quello dei sistemi a compressione di vapore per due
principali aspetti. Il primo riguarda la compressione: il vapore uscente dall’evaporatore anziché
essere compresso per alimentare il condensatore viene “assorbito” da una sostanza secondaria
(assorbente), che si trova alla pressione di evaporazione, per formare una soluzione liquida. La
soluzione è quindi pompata alla pressione più elevata di condensazione a spese di un piccolo
lavoro di compressione, essendo molto piccolo il volume specifico della fase liquida. I sistemi ad
assorbimento presentano dunque il vantaggio di richiedere un lavoro di compressione molto più
piccolo dei sistemi a compressione di vapore.
Il secondo aspetto consiste nella necessità di estrarre il vapore refrigerante dalla soluzione liquida
prima di inviarlo al condensatore. Questo viene ottenuto per mezzo di uno scambio termico con
una sorgente a temperatura relativamente elevata (100-130 °C). In particolare a questo scopo può
essere impiegata una sorgente termica dedicata oppure del vapore o calore che altrimenti
dovrebbe essere smaltito nell’ambiente esterno.
I sistemi ad assorbimento utilizzano dunque due fluidi uno dei quali funge da assorbitore mentre
l’altro opera da refrigerante. Le macchine di uso corrente impiegano soluzioni di acqua ed
ammoniaca, in cui l’acqua è l’assorbitore, ovvero soluzioni di acqua e bromuro di litio (Li Br)
che utilizzano come refrigerante l’acqua. In questo secondo caso non è possibile “produrre
freddo” a temperature inferiori a 0°C, il campo di impiego è quindi quello del condizionamento
dell’aria.
64
Q0, T0
3
Condensatore
Distillatore
Scambiatore
Q1,T1
Vaporizzatore
4
Assorbitore
Soluzione povera
Soluzione ricca
Q2,T2
Fig. 10.7. Schema funzionale di un impianto frigorigeno ad assorbimento
Lo schema dell’impianto ed i componenti principali di un sistema frigorigeno sono rappresentati
in Fig. 10.7. Come si può notare il compressore è sostituito da un circuito comprendente un
assorbitore, una pompa, un distillatore, uno scambiatore rigeneratore ed una valvola. Nel caso di
una soluzione acqua ammoniaca, l’ammoniaca circola attraverso il condensatore, la valvola di
laminazione e vaporizza come in un sistema a compressione di vapore standard. Nell’assorbitore
è presente una soluzione acquosa di NH3 che si arricchisce con continuità del vapore proveniente
dal vaporizzatore. La formazione della soluzione è un processo esotermico. Poiché l’ammontare
di ammoniaca che può essere assorbita cresce al diminuire della temperatura della soluzione, una
serpentina percorsa da acqua a temperatura ambiente provvede ad asportare il calore liberato dal
processo, mantenendo la temperatura nell’assorbitore costante e bassa, per quanto possibile. La
soluzione ricca di ammoniaca è poi pompata nel distillatore, dove viene liberata gran parte del
vapore di ammoniaca, poiché la soluzione è riscaldata da una sorgente termica (processo
endotermico) e mantenuta circa cinquanta gradi al di sopra della temperatura ambiente. Il vapore
liberato evolve nel condensatore mentre la soluzione povera ritorna all’assorbitore attraverso una
valvola di laminazione. Un eventuale scambiatore di calore consente uno scambio interno di
calore tra la soluzione povera, più calda, uscente dal distillatore e la soluzione ricca pompata
dall’assorbitore.
In questi impianti il lavoro di compressione del vapore è dunque praticamente eliminato: rimane
il lavoro della pompa che è molto piccolo, come già osservato. In compenso interviene però il
calore fornito al distillatore che è sempre di entità notevole. Ne consegue che il sistema non
presenta complessivamente grandi vantaggi termodinamici. Esso è applicato nei casi in cui siano
disponibili rilevanti quantità di calore altrimenti perdute, ovvero quando diventa conveniente
abolire il compressore.
L’esame particolareggiato del processo di assorbimento richiede la conoscenza delle proprietà
termodinamiche delle soluzioni a due componenti: concentrazione in funzione di temperatura e
65
pressione, calore di soluzione ed entalpia in funzione della concentrazione. E’ comunque
interessante effettuare un’analisi limitata a cicli reversibili (internamente ed esternamente) per
valutare il massimo coefficiente di prestazione ottenibile.
Il ciclo ad assorbimento ideale descritto può considerarsi un ciclo inverso tritermico, cioè
operante a tre livelli termici. In effetti gli scambi di calore con l’esterno riguardano:
- una sorgente termica a temperatura maggiore della temperatura ambiente T1 (distillatore);
- una sorgente a temperatura ambiente T0 (relativa agli scambi nel condensatore e
nell’assorbitore);
- una sorgente a temperatura inferiore T2 (vaporizzatore).
Il sistema può quindi essere schematizzato come in Fig. 10.8, in cui Q1 indica il calore scambiato
con la sorgente a temperatura superiore, Q0 il calore ceduto a T0 e Q2 il calore sottratto alla
sorgente inferiore, effetto frigorigeno.
T1
T1
Q1
Q1
Q0
Q1 (1 − η 0 )
T0
Q2
T0
T0
Q1η 0
Q2 + η0 Q1
T2
Q2
T2
Fig. 10.8. Schematizzazione di un ciclo ad assorbimento ideale (tritermico) ed equivalente sistema combinato
costituito da due cicli semplici uno diretto ed uno inverso.
Applicando il primo principio al sistema, risulta:
Q1 + Q2 − Q0 = 0
mentre il bilancio dell’entropia fornisce:
Q1 Q2 Q0
+
−
+σe = 0
T1 T2
T0
Si ha pertanto:
Q1 Q2 Q1 Q2
+
−
−
+σe = 0
T1 T2 T0 T0
66
da cui, ponendo anche σ e = 0 per la reversibilità:
Q2 (
T0 − T2
T − T0
) = Q1 ( 1
)
T2T0
T1T0
Il coefficiente di prestazione, inteso come effetto frigorigeno per unità di calore fornito, può
pertanto scriversi:
(C.O.P.) f =
Q2
T2 T1 − T0
=
Q1 T0 − T2 T1
(10.11)
E’ dunque uguale al prodotto dell’effetto frigorigeno specifico di un ciclo inverso semplice,
operante tra T0 e T2 , per la frazione utilizzabile di un ciclo semplice motore di Carnot operante
tra T1 e T0 .
10.8. Cicli frigorigeni a gas
I cicli frigorigeni esaminati prevedono che il fluido di lavoro subisca due passaggi di
stato: dalla fase liquida alla fase di vapore e viceversa. Per particolari applicazioni sono tuttavia
anche impiegati dei gas che si mantengono tali in tutto il processo. I fluidi frigorigeni a gas hanno
il vantaggio di consentire temperature molto basse e trovano applicazione per la liquefazione
dell’aria ed altri gas, oltre a particolari applicazioni quali la refrigerazione dei velivoli.
Si può ridurre considerevolmente la temperatura di un gas facendolo espandere adiabaticamente,
ad esempio in una turbina. Il ciclo utilizzato è un ciclo Brayton inverso. Il gas entra nel
compressore nello stato 1, ad una temperatura inferiore a quella ( T f ) dello spazio refrigerato.
Q
3
scambiatore
T
2
2
3
TC
turbina
compressore
Tf
1
4
4
scambiatore
s
1
Q2
Fig. 10.9. Ciclo frigorigeno Brayton ideale.
67
Viene quindi compresso fino allo stato 2 e, prima dell’espansione, cede calore in uno
scambiatore, a temperatura maggiore dell’ambiente esterno ( TC ). Con l’espansione adiabatica 34 il gas raggiunge temperature sensibilmente inferiori a quella dello spazio refrigerato, in modo
da poter sottrarre ad esso una considerevole quantità di calore, prima della compressione. Si
realizza così un ciclo Brayton ideale, come mostrato in Fig. 10.9.
Analizzando il ciclo inverso di riferimento con le stesse ipotesi del ciclo diretto si può scrivere:
- lavoro esterno netto del compressore:
− Le ,C = H 2 − H 1 = c p (T2 − T1 )
- lavoro esterno netto dell’espansore:
− Le ,E = H 4 − H 3 = c p (T4 − T3 )
Q2 = H 1 − H 4 = c p (T1 − T4 )
- effetto frigorigeno:
Il coefficiente di prestazione è pertanto:
ε° = (C.O.P.)f =
Q2
H1 − H 4
=
Le ,E + Le ,C ( H 2 − H1 ) + ( H 4 − H 3 )
da cui:
1
1
= k −1
T2
− 1 rp k − 1
T1
essendo rp = p 2 / p1 il rapporto di compressione che caratterizza il ciclo.
(C.O.P.)f =
(10.12)
Il coefficiente di prestazione è dunque tanto più elevato quanto più piccolo è il rapporto di
compressione. La presenza di irreversibilità nel compressore e nella turbina riducono
ulteriormente il C.O.P. poiché comportano un aumento del lavoro di compressione ed una
riduzione del lavoro utile della turbina.
Q1
a
3
2
rigeneratore
scambiatore
T
2
b
a
compres
sore
turbina
3
1
b
4
scambiatore
1
4
Q2
S
Fig. 10.10. Schema di un impianto a ciclo inverso Brayton con scambiatore rigenerativo.
68
Come già notato, per ottenere potenze frigorigene significative con cicli a gas è necessario
operare ad elevate pressioni e portate volumetriche. In tali condizioni, per la maggior parte delle
applicazioni (impianti frigorigeni standard e condizionamento ambientale) i sistemi a
compressione del vapore risultano più convenienti e con prestazioni più elevate. Gli impianti a
gas permettono tuttavia di ottenere, con relativa semplicità, temperature molto più basse (fino a –
150 °C) di quelle raggiungibili con impianti a compressione di vapore. In Fig. 10.10 è riportato
lo schema di un impianto frigorigeno a gas con rigenerazione, allo scopo di consentire
l’espansione in turbina a partire da temperature inferiori alla temperatura ambiente.
10.9. Pompe di calore
I sistemi a pompa di calore hanno lo scopo di fornire calore ad un fluido a temperatura
maggiore della temperatura ambiente, per particolari processi industriali o per il condizionamento
ambientale. Tali sistemi sono concettualmente simili ai sistemi frigorigeni con la differenza che
operano in un diverso campo di temperature, con finalità diverse. Le pompe di calore a
compressione di vapore trovano applicazione nel riscaldamento ambientale, in impianti di diversa
taglia, operando in modo da sottrarre calore all’ambiente esterno, durante la vaporizzazione del
fluido di lavoro, per cederlo all’aria di riscaldamento insieme al lavoro che si richiede per
l’effettuazione del ciclo inverso. L’ambiente a cui è sottratto calore può essere l’aria esterna
oppure l’acqua di un fiume, del mare, di un lago, il terreno. Il compressore può essere azionato
mediante un motore elettrico o a combustione interna. Si possono così avere numerose diverse
soluzioni, inclusa quella di utilizzare l’energia solare raccolta da un collettore, collegato ad un
accumulatore termico, per realizzare la sorgente termica inferiore del ciclo. Nel caso di pompe di
calore che utilizzano l’aria come sorgente termica, è possibile ottenere il riscaldamento degli
ambienti in condizioni invernali e la refrigerazione in condizioni estive, per mezzo di un sistema
di valvole che inverte la funzione degli scambiatori di calore. Questa particolarità può rendere
competitivi i sistemi a pompa di calore che altrimenti, per il solo riscaldamento, risultano
generalmente più costosi delle tradizionali caldaie.
Con riferimento al ciclo semplice inverso di Carnot, è stato ricavato il coefficiente di prestazione
per una pompa di calore come:
(C.O.P.) hp , 0 =
Q1
T1
=
= (C.O.P.) f , 0 + 1
L T1 − T2
(10.13)
L’equazione evidenzia l’importanza della temperatura della sorgente inferiore, al diminuire di
questa si ha infatti una diminuzione del coefficiente di prestazione. Lo stesso comportamento si
ha anche per i cicli reali a pompa di calore. Ciò suggerisce di operare con sorgenti termiche a
temperatura più elevata e controllata come le falde d’acqua o il terreno. Quando questo non è
possibile, in condizioni climatiche severe, le pompe di calore ad aria ambiente sono normalmente
combinate con sistemi di riscaldamento tradizionali.
69
Esercizio 10.5
Un pompa di calore impiega R-134a come refrigerante. La temperatura all'evaporatore vale -10 °C mentre la
temperatura al condensatore è 60 °C. Il rendimento isoentropico del compressore è ρc= 0.8.
Volendo ottenere una potenza termica di riscaldamento di 30 kW, determinare la portata di R-134a necessaria e il
COP dell'impianto. Si determini inoltre il consumo elettrico effettivo dell'impianto assumendo un rendimento
complessivo elettrico e meccanico del compressore pari a ρ= 0.85. Si assuma che sia il vapore che lascia
l'evaporatore che il liquido che lascia il condensatore siano saturi.
----------------------------------Sul piano p-H leggiamo:
p
4
3'
3
H4= H1= 190 [kJ/kg]
H2= 293 [kJ/kg]
H3'= 340
ρc =
1
H 3' − H 2
;
H3 − H2
H3 = H2 +
H 3' − H 2
ρc
340 − 293
H 3 = 293 +
= 351.8[kJ / kg ]
0.8
2
H
avremo quindi:
Q1= H3-H1=161.8 [kJ/kg]
Q2= H2-H1=103 [kJ/kg]
Lc= H3-H2= 58.8 [kJ/kg]
Q1 161.8
=
= 2.75
58.8
Lc
30 [kW ]
m& R-134a= Pr =
= 0.185 [kg / s ]
Q1 161.8 [kJ / kg ]
COPp =
Quindi per il compressore sarà:
Pc = m& R −134 a ⋅ Lc = 11 [kW ]
Pel c= 11/0.85=12.8 [kW] consumo elettrico
Ovviamente un impianto di riscaldamento elettrico consumerebbe 30 [kW]:
Consideriamo il consumo in centrale assumendo un rendimento complessivo ρt=.35, si ottiene rispettivamente:
Ppompa di calore = 36.6 kW
Pimpianto elettrico = 85. 7 kW
Consideriamo ore un impianto di riscaldamento a metano con ρc= 0.78, si ottiene:
Pimpianto a metano = 38.5 kW
70
------------------------------------------------------------------------------------------------
CAPITOLO
11
ELEMENTI DI TERMOFLUIDODINAMICA
-----------------------------------------------------------------------------------------------In questo capitolo vengono introdotti elementi di termofluidodinamica per lo studio del moto di fluidi
comprimibili in condotti. Utilizzando una rappresentazione del moto monodimensionale, viene analizzato il
deflusso in condotti a regime permanente, anche in presenza di notevoli differenze di temperatura. Viene inoltre
esaminato il deflusso adiabatico in condotti a sezione variabile.
11.1 Introduzione
In molti processi tecnici si realizzano scambi energetici che coinvolgono un fluido in
movimento. Al moto del fluido è generalmente associato un trasferimento di energia tra i
componenti del sistema energetico e tra questi e l’esterno: il fluido assume la funzione di
elemento vettore di energia. In questo capitolo ci si propone di esaminare gli aspetti
fondamentali della termodinamica del deflusso dei fluidi, in particolare nei condotti, e cioè di
studiare le relazioni di scambio (termico e dinamico) tra il sistema e l’esterno, per un fluido in
moto, in condizioni semplificate.
Lo studio del moto nei condotti e dell’efflusso da aperture (luci ed ugelli) è impostato
su tre equazioni di cui una esprime la conservazione della massa (continuità), un’altra esprime
il principio della conservazione della quantità di moto e la terza il bilancio dell’energia.
Quest’ultima può assumere due forme: una è dovuta a Bernoulli e può essere dedotta in base a
ragionamenti puramente meccanici in particolari condizioni, l’altra è ottenuta considerando
sia gli scambi di lavoro, sia quelli di calore, con le ipotesi già introdotte nel cap. 5.
Lo studio analitico del moto dei fluidi è svolto in dettaglio dalla Meccanica dei fluidi,
che tuttavia fa quasi sempre riferimento a fluidi incomprimibili. Nella Termodinamica
applicata occorre invece considerare le variazioni di volume del fluido e sovente le quantità di
calore scambiate con l’esterno; occorre cioè considerare le trasformazioni termodinamiche
subite dal fluido.
11.2 Schematizzazione del moto ed equazioni fondamentali di conservazione
La fenomenologia del moto dei fluidi è assai complessa e può essere descritta
analiticamente mediante modelli semplificati. L’approccio che verrà qui seguito ricorre ad
una rappresentazione che considera un processo ideale globalmente equivalente a quello
reale, pur discostandosene anche sensibilmente nei particolari. Si immagina che il moto si
sviluppi mediante vene fluide o filetti di corrente, in cui sono nulle le componenti della
velocità normali alla superficie laterale di contorno.
Si definiscono due concetti: seguendo il moto di una particella fluida nel tempo si ottiene la
traiettoria del punto-massa che la rappresenta, analizzandone il vettore velocità si definisce
linea di corrente quella linea che ammette in ogni punto come tangente lo stesso vettore.
Nelle condizioni del regime permanente la traiettoria coincide con la linea di corrente. Per
vena fluida o filetto di corrente elementare si intende l’insieme delle traiettorie che
1
presentano una sezione trasversale di area minima compatibile con la esecuzione delle misure
fisiche interessanti, in particolare, di velocità, pressione e temperatura. In qualunque sezione
trasversale di un filetto di corrente la velocità (che è normale alla sezione stessa), la pressione,
la temperatura ed il volume specifico sono supposti costanti. Il modello di riferimento è
dunque monodimensionale ed assume condizioni di regime permanente termodinamico e di
massa.
Considerando un filetto di corrente in regime permanente, la massa di fluido che
attraversa, nell’unità di tempo, una qualunque sezione trasversale di area A è costante, si ha
quindi:
wAρ = costante
(11.1)
se w è la velocità e ρ la densità del fluido. L’equazione esprime la conservazione della massa.
Con riferimento alla portata ponderale, detto γ il peso specifico, sarà:
wAγ = costante
Per due sezioni distinte 1 e 2 si avrà:
w1 A1 ρ1 = w2 A2 ρ 2
Le relazioni sopra scritte possono applicarsi anche a vene fluide di sezione trasversale finita
considerando i valori medi della velocità e della densità nella sezione generica. Infine,
l’equazione di continuità (11.1) può scriversi in forma differenziale come:
dw dA dρ
+
+
=0
w
A
ρ
(11.2)
L’equazione di conservazione della quantità di moto, nelle condizioni sopra precisate,
assume una forma semplificata che può ottenersi facilmente se si considera un elemento
fluido, costituito dalla massa m (compresa tra le sezioni 1 e 2) più la massa dm che
attraverserà la sezione 1 nel tempo dτ. Nello stesso tempo dτ una pari massa dm attraverserà
la sezione 2 e pertanto la variazione della quantità di moto dell’elemento fluido di massa m +
dm risulterà uguale al prodotto della massa dm per la differenza tra le velocità nelle sezioni 1
e 2. Tale variazione della quantità di moto dovrà eguagliare l’impulso delle forze agenti
sull’elemento fluido nel tempo dτ :
∑ F dτ = dm (w
dm
2
∑F
− w1 ) ovvero
= m& ( w2 − w1 )
C.V.
W1
1
dm
C.V.
m
m
W2
2
(11.3)
1
2
Fig. 11.1. Conservazione della quantità di moto a regime permanente.
2
avendo indicato con ∑ F la risultante delle forze agenti sull’elemento nella direzione del
moto e con m& la portata in massa del fluido stesso.
Alle precedenti equazioni di conservazione si associa l’equazione dell’energia, nella
formulazione del I principio già ottenuta per un volume di controllo e di seguito riscritta in
forma più idonea allo studio delle trasformazioni relative ai fluidi in movimento.
L’espressione che così si ottiene è nota come equazione di Bernoulli.
11.3 Equazione di Bernoulli
Tra le sezioni estreme di un elemento di un filetto di corrente può applicarsi
l’equazione di bilancio dei sistemi aperti a regime permanente, trattando come volume di
controllo il volume che racchiude l’elemento medesimo. In termini differenziali e con
riferimento all’unità di massa, l’equazione ricordata si scrive:
dQ − dLe = dH +
dw 2
+ gdz
2
(11.4)
La (11.4) è pertanto l’equazione fondamentale del deflusso permanente in una sola
dimensione e per un sistema a composizione chimica costante.
Notando che dH = TdS + vdp , la precedente diventa:
dw 2
dQ − dLe = dQ + TdS s + vdp +
+ gdz
2
da cui :
dw 2
dLe + TdS s + vdp +
+ gdz = 0
2
Esprimendo meccanicamente il termine dissipativo TdSs posto uguale a dLa (termine
dissipativo di I specie riferito al fenomeno attrito), si ricava:
dLe + dLa + v dp +
dw 2
+ g dz = 0
2
(11.5)
in cui compaiono termini energetici propri del sistema, termini di scambio energetico e
termini di dissipazione. La (11.5) viene ancora formalmente modificata per renderla più
idonea alla soluzione dei problemi connessi con il moto dei fluidi, in particolare nei condotti.
Si noti che un qualunque lavoro, interessante l’unità di massa, può essere espresso mediante il
prodotto del volume specifico del fluido per una opportuna pressione differenziale dp' e ciò
per omogeneità dimensionale. Si tratterà poi di determinare il valore di tale pressione
differenziale, in generale diversa dalla variazione di pressione attuale subita dal fluido in
moto. Una pressione differenziale è inoltre sempre rappresentabile come prodotto del peso
specifico γ per l’altezza di una colonna di fluido dh' che con il suo peso equilibra quella
pressione. Per il lavoro esterno netto elementare si può quindi porre:
dLe = v dp e = v γ dhe = g dhe
Analogamente per il lavoro di attrito:
dLa = v dp a = v γ dha = g dha
Sostituendo le precedenti nella (11.5) e dividendo per g si ottiene infine:
3
dhe + dha +
dp
γ
dw 2
+ dz = 0
2g
+
(11.6)
Tra due sezioni 1 e 2 distinte, sempre nelle condizioni di regime permanente, si ha:
(he )1, 2 + (ha )1, 2 + ∫
2
1
dp
γ
+
w2 2 − w21
+ z2 − z1 = 0
2g
(11.7)
in cui i termini (he )1, 2 e (ha )1, 2 caratterizzano l’elemento fluido compreso tra le sezioni dette.
L’equazione caratterizzante il moto è così ridotta ad una somma di carichi differenziali,
dimensionalmente lunghezze. Il carico essendo l’altezza equivalente, cioè l’altezza di una
colonna di fluido in moto equilibrante la pressione differenziale che corrisponde al termine
energetico (eventualmente dissipativo) o di scambio, considerato.
La (11.6) è detta equazione di Bernoulli generalizzata, in notazioni differenziali; ha
significato energetico in riferimento all’unità di peso del fluido defluente. I termini che in essa
compaiono vengono così denominati:
- dhe carico motore e rappresenta un termine effettivo di scambio (con l’esterno);
- dha carico d’attrito, termine di dissipazione;
dp
carico piezometrico (da piezometro, misuratore di pressione), corrispondente
γ
all’effettiva variazione di pressione nel fluido;
dw2
carico cinetico;
2g
- dz carico gravitazionale, variazione di quota effettiva.
dp vdp
Si noti che il termine
=
non è una energia di pressione, la sua origine è:
γ
g
dp
vdp =
= dH − TdS = dU + d ( pv) − dQ − TdS s
ρ
contiene dunque una componente dell’energia interna termodinamica (dU), termini di
scambio con l’esterno, termico (dQ) e dinamico (d(pv)), ed infine un termine di dissipazione.
Come già notato, le relazione di Bernoulli vale a rigore lungo le sole linee di corrente, essa è
tuttavia applicata alle correnti concrete, di sezione anche notevole, considerando opportuni
valori medi nella sezione generica, non soltanto per la velocità, ma anche per tutte le quantità
caratteristiche dello stato del fluido p, v, T . La quota z è presa nel baricentro della sezione
considerata.
11.4. Definizione operativa del carico di attrito
Si consideri un condotto a pareti rigide, di sezione costante, disposto orizzontalmente
e attraversato da un fluido in regime permanente. Individuate due sezioni 1 e 2 l’equazione
(11.7) fornisce:
4
(ha )1, 2 + ∫
2
1
dp
γ
+
w 2 2 − w 21
=0
2g
Se si ammette trascurabile l’effetto della variazione di pressione sul peso specifico, come nel
caso di liquidi in moto (γ = cost.), per quanto stabilito circa l’area della sezione del condotto,
anche la velocità subisce variazioni trascurabili, si ha così:
(ha )1, 2 =
p1 − p 2
γ
Nelle condizioni poste, la caduta di pressione, misurata da un manometro differenziale, divisa
per il peso specifico del fluido, fornisce il carico corrispondente all’attrito (ha )1, 2 e cioè la
quantità detta comunemente perdita di carico. La relazione tra tale grandezza e la produzione
entropica è dedotta dalla definizione stessa di carico d’attrito, risulta infatti:
dS s =
g
dha
T
Una interessante interpretazione dei fenomeni di attrito è offerta dalla meccanica dei fluidi.
Per effetto della viscosità delle particelle fluide e dell’aderenza di queste alle pareti del
condotto, un filetto di corrente è mantenuto in moto rispetto alle rimanenti porzioni di fluido
ovvero alle pareti, applicando un lavoro. Questo lavoro diviso per il volume di fluido
spostato, fornisce la caduta di pressione per attrito e quest’ultima, divisa per il peso specifico
del fluido, dà la perdita di carico.
11.5. Calcolo delle cadute di pressione per attrito
La caduta di pressione per attrito in un condotto rettilineo a sezione costante è
normalmente riferita all’unità di lunghezza del condotto e denominata caduta di pressione (o
perdita di carico) lineare. Essa risulta:
∆p a
∆ha
=γ
l
l
(11.8)
Per un tubo liscio, la caduta di pressione lineare dipende essenzialmente dalle proprietà del
fluido, dalle condizioni di moto e dalla geometria del condotto. Prima di presentare le
relazioni per il calcolo è opportuno richiamare alcune informazioni sulle caratteristiche dei
fluidi.
11.5.1. Proprietà reologiche dei fluidi
Per descrivere il comportamento termodinamico di un fluido in moto è necessaria la
conoscenza sia delle proprietà termodinamiche, sia della viscosità. Un fluido reale è infatti
caratterizzato da viscosità non nulla, che può essere trascurata soltanto in condizioni del tutto
particolari quando le forze di attrito sono trascurabili rispetto alle rimanenti forze in gioco.
Si consideri il moto completamente sviluppato, in regime permanente e laminare, di un fluido
contenuto tra due pareti piane indefinite di cui una in quiete e l’altra mantenuta in moto a
5
velocità w, sotto la spinta di una forza agente nella direzione parallela alla lastra. Si definisce
viscosità dinamica del fluido il coefficiente di proporzionalità tra lo sforzo tangenziale
esercitato sull’elemento fluido ed il gradiente di velocità nel fluido, in direzione normale al
moto.
y
F
w
x
Fig. 11.2. Moto laminare di uno strato fluido compreso tra due lastre piane indefinite.
Indicando con A l’area della superficie di contatto tra la lastra ed il fluido, la resistenza allo
scorrimento F viene espressa in modulo dalla legge di Newton:
F =µ A
dw
dy
ovvero
τ yx =
F
dw
=µ
A
dy
(11.9)
in cui τ yx rappresenta lo sforzo tangenziale (agente su un piano di normale y, secondo la
direzione x) e µ la viscosità dinamica del fluido.
Per una vasta categoria di fluidi, detti newtoniani, la viscosità µ, ad una data temperatura e
pressione, è indipendente dallo sforzo viscoso. Esistono tuttavia fluidi per i quali le
condizioni di moto non possono esprimersi secondo la (11.9) essendo la stessa µ dipendente
dallo sforzo tangenziale τ; per essi è dunque:
τ
dw
=
dy µ (τ )
A seconda dell’andamento della funzione µ(τ) , i fluidi viscosi vengono detti “pseudo
plastici” e “dilatanti”. Appartengono alla categoria dei fluidi pseudo-plastici quasi tutti i
polimeri liquidi ad elevato peso molecolare, mentre le sospensioni e le vernici hanno in
genere un comportamento dilatante (Fig. 11.3). La scienza che si occupa del comportamento
dei fluidi non newtoniani prende il nome di reologia. I fluidi reali che considereremo
verranno supposti newtoniani; per essi la viscosità dipende notevolmente dalla temperatura ed
in minor misura dalla pressione.
Il comportamento dei fluidi è diverso a seconda che essi si trovino allo stato liquido o
aeriforme. Negli aeriformi la viscosità aumenta con la temperatura, mentre nei liquidi tende a
diminuire. Sia negli aeriformi che nei liquidi la viscosità aumenta con la pressione.
6
τyx
newtoniani
pseudo plastici
dilatanti
dw/dy
Fig. 11.3. Proprietà reologiche dei fluidi.
Si definisce viscosità cinematica il rapporto tra la viscosità dinamica e la densità ν = µ / ρ .
Tale grandezza ha le dimensioni di un’area divisa per un tempo.
11.5.2. Analisi dimensionale e numero di Reynolds
I risultati di esperienze analoghe a quelle descritte per la definizione operativa del
carico d’attrito, suggeriscono di assumere che la caduta di pressione lineare in un condotto
rettilineo a pareti perfettamente lisce dipenda essenzialmente dalla velocità w, dalla densità ρ
e dalla viscosità µ del fluido, dalla forma e dimensioni della sezione (costante) del condotto.
Se dunque rappresentiamo i fattori geometrici con D, diametro della sezione, ed assumiamo
una velocità media del fluido, si può scrivere:
∆p
= f ( w, ρ , µ , D)
l
Si assuma la funzione f sviluppabile in serie di potenze con costanti Bi :
∆p
= ∑ Bi w ui ρ xi µ yi D zi
l
i
e si applichi il criterio di omogeneità dimensionale (teorema di Buckingham). Raggruppando
le potenze che hanno la stessa base in riferimento alle tre grandezze meccaniche fondamentali
che intervengono, si ottengono tre equazioni nelle quattro incognite date dagli esponenti. Se si
esprimono le incognite in funzione di y i si ottiene:
∆p
= ∑ Bi w 2− yi ρ 1− yi µ yi D −1− yi
l
i
Mettendo infine in evidenza le potenze con esponente costante:
∆p
l
=
ρw 2
2D
∑ 2 Bi (
i
wρ D
µ
) − yi = γ
w2 1
f ' (Re)
2g D
7
con Re =
w ρD
µ
è stato indicato il gruppo adimensionale denominato numero di Reynolds. La
funzione f ' (Re) , indicata nel seguito con λ , è detta fattore di attrito (di Darcy) nei tubi ed è
adimensionale.
11.5.3. Fattore d’attrito nei tubi
La caduta di pressione per attrito, per un condotto rettilineo di diametro D, è dunque:
∆p a = γ
w2 l
λ = γ ha
2g D
(11.10)
La perdita di carico corrispondente, per un dato valore di λ, risulta pertanto proporzionale al
carico cinetico ed alla lunghezza del condotto:
ha = λ
w2 l
2g D
(11.11)
Per la valutazione del fattore di attrito λ si fa riferimento ad espressioni analitiche nel caso di
moto laminare ed a formule empiriche o diagrammi nel caso di moto turbolento. Per piccole
velocità e piccoli valori di Re, l’esperienza dimostra che il moto si sviluppa per filetti fluidi
ben definiti e continui, tra loro paralleli (moto laminare o viscoso); nel secondo caso invece i
filetti fluidi perdono definizione e continuità per effetto dei vortici. Il numero di Reynolds
costituisce il criterio che consente di individuare i due distinti regimi. Il suo significato fisico
può essere stabilito considerando le forze associate all’inerzia ed alla viscosità del fluido in
moto. Le prime sono proporzionali alla variazione del flusso di quantità di moto, cioè al
prodotto della portata per la variazione della velocità, mentre le seconde, riferite all’unità di
area, sono proporzionali al prodotto della viscosità per il gradiente di velocità. Indicando con l
una lunghezza significativa, il rapporto tra forze di inerzia e forze viscose risulta
proporzionale a:
wl 2 ρ w wlρ
=
= Re
w 2
µ
µ l
l
il numero di Reynolds può dunque essere ritenuto rappresentativo del rapporto tra le forze di
inerzia e le forze viscose. Quando le forze viscose risultano prevalenti (bassi valori di Re) il
moto è laminare e diventa turbolento al prevalere delle forze di inerzia.
Nel caso di condotti a sezione circolare, il fattore di attrito nel regime laminare risulta dato
da:
64
λ=
(11.12)
Re
La transizione tra il regime laminare e quello turbolento si stabilisce nel campo di valori del
numero di Reynolds Re compresi tra circa 2000 e 3500.
Nel regime turbolento la resistenza d’attrito è fortemente influenzata dalla rugosità della
parete e di ciò si tiene conto introducendo il rapporto adimensionale ε/D in cui ε rappresenta
la scabrezza assoluta della parete del condotto. Sulla base dei risultati sperimentali ottenuti
con diversi fluidi, diverse rugosità e dimensioni dei condotti, è stato costruito il diagramma di
8
Moody riportato in Fig.11.4. Gli andamenti in esso rappresentati sono stati correlati da
Colebrook mediante l’equazione:
⎡ε / D
2.51 ⎤
= −2.0 log ⎢
+
⎥
λ
⎣ 3.7 Re λ ⎦
1
(11.13)
Fig. 11.4. Fattore d’attrito nei tubi: diagramma di Moody.
Dalle espressioni riportate può dedursi che la caduta di pressione per attrito nella regione
laminare risulta proporzionale alla velocità del fluido, mentre nel regime turbolento, per λ
indipendente da Re, la ∆p diventa proporzionale a w 2 .
11.5.4. Perdite di carico in singolarità
In pratica il fluido in moto in condotti incontra molte altre resistenze, localizzate in
determinate zone. Di particolare interesse sono quelle dovute a brusche variazioni della
sezione e della direzione del moto, e quelle provocate dalla presenza di ostruzioni quali filtri,
valvole rubinetti ecc.
Il calcolo di queste resistenze localizzate è in genere piuttosto impreciso e soltanto in limitati
casi impostato su basi teoriche, per la complessità del moto ci si basa su dati puramente
sperimentali. Rinviando a manuali specializzati si può osservare che in generale tutte le
resistenze vengono espresse in funzione del carico cinetico secondo la espressione:
9
w2
∆p' = γ
(11.14)
λ'
2g
dove λ’ assume valori diversi caso per caso, in funzione del tipo di singolarità.
In conclusione la totale perdita di carico per resistenze distribuite e localizzate risulta data da
una relazione del tipo:
w 2j
wi2 li
'
+ ∑λ j
(11.15)
ha = ∑ λ i
2 g Di
2g
i
j
con wi e w j valori delle velocità medie locali.
11. 6. Moti con notevoli differenze di temperatura
In numerose situazioni il moto del fluido è provocato da gradienti locali di densità,
dovuti a gradienti di temperatura, che, in presenza del campo gravitazionale, danno origine a
spinte di galleggiamento. Così è ad esempio per i circuiti a termosifone, per i cabinets
contenenti componenti elettronici refrigerati per ventilazione naturale, in tutti i casi in cui si
sviluppano moti convettivi naturali. Una applicazione dell’equazione di Bernoulli allo studio
del moto dovuto a differenze di temperatura è nota come “problema del camino” che verrà
affrontato a titolo esemplificativo, in forma semplificata.
Si consideri un camino per lo smaltimento dei fumi prodotti in camera di combustione e si
supponga che sia schematizzabile come un condotto avente un breve tratto orizzontale seguito
da un tratto verticale molto più lungo. Poniamo nel tratto 1-2 la temperatura uniforme e pari Ti
mentre nella colonna esterna la temperatura è Te; i pesi specifici corrispondenti siano γi e γe.
La distribuzione della temperatura presenta dunque una discontinuità all’imbocco, mentre è
esclusa una discontinuità della pressione.
p2 = pa
2
Te
γe
H
Ti
γi
1
p1 = p a + γ e H
Fig. 11.5. Applicazione dell’equazione di Bernoulli al problema del camino.
L’equazione di Bernoulli applicata al tratto compreso tra le sezioni 1 e 2 si scrive:
(he )1, 2 + (ha )1, 2 + ∫
2
1
dp
γ
+
w2 2 − w21
+ z2 − z1 = 0
2g
10
Si può notare che la velocità in 1 è generalmente trascurabile poiché il fluido proviene da una
sezione molto più grande; indicando con pa la pressione atmosferica all’altezza della sezione
2, la pressione agente sulla faccia esterna della sezione 1 sarà (pa+γeH). Per la costanza dei
pesi specifici si ha:
γ
w22
+ H + (ha )1, 2 = H e − (he )1, 2
(11.16)
2g
γi
Nell’ipotesi che il camino sia a tiraggio naturale ((he)1,2=0) la precedente si semplifica e può
scriversi nella forma:
w22
(11.17)
H (γ e − γ i ) = γ i (
+ (ha )1, 2 )
2g
Il prodotto a primo membro rappresenta la pressione differenziale, disponibile alla base del
camino, che provoca il moto ed equilibra la caduta di pressione dovuta all’accelerazione del
fluido e quella dovuta all’attrito. Tale pressione differenziale è correlabile alla differenza di
temperatura tra le colonne di fluido, interna ed esterna, in opposizione.
Esprimendo ora le resistenze di attrito distribuite e localizzate in funzione della velocità,
nell’ipotesi di condotto a sezione costante e lunghezza H, si ha:
H (γ e − γ i ) = γ i
w22
H
(1 + λ + ∑ λ j )
D
2g
j
(11.18)
Risolvendo la (11.18) si ottiene infine la velocità del fluido allo sbocco (sezione 2), per un
camino di definite caratteristiche geometriche, note le temperature dei fluidi all’interno ed
all’esterno:
2 g (γ e − γ i ) H
(11.19)
w=
H
γ i (1 + λ + ∑ λ j )
D
j
Un calcolo più approssimato potrà essere fatto tenendo conto delle inevitabili non uniformità
di temperatura nel condotto. Allo scopo il camino può essere suddiviso in tratti isotermi a cui
applicare il procedimento per la valutazione della pressione differenziale disponibile.
Nel caso in cui si voglia procedere al dimensionamento geometrico di un camino, il problema
può ancora essere risolto con la (11.18) se, note le temperature e la portata dei fumi, viene
stabilito un valore per la velocità dei gas allo sbocco. In queste condizioni, il problema nelle
incognite H e D può risolversi associando l’equazione di continuità.
Nel caso infine di camino a tiraggio forzato è solitamente trascurabile H (γ e − γ i ) rispetto a
(he)1,2 (anche perché H è piccola) cosicché:
− γ i (he )1, 2
w22
=γi (
+ (ha )1, 2 )
2g
Si ha dunque:
− (he )1, 2
w22
H
= hm =
(1 + λ + ∑ λ j )
D
2g
j
(11.20)
11
Il dimensionamento del propulsore si effettua associando l’equazione di continuità per
determinare D, fissata la velocità dei fumi, e l’altezza H, essendo note le temperature e la
portata.
11.7. Il problema del propulsore
Il moto dei fluidi nei condotti può essere provocato per gravità, inserendo ad esempio
un serbatoio sopraelevato, ovvero per differenze di temperatura, o, infine, per la presenza di
un propulsore. Consideriamo quest’ultimo caso con riferimento ad un circuito chiuso con
qualsivoglia giacitura, per valutare il carico motore (negativo) e la potenza del propulsore.
Ponendo hm = -he, il carico del propulsore risulta in generale definito dalla equazione di
Bernoulli posta nella forma:
2 dp
w22 − w12
hm =
+ z 2 − z1 + ∫1
+ (ha )1, 2
γi
2g
Il valore di hm dipende dunque dalla distribuzione di pressione lungo il condotto. Noto hm, la
potenza del propulsore si può ottenere ricordando che tale carico rappresenta il lavoro
applicato all’unità di peso del fluido in moto. Moltiplicando allora hm per la portata in peso di
fluido evolvente, si ottiene la potenza del propulsore:
Pp = m& g hm = w A ∆p m
Tale potenza è pertanto proporzionale al carico del propulsore ovvero alla pressione generata
dal propulsore ∆pm.
Considerando il circuito chiuso di Fig. 11.5, operante a regime permanente, supponiamo di
tagliare lo stesso con la sezione S e di applicare l’equazione di Bernoulli all’intero circuito
compreso tra le sezioni 1 e 2, considerando queste, rispettivamente, come faccia di ingresso e
faccia di uscita del fluido attraverso S.
Si ha z1= z2, w1= w2 ed inoltre p1= p2, h1= h2. Ne segue che:
hm = ∫1
2
dp
γi
+ (ha )1, 2
(11.21)
ed inoltre dall’equazione di bilancio dei sistemi aperti:
Q1, 2 = Le1, 2
(11.22)
La (11.21) conferma la dipendenza del carico del propulsore dalla distribuzione di pressione
lungo il circuito. Soltanto nel caso di fluido incomprimibile il carico del propulsore si riduce
al carico d’attrito complessivo.
La (11.22) precisa che tutto il lavoro applicato al sistema passa all’esterno come calore.
Pertanto un circuito chiuso, in regime permanente, non può risultare adiabatico.
12
Sez.1
Sez.2
Fig. 11.6. Applicazione dell’equazione di Bernoulli ad un circuito chiuso.
Se il circuito in esame non fosse chiuso, come nel caso di figura 11.7, allora il carico del
propulsore risulterebbe funzione anche del dislivello tra le sezioni estreme (giacitura del
sistema) e della variazione di energia cinetica impressa al fluido. L’equazione di Bernoulli
applicata al caso di un liquido, posto che le pressioni in 1 e 2 si possano ritenere uguali tra
loro e pari alla pressione atmosferica, si può scrivere:
hm =
w22
+ H + (ha )1, 2
2g
trascurando la velocità del fluido nella sezione 1.
2
H
1
Fig. 11.7. Applicazione dell’equazione di Bernoulli ad un circuito aperto.
11.8. Moto di fluidi comprimibili in condotti a sezione variabile
In molte applicazioni di ingegneria i gas si muovono a velocità relativamente elevate
sperimentando significative variazioni di densità in efflussi in condotti a sezione variabile.
Importanti esempi sono rappresentati dal moto attraverso ugelli e diffusori nelle macchine a
getto per la propulsione aerea, dall’efflusso di gas o vapori nelle turbomacchine, dal moto
nelle gallerie del vento o negli eiettori. Questi efflussi sono noti come efflussi comprimibili e
rappresentano un settore della termofluidodinamica applicata di notevole interesse.
Per studiare meglio le caratteristiche del moto in tali condizioni, esaminiamo dapprima la
conformazione di una vena fluida in un efflusso libero, quale si verifica ad esempio nel caso
in cui venga praticato un foro nella parete di un recipiente in pressione.
13
11.8.1. Caratteristiche dell’efflusso in vena libera
L’efflusso spontaneo di un fluido da un recipiente in pressione attraverso una apertura
mostra caratteristiche che dipendono principalmente dai valori delle pressioni che lo
determinano. Detta p1 la pressione vigente all’interno del recipiente e p2 la pressione
dell’ambiente esterno, la vena fluida mostra nell’efflusso una forma caratteristica con
restringimento iniziale (convergente, dovuto all’inerzia delle particelle) e successivo
moderato allargamento.
p1
p2
p1
p2
p1
p1
p2
pc
pc
p2
Fig. 11.8. Efflusso in vena libera di un fluido comprimibile.
Se però la pressione a valle p2 è minore di una data pressione, detta pressione critica di
efflusso pc, la vena mostra una netta discontinuità di pressione e la conseguente rottura.
Con riferimento alla portata in massa m& defluente attraverso l’apertura, se p 2 ≥ pc , m&
cresce con regolarità, a parità di p1, al diminuire di p2 fino a p 2 = p c ; per p 2 < p c la portata
non subisce più aumenti, ma resta uguale a quella corrispondente a p 2 = pc , che è la massima
possibile. A quest’ultima condizione corrisponde una velocità di efflusso uguale a quella di
propagazione del suono nel fluido ( ws ) nelle condizioni termodinamiche vigenti nella sezione
contratta ( p = p c , ρ = ρ c ).
Per p 2 < p c la velocità del fluido nella sezione contratta non cresce oltre ws se non di molto
poco, con irregolarità e fluttuazioni. L’aumento di velocità è poi minore di quello che si
potrebbe ottenere sfruttando tutto il salto entalpico disponibile.
H
p1
pc
p2
1
2
2’
S
Fig. 11.9. Efflusso in vena libera di un fluido comprimibile, con rottura della vena.
14
Poiché l’aumento di velocità oltre la velocità di propagazione del suono non è affatto sicuro e
sempre assai piccolo, si deve ritenere che nell’efflusso in vena libera la massima velocità del
fluido sia ws . Si ha dunque un effetto di irreversibilità classificabile tra le sorgenti entropiche
per discontinuità di pressione.
Si comprende come la non integrale utilizzazione (in energia cinetica) della totale caduta
entalpica disponibile (per p 2 < pc ) costituisca un notevole svantaggio. L’inconveniente può
però essere eliminato applicando alla luce di efflusso un condotto detto “ugello di efflusso”
opportunamente sagomato così da guidare la vena fluida, permettendo una regolare variazione
della pressione ed evitando il fenomeno dissipativo della rottura.
Da queste considerazioni trae origine lo studio del moto dei fluidi in condotti a sezione
variabile. Premettiamo l’equazione che fornisce la velocità di propagazione del suono (onde
di pressione di limitata ampiezza) in un fluido.
11.8.2 Velocità del suono e numero di Mach
In fluidodinamica si definisce “velocità del suono”, la velocità con la quale si propaga
in un fluido una perturbazione infinitesima di pressione. Le particelle del fluido interessato
alla propagazione di un’onda sonora subiscono generalmente un piccolo spostamento
accompagnato da variazioni di densità, pressione e temperatura altrettanto piccole. Lo
spostamento macroscopico a velocità rilevante riguarda il solo fronte d’onda.
Si consideri un condotto ad asse rettilineo orizzontale, di sezione costante A, contenente un
fluido inizialmente in quiete a pressione p (uniforme), temperatura T (uniforme), densità ρ.
Immaginiamo di produrre un’onda di pressione nel fluido mediante il movimento di un
pistone con velocità uniforme infinitesima dw. Questo genera un’onda di pressione il cui
fronte si muoverà con velocità uniforme ws . Il fluido attraverso cui il fronte è passato si
troverà alla pressione perturbata p+dp, densità ρ+dρ, e avrà velocità dw (Fig. 11.10a).
dw
a)
p
p+ dp
ρ+ dρ
ρ
ws
2
b)
ws - dw
p + dp
1
ws
p
Fig. 11.10. Velocità di propagazione di un disturbo di pressione in un fluido comprimibile.
15
Rispetto ad un riferimento solidale con il fronte d’onda il fluido scorre da destra verso
sinistra, con velocità che si riduce da ws a ws − dw , mentre la pressione passa da p a p+ dp
(Fig. 11.10b).
Essendo il moto stazionario possiamo applicare l’equazione di conservazione della quantità di
moto e quella di continuità nella forma:
A [ p − ( p + dp )] = m& [( ws − dw) − ws ]
m& = A ws ρ = ( ws − dw) A ( ρ + dρ )
Dalla prima si ha:
ed essendo m& = A ws ρ
A dp = m& dw
ws =
dp
ρ dw
(11.23)
Dalla seconda, sviluppando:
dρ = ρ
dw
ws
da cui:
dw = ws
dρ
ρ
(11.24)
Sostituendo la (11.24) nella (11.23), si ricava in definitiva:
ws =
dp
dρ
(11.25)
La velocità del suono è dunque una proprietà termodinamica caratteristica del mezzo e del
processo. La forma trovata per ws è la più generale. La (11.25) suggerisce che la velocità del
suono è tanto più elevata quanto più piccole sono le variazioni di densità conseguenti ad una
data variazione di pressione. Dalla precedente equazione si deducono espressioni più semplici
per i particolari casi esaminati. Nel caso di un processo isoentropico per un gas perfetto la
(11.25) si riduce alla nota espressione di Laplace:
ws = k
p
ρ
= k R1 T
(11.26)
dp
dρ
=k
da cui la precedente.
p
cv
ρ
Numerose esperienze hanno indicato che la relazione tra pressione e densità attraverso
un’onda di pressione risulta quasi isoentropica almeno a frequenze non troppo elevate.
con k =
cp
. Per una adiabatica di Poisson si ha infatti:
16
11.8.3 Equazione di Hugoniot
Nel caso di efflusso senza sorgenti entropiche (in particolare senza attrito), orizzontale
e senza lavoro esterno netto, la equazione (11.6) si riduce a:
dw 2 dp
+
=0
gρ
2g
w dw = −
ovvero alla:
dp
ρ
Esprimendo la variazione di pressione per mezzo della (11.25) si ha dunque:
w dw + ws2
dρ
ρ
=0
(11.27)
in cui ws è la velocità di propagazione del suono nelle condizioni attuali di pressione,
dρ
e sostituendolo nella equazione
temperatura e densità. Ricavando dalla (11.27) il termine
ρ
di continuità in forma differenziale (11.2), si ottiene infine:
dA
dw
= ( M 2 − 1)
A
w
(11.28)
w
, numero di Mach.
ws
La (11.28), dovuta a Hugoniot, è una relazione molto importante nello studio degli efflussi di
fluidi comprimibili; da essa si possono ottenere importanti indicazioni sulle modalità di
efflusso anche se valide a rigore nel caso di moto in un condotto rigido, orizzontale, privo di
attrito. L’equazione di Hugoniot può essere posta nelle seguenti forme equivalenti:
con M =
dA
dp
= −( M 2 − 1) 2
A
w ρ
(11.29)
dA
( M 2 − 1) dρ
=−
A
ρ
M2
(11.30)
Le precedenti consentono di notare quanto segue.
1. Se la velocità attuale di deflusso w è minore di quella di propagazione del suono (M<1),
regime subsonico, risulta:
dA
dA
<0
e
>0
dw
dp
le variazioni di velocità (dw) sono di segno opposto a quello delle variazioni dell’area della
sezione di deflusso (dA) e della pressione (dp).
17
2. Se la velocità attuale è maggiore di quella di propagazione del suono (M>1), regime
supersonico, risulta:
dA
dA
>0
e
<0
dw
dp
le variazioni di velocità (dw) sono dello stesso segno delle variazioni di area (dA) e, anche in
questo caso, di segno opposto alle variazioni di pressione (dp).
3. Posto che le caratteristiche del condotto ed i valori delle pressioni estreme siano tali da
conferire al fluido in una certa sezione la velocità del suono (M = 1), per dw arbitrario è
comunque dA = 0 e pertanto la velocità ws viene ottenuta in una sezione di area minima
(regime sonico).
E’ da notare tuttavia che se in una data sezione di un condotto si ha dA = 0 , ciò non comporta
necessariamente che ivi si instauri la velocità ws . Perché questo si verifichi occorre che
l’espansione sia accompagnata da una variazione di entalpia tale da conferire al fluido la
energia cinetica corrispondente. Nel caso di efflusso adiabatico, infatti, l’entalpia nella
sezione contratta dovrà assumere un valore definito Hc dato da:
H1 − H c =
ws2 − w12
2
(11.31)
A tale valore dell’entalpia, per assegnate condizioni iniziali, corrisponde un definito valore
della temperatura Tc (temperatura critica di efflusso) ed una definita pressione pc (pressione
critica di efflusso). Si potrà allora stabilire che l’istituirsi (nella sezione detta) dello stato
critico di efflusso (Tc, pc) implica in quella sezione w = ws , M = 1, e quindi dΑ = 0. La
pressione critica vige dunque soltanto nella sezione di area minima. Si noti che qualora il
condotto non presentasse variazione di sezione adeguata, sarebbe la vena stessa a contrarsi.
Quanto descritto sugli efflussi in vena libera può ancora essere interpretato attraverso
l’equazione di Hugoniot. Nel caso di p 2 > p c la vena fluida conserva continuità ed il fluido
assume nella sezione di area minima la pressione a valle p 2 . L’efflusso si sviluppa in regime
subsonico con espansione accompagnata da incremento della velocità e riduzione dell’area
della sezione della vena fluida. In queste condizioni per guidare la vena fluida si utilizzano
condotti convergenti detti boccagli.
Se p 2 < p c la vena si presenta continua in un primo tratto a sezione decrescente ed in
corrispondenza della sezione contratta si stabilisce una brusca discontinuità di pressione,
accompagnata da perdita di velocità ed allargamento dell’area della sezione. A monte della
sezione contratta la pressione tende al valore critico di efflusso ed immediatamente a valle la
pressione è quella imposta di valore p 2 , con conseguenti effetti dissipativi. Per far aumentare
ulteriormente la velocità diventa necessario guidare la vena in modo che si realizzi un
graduale aumento dell’area della sezione (regime supersonico). Un condotto convergente
divergente configurato per tale scopo è l’ugello di De Laval.
18
11.8.4 Proprietà al ristagno
Un concetto che semplifica l’analisi di alcuni problemi è quello di stato isoentropico al
ristagno. Le proprietà termodinamiche ad esso associate sono dette proprietà al ristagno e nel
seguito verranno indicate con il pedice “o”. Si definisce stato isoentropico al ristagno lo stato
che il fluido assumerebbe se venisse arrestato reversibilmente mediante una trasformazione
senza scambi (di calore e lavoro). Dall’equazione di bilancio per un volume di controllo a
regime permanente, si ha:
w2
(11.32)
H0 = H +
2
ed inoltre per definizione è S = S 0 .
H
p0
p
0
H0
2
w /2
H
S=S0
S
Fig. 11.11. Definizione di stato isoentropico al ristagno.
Tutte le altre grandezze termodinamiche possono essere ottenute essendo lo stato definito. In
particolare, per un gas perfetto, nell’ipotesi di calori specifici costanti, la temperatura al
ristagno risulta:
w2
T0 = T +
2cp
ed è la temperatura che misurerebbe un termometro fermo investito da una corrente fluida in
moto alla velocità w. La pressione al ristagno può determinarsi tramite la:
T0 p o
−
k −1
k
= cos t
Si noti infine che l’entalpia data dalla (11.32), vale anche nel caso di un processo di perdita di
velocità del fluido adiabatico ma con irreversibilità; non è così per l’entropia e le altre
grandezze.
11.8.5 Velocità di efflusso e pressione critica
Il valore della velocità di efflusso w2 che viene assunto come riferimento è quello
corrispondente al caso di ugello orizzontale, a pareti rigide ed adiabatico. Per tale condizione,
a regime, si ha:
w 2 − w12
=0
da cui:
w2 = 2 ( H 0,1 − H 2 )
(11.33)
H 2 − H1 + 2
2
19
avendo indicato con H 0,1 l’entalpia al ristagno corrispondente allo stato 1. L’equazione così
ottenuta vale in generale per qualunque fluido a due variabili.
Di particolare interesse è il caso degli aeriformi, che viene in genere analizzato con le ipotesi
k
R1 , si ha:
di gas perfetto e calori specifici costanti. Con tali ipotesi, essendo c p =
k −1
w22 = 2 c p (T01 − T2 ) = 2
T
k
R1T01 (1 − 2 )
k −1
T01
da cui infine l’equazione di Saint Venant:
w2 = 2
T
k
R1T01 (1 − 2 )
k −1
T01
(11.34)
L’equazione ottenuta evidenzia l’esistenza di una velocità limite massima di efflusso
adiabatico wl corrispondente a T2 = 0 e cioè alla condizione per cui tutta l’entalpia iniziale
H l sarebbe utilizzata in energia cinetica dell’aeriforme:
wl =
2
ws ,1
k −1
Nel caso di gas biatomici, con k = 1.4, risulta wl = 5 ws ,1 , essendo ws,1 la velocità del suono
nelle condizioni dello stato1. Si noti che mentre l’esistenza di un limite è pienamente
significativa, non lo è in realtà il valore indicato dalla precedente relazione poiché il fluido
avvicinandosi allo zero assoluto non si mantiene allo stato aeriforme.
Un caso sovente considerato è quello di efflusso isoentropico per il quale il rapporto tra le
temperatura T2 / T01 può facilmente esprimersi in funzione del rapporto tra le pressioni con
l’equazione di Poisson. La (11.34) diventa così:
w2 = 2
⎡
p k −1 ⎤
k
R1T01 ⎢1 − ( 2 ) k ⎥
k −1
p 01
⎣
⎦
(11.35)
Come si può notare, fissate le condizioni iniziali e la pressione finale, i gas con più elevati
valori di k e di R1 (gas monoatomici, con basso peso molecolare), raggiungono le più elevate
velocità finali .
Il valore della pressione critica di efflusso può essere ottenuto notando che essa è
definita come la pressione che si stabilisce dove si instaura la velocità del suono (w =ws ,
M=1). Assumendo il fluido gas perfetto, a calori specifici costanti, e posto:
w22 = M 2 kR1T2
dalla (11.33) si ha:
T01 = T2 +
w22
kR T
= T2 + 1 2 M 2
2c p
2c p
da cui:
20
T01
k −1 2
M
= 1+
T2
2
(11.36)
Il rapporto tra le temperature può esprimersi in funzione del rapporto tra le corrispondenti
pressioni:
T01
p
= ( 01 )
T2
p2
k −1
k
e, per M = 1, risulta:
(
p01
)
p2
k −1
k
= 1+
k −1
2
da cui, infine, la pressione critica di efflusso:
pc
2 kk−1
)
=(
p 01
k +1
(11.37)
L’espressione ottenuta vale soltanto per il gas perfetto, ma può estendersi anche ad altri
aeriformi con appropriati valori di k. La pressione critica di efflusso dipende dunque dalla
natura chimico fisica del fluido e dal valore della pressione al ristagno a monte. Per i gas
biatomici è p c = 0.528 p01 , per il vapore surriscaldato p c = 0.577 p01 . Ovviamente
sostituendo la (11.37) nella (11.35) si ottiene la espressione della velocità di propagazione del
suono nello stato 2.
Dalla (1.35) si può ricavare il valore della portata di efflusso mediante l’equazione di
continuità:
m& = w2 A2 ρ 2 = A2 ρ 2
2
k
p
R1T01 (1 − 2 )
k −1
p01
k −1
k
(11.38)
Esprimendo la densità ρ2 per mezzo dell’equazione di Poisson, per un dato valore di p01 , T01
e k , la portata risulta funzione della sola p2:
m& = A2 ρ 01 (
p2 1/ k
)
p01
2
p
k
R1T01 (1 − 2 )
k −1
p 01
k −1
k
(11.39)
Le curve della seguente Fig. 11.12 rappresentano gli andamenti della portata e della velocità
di efflusso al variare del rapporto tra le pressioni secondo le equazioni (11.35) e (11.39): la
portata raggiunge il valore massimo in corrispondenza delle condizioni critiche di efflusso
(w= ws), quando il rapporto tra le pressioni assume il valore dato dalla (11.37).
21
& ,w
m
w
m& c
m&
ws
0
pc/p01
1
p2/p01
Fig. 11.12. Andamento della velocità e della portata di efflusso in funzione della pressione a valle.
La curva della portata fornita dalla (11.39) mostra che per valori di p2 (pressione a valle)
minori del suddetto valore critico, la portata decresce fino ad annullarsi per p2 = 0.
L’esperienza dice invece che per p2 < pc la m& resta costante sul valore critico (che è quindi il
massimo) m& c = Ac ws ρ c , dove ρ c è la densità effettiva nella sezione di area minima. La
velocità di efflusso, per p2 < pc , non segue il corrispondente ramo della curva se la vena è
libera, lo segue invece in un efflusso a vena guidata come ad esempio nel tratto divergente di
un ugello di De Laval. La velocità dipende dalla caduta di entalpia effettiva, mentre la portata
dipende anche dal valore della densità del fluido che diminuisce meno di quanto previsto
dalla isoentropica.
11.8.6 Efflussi in condotti convergenti
Si consideri un ugello convergente (o boccaglio), con a monte definite condizioni al
ristagno, collegato ad una regione a valle in cui la pressione può essere variata.
p01
w=0
p2
Fig. 11.13. Efflusso in un condotto convergente che collega due regioni a differente pressione.
Quando p 2 = p 01 la portata che attraversa il condotto è nulla, come nel caso a) della figura
seguente. Al diminuire della p2 si osserva un deflusso attraverso l’ugello con valori di portata
dipendenti dalla pressione a valle (casi b), c)). Fintanto che il moto del fluido avviene in
regime subsonico, le informazioni sulle variazioni delle condizioni a valle possono propagarsi
a monte e quindi, al diminuire della p2 , si verifica un incremento di portata ed un incremento
del numero di Mach nella sezione di uscita. Raggiunto il valore M = 1 in uscita, ivi si ha
p 2 = pc (caso d)).
22
p2
p
p 01
m&
e)
a)
b)
c)
d)
d)
c)
b)
e)
a)
p c/p 01
0
1
p 2/p 01
Fig. 11.14. Andamento della pressione e della portata di efflusso in un condotto convergente.
Ricordando che in un convergente il numero di Mach non può crescere oltre il valore unitario,
se si diminuisce ulteriormente la p2 al di sotto del valore critico, le condizioni di efflusso
restano invariate nel convergente, mentre l’espansione da p2 a p c si realizza bruscamente
oltre l’area di minima sezione dell’ugello. Il raggiungimento della velocità del suono
impedisce infatti il propagarsi a monte delle “informazioni” sulle condizioni di pressione a
valle: la portata di efflusso resta allora costante ( si parla di choked flow).
11.8.7 Efflussi in condotti divergenti
Un ugello divergente (o diffusore) opera normalmente in regime subsonico ed ha lo
scopo di provocare un incremento di pressione nel fluido per effetto e della diminuzione della
dA
dA
velocità locale. Nel regime subsonico si ha infatti
< 0, e
< 0 . Le variazioni di velocità
dw
dp
sono di segno opposto a quello delle variazioni di pressione e dell’area della sezione di
deflusso. Per un diffusore si definisce una efficienza in riferimento ai valori della pressione al
ristagno nelle sezioni di ingresso (1) e di uscita (2). La diminuzione della pressione al ristagno
è funzione del grado di irreversibilità del processo.
p01
H01
01
02
p02
p2
2
2’
p1
H1
1
S0
S
Fig. 11.15. Efflusso in un condotto divergente: definizione di efficienza del diffusore.
Se infatti il fluido venisse arrestato isoentropicamente nella condizione di ingresso (1), la
pressione conseguente risulterebbe p 01 e l’entalpia H01. D’altra parte, nel processo in esame,
ritenuto senza scambi di calore e lavoro, l’entalpia al ristagno si mantiene costante, è infatti:
23
H1 +
w12
w2
= H2 + 2
2
2
e quindi
H 01 = H 02 .
L’efficienza del diffusore, definita da:
ηD =
p 02
p 01
(11.40)
esprime dunque il grado di irreversibilità del processo ed assume valore unitario nel caso di
rallentamento isoentropico.
11.8.8 Efflussi in condotti convergenti -divergenti
Si consideri il dispositivo rappresentato in Fig. 11.16, costituito da due tratti
successivi, uno convergente (più breve) ed uno divergente, e percorso da un gas perfetto che
entra nella sezione 1 ed esce in 2. Siano prefissate e pari al valore al ristagno, la temperatura e
la pressione a monte ( p 01 ) e si faccia variare la pressione p2 imposta nella regione allo
sbocco dell’ugello.
Al diminuire della pressione allo sbocco si possono verificare diverse modalità di efflusso.
Immaginiamo che in tutto il condotto, ed in particolare nella sezione di gola, la pressione si
mantenga maggiore di quella critica: nella sezione di gola la entalpia è maggiore di quella
critica e la velocità di efflusso minore della ws (condizioni a) e b)). Il moto si sviluppa in
regime subsonico e la velocità aumenta all’avvicinarsi della sezione di area minima;
raggiunto il massimo nella strozzatura, mantenendosi inferiore a quella del suono, diminuisce
nel tratto divergente. La pressione subisce variazioni opposte come suggerisce l’equazione di
Bernoulli. Questo comportamento è indicato come effetto Venturi ed il dispositivo dove si
realizza è denominato tubo di Venturi, frequentemente utilizzato per la misura di portata nei
condotti.
1
2
p2
p01
p 01
pc
p2
a)
b)
c)
d)
e)
f)
Fig. 11.16. Efflusso in un ugello di De Laval: andamenti della pressione in funzione del valore imposto a valle.
24
Nelle condizioni esaminate di pressione inferiore a quella critica nella sezione contratta, al
diminuire della pressione imposta allo sbocco la portata di efflusso aumenta. Per un
particolare valore della p2 (curva c)) accade che nella sezione di gola si stabilisce la pc e la
velocità raggiunge il valore ws , ma successivamente la velocità torna a diminuire e la
pressione risale fino al valore imposto p2 ; questo perché non sussistono le condizioni per una
ulteriore espansione in regime supersonico e l’ugello nel suo complesso si comporta come un
tubo Venturi.
Valori della pressione allo sbocco inferiori (curve d), e)) fanno osservare un diverso regime di
efflusso. Nella sezione contratta si instaura la pc e nel primo tratto del divergente la pressione
continua a diminuire, in quanto il recupero di pressione ottenibile nello stesso divergente è
maggiore della differenza tra la pressione imposta p2 e la stessa pc. Corrispondentemente si
stabilisce un aumento della velocità oltre il valore ws. Più a valle però, in una definita
sezione, si realizza un brusco incremento di pressione con una discontinuità ortogonale alla
direzione del moto, definita onda d’urto normale, tale da riportare la pressione ad un valore
compatibile con quello imposto allo sbocco. Gli effetti dell’onda d’urto non si propagano a
monte essendo w > ws . A valle dell’onda d’urto il divergente opera come un diffusore con
rallentamento del gas e recupero di pressione, essendo il regime diventato bruscamente
subsonico.
Con il diminuire della pressione allo sbocco, l’onda d’urto si instaura sempre più a valle fino
a sparire per un opportuno valore di p2 che rappresenta l’optimum per il particolare ugello
considerato. In queste condizioni la velocità di uscita del gas è maggiore della ws , mentre la
portata, per quanto già notato, resta fissata al valore al valore massimo corrispondente alle
condizioni vigenti nella sezione contratta.
Poiché lo scopo di ugelli di questo tipo è quello di conferire al fluido la massima velocità in
uscita per date condizioni di ingresso e pressioni a valle, se ne definisce l’efficienza mediante
il rapporto tra l’energia cinetica del fluido in uscita e l’energia cinetica che il fluido avrebbe
in un efflusso isoentropico:
( w 2 / 2) reale
η= 2
(11.41)
( w / 2) isoentropico
Dall’equazione di bilancio:
H 01 − H 2 = (
w22
) reale
2
e
η=
H 01 − H 2
H 01 − H 2 '
H 01 − H 2 ' = (
w22'
) isoentropico
2
In definitiva si ha :
(11.42)
Negli ugelli di efflusso l’effetto dell’attrito è limitato e valori di efficienza dell’ordine del
95% sono piuttosto comuni.
25
p01 p1
H
p2
01
H01
1
H1
H2
2
2’
S
Fig. 11.17. Efflusso in un ugello di De Laval: andamenti della pressione in funzione del valore imposto a valle.
11.8.9 Flusso attraverso un’onda d’urto normale
Abbiamo visto che in certe condizioni, nel tratto divergente di un ugello supersonico
può stabilirsi un’onda d’urto normale che consiste in un rapido e brusco cambiamento dello
stato fisico del gas effluente. In un’onda d’urto normale questo cambiamento di stato si
verifica attraverso un piano normale alla direzione del moto.
x
y
Fig. 11.18. Per determinare le condizioni a monte ed a valle di un’onda d’urto normale.
Consideriamo un piccolo volume di controllo attorno alla regione di discontinuità e per esso
poniamo nulli gli scambi di calore e lavoro e le variazioni di energia potenziale. Dato il
piccolo spessore della regione interessata all’onda d’urto (dell’ordine di 10-5 cm) si possono
trascurare le forze agenti eccetto le pressioni e ritenere l’area della sezione costante. Gli stati
a monte (x) ed a valle (y) del volumetto sono allora legati dalle seguenti equazioni di bilancio:
- massa
- energia
- quantità di moto
- entropia
ρ x wx = ρ y w y
2
x
(a)
2
y
w
w
= Hy +
= H0
2
2
m&
p x − p y = ( w y − wx ) = ρ y w y2 − ρ x wx2
A
S y = S x + ∆S s
Hx +
(b)
(c)
(d)
Tali equazioni unitamente alle relazioni termodinamiche tra le proprietà del fluido consentono
di ricavare le condizioni a valle note quelle a monte. L’equazione (d), in particolare, stabilisce
26
che l’entropia a valle deve risultare maggiore di quella a monte per effetto delle
irreversibilità.
Dalla combinazione delle relazioni (a) e (b) si ha:
H0 = H +
m& ' 2
= cos t
2ρ 2
(11.43)
in cui m& ' = m& / A rappresenta la portata massica specifica (o velocità di massa). La (11.43)
può interpretarsi come relazione tra quantità di stato in un deflusso adiabatico, anche in
presenza di attrito, in un condotto a sezione costante. Noti i valori dell’entalpia al ristagno e
della portata specifica, la (11.43) stabilisce una legame tra due variabili termodinamiche
indipendenti: il luogo dei punti che rappresenta lo stato termodinamico del fluido nelle
condizioni qui definite sul piano H,S prende il nome di curva o linea di Fanno.
Similmente dalle equazioni (a) e (c) si ha:
p + ρw 2 = p +
m& ' 2
ρ
= cos t
(11.44)
La (11.44), a impulso e portata specifica costanti, costituisce una relazione tra due variabili di
stato indipendenti che trasferita sul piano H,S prende il nome di curva o linea di Rayleigh. La
curva di Rayleigh costituisce un modello di flusso adiabatico, privo di attrito, in un condotto a
sezione costante.
Entrambe le curve di Fanno e di Rayleigh sono rappresentate nella figura seguente. Si può
dimostrare che al punto di massima entropia corrisponde la condizione M = 1 ed inoltre che i
rami superiore ed inferiore di ciascuna linea corrispondono, rispettivamente, a velocità
subsoniche e supersoniche. Gli stati a monte ed a valle, x ed y, devono soddisfare le equazioni
poste e pertanto appartenere ad entrambe le curve; lo stato a valle sarà caratterizzato dal
valore più elevato di entropia (Sy >Sx).
Attraverso l’onda d’urto il regime di efflusso da supersonico diventa subsonico ed il brusco
rallentamento è accompagnato da un significativo incremento della pressione. L’entalpia al
ristagno non cambia, ma il processo dissipativo comporta una notevole diminuzione della
pressione al ristagno.
H
H0
w y2/2
Hy
y
M=1
w x2/2
Hx
M=1
Rayleigh
Fanno
x
S
Fig. 11.19. Curve di Rayleigh e di Fanno per la determinazione degli stati termodinamici a monte ed a valle di
un’onda d’urto normale.
27
-------------------------------------------------------------------------------------------------
CAPITOLO
12
TERMODINAMICA DELL'ARIA UMIDA
------------------------------------------------------------------------------------------------Viene analizzato il comportamento termodinamico dell’aria umida, la cui conoscenza è fondamentale
per la comprensione dei processi di condizionamento termoigrometrico dell’aria. Dopo aver illustrato le
principali trasformazione termodinamiche utilizzate negli impianti civili ed industriali, verranno introdotti i
principi del condizionamento ambientale e le equazioni di bilancio energetico e di massa dell’ambiente
condizionato.
12.1. Caratteristiche dell’aria umida atmosferica
L’aria atmosferica è costituita da un miscuglio omogeneo di aeriformi di
composizione relativamente costante se si trascura la presenza talvolta significativa di agenti
inquinanti. Viene normalmente denominata “aria umida” per indicare la presenza di una certa
quantità di vapor d’acqua o umidità. Il vapore acqueo è l’unico componente che si trova in
condizioni normali al di sotto della temperatura termodinamica critica, è allo stato di vapore
surriscaldato ed è soggetto a variazioni sensibili di concentrazione sia per la possibilità di
condensazione, sia per la costante presenza di fenomeni evaporativi dell’acqua in fase liquida
esposta all’atmosfera.
L’aria atmosferica può pertanto considerarsi come un sistema termodinamico a due
componenti: l’aria secca ed il vapore acqueo. L’aria secca, essendo un miscuglio di gas
assimilabili al gas perfetto, viene considerata come una sostanza pura. La sua composizione
standard è riportata nella tabella seguente in cui si evidenzia come ossigeno ed azoto ne
costituiscano, in volume ed in massa, quasi il 99%.
Sostanza
Ossigeno O2
Azoto N2
Argon Ar
Anidride carbonica CO2
Idrogeno H2
Massa molecolare
32.000
28.016
39.944
44.010
2.020
Frazione molare
0.2095
0.7808
0.0093
0.0003
0.0001
Frazione ponderale
0.2314
0.7553
0.0128
0.0005
0.0000
Considerando dunque l'aria secca (ossigeno e azoto) come un unico elemento, lo stato
termodinamico della miscela aria atmosferica è definito dalla concentrazione dei componenti
e da due variabili intensive.
Dato un volume V contenente aria umida alla temperatura T, la pressione totale dell'aria pt ,
per la legge di Dalton, è pari alla somma delle pressioni parziali dell'aria secca (pa) e del
vapore d'acqua (pv):
pt = p a + pv
(12.1)
1
Il vapore acqueo si trova di solito ad una pressione parziale pv inferiore alla pressione di
saturazione p s corrispondente alla temperatura dell’aria T e, di conseguenza, il suo stato è di
vapore surriscaldato. Una condizione tipica del vapore nell’aria umida è rappresentata dallo
stato1 in Fig. 12.1. Quando la pressione parziale del vapore eguaglia il valore a saturazione,
la miscela è satura di umidità e contiene la massima quantità di vapore. Tale condizione può
ad esempio ottenersi con un raffreddamento a pressione totale costante (trasformazione 1-2):
il valore di temperatura che rende saturo il vapore è detto temperatura di rugiada (dew point).
La trasformazione 1-3 riguarda invece un processo a temperatura costante, in cui la variazione
di pressione parziale è dovuta ad una umidificazione dell’aria mediante immissione diretta di
vapore acqueo.
T
ps
3
T
Tr
pv
1
2
S
Fig. 12.1. Stato termodinamico del vapore acqueo presente nell’atmosfera.
Per caratterizzare lo stato termodinamico dell'aria umida, si definiscono le seguenti
grandezze:
mv :
ms :
i=
umidità assoluta, è la massa di vapore contenuta nel m3 di aria, nelle condizioni attuali
di pressione totale e di temperatura (vale la densità del vapore nello stato 1);
umidità assoluta a saturazione, è la massima umidità che può essere contenuta nel m3,
nelle stesse condizioni (vale la densità del vapore nello stato 3);
mv
: umidità relativa (o grado igrometrico), è il rapporto tra l'umidità assoluta nelle
ms
condizioni attuali e quella a saturazione, alla stessa temperatura.
La pressione parziale del vapore a saturazione ps e la umidità assoluta a saturazione ms
risultano dipendere unicamente dalla temperatura.
Poiché il vapore acqueo dell’atmosfera è sempre a pressione molto bassa, per esso si ritiene
valida, con buona approssimazione, la legge caratteristica dei gas perfetti che può scriversi:
p v = mv R1,v T
p s = m s R1,v T
2
da cui:
i=
mv
p
= v
ms
ps
(12.2)
Si definisce grado di umidità (anche umidità specifica o contenuto igrometrico) il rapporto tra
la massa di vapore e la massa di aria secca contenuti in un assegnato volume di miscela. In
base a tale definizione, applicando l'equazione di stato dei gas perfetti ai due componenti, si
ha:
m
p R T
i ps
(12.3)
y = v = v 1,as = 0.622
mas R1,v T p a
pt − i p s
A pressione totale costante, il grado di umidità dipende dunque dalla umidità relativa (i) e
dalla temperatura della miscela T, di cui ps è funzione univoca.(1)
12.2. Misura dell'umidità relativa
Il contenuto di vapore di una miscela di aria umida può essere misurato in vari modi,
ad esempio per pesata, determinando la variazione della massa di un materiale igroscopico
posto nel flusso della miscela in esame. Gli strumenti atti a rilevare, direttamente o
indirettamente il contenuto igrometrico di un flusso d’aria umida sono svariati, tra essi di
particolare interesse sono quelli che effettuano la misura della temperatura di rugiada ovvero
della temperatura di saturazione adiabatica.
L'igrometro a condensazione o ad appannamento, consente la determinazione della umidità
relativa attraverso la misura della temperatura effettiva e della temperatura di rugiada.
Qualunque sia la quantità di vapore acqueo contenuto inizialmente nel volume di aria umida
considerato, diminuendone la temperatura a pressione totale costante è possibile raggiungere
la condizione di saturazione, cioè la temperatura a cui l’attuale pressione parziale del vapore
diventa di saturazione. Tale temperatura prende il nome di temperatura di rugiada Tr (v.
Fig.12.1). In un processo a pressione totale costante anche le pressioni parziali restano
costanti fintantoché non si raggiunge la condizione di saturazione ed è costante la massa dei
componenti. Il fenomeno della condensazione si manifesta durante un raffreddamento a
(1)
Il legame funzionale tra ps e T può essere ricavato dalle tabelle del vapor acqueo o mediante opportune formule tra cui, ad
i =6
ln (ps) = ∑ CiT i − 2 + C7 ln (T )
esempio, la seguente:
i =1
con ps in Pa e T in K.
I valori di Ci sono i seguenti:
* campo di temperature - 50 + 273.15 ≤ T < 0 + 273.15 :
C1 = -5674.5359
C2= 6.3925247
C3 = -0.9677843E-2
C4 = 0.62215701E-6 C5 = 0.20747825E-8 C6 = 0.9484024E-12
C7 = 4.1635019
* campo di temperature
C1 = -5803.7206
0 + 273.15 < T ≤ 50 + 273.15 :
C2 = 1.3914993
C3 = -0.04860239
C4 = 0.41764768E-4 C5 = -0.14452093E-7 C6 = 0
C7 = 6.5459673
3
umidità specifica costante ad esempio in inverno con l'appannamento di una parete vetrata
fredda, ovvero d'estate sulla superficie esterna di un tubo percorso da un fluido freddo, ovvero
con la formazione notturna di goccioline liquide sull’erba.
Nella sua realizzazione classica lo strumento consiste in una vaschetta prismatica di metallo, a
superficie esterna speculare, contenente etere o altro liquido volatile, in cui viene immerso un
termometro. La vaschetta può essere contenuta in un'altra simile, più grande e non a contatto,
anch’essa speculare, per rendere facile e sicuro l’apprezzamento dell’appannamento della
Fig. 12.2. Schema dell’igrometro ad appannamento di Chistoni.
superficie che si raffredda. Facendo gorgogliare dell’aria attraverso l’etere questi vaporizza
sottraendo il necessario calore di vaporizzazione alla vaschetta che lentamente si raffredda.
L’aria ambiente a contatto con la superficie esterna dell’igrometro si raffredderà fino alla
temperatura di rugiada: sarà allora visibile un appannamento della superficie metallica
speculare ed il termometro indicherà la temperatura di saturazione. Una realizzazione di tale
strumento, nota come igrometro ad appannamento di Chistoni, è riportata in Fig. 12.2.
m& as , Ta , ia
Fig. 12.3. Schema di funzionamento di uno psicrometro.
La misura dell'umidità relativa attraverso la temperatura di saturazione adiabatica si effettua
con strumenti denominati psicrometri. Essi sono costituiti da due termometri i cui bulbi sono
4
posti all'interno di brevi condotti attraversati velocemente dall'aria in esame. Uno dei due
bulbi indica l'effettiva temperatura dell'aria (Ta) mentre l'altro, rivestito da una calzetta
imbevuta di acqua distillata, indica una temperatura inferiore detta temperatura del bulbo
umido (Tb). L'aria che lambisce il bulbo umido, generalmente non satura, tende ad arricchirsi
di umidità provocando la evaporazione dell'acqua di cui è imbevuta la calzetta; la temperatura
del bulbo umido diminuisce fino a quando si raggiunge una situazione stazionaria di
equilibrio evaporativo. Tale vaporizzazione avviene a spese del calore sottratto al bulbo
umido e l'aria subisce una trasformazione assimilabile ad un processo di saturazione
adiabatica. La differenza (Ta − Tb ) è tanto più elevata quanto più l'aria è secca; dal suo valore
può dedursi l'umidità relativa dell'aria in esame.
Dallo strato superficiale di un liquido, come è noto, può avvenire il passaggio allo stato di
vapore a tutte le temperature. Se pv è la pressione parziale del vapore al di sopra della
superficie liquida, ps quella massima, di saturazione alla temperatura del liquido, la massa di
liquido che evapora nell’unità di tempo è data da:
dm
=C S
dτ
p s − pv
pt
in cui C è una costante dipendente dal liquido e dal grado di ventilazione, S è l’area della
superficie libera e pt la pressione totale.
Esercizio 12.1
Con un igrometro di Chistoni si è determinato il punto di rugiada dell’aria ambiente e si è trovato Tr= 14°C.
Sapendo che la temperatura dell’aria è 20°C, determinare l’umidità relativa.
-------------------------------------Dalla (12.2) si ha:
i=
pv
p (T )
= s r = 0.68 .
ps
p s (Ta )
Esercizio 12.2
Una tubazione percorsa da acqua fredda, ha la parete a 10 °C. Determinare la massima umidità relativa
ammissibile nell’aria circostante alla temperatura di 25 °C, affinché non si abbia condensazione del vapore sul
tubo.
-------------------------------------Affinché non si abbia condensazione occorre che l’umidità assoluta sia inferiore al valore di saturazione a 10 °C.
Essendo:
10°C ps = 0.01227 bar
ms = 9.40 mg/m3
25°C ps = 0.03166 bar
ms = 23.04 mg/m3
la massima umidità relativa deve essere inferiore a: i =
pv
p (10°C )
= s
= 0.39
ps
p s (25°C )
12.3. Entalpia dell'aria umida
Le proprietà estensive di una miscela possono in generale essere ottenute sommando il
contributo di ciascun componente, alle condizioni in cui esso è presente nella miscela. Così
per l'energia interna, l'entropia e l'entalpia di una miscela ad n componenti si ha:
5
n
n
U t = ∑ m iU i
S t = ∑ mi S i
i =1
i =1
n
H t = ∑ mi H i
i =1
Tra le diverse funzioni di stato, la grandezza operativamente più interessante è sicuramente
l'entalpia, poiché le trasformazioni relative all'aria umida si realizzano normalmente in sistemi
aperti, a pressione totale praticamente costante.
L'entalpia specifica della miscela, riferita al chilogrammo di aria secca, può dunque scriversi:
H ' = H as + H v y
(12.4)
avendo indicato con H as il valore specifico dell’entalpia per l'aria secca e con H v quello per
l'acqua. Nel definire il valore di H ' si precisano le seguenti condizioni di riferimento:
- per l'aria secca H as = 0, per t = 0 °C;
- per l'acqua H v = 0, liquido saturo nella condizione di punto triplo (t = 0.01 °C).
Con l'ipotesi di gas perfetto ed utilizzando i valori medi dei calori specifici, assunti costanti
nel campo di temperatura di interesse, si può scrivere:
H as = c p ,as t = 1.005 t
H v = H l ,v + c p ,v t = 2500 + 1.9 t
in cui c p ,as e c p ,v rappresentano i calori specifici a pressione costante dell’aria secca e del
vapore surriscaldato, rispettivamente, mentre H l ,v rappresenta l’entalpia di vaporizzazione
dell’acqua. Con t è stata indicata la temperatura in °C.
In definitiva l'entalpia dell'aria umida per chilogrammo di aria secca, espressa in kJ / kg as ,
risulta:
H ' = 1.0 t + (2500 + 1.9 t ) y
(12.5)
Si noti che per una miscela di aria umida alla pressione atmosferica ed a temperatura ambiente
t, il valore fornito dalla (12.5) non corrisponde all'effettivo stato termodinamico del vapore
essendo questi sottoposto alla pressione parziale attuale pv e non alla pressione di saturazione
al punto triplo. L'errore che si commette sulla valutazione dell'entalpia è tuttavia tecnicamente
accettabile, alle pressioni molte basse a cui si trova il vapore nell'atmosfera.
Dalla (12.5) è possibile ottenere la relazione tra grado di umidità e temperatura in particolare
lungo una isoentalpica.
12.4. I diagrammi psicrometrici
Nello studio delle trasformazioni riguardanti l'aria umida, sono estesamente utilizzati
diagrammi psicrometrici per la rappresentazione dei processi e la determinazione delle
proprietà termodinamiche della miscela. Poiché lo stato fisico della miscela è precisato da tre
parametri, la rappresentazione grafica delle trasformazioni dovrebbe essere riportata su un
diagramma tridimensionale, tuttavia dato che la maggior parte delle trasformazioni vengono
effettuate a pressione totale pari alla pressione atmosferica, i diagrammi utilizzati sono
ricondotti a due coordinate essenziali.
6
12.4.1. Il diagramma di MOLLIER
E’ normalmente costruito per una miscela a pressione totale costante epari alla
pressione atmosferica. Utilizza un asse di riferimento non ortogonale all'asse delle ordinate,
ma ruotato, per estendere la regione di lavoro. Riporta in ordinate l'entalpia H' ed in ascisse il
grado di umidità del miscuglio y. Se gli assi fossero ortogonali le isoterme sarebbero
confinate in una regione ristretta, avrebbero andamento lineare e pendenza crescente con t:
(
∂H '
) t = 2500 + 1.9 t
∂y
(12.6)
L'asse delle ascisse, rispetto al quale è valutata l’entalpia, è invece scelto in modo che risulti
ortogonale all'alle ordinate l'isoterma a t = 0 °C e pertanto la sua pendenza è - 2500 (kJ/kg).
Per la costruzione del diagramma (Fig.12.4) si può procedere nel modo seguente:
- si tracciano due assi ortogonali riportando sulle ascisse i valori del grado di umidità y
- si individua l'asse ausiliario di equazione - 2500 y
- si riportano verso l'alto i segmenti 1,0 t e 1,9 y t.
Ne risulta che:
- il segmento AD rappresenta l'entalpia della miscela (per kg di aria secca) a t e y;
- la parallela all'asse ausiliario passante per D è una isoentalpica e le tutte le
isoentalpiche sono parallele allo stesso asse;
- la retta ED è un'isoterma ed ha pendenza 1,9 t , con intercetta sulle ordinate 1,0 t;
- le isoterme passano tutte per il punto F, infatti:
1,9 y t
OE
FO =
= 0,52 ,
indipendente da t.
tgβ =
= 1,9 t
tgβ
y
t = cost
D
E
C 1.9 y t
H' = cost
1.0 t
β
F
B
O
y
2500
A
Fig. 12.4. Costruzione delle isoterme e delle isoentalpiche nel diagramma di Mollier .
Sull'asse delle ordinate vengono spesso indicati i valori della temperatura, mentre i valori
dell'entalpia sono riportati sulle stesse curve isoentalpiche e, per comodità, su una retta
obliqua situata fuori della zona utile del diagramma. Le isoterme così tracciate sono
7
indipendenti dal particolare valore della pressione totale, almeno entro i limiti in cui è
possibile ritenere costanti i valori dei calori specifici a pressione costante dell'aria secca e del
vapor d'acqua.
Le curve ad umidità relativa costante sono tracciate in base alla relazione (12.3):
y = 0.622
i ps
pt − i p s
individuando sulle diverse isoterme le ascisse dei punti aventi la stessa umidità relativa.
Poiché il grado di umidità dipende dalla pressione totale, il tracciato del diagramma cambia se
cambia quest’ultimo valore. La curva di saturazione, corrispondente al valore i = 1, è il luogo
dei punti rappresentanti la condizione di aria satura di umidità. Tale curva delimita la regione
del diagramma che rappresenta i possibili stati termodinamici delle miscele di aria e vapor
d'acqua.
Fig. 12.5 . Diagramma di Mollier per l’aria umida .
8
12.4.2. Il diagramma ASHRAE
Scambiando gli assi del diagramma di Mollier si ottiene il diagramma psicrometrico
ASHRAE (American Society of Heating, Refrigerating and Air Conditioning Engineers), di
usuale impiego per i calcoli relativi al condizionamento dell'aria. Può essere considerato come
l'immagine speculare del diagramma di Mollier, ruotata di 90° (Fig. 12.6).
Sull'asse delle ascisse sono riportati i valori della temperatura, mentre i valori dell'entalpia
sono leggibili su una retta inclinata di comodo posta al di sopra della curva di saturazione,
fuori dalla regione utile del diagramma. I valori del grado di umidità sono indicati sul lato
destro del diagramma, generalmente espressi in grammi di vapore per chilogrammo di aria
secca gv/kgas.
12.5. Operazioni sull'aria umida
Si effettuano in genere in sistemi aperti attraversati da una corrente d’aria umida non
in equilibrio. Scopo delle trasformazioni psicrometriche è quello di modificare lo stato
termodinamico della miscela, dalla condizione iniziale allo stato finale voluto, mediante
processi realizzabili tecnicamente. Normalmente le trasformazioni termodinamiche tecniche
sono caratterizzate da lavoro esterno netto nullo, vengono attuate a pressione totale quasi
costante e comportano variazioni di energia cinetica e potenziale della corrente fluida
trascurabili.
Nel condizionamento dell'aria intervengono frequentemente i seguenti processi psicrometrici:
1. Riscaldamento
2. Deumidificazione mediante raffreddamento
3. Umidificazione con vapore
4. Umidificazione per saturazione adiabatica
5. Miscelazione di correnti di aria umida
12.5.1. Riscaldamento
Nei processi di riscaldamento ed anche di raffreddamento senza condensazione, la
miscela viene fatta lambire una batteria di scambio termico posta nel canale di deflusso
dell'aria umida. La batteria è sostanzialmente uno scambiatore costituito da un fascio di tubi
alettati percorsi internamente da un fluido riscaldante o refrigerante.
Il processo di riscaldamento, attuato senza umidificazione, avviene a grado di umidità y
costante. Nel caso di raffreddamento, la condizione di grado di umidità costante è verificata
soltanto se la temperatura della superficie fredda della batteria è maggiore della temperatura
di rugiada. In tali condizioni il bilancio di massa a regime è dato dalla costanza della portata
della miscela nelle sue componenti. Il bilancio termico con le ipotesi sopra indicate fornisce:
q1, 2 = m& as ( H ' 2 − H '1 )
(12.7)
essendo q1, 2 il flusso termico scambiato tra le sezioni 1 e 2, H 2' ed H '1 le entalpie dell'aria
umida all'uscita ed all'ingresso del sistema, rispettivamente.
9
Fig. 12.6. Diagramma psicrometrico ASHRAE.
10
y
1
m& as
2
q1,2
H2, y2
H’1, y1
H’2
t2
2
H’1
t1
1
Fig. 12.7 Riscaldamento ad umidità specifica costante
Come evidenziato dal diagramma, nel riscaldamento a grado di umidità costante, l'aumento di
temperatura dell'aria è accompagnato da una diminuzione dell'umidità relativa. Il contrario
accade nel raffreddamento. Lo scambio termico che si stabilisce senza variazione del
contenuto di umidità viene detto "sensibile" intendendo con ciò che è associato alla variazione
di temperatura e non a passaggi di stato.
12.5.2. Deumidificazione mediante raffreddamento
E' il processo con il quale si vuole ridurre il grado di umidità della miscela provocando
la condensazione parziale del vapore in essa contenuto. Quando la temperatura superficiale
della batteria è minore della temperatura di rugiada il vapore a contatto con la superficie
fredda condensa e lo stato termodinamico della miscela si approssima alla condizione di
saturazione.
Operando a pt costante si voglia portare il grado di umidità della miscela dal valore y1
(condizione t1, y1) al valore y2. Per effettuare l'operazione si può raffreddare l'aria fino ad una
temperatura inferiore alla temperatura di rugiada corrispondente allo stato 1. In tal modo il
vapore acqueo condensa ed il contenuto di umidità dell'aria diminuisce. La temperatura a cui
interrompere l'operazione sarà t2, il cui valore può valutarsi se è noto il grado di umidità y2.
11
H’2
1
t2
1
H’1
2
q1,2
H’2, y2
t1
H’1, y1
m& l
2
y2
y1
Fig. 12.8. Rappresentazione di un processo di deumidificazione per raffreddamento..
Nel tratto 1-2, il flusso termico scambiato (negativo) risulterà:
q1, 2 = m& as ( H 2' − H 1' ) + m& l H l
dove
m& l = m& as ( y1 − y 2 )
con m& l è stata indicata la portata di condensato e con H l la relativa entalpia specifica.
Poiché la differenza tra i valori del grado di umidità è molto piccola, la portata di condensato
è molto inferiore alla portata d'aria; per i valori normalmente assunti da H l si ha in definitiva
che:
q1, 2 ≅ m& as ( H 2' − H 1' )
(12.7)
La temperatura dell'aria che lascia la batteria di raffreddamento e deumidificazione è
usualmente troppo bassa per l'uso diretto nel condizionamento ambientale. La corrente di aria
umida è allora normalmente riscaldata, come indicato nel processo descritto precedentemente,
o miscelata con aria più calda.
12.5.3. Processo di saturazione adiabatica
Si consideri la situazione ipotetica rappresentata in figura 12.9 in cui dell'aria umida a
temperatura t1 ed umidità relativa i1 entra in un condotto adiabatico e lambisce la superficie
libera di uno strato di acqua mantenuta a temperatura costante tb . Assumendo costante la
pressione durante il processo, se il "contatto" tra la corrente ed il liquido è sufficientemente
esteso si può ritenere che la corrente d'aria esca dal sistema satura di umidità, alla temperatura
tb . La corrente di aria che lambisce il liquido ne provoca la evaporazione: l'energia richiesta
per il passaggio di stato è fornita dalla corrente stessa che si raffredda. Questo processo viene
denominato di saturazione adiabatica.
12
m& as
i1
t1
m& l
i2 = 1.0
t2 = tb
tb
Fig. 12.9. Schematizzazione di un processo di umidificazione per saturazione adiabatica.
Dai bilanci di massa (per l'acqua) e di energia, applicati al sistema di figura, si ottiene:
m& as ( y 2 − y1 ) = m& l
m& as ( H 2' − H 1' ) = m& l H l
da cui:
H 2' − H 1'
= Hl
y 2 − y1
(12.8)
Nella maggior parte dei casi la variazione di entalpia dell'aria umida tra ingresso e uscita è
molto minore sia di H 2' sia di H 1' . Il processo può dunque ritenersi isoentalpico.
La temperatura di uscita dell'aria è denominata "temperatura di saturazione adiabatica" e
nell'ipotesi poste coincide con la temperatura della stessa acqua in fase liquida. Ai fini pratici
la temperatura di saturazione adiabatica può ritenersi coincidente con la temperatura al bulbo
umido, leggibile al termometro con bulbo bagnato di uno psicrometro.
Il processo di saturazione adiabatica conduce ad una umidificazione con raffreddamento della
corrente di aria umida. A risultati analoghi si perviene immettendo nella corrente acqua
polverizzata in eccesso, in condizioni adiabatiche, come avviene negli umidificatori adiabatici
degli impianti di condizionamento. Si noti tuttavia che l'umidità relativa all'uscita non è mai
praticamente unitaria ma assume valori intorno al 90-95%.
12.5.4. Umidificazione mediante vapore
Un processo di umidificazione alternativo a quello precedentemente illustrato consiste
nell'immettere una portata di vapore acqueo surriscaldato nella corrente di aria umida.
Anche in questo caso le equazioni di bilancio di massa e di energia conducono all'espressione:
H 2' − H 1'
= Hv
y 2 − y1
(12.9)
in cui H v rappresenta l'entalpia specifica del vapore immesso, di elevato valore per effetto del
contributo dovuto al calore latente. L'equazione sopra indicata rappresenta nel diagramma di
Mollier una retta di pendenza H v , passante per i punti rappresentativi degli stati iniziale e
finale del processo.
13
La trasformazione conduce dunque ad un aumento della temperatura dell'aria umida, a meno
che il vapore non venga introdotto alla stessa temperatura della corrente. L'incremento di
temperatura è tuttavia di piccola entità così da potersi ritenere isoterma la trasformazione 1-2:
la portata di vapore, molto piccola rispetto alla portata di aria secca, non ne modifica la
temperatura in modo significativo. Lo stato finale 2 sarà dunque sull'isoterma a t1 , con
incremento dell'entalpia e del grado di umidità. Se il vapore immesso risulterà in eccesso
potranno raggiungersi condizioni di saturazione isoterma.
Il processo di umidificazione con vapore sembra oggi preferibile negli impianti di
condizionamento perché non utilizza acqua in fase liquida che può ristagnare nelle vasche di
raccolta.
12.5.5. Miscelazione
Negli impianti di condizionamento un processo assai frequente consiste nella
miscelazione a pressione totale costante di due correnti (1 e 2) di diverse caratteristiche
termoigrometriche.
1
m& as ,1 , H '1 , y1
m& as ,1 + m& as , 2
f
m& as , 2 , H ' 2 , y 2
H'f , yf
2
Fig. 12.10. Schematizzazione di un processo di miscelazione adiabatica.
Nel caso di miscelazione adiabatica e con le consuete ipotesi di lavoro esterno nullo e
variazioni di energia cinetica e potenziale trascurabili, le equazioni di bilancio energetico e di
massa a regime permanente si possono scrivere:
(m& as ,1 + m& as , 2 ) H ' f = m& as ,1 H '1 + m& as , 2 H ' 2
(12.10)
(m& as ,1 + m& as , 2 ) y f = m& as ,1 y1 + m& as , 2 y 2
(12.11)
da cui :
H'f =
m& as ,1 H '1 + m& as , 2 H ' 2
m& as ,1 + m& as , 2
yf =
m& as ,1 y1 + m& as , 2 y 2
m& as ,1 + m& as , 2
ed ancora:
y1 − y f
H '1 − H ' f
m& as ,2
=
=
m& as ,1 y f − y 2 H ' f − H ' 2
ovvero
m& as ,2 H ' f − H ' 2 H '1 − H ' f
=
.
=
m& as ,1
y f − y2
y1 − y f
14
Sia il grado di umidità y f , sia l'entalpia H ' f corrispondenti allo stato miscelato, sono dati
dalla media pesata dei corrispondenti valori delle due correnti, rispetto alle portate in massa di
aria secca. Nel piano psicrometrico (H' , y) lo stato termodinamico finale f è dunque
allineato con gli stati 1 e 2 delle correnti non miscelate. Il punto f si trova nella posizione
baricentrica degli stessi punti, quando ad essi vengono attribuite masse proporzionali alle
rispettive portate.
12.6. I principi del condizionamento ambientale
Sono basati nel concetto di benessere ambientale, in particolare termoigrometrico.
L'ASHRAE Standard 55-74 definisce il benessere come "atteggiamento mentale di
soddisfazione per l'ambiente dal punto di vista termico, igrometrico etc".
I fattori che influenzano questo atteggiamento sono: la temperatura dell'aria, la
temperatura dei corpi che la circondano (temperatura media radiante), l'umidità relativa, la
velocità dell'aria, il tipo di attività fisica e l'abbigliamento dell'individuo.
L'esperienza mostra che:
- non esiste una unica combinazione dei fattori climatici cui corrisponda una situazione di
benessere;
- a parità di fattori, diversi individui possono riferire sensazioni diverse.
Il corpo umano è dotato di un sistema di termoregolazione che gli permette di
mantenere costante la temperatura interna mediante un opportuno meccanismo che svolge la
sua funzione equilibrando la generazione e la dispersione di calore.
Dal maggiore o minore "stress" cui è sottoposto il sistema di regolazione dipende la
sensazione di benessere (per disperdere aumenta la temperatura superficiale e la sudorazione,
per non disperdere decresce la temperatura superficiale ecc.).
L'attività del corpo umano dà luogo ad una generazione interna di calore con conseguenti
scambi di calore sensibile e latente con l'ambiente.
Per l'equilibrio termico del corpo umano in prima approssimazione si può scrivere:
dU
= M − P −C − R− E
dτ
(12.12)
con:
dU
= velocità di variazione della energia interna
dτ
M = potenza dovuta alla attività metabolica
P=
potenza meccanica scambiata per la respirazione e contro la gravità
C = flusso termico disperso per convezione
R=
flusso termico disperso per irraggiamento
E=
flusso termico disperso per evaporazione dalla pelle e per la
respirazione.
Dall'impostazione dell'equazione precedente in funzione dei parametri ambientali e soggettivi,
si ricava l'equazione del benessere dovuta a Fanger.
La potenza M liberata dai processi ossidativi nel corpo umano (per un generico livello metabolico)
viene convertita in potenza meccanica interna (per l'attività polmonare) ed esterna, ed in potenza termica interna.
Quando il corpo compie lavoro aumenta il metabolismo e la potenza prodotta. Il rapporto tra lavoro esterno e
15
metabolismo definisce un rendimento meccanico del corpo umano (ε) che mediamente può assumersi pari a 0.1.
La potenza metabolica può calcolarsi in base al consumo di ossigeno e viene espressa in met , unità metabolica
che esprime l'energia liberata per unità di tempo e per unità di superficie, da un individuo medio, seduto e
inattivo (1met = 58.2 W/m2). Alcuni valori della potenza metabolica per unità di area della superficie del corpo
umano sono riportati nella tabella seguente, insieme al rendimento meccanico.
Potenza metabolica per unità di
area M
met
W/m2
Tipo di attività svolta
Persona seduta inattiva
Attività sedentaria
Attività lavorativa in esercizi commerciali
Attività
manuale
di
carpenteria
e
falegnameria
Attività connesse a lavorazioni a macchina
(foratura, piallatura)
Attività di laboratorio
Attività sportive:
ginnastica
Tennis
Marcia su piano orizzontale(8km/h)
Rendimento
meccanico
1.0
1.2
1.4-2.0
1.8
58.2
69.8
81.5-116.5
104.7
0
0
0-0.1
0-0.1
4.0-6.4
232.8-372.5
0.1-0.2
1.6-2.2
93.2-128
0-0.2
3.0-4.0
4.6
5.8
174.6-232.8
267.8
337.6
0-0.1
0-0.1
0
Tenendo presente che la superficie di scambio media del corpo umano è valutata di 1.8 m2 le potenze
metaboliche per individuo possono variare tra circa 100 e 900 W.
Il corpo umano immette anche nell'ambiente una certa massa di acqua sotto forma di vapore per
respirazione ed evaporazione. Per un adulto in condizioni di riposo la massa di acqua prodotta è stimata
dell'ordine di 50-60 g/h.
Le condizioni di benessere vengono così indicate:
INVERNALE
ESTIVO
t = 20 ± 1°C
t = 26 ± 1°C
i = 50 ± 10%
i = 50 ± 10%
12.7. Generalità sul condizionamento
Con il termine "condizionamento" si intende l’insieme delle operazioni idonee al
controllo della temperatura e del contenuto di vapore dell'aria all'interno di un ambiente
soggetto a scambi termici e di massa (carichi termoigrometrici).
Tali scambi riguardano sia gli apporti energetici, dovuti a sorgenti interne ed ai flussi termici
attraverso le pareti opache o trasparenti limitanti l’ambiente, sia i flussi entalpici associati alle
portate d'acqua o vapore immesse per la presenza di persone o sorgenti.
Il controllo delle condizioni climatiche desiderate viene raggiunto introducendo nell'ambiente
una definita portata d'aria umida caratterizzata da uno stato termodinamico tale da produrre le
condizioni volute.
Nella presente trattazione si considera nell'ambiente un solo locale servito da un impianto a
“tutt’aria”, cioè privo di corpi scaldanti o refrigeranti.
L'aria uscente dall'ambiente viene normalmente ricircolata attraverso l'impianto al fine di
contenere i consumi energetici.
16
La portata di aria secca m& as è costante sia attraverso la sezione di ingresso, sia attraverso
quella di uscita.
12.8. Bilanci di energia e di massa dell'ambiente condizionato
Si consideri il locale in figura servito da un impianto senza ricircolazione
qV
m& as
0
1
m& V
2
Fig. 12.11. Schema degli scambi di un locale condizionato.
Per mantenere nel locale le condizioni volute 2 (i2, t2 → y2, H’2), occorre introdurre una
portata di aria m& as di caratteristiche opportune (i1, t1 → y1 , H’1).
Se l'aria da trattare è quella esterna, nello stato (i0, t0), la batteria dovrà modificarne le
caratteristiche fino ad ottenere lo stato 1.
Quest'ultimo dipende (oltre che da 2) dai bilanci di massa ed energia del locale.
L'ambiente in esame scambia energia con l'esterno attraverso le pareti perimetrali vetrate ed
opache che lo delimitano. Sono inoltre da considerare le sorgenti termiche interne dovute a
macchine, elaboratori, lampade, persone etc.. La sommatoria delle potenze termiche elencate
costituisce il cosiddetto carico termico sensibile qV (che cioè fa variare la temperatura
dell'aria ambiente). Si ha pertanto :
q v = q p + q vt + q s
con:
q p = ∑ K i S i ∆Ti
q vt = ∑ K i S i ∆Ti + ∑ τ j S j q solare
q s = ∑ sorgenti
flusso termico attraverso le pareti opache
flusso termico attraverso le pareti vetrate
flusso termico dovuto a sorgenti (macchine, persone..)
Nell'ambiente è inoltre solitamente prodotto del vapore acqueo, con una certa portata oraria,
conseguente alla presenza di persone, macchine, processi tecnici svolti. Il prodotto della
portata massica m& v per l'entalpia del vapore H v viene anche denominato carico termico
latente nel senso che principalmente provoca una variazione del contenuto di vapore:
17
qlatente = m& v H v
Nelle condizioni del regime stazionario, si può rappresentare il locale come un volume di
controllo in condizioni di regime e porre:
m& v = m& as ( y 2 − y1 )
Bilancio di massa:
Bilancio energetico: q v = m& as H − ( m& as H + m& v H v )
'
2
'
1
(12.13)
(12.14)
In questo modo il calore latente è rappresentato da una portata entrante m& v di entalpia hv .
Dalla (12.14) il carico termico totale può scriversi:
qt = q v + m& v H v = m& as ( H 2' − H 1' )
(12.15)
Dividendo membro a membro la (12.15) per la (12.13) si ottiene:
qv
H ' − H 1'
+ Hv = 2
m& v
y 2 − y1
Il rapporto
R=
∆H '
∆y
(12.16)
(12.17)
prende il nome di fattore di carico. Sul diagramma di Mollier, il luogo dei punti che
soddisfano il bilancio energetico e di massa espresso dalle (12.13) e (12.14) è una semiretta
passante per 2 e di pendenza R.
L'aria viene dunque introdotta nell'ambiente nello stato 1 (t1, y1) e mescolandosi (scambiando
calore e massa) si trasforma, consentendo l'instaurarsi delle condizioni ambientali A (t2, y2).
Questa trasformazione rappresentata nel diagramma di Mollier, è un segmento di retta di cui il
∆H '
rappresenta il coefficiente angolare.
rapporto R =
∆y
Le equazioni di bilancio scritte costituiscono un sistema di due equazioni nelle incognite m& as ,
H'1, y1 ; tutte le altre grandezze sono calcolabili o prefissate. Sarà necessario fissare una delle
tre incognite per ricavare le altre: per esempio la portata d'aria secca oppure la temperatura di
immissione t1. Il calcolo si effettua nelle condizioni di maggior carico e l'impianto sarà poi
regolato ora per ora in base alle esigenze.
Un modo di operare è il seguente: si fissa la temperatura t1
t1 = t 2 + ( 15 ÷ 20 )°C
- nella stagione invernale
t1 = t 2 − ( 6 ÷ 10 )°C
- nella stagione estiva
e si ricava il valore della portata di aria da immettere. Si verifica infine che il valore trovato
m& as sia sufficiente a garantire i ricambi orari richiesti dall'ambiente (per esempio 25 m3/h a
persona) e ad impedire la stratificazione dell’aria. La portata m& as dovrà risultare maggiore
delle portate minime indicate.
18
Nel caso di ricircolazione dell'aria, una portata di aria pulita m& e viene prelevata dall'esterno a
(t0, i0) e mescolata con la portata di ricircolo di caratteristiche (t2 , i2).
qV
m& e
0
m& as
M
1
m& V
m& r
2
Fig. 12.12. Schema degli scambi di un locale condizionato con ricircolazione dell’aria.
Contemporaneamente viene scaricata all’esterno una portata m& e , pari a quella di rinnovo m& r .
Nel condizionatore entra la portata m& as con caratteristiche (tM, iM) derivanti dalla
miscelazione.
Nel condizionamento è normalmente positivo il flusso latente, mentre quello sensibile risulta
positivo in condizioni estive e negativo in condizioni invernali: ne risulta R > 0
in
condizioni estive, R < 0 in condizioni invernali.
Si ha pertanto un diverso modo di operare dell'impianto nelle due condizioni.
12.8.1. Condizionamento estivo
Nella stagione estiva il locale condizionato deve essere mantenuto in condizioni
termoigrometriche dell’ordine di t2 = 26 °C, i2 = 0.5. Il carico termico sensibile è
principalmente dovuto agli apporti energetici attraverso le pareti limitanti l’ambiente ed a
quelli legati alla presenza di sorgenti termiche e persone. Il carico termico latente è dovuto
alla portata di vapore introdotta dagli occupanti per respirazione e sudorazione.
In genere d'estate l'aria esterna è calda ed umida (y elevato) ed il suo stato corrisponde ad
esempio al punto 0 del diagramma seguente. Poiché viene miscelata con l'aria di ricircolo
nello stato 2, la portata da "trattare" avrà le condizioni M (di miscela) con:
M 0 mr
=
2 M me
Dallo stato M dovrà essere portata allo stato 1 per l'immissione nell'ambiente. Per ottenere ciò
sarà necessario deumidificare e raffreddare.
19
00
33
34
00
35
00
36
00
37
00
39
00
38
00
40
00
450
0
500
0
7000
6000
8000
15000
10000
9000
50
t [°C]
200
h'=
R
i = 0.1
45
40
00
32
0.3
i=
30
2
25
M
0
150
h'=
35
i=
i=
0.4
i = i = 0 0.5
i
.
i = i = = 0 0.7 6
1. 0.9 .8
0
i=0
.2
00
31
0
300
0
290
100
h'=
20
]
s.
a.
/kg
[kJ
'
h
2800
1
15
2700
50
h'=
1’
10
2600
5
2500
0
0.00
0.01
0.02
0.03
0.04
0.05
0.06
y [kgH O/kga.s.]
2
0
h'=
-5
Pressione P = 101.3 [kPa]
t temperatura al bulbo asciutto [°C]
y umidità specifica, [kgH O/kga.s.]
2400
2
-10
h' entalpia per kg di aria secca [kJ/kga.s.]
R = ∆h'/∆y, pendenza della retta di carico
2300
-15
-
00
16
00
15
00
14
00
13
00
12 0
0
11 0
0
10
0
500
0
-100
-2000
-5000
10000
-20
+ R
17
00
18
00
19
00
20
00
210
0
220
0
Fig. 12.13. Retta di carico e stati termodinamici dell’aria per il condizionamento estivo.
Lo stato 1 di immissione dell’aria può essere ottenuto con varie soluzioni impiantistiche, più o
meno complesse, che comportano differenti possibilità di controllo ambientale, quando le
condizioni si allontanano da quelle nominali di progetto.
Si può far passare l’aria attraverso una batteria refrigerante (deumidificazione con
raffreddamento) e successivamente riscaldarla ad umidità specifica costante fino a
raggiungere lo stato M. Il processo è rappresentato schematicamente dalla linea nera che, in
Fig. 12.13, unisce M ad 1.
Nel processo reale una parte del flusso d’aria umida che attraversa la batteria refrigerante, di
fatto la “bypassa” rimanendo praticamente nello stato M, mentre la restante parte del flusso si
raffredda, con effettiva condensazione del vapore. Il risultato è che all’uscita della batteria
non si ottiene lo stato 1’, ma uno stato ad esso prossimo, con elevata umidità relativa, non
saturo. Il successivo riscaldamento consente di ottenere le condizioni 1 volute.
L’unità di condizionamento estiva prevede dunque una batteria “fredda” e generalmente un
riscaldatore. I flussi termici corrispondenti alle trasformazioni M1’ ed 1’1 sono valutabili
come prodotto della portata in massa di aria secca per le corrispondenti variazioni di entalpia
specifica
20
12.8.2. Condizionamento invernale
t [°C]
00
33
34
00
35
00
36
00
37
00
39
00
38
00
40
00
450
0
500
0
6000
7000
8000
15000
50
10000
9000
Durante il regime invernale, come già notato, si vuol mantenere nel locale
condizionato una temperatura di 20°C ed una umidità relativa intorno al 50%. Il carico
termico sensibile è negativo per le dispersioni termiche attraverso le pareti, mentre
generalmente si trascurano gli apporti positivi dovuti alle persone, all’irraggiamento solare ed
all’impianto di illuminazione. Il flusso entalpico dovuto al vapore prodotto è in genere
trascurato nel bilancio termico.
Nel caso invernale l'aria esterna è alquanto secca e fredda, deve pertanto essere riscaldata e
umidificata.
Anche in questo caso la portata di aria da trattare è generalmente costituita da due parti: la
portata di rinnovo m& e , rispondente alle esigenze di qualità dell’aria del locale, e la portata di
ricircolo m& r . Per ottenere che l'aria all'uscita del condizionatore sia nelle condizioni
desiderate, occorre in genere provvedere a somministrare calore, per aumentarne la
temperatura, e umidificare. Un solo trattamento non è di norma sufficiente per raggiungere
entrambi gli scopi nella misura necessaria.
200
h'=
R
i = 0.1
45
1
0.3
i=
30
25
15
]
s.
a.
/kg
[kJ
'
h
2800
A
2700
50
h'=
10
5
0
300
0
290
100
h'=
2
20
150
h'=
35
i=
i=
0.4
i = i = 0 0.5
i
i = i = = 0 0.7 .6
1. 0.9 .8
0
00
31
i=0
.2
40
00
32
B
M
0
2600
2500
0
0.00
0.01
0.02
0.03
0.04
0.05
0.06
y [kgH O/kga.s.]
2
0
h'=
-5
Pressione P = 101.3 [kPa]
t temperatura al bulbo asciutto [°C]
y umidità specifica, [kgH O/kga.s.]
2400
2
-10
h' entalpia per kg di aria secca [kJ/kga.s.]
R = ∆h'/∆y, pendenza della retta di carico
2300
-15
-
00
16
00
15
00
14
00
13
00
12 0
0
11 0
0
10
0
500
0
-100
-2000
-5000
10000
-20
+ R
17
00
18
00
19
00
20
00
210
0
220
0
Fig. 12.14. Diagramma degli stati termodinamici nel condizionamento invernale con miscelazione.
21
Gli schemi che possono essere adottati relativamente all'effettuazione della miscela tra aria
esterna e aria di ricircolo sono diversi e normalmente converrà ripetere, se possibile, lo
schema scelto per il caso estivo, in modo da utilizzare la stessa tipologia di gruppo di
trattamento dell'aria.
Il passaggio dallo stato M allo stato 1 può essere ottenuto in diversi modi che dipendono dal
tipo di apparecchiature usate. Se si suppone, come accade di solito, di impiegare batterie a
tubi alettati per il riscaldamento a umidità specifica costante e umidificatori a spruzzo per i
processi di umidificazione, le trasformazioni più convenienti, anche per quanto riguarda i
problemi di regolazione, sono: il preriscaldamento MA, l'umidificazione per saturazione
adiabatica AB e il post-riscaldamento B1.
L’unità di condizionamento invernale, nello schema sopra indicato, prevede dunque un
riscaldatore, un umidificatore ed un secondo riscaldatore. I flussi termici corrispondenti alle
trasformazioni MA ed B1 sono valutabili come prodotto della portata in massa di aria secca
per le corrispondenti variazioni di entalpia specifica
22
Scarica