Il codice del processo amministrativo

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Vincenzo Salamone1
I riti camerali e speciali nel nuovo processo
amministrativo (dopo il primo correttivo
D.L.vo n. 195 del 2011)
Sommario: 1 – Introduzione; 2 - Udienza e camera di consiglio
di discussione dei ricorsi; 3 - Il giudizio di ottemperanza al
giudicato ed alle sentenze esecutive del giudice amministrativo;
4 - Il giudizio in tema di accesso ai documenti amministrativi; 5 Il giudizio sul silenzio dell’Amministrazione; 6 - La definizione
con sentenza in forma e procedura abbreviata alternativa alla
misura cautelare; 7 – I riti camerali di opposizione ai decreti che
dichiarano l’estinzione e l’improcedibilità; 8 - Procedimento di
ingiunzione; 9 - I riti abbreviati relativi a speciali controversie
(art. 119 CPA); 10 - Il rito speciale in materia di procedure di
affidamento di appalti e servizi pubblici; 11 - Le peculiarità del
rito delle infrastrutture strategiche; 12 - Il rito elettorale; 13 - Il
rito in materia di ammissione delle liste e dei candidati; 14 - Il
rito relativo alle operazioni elettorali di comuni, province,
regioni e Parlamento europeo; 15 – Il sistema di tutela
cautelare.
1 - Introduzione.
1
Presidente della 2^ sezione del Tribunale amministrativo regionale del
Piemonte.
1
Il d. l.vo n. 104 del 2 luglio 2010, in attuazione della delega
conferita al Governo dall'art. 44 1. n. 69 del 2009, ha approvato il
Codice del processo amministrativo, entrato in vigore il 16
settembre 2010.
Sul piano sostanziale, il Codice ha consentito di adattare il
tradizionale processo amministrativo, incentrato sul modello
impugnatorio, alla mutata realtà derivante dall’evoluzione
normativa nazionale ed europea e dalla giurisprudenza della
Corte costituzionale, che, pur nel rispetto delle necessarie
differenze legate al diverso ruolo delle due giurisdizioni, hanno
progressivamente riconosciuto al giudice amministrativo nuovi
strumenti di tutela, analoghi a quelli di cui dispone il giudice
ordinario (si pensi alla tutela cautelare ante causam, alla
consulenza tecnica d’ufficio, alla prova per testi, o ancora
all’azione risarcitoria o all’opposizione di terzo), la cui concreta
attuazione non poteva, tuttavia ancora una volta essere lasciata
alla libera interpretazione e non può, quindi, prescindere da un
quadro
normativo
chiaro
e
definito,
quale
il
Codice
indubitabilmente offre.
Secondo la lettura data dalla recente sentenza dell'adunanza plenaria del
Consiglio di Stato n. 3 del 2011 il codice del processo amministrativo, in
coerenza con il criterio di delega fissato dall’art. 44, comma 2, lettera b,
n. 4, della legge 18 giugno 2009, n. 69, ha superato la tradizionale
limitazione della tutela dell’interesse legittimo al solo modello
impugnatorio, ammettendo l’esperibilità di azioni tese al conseguimento
di pronunce dichiarative, costitutive e di condanna idonee a soddisfare la
pretesa della parte vittoriosa.
Di qui, la trasformazione del giudizio amministrativo, ove non vi si
frapponga l’ostacolo dato dalla non sostituibilità di attività discrezionali
2
riservate alla pubblica amministrazione, da giudizio amministrativo
sull’atto, teso a vagliarne la legittimità alla stregua dei vizi denunciati in
sede di ricorso e con salvezza del riesercizio del potere amministrativo, a
giudizio sul rapporto regolato dal medesimo atto, volto a scrutinare la
fondatezza della pretesa sostanziale azionata.
Il bilancio sull’impatto che ha avuto nell’attività giurisdizionale è
positivo, soprattutto perché offre un quadro di insieme organico del
sistema processuale.
Tale successo è confermato dalla circostanza che il primo
correttivo al Codice è stato appartato dal dal Decreto legislativo
15 novembre 2011, n. 195 (in G.U. n. 273 del 23 novembre 2011
- in vigore dal 9 dicembre 2011) recante “Disposizioni correttive
ed integrative al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, recante
codice del processo amministrativo a norma dell'articolo 44,
comma 4, della legge 18 giugno 2009, n. 69”2.
2
Il decreto legislativo è stato predisposto ai sensi della legge 18 giugno
2009 n. 69, il cui articolo 44, comma 4, ultimo periodo prevede che "entro
due anni dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma
1, possono ad essi essere apportate le correzioni e integrazioni che
l’applicazione pratica renda necessarie od opportune, con lo stesso
procedimento e in base ai medesimi princìpi e criteri direttivi previsti per
l’emanazione degli originari decreti." A tale scopo, il Consiglio di Stato ha
elaborato, a mezzo dell’apposita Commissione già istituita per la redazione
del decreto legislativo recante il "codice del processo amministrativo" e
integrata di taluni elementi con decreto del Presidente del Consiglio di Stato
in data 6 ottobre 2010, una proposta di testo contenente alcune
modificazioni, integrazioni e abrogazioni del d.lgs. 104/2010, alla luce delle
questioni emerse nella prassi e delle sollecitazioni provenienti dalla dottrina
e dagli operatori del settore dopo il primo periodo di applicazione; rimane,
comunque, aperta la possibilità di adottare ulteriori perfezionamenti nel
biennio prescritto dalla legge-delega, ancora ben lungi dall’essere
consumato. Talune modifiche del testo in questione possono essere
ricondotte nell’ambito del coordinamento testuale e del miglioramento della
precisione lessicale, altre chiariscono i rapporti tra il codice del processo
amministrativo e il codice di procedura civile (ad esempio, l’art. 12 in
materia di rapporto tra giudizio amministrativo e l’arbitrato nonché l’art.
108 in materia di opposizione di terzo), altre ancora, infine, coordinano il
testo vigente con sopravvenienze normative e pongono mano, in termini di
chiarificazione, a singole questioni processuali la cui criticità è stata da
subito posta in evidenza nelle prime applicazioni pratiche del nuovo codice
3
2 - Udienza e camera di consiglio di discussione dei ricorsi.
Il processo amministrativo si svolge con due modalità:
- in pubblica udienza (di regola con sanzione di nullità);
- con procedimenti in camera di consiglio.
I procedimenti in camera di consiglio si possono svolgere
esclusivamente nei casi previsti dalla legge ed in particolare dal
comma 2 dell'articolo 87.
La casistica prevista da quest'ultima norma con carattere di
tassatività ricomprende:
a) i giudizi cautelari e quelli relativi all'esecuzione delle misure
cautelari collegiali;
b) il giudizio in materia di silenzio;
c) il giudizio in materia di accesso ai documenti amministrativi;
d) i giudizi di ottemperanza;
e) il giudizio in opposizione ai decreti che pronunciano
l'estinzione o l'improcedibilità del giudizio.
Le modifiche ai commi 1 e 3 dell’articolo 87 dal D. L.vo n. 195
del 2011 si propongono l’obiettivo di allineare il processo
amministrativo a quello civile, quanto ai casi nei quali è possibile
derogare al principio di pubblicità delle udienze; e altresì di
chiarire il regime dei termini per i ricorsi in materia di accesso –
per i quali è richiamato l’articolo 116, comma 1, che ne detta la
di rito amministrativo. Il testo è stato vagliato dalla Presidenza del Consiglio
dei ministri e concertato con le altre Amministrazioni centrali competenti
per materia anche attraverso lo svolgimento di apposite riunioni, in cui è
stata condivisa l’esigenza di apportare al codice del processo
amministrativo, almeno in parte fin da subito, le modificazioni, integrazioni,
e abrogazioni proposte dalla Commissione appositamente costituita presso il
Consiglio di Stato.
4
disciplina – e, sempre relativamente ai ricorsi che si portano in
camera di consiglio, in appello.
Il presidente del collegio può disporre che si svolgano a porte
chiuse, se ricorrono ragioni di sicurezza dello Sato, di ordine
pubblico e di buon costume.
L'eccezionalità del procedimenti in camera di consiglio
comporta che lo svolgimento del processo con modalità diverse
dall’udienza pubblica al di fuori dei casi espressamente previsti
dalla legge è sanzionato con la nullità degli atti processuali
compiuti, ivi compresi i provvedimenti giurisdizionali adottati.
Invece la trattazione in pubblica udienza di riti che si dovrebbero
svolgere con i procedimenti in camera di consiglio non comporta
alcun profilo di invalidità degli atti (articolo 87 comma 4).
L'articolo 73 del codice disciplina gli adempimenti delle parti
relativi alla fase anteriore allo svolgimento dell'udienza
pubblica.
Norma applicabile per la parte non derogata dall'articolo 87
comma 3 ai riti camerali.
L'aspetto più saliente è costituito da un incremento dei termini
per il deposito di atti memorie e repliche.
Le parti, infatti, possono produrre:
- documenti fino a quaranta giorni liberi prima dell'udienza,
- memorie fino a trenta giorni liberi;
- presentare repliche fino a venti giorni liberi.
Particolarmente innovativa è la norma che introduce la possibilità
di produrre memorie di replica; facoltà che presuppone
5
l'avvenuto deposito di memorie nel termine di 20 giorni liberi
prima dell'udienza.
L’addizione operata al comma 1, dell’articolo 73 dal D.L.vo n.
195 del 2011 chiarisce, in un’ottica di semplificazione
processuale nel rispetto del principio del contraddittorio, che le
repliche sono possibili solo se è stata depositata, dalla
controparte, una memoria o documenti in vista dell’udienza di
merito e che tali atti costituiscono altresì il limite contenutistico
delle stesse repliche.
La memoria di replica è destinata esclusivamente a illustrare e
chiarire le ragioni già compiutamente svolte con l'atto di
costituzione e a confutare le tesi avversarie.
Con tale atto, pertanto, non è possibile specificare o integrare,
ampliandolo, il contenuto delle originarie argomentazioni che
non siano state adeguatamente prospettate o sviluppate con il
ricorso, e, tanto, meno a dedurre nuove eccezioni o sollevare
nuove questioni di dibattito, diversamente violandosi il diritto di
difesa della controparte, in considerazione della esigenza per
quest'ultima di valersi di un congruo termine per esercitare la
facoltà di replica3.
Nei riti di cui sopra, che si svolgono con il procedimento in
camera di consiglio tutti i termini processuali previsti sono
dimezzati rispetto a quelli del processo ordinario disciplinati
dall'articolo 73, tranne quelli per la notificazione del ricorso
introduttivo, del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti.
Le parti, infatti, possono:
3
Giova ricordare che precedentemente all'entrata in vigore del codice il termine per il
deposito delle memorie era di giorni 10 e quello di deposito degli atti di 20 giorni.
6
- produrre documenti fino a venti giorni liberi prima dell'udienza,
- presentare memorie fino a quindici giorni liberi;
- presentare repliche fino a dieci giorni liberi.
Il correttivo di cui al D.L.vo n. 195 del 2011 dell’articolo 54,
comma 1, oltre ad alcuni aggiustamenti meramente lessicali, ha
soprattutto lo scopo di chiarire che la norma disciplina il potere
di autorizzare il deposito tardivo successivamente alla scadenza
del termine di legge.
E’ stato pertanto sostituito il termine "risulta" con "sia risultata".
Conseguentemente la presentazione tardiva di memorie o
documenti, può essere eccezionalmente autorizzata, su richiesta
di parte, dal collegio, assicurando comunque il pieno rispetto del
diritto delle controparti al contraddittorio su tali atti, quando la
produzione nel termine di legge sia risultata estremamente
difficile.
La camera di consiglio è fissata d'ufficio alla prima udienza
camerale utile successiva al trentesimo giorno decorrente dalla
scadenza del termine di costituzione delle parti intimate (30
giorni dall'effettuazione dell'ultima notifica, intesa come data di
ricezione da parte del destinatario).
Il sistema dei termini esclude la fissazione dell’udienza camerale
prima di 60 giorni dall’ultima notifica (salva la possibilità di
disporre l’abbreviazione
dei termini su richiesta della parte
ricorrente e concessa con provvedimento del presidente del
tribunale o della sezione).
L'automatismo nella fissazione della camera di consiglio
(prima udienza utile successiva al trentesimo giorno
decorrente dalla scadenza del termine di costituzione delle
7
parti) comporta che se rispettato non sussiste l'obbligo di
notifica dell'avviso di fissazione della camera di consiglio,
che, altrimenti, va notificato alle parti costituite almeno 30
giorni liberi prima.
Quest'ultima
norma
semplifica
in
particolare
gli
adempimenti della segreteria .
La disciplina predetta non trova applicazione ai termini
relativi ai procedimenti cautelari trattati in camera di
consiglio che seguono le regole previste dagli articoli 55 e
seguenti del codice.
Nella camera di consiglio sono sentiti i difensori che ne fanno
richiesta (una corretta applicazion e della norma presuppone che
la richiesta venga formalizzata negli scritti difensivi.
Anche per i riti camerali è applicabile la disciplina dei termini
che il codice ha reso più omogenea nell'ottica di un riordino
generale (che ha consentito di superare le attuali incertezze
giurisprudenziali sui termini per la proposizione dei motivi
aggiunti e dei ricorsi incidentali) e “razionalizzati” in vista di un
più pieno contraddittorio e di una migliore conoscenza della
controversia da parte del giudice (obiettivo cui sono finalizzati i
nuovi termini per il deposito dei documenti e delle memorie e
l’introduzione del diritto di replica), dedicando inoltre particolare
cura alle modalità per il relativo computo (come nel caso dei
termini a “ritroso” dall’udienza o dalla camera di consiglio in
scadenza in giorni festivi), e cercando per un verso di
semplificare le modalità di deposito degli atti soggetti a notifica e
delle decisioni impugnate e per l’altro di garantire l’effettiva
disponibilità dei documenti depositati alle altre parti processuali4.
4
Ai sensi dell'articolo 52 i termini assegnati dal giudice, salva diversa previsione, sono
qualificati perentori, pertanto, il mancato rispetto comporta decadenza.
8
Giova ricordare che la fissazione del termine è diretta ad
assicurare alla parte che subisce l'iniziativa processuale, un
adeguato ed inderogabile margine temporale per approntare le
proprie difese, sicché lo spostamento in avanti della scadenza,
producendo l'abbreviazione del termine, verrebbe a pregiudicare
l'esigenza di un'adeguata garanzia difensiva5.
Pur tuttavia per i riti camerali occorre rilevare che l'attuale
disciplina dei termini di fissazione della camera di consiglio
comporta un sostanziale allungamento dei tempi di definizione
Il presidente può autorizzare la notificazione del ricorso o di provvedimenti anche
direttamente dal difensore con qualunque mezzo idoneo, compresi quelli per via
telematica o fax, ai sensi dell'articolo 151 del codice di procedura civile.
Il presidente, in particolare, può prescrivere anche d'ufficio, con decreto steso in calce
all'atto che la notificazione sia eseguita in modo diverso da quello stabilito dalla legge,
anche per mezzo di telegramma collazionato, ai sensi dell’art. 2706 c.c., con avviso di
ricevimento e ciò quando lo consigliano circostanze particolari o esigenze di maggiore
celerità, di riservatezza o di tutela della dignità.
Merita particolare attenzione la norma la quale prevede che se il giorno di scadenza è
festivo il termine fissato dalla legge o dal giudice per l'adempimento è prorogato di
diritto al primo giorno seguente non festivo, tenendo conto che il sabato è ormai
considerato giorno festivo (ad esempio termini per la notifica e per il deposito del
ricorso).
Mentre per i termini computati a ritroso, la scadenza è anticipata al giorno antecedente
non festivo (ad esempio i termini per il deposito degli atti, delle memorie degli avvisi
di fissazione delle udienze, per cui se il giorno di camera di consiglio per la trattazione
della domanda cautelare ricade di mercoledì il termine per il deposito degli atti e delle
memorie scade il sabato della settimana precedente)Va a tal proposito rilevato che
l'art. 155, comma 4, c.p.c. (introdotto dall'art. 2, comma 1, lett. f, della legge n. 263 del
2005), diretto a prorogare al primo giorno non festivo il termine che scada nella
giornata del sabato, opera con esclusivo riguardo ai termini a decorrenza successiva, e
non anche per quelli che si computano "a ritroso", con l'assegnazione di un intervallo
di tempo minimo prima del quale deve essere compiuta una determinata attività, in
quanto, altrimenti, si produrrebbe l'effetto contrario di una abbreviazione
dell'intervallo, in pregiudizio con le esigenze garantite con la previsione del termine
medesimo.
5
Ciò sebbene la giurisprudenza amministrativa abbia ritenuto che poiché il termine di
dieci giorni liberi per il deposito delle memorie prima dell'udienza è stabilito dall'art.
23, comma 4, l. 6 dicembre 1971 n. 1034 al fine di consentire alla controparte di
apprestare adeguatamente le proprie difese, se il decimo giorno libero cada di sabato e
l'operatività degli uffici sia limitata in tale giorno alla ricezione degli atti senza la
possibilità dello scambio, la memoria deve essere depositata, a pena di
inammissibilità, il giorno precedente (Cons.giust.amm. Sicilia , sez. giurisd., 30 marzo
2009 , n. 215).
9
dei processi (il riferimento va in particolare al rito sull'accesso e a
quello il silenzio della pubblica amministrazione disciplinati
rispettivamente dagli articoli 116 e 117 CPA)6.
Con riferimento a tali riti è tuttavia possibile utilizzare lo
strumento dell'abbreviazione dei termini processuali.
Ai sensi dell'articolo 53 del codice nei casi d'urgenza, il
presidente del tribunale può, su istanza di parte, abbreviare fino
alla metà i termini previsti dal codice per la fissazione di udienze
o di camere di consiglio.
Conseguentemente sono ridotti proporzionalmente i termini per
le difese della relativa fase. Il decreto di abbreviazione del
termine, va redatto in calce alla domanda, è notificato, a cura
della parte che lo ha richiesto, all'amministrazione intimata e ai
controinteressati.
In detta ipotesi il termine abbreviato comincia a decorrere
dall'avvenuta notificazione del decreto7.
6
Ai sensi dell'art. 37 comma 1, c.p.a. sussistono i presupposti per ammettere
l'appellante al beneficio della rimessione in termini per errore scusabile ove il ricorso
in appello sia stato notificato e depositato poche settimane dopo l'entrata in vigore del
codice del processo amministrativo, atteso che la nuova regola del dimezzamento dei
termini endoprocessuali, fissata dall'art. 87 comma 2, di detto codice per i giudizi in
camera di consiglio, rappresenta una radicale innovazione rispetto al sistema
previgente (Consiglio Stato , sez. III, 11 marzo 2011 , n. 1578)
7
L'articolo 54 del codice prevede che la presentazione tardiva di memorie o
documenti, su richiesta di parte, può essere eccezionalmente autorizzata dal collegio a
condizione che sia assicurato comunque il pieno rispetto del diritto delle controparti al
contraddittorio su tali atti, quando la produzione nel termine di legge risulta
estremamente difficile.
In ogni caso la segreteria alla quale perviene una produzione di memorie o di atti fuori
termine dovrà acquisirli e inserirli in busta sigillata che riporti all'esterno il contenuto e
dovrà allegarla al fascicolo processuale segnalando detto adempimento ai componenti
del collegio.
10
3 - Il giudizio di ottemperanza al giudicato ed alle sentenze
esecutive del giudice amministrativo.
- Il Codice disciplina, agli artt. 112, 113, 114 e 115, il giudizio
di ottemperanza, unificando la disciplina del giudizio di
ottemperanza8.
L’art. 112 conferma il principio di effettività della tutela
giurisdizionale secondo cui i provvedimenti del giudice
amministrativo (e degli altri giudici della Repubblica) devono
essere eseguiti dalla pubblica amministrazione e dalle altre parti.
8
La Corte costituzionale con la sentenza 8 febbraio 2006 n. 44 ha ritenuto
manifestamente infondata, in riferimento agli art. 3, 24, 97, 111 e 113 cost., la q.l.c.
dell'art. 37 l. 6 dicembre 1971 n. 1034, nella parte in cui non consente l'utilizzazione
del giudizio di ottemperanza con riguardo alle sentenze del giudice ordinario
esecutive, ancorché non passate in giudicato. Si tratta di questione identica ad altra già
dichiarata manifestamente infondata sulla base dei seguenti rilievi: il giudizio di
ottemperanza concerne, di norma, sentenze passate in giudicato e che questa scelta del
legislatore non appare irragionevole, in quanto la procedura di ottemperanza nei
confronti della p.a. comporta l'esercizio di una giurisdizione estesa al merito; la
previsione di cui all'art. 33 l. n. 1034 del 1971, secondo la quale il giudizio di
ottemperanza può esercitarsi nei confronti delle sentenze del TAR non sospese dal
Consiglio di Stato, rientra nella discrezionalità del legislatore, il quale ha voluto dare
concretezza al principio di esecutività delle sentenze di primo grado; sono differenti e,
quindi, non comparabili le azioni esecutive esperibili davanti al giudice ordinario
secondo le norme di procedura civile, trattandosi di sentenze o di provvedimenti
esecutivi che non richiedono l'esame di merito proprio del giudizio di ottemperanza;
non può quindi parlarsi di disparità di trattamento fra l'ipotesi di esecuzione di
sentenza amministrativa di primo grado, perseguita attraverso il giudizio di
ottemperanza, e l'ipotesi di esecuzione delle sentenze di primo grado del giudice
ordinario; stante la diversità degli istituti, non può conseguentemente parlarsi, in
relazione all'esecuzione delle sentenze del giudice ordinario, né di pregiudizio per la
tutela dei diritti del creditore, né di pregiudizio per la ragionevole durata del processo,
la quale è garantita peraltro dai tempi processuali disposti dal codice di procedura
civile; il principio di buon andamento si riferisce agli organi dell'amministrazione
della giustizia unicamente per profili concernenti l'ordinamento degli uffici giudiziari
ed il loro funzionamento sotto l'aspetto amministrativo, ma non riguarda l'esercizio
della funzione giurisdizionale nel suo complesso e i provvedimenti che ne
costituiscono espressione.
Il predetto indirizzo giurisprudenziale è stato recentemente superato dalle SS. UU
della Corte di Cassazione 28 gennaio 2011 n. 2065, muovendo da un mutato quadro
normativo.
11
Lo
strumento
per
ottenere
l’esecuzione
è
l'azione
di
ottemperanza, che può essere proposta, come sopra rilevato, per
conseguire l'attuazione:
a) delle sentenze del giudice amministrativo passate in giudicato;
b) delle sentenze esecutive e degli altri provvedimenti esecutivi
del giudice amministrativo;
c) delle sentenze passate in giudicato e degli altri provvedimenti
ad esse equiparati del giudice ordinario, al fine di ottenere
l'adempimento dell'obbligo della pubblica amministrazione di
conformarsi, per quanto riguarda il caso deciso, al giudicato;
d) delle sentenze passate in giudicato e degli altri provvedimenti
ad esse equiparati per i quali non sia previsto il rimedio
dell'ottemperanza, al fine di ottenere l'adempimento dell'obbligo
della pubblica amministrazione di conformarsi alla decisione9;
9
Recentemente le Sezioni unite della Corte di Cassazione hanno ritenuto la
sussistenza della giurisdizione amministrativa e segnatamente dell’applicabilità rito
del giudizio di ottemperanza con riguardo ai decreti decisori dei ricorsi straordinari sia
al Capo dello Stato che al Presidente della Regione (Cass. SSUU 28 gennaio 2011 n.
2065).
Ritiene la Corte che nel sistema così delineato la decisione su ricorso straordinario al
Capo dello Stato, resa in base al parere obbligatorio e vincolante del Consiglio di
Stato, si colloca nella ipotesi prevista alla lettera b) dell'art. 112, comma 2, e il ricorso
per l'ottemperanza si propone, ai sensi dell'art. 113, comma 1, dinanzi allo stesso
Consiglio di Stato, nel quale si identifica "il giudice che ha emesso il provvedimento
della cui ottemperanza si tratta"Si legge nella sentenza delle Sezioni unite della
Cassazione “2.11.2. Il senso di una disciplina tesa a garantire la effettività di tutela
anche al ricorso straordinario viene rivelato dall'esame dei lavori parlamentari che
hanno condotto al definitivo testo della norma: per cogliere la incisività di
quest'ultimo, occorre sottolineare che il testo originario è stato oggetto di successivi
emendamenti in sede di commissioni parlamentari, in relazione alla necessità di dare
attuazione ai principi enunciati dalla CEDU, nonché alle raccomandazioni
comunitarie - intese a sollecitare gli Stati membri a prevedere senza eccezioni l'azione
esecutiva per l'effettività delle tutele - che erano rimaste inevase dacché un precedente
disegno di legge, che prevedeva l'ottemperanza per le decisioni su ricorsi straordinari,
era decaduto per fine legislatura; infine, il parere della commissione del Senato circa la
specifica necessità di inserire anche le decisioni straordinarie del Capo dello Stato è
stato recepito nella relazione governativa, con la formulazione della norma nei termini
sopra richiamati, sì che, in definitiva, deve concludersi che è conforme a tale intentio
legis annoverare fra i "provvedimenti" del giudice amministrativo, passibili di
ottemperanza, la decisione sul ricorso straordinario.2.12. Come la dottrina ha
puntualmente osservato, alla estensione del giudizio di ottemperanza a provvedimenti
12
e) dei lodi arbitrali esecutivi divenuti inoppugnabili al fine di
ottenere
l'adempimento
dell'obbligo
della
pubblica
amministrazione di conformarsi, per quanto riguarda il caso
deciso, al giudicato10.
Per costante giurisprudenza il giudizio di ottemperanza può
essere instaurato per sancire l’obbligo dell’Amministrazione di
che non siano sentenze, o comunque provvedimenti non formalmente giurisdizionali,
non si frappongono ostacoli di ordine costituzionale, sì che è ben configurabile la
previsione normativa di un tale giudizio per le decisioni, rimaste ineseguite, del Capo
dello Stato, trattandosi di una scelta del Legislatore che - nel rispetto dei principi
costituzionali - tende a rendere effettiva la tutela dei diritti mediante il giudizio di
ottemperanza (che, appunto, svolge nell'ordinamento una funzione di "tutela": cfr.
Cass., sez. un., n. 30254 del 2008). Occorre ricordare, sul punto, che il ricorso
straordinario non è espressamente previsto dalla Costituzione (né può ritenersene la
costituzionalizzazione implicita: cfr. Corte cost. n. 298 del 1986), ma, non di meno, il
Giudice delle leggi con diversi interventi, intesi anche a conformarne la disciplina, ne
ha confermato la compatibilità con il dettato costituzionale, in relazione all'art. 113
Cost. (cfr. Corte cost. n. 1 del 1964; n. 78 del 1966; n. 31 del 1975; n. 298 del 1986; n.
56 del 2001; n. 301 del 2001), sottolineando anche come la disciplina posta dal d.P.R.
1199/1971 non solo aveva ribadito la natura del tutto atipica che il ricorso
straordinario aveva assunto sin dall'epoca della monarchia costituzionale, adeguando
la disciplina della alternatività al ricorso giurisdizionale al principio della
"trasferibilità" in sede giurisdizionale, ma, in attuazione del criterio della economicità
posto dalla legge di delegazione, ne aveva confermato il carattere di rimedio
straordinario”.
10
Il Consiglio di Stato con la sentenza 28 aprile 2011 n. 2542 ha ritenuto che
a seguito dell’entrata in vigore del codice del processo amministrativo,
approvato con d.l.vo 2 luglio 2010 n. 104, è ammissibile il ricorso per
ottemperanza per l’esecuzione di un lodo arbitrale dichiarato esecutivo e
divenuto inoppugnabile; infatti, il nuovo codice del processo amministrativo
ha consacrato l’equiparazione di cui all’art. 824/bis c.p.c. (secondo cui "il
lodo ha dalla data della sua ultima sottoscrizione gli effetti della sentenza
pronunciata dall'autorità giudiziaria"), prevedendo expressis verbis, all’art.
112, comma 1, lett. e), la proponibilità del rimedio dell’ottemperanza anche
ai fini dell’esecuzione dei lodi arbitrali esecutivi divenuti inoppugnabili.
Si conferma l’orientamento del Consiglio di Stato, che, con riguardo al
quadro normativo anteriore all’entrata in vigore del codice del processo
amministrativo, aveva ritenuto ammissibile la proposizione del rimedio
dell'ottemperanza anche ai fini dell’esecuzione del lodo arbitrale dichiarato
esecutivo (cfr., ex plurimis (Cons. Stato, sez. V, 12 ottobre 2009, n. 6241;
12 novembre 2001, n. 5788; 1° marzo 2000, n. 1089).
Secondo questo orientamento "il lodo arbitrale, già di per sé idoneo ad
acquistare l'efficacia di cosa giudicata, una volta reso esecutivo con decreto
del pretore, è titolo esecutivo nel territorio della Repubblica ai sensi dell'art.
474, c.p.c. e costituisce presupposto per l'iscrizione dell'ipoteca giudiziale ex
13
conformarsi non solo al giudicato, ma ad ogni provvedimento
giurisdizionale - sia del giudice ordinario (o di altro giudice
diverso
dall’amministrativo),
sia
dello
stesso
giudice
amministrativo - assistito da stabilità, purché tale provvedimento
definisca un determinato giudizio11.
L'oggetto del giudizio di esecuzione (anche nella particolare
forma del ricorso per l'esecuzione delle ordinanze cautelari del
G.A.) è rappresentato dalla puntuale verifica dell'esatto
adempimento da parte dell'Amministrazione dell'obbligo di
conformarsi al decisum per far conseguire all'interessato l'utilità o
il bene della vita riconosciutogli in sede di cognizione.
Nella sentenza del Consiglio di Stato IV 1° aprile 2011 n. 2070 si
legge “L’attività di verifica, che deve essere condotta nell'ambito
dello stesso quadro processuale che ha costituito il substrato
fattuale e giuridico della pronuncia di cui si chiede l'esecuzione,
art. 2819, c.c. nonché titolo per la trascrizione o l'annotazione nei registri
immobiliari e, come tale, è suscettibile di formare oggetto del giudizio
d'ottemperanza" .
Tale orientamento ha trovato conforto nelle sopravvenute disposizioni di cui
agli articoli 21, 22, 23 e 24 del decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 40,
che - nel modificare la disciplina dell'arbitrato contenuta nel codice di rito
civile - hanno ulteriormente qualificato il procedimento, il collegio ed il
lodo arbitrale in termini di effettiva giurisdizionalità.
Sono state ritenute a tal fine significative le disposizioni di cui agli articoli
813/bis (che, per ciò che concerne la responsabilità degli arbitri), 819/bis
(che prevede il potere del collegio arbitrale di promuovere innanzi alla Corte
Costituzionale la questione di legittimità costituzionale di norme di legge, ai
sensi dell'articolo 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87) e 824/bis c.p.c.
(secondo cui "il lodo ha dalla data della sua ultima sottoscrizione gli effetti
della sentenza pronunciata dall'autorità giudiziaria").
11
Si ritiene, pertanto, ammissibile ad esempio il ricorso per ottenere l'ottemperanza
dell'amministrazione all'ordinanza di assegnazione di un credito vantato nei confronti
di quest'ultima, emessa dal giudice dell'esecuzione nella procedura di pignoramento
presso terzi a seguito di positiva dichiarazione dell'amministrazione ai sensi dell'art.
547 c.p.c., in quanto tale ordinanza, non revocabile dal giudice della esecuzione né
reclamabile, si consolida se non impugnata dai soggetti che intervengono nella
procedura con il rimedio dell'opposizione agli atti esecutivi nel termine e acquisisce,
quindi, quel carattere di definitivà che consente di agire in ottemperanza, Consiglio di
Stato V 13 ottobre 2010 n. 7463.
14
comporta da parte del giudice dell'ottemperanza una attività di
interpretazione del giudicato, al fine di enucleare e precisare il
contenuto del comando. Questa Sezione ha avuto modo di
affermare (decisione n. 8252/2010) che anche sul piano
semantico-lessicale, l’elusione configura un fenomeno diverso
dall’aperta violazione del decisum, sussistendo in quei casi in cui
l’Amministrazione, pur formalmente provvedendo a dare
esecuzione ai precetti rivenienti dal giudicato, tenda in realtà a
perseguire l’obiettivo di aggirarli sul piano sostanziale, in modo
da pervenire surrettiziamente al medesimo esito già ritenuto
illegittimo. La non copiosa giurisprudenza che si registra in
materia
rileva
che
il
vizio
de
quo
sussiste
laddove
l’amministrazione, piuttosto che riesercitare la propria potestà
discrezionale in conclamato contrasto con il contenuto precettivo
del giudicato amministrativo, cerchi di realizzare il medesimo
risultato con un’azione connotata da un manifesto sviamento di
potere, mediante l’esercizio di una potestà pubblica formalmente
diversa in palese carenza dei presupposti che la giustificano (cfr.
Cons. Stato, sez. V, 28 febbraio 2006, nr. 861; Cons. Stato, sez.
IV, 6 ottobre 2003, nr. 5820; id., 15 ottobre 2003, nr. 6334)” 12.
Mentre il vizio di violazione del giudicato si realizza quando il
nuovo atto emanato dalla pubblica amministrazione riproduca i
medesimi vizi già in tale sede censurati, o comunque si ponga in
12
L’art. 115 disciplina la natura del titolo esecutivo ed il rilascio di estratto del
provvedimento giurisdizionale con formula esecutiva. Le pronunce del giudice
amministrativo che costituiscono titolo esecutivo sono spedite, su richiesta di parte, in
forma esecutiva. I provvedimenti emessi dal giudice amministrativo che dispongono
il pagamento di somme di denaro costituiscono titolo anche per l'esecuzione nelle
forme disciplinate dal Libro III del codice di procedura civile e per l'iscrizione di
ipoteca.
Ai fini del giudizio di ottemperanza non è necessaria l'apposizione della formula
esecutiva.
15
contrasto con precise e puntuali prescrizioni provenienti dalla
pregressa statuizione del giudice, l’elusione del giudicato
configura un fenomeno diverso dall’aperta violazione del
decisum, sussistendo in quei casi in cui l’Amministrazione, pur
formalmente provvedendo a dare esecuzione ai precetti rivenienti
dal giudicato, tenda in realtà a perseguire l’obiettivo di aggirarli
sul piano sostanziale, in modo da pervenire surrettiziamente al
medesimo esito già ritenuto illegittimo.
Va ricordato a tal proposito che sussiste la nullità di un
provvedimento amministrativo per violazione o elusione del
giudicato è oggi disciplinata dall’art. 21 septies della legge 7
agosto 1990, n. 241, come modificato dalla novella del 2005
sulla scorta dell’elaborazione giurisprudenziale.
Con riguardo alle più importanti novità in termini di rito va
segnalata quella relativa alla garanzia del principio del
contraddittorio, per cui si è espressamente prescritta la
notificazione del ricorso per ottemperanza prima del suo
deposito, mentre non è più richiesta la previa diffida e messa in
mora dell’Amministrazione inadempiente13.
13
La normativa precedente non prevedeva l’obbligo di notifica del ricorso per
ottemperanza e la Corte costituzionale ha ritenuto che è manifestamente infondata la
q.l.c., in riferimento agli art. 24, comma 2, e 111, commi 1 e 2, cost., dell'art. 91 r.d. 17
agosto 1907 n. 642, e, in subordine, degli art. 19, comma 1, e 27, comma 1, n. 4, l. 6
dicembre 1971 n. 1034 e dell'art. 27, comma 1, n. 4 r.d. 26 giugno 1924 n. 1054, nelle
parti in cui tali norme, rinviando all'art. 91 r.d. n. 642 del 1907, consentono
l'introduzione del giudizio per esecuzione del giudicato senza la previa notifica del
ricorso a mezzo di ufficiale giudiziario. Premesso che deve riconoscersi la piena
natura legislativa dell’art. 91 r.d. n. 642 del 1907, il che impone di ritenere assorbita la
questione prospettata in via subordinata, questione analoga è stata già dichiarata non
fondata sulla base del rilievo che la forma di comunicazione prescelta dalla norma
censurata appare compatibile con il vigente ordinamento costituzionale, nel senso che
la comunicazione, al pari della notificazione, costituisce mezzo idoneo ad assicurare
quelle garanzie di conoscenza e di ufficialità necessarie per il rispetto dei principi della
difesa in giudizio e del contraddittorio, a condizione che la si interpreti nel senso di
prevedere un obbligo di comunicare l'atto nella sua interezza, in tempo utile e in modo
16
Viene, altresì ribadita la tradizionale natura “mista” del giudizio
di ottemperanza, che non è pura esecuzione, ma presenta
momenti di cognizione, conseguentemente si è previsto:
- la notificazione nei riguardi non solo dell’amministrazione, ma
anche di tutte le altre parti del giudizio definito dalla sentenza o
dal lodo della cui ottemperanza si tratta;
- la concentrazione nell’ambito del giudizio di ottemperanza di
azioni cognitorie connesse, per evidenti ragioni di economia
processuale.
Confluiscono,
infatti,
necessariamente
nel
giudizio
di
ottemperanza:
- tutte le questioni di mancata esecuzione per inerzia, elusione,
violazione del giudicato;
- tutte le questioni che insorgono nel corso del giudizio a
seguito degli atti del commissario ad acta, il cui sindacato viene
espressamente affidato allo stesso giudice dell’ottemperanza;
- l’azione di risarcimento non solo dei danni derivanti dalla
mancata esecuzione del giudicato, ma anche di quelli causati
dall’illegittimo esercizio del potere amministrativo.
In quest’ultimo caso, però, il giudizio di ottemperanza dovrà
svolgersi nelle forme, modi e termini del processo ordinario in
udienza pubblica e non in camera di consiglio)14.
da consentire alla p.a. una effettiva conoscenza della domanda e l'articolazione
tempestiva dei mezzi di difesa (Corte costituzionale, 10 marzo 2006 , n. 100).
14
Nella sentenza del Consiglio di Stato 1 aprile 2011 n. 2031 si legge “Si tratta di una
delle più significative innovazioni previste dal codice con riferimento al carattere
cognitorio del processo di ottemperanza; la prevalente giurisprudenza precedente,
infatti, era ferma nel ritenere inammissibile la proposizione di tale domanda
risarcitoria (cfr., fra le tante, Cons. St, sez. V, 27 aprile 2006, n. 2374; sez. IV, 21
ottobre 2004, n. 6914; sez. IV, 1 febbraio 2002, n. 396). Il codice ha invece recepito
l'indirizzo minoritario che ammetteva la proposizione, in sede di ottemperanza, della
domanda risarcitoria dei danni discendenti dall'originario illegittimo esercizio della
funzione pubblica, a condizione, inter alios, che venisse introdotta davanti al T.a.r. per
evitare la violazione del principio del doppio grado di giudizio (cfr. Cons. St., sez. VI,
17
Pur tuttavia è principio di carattere generale che in materia di
domanda di risarcimento del danno in sede di ottemperanza ex
art. 112, comma 4, c.p.a., se è vero che in sede di ottemperanza è
ammissibile la domanda risarcitoria dei danni discendenti
dall’originario illegittimo esercizio della funzione pubblica, è
anche pure vero che la proposizione di siffatta domanda è
assoggettata con forti limiti al rispetto della regola basilare del
doppio grado di giudizio.
18 giugno 2002, n. 3332). Siffatta individuazione dell'ambito applicativo della norma
in esame, oltre ad essere sostenuta sia dall'esegesi letterale che da quella storica, è
conforme, in parte qua, alla sistematica del codice: l'art. 112, nell'imporre di seguire le
"forme”, i "modi” e i "termini?del processo ordinario è decisamente nel senso di
risolvere il cumulo tra la domanda di esecuzione e quella risarcitoria mediante
l'applicazione integrale del rito ordinario innervato dal principio generale del doppio
grado di giudizio. La tesi contraria non può trovare ingresso perché: a) in un contesto
normativo complessivamente attentissimo alla definizione delle regole sulla
competenza, una deroga al riparto T.a.r. - Consiglio di Stato avrebbe dovuto
esprimersi in modo chiaro ed esplicito; b) l'azione risarcitoria "isolata?, proposta dopo
il passaggio in giudicato della sentenza di annullamento, vuoi per i danni direttamente
discendenti dal cattivo esercizio della funzione pubblica, vuoi per i danni derivanti
dalla mancata esecuzione del giudicato, appartiene sempre alla cognizione del T.a.r.,
nella logica propria del doppio grado; c) allorquando il codice ha inteso consentire, in
materia di ottemperanza, in deroga agli ordinari criteri di distribuzione della
competenza in senso verticale, che sia portata all'attenzione diretta del Consiglio di
Stato la domanda risarcitoria (quella collegata all'inesecuzione del giudicato ex art.
112, co. 3), lo ha fatto senza richiamarsi ai limiti, alle forme ed ai modi dell'ordinario
processo di cognizione”.Nella sentenza del Consiglio di Stato 5 maggio 2011 n. 2693
si è ritenuto inammissibile una azione risarcitoria proposta con un ricorso per
esecuzione del giudicato innanzi al Consiglio di Stato, atteso che l’art. 112, comma 4,
c.p.a. consente la proposizione dell’azione risarcitoria per la prima volta in sede di
ottemperanza, aggiungendo che "in tal caso il giudizio di ottemperanza si svolge nelle
forme, nei modi e nei termini del processo ordinario"; con tale disposizione il codice
del processo amministrativo ha recepito l’indirizzo minoritario previgente che
ammetteva la proposizione, in sede di ottemperanza, della domanda risarcitoria dei
danni discendenti dall’originario illegittimo esercizio della funzione pubblica, a
condizione, inter alios, che venisse introdotta davanti al T.A.R., per evitare la
violazione del principio del doppio grado di giudizio. Ha osservato la sentenza che il
principio affermato è sostenuto sia dall’esegesi letterale che da quella storica, ed è
conforme alla sistematica del codice stesso il cui articolo 112, nel prescrivere lo
svolgimento del giudizio "nelle forme, nei modi e nei termini del processo ordinario",
risulta consentire la "connessione" fra la domanda di esecuzione e quella risarcitoria
solo all’applicazione del rito ordinario improntato al principio generale del doppio
grado di giudizio.
18
Dopo la novella del corettivo di cui al D. L.vo n. 195 del 2011 è
ammissibile, infatti, la domanda risarcitoria proposta nel corso
del giudizio di ottemperanza dinanzi al Consiglio di Stato sia che
giudichi in unico grado, sia che giudichi in appello.
All’art. 112, la parziale riformulazione del comma 3 chiarisce
che, nel giudizio di ottemperanza, l’azione di risarcimento del
danno dallo stesso disciplinata può essere proposta anche in
unico grado dinanzi al giudice dell’ottemperanza; inoltre, si
prevede l’abrogazione del comma 4, la cui formulazione poteva
ingenerare equivoci; resta così chiarito che il risarcimento del
danno ai sensi dell’art. 30, comma 5, deve essere chiesto sempre
dinanzi al giudice di primo grado.
Il comma 3 dell’art. 112 adesso dispone che “può essere proposta
anche in unico grado dinanzi al giudice dell'ottemperanza, azione
di condanna al pagamento di somme a titolo di rivalutazione e
interessi maturati dopo il passaggio in giudicato della sentenza,
nonchè azione di risarcimento dei danni connessi all'impossibilità
e comunque alla mancata esecuzione in forma specifica, totale o
parziale, del giudicato o alla sua violazione o esclusione.
Con riguardo alla competenza l’art. 113 ribadisce la disciplina
previgente per cui il ricorso si propone, nel caso di sentenze e
provvedimenti del giudice amministrativo prevista cui all'articolo
112, comma 2, lettere a) e b), al giudice che ha emesso il
provvedimento della cui ottemperanza si tratta; la competenza è
del tribunale amministrativo regionale.
Detta
competenza
ottemperanza
dei
non
subisce
deroghe
nemmeno
per
provvedimenti confermati in appello con
motivazione che abbia lo stesso contenuto dispositivo e
conformativo dei provvedimenti di primo grado.
19
Negli altri casi, e cioè sentenze di appello che riformano la
decisione di primo grado ovvero che la confermano con diversa
motivazione
che
incide
sul
contenuto
conformativo
la
competenza è a ttribuita al Consiglio di Stato (fattispecie
eccezionale di giudizio in unico grado in deroga al principio
dell’art. 125 della Costituzione, che configura la Giurisdizione
amministrativa in via ordinaria su due gradi di giudizio).
A quest’ultima fattispecie sembrerebbe assimilata l’ipotesi di
origine “pretoria” dell’ottemperanza alla decisione su ricorso
straordinario al Capo dello Stato, resa in base al parere
obbligatorio e vincolante del Consiglio di Stato, e che si colloca
nella ipotesi prevista alla lettera b) dell'art. 112, comma 2 CPA.
Dalla giurisprudenza si ricava il principio che il ricorso per
l'ottemperanza si propone, ai sensi dell'art. 113, comma 1,
dinanzi allo stesso Consiglio di Stato, nel quale si identifica "il
giudice che ha emesso il provvedimento della cui ottemperanza si
tratta" (Cass. SSUU 28 gennaio 2011 n. 2065).
Nei casi di cui all'articolo 112, comma 2, lettere c), d) ed e)
(sentenze del giudice ordinario, di altre giurisdizioni e dei lodi
arbitrali), il ricorso si propone al tribunale amministrativo
regionale nella cui circoscrizione ha sede il giudice che ha
emesso la sentenza di cui è chiesta l'ottemperanza.
Quanto al procedimento l’art. 114 dispone che l'azione si
propone, anche senza previa diffida, con ricorso notificato alla
pubblica amministrazione e a tutte le altre parti del giudizio
definito dalla sentenza o dal lodo della cui ottemperanza si
tratta.
20
Derivando dal giudicato posizioni di diritto soggettivo; l'azione
non è soggetta a termini decadenziali ma è soggetta a
prescrizione, infatti l’azione si prescrive con il decorso di dieci
anni dal passaggio in giudicato della sentenza (artt. 2909, 2934 e
2946 Cod. civ.)15.
I principi sulla effettività della tutela giurisdizionale, desumibili
dall’articolo 24 della Costituzione e dagli articoli 6 e 13 della
Convenzione
europea
dei
diritti
dell’uomo,
direttamente
applicabili nel sistema nazionale, impongono agli Stati di
prevedere una giustizia effettiva e non illusoria in base al
principio “the domestic remedies must be effective”.
Pertanto, in relazione all’azione prevista dall’art. 389 c.p.c., in
sede interpretativa il giudice amministrativo deve adottare tutte le
misure che diano effettiva tutela al ricorrente la cui pretesa risulti
fondata.
Ne consegue che il giudice può accogliere un ricorso per
ottemperanza proposto da una pubblica amministrazione nei
confronti di soggetti privati con una sentenza di condanna idonea
a divenire un titolo per l’esecuzione forzata, ai sensi dell’art. 474
del codice di procedura civile16.
15
Va ricordato che l’azione per la declaratoria di nullità, proponibile per
l’accertamento delle nullità previste dalla legge (salvo quanto previsto per l’elusione
del giudicato, autonomamente disciplinata nel Libro IV) entro il termine di decadenza
di centottanta giorni, fermo restando che la nullità dell’atto può sempre essere opposta
dalla parte resistente o essere rilevata d’ufficio dal giudice.
16
Nella sentenza del Consiglio di Stato IV 2 marzo 2010 n. 1220 si legge “Ciò posto,
in questa fase del giudizio la Sezione deve fare applicazione dei principi sulla
effettività della tutela giurisdizionale, desumibili dall’articolo 24 della Costituzione e
dagli articoli 6 e 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (divenuti
direttamente applicabili nel sistema nazionale, a seguito della modifica dell’art. 6 del
Trattato, disposta dal Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1° dicembre 2009). Per la
pacifica giurisprudenza della Corte di Strasburgo (CEDU, Sez. III, 28-9-2006,
Prisyazhnikova c. Russia, § 23; CEDU, 15-2-2006, Androsov-Russia, § 51; CEDU,
27-12-2005, Iza c. Georgia, § 42; CEDU, Sez. II, 30-11-2005, Mykhaylenky c.
21
Quanto alla prova la parte ricorrente è tenuta a depositare nel
fascicolo processuale copia autentica della sentenza (o del
provvedimento) di cui si chiede l'ottemperanza, con l'eventuale
prova del suo passaggio in giudicato.
Inoltre è onere del ricorrente denunciare, con pertinenti e
documentate censure, i vizi che inficiano l'azione amministrativa,
non potendo la sua contestazione esaurirsi in una generica
dichiarazione d'insoddisfazione per il risultato raggiunto, rispetto
a quello che si prefigurava di conseguire17.
Il giudice decide:
- con sentenza in forma semplificata prevista dall’articolo 74 del
codice, la cui motivazione può consistere in un sintetico
riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo ovvero,
se del caso, ad un precedente conforme;
Ucraina, § 51; CEDU, Sez. IV, 15-9-2004, Luntre c. Moldova, § 32), gli artt. 6 e 13
impongono agli Stati di prevedere una giustizia effettiva e non illusoria in base al
principio ‘the domestic remedies must be effective’. In base ad un principio
applicabile già prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, il giudice nazionale
deve prevenire la violazione della Convenzione del 1950 (CEDU, 29-2-2006,
Cherginets c. Ucraina, § 25) con la scelta della soluzione che la rispetti (CEDU, 2012-2005, Trykhlib c. Ucraina, §§ 38 e 50). Pertanto, in relazione all’azione prevista
dall’art. 389 c.p.c., in sede interpretativa il giudice amministrativo deve adottare tutte
le misure che diano effettiva tutela al ricorrente la cui pretesa risulti fondata. La
Sezione, tenuto conto della circostanza che il ricorso è stato proposto da una pubblica
amministrazione nei confronti di soggetti privati e che può esercitare i più ampi poteri
volti a dare effettiva tutela, ritiene che la pretesa del Comune ricorrente possa essere
accolta con una sentenza di condanna, idonea a divenire un titolo per l’esecuzione
forzata, ai sensi dell’art. 474 del codice di procedura civile”.
17
Pertanto, nel caso di sentenza di condanna della pubblica amministrazione al
pagamento di somme di denaro, è onere del ricorrente, una volta in possesso del
prospetto contenente i conteggi eseguiti dall'amministrazione, indicare le omissioni
ovvero gli errori di calcolo che sarebbero stati commessi in suo danno dagli uffici,
onde porre il giudice adito in condizione di verificare, attraverso il raffronto tra i
prospetti elaborati dalle parti in causa, se il giudicato è stato effettivamente eseguito
solo in parte.
22
- con ordinanza se è chiesta l'esecuzione di un'ordinanza.
Il giudice, in caso di accoglimento del ricorso:
a) ordina l'ottemperanza, prescrivendo le relative modalità, anche
mediante la determinazione del contenuto del provvedimento
amministrativo
o
l'emanazione
dello
stesso
in
luogo
dell'amministrazione;
b) dichiara nulli gli eventuali atti in violazione o elusione del
giudicato;
c) nel caso di ottemperanza di sentenze non passate in giudicato o
di altri provvedimenti, determina le modalità esecutive,
considerando inefficaci gli atti emessi in violazione o elusione e
provvede di conseguenza, tenendo conto degli effetti che ne
derivano;
d) nomina, ove occorra, un commissario ad acta;
e) salvo che ciò sia manifestamente iniquo, e se non sussistono
altre ragioni ostative, fissa, su richiesta di parte, la somma di
denaro dovuta dal resistente per ogni violazione o inosservanza
successiva, ovvero per ogni ritardo nell'esecuzione del giudicato;
tale statuizione costituisce titolo esecutivo.
Il commissario ad acta è un ausiliario del giudice le cui
qualificazione e funzioni sono disciplinate dall'articolo 21.
Il giudice amministrativo può nominare come proprio ausiliario
un commissario ad acta se deve sostituirsi all'amministrazione,
Il commissario ad acta va considerato organo ausiliario del
giudice, giacché i suoi poteri non derivano dalla Pubblica
amministrazione, ma da una sorta di atto di delega da parte del
giudice dell'ottemperanza; di conseguenza, in quanto organo
ausiliario del giudice, al pari di un perito o di un interprete, egli è
23
organo giurisdizionale e i suoi atti, i quali non possono che
ritenersi atti giurisdizionali, sono impugnabili con reclamo al
giudice dell'ottemperanza in base al principio generale secondo il
quale l'organo legittimato ad avere cognizione degli incidenti
verificatisi in sede esecutiva è lo stesso deputato a dirigere
l'esecuzione18.
Quanto all’art. 114, in tema di procedimento del giudizio di
ottemperanza il D.L.vo n. 95 del 2011 prevede:
- la modifica del comma 2, per chiarire che il provvedimento del
giudice (e, dunque, non la sola sentenza) di cui si chiede
l’ottemperanza va deposito e non anche notificato;
- la modifica del comma 6 reca la disciplina del reclamo avverso
gli atti del commissario ad acta.
Tale correttivo si rende necessario per chiarire:
a) che il reclamo si propone dinanzi al giudice dell’ottemperanza
(e, dunque, se tale giudice è quello di appello anche direttamente
al Consiglio di Stato in unico grado); il termine, entro il quale il
reclamo va notificato e depositato, è di sessanta giorni;
b) che al predetto reclamo sono assoggettabili le sole parti tra cui
si è formato il giudicato, ma non anche i terzi, ai quali invece – in
quanto estranei al giudicato e non soggetti al relativo vincolo – è
dato di fare ricorso all’ordinaria azione di annullamento; infatti,
la res inter alios acta nei loro confronti neque iuvat neque nocet,
sicché, per loro, la stessa sentenza non può che degradare a mero
fatto giuridico: sempre rilevante, ma giammai vincolante.
18
Il giudice dell'ottemperanza può autorizzare il commissario "ad acta " ad avvalersi
di un collaboratore, come è legittimo che quest'ultimo autonomamente scelga di
avvalersi di un collaboratore, anche se questa scelta, qualora assuma un rilievo
esterno, deve essere vagliata dal giudice dell'ottemperanza.
24
Il termine assegnato dal giudice al commissario ad acta per dare
concreta attuazione al giudicato non è perentorio e la sua inutile
scadenza
non
determina
alcuna
decadenza
dei
poteri
commissariali, il che è coerente con la stessa natura e funzione
del commissario ad acta, quale organo ausiliario del giudice la
cui
attività
è
dell'Amministrazione,
necessaria,
per
a
rendere
causa
effettiva
dell'inerzia
la
tutela
giurisdizionale e cioè far conseguire all'interessato il bene della
vita già definitivamente riconosciutogli in sede cognitoria,
cessando quindi soltanto con la piena ed integrale attuazione del
comando contenuto nella sentenza ottemperanda.
Anche al commissario ad acta trova applicazione la disciplina
della ricusazione19.
19
Il Consiglio di Stato con la sentenza 28 settembre 2011 n. 5391 ha ritenuto
che dal combinato disposto dell’art. 21 c.p.a. (che qualifica il commissario
ad acta quale ausiliare del giudice che ha pronunciato la sentenza da
eseguire) e dell’art. 114, comma 6, dello stesso codice (il quale stabilisce
che il giudice dell’ottemperanza conosce di tutte le questioni relative
all’esatta ottemperanza, ivi comprese quelle inerenti agli atti del
commissario ad acta), si ricava, con nettezza, che il giudice
dell’ottemperanza è dotato di una competenza funzionale esclusiva a
conoscere di tutte le questioni concernenti l’esecuzione del giudicato e,
segnatamente, degli atti adottati dal suo ausiliare ai fini dell’esecuzione del
precetto giudiziario. Aggiunge la sentenza, prima della novella introdotta dal
D.L.vo n. 195 del 2011 all’art. 114 che in assenza di una disciplina
limitativa sul piano soggettivo, deve ritenersi che sono legittimati ad
insorgere innanzi al giudice dell’ottemperanza avverso gli atti commissariali
anche soggetti rimasti terzi rispetto al giudicato, ove tali atti producano una
lesione diretta della loro sfera giuridica. E ciò specie se le censure proposte
mettano in dubbio la conformità dell’atto commissariale alle coordinate
fissate dal giudicato da eseguire; dal momento che, per un verso, che una
diversa soluzione condurrebbe all’illogica attribuzione a due giudici diversi
di questioni identiche, in relazione alla circostanza che la contestazione
degli atti del commissario provenga dal terzo o da un parte, con conseguente
frustrazione del principio di concentrazione processuale; e, sotto altro
profilo, che la soluzione qui offerta non è ostacolata dal principio del doppio
grado di giudizio, posto che detto principio non ha un rilievo costituzionale
ed è quindi derogabile dal legislatore ordinario.
25
Il giudice conosce di tutte le questioni relative all'esatta
ottemperanza, ivi comprese quelle inerenti agli atti del
commissario.
Un’importante novità è costituita dalla previsione della
possibilità di promuovere il giudizio di ottemperanza anche al
fine di ottenere chiarimenti in ordine alle modalità di
ottemperanza.
In tal caso la legittimazione attiva spetta sia alle parti private, che
alla pubblica amministrazione tenuta all’ottemperanza, nonché al
commissario ad acta.
Dal momento che il ricorso per ottemperanza può essere proposto
anche al fine di ottenere chiarimenti in ordine alle modalità di
ottemperanza, il giudice fornisce chiarimenti in ordine alle
modalità di ottemperanza, anche su richiesta del commissario.
In difetto di una specifica disciplina si applicano le modalità
ordinarie per la proposizione del ricorso per ottemperanza20.
4 - Il giudizio in tema di accesso ai documenti amministrativi.
L'accesso costituisce oggetto di un diritto soggettivo di cui il giudice
amministrativo conosce in sede di giurisdizione esclusiva.
Il giudizio ha per oggetto la verifica della spettanza o meno del diritto di
accesso, più che la verifica della sussistenza o meno dei vizi di
legittimità dell'atto amministrativo. Infatti, il giudice può ordinare
l'esibizione
dei
documenti
richiesti,
così
sostituendosi
20
Le disposizioni sopra illustrate si applicano anche alle impugnazioni avverso i
provvedimenti giurisdizionali adottati dal giudice dell'ottemperanza e i termini per la
proposizione delle impugnazioni sono quelli previsti nel Libro III per le impugnazioni
in generale.
26
all'Amministrazione e ordinandole un facere pubblicistico, solo se ne
sussistono i presupposti (art. 116 comma 4, c.p.a.).
Questo implica che, al di là degli specifici vizi e della specifica
motivazione del provvedimento amministrativo di diniego dell'accesso,
il giudice deve verificare se sussistono o meno i presupposti dell'accesso,
potendo pertanto negarlo anche per motivi diversi da quelli indicati nel
provvedimento amministrativo21.
Il diritto d'accesso è ricostruibile quale situazione di diritto
soggettivo, e ciò sia in base alla sua formale definizione come
tale, che per i chiari profili della sua concreta disciplina, quali, in
particolare:
1) la mancanza di discrezionalità per le amministrazioni,
verificati i presupposti per l'accesso, nell'adempiere alla pretesa
del soggetto privato di prender visione ed estrarre copia dei
documenti amministrativi;
2) la non necessità che il documento amministrativo sia relativo
ad uno specifico procedimento;
3) la devoluzione delle controversie in materia alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo e la correlata previsione
della possibilità che tale giudizio si concluda con l'ordine di un
facere per l'amministrazione22.
21
Consiglio Stato , sez. VI, 12 gennaio 2011 , n. 117
22
La disciplina sostanziale del diritto di accesso costituisce una derivazione del
principio di trasparenza dell’azione amministrativa, che è venuto ad affiancare il
principio di imparzialità e quello di buon andamento fissati dall’art. 97 Cost. La legge
n. 241 del 1990 sancisce il principio di pubblicità dell’azione amministrativa, che
trova nell’art. 1 un espresso riferimento, riferimento di rango primario, ma non
particolarmente significativo; che la Corte Costituzionale ritiene implicitamente
costituzionalizzato nel combinato disposto costituito dagli artt. 97, 24 e 113 Cost.
Nella sentenza n. 104 del 2006 si afferma che:”La pubblicità del procedimento
amministrativo è un principio del patrimonio costituzionale, comune peraltro alla
tradizione di tutti i Paesi europei; si ricava un riconoscimento a livello costituzionale,
che va al di là del riconoscimento dato a questo principio a livello primario dalla legge
n. 241 del 1990. Il riferimento da parte della Corte costituzionale agli artt. 24 e 113
27
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la decisione n. 7 del
2006 ha affermato il principio che la situazione giuridica soggettiva del
diritto di accesso non fornisce un’utilità finale, che è, invece, tipica del
diritto o dell’interesse, perché si tratta di una situazione giuridica
soggettiva che offre all’interessato poteri di natura procedimentale volti
a tutelare un’altra situazione giuridica soggettiva.
Cost. consente di cogliere il principio di pubblicità non solo nel suo aspetto statico,
modo in cui la P.A. sta agendo, ma anche nel suo aspetto dinamico, in quanto
consente la tutela dei propri diritti ed interessi anche per fini di tutela giurisdizionale o
amministrativa. L’art. 22 della l. 241del 1990, come modificato dalla l. n. 15 del 2005,
prevede che l’accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di
pubblico interesse, costituisce principio generale dell’attività amministrativa ed attiene
ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono
essere garantiti su tutto il territorio nazionale ai sensi dell’art. 117, 2 comma, lettera
m) cost, cioè la norma che consente allo Stato di stabilire normative, anche
nell’ambito delle materie rimesse alla competenza esclusiva delle Regioni, quando si
tratta appunto di disciplinare livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti
civili e sociali. Gli artt. 22 e ss. della legge n. 241 del 1990, subiscono una prima
novellazione con la L. n. 265 del 1999, che estende l’accesso ai soggetti che svolgono
pubblici servizi; cui hanno fatto seguito:la L. n 340 del 2000, che introduce il ruolo del
difensore civico relativamente al diritto d’accesso; la L. n. 205 del 2000 che riguarda
solo la sfera processuale del diritto di accesso. La L. n. 15 del 2005 ha innovato
sostanzialmente la disciplina dell’accesso, introducendo un sistema definitorio del
diritto di accesso. La definizione di interessato è relativa al soggetto privato, compreso
quello portatore di interesse pubblico diffuso, che abbia un interesse diretto concreto e
attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al
documento al quale è chiesto l’accesso. Controinteressato è il soggetto, individuato o
facilmente individuabile in base alla natura del documento richiesto, che dall’esercizio
dell’accesso vedrebbe compromesso il suo diritto alla riservatezza. L'art. 22 l. n. 241
del 1990, considera documento amministrativo, suscettibile, in quanto tale, di essere
oggetto di "actio ad exhibendum", "ogni rappresentazione grafica,
fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti,
anche interni, formati dalle pubbliche amministrazioni o, comunque, utilizzati ai fini
dell'attività amministrativa". Nel concetto ampio di documento amministrativo, che
può formare oggetto d'accesso, rientrano pure gli atti provenienti da soggetti diversi
dalla P.A. procedente, nonché quelli di diritto privato, purché correlati al
perseguimento degli interessi pubblici affidati alla cura della stessa p.a.
Poiché, ai sensi dell'art. 22 comma 4, l. n. 241 del 1990, non sono accessibili le
informazioni in possesso di una Pubblica Amministrazione che non abbiano, forma di
documento amministrativo, e, per l’art. 2, comma 2, D.P.R. n. 184 del 2006, il diritto
di accesso si esercita con riferimento ai documenti amministrativi materialmente
esistenti al momento della richiesta, e la Pubblica Amministrazione non è tenuta ad
elaborare dati in suo possesso al fine di soddisfare le richieste di accesso,
l'Amministrazione dovrà rilasciare al richiedente copia di tutti i documenti limiti in cui
essi non comportino una elaborazione di dati. Detto principio si affianca a quello della
neutralità della forma giuridica dell’ente che detiene l’atto. L’art. 22 attribuisce
28
Il
"diritto
di
accesso
ai
documenti
amministrativi”
(indipendentemente dalla sua qualificazione come diritto
soggettivo o interesse legittimo) è una situazione giuridica
positiva
dal
carattere
essenzialmente
strumentale,
come
dimostrato dalla circostanza che la legge stabilisce un termine di
decadenza (30 giorni dalla conoscenza del provvedimento
esplicito (di diniego o di accoglimento) o dalla formazione del
silenzio significativo) per la proposizione dei ricorsi23.
Il novellato art. 22 (L. 15 del 2005) dispone che possono chiedere
l’accesso tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori d’interessi
pubblici diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale
corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata collegata al
documento al quale è richiesto l’accesso24.
L’art. 116 disciplina il rito dell’accesso ai documenti ed integra la
disciplina della legge n. 241 del 1990, prevedendo che contro le
determinazioni (sia di accoglimento che di rigetto) e contro il
silenzio sulle istanze di accesso ai documenti amministrativi il
contenuto alla la nozione di pubblica Amministrazione, ricomprendendovi tutti i
soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto privato, limitatamente alla loro attività
di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario.
23
Di conseguenza, il carattere decadenziale del termine reca in sé che la mancata
impugnazione del diniego nel termine non consente né la reiterabilità dell'istanza né
l'impugnazione del successivo diniego laddove a questo possa riconoscersi carattere
meramente confermativo del primo.
E’ ammissibile reiterare l'istanza di accesso e pretendere riscontro alla stessa in
presenza di fatti nuovi, sopravvenuti o meno, non rappresentati nell'originaria istanza
o anche a fronte di una diversa prospettazione dell'interesse giuridicamente rilevante,
cioè della posizione legittimante all'accesso; in tal caso, l'originario diniego, da
intendere sempre “rebus sic stantibus”, ancorché non ritualmente impugnato, non
spiegherà alcun rilievo nella successiva vicenda procedimentale e processuale.
24
L’interesse non può essere la generica esigenza al buon andamento della p.a. del
cittadino, ma deve esserci un rapporto di strumentalità tra l’interesse e il documento;
d’altra parte la legittimazione attiva all’accesso non coincide con la legittimazione
processuale.
29
ricorso è proposto entro trenta giorni dalla conoscenza della
determinazione impugnata o dalla formazione del silenzio,
mediante notificazione all'amministrazione e ad almeno un
contro interessato
(salva
la integrazione
successiva
del
contraddittorio nei confronti degli altri eventuali contro
interessati).
All’art. 116, in materia di accesso ai documenti amministrativi,
con le modifiche apportate dal D.L.vo n. 195 del 2011 al comma
1 si vuole:
a) chiarire che, per la valida instaurazione del giudizio, è
sufficiente la notifica a un solo controinteressato, salva
l’integrazione del contraddittorio, in coerenza con la regola
generale del processo amministrativo;
b) rendere eguale al termine per la proposizione dell’atto
introduttivo del giudizio (che è di 30 giorni) il termine per la
proposizione del ricorso incidentale e per i motivi aggiunti
proposti nel rito in materia di accesso ai documenti.
Sussiste, a pena di inammissibilità, l'obbligo di notifica del
ricorso volto ad impugnare il diniego di accesso agli atti ad
almeno uno dei controinteressati, individuabili in coloro che dalla
conoscenza dei documenti richiesti possano subire un pregiudizio
alla propria sfera di riservatezza o in coloro cui si riferiscono i
documenti oggetto dell'istanza di accesso.
La posizione processuale del controinteressato nel giudizio
speciale di cui all'art. 25, l. n. 241 del 1990 dinanzi al giudice
amministrativo, trova da ultimo riconoscimento normativo nella
nuova formulazione dell'art. 22 della citata legge, come introdotta
dalla l. n. 15 del 2005, il quale, alla lett. c), del comma 1,
menziona come controinteressati tutti i soggetti, individuati o
30
facilmente individuabili in base alla natura del documento
richiesto, che dall'esercizio dell'accesso vedrebbero compromesso
il loro diritto alla riservatezza.
Si applica anche al rito dell’accesso l'articolo 49 per cui quando il
ricorso sia stato proposto solo contro taluno dei controinteressati,
il presidente o il collegio ordina l'integrazione del contraddittorio
nei confronti degli altri e le altre disposizioni relative agli effetti
della disposizione di integrazione del contraddittorio.
Viene ribadita la disposizione che consente all’amministrazione
di essere rappresentata e difesa da un proprio dipendente a ciò
autorizzato, in parallelo a quella che consente la difesa in
giudizio delle parti private senza necessità di assistenza tecnica
(art. 23).
Al di fuori di quei casi nei quali si provvede con ordinanza (per
connessione della domanda di accesso con un giudizio già
promosso, il giudice decide con sentenza in forma semplificata.
In caso di accoglimento del ricorso:
- ordina l'esibizione dei documenti richiesti autorizzando
l’estrazione di copia, ovvero la sola ostensione in via alternativa
se ritiene che tale modalità meglio garantisca la riservatezza dei
terzi entro un termine non superiore, di norma, a trenta giorni;
- detta, ove occorra, le relative modalità e quindi potrà nominare
per gli adempimenti sostitutivi, in caso di protrarsi dell’inerzia,
un commissario ad acta, al quale trovano applicazione le norme
in tema di ottemperanza di cui sopra25.
L’accesso si consente mediante visione del documento ed estrazione di
copia.
25
Le disposizioni di cui sopra contenute all’articolo 116 si applicano anche ai giudizi
di impugnazione.
31
La precedente formulazione della norma (art. 22) prevedeva che il diritto
si esercitasse mediante visione “o” estrazione di copia, la nuova invece
sostituisce “o” con “e”, il che farebbe ritenere venuta meno la possibilità
di limitare il diritto d’accesso alla sola visione.
Tesi che però non appare del tutto convincente in quanto la “e” può
avere
un
significato
anche
alternativo
e
meglio
consente
all’Amministrazione di bilanciare il rapporto tra accesso e riservatezza
dal momento che la sola visione in certi casi garantisce le esigenze di
riservatezza e quella di non interferire con procedimenti in corso
In pendenza di un giudizio cui la richiesta di accesso è connessa,
la pretesa all’accesso può essere esercitata con istanza depositata
presso la segreteria del giudice competente a decidere il ricorso
principale, previa notificazione all'amministrazione e agli
eventuali controinteressati (art. 116 comma 2 CPA).
Non è, pertanto, sufficiente una richiesta istruttoria contenuta in
ricorso o memoria (che può comunque preludere ad una attività
istruttoria con ordinanza presidenziale e/o collegiale).
L'istanza di accesso infraprocessuale è decisa con ordinanza
separatamente dal giudizio principale, ovvero con la sentenza
che definisce il giudizio.
5 - Il giudizio sul silenzio dell’Amministrazione.
Come già rilevato il codice del processo opera una ricostruzione
sistematica delle azioni proponibili.
Con riferimento alle azioni, la versione finale del Codice
(semplificata, in questa parte, rispetto allo schema originario
approvato dalla Commissione), all’art. 31, commi 1, 2, 3,
32
disciplina in modo specifico l’azione avverso il silenzio
(proponibile fintanto che perdura l’inadempimento e, comunque,
non oltre un anno dalla scadenza del termine di conclusione del
procedimento), con l’introduzione del limite alla pronuncia sulla
fondatezza della pretesa dedotta in giudizio solo quando si tratta
di attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori
margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari
adempimenti
istruttori
che
debbono
essere
compiuti
dall'amministrazione.
La modifica all’articolo 31, comma 1 dal D. L.vo n. 195 del
2011, è stata apportata in sede di approvazione definitiva, per
adeguamento al rilievo in proposito formulato dalla commissione
Bilancio della Camera.
Per cui adesso l’azione di acceratamento è proponibile non
soltanto “decorsi i termini per la conclusione del procedimento
amministrativo” ma anche negli altri casi previsti dalla legge” per
cui chi vi ha interesse può chiedere l'accertamento dell'obbligo
dell'amministrazione di provvedere26.
L’art. 117 disciplina il rito del giudizio introdotto con ricorso
avverso il silenzio.
Dopo le modifiche apportate all'istituto del giudizio avverso il
silenzio dell'amministrazione dall'art. 21 bis della legge 6
dicembre 1971 n. 1034, introdotto dall'art. 2 della legge 21 luglio
2000 n. 205, sul piano sostanziale, detto giudizio così definito si
26
L’art. 1, comma 1, lettera g) del D. L.vo n. 195 del 2011, recepisce il
rilievo formulato dalla Quinta Commissione della Camera, operando il
coordinamento del Codice con le modifiche introdotte dall’art. 6 del D.L. 13
agosto 2011, n. 138, convertito con modificazioni dalla legge 14 settembre
2011, n. 148, in tema di S.C.I.A. e D.I.A., secondo quanto richiesto, in punto
di "conseguenze di carattere finanziario", da detta Commissione Bilancio
della Camera.
33
collega al dovere delle amministrazioni pubbliche di concludere
il procedimento mediante l'adozione di un provvedimento
espresso nei casi in cui esso consegua obbligatoriamente ad una
istanza, ovvero debba essere iniziato d'ufficio, come prescrive
l'art. 2, comma 2, della legge 7 agosto 1990 n. 241.
Il dovere dell'amministrazione di provvedere sull'istanza del
privato non può essere desunto dall'esistenza di un sistema
processuale
strutturato
per
rimuovere
l'inerzia
dell'amministrazione ad esercitare i poteri attribuiti dalla legge,
ma deve preesistere sul piano sostanziale, nel senso che deve
trovare fondamento in una norma che impone direttamente o
indirettamente all'amministrazione di adottare il provvedimento
nell'interesse del privato richiedente.
L’art. 117 c.p.a. e l’art. 2 l. n. 241 del 1990 si pongono in un
rapporto di reciproco completamento, in coerenza con il principio
del buon andamento della p.a. e con quello, rilevante anche per la
convenzione Europea per i diritti dell’uomo, di effettività del
rimedio di giustizia amministrativa, previsto dall’ordinamento
nazionale.
Ciò comporta che l’interesse all’impugnazione del silenzio non
viene meno per il solo fatto che sia stato emesso un atto
meramente istruttorio o comunque interno, dovendosi verificare
se sia stato emesso un provvedimento che, senza configurare un
arresto del procedimento, corrisponda nel suo contenuto a quello
tipico previsto dalla legge, sia pure non satisfattivo.
Il ricorso previsto dall’art. 117 cpa è finalizzato ad accertare la
legittimità o meno del silenzio dell’amministrazione in relazione
all’obbligo di conclusione del procedimento amministrativo
imposto dall’art. 2 l. 7 agosto 1990 n. 241, con un provvedimento
34
espresso, impugnabile, qualora l’interessato lo ritenga lesivo
della propria sfera giuridica.
Il rimedio non è, quindi, azionabile a fini meramente conoscitivi,
anche in relazione al fatto che l’interessato può rivolgersi
direttamente al giudice ordinario per ottenere la tutela del proprio
diritto di credito, per adire il quale non occorre neppure
l’intermediazione di un provvedimento dell’amministrazione.
Si ribadisce che il ricorso va proposto, anche senza previa diffida,
allo scadere del termine assegnato all’Amministrazione per
provvedere ai sensi dell’art. 2 della legge n. 241 del 1990, e va
notificato all'Amministrazione e ad almeno un controinteressato
nel termine di cui all'articolo 31, comma 2, fintanto che perdura
l'inadempimento e, comunque, non oltre un anno dalla scadenza
del termine di conclusione del procedimento.
La posizione del contro interessata è potenzialmente da garntire
soprattutto nella ipotesi di impugnazione di silenzio correlato a
istanze
volte
a
dell’Amministrazione
sollecitare
del
ptete
l’esercizio
di
asutotula
da
parte
rispetto
a
comportamenti giuridicamente significativi (denuncia di inzio
attività e situazione certificata di inizio attività)
Nel computo del termine di un anno previsto dall'art. 2 comma 5,
l. 7 agosto 1990 n. 241, in tema di silenzio, non andrebbe
compresa la sospensione feriale dei termini, giacché tale termine
ha natura non processuale ma sostanziale.
È fatta salva la riproponibilità dell'istanza di avvio del
procedimento ove ne ricorrano i presupposti.
Il ricorso è deciso con sentenza in forma semplificata e, in caso di
totale
o
parziale
accoglimento,
il
giudice
ordina
35
all'amministrazione di provvedere entro un termine non
superiore, di norma, a trenta giorni.
Il giudice, in caso di persistente inerzia dell’amministrazione
nomina un commissario ad acta con la sentenza con cui definisce
il giudizio o successivamente su istanza della parte interessata e
conosce di tutte le questioni relative all'esatta adozione del
provvedimento richiesto, ivi comprese quelle inerenti agli atti del
commissario.
In quest’ultimo caso deve ritenersi che il Giudice amministrativo
esercita i poteri dell’ottemperanza senza il limiti della adozione
di atti in via sostitutiva anche a contenuto discrezionale.
La possibilità di pronuncia sulla fondatezza dell'istanza, ai sensi
dell'art. 2 comma 5, l. n. 241 del 1990, non è obbligatoria (“il
giudice
amministrativo
può
conoscere
della
fondatezza
dell'istanza”) e deve ritenersi limitata ai casi in cui venga in
rilievo un'attività interamente vincolata della p.a., che non postuli
accertamenti valutativi complessi e sempre che non sia
prevalente il profilo concernente la sussistenza dell'obbligo della
P.A. di emettere una pronuncia esplicita sull'istanza del privato.
Infatti, se, nel giudizio sul silenzio-rifiuto, si riconoscesse al
giudice amministrativo il potere di pronunciarsi in ogni caso sulla
fondatezza della pretesa fatta valere, quindi, anche nei casi di
esercizio della potestà discrezionale o nei casi in cui l'attività
vincolata comporti valutazioni complesse, si finirebbe per
ammettere una completa sostituzione del giudice alla pubblica
amministrazione, in contrasto sia con i principi generali
riguardanti i poteri del giudice amministrativo sia con la natura
semplificata del giudizio sul silenzio e della decisione che deve
36
definirlo e che deve essere succintamente motivata, così come
prescrive il legislatore .
Se nel corso del giudizio sopravviene il provvedimento espresso,
o un atto connesso con l'oggetto della controversia, questo può
essere impugnato anche con motivi aggiunti, nei termini e con il
rito previsto per il nuovo provvedimento, e l'intero giudizio
prosegue con il rito ordinario27.
In tema di rito sul silenzio innovativa è la disciplina del codice
riguardante la contestualità delle domande di accertamento e di
condanna al risarcimento del danno.
Il Codice ha superato il principio secondo il quale si dichiarava la
domanda di risarcimento inammissibile, facendo applicazione di quella
giurisprudenza restrittiva nei confronti dell'ammissibilità del cumulo di
domande, specie se assoggettate a diversi riti, come nel caso di azione
avverso il silenzio e domanda di risarcimento del danno28.
27
La giurisprudenza ritiene ammissibile un ricorso giurisdizionale con il quale sono
state contestualmente avanzate due domande soggette a riti diversi e precisamente una
domanda principale di annullamento del provvedimento impugnato e (per il caso in
cui si dovesse ritenere l’atto gravato in via principale privo di carattere
provvedimentale) una domanda subordinata, tendente ad ottenere l’accertamento
dell’illegittimità del silenzio-inadempimento serbato dalla P.A.; infatti, in attuazione
del principio di concentrazione ed effettività della tutela (di cui all’art. 44, n. 2, lett. a,
della legge di delega n.69 del 2009), è stata introdotta - con l’art. 32 del codice del
processo amministrativo, approvato con D. Lgs. 2 luglio 2010 n. 104, una
disposizione la quale prevede che: "E' sempre possibile nello stesso giudizio il cumulo
di domande connesse proposte in via principale o incidentale. Se le azioni sono
soggette a riti diversi, si applica quello ordinario, salvo quanto previsto dai Capi I e II
del Titolo V del Libro IV" (comma I)"; con l’ulteriore conseguenza che, in tal caso,
deve essere ritenuto applicabile, ai sensi del citato art. 32, il rito ordinario, al quale è
soggetta l’azione di annullamento proposta in via principale, TAR LombardiaMilano IV 28 ottobre 2010 n. 7139.
28
Consiglio Stato , sez. IV, 28 aprile 2008 , n. 1873, secondo cui è inammissibile la
domanda di risarcimento del danno proposta nell'ambito del rito speciale previsto
dall'art. 21-bis l. 6 dicembre 1971 n. 1034, poiché con tale rito può essere unicamente
impugnato il silenzio serbato dall'amministrazione su un'istanza, ma non è possibile
formulare alcuna altra domanda; v. anche Cons. Stato, IV, 12 febbraio 2010 n. 773
sull'inammissibilità dell'impugnazione del provvedimento sopravvenuto nell'ambito di
un giudizio avverso il silenzio.
37
In contrapposizione a tale orientamento formalista si è sviluppata altra
tesi, che ha valorizzato, rispetto al mero dato della proposizione di una
domanda di cognizione nell'ambito di un rito speciale, l'ammissibilità
del cumulo oggettivo di domande, proposte con lo stesso atto
introduttivo, come espressamente previsto dall'art. 104 del c.p.c., salvo
verificare la necessità di conversione del rito29.
In conformità con tali principi, l'art. 32 del codice del processo
amministrativo ha stabilito che è sempre possibile nello stesso giudizio il
cumulo di domande connesse proposte in via principale o incidentale,
facendo cadere ogni dubbio sull'ammissibilità del cumulo e prevedendo
che il cumulo di più domande assoggettate a riti diversi comporta solo
l'applicazione del rito ordinario, ad eccezione delle controversie cui si
applica il rito abbreviato, che prevalgono in ogni caso sugli altri riti.
Il principio del cumulo delle domande ha poi trovato nello stesso Codice
un concreta e speciale attuazione proprio con riferimento ai casi
controversi, venuti in passato all'esame della giurisprudenza.
In particolare, l'art. 117, comma 6, del Codice ha previsto che, se
l'azione di risarcimento del danno è proposta congiuntamente a quella
avverso il silenzio, il giudice può definire con il rito camerale l'azione
avverso il silenzio e trattare con il rito ordinario la domanda risarcitoria.
29
Cons. Stato, sez. VI, 18 giugno 2002, n. 3332, che ha ritenuto ammissibile un
ricorso cumulativo, proposto in primo grado, contenente sia la richiesta di esecuzione
del giudicato sia la domanda risarcitoria a condizione che, in applicazione del
principio di conservazione e di conversione degli atti processuali, sussistano i
presupposti di contenuto e forma previsti per un'ordinaria azione cognitoria.
La tesi presuppone che un ricorso cumulativo contenente una domanda assoggettata a
rito speciale e una domanda risarcitoria sia ammissibile, non in quanto l'azione
risarcitoria possa essere ordinariamente proposta seguendo altro rito, ma in quanto si
deve ritenere ammissibile il cumulo delle due domande a condizione che sussistano i
presupposti di contenuto e forma previsti per un'ordinaria azione cognitoria, con
conseguente conversione del rito; ciò in applicazione anche dei principi di effettività e
concentrazione delle tutele.
38
La disposizione in primo luogo ammette la proponibilità contestuale
delle due domande, e, a differenza di quanto previsto per l'impugnazione
del provvedimento sopravvenuto, non stabilisce una conversione
obbligatoria del rito, ma lascia al giudice il potere di decidere con rito
camerale l'azione avverso il silenzio, rinviando al rito ordinario la
trattazione della domanda risarcitoria.
Tale disposizione, in parte innovativa su tale ultimo punto, ha codificato
quell'orientamento favorevole all'ammissibilità del cumulo di domande,
già presente prima dell'entrata in vigore del Codice e, sotto tale profilo,
la norma assume una natura interpretativa circa l'ammissibilità del
cumulo, che va quindi riconosciuta anche con riferimento ai giudizi già
pendenti al momento dell'entrata in vigore del Codice (Cons. Stato, IV,
27 novembre 2010 n. 8251).
La domanda di risarcimento proposta unitamente al ricorso avverso il
silenzio deve, quindi, essere ritenuta ammissibile (Consiglio di Stato 21
marzo 2011 n. 1739).
Nel caso di azione di risarcimento del danno proposta
congiuntamente a quella di cui al silenzio articolo, il giudice può,
pertanto, definire con il rito camerale l'azione avverso il silenzio
e trattare con il rito ordinario la domanda risarcitoria.
Giova ricordare che per il risarcimento dell'eventuale danno che
il
ricorrente
comprovi
di
aver
subito
in
conseguenza
dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del
procedimento, il termine decadenziale di 120 giorni per proporre
l’azione
risarcitoria
non
decorre
fintanto
che
perdura
l'inadempimento.
Il termine predetto inizia, comunque, a decorrere dopo un anno
dalla scadenza del termine per provvedere.
39
La domanda di risarcimento dei danni, anche quando la posizione
soggettiva vulnerata abbia natura di interesse legittimo, è regolata
dal principio dell'onere della prova di cui all'art. 2697 cod. civ.,
in base al quale chi vuol far valere un diritto in giudizio deve
provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.
Grava, perciò, sul danneggiato l'onere di provare, ai sensi del
citato articolo, tutti gli elementi costitutivi della domanda di
risarcimento del danno per fatto illecito, ossia l’evento dannoso,
la condotta, la colpa, il nesso di causalità30.
Con l’aggiunta, all’articolo 117, di un comma 6 bis da parte del
D.L.vo n. 195 del 2011, si intende superare il problema
applicativo per cui, mentre per i riti relativi ad accesso e appalti è
detto espressamente che il rito speciale si applica anche nei
giudizi di impugnazione (vedi gli articoli 116, comma 5, 119,
comma 7, e 120, comma 11), tale previsione mancava per il rito
del silenzio.
6 - La definizione con sentenza in forma e procedura
abbreviata alternativa alla misura cautelare.
L’art. 60 consente la definizione del giudizio in esito all'udienza
camerale di trattazione della comanda cautelare, disponendo che
in sede di decisione della domanda cautelare il giudice può
30
Non può essere accolta una domanda di risarcimento del danno asseritamente
subito da un impresa, in conseguenza del ritardo, peraltro esiguo, con il quale la P.A.
ha concluso un procedimento amministrativo, nel caso in cui difetti la prova sia del
danno, sia del fatto che l'inosservanza del termine di conclusione del procedimento è
attribuibile a una condotta dolosa o colposa dell’Amministrazione,TAR Toscana 18
febbraio 2011 n. 341(1) Cons. Stato, sez. V, 15 settembre 2010, n. 6797, Cons. Stato
sez. IV, 11 giugno 2002, n. 3256, T.A.R. Lazio, sez. I, 5 maggio 2009, n. 4567;
T.A.R. Puglia, Lecce, sez. II, 11 febbraio 2010, n. 550: T.A.R. Lazio, sez. I, 22
settembre 2010, n. 32382, T.A.R. Toscana, sez. II, 31 agosto 2010, n. 5145.
40
definire, in camera di consiglio, il giudizio con sentenza in forma
semplificata alle seguenti condizioni:
- purché siano trascorsi almeno venti giorni dall'ultima
notificazione del ricorso,
- sia
accertata
la
completezza
del
contraddittorio
e
dell'istruttoria,
- siano sentite sul punto le parti costituite,
- una delle parti non abbia dichiarato che intende proporre
motivi
aggiunti,
ricorso
incidentale
o
regolamento
di
competenza, ovvero regolamento di giurisdizione (se la parte
dichiara che intende proporre regolamento di competenza o di
giurisdizione, il giudice assegna un termine non superiore a trenta
giorni).
Ove ne ricorrano i presupposti, il collegio dispone l'integrazione
del contraddittorio o il rinvio per consentire la proposizione di
motivi aggiunti, ricorso incidentale, regolamento di competenza
o di giurisdizione e fissa contestualmente la data per il prosieguo
della trattazione.
Presupposti della sentenza in forma semplificata sono la
completezza del contraddittorio (cioè la rituale notifica del
ricorso e il rispetto del termine per la discussione sull'istanza
incidentale), la completezza dell'istruttoria, l'avviso alle parti, ma
l'esigenza e l'opportunità della sollecita decisione nel merito di
una causa è da intendersi rimessa al prudente apprezzamento del
giudice e non alla volontà delle parti, alle quali è stato
riconosciuto il diritto di essere avvertite dell'intenzione del
giudice (di decidere immediatamente nel merito la causa) al fine
precipuo di non esaurire le loro difese sul piano della misura
41
cautelare incidentalmente richiesta e di sviluppare pertanto le
proprie argomentazione difensive anche nel merito.
Ai fini della validità della sentenza in forma semplificata è, pertanto,
necessario che il Collegio, oltre alla previa verifica della regolarità del
contraddittorio e della completezza dell'istruttoria, abbia puntualmente
informato le parti costituite - e presenti all'udienza in camera di consiglio
- della possibilità di adottare un tale tipo di pronuncia.
Detta informazione, che non è finalizzata alla previa acquisizione del
consenso delle parti (non richiesto dalla legge), bensì a consentire alle
parti l'esercizio completo ed esauriente del proprio diritto di difesa nel
caso concreto (mediante l'eventuale richiesta di un rinvio per la
produzione di nuove prove o per proporre motivi aggiunti, ovvero per
chiedere un termine a difesa), deve essere riferita specificamente alla
singola controversia e non può pertanto essere considerata validamente
sostituita dall'avvertimento eventualmente fatto in sede di preliminari
d'udienza per tutte le istanze cautelari da chiamare nella camera di
consiglio, in quanto siffatto modus procedendi frusterebbe la specifica
funzione di garanzia del diritto di difesa immanente alla prescrizione
normativa dell'audizione delle parti sul punto, essendo invero
nell'udienza in camera di consiglio essenziale l'apporto delle parti che
deve poter essere dato nella pienezza degli elementi conoscitivi riferiti
anche alle tesi avversarie, e potendosi dunque solo in tale momento
processuale (re cognita) acquisire un parere delle parti, seppure non
vincolante per l'organo giudicante31.
31
Ne consegue che del tutto superflua e non significativa è la mera comunicazione
effettuata indistintamente per tutte le cause chiamate all'udienza cautelare e
concernente la possibilità di una decisione nel merito della controversia, risolvendosi
simile comunicazione in un mero richiamo astratto del dato normativo, mentre il
contraddittorio va instaurato sul punto in esame nell'ambito di ogni singola
controversia, onde consentire una valutazione in concreto della ricorrenza o meno dei
presupposti cui è subordinato il ricorso alla decisione in forma semplificata (nel caso
di specie, sia nel verbale d'udienza cautelare sia nella sentenza gravata mancava
qualsiasi attestazione relativa all'avvenuta audizione delle parti costituite e comparse
42
La motivazione della sentenza può consistere in un sintetico
riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo ovvero,
se del caso, ad un precedente conforme.
7 – I riti camerali di opposizione ai decreti che dichiarano
l’estinzione e l’improcedibilità.
L'articolo 85 del codice disciplina le modalità per la declaratoria
di estinzione e improcedibilità del ricorso.
L'estinzione e l'improcedibilità di cui all'articolo 35 possono
essere pronunciate con decreto dal presidente o da un magistrato
da lui delegato.
L'estinzione e l'improcedibilità sono dichiarate, invece, con
sentenza se si verificano, o vengono accertate, all'udienza di
discussione.
Il giudizio di appello procede secondo le regole ordinarie e
l'udienza di discussione è fissata d'ufficio con priorità.
L'articolo 35 disciplina il contenuto delle pronunce in rito che
possono essere emesse anche d'ufficio, quindi prescindendo da
un'istanza di parte o da un'eccezione.
Il giudice dichiara, anche d'ufficio, il ricorso improcedibile
quando nel corso del giudizio sopravviene il difetto di interesse
delle parti alla decisione, o non sia stato integrato il
contraddittorio nel termine assegnato, ovvero sopravvengono
altre ragioni ostative ad una pronuncia sul merito.
in ordine alla possibilità di una definizione della causa in forma semplificata).
(Consiglio di stato, sez. VI, 09 dicembre 2010 , n. 8625).
43
Il giudice dichiara estinto il giudizio:
a) se, nei casi previsti dal codice, non viene proseguito o
riassunto nel termine perentorio fissato dalla legge o assegnato
dal giudice;
b) per perenzione;
c) per rinuncia.
Il decreto è depositato in segreteria, che ne dà comunicazione alle
parti costituite; pur tuttavia nel termine di sessanta giorni dalla
comunicazione ciascuna delle parti costituite può proporre
opposizione al collegio, con atto notificato a tutte le altre parti.
Il giudizio di opposizione si svolge ai sensi dell'articolo 87,
comma 3 con i procedimenti in camera di consiglio ed è deciso
con ordinanza che:
- in caso di accoglimento dell'opposizione, fissa l'udienza di
merito.
- in caso di rigetto, pone le spese a carico dell'opponente e le
liquida nella stessa ordinanza, esclusa la possibilità di
compensazione anche parziale.
L'ordinanza è depositata in segreteria, che ne dà comunicazione
alle parti costituite e avverso alla stessa può essere proposto
appello.
La perenzione
La perenzione trova la sua giustificazione nell'inerzia della parte,
qualora questa abbia omesso di compiere, nel termine previsto,
un atto di impulso processuale posto a suo carico; pertanto non è
configurabile allorché il ritardo sia, invece, dovuto all'ufficio
giudiziario, che non abbia provveduto a fissare l'udienza a
44
seguito del tempestivo deposito della relativa istanza, dovendo
essa circoscriversi alla differente ipotesi in cui, esauriti gli effetti
della domanda di fissazione di udienza, l'onere di impulso
processuale torna alle parti.
Il principio al quale si ispira l'istituto della perenzione è quello
secondo cui i ricorsi si considerano abbandonati se nel termine
previsto dalla legge non si sia compiuto alcun atto di procedura,
ed è applicabile tutte le volte in cui, esauriti gli effetti della
domanda di fissazione (per cancellazione della causa dal ruolo),
l'onere di impulso processuale torni alle parti, le quali, per evitare
la perenzione, devono attivarsi mediante nuovi atti di procedura.
Con riguardo alla perenzione il codice prevede tre tipologie (due
a regime, una transitoria):
Una prima ipotesi è quella disciplinata dall'articolo 81 per cui
il ricorso si considera perento se nel corso di un anno non sia
compiuto alcun atto di procedura32.
Una seconda ipotesi è quella disciplinata dall'articolo 82
(cosiddetta "perenzione dei ricorsi ultraquinquennali”, che
prescinde dall'eventuale presentazione dell'istanza di fissazione
d'udienza e dispone che dopo il decorso di cinque anni dalla data
di deposito del ricorso, la segreteria comunica alle parti costituite
apposito avviso in virtù del quale è fatto onere al ricorrente di
presentare nuova istanza di fissazione di udienza, sottoscritta
32
Detto termine non decorre nel caso di presentazione dell'istanza di fissazione di
udienza e finche non si sia provveduto su di essa. Anche l'avvenuta cancellazione
della causa dal ruolo implica in via generale, pena la declaratoria di perenzione del
ricorso, la necessità di una nuova istanza di fissazione dell'udienza (Consiglio Stato ,
sez. VI, 17 aprile 2009 , n. 2318).
Non sussistono, invece, i presupposti della perenzione del ricorso nel caso in cui la
causa, all'udienza di discussione, sia stata rinviata a data da destinare, dal momento
che per la nuova fissazione deve provvedersi d'ufficio (Consiglio Stato , sez. IV, 13
marzo 2009 , n. 1520).
45
dalla parte che ha rilasciato la procura di cui all'articolo 24 e dal
suo difensore, entro centottanta giorni dalla data di ricezione
dell'avviso. In difetto di tale nuova istanza, il ricorso è dichiarato
perento; in quest'ultimo caso se in assenza dell'avviso di
pendenza. ultraquinquennale del ricorso, è comunicato alle parti
l'avviso di fissazione dell'udienza di discussione nel merito, il
ricorso è deciso qualora il ricorrente dichiari, anche in udienza a
mezzo del proprio difensore, di avere interesse alla decisione;
altrimenti è dichiarato perento dal presidente del collegio con
decreto.
La nuova domanda di fissazione dell'udienza, da presentare per
evitare la perenzione, deve essere sottoscritta dalla parte, quindi
dal soggetto che pur essendo la parte sostanziale del processo
solitamente non firma i relativi atti33.
Una terza ipotesi di perenzione è prevista all'allegato 3 del
decreto legislativo numero 104 del 2010 con una norma
transitoria contenuta all'articolo 1 per la definizione dei ricorsi
pendenti da più di cinque anni alla data di entrata in vigore del
codice del processo amministrativo
Quest'ultima disposizione prevede che, a prescindere dalla
comunicazione dell'avviso di pendenza del ricorso da oltre cinque
anni, nel termine di centottanta giorni dalla data di entrata in
vigore del codice, le parti presentano una nuova istanza di
fissazione di udienza, sottoscritta dalla parte che ha rilasciato la
procura per la proposizione del ricorso e dal suo difensore,
33
È alla parte sostanziale, che dispone dell'interesse dedotto in giudizio, che spetta la
valutazione dell'attuale utilità della decisione; da qui l'onere di dichiarare
personalmente la permanenza dell'interesse alla decisione (Consiglio Stato , sez. VI,
14 gennaio 2009 , n. 133).
46
relativamente ai ricorsi pendenti da oltre cinque anni e per i quali
non è stata ancora fissata l'udienza di discussione.
In difetto di detto adempimento il ricorso è dichiarato perento
con decreto del presidente d'ufficio.
Pur tuttavia nel termine di centottanta giorni dalla comunicazione
del decreto, il ricorrente deposita un atto, sottoscritto dalla parte
personalmente e dal difensore e notificato alle altre parti, in cui
dichiara di avere ancora interesse alla trattazione della causa, il
presidente revoca il decreto disponendo la reiscrizione della
causa sul ruolo di merito.
Se, nella pendenza del termine per la proposizione della
dichiarazione di interesse, è comunicato alle parti l'avviso di
fissazione dell'udienza di discussione, il giudice provvede ai
sensi dell'articolo 82, comma 2, del codice, per cui il ricorso è
deciso qualora il ricorrente dichiari, anche in udienza a mezzo del
proprio difensore, di avere interesse alla decisione; altrimenti è
dichiarato perento dal presidente del collegio con decreto34.
Gli effetti della perenzione, sia a regime, sia prevista dalla norma
transitoria, sono disciplinati dall'articolo 83 per cui la stessa
opera di diritto e può essere rilevata anche d'ufficio.
La perenzione del ricorso opera, infatti, di diritto in base al dato
fattuale del mancato compimento di atti di procedura per il
periodo previsto legislativamente.
Il termine previsto per la presentazione dell'istanza di discussione
del ricorso ha carattere decadenziale, con la conseguenza che il
34
Giova ricordare che i termini per la perenzione sono endoprocedimentali, con la
conseguenza che vanno aumentati, alla pari degli altri, dei giorni derivanti dal
computo dei termini feriali (Consiglio Stato , sez. V, 10 febbraio 2010 , n. 654).
47
suo inutile decorso comporta la perenzione del ricorso, la quale
opera di diritto, è rilevabile d'ufficio ed è insensibile alle vicende
personali del ricorrente e del suo difensore35.
Dal momento che il legislatore ha previsto che ciascuna delle
parti sopporta le proprie spese nel giudizio, la pronuncia sulla
perenzione del giudizio non deve provvedere sulle spese.
A detta regola fa eccezione la decisione con ordinanza collegiale
adottata con il rito camerale di rigetto dell’opposizione al decreto
che dichiara la perenzione allorquando è fatto obbligo di
condannare la parte soccombente alla rifusione delle spese
processuali e degli onorari di difesa.
La rinuncia
L'articolo 84 del codice disciplina le modalità di rinuncia al
ricorso consentendo che la parte può rinunciare al ricorso in ogni
stato e grado della controversia, mediante dichiarazione
sottoscritta da essa stessa o dall'avvocato munito di mandato
speciale
e
depositata
presso
la
segreteria,
o
mediante
dichiarazione resa in udienza e documentata nel relativo verbale.
In conseguenza della natura unilaterale della scelta di rinunciare
al ricorso il codice prevede che il rinunciante deve pagare le
spese degli atti di procedura compiuti, salvo che il collegio, avuto
riguardo a ogni circostanza, ritenga di compensarle.
Quanto alle modalità viene ribadito che la rinuncia deve essere
notificata alle altre parti almeno dieci giorni prima dell'udienza.
Se le parti che hanno interesse alla prosecuzione non si
oppongono, il processo si estingue.
35
Consiglio Stato , sez. VI, 22 settembre 2008 , n. 4558)
48
L'abbandono del ricorso per rinuncia allo stesso è rimesso
integralmente a colui che agisce, ed è sottoposto alle sole
condizioni della provenienza dalla parte, o dal suo procuratore
all'uopo espressamente autorizzato, e dell'intervenuta conoscenza
della controparte dell'atto di rinuncia, da conseguirsi in modo
formale e, quindi, non solo con notifica o dichiarazione agli atti,
ma anche mediante altre forme equipollenti, quali il deposito in
udienza dell'atto di rinuncia sottoscritto dalla parte personalmente
o anche con dichiarazione sottoscritta dalla ricorrente e, per
adesione, anche dalle difese della altre parti costituite.
Una volta intervenute dette formalità, spetta al giudice
pronunciare, espressamente, e a seguito di un accertamento che
coinvolga la presenza dei detti requisiti, l'estinzione del giudizio,
permanendo, fino a quel momento, il potere del rinunciante di
revocare il proprio atto36.
Innovativa è la norma contenuta al comma 4 che recepisce un
principio giurisprudenziale costantemente ribadito, disponendosi
che, anche in assenza delle formalità di cui ai commi precedenti
il giudice può desumere dall'intervento di fatti o atti univoci dopo
la proposizione del ricorso ed altresì dal comportamento delle
parti argomenti di prova della sopravvenuta carenza d'interesse
alla decisione della causa37.
36
Effetto della rinuncia è pertanto, dal lato sostanziale, la cristallizzazione della
situazione dedotta al momento anteriore della proposizione del ricorso, dall'altro lato,
di carattere processuale, l'obbligo di provvedere al rimborso delle spese sostenute dalla
controparte, che tuttavia costituisce una posizione disponibile delle parti costituite,
potendovi queste rinunciare (Consiglio Stato , sez. IV, 14 aprile 2010 , n. 2071).
La rinuncia in appello al ricorso di primo grado e agli effetti della sentenza che lo ha
concluso configura una causa estintiva del giudizio che comporta l'annullamento
senza rinvio della sentenza appellata, configurandosi come una ipotesi di
sopravvenuto difetto di interesse alla decisione.
37
Giova ricordare che, secondo un costante indirizzo giurisprudenziale, l'istanza di
rinuncia al ricorso non sottoscritta anche dalla parte, ovvero, esclusivamente dal
difensore non munito di mandato speciale ad hoc, non può valere a detto fine (non
49
L’Improcedibilità
È improcedibile il ricorso ove nel corso del giudizio si verifichi
la sostituzione del provvedimento impugnato con altro atto non
meramente confermativo o elusivo, comportamento o situazione,
che modifichino la situazione di diritto e di fatto in senso
favorevole o non, in guisa tale da togliere al ricorrente ogni
interesse in ordine alla legittimità dell'atto impugnato38.
8 - Procedimento di ingiunzione.
L’art. 118 disciplina il procedimento del decreto ingiuntivo nelle
controversie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo, aventi ad oggetto diritti soggettivi di natura
patrimoniale.
Il codice di limita a rinviare dinamicamente al Capo I del Titolo I
del Libro IV del codice di procedura civile.
Per l'ingiunzione è competente il presidente o un magistrato da
lui delegato e l’opposizione si propone con ricorso.
Nella fase di cognizione aperta con l'atto di opposizione al
decreto ingiuntivo, il giudice non può limitarsi ad esaminare se
l'ingiunzione sia stata legittimamente emessa, ma deve procedere
a una autonoma valutazione di tutti gli elementi probatori, offerti
sia dal creditore per dimostrare la fondatezza della propria
sussistendo i formali requisiti tassativamente prescritti precedentemente dall'art. 46,
r.d. 17 agosto 1907 n. 642); tuttavia, pur se presentata in modo irrituale, detta istanza
deve essere interpretata come ammissione di una sopravvenuta carenza d' interesse
alla prosecuzione del giudizio (se presentata in appello, questo deve essere dichiarato
improcedibile per sopravvenuto difetto d'interesse a ricorrere e la sentenza gravata,
annullata senza rinvio) (Consiglio Stato , sez. VI, 17 dicembre 2008 , n. 6257).
38
Consiglio Stato , sez. IV, 18 giugno 2009 , n. 4026.
50
pretesa dedotta con il ricorso per l'ingiunzione sia dall'opponente
per contestare tale pretesa.
Il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo si atteggia, nel
procedimento davanti al G.A. introdotto dall'art. 8 l. 21 luglio
2000 n. 205, non diversamente da quello delineato dal codice di
procedura civile e dà luogo, quindi, ad un ordinario giudizio di
cognizione, teso ad accertare la fondatezza della pretesa fatta
valere e non se l'ingiunzione fu legittimamente emessa in
relazione alle condizioni previste dalla legge, con la conseguenza
che in esso solo da un punto di vista formale l'opponente assume
la posizione di attore e l'opposto quella di convenuto, perché è il
creditore ad avere veste sostanziale di attore.
Di conseguenza dal rinvio contemplato da tale disposizione alla
disciplina dettata dal citato capo del codice di rito, trova
applicazione anche il combinato disposto degli articoli 641 e 647
c.p.c., per cui il termine perentorio per proporre l'opposizione al
decreto ingiuntivo è determinato, in difetto di diversa
indicazione, in quaranta giorni dalla notifica del decreto.
Tuttavia, l'opposizione al decreto ingiuntivo dinanzi al giudice
amministrativo non si propone nelle forme previste dall'articolo
645 c.p.c. - ossia "con atto di citazione notificato al ricorrente",
bensì, per espressa previsione del codice, "con ricorso",
rinviandosi, pertanto, alla disciplina del processo amministrativo,
che prescrive, oltre alla notifica del ricorso all'Amministrazione
resistente ed ad almeno uno dei soggetti controinteressati, anche
il successivo deposito del ricorso medesimo presso la Segreteria
del giudice adito.
E’ apparso dubbio se, al fine in esame, sia necessaria la compiuta
instaurazione del rapporto processuale amministrativo - che si ha
51
solo con il deposito del ricorso notificato nella segreteria del
giudice amministrativo - o sia piuttosto sufficiente la semplice
notificazione del ricorso.
In relazione alla particolare natura del termine previsto per la
proposizione del ricorso a decreto ingiuntivo e tenuto conto degli
specifici effetti che comunque sono ricollegati alla notificazione
del ricorso giurisdizionale amministrativo, si ritiene che soltanto
la notificazione del ricorso debba avere luogo nel termine di
quaranta giorni, mentre il successivo deposito va effettuato
nell'osservanza
Il
mancato
degli
rispetto
ordinari
del
termine
termini
per
processuali.
la
proposizione
dell'opposizione a decreto ingiuntivo determina, infatti, la
definitiva
esecutività
del
decreto,
ossia
una
situazione
processuale assimilabile alla formazione della cosa giudicata.
Possono, quindi, applicarsi in via analogica alla fattispecie in
esame i principi generali del processo amministrativo che
concernono i termini processuali per la contestazione delle
decisioni suscettibili di passare in giudicato, ed in particolare il
principio per cui l'impugnazione è tempestiva qualora la
notificazione del ricorso avvenga entro il relativo termine
decadenziale, mentre il deposito dell'atto notificato può avere
luogo anche in un momento successivo (purché nel rispetto dello
specifico termine previsto per l'adempimento di tale incombente).
Tale principio si ritiene applicabile anche al procedimento di
opposizione a decreto ingiuntivo, attesane l'identità di ratio
rispetto alle sopraindicate previsioni e nonostante detto
procedimento debba considerarsi un ordinario giudizio di
cognizione, anziché un mezzo d'impugnazione (Consiglio Stato ,
sez. V, 28 maggio 2010 , n. 3404).
52
Il decreto ingiuntivo non opposto definisce la controversia, al
pari della sentenza passata in giudicato, ed ha quindi valore di
cosa giudicata agli effetti della proposizione del ricorso per
ottemperanza contemplato dall'art. 27, t.u. 26 giugno 1924 n.
1054.
9 - I riti abbreviati relativi a speciali controversie (art.
119 CPA).
Una particolare importanza assumono nel codice le disposizioni
che riprendono e in parte riscrivono le regole del rito speciale in
materia di appalti pubblici, recentemente introdotte dal d. lgs. n.
53 del 2010.
Aderendo all’esigenza di omogeneità del sistema, il Codice
prevede l’applicazione anche al nuovo contenzioso sugli appalti
del rito accelerato ordinario disciplinato dall’art. 119, con la sola
eccezione dei termini per la notificazione del ricorso di primo
grado e dei motivi aggiunti (tanto contro provvedimenti già
impugnati, quanto contro provvedimenti nuovi), che viene,
eccezionalmente, fissato in trenta giorni contro i sessanta ordinari
espressamente confermati dall’art. 119 anche per il rito accelerato
“comune a particolari materie”.
Con riferimento a quest’ultimo modello processuale, si
segnalano, rispetto alla disciplina prevista dall’art. 23 bis della
legge n. 1034 del 1971, i nuovi termini per l’impugnazione delle
sentenze (con l’espressa precisazione dell’irrilevanza della
omessa impugnazione del dispositivo ai fini della successiva
richiesta di sospensione) e l’espressa indicazione dei termini di
53
appello delle ordinanze, nonché la modifica dei presupposti per la
concessione delle misure cautelari e l’abolizione dei termini di
deposito
delle
memorie
e
dei
documenti
a
decorrere
dall’ordinanza che fissa il merito e la necessità di un’espressa
richiesta per la pubblicazione del dispositivo (non operante per il
contenzioso appalti).
L’art. 119 del codice sostituisce l’art. 23 bis della legge n. 1034
del 1971, disciplinando il rito abbreviato comune a determinate
materie
Le disposizioni si applicano nei giudizi aventi ad oggetto le
controversie relative a:
a) i provvedimenti concernenti le procedure di affidamento di
pubblici lavori, servizi e forniture, salvo quanto previsto dagli
articoli 120 e seguenti;
b) i provvedimenti adottati dalle Autorità amministrative
indipendenti, con esclusione di quelli relativi al rapporto di
servizio con i propri dipendenti;
c) i provvedimenti relativi alle procedure di privatizzazione o di
dismissione di imprese o beni pubblici, nonché quelli relativi alla
costituzione, modificazione o soppressione di società, aziende e
istituzioni da parte degli enti locali;
d) i provvedimenti di nomina, adottati previa delibera del
Consiglio dei ministri;
e) i provvedimenti di scioglimento di enti locali e quelli connessi
concernenti la formazione e il funzionamento degli organi;
f) i provvedimenti relativi alle procedure di occupazione e di
espropriazione delle aree destinate all'esecuzione di opere
pubbliche
o di
pubblica
utilità
e i
provvedimenti
di
54
espropriazione delle invenzioni adottati ai sensi del codice della
proprietà industriale;
g) i provvedimenti del Comitato olimpico nazionale italiano o
delle Federazioni sportive;
h) le ordinanze adottate in tutte le situazioni di emergenza
dichiarate ai sensi dell'articolo 5, comma 1, della legge 24
febbraio 1992, n. 225, e i consequenziali provvedimenti
commissariali (protezione civile nazionale);
i) il rapporto di lavoro del personale dei servizi di informazione
per la sicurezza, ai sensi dell'articolo 22, della legge 3 agosto
2007, n. 124 (AISI, AISE e DIS);
l) le controversie comunque attinenti alle procedure e ai
provvedimenti della pubblica amministrazione in materia di
impianti di generazione di energia elettrica di cui al decreto legge
7 febbraio 2002, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 9
aprile 2002, n. 55, comprese quelle concernenti la produzione di
energia elettrica da fonte nucleare, i rigassificatori, i gasdotti di
importazione, le centrali termoelettriche di potenza termica
superiore a 400 MW nonché quelle relative ad infrastrutture di
trasporto ricomprese o da ricomprendere nella rete di
trasmissione nazionale o rete nazionale di gasdotti;
m) i provvedimenti della commissione centrale per la definizione
e applicazione delle speciali misure di protezione, recanti
applicazione, modifica e revoca delle speciali misure di
protezione nei confronti dei collaboratori e testimoni di giustizia;
m-bis)
le
controversie
aventi
per
oggetto
i provvedimenti
dell'Agenzia nazionale di regolamentazione del settore postale di cui alla
lettera h) del comma 2 dell'articolo 37 della legge 4 giugno 2010, n. 96,
55
compresi quelli sanzionatori ed esclusi quelli inerenti ai rapporti di
impiego.
(lettera aggiunta dall'articolo 2, comma 2, d.lgs. n. 58 del 2011)
m-ter) i provvedimenti dell'Agenzia nazionale per la regolazione e la
vigilanza in materia di acqua istituita dall'articolo 10, comma 11, del
decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni,
dalla legge 12 luglio 2011, n. 106;
m-quater) le azioni individuali e collettive avverso le discriminazioni di
genere in ambito lavorativo, previste dall'articolo 36 e seguenti del
decreto legislativo 25 luglio 2006, n. 198, quando rientrano, ai sensi del
citato decreto, nella giurisdizione del giudice amministrativo.
(lettere aggiunte dall'articolo 1, comma 1, d.lgs. n. 195 del 2011)
L’Adunanaza plenaria del Consiglio di Stato con la
sentenza 3 giugno 2011 n. 10 ha ritenuto che al di fuori dei
casi in cui l’ordinamento attribuisce espressamente al giudice
amministrativo la giurisdizione sulla "sorte del contratto" che si
pone a valle di un procedimento amministrativo viziato (v. art.
133, co. 1, lett. e), n. 1, c.p.a., in tema di contratti pubblici relativi
a lavori, servizi, e forniture), secondo l’ordinario criterio di
riparto di giurisdizione spetta al giudice amministrativo
conoscere dei vizi del procedimento amministrativo, e al giudice
ordinario dei vizi del contratto, anche quando si tratti di invalidità
derivata dal procedimento amministrativo presupposto dal
contratto. Tale riparto di giurisdizione non fa tuttavia venire
meno l’interesse a impugnare davanti al giudice amministrativo
gli atti amministrativi prodromici di un negozio societario, atteso
che il loro annullamento produce un effetto viziante del negozio
societario a valle, con la conseguente possibilità di: a) azionare
rimedi risarcitori; b) impugnare il negozio societario davanti al
56
giudice
ordinario;
c)
chiedere
all’Amministrazione
l’ottemperanza al giudicato amministrativo, e, in caso di
perdurante inottemperanza, adire il giudice amministrativo che in
sede di ottemperanza può intervenire sulla sorte del contratto (6).
L’Adunanza plenaria ha ritenuto, altresì che il rito abbreviato di
cui all’art. 119 c.p.a., per quanto progressivamente esteso ad un
rilevante numero di materie, non è un rito ordinario ma un rito
speciale, vale a dire un’eccezione al rito ordinario, ove si
considerino: il dimezzamento dei termini processuali; la
maggiore onerosità economica del rito; la corsia preferenziale per
l’ottenimento
di
una
celere
decisione,
con
inevitabile
rallentamento dei processi ordinari.
Dal carattere eccezionale del rito abbreviato, deriva come
conseguenza immediata e diretta, che le ipotesi in cui esso si
applica sono tassative e di stretta interpretazione, non suscettibili
di interpretazione analogica. Al fine della verifica se una
determinata controversia rientri o meno in tale rito, è del tutto
irrilevante il comportamento processuale delle parti.
Una peculiarità di detto rito è che tutti i termini processuali
ordinari sono dimezzati.
Fanno eccezione al dimezzamento, nei giudizi di primo grado, i
termini per la notificazione:
- del ricorso introduttivo;
- del ricorso incidentale;
- dei motivi aggiunti.
Non si dimezzano i termini di cui all'articolo 62, comma 1, per
l’impugnazione delle
ordinanze cautelari per cui è ammesso
appello al Consiglio di Stato, da proporre nel termine di trenta
57
giorni dalla notificazione dell'ordinanza, ovvero di sessanta
giorni dalla sua pubblicazione.
Si dimezzano, invece, i termini per il deposito del ricorso
(principale ed incidentale) e dei motivi aggiunti39.
La dimidiazione dei termini processuali prevista adesso dall’art.
119 concerne solo l'impugnazione di atti amministrativi e non i
giudizi risarcitori
Salva la pronuncia di sentenza in forma semplificata, il tribunale
amministrativo regionale chiamato a pronunciare sulla domanda
cautelare:
- accerta la completezza del contraddittorio ovvero dispone
l'integrazione dello stesso;
- se ritiene, a un primo sommario esame, la sussistenza di profili
di fondatezza del ricorso e di un pregiudizio grave e irreparabile,
fissa con ordinanza la data di discussione del merito alla prima
udienza successiva alla scadenza del termine di trenta giorni dalla
data di deposito dell'ordinanza, disponendo altresì il deposito dei
documenti necessari e l'acquisizione delle eventuali altre prove
occorrenti;
- fissa la data di svolgimento dell’udienza in caso di rigetto
dell'istanza cautelare da parte del tribunale amministrativo
regionale, ove il Consiglio di Stato riformi l'ordinanza di primo
grado (in tale ipotesi, il termine di trenta giorni decorre dalla data
di ricevimento dell'ordinanza da parte della segreteria del
tribunale amministrativo regionale, che ne dà avviso alle parti).
39
Come ormai pacificamente e unanimemente ritenuto in giurisprudenza, il
dimezzamento dei termini di cui sopra (precedentemente previsto dall’art.
23-bis l. TAR e ribadito dal codice si applica anche al termine di deposito
dell'appello (cfr. Cons. Stato, Ad. Pl., 31 maggio 2002, n. 5; Cons. Stato,
sez. V, 31 gennaio 2007, n.. 389).
58
L'obbligo per il giudice di fissare i termini per il deposito di atti
di memorie è correlato alla fissazione dell'udienza nel termine
previsto dalla norma predetta, che deve ritenersi avere carattere
ordinatorio; conseguentemente, in caso di fissazione dell'udienza
oltre il termine predetto, i depositi di documenti, memorie e
repliche vanno effettuati nei termini dimezzati previsti in via
generale.
Con l'ordinanza cautelare, in caso di estrema gravità ed urgenza,
il tribunale amministrativo regionale o il Consiglio di Stato
possono disporre le opportune misure cautelari.
Al procedimento cautelare si applicano le disposizioni del Titolo
II del Libro II, in materia di misure cautelari (tutela cautelare
collegiale, monocratica interinale e ante causam).
Innovativa è la norma che rende facoltativa la pubblicazione del
dispositivo quando almeno una delle parti, nell'udienza
discussione, dichiara di avere interesse alla pubblicazione
anticipata del dispositivo rispetto alla sentenza e la dichiarazione
della parte è attestata nel verbale d'udienza.
In tal caso il dispositivo è pubblicato mediante deposito in
segreteria, non oltre sette giorni dalla decisione della causa.
Il termine, pertanto, non decorre dall’udienza (pubblica o
camerale) di discussione, ma dalla camera di consiglio di
decisione.
La parte può chiedere al Consiglio di Stato la sospensione
dell'esecutività del dispositivo, proponendo appello entro trenta
giorni dalla relativa pubblicazione, con riserva dei motivi da
proporre entro trenta giorni dalla notificazione della sentenza
ovvero entro tre mesi dalla sua pubblicazione.
59
La mancata richiesta di sospensione dell'esecutività del
dispositivo non preclude la possibilità di chiedere la sospensione
dell'esecutività della sentenza dopo la pubblicazione dei motivi.
Anche le predette disposizioni si applicano anche nei giudizi di
appello, revocazione e opposizione di terzo.
10 - Il rito speciale in materia di procedure di
affidamento di appalti e servizi pubblici.
L'articolo 120 detta disposizioni integrative specifiche rispetto a
quella contenuta all'articolo 119, limitatamente all'impugnazione
degli atti delle procedure di affidamento, ivi comprese le
procedure di affidamento di incarichi e concorsi di progettazione
e di attività tecnico-amministrative ad esse connesse, relativi a
pubblici
lavori, servizi
o forniture, nonché i
connessi
provvedimenti dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici
di lavori, servizi e forniture.
Il rito accelerato si deve applicare quando la domanda proposta in
giudizio, è rientrante tra quelli di cui sopra non abbia ad oggetto
esclusivamente il risarcimento del danno, ma riguardi anche
l'annullamento di atti amministrativi.
Detti provvedimenti sono impugnabili unicamente mediante
ricorso al tribunale amministrativo regionale competente
(escludendosi la proposizione del ricorso straordinario)40.
40
L’art. 243-bis. del Codice dei contratti disciplina l’informativa in ordine
all'intento di proporre ricorso giurisdizionale disponendo che nelle materie
di cui all'articolo 244, comma 1, i soggetti che intendono proporre un ricorso
giurisdizionale informano le stazioni appaltanti della presunta violazione e
della intenzione di proporre un ricorso giurisdizionale. L'informazione è
fatta mediante comunicazione scritta e sottoscritta dall'interessato, o da un
suo rappresentante, che reca una sintetica e sommaria indicazione dei
60
La
peculiarità
più
rilevante
riguarda
il
termine
per
l'impugnazione degli atti delle procedure di affidamento,
muovendosi dal principio affermato dalla Corte costituzionale
secondo cui la riduzione a metà del termine entro il quale
proporre ricorso, in materia di opere pubbliche, non importa
modalità di esercizio così gravose da rendere impossibile o
estremamente difficile l'esercizio della difesa e lo svolgimento
della connessa attività processuale; del resto varie norme vigenti
dispongono nel senso della riduzione dei termini per instaurare
giudizi amministrativi (Corte costituzionale 10 novembre 1999
numero 427).
Apparendo dubbio se la riduzione del termine per impugnare
riguardi anche la proposizione del ricorso incidentale, non
espressamente menzionato, per porre rimedio alla incongruenza
costituta
dalla
mancata
previsione,
nel
testo
originario
dell’articolo 120, comma 5, del termine abbreviato per la
proposizione del ricorso incidentale nei giudizi riguardanti le
presunti vizi di illegittimità e dei motivi di ricorso che si intendono
articolare in giudizio, salva in ogni caso la facoltà di proporre in giudizio
motivi diversi o ulteriori. L'interessato può avvalersi dell'assistenza di un
difensore. La comunicazione può essere presentata fino a quando
l'interessato non abbia notificato un ricorso giurisdizionale. L'informazione
è diretta al responsabile del procedimento. La comunicazione prevista dal
presente comma può essere effettuata anche oralmente nel corso di una
seduta pubblica della commissione di gara ed è inserita nel verbale della
seduta e comunicata immediatamente al responsabile del procedimento a
cura della commissione di gara.
La stazione appaltante, entro quindici giorni dalla comunicazione del
preavviso di ricorso comunica le proprie determinazioni in ordine ai motivi
indicati dall'interessato, stabilendo se intervenire o meno in autotutela.
L'inerzia equivale a diniego di autotutela. L'omissione della comunicazione
e l'inerzia della stazione appaltante costituiscono comportamenti valutabili,
ai fini della decisione sulle spese di giudizio, nonché ai sensi dell'articolo
1227 del codice civile.
Il diniego totale o parziale di autotutela, espresso o tacito, è impugnabile
solo unitamente all'atto cui si riferisce, ovvero, se quest'ultimo è già stato
impugnato, con motivi aggiunti..
61
procedure di affidamento di contratti pubblici di lavori pubblici,
servizi e forniture ovvero di incarichi e concorsi di progettazione
dal D.L.vo n. 195 del 2011 è stato ricondotto anche il ricorso
incidentale nell’ambito del termine abbreviato previsto per questa
tipologia di ricorsi.
Tale lacuna, infatti, dava luogo a un’evidente "sfasatura"
temporale tra la posizione del ricorrente principale e quella del (o
dei) controinteressato, con un vantaggio in termini temporali per
quest’ultimo, che presumibilmente, sotto il profilo fattuale e
sostanziale, si trova già ad essere la parte avvantaggiata in
giudizio in quanto aggiudicataria, sia pure in via provvisoria,
della commessa pubblica; per ulteriori dettagli, cfr. l’ultimo
paragrafo, essendo stata la disposizione modificata in sede di
esame definitivo.
Giova ricordare che l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato
con la sentenza n. 4 del 2011 conferma il più risalente indirizzo
interpretativo, in forza del quale il giudice ha il dovere di
decidere gradualisticamente la controversia, secondo l’ordine
logico che, di regola, pone la priorità della definizione delle
questioni di rito rispetto alle questioni di merito, e fra le prime la
priorità dell'accertamento della ricorrenza dei presupposti
processuali rispetto alle condizioni dell'azione.
Nel processo amministrativo va fatta una netta distinzione tra la
titolarità di una posizione sostanziale differenziata che abilita un
determinato soggetto all’esercizio dell’azione (legittimazione al
ricorso) e l’utilità ricavabile dall’accoglimento della domanda di
annullamento (interesse al ricorso), anche prescindendo dal
carattere "finale" o "strumentale" di tale vantaggio.
62
La legittimazione al ricorso presuppone il riconoscimento della
esistenza
di
una
situazione
giuridica
attiva,
protetta
dall’ordinamento, riferita ad un bene della vita oggetto della
funzione svolta dall’amministrazione o da un soggetto ad essa
equiparato.
La legittimazione al ricorso, nel caso di ricorsi in materia di
procedure di gara, deve essere correlata ad una situazione
differenziata, in modo certo, per effetto della partecipazione alla
stessa procedura oggetto di contestazione.
Tale regola, ormai consolidata, subisce alcune deroghe,
concernenti, rispettivamente:
a) la legittimazione del soggetto che contrasta, in radice, la scelta
della stazione appaltante di indire la procedura;
b) la legittimazione dell’operatore economico "di settore", che
intende contestare un "affidamento diretto" o senza gara;
c) la legittimazione dell’operatore che manifesta l’intenzione di
impugnare una clausola del bando "escludente", in relazione alla
illegittima previsione di determinati requisiti di qualificazione.
Tali deroghe, che si connettono ad esigenze e a ragioni peculiari,
sono tuttavia inidonee a determinare l’affermazione di una nuova
regola generale di indifferenziata titolarità della legittimazione al
ricorso,
basata
sulla
mera
qualificazione
soggettiva
di
imprenditore potenzialmente aspirante all’indizione di una nuova
gara.
I termini per l'impugnazione sono fissati in maniera differenziata
in relazione al rispetto da parte dell'amministrazione pubblica
della disciplina contenuta nella direttiva ricorsi e recepite
63
nell'ordinamento nazionale con il decreto legislativo numero 53
del 2010.
Nel caso in cui sia mancata la pubblicità del bando, il ricorso non
può comunque essere più proposto decorsi trenta giorni dal
giorno successivo alla data di pubblicazione dell'avviso di
aggiudicazione definitiva di cui all'articolo 65 e all'articolo 225
del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, a condizione che
tale avviso contenga la motivazione dell'atto con cui la stazione
appaltante ha deciso di affidare il contratto senza previa
pubblicazione del bando.
L’art. 65 del codice dei contratti, recependo nell'ordinamento
nazionale l’art. 35, paragrafo 4, e art. 36, paragrafo 1, direttiva
2004/18), ha previsto che le stazioni appaltanti che hanno
aggiudicato un contratto pubblico o concluso un accordo quadro
inviano un avviso relativo ai risultati della procedura di
aggiudicazione, entro quarantotto giorni dall'aggiudicazione del
contratto o dalla conclusione dell'accordo quadro.
L'articolo 225 del codice dei contratti, invece, recependo l'art.
43, della direttiva 2004/17, dispone che gli enti aggiudicatori che
abbiano aggiudicato un appalto o concluso un accordo quadro
inviano un avviso relativo all'appalto aggiudicato entro due mesi
dall'aggiudicazione dell'appalto o dalla conclusione dell'accordo
quadro e alle condizioni dalla Commissione europea.
Se sono omessi gli avvisi o le informazioni di cui sopra oppure se
essi non sono conformi alle prescrizioni ivi contenute, il ricorso
non può comunque essere proposto decorsi sei mesi dal giorno
successivo alla data di stipulazione del contratto.
Per l'impugnazione degli atti della procedura di gara il ricorso e i
motivi aggiunti, anche avverso atti diversi da quelli già
64
impugnati, devono essere proposti nel termine di trenta giorni,
decorrente dalla ricezione della comunicazione di cui all'articolo
79 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163.
Le stazioni appaltanti, in applicazione della norma predetta, sono
tenute ad informare tempestivamente i candidati e gli offerenti
delle decisioni prese riguardo alla conclusione di un accordo
quadro, all'aggiudicazione di un appalto, o all'ammissione in un
sistema dinamico di acquisizione, ivi compresi i motivi della
decisione di non concludere un accordo quadro, ovvero di non
aggiudicare un appalto per il quale è stata indetta una gara,
ovvero di riavviare la procedura, ovvero di non attuare un sistema
dinamico di acquisizione41.
L'onere di immediata impugnazione del bando di concorso (o di gara) è
strettamente riconnesso alla contestazione di clausole riguardanti
requisiti
soggettivi
di
partecipazione,
ostative
all'ammissione
dell'interessato, o al più impositive, ai fini della partecipazione, di oneri
manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati per eccesso
rispetto ai contenuti della procedura concorsuale, laddove siano
assimilabili, per struttura e modo di operare, a quelle concernenti i
requisiti soggettivi; va invece escluso un siffatto onere nei riguardi di
ogni altra clausola dotata solo di astratta e potenziale lesività, la cui
idoneità a produrre una concreta ed attuale lesione può essere valutata
41
Giova ricordare inoltre che la Corte giustizia CE, con la sentenza della
sez. III, 28 gennaio 2010 n. 406 ha affermato il principio secondo il quale
l'art. 1, n. 1, della direttiva del Consiglio 21 dicembre 1989, 89/665/CEE,
che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative
relative all'applicazione delle procedure di ricorso in materia di
aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come
modificata dalla direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, esige
che il termine per proporre un ricorso diretto a far accertare la violazione
della normativa in materia di aggiudicazione di appalti pubblici ovvero ad
ottenere un risarcimento dei danni per la violazione di detta normativa
decorra dalla data in cui il ricorrente è venuto a conoscenza o avrebbe
dovuto essere a conoscenza della violazione stessa.
65
unicamente all'esito, non scontato, della medesima procedura e solo in
caso in cui tale esito sia negativo per l'interessato.
Quando è impugnata l'aggiudicazione definitiva, se la stazione
appaltante fruisce del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato, il
ricorso è notificato, oltre che presso detta Avvocatura, anche alla
stazione appaltante nella sua sede reale, in data non anteriore alla
notifica presso l'Avvocatura, e al solo fine dell'operatività della
sospensione obbligatoria del termine per la stipulazione del
contratto.
Salvo che il giudizio non sia immediatamente definito con
sentenza in forma semplificata adottata nella camera di consiglio
fissata per la trattazione della domanda cautelare, ai sensi
dell'articolo 60, l'udienza di merito, ove non indicata dal collegio
ai sensi dell'articolo 119, comma 3 con l’ordinanza che esamina
la domanda cautelare, è immediatamente fissata d'ufficio con
assoluta priorità; e ciò a prescindere dall’accoglimento della
domanda cautelare.
I nuovi atti attinenti la medesima procedura di gara devono essere
impugnati con ricorso per motivi aggiunti.
Viene meno, pertanto la facoltatività della impugnazione con
ricorso autonomo prevista in via ordinaria.
Il giudice decide interinalmente sulla domanda cautelare, anche
se ordina adempimenti istruttori, se concede termini a difesa, o se
solleva o vengono proposti incidenti processuali.
La norma predetta trova ragione di essere nell'esigenza di evitare
che richieste di rinvio (ad esempio per proposizione di ricorso
incidentale, motivi aggiunti o incidenti del processo) possano
incidere sul principio della necessità che la fase cautelare venga
definita in tempi certi.
66
Il
dispositivo
del
provvedimento
con
cui
il
tribunale
amministrativo regionale definisce il giudizio è pubblicato entro
sette giorni dalla data della sua deliberazione.
Quindi non è rimessa alla valutazione delle parti la scelta di
pubblicazione del dispositivo.
Si ribadisce che si accentua il principio che tutti gli atti di parte e
i provvedimenti del giudice devono essere sintetici e la sentenza
è redatta, ordinariamente, nelle forme di cui all'articolo 74 con la
sentenza redatta in forma semplificata.
L'articolo 74 del codice prevede che nel caso in cui ravvisi la
manifesta
fondatezza
ovvero
la
manifesta
irricevibilità,
inammissibilità, improcedibilità o infondatezza del ricorso, il
giudice decide con sentenza in forma semplificata.
La motivazione della sentenza può consistere in un sintetico
riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo ovvero,
se del caso, ad un precedente conforme.
11 - Le peculiarità del rito delle infrastrutture
strategiche.
Ulteriori disposizioni processuali per le controversie relative a
infrastrutture strategiche vengono introdotto dall'articolo 125 del
codice, per cui nei giudizi che riguardano le procedure di
progettazione, approvazione, e realizzazione delle infrastrutture e
degli insediamenti produttivi e relative attività di espropriazione,
occupazione e asservimento, di cui alla parte II, titolo III, capo
IV del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, trovano
applicazione le norme predette in materia di impugnazione delle
67
procedure di gara ad eccezione dell'articolo 122 che disciplina il
rapporto tra l'annullamento dell'aggiudicazione e la efficacia del
contratto42.
Con l’aggiunta operata al comma 4 dell’articolo 125 il D.L.vo n.
195 del 2011 ci si è limitati e riportare nel codice, con funzione
di coordinamento, la previsione introdotta dall’articolo 6, comma
3, secondo periodo, del decreto legislativo 31 maggio 2011, n.
88, recante "Disposizioni in materia di risorse aggiuntive ed
interventi speciali per la rimozione di squilibri economici e
sociali, a norma dell'articolo 16 della legge 5 maggio 2009, n.
42".
Le disposizioni del comma 3, che limitano i casi di declaratoria di
inefficacia dei contratti già stipulati (salva l’ipotesi dell’art. 121 CPA), si
applicano anche alle controversie relative:
(comma così sostituito dall'articolo 1, comma 1, d.lgs. n. 195 del 2011)
a) alle procedure di cui all'articolo 140 del decreto legislativo 12 aprile
2006, n. 163;
b) alle procedure di progettazione, approvazione e realizzazione degli
interventi individuati nel contratto istituzionale di sviluppo ai sensi
dell'articolo 6 del decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 88;
42
La norma si riferisce alla progettazione, l'approvazione dei progetti e la
realizzazione delle infrastrutture strategiche di preminente interesse
nazionale, nonché l'approvazione secondo quanto previsto dall'articolo 179
dei progetti degli insediamenti produttivi strategici e delle infrastrutture
strategiche private di preminente interesse nazionale, individuati a mezzo
del programma di cui al comma 1 dell'articolo 1 della legge 21 dicembre
2001, n. 443. Nell'ambito del programma predetto sono, altresì, individuate,
con intese generali quadro tra il Governo e ogni singola regione o provincia
autonoma, le opere per le quali l'interesse regionale è concorrente con il
preminente interesse nazionale. Per tali opere le regioni o province
autonome partecipano, con le modalità indicate nelle stesse intese, alle
attività di progettazione, affidamento dei lavori e monitoraggio, in accordo
alle normative vigenti e alle eventuali leggi regionali allo scopo emanate.
Rimangono salve le competenze delle province autonome di Trento e
Bolzano previste dallo statuto speciale e relative norme di attuazione.
68
c) alle opere di cui all'articolo 32, comma 18, del decreto-legge 6 luglio
2011, n. 98 convertito in legge 15 luglio 2011, n. 111.
In via derogatoria è, infatti, previsto che in sede di pronuncia del
provvedimento cautelare, si tiene conto:
- delle probabili conseguenze del provvedimento stesso per tutti
gli interessi che possono essere lesi;
- del preminente interesse nazionale alla sollecita realizzazione
dell'opera.
Ai fini dell'accoglimento della domanda cautelare, si valuta
anche la irreparabilità del pregiudizio per il ricorrente, il cui
interesse va comunque comparato con quello del soggetto
aggiudicatore alla celere prosecuzione delle procedure.
Ferma restando l'applicazione degli articoli 121 (“Inefficacia del
contratto nei casi di gravi violazioni”) e 123 (“Sanzioni
alternative”, al di fuori dei casi in essi contemplati la sospensione
e l'annullamento dell'affidamento non comporta la caducazione
del contratto già stipulato, e il risarcimento del danno
eventualmente dovuto avviene solo per equivalente.
Si applica l'articolo 34, comma 3 per cui quando nel corso del
giudizio l'annullamento del provvedimento impugnato non risulta
più utile per il ricorrente, il giudice accerta l'illegittimità dell'atto
se sussiste l'interesse ai fini risarcitori.
L'art. 246 comma 4 del Codice dei contratti di cui al d.lg. n. 163
del 2006 e successive modificazioni, che nel caso di
annullamento dell'aggiudicazione preclude la caducazione del
contratto, è disposizione eccezionale applicabile solo agli
interventi
relativi
alle
infrastrutture
strategiche
e
agli
insediamenti produttivi di interesse nazionale, individuati a
69
mezzo del programma di cui all'art. 1, l. 21 dicembre 2001 n.
443, non essendo sufficiente per la sua applicazione ad ipotesi
diverse una analoga esigenza di speditezza della procedura.
12 - Il rito elettorale.
Il legislatore delegato non ha esercitato la delega nella parte
concernente l’introduzione ex novo di una tutela specifica
relativa alla fase preparatoria delle elezioni politiche, sebbene un
tentativo in tal senso era stato fatto dalla commissione redigente
presso il Consiglio di Stato.
Come si legge nella Relazione, i tempi serrati di tale fase
preparatoria – insuperabili per il vincolo posto dall’art. 61 della
Costituzione, che impone di espletare le elezioni politiche nei 70
giorni dal decreto presidenziale di scioglimento delle Camere
precedenti – hanno sconsigliato il Governo dall’intraprendere la
via della soppressione del procedimento amministrativo di
competenza dell’Ufficio elettorale centrale nazionale presso la
Corte di Cassazione ipotizzata dalla commissione redigente.
A ciò va aggiunto che nello stesso giorno in cui è stato pubblicato
in Gazzetta Ufficiale il D. l.vo 2 luglio 2010 n. 104 di
approvazione del nuovo codice del processo amministrativo, che,
tra l’altro, innova il giudizio elettorale, e, all’art. 129, ammette
una tutela anticipata avverso gli atti di esclusione dai
procedimenti elettorali preparatori, il 7 Luglio 2010 è stata
pubblicata la sentenza della Corte Costituzionale n. 236 del 2010,
che ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 83–undecies del
D.P.R. 16/5/60 n. 570, nella parte in cui esclude la possibilità di
70
un’autonoma
impugnativa
degli
atti
del
procedimento
preparatorio alle elezioni comunali, provinciali e regionali,
ancorché
immediatamente
lesivi,
anteriormente
alla
proclamazione degli eletti.
L’art. 2, allegato 4, del nuovo codice amministrativo, contenente
le norme di coordinamento ed abrogazioni in materia di elezioni
amministrative, ha peraltro previsto l’abrogazione dell’art. 83–
undecies, oggetto della sentenza di incostituzionalità.
La norma di coordinamento recita: l’art. 83 del D.P.R. 570/1960
è così sostituito: «la tutela in materia di operazioni per le elezioni
dei consiglieri comunali, successive all’emanazione del decreto
di convocazione dei comizi, è disciplinata dalle disposizioni
dettate dal codice del processo amministrativo».
La Corte Costituzionale ha affermato che la posticipazione
dell’impugnabilità degli atti di esclusione di liste o candidati ad
un momento successivo allo svolgimento delle elezioni viola gli
artt. 24 e 113 Cost.
L’interesse del candidato – si legge in motivazione – “è quello di
partecipare ad una determinata consultazione elettorale, in un
definito contesto politico e ambientale”.
Ogni forma di tutela che intervenga ad elezioni concluse «appare
inidonea ad evitare che l’esecuzione del provvedimento
illegittimo di esclusione abbia, nel frattempo, prodotto un
pregiudizio”.
La Corte ha evidenziato che “lo stesso legislatore, del resto, con
la disposizione dell’art. 44 della L. 69 del 2009, ha delegato il
Governo ad adottare norme che consentono l’autonoma
impugnabilità
degli
atti
cosiddetti
endoprocedimentali
immediatamente lesivi di situazioni giuridiche soggettive”.
71
Per completare il quadro della normativa di riferimento, che
richiede una tutela piena e tempestiva contro gli atti della
pubblica amministrazione, la Corte ha richiamato gli artt. 6 e 13
della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali che riconoscono, tra
l’altro, il diritto ad un ricorso effettivo..
Venendo all'esame delle norme del codice l'articolo 126 ribadisce
l’ambito
della
giurisdizione
sul
contenzioso
elettorale,
prevedendo che il giudice amministrativo ha giurisdizione in
materia di operazioni elettorali relative al rinnovo degli organi
elettivi dei comuni, delle province, delle regioni e all'elezione dei
membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia43.
Nella materia elettorale l'articolo 128 del codice esclude la
possibilità di proporre il ricorso straordinario al Presidente della
Repubblica.
43
Rimangono fuori dalla giurisdizione le questioni riguardanti i profili di
eleggibilità e incompatibilità dei candidati alle competizioni elettorali.
In materia di contenzioso elettorale amministrativo sono devolute al giudice
amministrativo le controversie in tema di operazioni elettorali, mentre spetta
al giudice ordinario la cognizione delle controversie concernenti
l'ineleggibilità, le decadenze e le incompatibilità.
La giurisdizione del giudice ordinario non trova limitazioni o deroghe per il
caso in cui la questione di eleggibilità venga introdotta mediante
impugnazione del provvedimento del Consiglio Comunale sulla convalida
degli eletti o impugnazione dell'atto di proclamazione o, in genere,
impugnazione del provvedimento che si pronuncia sull'eleggibilità del
candidato, perché anche in tali ipotesi la decisione verte non
sull'annullamento dell'atto amministrativo, bensì sul diritto soggettivo
perfetto inerente all'elettorato attivo o passivo.
Invece le controversie inerenti non l'eleggibilità degli eletti, bensì la
surrogazione dei rinuncianti con i candidati che li seguono nella graduatoria,
esulano dalla giurisdizione del giudice ordinario, ai sensi dell'art. 82, D.P.R.
16 maggio 1960 n. 570, e sono devolute alla giurisdizione del Tribunale
Amministrativo Regionale.
72
13 - Il rito in materia di ammissione delle liste e dei
candidati.
Come accennato l'articolo 129 introduce una specifica disciplina
con riguardo alla tutela anticipata avverso gli atti di esclusione
dai procedimenti elettorali preparatori per le elezioni comunali,
provinciali e regionali
I provvedimenti relativi al procedimento preparatorio per le
elezioni comunali, provinciali e regionali concernenti l'esclusione
di liste o candidati possono essere immediatamente impugnati,
esclusivamente da parte dei delegati delle liste e dei gruppi di
candidati esclusi, innanzi al tribunale amministrativo regionale
competente, nel termine di tre giorni dalla pubblicazione, anche
mediante affissione, ovvero dalla comunicazione, se prevista,
degli atti impugnati.
Al di fuori dei provvedimenti di esclusione dalla procedura
elettorale ogni provvedimento relativo al procedimento, anche
preparatorio, per le elezioni è impugnabile soltanto alla
conclusione del procedimento elettorale, unitamente all'atto di
proclamazione degli eletti.
Il ricorso avverso l'esclusione dalla competizione elettorale nel
termine di tre giorni decorrenti come sopra, deve essere, a pena di
decadenza notificato, direttamente dal ricorrente o dal suo
difensore, esclusivamente mediante consegna diretta, posta
elettronica certificata o fax, all'ufficio che ha emanato l'atto
impugnato (e non presso gli uffici dell’Avvocatura dello Stato),
nonchè alla Prefettura (per gli adempimenti connessi alla
eventuale modifica dei manifesti e delle schede elettorali) e, ove
possibile, agli eventuali controinteressati.
73
In ogni caso, l'ufficio che ha emanato l'atto impugnato rende
pubblico il ricorso mediante affissione di una sua copia integrale
in appositi spazi all'uopo destinati sempre accessibili al pubblico
e tale pubblicazione ha valore di notifica per pubblici proclami
per tutti i controinteressati; la notificazione si ha per avvenuta il
giorno stesso della predetta affissione;
Il ricorso va depositato presso la segreteria del tribunale adito,
che provvede ad affiggerlo in appositi spazi accessibili al
pubblico.
Le parti sono tenute ad indicare, rispettivamente nel ricorso o
negli atti di costituzione, l'indirizzo di posta elettronica certificata
o il numero di fax da valere per ogni eventuale comunicazione e
notificazione.
Non è chiaro se l'inosservanza di detta norma sia sanzionata con
l'inammissibilità del ricorso.
L'udienza di discussione si celebra, senza possibilità di rinvio
anche in presenza di ricorso incidentale, nel termine di tre giorni
dal deposito del ricorso, senza avvisi. Alla notifica del ricorso
incidentale si provvede con le forme previste per il ricorso
principale.
Il giudizio è deciso all'esito dell'udienza con sentenza in forma
semplificata, da pubblicarsi nello stesso giorno.
La relativa motivazione può consistere anche in un mero
richiamo delle argomentazioni contenute negli scritti delle parti
che il giudice ha inteso accogliere e fare proprie.
La sentenza non appellata è comunicata immediatamente (“senza
indugio”) dalla segreteria del tribunale all'ufficio che ha emanato
l'atto impugnato.
74
Il ricorso di appello, nel termine di due giorni dalla pubblicazione
della sentenza, deve essere, a pena di decadenza:
a) notificato, direttamente dal ricorrente o dal suo difensore,
esclusivamente mediante consegna diretta, posta elettronica
certificata o fax, all'ufficio che ha emanato l'atto impugnato, alla
Prefettura e, ove possibile, agli eventuali controinteressati; in
ogni caso, l'ufficio che ha emanato l'atto impugnato rende
pubblico il ricorso mediante affissione di una sua copia integrale
in appositi spazi all'uopo destinati sempre accessibili al pubblico
e tale pubblicazione ha valore di notifica per pubblici proclami
per tutti i controinteressati; la notificazione si ha per avvenuta il
giorno stesso della predetta affissione; per le parti costituite nel
giudizio di primo grado la trasmissione si effettua presso
l'indirizzo di posta elettronica certificata o il numero di fax
indicato negli atti difensivi;
b) depositato in copia presso il tribunale amministrativo regionale
che ha emesso la sentenza di primo grado, il quale provvede ad
affiggerlo in appositi spazi accessibili al pubblico;
c) depositato presso la segreteria del Consiglio di Stato, che
provvede ad affiggerlo in appositi spazi accessibili al pubblico.
Nel giudizio di cui sopra non si applicano le disposizioni di cui
agli articoli 52, comma 5, e 54, commi 1 e 2, per cui il giorno di
sabato non è considerato festivo ai fini della decorrenza dei
termini decadenziali da non calcolare a ritroso.
14 - Il rito relativo alle operazioni elettorali di
comuni, province, regioni e Parlamento europeo.
75
L'articolo 130 disciplina, invece, il rito relativo alle operazioni
elettorali di comuni, province, regioni e Parlamento europeo
Contro tutti gli atti del procedimento elettorale successivi
all'emanazione dei comizi elettorali è ammesso ricorso soltanto
alla conclusione
del procedimento
elettorale, unitamente
all'impugnazione dell'atto di proclamazione degli eletti:
a) quanto alle elezioni di comuni, province e regioni, da parte di
qualsiasi candidato o elettore dell'ente della cui elezione si tratta,
al tribunale amministrativo regionale nella cui circoscrizione ha
sede il predetto ente territoriale, da depositare nella segreteria del
tribunale adito entro il termine di trenta giorni dalla
proclamazione degli eletti;
b) quanto alle elezioni dei membri del Parlamento europeo
spettanti all'Italia, da parte di qualsiasi candidato o elettore,
davanti al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di
Roma, da depositare nella relativa segreteria entro il termine di
trenta giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale
dell'elenco dei candidati proclamati eletti.
Spetta agli Stati membri il compito di organizzare le elezioni del
Parlamento europeo, secondo la procedura fissata dalle
disposizioni nazionali, e, in tale ambito, procedere allo spoglio
dei voti ed alla proclamazione ufficiale dei risultati elettorali. Il
Parlamento europeo non può rimettere in discussione la regolarità
della proclamazione dell'ufficio elettorale nazionale in quanto, in
base all'art. 12 dell'atro del 1976, è tenuto a prendere atto dei
risultati44.
Coloro che presentano un ricorso in materia elettorale, sia che si
tratti di cittadini elettori, che di candidati non eletti, sono tenuti a
44
Corte giustizia CE, sez. IV, 30 aprile 2009 , n. 393
76
dare prova della propria legittimazione all'impugnazione nel
termine perentorio di dieci giorni dalla notificazione del ricorso.
La prova della legittimazione è diversa a seconda che il ricorso
sia proposto da candidati non eletti o da cittadini elettori non
partecipanti alla competizione.
Per i primi la legittimazione si identifica con l'interesse a
ricorrere perché il petitum consiste nell'annullamento in toto o in
parte qua della proclamazione degli eletti nella parte in cui non
hanno sortito un esito favorevole a loro o alla loro lista: la
legittimazione può pertanto essere attestata dalla semplice
iscrizione nelle liste dei partecipanti alla competizione o in
qualsivoglia atto o documento idoneo a comprovare tale
requisito.
Per i secondi che mirano alla realizzazione dell'interesse
collettivo al corretto svolgimento delle operazioni elettorali, la
legittimazione è soggetta alla prova di essere cittadino elettore
del comune ove si è svolta la competizione i cui risultati
sarebbero inficiati da errore.
Il contenzioso elettorale innanzi al giudice amministrativo, pur se
soggetto ad un rito speciale, è pur sempre inquadrato nello
schema del processo d'impugnazione, onde l'oggetto del giudizio
è definito dai motivi dedotti entro il termine di decadenza ed il
ricorrente è tenuto a specificarli con l'atto introduttivo, ancorché
sia consentita una minore precisione nella prospettazione dei vizi,
mentre nelle memorie e nella discussione orale può essere
illustrato quanto già dedotto.
Pertanto, sarebbe inammissibile il ricorso con cui, nel contestare
le operazioni elettorali, si prospettino vizi generici o ipotetici, o
una generica omissione nel computo di voti e preferenze, allo
77
scopo di evitare che l'omessa indicazione dei vizi si trasformi in
un mero espediente per provocare il generale riesame, in sede di
giudizio delle schede elettorali.
Nel giudizio elettorale unica parte pubblica necessaria è l'ente
locale interessato, che si appropria del risultato elettorale e sul
quale si riverberano gli effetti di un eventuale annullamento,
ovvero della conferma della proclamazione degli eletti; per cui in
particolare, gli organi temporanei, abilitati a dichiarare i risultati
finali del procedimento elettorale, come l'ufficio elettorale
centrale, e a maggior ragione gli uffici circoscrizionali e di
sezione, non sono portatori di un interesse giuridicamente
apprezzabile al mantenimento dei loro atti, per cui il ricorso
contro le operazioni elettorali non deve essere ad essi notificato
ed ove il ricorso sia stato notificato ad uno dei predetti uffici,
questi ultimi devono essere estromessi dal giudizio elettorale per
difetto di legittimazione passiva (Consiglio Stato ad. plen., 23
febbraio 1979 , n. 7).
Il presidente, con decreto:
a) fissa l'udienza di discussione della causa in via di urgenza;
b) designa il relatore;
c) ordina le notifiche, autorizzando, ove necessario, qualunque
mezzo idoneo;
d) ordina il deposito di documenti e l'acquisizione di ogni altra
prova necessaria;
e)
ordina
che
a cura
della segreteria
il
decreto
sia
immediatamente comunicato, con ogni mezzo utile, al ricorrente.
Il ricorso è notificato, unitamente al decreto di fissazione
dell'udienza, a cura di chi lo ha proposto, entro dieci giorni dalla
78
data della comunicazione del decreto presidenziale di fissazione
dell'udienza :
a) all'ente della cui elezione si tratta, in caso di elezioni di
comuni, province, regioni;
b) all'Ufficio elettorale centrale nazionale, in caso di elezioni dei
membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia;
c) alle altre parti che vi hanno interesse, e comunque ad almeno
un controinteressato.
I termini relativi all'introduzione del giudizio elettorale devono
ritenersi prescritti a pena di decadenza e la natura perentoria
appare
logicamente
considerazione
riconducibile
del)
preminente
al
(ed
imposta
interesse
dalla
pubblico,
evidentemente sotteso al regime processuale in esame, ad una
definizione delle controversie elettorali in tempi certi e solleciti.
Tali esigenze impediscono di attribuire alcuna rilevanza, ai fini
dell'individuazione del "dies a quo" del termine per il deposito
del ricorso , alla notificazione di quest'ultimo (da ritenersi,
pertanto, "inutiliter data") ad un soggetto privo di legittimazione
passiva.
Ne consegue che il "dies a quo" per il computo del termine in
questione va, invece, individuato nel giorno della notifica ai
soggetti passivamente legittimati la cui qualità di parti necessarie
realizza,
di
contro,
le
segnalate
esigenze
di
certezza
nell'instaurazione del giudizio.
Il termine di dieci giorni, fissato per il deposito del ricorso
elettorale notificato, ha natura perentoria e decorre dal momento
in cui il destinatario riceve la notificazione dell'atto e non già dal
momento, eventualmente successivo, in cui il notificante riceva
79
l'avviso del perfezionamento della notifica, effettuata tramite il
servizio postale.
Entro dieci giorni dall'ultima notificazione del ricorso con in
calce il decreto presidenziale, il ricorrente deposita nella
segreteria del tribunale la copia del ricorso e del decreto, con la
prova dell'avvenuta notificazione, insieme con gli atti e
documenti del giudizio.
Nel processo elettorale il mancato deposito del ricorso nei
termini di decadenza prescritti, non è sanata dalla tempestiva
costituzione degli intimati, trattandosi di un'ipotesi di decadenza,
impedita soltanto dal compimento dell'atto.
L'amministrazione resistente e i controinteressati depositano nella
segreteria le proprie controdeduzioni nei quindici giorni
successivi a quello in cui la notificazione si è perfezionata nei
loro confronti.
La Corte costituzionale con la sentenza 11 novembre 2011 n. 304 ha
ritenuto non è fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Consiglio di Stato in riferimento agli articoli 24, 76, 97,
103, 111, 113 e 117 della Costituzione - degli articoli 8, comma 2, 77,
126, 127, 128, 129, 130 e 131 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n.
nella parte in cui precludono al giudice amministrativo di accertare
anche solo incidentalmente la falsità degli atti pubblici nel giudizio
amministrativo in materia elettorale .
Ha osservato al riguardo la Corte che la devoluzione al giudice civile
della querela di falso rappresenta una (unanimemente condivisa)
opzione di sistema, non soltanto di risalente e costante tradizione –
estesa poi al processo tributario (art. 39 del decreto legislativo 31
dicembre 1992, n. 546, recante «Disposizioni sul processo tributario in
attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30
80
dicembre 1991, n. 413») ed ora trasfusa nell’art. 8, comma 2, del nuovo
codice del processo amministrativo, in una linea da considerare di
sostanziale e immutata continuità rispetto alla corrispondente disciplina
di cui alla serie delle disposizioni previgenti –, ma anche rispondente a
persistenti valori ed esigenze di primario risalto: tra questi va, anzitutto,
annoverata la necessaria tutela della fede pubblica, che in determinate
ipotesi – quale è quella degli atti muniti di valore fidefacente privilegiato
a norma dell’art. 2700 cod. civ. – deve essere assicurata a prescindere
dalla sede processuale in cui l’autenticità dell’atto sia stata,
incidentalmente, messa in dubbio.
La certezza e la speditezza del traffico giuridico – che rappresentano il
bene finale presidiato dal regime probatorio normativamente riservato a
determinati atti – potrebbero risultare, infatti, non adeguatamente
assicurate ove l’accertamento sulla autenticità dell’atto fosse rimesso ad
un mero "incidente", risolto all’interno di un determinato procedimento
giurisdizionale, senza che tale verifica avesse effetti giuridici al di là
delle parti e dell’oggetto dello specifico procedimento.
Da ciò consegue che la prevista disciplina della pregiudiziale di falso nel
processo amministrativo risponde ad una causa normativa del tutto in
linea con la necessità di assicurare la salvaguardia di esigenze di
primario rilievo: e ciò, non soltanto nel quadro di una – pur doverosa –
armonia nel sistema delle giurisdizioni, ma – soprattutto – nell’ambito di
una adeguata ponderazione delle varie esigenze coinvolte. La
"unitarietà" della giurisdizione in specifiche materie ben può, dunque,
costituire una necessità destinata a prevalere su quella di concentrazione
dei singoli e diversi giudizi, senza che a tal proposito possa in qualche
modo venire in discorso – come al contrario mostra di ritenere il giudice
a quo – la maggiore o minore idoneità di questo o quello tra i modelli
processuali ad assicurare adeguata tutela in quelle stesse materie.
81
All'esito dell'udienza, il collegio, sentite le parti se presenti,
pronuncia la sentenza.
La sentenza è pubblicata entro il giorno successivo alla decisione
della causa.
Se la complessità delle questioni non consente la pubblicazione
della sentenza, nello stesso termine di cui al periodo precedente è
pubblicato il dispositivo mediante deposito in segreteria. In tal
caso la sentenza è pubblicata entro i dieci giorni successivi.
Non è più prevista, pertanto, la lettura del dispositivo del
provvedimento giurisdizionale in pubblica udienza.
La sentenza è immediatamente trasmessa in copia, a cura della
segreteria del tribunale amministrativo regionale, al Sindaco, alla
giunta provinciale, alla giunta regionale, al presidente dell'ufficio
elettorale nazionale, a seconda dell'ente cui si riferisce l'elezione.
Il comune, la provincia o la regione della cui elezione si tratta
provvede,
entro
ventiquattro
ore
dal
ricevimento,
alla
pubblicazione per quindici giorni del dispositivo della sentenza
nell'albo o bollettino ufficiale dell'ente interessato a mezzo del
segretario che ne è diretto responsabile.
In caso di elezioni relative a comuni, province o regioni, la
sentenza è comunicata anche al Prefetto. Ai medesimi incombenti
si provvede dopo il passaggio in giudicato della sentenza
annotando sulla copia pubblicata la sua definitività.
Il tribunale amministrativo regionale, quando accoglie il ricorso,
esercitando una giurisdizione di merito, corregge il risultato delle
elezioni e sostituisce ai candidati illegittimamente proclamati
coloro che hanno diritto di esserlo.
82
In caso di ricorso avverso le operazioni elettorali inerenti il
Parlamento europeo, i voti delle sezioni le cui operazioni sono
state annullate non hanno effetto.
Tutti i termini processuali diversi da quelli indicati negli articoli
129, 130 e 131 sono dimezzati rispetto ai termini del processo
ordinario.
L'ente comunale, provinciale o regionale, della cui elezione si
tratta, comunica agli interessati la correzione del risultato
elettorale.
L'Ufficio elettorale nazionale comunica la correzione del risultato
elettorale agli interessati e alla segreteria del Parlamento europeo.
L'appello avverso le sentenze di cui sopra è proposto entro il
termine di venti giorni dalla notifica della sentenza, per coloro
nei cui confronti è obbligatoria la notifica; per gli altri candidati o
elettori nel termine di venti giorni decorrenti dall'ultimo giorno
della pubblicazione della sentenza medesima nell'albo pretorio
del comune.
Anche in questo caso il presidente fissa in via d'urgenza l'udienza
di discussione.
Al giudizio si applicano le norme che regolano il processo di
appello innanzi al Consiglio di Stato, e i relativi termini sono
dimezzati rispetto a quelli del giudizio ordinario.
La sentenza, quando, in riforma di quella di primo grado,
accoglie il ricorso originario, provvede con le stesse modalità
previste per il processo di primo grado.
L'articolo 132 disciplina alcune peculiarità del procedimento in
appello in relazione alle operazioni elettorali del Parlamento
europeo.
83
Le parti del giudizio di primo grado possono proporre appello
mediante dichiarazione da presentare presso la segreteria del
tribunale amministrativo regionale che ha pronunciato la
sentenza, entro il termine di cinque giorni decorrenti dalla
pubblicazione della sentenza o, in mancanza, del dispositivo.
L'atto di appello contenente i motivi deve essere depositato entro
il termine di trenta giorni decorrenti dalla ricezione dell'avviso di
pubblicazione della sentenza.
15 – Il sistema di tutela cautelare.
Centrale nel processo amministrativo codificato è la disciplina
della fase cautelare.
Si assicura una più effettiva garanzia del contraddittorio e una
maggiore conoscenza degli atti di causa da parte del Giudice,
attraverso l’ampliamento dei termini per la fissazione della
camera di consiglio (almeno venti giorni dal ricevimento della
notifica e dieci dal deposito, che deve essere sempre
accompagnato, a pena di improcedibilità, da quello dell’istanza di
fissazione), ciò che ha consentito di affermarne in modo espresso
l’idoneità anche a soddisfare la garanzia del contraddittorio per la
eventuale decisione in forma semplificata (salva la formale
richiesta di ulteriori termini a difesa per la proposizione di motivi
aggiunti o di ricorsi incidentali).
E’ stato introdotto il termine (di due giorni liberi dalla camera di
consiglio) per la presentazione di memorie e documenti.
Viene istituzionalizzata la possibilità che l’istanza cautelare
venga utilizzata per richieste istruttorie e/o per ottenere una
84
sollecita fissazione dell’udienza di merito e viene, comunque,
espressamente garantita la sollecita fissazione di quest’ultima in
caso di concessione di misure cautelari.
Sono poi disciplinati i procedimenti:
- per la tutela cautelare monocratica nelle more della camera di
consiglio;
- per quella ante causam (estesa a tutte le controversie).
Si sono introdotte norme volte ad impedire un uso distorto e
strumentale a vantaggio della sola parte ricorrente (che avrà
l’onere di dimostrare la ricevuta notifica e di depositare l’istanza
di fissazione di udienza prodromica alla fissazione della camera
di consiglio) e di consentire una più effettiva garanzia di
contraddittorio per le parti resistenti e controinteressate (che,
oltre a poter essere, anche informalmente, sentite prima della
decisione sull’istanza, potranno sempre chiedere la revoca della
misura eventualmente adottata, qualora riescano a rappresentarne
la insussistenza dei presupposti per la concessione).
Viene introdotta la disposizione in tema di sospensione e di
interruzione del processo e quelle sull’istanza di fissazione (per la
quale è ribadito e chiarito in ogni caso l’obbligo di presentazione
entro un anno dal deposito del ricorso ovvero dalla relativa
cancellazione o riassunzione; ovvero entro novanta giorni dalla
comunicazione dell’atto che fa venir meno la sospensione).
Con la finalità della accelerazione della definizione della
controversia, viene data la possibilità di anticipare la decisione
attraverso la concentrazione del giudizio su una sola questione,
con rinuncia agli altri motivi di ricorso .
Misure cautelari collegiali (art. 55).
85
Presupposto per la concessione della misura cautelare (in forma
atipica e non limitata alla sospensione dell’efficacia dell’atto
impugnato) è che il ricorrente:
- chieda
l'emanazione
di
misure
cautelari,
compresa
l'ingiunzione a pagare una somma in via provvisoria, che
appaiono, secondo le circostanze, più idonee ad assicurare
interinalmente gli effetti della decisione sul ricorso;
- provi di subire un pregiudizio grave e irreparabile durante il
tempo necessario a giungere alla decisione sul ricorso.
La domanda cautelare può essere proposta:
- con il ricorso di merito;
- con distinto ricorso notificato alle altre parti.
La domanda cautelare è improcedibile, e quindi non può essere
esaminata e decisa, finche non è presentata l'istanza di fissazione
dell'udienza di merito, salvo che essa debba essere fissata
d'ufficio.
Sulla domanda cautelare il collegio pronuncia nella prima camera
di consiglio successiva a due dati temporali concomitanti:
- al ventesimo giorno dal perfezionamento, anche per il
destinatario, dell'ultima notificazione;
- al decimo giorno dal deposito del ricorso.
Le parti possono depositare memorie e documenti fino a due
giorni liberi prima della camera di consiglio (non si tiene conto
dei giorni festivi, della domenica e del sabato).
Il collegio, per gravi ed eccezionali ragioni, può autorizzare la
produzione in camera di consiglio di documenti, con consegna di
copia alle altre parti fino all'inizio di discussione.
86
Ai fini del giudizio cautelare, se la notificazione è effettuata a
mezzo del servizio postale, il ricorrente, se non è ancora in
possesso dell'avviso di ricevimento, può provare la data di
perfezionamento
della
notificazione
producendo
copia
dell'attestazione di consegna del servizio di monitoraggio della
corrispondenza nel sito internet delle poste.
È fatta salva la prova contraria (cioè la parte destinataria della
notifica può, costituendosi, fornire la prova della mancata
ricezione).
Nella camera di consiglio le parti possono costituirsi e i difensori
sono sentiti ove ne facciano richiesta.
La trattazione in camera di consiglio si svolge oralmente e in
modo sintetico.
In sede di esame della domanda cautelare il collegio adotta, su
istanza di parte, i provvedimenti necessari per assicurare la
completezza dell'istruttoria e l'integrità del contraddittorio, ma
può disporre misure cautelari solo se ritiene sussistente la propria
competenza ai sensi degli articoli 13 e 14; altrimenti provvede ai
sensi dell'articolo 15, commi 5 e 6, conseguentemente quando è
proposta domanda cautelare il tribunale adito, ove non riconosca
la propria competenza , non decide su tale domanda e con
ordinanza indica il giudice competente.
Se, nel termine perentorio di trenta giorni dalla comunicazione di
tale ordinanza, la causa è riassunta davanti al giudice dichiarato
competente, il processo prosegue davanti al nuovo giudice.
Giova ricordare che, ai sensi dell'articolo 16, comma 2, il
Tribunale indicato come competente può richiedere d'ufficio, con
ordinanza, il regolamento di competenza, indicando il tribunale
che reputa competente.
87
Il collegio si pronuncia con ordinanza emessa in camera di
consiglio e qualora dalla decisione sulla domanda cautelare
derivino effetti irreversibili, può disporre la prestazione di una
cauzione, anche mediante fideiussione, cui subordinare la
concessione o il diniego della misura cautelare.
Il provvedimento che impone la cauzione ne indica l'oggetto, il
modo di prestarla e il termine entro cui la prestazione va eseguita.
Fa eccezione alla regola della cauzione l’ipotesi della
concessione della misura cautelare nel caso in cui la domanda
cautelare che attiene a diritti fondamentali della persona o ad altri
beni di primario rilievo costituzionale (salute, istruzione,
incolumità personale, libertà civili).
L'ordinanza cautelare motiva in ordine alla valutazione del
pregiudizio allegato e indica i profili che, ad un sommario esame,
inducono ad una ragionevole previsione sull'esito del ricorso.
Il tribunale amministrativo regionale, in sede cautelare, se ritiene
che le esigenze del ricorrente siano apprezzabili favorevolmente
e tutelabili adeguatamente con la sollecita definizione del
giudizio nel merito, fissa con ordinanza collegiale la data di
discussione del ricorso nel merito.
Nello stesso senso può provvedere il Consiglio di Stato,
motivando sulle ragioni per cui ritiene di riformare l'ordinanza
cautelare di primo grado; in tal caso, la pronuncia di appello è
trasmessa al tribunale amministrativo regionale per la sollecita
fissazione dell'udienza di merito.
Sarà cura della segreteria di sottoporre al presidente l’ordinanza
del Giudice d’appello per la sollecita fissazione dell’udienza di
merito.
88
L'ordinanza con cui è disposta una misura cautelare fissa la data
di discussione del ricorso nel merito.
In caso di mancata fissazione dell'udienza, il Consiglio di Stato,
se conferma in appello la misura cautelare, dispone che il
tribunale amministrativo regionale provveda alla fissazione della
stessa con priorità. A tal fine l'ordinanza è trasmessa a cura della
segreteria al primo giudice.
Innovativa è la norma dell'articolo 57 che rende obbligatoria la
decisione sulle spese della fase cautelare con ordinanza.
La pronuncia sulle spese conserva efficacia anche dopo la
sentenza che definisce il giudizio, salvo diversa statuizione
espressa nella sentenza o nel decreto che definisce il giudizio.
Al comma 1, dell’articolo 57, la sostituzione da parte del D. L.vo
n. 195 del 2011 delle parole "la sentenza" con le parole "il
provvedimento" e la specificazione del riferimento alla sentenza
"di merito" derivano, da un lato, dalla necessità di considerare
l’eventualità che il processo possa essere definito altrimenti (con
ordinanza, se definito in rito su una questione di competenza;
ovvero con decreto presidenziale, ad esempio di perenzione o di
improcedibilità) e, dall’altra parte, dalla scelta – corollario
dell’esigenza di coerenza con i principi processualcivilistici – di
consentire solo alla sentenza di merito la forza di modificare la
statuizione sulle spese resa con ordinanza collegiale (che, nel
sistema del codice, di norma sopravvive anche a diversa
statuizione sulle spese, se questa non abbia specificamente preso
in esame lo specifico punto).
Quest'ultima norma comporta che la fase cautelare ormai con
riguardo al regime delle spese processuali è del tutto autonoma
dalla decisione del ricorso nel merito; rimettendosi pur tuttavia al
89
giudice del merito di deliberare difformemente da quanto statuito
nella fase cautelare.
La liquidazione delle spese prescinde, infatti, da quella
conseguente al giudizio di merito, salvo diversa statuizione
espressa nella sentenza.
L'articolo 58 del codice disciplina la revoca, la modifica delle
misure cautelari collegiali e la riproposizione della domanda
cautelare respinta
Le parti possono riproporre la domanda cautelare al collegio o
chiedere la revoca o la modifica del provvedimento cautelare
collegiale nei seguenti casi:
- se si verificano mutamenti nelle circostanze;
- se si allegano fatti anteriori di cui si è acquisita conoscenza
successivamente al provvedimento cautelare, fornendo la prova
del momento in cui ne è venuto a conoscenza;
- se sussistano situazioni che consentano una revocazione
richiamandosi i caso di cui all'articolo 395 del codice di
procedura civile.
L'articolo 59 disciplina l’esecuzione delle misure cautelari,
prevedendosi che qualora i provvedimenti cautelari non siano
eseguiti, in tutto o in parte, l'interessato, con istanza motivata e
notificata alle altre parti, può chiedere al tribunale amministrativo
regionale le opportune misure attuative.
Il riferimento generico al tribunale deve intendersi connesso alla
tipologia di provvedimento nel quale si chiede l'esecuzione.
Conseguentemente se si chiede l'esecuzione di un decreto
cautelare monocratico la relativa istanza va proposta al presidente
del tribunale, mentre se si chiede l'esecuzione di un'ordinanza
collegiale relativa istanza va proposta al collegio, salvo che non
90
vi siano le condizioni di estrema urgenza e di pregiudizio per la
situazione soggettiva di cui si lamenta la lesione che legittimano
la proposizione dell'istanza cautelare interinale.
Il tribunale esercita i poteri inerenti al giudizio di ottemperanza di
cui al Titolo I del Libro IV e provvede sulle spese.
Il richiamo ai poteri inerenti al giudizio di ottemperanza e non al
rito comporta che la richiesta di esecuzione segue le regole del
procedimento cautelare e non del giudizio di ottemperanza quale
disciplinato dall'articolo 114.
I poteri del giudice dell'ottemperanza sono quelli disciplinati
dall'articolo 114 commi 4, 5,6,7 per cui, in caso di accoglimento
del ricorso:
- ordina l'ottemperanza, prescrivendo le relative modalità, anche
mediante la determinazione del contenuto del provvedimento
amministrativo
o
l'emanazione
dello
stesso
in
luogo
dell'amministrazione;
- determina le modalità esecutive, considerando inefficaci gli atti
emessi in violazione o elusione e provvede di conseguenza,
tenendo conto degli effetti che ne derivano;
- nomina, ove occorra, un commissario ad acta;
- salvo che ciò sia manifestamente iniquo, e se non sussistono
altre ragioni ostative, fissa, su richiesta di parte, la somma di
denaro dovuta dal resistente per ogni violazione o inosservanza
successiva, ovvero per ogni ritardo nell'esecuzione della
decisione cautelare; tale statuizione costituisce titolo esecutivo.
Il giudice della tutela cautelare conosce di tutte le questioni
relative all'esatta ottemperanza, ivi comprese quelle inerenti agli
atti del commissario.
91
Si applica la stessa procedura prevista per il giudizio di
ottemperanza i fini dell' impugnazione dei provvedimenti emessi
dal commissario "ad acta ", nominato dal giudice amministrativo
in sede di giudizio di ottemperanza; detta impugnazione deve
essere proposta dalle parti alle quali il giudicato si riferisce.
Nel giudizio amministrativo, l'accoglimento della domanda
cautelare relativa al diniego di atti relativi ad interessi pretensivi
risulta inscindibilmente connesso all'esatta ottemperanza da parte
dell'Amministrazione al contenuto conformativo del jussum
cautelare, idoneo - laddove correttamente eseguito - a conferire
concretezza al contenuto pretensivo dell'interesse azionato in
giudizio.
Pertanto, la mera rimozione in sede di autotutela del
provvedimento negativo adottato a fronte di un'istanza supportata
da un interesse di carattere pretensivo non è idonea di per sé a
determinare l'improcedibilità del ricorso per sopravenuta carenza
di interesse alla relativa coltivazione.
È del tutto evidente, del resto, il carattere pienamente non
satisfattivo di un provvedimento di ritiro il quale, incidendo su un
assetto di interessi mai in concreto modificato, sortisce nei fatti
l'effetto (equivalente quoad effectum ad un nuovo diniego
espresso) di lasciare ancora immutata una situazione di mancato
soddisfacimento del richiamato interesse pretensivo45.
Nel caso di ricorso proposto anche al fine di ottenere chiarimenti
in ordine alle modalità di ottemperanza,ai sensi del comma 5
dell'articolo 112, il giudice fornisce chiarimenti in ordine alle
modalità di ottemperanza, anche su richiesta del commissario.
45
Consiglio Stato , sez. VI, 05 febbraio 2010 , n. 537
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La definizione con sentenza in forma e procedura abbreviata
alternativa alla misura cautelare.
L’art. 60 consente la definizione del giudizio in esito all'udienza
cautelare, disponendo che in sede di decisione della domanda
cautelare il giudice può definire, in camera di consiglio, il
giudizio con sentenza in forma semplificata alle seguenti
condizioni:
- purché siano trascorsi almeno venti giorni dall'ultima
notificazione del ricorso,
- sia
accertata
la
completezza
del
contraddittorio
e
dell'istruttoria,
- siano sentite sul punto le parti costituite,
- una delle parti non abbia dichiarato che intende proporre
motivi
aggiunti,
ricorso
incidentale
o
regolamento
di
competenza, ovvero regolamento di giurisdizione (se la parte
dichiara che intende proporre regolamento di competenza o di
giurisdizione, il giudice assegna un termine non superiore a trenta
giorni).
Ove ne ricorrano i presupposti, il collegio dispone l'integrazione
del contraddittorio o il rinvio per consentire la proposizione di
motivi aggiunti, ricorso incidentale, regolamento di competenza
o di giurisdizione e fissa contestualmente la data per il prosieguo
della trattazione.
Presupposti della sentenza in forma semplificata sono la
completezza del contraddittorio (cioè la rituale notifica del
ricorso e il rispetto del termine per la discussione sull'istanza
incidentale), la completezza dell'istruttoria, l'avviso alle parti, ma
l'esigenza e l'opportunità della sollecita decisione nel merito di
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una causa è da intendersi rimessa al prudente apprezzamento del
giudice e non alla volontà delle parti, alle quali è stato
riconosciuto il diritto di essere avvertite dell'intenzione del
giudice (di decidere immediatamente nel merito la causa) al fine
precipuo di non esaurire le loro difese sul piano della misura
cautelare incidentalmente richiesta e di sviluppare pertanto le
proprie argomentazione difensive anche nel merito.
Anche al di fuori dell’ipotesi di cui sopra, e, quindi anche per i
giudizi trattati in udienza pubblica l'articolo 74 del codice
prevede che nel caso in cui ravvisi la manifesta fondatezza
ovvero
la
manifesta
irricevibilità,
inammissibilità,
improcedibilità o infondatezza del ricorso, il giudice decide con
sentenza in forma semplificata.
La motivazione della sentenza può consistere in un sintetico
riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo ovvero,
se del caso, ad un precedente conforme.
Misure cautelari monocratiche
Il codice prevede due tipologie di misure cautelari monocratiche:
- le misure cautelari interinali (articolo 56);
- le misure cautelari ante causam (articolo 61).
Le misure cautelari monocratiche interinali
Le misure cautelari interinali disciplinate dall'articolo 56 sono
quelle richieste contestualmente alla domanda cautelare rivolta al
collegio ovvero, autonomamente, allorquando sia già stato
proposto il ricorso introduttivo del giudizio.
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La finalità è quella di garantire una tutela per quelle situazioni
soggettive che potrebbero essere pregiudicate anche nelle more
dell'esame collegiale della domanda cautelare.
L'articolo 56 del codice prevede che il ricorrente può chiedere al
presidente del tribunale amministrativo regionale, o della sezione
cui il ricorso è assegnato, di disporre misure cautelari
provvisorie, prima della trattazione della domanda cautelare da
parte del collegio.
Le condizioni sono le seguenti:
- proposizione dell'istanza con la domanda cautelare o con
distinto ricorso notificato alle controparti;
- prova della sussistenza di una situazione di estrema gravità ed
urgenza, tale da non consentire neppure la dilazione fino alla data
della camera di consiglio;
- presentazione dell'istanza di fissazione d'udienza per il merito,
salvo che essa debba essere fissata d'ufficio (condizione
quest'ultima di procedibilità dell'esame dell'istanza cautelari
monocratica);
- competenza del tribunale amministrativo adito.
Il presidente provvede sulla domanda solo se ritiene la
competenza del tribunale amministrativo regionale, altrimenti
rimette le parti al collegio per i provvedimenti di cui all'articolo
55, comma 13, per cui il giudice adito può disporre misure
cautelari solo se ritiene sussistente la propria competenza, ai
sensi degli articoli 13 e 14; altrimenti provvede ai sensi
dell'articolo 15, commi 5 e 6, rilevando la propria incompetenza e
indicando il tribunale competente, ovvero sollevando il
regolamento di competenza dinanzi al Consiglio di Stato..
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Competente a decidere sull'istanza cautelare monocratica
interinale è il presidente o un magistrato da lui delegato.
Il presidente verifica che la notificazione del ricorso si sia
perfezionata nei confronti dei destinatari o almeno della parte
pubblica e di uno dei controinteressati e provvede con decreto
motivato non impugnabile.
L'innovazione del codice è particolarmente importante, in quanto
per l’esame della domanda cautelare interinale occorre che si sia
proceduto
alla
notifica
effettiva
dell'istanza
stessa
all’amministrazione resistente e ad almeno un controinteressato,
garanzia dell’effettività del contraddittorio.
In considerazione dei tempi spesso estremamente ridotti dati per
ottenere una tutela cautelare effettiva è consentita la notificazione
da parte del difensore anche a mezzo fax.
In quest'ultimo caso, pur tuttavia, le misure cautelari perdono
efficacia se il ricorso non viene notificato per via ordinaria entro
cinque giorni dalla richiesta delle misure cautelari provvisorie.
Si applica l'articolo 55, comma 6 per cui ai fini del giudizio cautelare, se
la notificazione è effettuata a mezzo del servizio postale, il ricorrente, se
non è ancora in possesso dell'avviso di ricevimento, può provare la data
di
perfezionamento
della
notificazione
producendo
copia
dell'attestazione di consegna del servizio di monitoraggio.
Qualora l'esigenza cautelare non consenta l'accertamento del
perfezionamento delle notificazioni, per cause non imputabili al
ricorrente, il presidente può comunque provvedere, fatto salvo il
potere di revoca.
Innovativa è la norma che rimette alla valutazione del presidente
"ove ritenuto necessario", fuori udienza e senza formalità, sentire,
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anche separatamente, le parti che si siano rese disponibili prima
dell'emanazione del decreto.
In analogia a quanto previsto per la concessione delle misure
cautelari collegiali, qualora dalla decisione sulla domanda
cautelare derivino effetti irreversibili, il presidente può
subordinare la concessione o il diniego della misura cautelare alla
prestazione di una cauzione, anche mediante fideiussione,
determinata con riguardo all'entità degli effetti irreversibili che
possono prodursi per le parti e i terzi.
Viene ulteriormente chiarito (sebbene nella prassi già avvenisse)
che nel decreto deve essere comunque indicata la camera di
consiglio per la trattazione collegiale della domanda cautelare è
ciò sia nel caso che l'istanza venga accolta, sia nel caso che venga
rigettata.
Opportunamente viene chiarito che in caso di accoglimento della
domanda cautelare la misura cautelare è efficace sino a detta
camera di consiglio fissata per la trattazione collegiale.
Ciò comporta che in caso di rinvio della camera di consiglio il
decreto cautelare perde efficace ed eventuali misure interinali
rientrano nella competenza del collegio anche nelle more di un
eventuale
rinvio,
ovvero
dell'esecuzione
di
adempimenti
istruttori.
Il decreto perde, infatti, efficacia se il collegio non provvede sulla
domanda cautelare nella camera di consiglio.
Fino a quando conserva efficacia, il decreto è sempre revocabile
o modificabile su istanza di parte notificata.
A quest'ultima si applica il comma 2 che disciplina le modalità di
notifica dell'istanza di revoca del decreto cautelare.
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Misure cautelari monocratiche anteriori alla causa
L'articolo 61 del codice estende a tutte le materie di competenza
del giudice amministrativo la possibilità di richiedere misure
cautelari
monocratiche
anteriori
alla
causa
(previste
precedentemente soltanto nel caso dei contenziosi riguardanti
l'affidamento di appalti pubblici).
I presupposti per richiedere la misura cautelare ante causam sono
i seguenti
- la sussistenza di una situazione di eccezionale gravità e
urgenza;
- tale da non consentire neppure la previa notificazione del
ricorso e la domanda di misure cautelari provvisorie con decreto
presidenziale.
Il soggetto legittimato al ricorso può proporre istanza per
l'adozione delle misure interinali e provvisorie che appaiono
indispensabili durante il tempo occorrente per la proposizione del
ricorso di merito e della domanda cautelare in corso di causa.
L'istanza, notificata con le forme prescritte per la notificazione
del ricorso, si propone al presidente del tribunale amministrativo
regionale competente per il giudizio.
Il presidente o un magistrato da lui delegato, accertato il
perfezionamento della notificazione per i destinatari, provvede
sull'istanza, sentite, ove necessario, le parti e omessa ogni altra
formalità.
Anche in questo caso la notificazione può essere effettuata dal
difensore a mezzo fax.
Qualora l'esigenza cautelare non consenta l'accertamento del
perfezionamento delle notificazioni, per cause non imputabili al
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ricorrente, il presidente può comunque provvedere, fatto salvo il
potere di revoca da esercitare nelle forme previste per la revoca
del provvedimento cautelare interinale e disciplinata dall'articolo
56, comma 4, terzo e quarto periodo.
Altro presupposto è la competenza del tribunale adito in quanto
l'incompetenza del giudice è rilevabile d'ufficio.
Il decreto che rigetta l'istanza non è impugnabile; tuttavia la
stessa può essere riproposta dopo l'inizio del giudizio di merito
con le forme delle domande cautelari in corso di causa.
Il provvedimento di accoglimento è notificato dal richiedente alle
altre parti entro il termine perentorio fissato dal giudice, non
superiore a cinque giorni.
Qualora dall'esecuzione del provvedimento cautelare derivino
effetti irreversibili il presidente può disporre la prestazione di una
cauzione, anche mediante fideiussione, cui subordinare la
concessione della misura cautelare.
Il provvedimento di accoglimento perde comunque effetto ove
entro quindici giorni dalla sua emanazione non venga notificato il
ricorso con la domanda cautelare ed esso non sia depositato nei
successivi cinque giorni corredato da istanza di fissazione di
udienza.
In ogni caso la misura concessa ante causam perde effetto con il
decorso di sessanta giorni dalla sua emissione, dopo di che
restano efficaci le sole misure cautelari che siano confermate o
disposte in corso di causa.
Il provvedimento di accoglimento non è appellabile ma, fino a
quando conserva efficacia, è sempre revocabile o modificabile su
istanza di parte previamente notificata con le modalità previste
per la notifica dell'istanza di concessione della misura cautelare.
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Per l'attuazione del provvedimento cautelare e per la pronuncia in
ordine alle spese si applicano le disposizioni sui provvedimenti
cautelari in corso di causa.
La disciplina della tutela cautelare ante causam non trova
applicazione per i giudizi in grado d'appello; conseguentemente
la
domanda
inibitoria
del
provvedimento
giurisdizionale
impugnato può essere richiesta soltanto dopo o contestualmente
alla proposizione dell'appello.
Il processo d’appello cautelare.
L'appello cautelare è disciplinato dall'articolo 62, il quale prevede
che contro le ordinanze cautelari è ammesso appello al Consiglio
di Stato.
Il ricorso in appello è soggetto a due termini.
Va, infatti, proposto:
- nel termine di trenta giorni dalla notificazione dell'ordinanza;
- ovvero di sessanta giorni dalla sua pubblicazione.
L'appello va depositato nel termine perentorio di trenta giorni,
decorrente dal momento in cui l'ultima notificazione dell'atto stesso di
cui all'articolo 45;
- è deciso in camera di consiglio con ordinanza.
Al giudizio si applicano:
- gli articoli 55, comma 2 e commi da 5 a 10 in materia di prestazione
della cauzione, termini per la fissazione della camera di consiglio,
notifiche, costituzione delle parti, deposito di atti e , motivazione ;
- articoli 56 e 57, rispettivamente in tema di misure interinali
monocratiche e di spese del giudizio cautelare.
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L'ordinanza di accoglimento che dispone misure cautelari è
trasmessa a cura della segreteria al primo giudice, perché, ai sensi
dell'articolo 55, comma 11 si provveda alla fissazione della stessa con
priorità.
In quest'ultima ipotesi l'ordinanza del Consiglio di Stato va
immediatamente sottoposta al presidente per la fissazione dell'udienza di
merito.
Nel giudizio cautelare d’appello è rilevata anche d'ufficio la
violazione, in primo grado, degli articoli 10, comma 2, 13, 14,
15, comma 5, 42, comma 4, e 55, comma 13 in materia di
competenza inderogabile del giudice di primo grado.
Se rileva la violazione degli articoli 13, 14, 15, comma 5, 42,
comma 4, e 55, comma 13, in tema di competenza inderogabile,
il giudice competente per l'appello cautelare sottopone la
questione al contraddittorio delle parti ai sensi dell'articolo 73,
comma 3, e regola d'ufficio la competenza ai sensi dell'articolo
15, comma 4.
Quando dichiara l'incompetenza del tribunale amministrativo
regionale adito, con la stessa ordinanza annulla le misure
cautelari emanate da un giudice diverso da quello competente.
Per la definizione della fase cautelare si applica l'articolo 15,
comma 9, per cui le parti possono sempre riproporre le istanze
cautelari al giudice dichiarato competente..
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