Vincenzo Salamone1 I riti camerali e speciali nel nuovo processo amministrativo (dopo il primo correttivo D.L.vo n. 195 del 2011) Sommario: 1 – Introduzione; 2 - Udienza e camera di consiglio di discussione dei ricorsi; 3 - Il giudizio di ottemperanza al giudicato ed alle sentenze esecutive del giudice amministrativo; 4 - Il giudizio in tema di accesso ai documenti amministrativi; 5 Il giudizio sul silenzio dell’Amministrazione; 6 - La definizione con sentenza in forma e procedura abbreviata alternativa alla misura cautelare; 7 – I riti camerali di opposizione ai decreti che dichiarano l’estinzione e l’improcedibilità; 8 - Procedimento di ingiunzione; 9 - I riti abbreviati relativi a speciali controversie (art. 119 CPA); 10 - Il rito speciale in materia di procedure di affidamento di appalti e servizi pubblici; 11 - Le peculiarità del rito delle infrastrutture strategiche; 12 - Il rito elettorale; 13 - Il rito in materia di ammissione delle liste e dei candidati; 14 - Il rito relativo alle operazioni elettorali di comuni, province, regioni e Parlamento europeo; 15 – Il sistema di tutela cautelare. 1 - Introduzione. 1 Presidente della 2^ sezione del Tribunale amministrativo regionale del Piemonte. 1 Il d. l.vo n. 104 del 2 luglio 2010, in attuazione della delega conferita al Governo dall'art. 44 1. n. 69 del 2009, ha approvato il Codice del processo amministrativo, entrato in vigore il 16 settembre 2010. Sul piano sostanziale, il Codice ha consentito di adattare il tradizionale processo amministrativo, incentrato sul modello impugnatorio, alla mutata realtà derivante dall’evoluzione normativa nazionale ed europea e dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, che, pur nel rispetto delle necessarie differenze legate al diverso ruolo delle due giurisdizioni, hanno progressivamente riconosciuto al giudice amministrativo nuovi strumenti di tutela, analoghi a quelli di cui dispone il giudice ordinario (si pensi alla tutela cautelare ante causam, alla consulenza tecnica d’ufficio, alla prova per testi, o ancora all’azione risarcitoria o all’opposizione di terzo), la cui concreta attuazione non poteva, tuttavia ancora una volta essere lasciata alla libera interpretazione e non può, quindi, prescindere da un quadro normativo chiaro e definito, quale il Codice indubitabilmente offre. Secondo la lettura data dalla recente sentenza dell'adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 3 del 2011 il codice del processo amministrativo, in coerenza con il criterio di delega fissato dall’art. 44, comma 2, lettera b, n. 4, della legge 18 giugno 2009, n. 69, ha superato la tradizionale limitazione della tutela dell’interesse legittimo al solo modello impugnatorio, ammettendo l’esperibilità di azioni tese al conseguimento di pronunce dichiarative, costitutive e di condanna idonee a soddisfare la pretesa della parte vittoriosa. Di qui, la trasformazione del giudizio amministrativo, ove non vi si frapponga l’ostacolo dato dalla non sostituibilità di attività discrezionali 2 riservate alla pubblica amministrazione, da giudizio amministrativo sull’atto, teso a vagliarne la legittimità alla stregua dei vizi denunciati in sede di ricorso e con salvezza del riesercizio del potere amministrativo, a giudizio sul rapporto regolato dal medesimo atto, volto a scrutinare la fondatezza della pretesa sostanziale azionata. Il bilancio sull’impatto che ha avuto nell’attività giurisdizionale è positivo, soprattutto perché offre un quadro di insieme organico del sistema processuale. Tale successo è confermato dalla circostanza che il primo correttivo al Codice è stato appartato dal dal Decreto legislativo 15 novembre 2011, n. 195 (in G.U. n. 273 del 23 novembre 2011 - in vigore dal 9 dicembre 2011) recante “Disposizioni correttive ed integrative al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, recante codice del processo amministrativo a norma dell'articolo 44, comma 4, della legge 18 giugno 2009, n. 69”2. 2 Il decreto legislativo è stato predisposto ai sensi della legge 18 giugno 2009 n. 69, il cui articolo 44, comma 4, ultimo periodo prevede che "entro due anni dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 1, possono ad essi essere apportate le correzioni e integrazioni che l’applicazione pratica renda necessarie od opportune, con lo stesso procedimento e in base ai medesimi princìpi e criteri direttivi previsti per l’emanazione degli originari decreti." A tale scopo, il Consiglio di Stato ha elaborato, a mezzo dell’apposita Commissione già istituita per la redazione del decreto legislativo recante il "codice del processo amministrativo" e integrata di taluni elementi con decreto del Presidente del Consiglio di Stato in data 6 ottobre 2010, una proposta di testo contenente alcune modificazioni, integrazioni e abrogazioni del d.lgs. 104/2010, alla luce delle questioni emerse nella prassi e delle sollecitazioni provenienti dalla dottrina e dagli operatori del settore dopo il primo periodo di applicazione; rimane, comunque, aperta la possibilità di adottare ulteriori perfezionamenti nel biennio prescritto dalla legge-delega, ancora ben lungi dall’essere consumato. Talune modifiche del testo in questione possono essere ricondotte nell’ambito del coordinamento testuale e del miglioramento della precisione lessicale, altre chiariscono i rapporti tra il codice del processo amministrativo e il codice di procedura civile (ad esempio, l’art. 12 in materia di rapporto tra giudizio amministrativo e l’arbitrato nonché l’art. 108 in materia di opposizione di terzo), altre ancora, infine, coordinano il testo vigente con sopravvenienze normative e pongono mano, in termini di chiarificazione, a singole questioni processuali la cui criticità è stata da subito posta in evidenza nelle prime applicazioni pratiche del nuovo codice 3 2 - Udienza e camera di consiglio di discussione dei ricorsi. Il processo amministrativo si svolge con due modalità: - in pubblica udienza (di regola con sanzione di nullità); - con procedimenti in camera di consiglio. I procedimenti in camera di consiglio si possono svolgere esclusivamente nei casi previsti dalla legge ed in particolare dal comma 2 dell'articolo 87. La casistica prevista da quest'ultima norma con carattere di tassatività ricomprende: a) i giudizi cautelari e quelli relativi all'esecuzione delle misure cautelari collegiali; b) il giudizio in materia di silenzio; c) il giudizio in materia di accesso ai documenti amministrativi; d) i giudizi di ottemperanza; e) il giudizio in opposizione ai decreti che pronunciano l'estinzione o l'improcedibilità del giudizio. Le modifiche ai commi 1 e 3 dell’articolo 87 dal D. L.vo n. 195 del 2011 si propongono l’obiettivo di allineare il processo amministrativo a quello civile, quanto ai casi nei quali è possibile derogare al principio di pubblicità delle udienze; e altresì di chiarire il regime dei termini per i ricorsi in materia di accesso – per i quali è richiamato l’articolo 116, comma 1, che ne detta la di rito amministrativo. Il testo è stato vagliato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri e concertato con le altre Amministrazioni centrali competenti per materia anche attraverso lo svolgimento di apposite riunioni, in cui è stata condivisa l’esigenza di apportare al codice del processo amministrativo, almeno in parte fin da subito, le modificazioni, integrazioni, e abrogazioni proposte dalla Commissione appositamente costituita presso il Consiglio di Stato. 4 disciplina – e, sempre relativamente ai ricorsi che si portano in camera di consiglio, in appello. Il presidente del collegio può disporre che si svolgano a porte chiuse, se ricorrono ragioni di sicurezza dello Sato, di ordine pubblico e di buon costume. L'eccezionalità del procedimenti in camera di consiglio comporta che lo svolgimento del processo con modalità diverse dall’udienza pubblica al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge è sanzionato con la nullità degli atti processuali compiuti, ivi compresi i provvedimenti giurisdizionali adottati. Invece la trattazione in pubblica udienza di riti che si dovrebbero svolgere con i procedimenti in camera di consiglio non comporta alcun profilo di invalidità degli atti (articolo 87 comma 4). L'articolo 73 del codice disciplina gli adempimenti delle parti relativi alla fase anteriore allo svolgimento dell'udienza pubblica. Norma applicabile per la parte non derogata dall'articolo 87 comma 3 ai riti camerali. L'aspetto più saliente è costituito da un incremento dei termini per il deposito di atti memorie e repliche. Le parti, infatti, possono produrre: - documenti fino a quaranta giorni liberi prima dell'udienza, - memorie fino a trenta giorni liberi; - presentare repliche fino a venti giorni liberi. Particolarmente innovativa è la norma che introduce la possibilità di produrre memorie di replica; facoltà che presuppone 5 l'avvenuto deposito di memorie nel termine di 20 giorni liberi prima dell'udienza. L’addizione operata al comma 1, dell’articolo 73 dal D.L.vo n. 195 del 2011 chiarisce, in un’ottica di semplificazione processuale nel rispetto del principio del contraddittorio, che le repliche sono possibili solo se è stata depositata, dalla controparte, una memoria o documenti in vista dell’udienza di merito e che tali atti costituiscono altresì il limite contenutistico delle stesse repliche. La memoria di replica è destinata esclusivamente a illustrare e chiarire le ragioni già compiutamente svolte con l'atto di costituzione e a confutare le tesi avversarie. Con tale atto, pertanto, non è possibile specificare o integrare, ampliandolo, il contenuto delle originarie argomentazioni che non siano state adeguatamente prospettate o sviluppate con il ricorso, e, tanto, meno a dedurre nuove eccezioni o sollevare nuove questioni di dibattito, diversamente violandosi il diritto di difesa della controparte, in considerazione della esigenza per quest'ultima di valersi di un congruo termine per esercitare la facoltà di replica3. Nei riti di cui sopra, che si svolgono con il procedimento in camera di consiglio tutti i termini processuali previsti sono dimezzati rispetto a quelli del processo ordinario disciplinati dall'articolo 73, tranne quelli per la notificazione del ricorso introduttivo, del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti. Le parti, infatti, possono: 3 Giova ricordare che precedentemente all'entrata in vigore del codice il termine per il deposito delle memorie era di giorni 10 e quello di deposito degli atti di 20 giorni. 6 - produrre documenti fino a venti giorni liberi prima dell'udienza, - presentare memorie fino a quindici giorni liberi; - presentare repliche fino a dieci giorni liberi. Il correttivo di cui al D.L.vo n. 195 del 2011 dell’articolo 54, comma 1, oltre ad alcuni aggiustamenti meramente lessicali, ha soprattutto lo scopo di chiarire che la norma disciplina il potere di autorizzare il deposito tardivo successivamente alla scadenza del termine di legge. E’ stato pertanto sostituito il termine "risulta" con "sia risultata". Conseguentemente la presentazione tardiva di memorie o documenti, può essere eccezionalmente autorizzata, su richiesta di parte, dal collegio, assicurando comunque il pieno rispetto del diritto delle controparti al contraddittorio su tali atti, quando la produzione nel termine di legge sia risultata estremamente difficile. La camera di consiglio è fissata d'ufficio alla prima udienza camerale utile successiva al trentesimo giorno decorrente dalla scadenza del termine di costituzione delle parti intimate (30 giorni dall'effettuazione dell'ultima notifica, intesa come data di ricezione da parte del destinatario). Il sistema dei termini esclude la fissazione dell’udienza camerale prima di 60 giorni dall’ultima notifica (salva la possibilità di disporre l’abbreviazione dei termini su richiesta della parte ricorrente e concessa con provvedimento del presidente del tribunale o della sezione). L'automatismo nella fissazione della camera di consiglio (prima udienza utile successiva al trentesimo giorno decorrente dalla scadenza del termine di costituzione delle 7 parti) comporta che se rispettato non sussiste l'obbligo di notifica dell'avviso di fissazione della camera di consiglio, che, altrimenti, va notificato alle parti costituite almeno 30 giorni liberi prima. Quest'ultima norma semplifica in particolare gli adempimenti della segreteria . La disciplina predetta non trova applicazione ai termini relativi ai procedimenti cautelari trattati in camera di consiglio che seguono le regole previste dagli articoli 55 e seguenti del codice. Nella camera di consiglio sono sentiti i difensori che ne fanno richiesta (una corretta applicazion e della norma presuppone che la richiesta venga formalizzata negli scritti difensivi. Anche per i riti camerali è applicabile la disciplina dei termini che il codice ha reso più omogenea nell'ottica di un riordino generale (che ha consentito di superare le attuali incertezze giurisprudenziali sui termini per la proposizione dei motivi aggiunti e dei ricorsi incidentali) e “razionalizzati” in vista di un più pieno contraddittorio e di una migliore conoscenza della controversia da parte del giudice (obiettivo cui sono finalizzati i nuovi termini per il deposito dei documenti e delle memorie e l’introduzione del diritto di replica), dedicando inoltre particolare cura alle modalità per il relativo computo (come nel caso dei termini a “ritroso” dall’udienza o dalla camera di consiglio in scadenza in giorni festivi), e cercando per un verso di semplificare le modalità di deposito degli atti soggetti a notifica e delle decisioni impugnate e per l’altro di garantire l’effettiva disponibilità dei documenti depositati alle altre parti processuali4. 4 Ai sensi dell'articolo 52 i termini assegnati dal giudice, salva diversa previsione, sono qualificati perentori, pertanto, il mancato rispetto comporta decadenza. 8 Giova ricordare che la fissazione del termine è diretta ad assicurare alla parte che subisce l'iniziativa processuale, un adeguato ed inderogabile margine temporale per approntare le proprie difese, sicché lo spostamento in avanti della scadenza, producendo l'abbreviazione del termine, verrebbe a pregiudicare l'esigenza di un'adeguata garanzia difensiva5. Pur tuttavia per i riti camerali occorre rilevare che l'attuale disciplina dei termini di fissazione della camera di consiglio comporta un sostanziale allungamento dei tempi di definizione Il presidente può autorizzare la notificazione del ricorso o di provvedimenti anche direttamente dal difensore con qualunque mezzo idoneo, compresi quelli per via telematica o fax, ai sensi dell'articolo 151 del codice di procedura civile. Il presidente, in particolare, può prescrivere anche d'ufficio, con decreto steso in calce all'atto che la notificazione sia eseguita in modo diverso da quello stabilito dalla legge, anche per mezzo di telegramma collazionato, ai sensi dell’art. 2706 c.c., con avviso di ricevimento e ciò quando lo consigliano circostanze particolari o esigenze di maggiore celerità, di riservatezza o di tutela della dignità. Merita particolare attenzione la norma la quale prevede che se il giorno di scadenza è festivo il termine fissato dalla legge o dal giudice per l'adempimento è prorogato di diritto al primo giorno seguente non festivo, tenendo conto che il sabato è ormai considerato giorno festivo (ad esempio termini per la notifica e per il deposito del ricorso). Mentre per i termini computati a ritroso, la scadenza è anticipata al giorno antecedente non festivo (ad esempio i termini per il deposito degli atti, delle memorie degli avvisi di fissazione delle udienze, per cui se il giorno di camera di consiglio per la trattazione della domanda cautelare ricade di mercoledì il termine per il deposito degli atti e delle memorie scade il sabato della settimana precedente)Va a tal proposito rilevato che l'art. 155, comma 4, c.p.c. (introdotto dall'art. 2, comma 1, lett. f, della legge n. 263 del 2005), diretto a prorogare al primo giorno non festivo il termine che scada nella giornata del sabato, opera con esclusivo riguardo ai termini a decorrenza successiva, e non anche per quelli che si computano "a ritroso", con l'assegnazione di un intervallo di tempo minimo prima del quale deve essere compiuta una determinata attività, in quanto, altrimenti, si produrrebbe l'effetto contrario di una abbreviazione dell'intervallo, in pregiudizio con le esigenze garantite con la previsione del termine medesimo. 5 Ciò sebbene la giurisprudenza amministrativa abbia ritenuto che poiché il termine di dieci giorni liberi per il deposito delle memorie prima dell'udienza è stabilito dall'art. 23, comma 4, l. 6 dicembre 1971 n. 1034 al fine di consentire alla controparte di apprestare adeguatamente le proprie difese, se il decimo giorno libero cada di sabato e l'operatività degli uffici sia limitata in tale giorno alla ricezione degli atti senza la possibilità dello scambio, la memoria deve essere depositata, a pena di inammissibilità, il giorno precedente (Cons.giust.amm. Sicilia , sez. giurisd., 30 marzo 2009 , n. 215). 9 dei processi (il riferimento va in particolare al rito sull'accesso e a quello il silenzio della pubblica amministrazione disciplinati rispettivamente dagli articoli 116 e 117 CPA)6. Con riferimento a tali riti è tuttavia possibile utilizzare lo strumento dell'abbreviazione dei termini processuali. Ai sensi dell'articolo 53 del codice nei casi d'urgenza, il presidente del tribunale può, su istanza di parte, abbreviare fino alla metà i termini previsti dal codice per la fissazione di udienze o di camere di consiglio. Conseguentemente sono ridotti proporzionalmente i termini per le difese della relativa fase. Il decreto di abbreviazione del termine, va redatto in calce alla domanda, è notificato, a cura della parte che lo ha richiesto, all'amministrazione intimata e ai controinteressati. In detta ipotesi il termine abbreviato comincia a decorrere dall'avvenuta notificazione del decreto7. 6 Ai sensi dell'art. 37 comma 1, c.p.a. sussistono i presupposti per ammettere l'appellante al beneficio della rimessione in termini per errore scusabile ove il ricorso in appello sia stato notificato e depositato poche settimane dopo l'entrata in vigore del codice del processo amministrativo, atteso che la nuova regola del dimezzamento dei termini endoprocessuali, fissata dall'art. 87 comma 2, di detto codice per i giudizi in camera di consiglio, rappresenta una radicale innovazione rispetto al sistema previgente (Consiglio Stato , sez. III, 11 marzo 2011 , n. 1578) 7 L'articolo 54 del codice prevede che la presentazione tardiva di memorie o documenti, su richiesta di parte, può essere eccezionalmente autorizzata dal collegio a condizione che sia assicurato comunque il pieno rispetto del diritto delle controparti al contraddittorio su tali atti, quando la produzione nel termine di legge risulta estremamente difficile. In ogni caso la segreteria alla quale perviene una produzione di memorie o di atti fuori termine dovrà acquisirli e inserirli in busta sigillata che riporti all'esterno il contenuto e dovrà allegarla al fascicolo processuale segnalando detto adempimento ai componenti del collegio. 10 3 - Il giudizio di ottemperanza al giudicato ed alle sentenze esecutive del giudice amministrativo. - Il Codice disciplina, agli artt. 112, 113, 114 e 115, il giudizio di ottemperanza, unificando la disciplina del giudizio di ottemperanza8. L’art. 112 conferma il principio di effettività della tutela giurisdizionale secondo cui i provvedimenti del giudice amministrativo (e degli altri giudici della Repubblica) devono essere eseguiti dalla pubblica amministrazione e dalle altre parti. 8 La Corte costituzionale con la sentenza 8 febbraio 2006 n. 44 ha ritenuto manifestamente infondata, in riferimento agli art. 3, 24, 97, 111 e 113 cost., la q.l.c. dell'art. 37 l. 6 dicembre 1971 n. 1034, nella parte in cui non consente l'utilizzazione del giudizio di ottemperanza con riguardo alle sentenze del giudice ordinario esecutive, ancorché non passate in giudicato. Si tratta di questione identica ad altra già dichiarata manifestamente infondata sulla base dei seguenti rilievi: il giudizio di ottemperanza concerne, di norma, sentenze passate in giudicato e che questa scelta del legislatore non appare irragionevole, in quanto la procedura di ottemperanza nei confronti della p.a. comporta l'esercizio di una giurisdizione estesa al merito; la previsione di cui all'art. 33 l. n. 1034 del 1971, secondo la quale il giudizio di ottemperanza può esercitarsi nei confronti delle sentenze del TAR non sospese dal Consiglio di Stato, rientra nella discrezionalità del legislatore, il quale ha voluto dare concretezza al principio di esecutività delle sentenze di primo grado; sono differenti e, quindi, non comparabili le azioni esecutive esperibili davanti al giudice ordinario secondo le norme di procedura civile, trattandosi di sentenze o di provvedimenti esecutivi che non richiedono l'esame di merito proprio del giudizio di ottemperanza; non può quindi parlarsi di disparità di trattamento fra l'ipotesi di esecuzione di sentenza amministrativa di primo grado, perseguita attraverso il giudizio di ottemperanza, e l'ipotesi di esecuzione delle sentenze di primo grado del giudice ordinario; stante la diversità degli istituti, non può conseguentemente parlarsi, in relazione all'esecuzione delle sentenze del giudice ordinario, né di pregiudizio per la tutela dei diritti del creditore, né di pregiudizio per la ragionevole durata del processo, la quale è garantita peraltro dai tempi processuali disposti dal codice di procedura civile; il principio di buon andamento si riferisce agli organi dell'amministrazione della giustizia unicamente per profili concernenti l'ordinamento degli uffici giudiziari ed il loro funzionamento sotto l'aspetto amministrativo, ma non riguarda l'esercizio della funzione giurisdizionale nel suo complesso e i provvedimenti che ne costituiscono espressione. Il predetto indirizzo giurisprudenziale è stato recentemente superato dalle SS. UU della Corte di Cassazione 28 gennaio 2011 n. 2065, muovendo da un mutato quadro normativo. 11 Lo strumento per ottenere l’esecuzione è l'azione di ottemperanza, che può essere proposta, come sopra rilevato, per conseguire l'attuazione: a) delle sentenze del giudice amministrativo passate in giudicato; b) delle sentenze esecutive e degli altri provvedimenti esecutivi del giudice amministrativo; c) delle sentenze passate in giudicato e degli altri provvedimenti ad esse equiparati del giudice ordinario, al fine di ottenere l'adempimento dell'obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi, per quanto riguarda il caso deciso, al giudicato; d) delle sentenze passate in giudicato e degli altri provvedimenti ad esse equiparati per i quali non sia previsto il rimedio dell'ottemperanza, al fine di ottenere l'adempimento dell'obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi alla decisione9; 9 Recentemente le Sezioni unite della Corte di Cassazione hanno ritenuto la sussistenza della giurisdizione amministrativa e segnatamente dell’applicabilità rito del giudizio di ottemperanza con riguardo ai decreti decisori dei ricorsi straordinari sia al Capo dello Stato che al Presidente della Regione (Cass. SSUU 28 gennaio 2011 n. 2065). Ritiene la Corte che nel sistema così delineato la decisione su ricorso straordinario al Capo dello Stato, resa in base al parere obbligatorio e vincolante del Consiglio di Stato, si colloca nella ipotesi prevista alla lettera b) dell'art. 112, comma 2, e il ricorso per l'ottemperanza si propone, ai sensi dell'art. 113, comma 1, dinanzi allo stesso Consiglio di Stato, nel quale si identifica "il giudice che ha emesso il provvedimento della cui ottemperanza si tratta"Si legge nella sentenza delle Sezioni unite della Cassazione “2.11.2. Il senso di una disciplina tesa a garantire la effettività di tutela anche al ricorso straordinario viene rivelato dall'esame dei lavori parlamentari che hanno condotto al definitivo testo della norma: per cogliere la incisività di quest'ultimo, occorre sottolineare che il testo originario è stato oggetto di successivi emendamenti in sede di commissioni parlamentari, in relazione alla necessità di dare attuazione ai principi enunciati dalla CEDU, nonché alle raccomandazioni comunitarie - intese a sollecitare gli Stati membri a prevedere senza eccezioni l'azione esecutiva per l'effettività delle tutele - che erano rimaste inevase dacché un precedente disegno di legge, che prevedeva l'ottemperanza per le decisioni su ricorsi straordinari, era decaduto per fine legislatura; infine, il parere della commissione del Senato circa la specifica necessità di inserire anche le decisioni straordinarie del Capo dello Stato è stato recepito nella relazione governativa, con la formulazione della norma nei termini sopra richiamati, sì che, in definitiva, deve concludersi che è conforme a tale intentio legis annoverare fra i "provvedimenti" del giudice amministrativo, passibili di ottemperanza, la decisione sul ricorso straordinario.2.12. Come la dottrina ha puntualmente osservato, alla estensione del giudizio di ottemperanza a provvedimenti 12 e) dei lodi arbitrali esecutivi divenuti inoppugnabili al fine di ottenere l'adempimento dell'obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi, per quanto riguarda il caso deciso, al giudicato10. Per costante giurisprudenza il giudizio di ottemperanza può essere instaurato per sancire l’obbligo dell’Amministrazione di che non siano sentenze, o comunque provvedimenti non formalmente giurisdizionali, non si frappongono ostacoli di ordine costituzionale, sì che è ben configurabile la previsione normativa di un tale giudizio per le decisioni, rimaste ineseguite, del Capo dello Stato, trattandosi di una scelta del Legislatore che - nel rispetto dei principi costituzionali - tende a rendere effettiva la tutela dei diritti mediante il giudizio di ottemperanza (che, appunto, svolge nell'ordinamento una funzione di "tutela": cfr. Cass., sez. un., n. 30254 del 2008). Occorre ricordare, sul punto, che il ricorso straordinario non è espressamente previsto dalla Costituzione (né può ritenersene la costituzionalizzazione implicita: cfr. Corte cost. n. 298 del 1986), ma, non di meno, il Giudice delle leggi con diversi interventi, intesi anche a conformarne la disciplina, ne ha confermato la compatibilità con il dettato costituzionale, in relazione all'art. 113 Cost. (cfr. Corte cost. n. 1 del 1964; n. 78 del 1966; n. 31 del 1975; n. 298 del 1986; n. 56 del 2001; n. 301 del 2001), sottolineando anche come la disciplina posta dal d.P.R. 1199/1971 non solo aveva ribadito la natura del tutto atipica che il ricorso straordinario aveva assunto sin dall'epoca della monarchia costituzionale, adeguando la disciplina della alternatività al ricorso giurisdizionale al principio della "trasferibilità" in sede giurisdizionale, ma, in attuazione del criterio della economicità posto dalla legge di delegazione, ne aveva confermato il carattere di rimedio straordinario”. 10 Il Consiglio di Stato con la sentenza 28 aprile 2011 n. 2542 ha ritenuto che a seguito dell’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, approvato con d.l.vo 2 luglio 2010 n. 104, è ammissibile il ricorso per ottemperanza per l’esecuzione di un lodo arbitrale dichiarato esecutivo e divenuto inoppugnabile; infatti, il nuovo codice del processo amministrativo ha consacrato l’equiparazione di cui all’art. 824/bis c.p.c. (secondo cui "il lodo ha dalla data della sua ultima sottoscrizione gli effetti della sentenza pronunciata dall'autorità giudiziaria"), prevedendo expressis verbis, all’art. 112, comma 1, lett. e), la proponibilità del rimedio dell’ottemperanza anche ai fini dell’esecuzione dei lodi arbitrali esecutivi divenuti inoppugnabili. Si conferma l’orientamento del Consiglio di Stato, che, con riguardo al quadro normativo anteriore all’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, aveva ritenuto ammissibile la proposizione del rimedio dell'ottemperanza anche ai fini dell’esecuzione del lodo arbitrale dichiarato esecutivo (cfr., ex plurimis (Cons. Stato, sez. V, 12 ottobre 2009, n. 6241; 12 novembre 2001, n. 5788; 1° marzo 2000, n. 1089). Secondo questo orientamento "il lodo arbitrale, già di per sé idoneo ad acquistare l'efficacia di cosa giudicata, una volta reso esecutivo con decreto del pretore, è titolo esecutivo nel territorio della Repubblica ai sensi dell'art. 474, c.p.c. e costituisce presupposto per l'iscrizione dell'ipoteca giudiziale ex 13 conformarsi non solo al giudicato, ma ad ogni provvedimento giurisdizionale - sia del giudice ordinario (o di altro giudice diverso dall’amministrativo), sia dello stesso giudice amministrativo - assistito da stabilità, purché tale provvedimento definisca un determinato giudizio11. L'oggetto del giudizio di esecuzione (anche nella particolare forma del ricorso per l'esecuzione delle ordinanze cautelari del G.A.) è rappresentato dalla puntuale verifica dell'esatto adempimento da parte dell'Amministrazione dell'obbligo di conformarsi al decisum per far conseguire all'interessato l'utilità o il bene della vita riconosciutogli in sede di cognizione. Nella sentenza del Consiglio di Stato IV 1° aprile 2011 n. 2070 si legge “L’attività di verifica, che deve essere condotta nell'ambito dello stesso quadro processuale che ha costituito il substrato fattuale e giuridico della pronuncia di cui si chiede l'esecuzione, art. 2819, c.c. nonché titolo per la trascrizione o l'annotazione nei registri immobiliari e, come tale, è suscettibile di formare oggetto del giudizio d'ottemperanza" . Tale orientamento ha trovato conforto nelle sopravvenute disposizioni di cui agli articoli 21, 22, 23 e 24 del decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 40, che - nel modificare la disciplina dell'arbitrato contenuta nel codice di rito civile - hanno ulteriormente qualificato il procedimento, il collegio ed il lodo arbitrale in termini di effettiva giurisdizionalità. Sono state ritenute a tal fine significative le disposizioni di cui agli articoli 813/bis (che, per ciò che concerne la responsabilità degli arbitri), 819/bis (che prevede il potere del collegio arbitrale di promuovere innanzi alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale di norme di legge, ai sensi dell'articolo 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87) e 824/bis c.p.c. (secondo cui "il lodo ha dalla data della sua ultima sottoscrizione gli effetti della sentenza pronunciata dall'autorità giudiziaria"). 11 Si ritiene, pertanto, ammissibile ad esempio il ricorso per ottenere l'ottemperanza dell'amministrazione all'ordinanza di assegnazione di un credito vantato nei confronti di quest'ultima, emessa dal giudice dell'esecuzione nella procedura di pignoramento presso terzi a seguito di positiva dichiarazione dell'amministrazione ai sensi dell'art. 547 c.p.c., in quanto tale ordinanza, non revocabile dal giudice della esecuzione né reclamabile, si consolida se non impugnata dai soggetti che intervengono nella procedura con il rimedio dell'opposizione agli atti esecutivi nel termine e acquisisce, quindi, quel carattere di definitivà che consente di agire in ottemperanza, Consiglio di Stato V 13 ottobre 2010 n. 7463. 14 comporta da parte del giudice dell'ottemperanza una attività di interpretazione del giudicato, al fine di enucleare e precisare il contenuto del comando. Questa Sezione ha avuto modo di affermare (decisione n. 8252/2010) che anche sul piano semantico-lessicale, l’elusione configura un fenomeno diverso dall’aperta violazione del decisum, sussistendo in quei casi in cui l’Amministrazione, pur formalmente provvedendo a dare esecuzione ai precetti rivenienti dal giudicato, tenda in realtà a perseguire l’obiettivo di aggirarli sul piano sostanziale, in modo da pervenire surrettiziamente al medesimo esito già ritenuto illegittimo. La non copiosa giurisprudenza che si registra in materia rileva che il vizio de quo sussiste laddove l’amministrazione, piuttosto che riesercitare la propria potestà discrezionale in conclamato contrasto con il contenuto precettivo del giudicato amministrativo, cerchi di realizzare il medesimo risultato con un’azione connotata da un manifesto sviamento di potere, mediante l’esercizio di una potestà pubblica formalmente diversa in palese carenza dei presupposti che la giustificano (cfr. Cons. Stato, sez. V, 28 febbraio 2006, nr. 861; Cons. Stato, sez. IV, 6 ottobre 2003, nr. 5820; id., 15 ottobre 2003, nr. 6334)” 12. Mentre il vizio di violazione del giudicato si realizza quando il nuovo atto emanato dalla pubblica amministrazione riproduca i medesimi vizi già in tale sede censurati, o comunque si ponga in 12 L’art. 115 disciplina la natura del titolo esecutivo ed il rilascio di estratto del provvedimento giurisdizionale con formula esecutiva. Le pronunce del giudice amministrativo che costituiscono titolo esecutivo sono spedite, su richiesta di parte, in forma esecutiva. I provvedimenti emessi dal giudice amministrativo che dispongono il pagamento di somme di denaro costituiscono titolo anche per l'esecuzione nelle forme disciplinate dal Libro III del codice di procedura civile e per l'iscrizione di ipoteca. Ai fini del giudizio di ottemperanza non è necessaria l'apposizione della formula esecutiva. 15 contrasto con precise e puntuali prescrizioni provenienti dalla pregressa statuizione del giudice, l’elusione del giudicato configura un fenomeno diverso dall’aperta violazione del decisum, sussistendo in quei casi in cui l’Amministrazione, pur formalmente provvedendo a dare esecuzione ai precetti rivenienti dal giudicato, tenda in realtà a perseguire l’obiettivo di aggirarli sul piano sostanziale, in modo da pervenire surrettiziamente al medesimo esito già ritenuto illegittimo. Va ricordato a tal proposito che sussiste la nullità di un provvedimento amministrativo per violazione o elusione del giudicato è oggi disciplinata dall’art. 21 septies della legge 7 agosto 1990, n. 241, come modificato dalla novella del 2005 sulla scorta dell’elaborazione giurisprudenziale. Con riguardo alle più importanti novità in termini di rito va segnalata quella relativa alla garanzia del principio del contraddittorio, per cui si è espressamente prescritta la notificazione del ricorso per ottemperanza prima del suo deposito, mentre non è più richiesta la previa diffida e messa in mora dell’Amministrazione inadempiente13. 13 La normativa precedente non prevedeva l’obbligo di notifica del ricorso per ottemperanza e la Corte costituzionale ha ritenuto che è manifestamente infondata la q.l.c., in riferimento agli art. 24, comma 2, e 111, commi 1 e 2, cost., dell'art. 91 r.d. 17 agosto 1907 n. 642, e, in subordine, degli art. 19, comma 1, e 27, comma 1, n. 4, l. 6 dicembre 1971 n. 1034 e dell'art. 27, comma 1, n. 4 r.d. 26 giugno 1924 n. 1054, nelle parti in cui tali norme, rinviando all'art. 91 r.d. n. 642 del 1907, consentono l'introduzione del giudizio per esecuzione del giudicato senza la previa notifica del ricorso a mezzo di ufficiale giudiziario. Premesso che deve riconoscersi la piena natura legislativa dell’art. 91 r.d. n. 642 del 1907, il che impone di ritenere assorbita la questione prospettata in via subordinata, questione analoga è stata già dichiarata non fondata sulla base del rilievo che la forma di comunicazione prescelta dalla norma censurata appare compatibile con il vigente ordinamento costituzionale, nel senso che la comunicazione, al pari della notificazione, costituisce mezzo idoneo ad assicurare quelle garanzie di conoscenza e di ufficialità necessarie per il rispetto dei principi della difesa in giudizio e del contraddittorio, a condizione che la si interpreti nel senso di prevedere un obbligo di comunicare l'atto nella sua interezza, in tempo utile e in modo 16 Viene, altresì ribadita la tradizionale natura “mista” del giudizio di ottemperanza, che non è pura esecuzione, ma presenta momenti di cognizione, conseguentemente si è previsto: - la notificazione nei riguardi non solo dell’amministrazione, ma anche di tutte le altre parti del giudizio definito dalla sentenza o dal lodo della cui ottemperanza si tratta; - la concentrazione nell’ambito del giudizio di ottemperanza di azioni cognitorie connesse, per evidenti ragioni di economia processuale. Confluiscono, infatti, necessariamente nel giudizio di ottemperanza: - tutte le questioni di mancata esecuzione per inerzia, elusione, violazione del giudicato; - tutte le questioni che insorgono nel corso del giudizio a seguito degli atti del commissario ad acta, il cui sindacato viene espressamente affidato allo stesso giudice dell’ottemperanza; - l’azione di risarcimento non solo dei danni derivanti dalla mancata esecuzione del giudicato, ma anche di quelli causati dall’illegittimo esercizio del potere amministrativo. In quest’ultimo caso, però, il giudizio di ottemperanza dovrà svolgersi nelle forme, modi e termini del processo ordinario in udienza pubblica e non in camera di consiglio)14. da consentire alla p.a. una effettiva conoscenza della domanda e l'articolazione tempestiva dei mezzi di difesa (Corte costituzionale, 10 marzo 2006 , n. 100). 14 Nella sentenza del Consiglio di Stato 1 aprile 2011 n. 2031 si legge “Si tratta di una delle più significative innovazioni previste dal codice con riferimento al carattere cognitorio del processo di ottemperanza; la prevalente giurisprudenza precedente, infatti, era ferma nel ritenere inammissibile la proposizione di tale domanda risarcitoria (cfr., fra le tante, Cons. St, sez. V, 27 aprile 2006, n. 2374; sez. IV, 21 ottobre 2004, n. 6914; sez. IV, 1 febbraio 2002, n. 396). Il codice ha invece recepito l'indirizzo minoritario che ammetteva la proposizione, in sede di ottemperanza, della domanda risarcitoria dei danni discendenti dall'originario illegittimo esercizio della funzione pubblica, a condizione, inter alios, che venisse introdotta davanti al T.a.r. per evitare la violazione del principio del doppio grado di giudizio (cfr. Cons. St., sez. VI, 17 Pur tuttavia è principio di carattere generale che in materia di domanda di risarcimento del danno in sede di ottemperanza ex art. 112, comma 4, c.p.a., se è vero che in sede di ottemperanza è ammissibile la domanda risarcitoria dei danni discendenti dall’originario illegittimo esercizio della funzione pubblica, è anche pure vero che la proposizione di siffatta domanda è assoggettata con forti limiti al rispetto della regola basilare del doppio grado di giudizio. 18 giugno 2002, n. 3332). Siffatta individuazione dell'ambito applicativo della norma in esame, oltre ad essere sostenuta sia dall'esegesi letterale che da quella storica, è conforme, in parte qua, alla sistematica del codice: l'art. 112, nell'imporre di seguire le "forme”, i "modi” e i "termini?del processo ordinario è decisamente nel senso di risolvere il cumulo tra la domanda di esecuzione e quella risarcitoria mediante l'applicazione integrale del rito ordinario innervato dal principio generale del doppio grado di giudizio. La tesi contraria non può trovare ingresso perché: a) in un contesto normativo complessivamente attentissimo alla definizione delle regole sulla competenza, una deroga al riparto T.a.r. - Consiglio di Stato avrebbe dovuto esprimersi in modo chiaro ed esplicito; b) l'azione risarcitoria "isolata?, proposta dopo il passaggio in giudicato della sentenza di annullamento, vuoi per i danni direttamente discendenti dal cattivo esercizio della funzione pubblica, vuoi per i danni derivanti dalla mancata esecuzione del giudicato, appartiene sempre alla cognizione del T.a.r., nella logica propria del doppio grado; c) allorquando il codice ha inteso consentire, in materia di ottemperanza, in deroga agli ordinari criteri di distribuzione della competenza in senso verticale, che sia portata all'attenzione diretta del Consiglio di Stato la domanda risarcitoria (quella collegata all'inesecuzione del giudicato ex art. 112, co. 3), lo ha fatto senza richiamarsi ai limiti, alle forme ed ai modi dell'ordinario processo di cognizione”.Nella sentenza del Consiglio di Stato 5 maggio 2011 n. 2693 si è ritenuto inammissibile una azione risarcitoria proposta con un ricorso per esecuzione del giudicato innanzi al Consiglio di Stato, atteso che l’art. 112, comma 4, c.p.a. consente la proposizione dell’azione risarcitoria per la prima volta in sede di ottemperanza, aggiungendo che "in tal caso il giudizio di ottemperanza si svolge nelle forme, nei modi e nei termini del processo ordinario"; con tale disposizione il codice del processo amministrativo ha recepito l’indirizzo minoritario previgente che ammetteva la proposizione, in sede di ottemperanza, della domanda risarcitoria dei danni discendenti dall’originario illegittimo esercizio della funzione pubblica, a condizione, inter alios, che venisse introdotta davanti al T.A.R., per evitare la violazione del principio del doppio grado di giudizio. Ha osservato la sentenza che il principio affermato è sostenuto sia dall’esegesi letterale che da quella storica, ed è conforme alla sistematica del codice stesso il cui articolo 112, nel prescrivere lo svolgimento del giudizio "nelle forme, nei modi e nei termini del processo ordinario", risulta consentire la "connessione" fra la domanda di esecuzione e quella risarcitoria solo all’applicazione del rito ordinario improntato al principio generale del doppio grado di giudizio. 18 Dopo la novella del corettivo di cui al D. L.vo n. 195 del 2011 è ammissibile, infatti, la domanda risarcitoria proposta nel corso del giudizio di ottemperanza dinanzi al Consiglio di Stato sia che giudichi in unico grado, sia che giudichi in appello. All’art. 112, la parziale riformulazione del comma 3 chiarisce che, nel giudizio di ottemperanza, l’azione di risarcimento del danno dallo stesso disciplinata può essere proposta anche in unico grado dinanzi al giudice dell’ottemperanza; inoltre, si prevede l’abrogazione del comma 4, la cui formulazione poteva ingenerare equivoci; resta così chiarito che il risarcimento del danno ai sensi dell’art. 30, comma 5, deve essere chiesto sempre dinanzi al giudice di primo grado. Il comma 3 dell’art. 112 adesso dispone che “può essere proposta anche in unico grado dinanzi al giudice dell'ottemperanza, azione di condanna al pagamento di somme a titolo di rivalutazione e interessi maturati dopo il passaggio in giudicato della sentenza, nonchè azione di risarcimento dei danni connessi all'impossibilità e comunque alla mancata esecuzione in forma specifica, totale o parziale, del giudicato o alla sua violazione o esclusione. Con riguardo alla competenza l’art. 113 ribadisce la disciplina previgente per cui il ricorso si propone, nel caso di sentenze e provvedimenti del giudice amministrativo prevista cui all'articolo 112, comma 2, lettere a) e b), al giudice che ha emesso il provvedimento della cui ottemperanza si tratta; la competenza è del tribunale amministrativo regionale. Detta competenza ottemperanza dei non subisce deroghe nemmeno per provvedimenti confermati in appello con motivazione che abbia lo stesso contenuto dispositivo e conformativo dei provvedimenti di primo grado. 19 Negli altri casi, e cioè sentenze di appello che riformano la decisione di primo grado ovvero che la confermano con diversa motivazione che incide sul contenuto conformativo la competenza è a ttribuita al Consiglio di Stato (fattispecie eccezionale di giudizio in unico grado in deroga al principio dell’art. 125 della Costituzione, che configura la Giurisdizione amministrativa in via ordinaria su due gradi di giudizio). A quest’ultima fattispecie sembrerebbe assimilata l’ipotesi di origine “pretoria” dell’ottemperanza alla decisione su ricorso straordinario al Capo dello Stato, resa in base al parere obbligatorio e vincolante del Consiglio di Stato, e che si colloca nella ipotesi prevista alla lettera b) dell'art. 112, comma 2 CPA. Dalla giurisprudenza si ricava il principio che il ricorso per l'ottemperanza si propone, ai sensi dell'art. 113, comma 1, dinanzi allo stesso Consiglio di Stato, nel quale si identifica "il giudice che ha emesso il provvedimento della cui ottemperanza si tratta" (Cass. SSUU 28 gennaio 2011 n. 2065). Nei casi di cui all'articolo 112, comma 2, lettere c), d) ed e) (sentenze del giudice ordinario, di altre giurisdizioni e dei lodi arbitrali), il ricorso si propone al tribunale amministrativo regionale nella cui circoscrizione ha sede il giudice che ha emesso la sentenza di cui è chiesta l'ottemperanza. Quanto al procedimento l’art. 114 dispone che l'azione si propone, anche senza previa diffida, con ricorso notificato alla pubblica amministrazione e a tutte le altre parti del giudizio definito dalla sentenza o dal lodo della cui ottemperanza si tratta. 20 Derivando dal giudicato posizioni di diritto soggettivo; l'azione non è soggetta a termini decadenziali ma è soggetta a prescrizione, infatti l’azione si prescrive con il decorso di dieci anni dal passaggio in giudicato della sentenza (artt. 2909, 2934 e 2946 Cod. civ.)15. I principi sulla effettività della tutela giurisdizionale, desumibili dall’articolo 24 della Costituzione e dagli articoli 6 e 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, direttamente applicabili nel sistema nazionale, impongono agli Stati di prevedere una giustizia effettiva e non illusoria in base al principio “the domestic remedies must be effective”. Pertanto, in relazione all’azione prevista dall’art. 389 c.p.c., in sede interpretativa il giudice amministrativo deve adottare tutte le misure che diano effettiva tutela al ricorrente la cui pretesa risulti fondata. Ne consegue che il giudice può accogliere un ricorso per ottemperanza proposto da una pubblica amministrazione nei confronti di soggetti privati con una sentenza di condanna idonea a divenire un titolo per l’esecuzione forzata, ai sensi dell’art. 474 del codice di procedura civile16. 15 Va ricordato che l’azione per la declaratoria di nullità, proponibile per l’accertamento delle nullità previste dalla legge (salvo quanto previsto per l’elusione del giudicato, autonomamente disciplinata nel Libro IV) entro il termine di decadenza di centottanta giorni, fermo restando che la nullità dell’atto può sempre essere opposta dalla parte resistente o essere rilevata d’ufficio dal giudice. 16 Nella sentenza del Consiglio di Stato IV 2 marzo 2010 n. 1220 si legge “Ciò posto, in questa fase del giudizio la Sezione deve fare applicazione dei principi sulla effettività della tutela giurisdizionale, desumibili dall’articolo 24 della Costituzione e dagli articoli 6 e 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (divenuti direttamente applicabili nel sistema nazionale, a seguito della modifica dell’art. 6 del Trattato, disposta dal Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1° dicembre 2009). Per la pacifica giurisprudenza della Corte di Strasburgo (CEDU, Sez. III, 28-9-2006, Prisyazhnikova c. Russia, § 23; CEDU, 15-2-2006, Androsov-Russia, § 51; CEDU, 27-12-2005, Iza c. Georgia, § 42; CEDU, Sez. II, 30-11-2005, Mykhaylenky c. 21 Quanto alla prova la parte ricorrente è tenuta a depositare nel fascicolo processuale copia autentica della sentenza (o del provvedimento) di cui si chiede l'ottemperanza, con l'eventuale prova del suo passaggio in giudicato. Inoltre è onere del ricorrente denunciare, con pertinenti e documentate censure, i vizi che inficiano l'azione amministrativa, non potendo la sua contestazione esaurirsi in una generica dichiarazione d'insoddisfazione per il risultato raggiunto, rispetto a quello che si prefigurava di conseguire17. Il giudice decide: - con sentenza in forma semplificata prevista dall’articolo 74 del codice, la cui motivazione può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo ovvero, se del caso, ad un precedente conforme; Ucraina, § 51; CEDU, Sez. IV, 15-9-2004, Luntre c. Moldova, § 32), gli artt. 6 e 13 impongono agli Stati di prevedere una giustizia effettiva e non illusoria in base al principio ‘the domestic remedies must be effective’. In base ad un principio applicabile già prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, il giudice nazionale deve prevenire la violazione della Convenzione del 1950 (CEDU, 29-2-2006, Cherginets c. Ucraina, § 25) con la scelta della soluzione che la rispetti (CEDU, 2012-2005, Trykhlib c. Ucraina, §§ 38 e 50). Pertanto, in relazione all’azione prevista dall’art. 389 c.p.c., in sede interpretativa il giudice amministrativo deve adottare tutte le misure che diano effettiva tutela al ricorrente la cui pretesa risulti fondata. La Sezione, tenuto conto della circostanza che il ricorso è stato proposto da una pubblica amministrazione nei confronti di soggetti privati e che può esercitare i più ampi poteri volti a dare effettiva tutela, ritiene che la pretesa del Comune ricorrente possa essere accolta con una sentenza di condanna, idonea a divenire un titolo per l’esecuzione forzata, ai sensi dell’art. 474 del codice di procedura civile”. 17 Pertanto, nel caso di sentenza di condanna della pubblica amministrazione al pagamento di somme di denaro, è onere del ricorrente, una volta in possesso del prospetto contenente i conteggi eseguiti dall'amministrazione, indicare le omissioni ovvero gli errori di calcolo che sarebbero stati commessi in suo danno dagli uffici, onde porre il giudice adito in condizione di verificare, attraverso il raffronto tra i prospetti elaborati dalle parti in causa, se il giudicato è stato effettivamente eseguito solo in parte. 22 - con ordinanza se è chiesta l'esecuzione di un'ordinanza. Il giudice, in caso di accoglimento del ricorso: a) ordina l'ottemperanza, prescrivendo le relative modalità, anche mediante la determinazione del contenuto del provvedimento amministrativo o l'emanazione dello stesso in luogo dell'amministrazione; b) dichiara nulli gli eventuali atti in violazione o elusione del giudicato; c) nel caso di ottemperanza di sentenze non passate in giudicato o di altri provvedimenti, determina le modalità esecutive, considerando inefficaci gli atti emessi in violazione o elusione e provvede di conseguenza, tenendo conto degli effetti che ne derivano; d) nomina, ove occorra, un commissario ad acta; e) salvo che ciò sia manifestamente iniquo, e se non sussistono altre ragioni ostative, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dal resistente per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell'esecuzione del giudicato; tale statuizione costituisce titolo esecutivo. Il commissario ad acta è un ausiliario del giudice le cui qualificazione e funzioni sono disciplinate dall'articolo 21. Il giudice amministrativo può nominare come proprio ausiliario un commissario ad acta se deve sostituirsi all'amministrazione, Il commissario ad acta va considerato organo ausiliario del giudice, giacché i suoi poteri non derivano dalla Pubblica amministrazione, ma da una sorta di atto di delega da parte del giudice dell'ottemperanza; di conseguenza, in quanto organo ausiliario del giudice, al pari di un perito o di un interprete, egli è 23 organo giurisdizionale e i suoi atti, i quali non possono che ritenersi atti giurisdizionali, sono impugnabili con reclamo al giudice dell'ottemperanza in base al principio generale secondo il quale l'organo legittimato ad avere cognizione degli incidenti verificatisi in sede esecutiva è lo stesso deputato a dirigere l'esecuzione18. Quanto all’art. 114, in tema di procedimento del giudizio di ottemperanza il D.L.vo n. 95 del 2011 prevede: - la modifica del comma 2, per chiarire che il provvedimento del giudice (e, dunque, non la sola sentenza) di cui si chiede l’ottemperanza va deposito e non anche notificato; - la modifica del comma 6 reca la disciplina del reclamo avverso gli atti del commissario ad acta. Tale correttivo si rende necessario per chiarire: a) che il reclamo si propone dinanzi al giudice dell’ottemperanza (e, dunque, se tale giudice è quello di appello anche direttamente al Consiglio di Stato in unico grado); il termine, entro il quale il reclamo va notificato e depositato, è di sessanta giorni; b) che al predetto reclamo sono assoggettabili le sole parti tra cui si è formato il giudicato, ma non anche i terzi, ai quali invece – in quanto estranei al giudicato e non soggetti al relativo vincolo – è dato di fare ricorso all’ordinaria azione di annullamento; infatti, la res inter alios acta nei loro confronti neque iuvat neque nocet, sicché, per loro, la stessa sentenza non può che degradare a mero fatto giuridico: sempre rilevante, ma giammai vincolante. 18 Il giudice dell'ottemperanza può autorizzare il commissario "ad acta " ad avvalersi di un collaboratore, come è legittimo che quest'ultimo autonomamente scelga di avvalersi di un collaboratore, anche se questa scelta, qualora assuma un rilievo esterno, deve essere vagliata dal giudice dell'ottemperanza. 24 Il termine assegnato dal giudice al commissario ad acta per dare concreta attuazione al giudicato non è perentorio e la sua inutile scadenza non determina alcuna decadenza dei poteri commissariali, il che è coerente con la stessa natura e funzione del commissario ad acta, quale organo ausiliario del giudice la cui attività è dell'Amministrazione, necessaria, per a rendere causa effettiva dell'inerzia la tutela giurisdizionale e cioè far conseguire all'interessato il bene della vita già definitivamente riconosciutogli in sede cognitoria, cessando quindi soltanto con la piena ed integrale attuazione del comando contenuto nella sentenza ottemperanda. Anche al commissario ad acta trova applicazione la disciplina della ricusazione19. 19 Il Consiglio di Stato con la sentenza 28 settembre 2011 n. 5391 ha ritenuto che dal combinato disposto dell’art. 21 c.p.a. (che qualifica il commissario ad acta quale ausiliare del giudice che ha pronunciato la sentenza da eseguire) e dell’art. 114, comma 6, dello stesso codice (il quale stabilisce che il giudice dell’ottemperanza conosce di tutte le questioni relative all’esatta ottemperanza, ivi comprese quelle inerenti agli atti del commissario ad acta), si ricava, con nettezza, che il giudice dell’ottemperanza è dotato di una competenza funzionale esclusiva a conoscere di tutte le questioni concernenti l’esecuzione del giudicato e, segnatamente, degli atti adottati dal suo ausiliare ai fini dell’esecuzione del precetto giudiziario. Aggiunge la sentenza, prima della novella introdotta dal D.L.vo n. 195 del 2011 all’art. 114 che in assenza di una disciplina limitativa sul piano soggettivo, deve ritenersi che sono legittimati ad insorgere innanzi al giudice dell’ottemperanza avverso gli atti commissariali anche soggetti rimasti terzi rispetto al giudicato, ove tali atti producano una lesione diretta della loro sfera giuridica. E ciò specie se le censure proposte mettano in dubbio la conformità dell’atto commissariale alle coordinate fissate dal giudicato da eseguire; dal momento che, per un verso, che una diversa soluzione condurrebbe all’illogica attribuzione a due giudici diversi di questioni identiche, in relazione alla circostanza che la contestazione degli atti del commissario provenga dal terzo o da un parte, con conseguente frustrazione del principio di concentrazione processuale; e, sotto altro profilo, che la soluzione qui offerta non è ostacolata dal principio del doppio grado di giudizio, posto che detto principio non ha un rilievo costituzionale ed è quindi derogabile dal legislatore ordinario. 25 Il giudice conosce di tutte le questioni relative all'esatta ottemperanza, ivi comprese quelle inerenti agli atti del commissario. Un’importante novità è costituita dalla previsione della possibilità di promuovere il giudizio di ottemperanza anche al fine di ottenere chiarimenti in ordine alle modalità di ottemperanza. In tal caso la legittimazione attiva spetta sia alle parti private, che alla pubblica amministrazione tenuta all’ottemperanza, nonché al commissario ad acta. Dal momento che il ricorso per ottemperanza può essere proposto anche al fine di ottenere chiarimenti in ordine alle modalità di ottemperanza, il giudice fornisce chiarimenti in ordine alle modalità di ottemperanza, anche su richiesta del commissario. In difetto di una specifica disciplina si applicano le modalità ordinarie per la proposizione del ricorso per ottemperanza20. 4 - Il giudizio in tema di accesso ai documenti amministrativi. L'accesso costituisce oggetto di un diritto soggettivo di cui il giudice amministrativo conosce in sede di giurisdizione esclusiva. Il giudizio ha per oggetto la verifica della spettanza o meno del diritto di accesso, più che la verifica della sussistenza o meno dei vizi di legittimità dell'atto amministrativo. Infatti, il giudice può ordinare l'esibizione dei documenti richiesti, così sostituendosi 20 Le disposizioni sopra illustrate si applicano anche alle impugnazioni avverso i provvedimenti giurisdizionali adottati dal giudice dell'ottemperanza e i termini per la proposizione delle impugnazioni sono quelli previsti nel Libro III per le impugnazioni in generale. 26 all'Amministrazione e ordinandole un facere pubblicistico, solo se ne sussistono i presupposti (art. 116 comma 4, c.p.a.). Questo implica che, al di là degli specifici vizi e della specifica motivazione del provvedimento amministrativo di diniego dell'accesso, il giudice deve verificare se sussistono o meno i presupposti dell'accesso, potendo pertanto negarlo anche per motivi diversi da quelli indicati nel provvedimento amministrativo21. Il diritto d'accesso è ricostruibile quale situazione di diritto soggettivo, e ciò sia in base alla sua formale definizione come tale, che per i chiari profili della sua concreta disciplina, quali, in particolare: 1) la mancanza di discrezionalità per le amministrazioni, verificati i presupposti per l'accesso, nell'adempiere alla pretesa del soggetto privato di prender visione ed estrarre copia dei documenti amministrativi; 2) la non necessità che il documento amministrativo sia relativo ad uno specifico procedimento; 3) la devoluzione delle controversie in materia alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e la correlata previsione della possibilità che tale giudizio si concluda con l'ordine di un facere per l'amministrazione22. 21 Consiglio Stato , sez. VI, 12 gennaio 2011 , n. 117 22 La disciplina sostanziale del diritto di accesso costituisce una derivazione del principio di trasparenza dell’azione amministrativa, che è venuto ad affiancare il principio di imparzialità e quello di buon andamento fissati dall’art. 97 Cost. La legge n. 241 del 1990 sancisce il principio di pubblicità dell’azione amministrativa, che trova nell’art. 1 un espresso riferimento, riferimento di rango primario, ma non particolarmente significativo; che la Corte Costituzionale ritiene implicitamente costituzionalizzato nel combinato disposto costituito dagli artt. 97, 24 e 113 Cost. Nella sentenza n. 104 del 2006 si afferma che:”La pubblicità del procedimento amministrativo è un principio del patrimonio costituzionale, comune peraltro alla tradizione di tutti i Paesi europei; si ricava un riconoscimento a livello costituzionale, che va al di là del riconoscimento dato a questo principio a livello primario dalla legge n. 241 del 1990. Il riferimento da parte della Corte costituzionale agli artt. 24 e 113 27 L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la decisione n. 7 del 2006 ha affermato il principio che la situazione giuridica soggettiva del diritto di accesso non fornisce un’utilità finale, che è, invece, tipica del diritto o dell’interesse, perché si tratta di una situazione giuridica soggettiva che offre all’interessato poteri di natura procedimentale volti a tutelare un’altra situazione giuridica soggettiva. Cost. consente di cogliere il principio di pubblicità non solo nel suo aspetto statico, modo in cui la P.A. sta agendo, ma anche nel suo aspetto dinamico, in quanto consente la tutela dei propri diritti ed interessi anche per fini di tutela giurisdizionale o amministrativa. L’art. 22 della l. 241del 1990, come modificato dalla l. n. 15 del 2005, prevede che l’accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell’attività amministrativa ed attiene ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale ai sensi dell’art. 117, 2 comma, lettera m) cost, cioè la norma che consente allo Stato di stabilire normative, anche nell’ambito delle materie rimesse alla competenza esclusiva delle Regioni, quando si tratta appunto di disciplinare livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali. Gli artt. 22 e ss. della legge n. 241 del 1990, subiscono una prima novellazione con la L. n. 265 del 1999, che estende l’accesso ai soggetti che svolgono pubblici servizi; cui hanno fatto seguito:la L. n 340 del 2000, che introduce il ruolo del difensore civico relativamente al diritto d’accesso; la L. n. 205 del 2000 che riguarda solo la sfera processuale del diritto di accesso. La L. n. 15 del 2005 ha innovato sostanzialmente la disciplina dell’accesso, introducendo un sistema definitorio del diritto di accesso. La definizione di interessato è relativa al soggetto privato, compreso quello portatore di interesse pubblico diffuso, che abbia un interesse diretto concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso. Controinteressato è il soggetto, individuato o facilmente individuabile in base alla natura del documento richiesto, che dall’esercizio dell’accesso vedrebbe compromesso il suo diritto alla riservatezza. L'art. 22 l. n. 241 del 1990, considera documento amministrativo, suscettibile, in quanto tale, di essere oggetto di "actio ad exhibendum", "ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni, formati dalle pubbliche amministrazioni o, comunque, utilizzati ai fini dell'attività amministrativa". Nel concetto ampio di documento amministrativo, che può formare oggetto d'accesso, rientrano pure gli atti provenienti da soggetti diversi dalla P.A. procedente, nonché quelli di diritto privato, purché correlati al perseguimento degli interessi pubblici affidati alla cura della stessa p.a. Poiché, ai sensi dell'art. 22 comma 4, l. n. 241 del 1990, non sono accessibili le informazioni in possesso di una Pubblica Amministrazione che non abbiano, forma di documento amministrativo, e, per l’art. 2, comma 2, D.P.R. n. 184 del 2006, il diritto di accesso si esercita con riferimento ai documenti amministrativi materialmente esistenti al momento della richiesta, e la Pubblica Amministrazione non è tenuta ad elaborare dati in suo possesso al fine di soddisfare le richieste di accesso, l'Amministrazione dovrà rilasciare al richiedente copia di tutti i documenti limiti in cui essi non comportino una elaborazione di dati. Detto principio si affianca a quello della neutralità della forma giuridica dell’ente che detiene l’atto. L’art. 22 attribuisce 28 Il "diritto di accesso ai documenti amministrativi” (indipendentemente dalla sua qualificazione come diritto soggettivo o interesse legittimo) è una situazione giuridica positiva dal carattere essenzialmente strumentale, come dimostrato dalla circostanza che la legge stabilisce un termine di decadenza (30 giorni dalla conoscenza del provvedimento esplicito (di diniego o di accoglimento) o dalla formazione del silenzio significativo) per la proposizione dei ricorsi23. Il novellato art. 22 (L. 15 del 2005) dispone che possono chiedere l’accesso tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori d’interessi pubblici diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata collegata al documento al quale è richiesto l’accesso24. L’art. 116 disciplina il rito dell’accesso ai documenti ed integra la disciplina della legge n. 241 del 1990, prevedendo che contro le determinazioni (sia di accoglimento che di rigetto) e contro il silenzio sulle istanze di accesso ai documenti amministrativi il contenuto alla la nozione di pubblica Amministrazione, ricomprendendovi tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto privato, limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario. 23 Di conseguenza, il carattere decadenziale del termine reca in sé che la mancata impugnazione del diniego nel termine non consente né la reiterabilità dell'istanza né l'impugnazione del successivo diniego laddove a questo possa riconoscersi carattere meramente confermativo del primo. E’ ammissibile reiterare l'istanza di accesso e pretendere riscontro alla stessa in presenza di fatti nuovi, sopravvenuti o meno, non rappresentati nell'originaria istanza o anche a fronte di una diversa prospettazione dell'interesse giuridicamente rilevante, cioè della posizione legittimante all'accesso; in tal caso, l'originario diniego, da intendere sempre “rebus sic stantibus”, ancorché non ritualmente impugnato, non spiegherà alcun rilievo nella successiva vicenda procedimentale e processuale. 24 L’interesse non può essere la generica esigenza al buon andamento della p.a. del cittadino, ma deve esserci un rapporto di strumentalità tra l’interesse e il documento; d’altra parte la legittimazione attiva all’accesso non coincide con la legittimazione processuale. 29 ricorso è proposto entro trenta giorni dalla conoscenza della determinazione impugnata o dalla formazione del silenzio, mediante notificazione all'amministrazione e ad almeno un contro interessato (salva la integrazione successiva del contraddittorio nei confronti degli altri eventuali contro interessati). All’art. 116, in materia di accesso ai documenti amministrativi, con le modifiche apportate dal D.L.vo n. 195 del 2011 al comma 1 si vuole: a) chiarire che, per la valida instaurazione del giudizio, è sufficiente la notifica a un solo controinteressato, salva l’integrazione del contraddittorio, in coerenza con la regola generale del processo amministrativo; b) rendere eguale al termine per la proposizione dell’atto introduttivo del giudizio (che è di 30 giorni) il termine per la proposizione del ricorso incidentale e per i motivi aggiunti proposti nel rito in materia di accesso ai documenti. Sussiste, a pena di inammissibilità, l'obbligo di notifica del ricorso volto ad impugnare il diniego di accesso agli atti ad almeno uno dei controinteressati, individuabili in coloro che dalla conoscenza dei documenti richiesti possano subire un pregiudizio alla propria sfera di riservatezza o in coloro cui si riferiscono i documenti oggetto dell'istanza di accesso. La posizione processuale del controinteressato nel giudizio speciale di cui all'art. 25, l. n. 241 del 1990 dinanzi al giudice amministrativo, trova da ultimo riconoscimento normativo nella nuova formulazione dell'art. 22 della citata legge, come introdotta dalla l. n. 15 del 2005, il quale, alla lett. c), del comma 1, menziona come controinteressati tutti i soggetti, individuati o 30 facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto, che dall'esercizio dell'accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza. Si applica anche al rito dell’accesso l'articolo 49 per cui quando il ricorso sia stato proposto solo contro taluno dei controinteressati, il presidente o il collegio ordina l'integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri e le altre disposizioni relative agli effetti della disposizione di integrazione del contraddittorio. Viene ribadita la disposizione che consente all’amministrazione di essere rappresentata e difesa da un proprio dipendente a ciò autorizzato, in parallelo a quella che consente la difesa in giudizio delle parti private senza necessità di assistenza tecnica (art. 23). Al di fuori di quei casi nei quali si provvede con ordinanza (per connessione della domanda di accesso con un giudizio già promosso, il giudice decide con sentenza in forma semplificata. In caso di accoglimento del ricorso: - ordina l'esibizione dei documenti richiesti autorizzando l’estrazione di copia, ovvero la sola ostensione in via alternativa se ritiene che tale modalità meglio garantisca la riservatezza dei terzi entro un termine non superiore, di norma, a trenta giorni; - detta, ove occorra, le relative modalità e quindi potrà nominare per gli adempimenti sostitutivi, in caso di protrarsi dell’inerzia, un commissario ad acta, al quale trovano applicazione le norme in tema di ottemperanza di cui sopra25. L’accesso si consente mediante visione del documento ed estrazione di copia. 25 Le disposizioni di cui sopra contenute all’articolo 116 si applicano anche ai giudizi di impugnazione. 31 La precedente formulazione della norma (art. 22) prevedeva che il diritto si esercitasse mediante visione “o” estrazione di copia, la nuova invece sostituisce “o” con “e”, il che farebbe ritenere venuta meno la possibilità di limitare il diritto d’accesso alla sola visione. Tesi che però non appare del tutto convincente in quanto la “e” può avere un significato anche alternativo e meglio consente all’Amministrazione di bilanciare il rapporto tra accesso e riservatezza dal momento che la sola visione in certi casi garantisce le esigenze di riservatezza e quella di non interferire con procedimenti in corso In pendenza di un giudizio cui la richiesta di accesso è connessa, la pretesa all’accesso può essere esercitata con istanza depositata presso la segreteria del giudice competente a decidere il ricorso principale, previa notificazione all'amministrazione e agli eventuali controinteressati (art. 116 comma 2 CPA). Non è, pertanto, sufficiente una richiesta istruttoria contenuta in ricorso o memoria (che può comunque preludere ad una attività istruttoria con ordinanza presidenziale e/o collegiale). L'istanza di accesso infraprocessuale è decisa con ordinanza separatamente dal giudizio principale, ovvero con la sentenza che definisce il giudizio. 5 - Il giudizio sul silenzio dell’Amministrazione. Come già rilevato il codice del processo opera una ricostruzione sistematica delle azioni proponibili. Con riferimento alle azioni, la versione finale del Codice (semplificata, in questa parte, rispetto allo schema originario approvato dalla Commissione), all’art. 31, commi 1, 2, 3, 32 disciplina in modo specifico l’azione avverso il silenzio (proponibile fintanto che perdura l’inadempimento e, comunque, non oltre un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento), con l’introduzione del limite alla pronuncia sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio solo quando si tratta di attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che debbono essere compiuti dall'amministrazione. La modifica all’articolo 31, comma 1 dal D. L.vo n. 195 del 2011, è stata apportata in sede di approvazione definitiva, per adeguamento al rilievo in proposito formulato dalla commissione Bilancio della Camera. Per cui adesso l’azione di acceratamento è proponibile non soltanto “decorsi i termini per la conclusione del procedimento amministrativo” ma anche negli altri casi previsti dalla legge” per cui chi vi ha interesse può chiedere l'accertamento dell'obbligo dell'amministrazione di provvedere26. L’art. 117 disciplina il rito del giudizio introdotto con ricorso avverso il silenzio. Dopo le modifiche apportate all'istituto del giudizio avverso il silenzio dell'amministrazione dall'art. 21 bis della legge 6 dicembre 1971 n. 1034, introdotto dall'art. 2 della legge 21 luglio 2000 n. 205, sul piano sostanziale, detto giudizio così definito si 26 L’art. 1, comma 1, lettera g) del D. L.vo n. 195 del 2011, recepisce il rilievo formulato dalla Quinta Commissione della Camera, operando il coordinamento del Codice con le modifiche introdotte dall’art. 6 del D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito con modificazioni dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, in tema di S.C.I.A. e D.I.A., secondo quanto richiesto, in punto di "conseguenze di carattere finanziario", da detta Commissione Bilancio della Camera. 33 collega al dovere delle amministrazioni pubbliche di concludere il procedimento mediante l'adozione di un provvedimento espresso nei casi in cui esso consegua obbligatoriamente ad una istanza, ovvero debba essere iniziato d'ufficio, come prescrive l'art. 2, comma 2, della legge 7 agosto 1990 n. 241. Il dovere dell'amministrazione di provvedere sull'istanza del privato non può essere desunto dall'esistenza di un sistema processuale strutturato per rimuovere l'inerzia dell'amministrazione ad esercitare i poteri attribuiti dalla legge, ma deve preesistere sul piano sostanziale, nel senso che deve trovare fondamento in una norma che impone direttamente o indirettamente all'amministrazione di adottare il provvedimento nell'interesse del privato richiedente. L’art. 117 c.p.a. e l’art. 2 l. n. 241 del 1990 si pongono in un rapporto di reciproco completamento, in coerenza con il principio del buon andamento della p.a. e con quello, rilevante anche per la convenzione Europea per i diritti dell’uomo, di effettività del rimedio di giustizia amministrativa, previsto dall’ordinamento nazionale. Ciò comporta che l’interesse all’impugnazione del silenzio non viene meno per il solo fatto che sia stato emesso un atto meramente istruttorio o comunque interno, dovendosi verificare se sia stato emesso un provvedimento che, senza configurare un arresto del procedimento, corrisponda nel suo contenuto a quello tipico previsto dalla legge, sia pure non satisfattivo. Il ricorso previsto dall’art. 117 cpa è finalizzato ad accertare la legittimità o meno del silenzio dell’amministrazione in relazione all’obbligo di conclusione del procedimento amministrativo imposto dall’art. 2 l. 7 agosto 1990 n. 241, con un provvedimento 34 espresso, impugnabile, qualora l’interessato lo ritenga lesivo della propria sfera giuridica. Il rimedio non è, quindi, azionabile a fini meramente conoscitivi, anche in relazione al fatto che l’interessato può rivolgersi direttamente al giudice ordinario per ottenere la tutela del proprio diritto di credito, per adire il quale non occorre neppure l’intermediazione di un provvedimento dell’amministrazione. Si ribadisce che il ricorso va proposto, anche senza previa diffida, allo scadere del termine assegnato all’Amministrazione per provvedere ai sensi dell’art. 2 della legge n. 241 del 1990, e va notificato all'Amministrazione e ad almeno un controinteressato nel termine di cui all'articolo 31, comma 2, fintanto che perdura l'inadempimento e, comunque, non oltre un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento. La posizione del contro interessata è potenzialmente da garntire soprattutto nella ipotesi di impugnazione di silenzio correlato a istanze volte a dell’Amministrazione sollecitare del ptete l’esercizio di asutotula da parte rispetto a comportamenti giuridicamente significativi (denuncia di inzio attività e situazione certificata di inizio attività) Nel computo del termine di un anno previsto dall'art. 2 comma 5, l. 7 agosto 1990 n. 241, in tema di silenzio, non andrebbe compresa la sospensione feriale dei termini, giacché tale termine ha natura non processuale ma sostanziale. È fatta salva la riproponibilità dell'istanza di avvio del procedimento ove ne ricorrano i presupposti. Il ricorso è deciso con sentenza in forma semplificata e, in caso di totale o parziale accoglimento, il giudice ordina 35 all'amministrazione di provvedere entro un termine non superiore, di norma, a trenta giorni. Il giudice, in caso di persistente inerzia dell’amministrazione nomina un commissario ad acta con la sentenza con cui definisce il giudizio o successivamente su istanza della parte interessata e conosce di tutte le questioni relative all'esatta adozione del provvedimento richiesto, ivi comprese quelle inerenti agli atti del commissario. In quest’ultimo caso deve ritenersi che il Giudice amministrativo esercita i poteri dell’ottemperanza senza il limiti della adozione di atti in via sostitutiva anche a contenuto discrezionale. La possibilità di pronuncia sulla fondatezza dell'istanza, ai sensi dell'art. 2 comma 5, l. n. 241 del 1990, non è obbligatoria (“il giudice amministrativo può conoscere della fondatezza dell'istanza”) e deve ritenersi limitata ai casi in cui venga in rilievo un'attività interamente vincolata della p.a., che non postuli accertamenti valutativi complessi e sempre che non sia prevalente il profilo concernente la sussistenza dell'obbligo della P.A. di emettere una pronuncia esplicita sull'istanza del privato. Infatti, se, nel giudizio sul silenzio-rifiuto, si riconoscesse al giudice amministrativo il potere di pronunciarsi in ogni caso sulla fondatezza della pretesa fatta valere, quindi, anche nei casi di esercizio della potestà discrezionale o nei casi in cui l'attività vincolata comporti valutazioni complesse, si finirebbe per ammettere una completa sostituzione del giudice alla pubblica amministrazione, in contrasto sia con i principi generali riguardanti i poteri del giudice amministrativo sia con la natura semplificata del giudizio sul silenzio e della decisione che deve 36 definirlo e che deve essere succintamente motivata, così come prescrive il legislatore . Se nel corso del giudizio sopravviene il provvedimento espresso, o un atto connesso con l'oggetto della controversia, questo può essere impugnato anche con motivi aggiunti, nei termini e con il rito previsto per il nuovo provvedimento, e l'intero giudizio prosegue con il rito ordinario27. In tema di rito sul silenzio innovativa è la disciplina del codice riguardante la contestualità delle domande di accertamento e di condanna al risarcimento del danno. Il Codice ha superato il principio secondo il quale si dichiarava la domanda di risarcimento inammissibile, facendo applicazione di quella giurisprudenza restrittiva nei confronti dell'ammissibilità del cumulo di domande, specie se assoggettate a diversi riti, come nel caso di azione avverso il silenzio e domanda di risarcimento del danno28. 27 La giurisprudenza ritiene ammissibile un ricorso giurisdizionale con il quale sono state contestualmente avanzate due domande soggette a riti diversi e precisamente una domanda principale di annullamento del provvedimento impugnato e (per il caso in cui si dovesse ritenere l’atto gravato in via principale privo di carattere provvedimentale) una domanda subordinata, tendente ad ottenere l’accertamento dell’illegittimità del silenzio-inadempimento serbato dalla P.A.; infatti, in attuazione del principio di concentrazione ed effettività della tutela (di cui all’art. 44, n. 2, lett. a, della legge di delega n.69 del 2009), è stata introdotta - con l’art. 32 del codice del processo amministrativo, approvato con D. Lgs. 2 luglio 2010 n. 104, una disposizione la quale prevede che: "E' sempre possibile nello stesso giudizio il cumulo di domande connesse proposte in via principale o incidentale. Se le azioni sono soggette a riti diversi, si applica quello ordinario, salvo quanto previsto dai Capi I e II del Titolo V del Libro IV" (comma I)"; con l’ulteriore conseguenza che, in tal caso, deve essere ritenuto applicabile, ai sensi del citato art. 32, il rito ordinario, al quale è soggetta l’azione di annullamento proposta in via principale, TAR LombardiaMilano IV 28 ottobre 2010 n. 7139. 28 Consiglio Stato , sez. IV, 28 aprile 2008 , n. 1873, secondo cui è inammissibile la domanda di risarcimento del danno proposta nell'ambito del rito speciale previsto dall'art. 21-bis l. 6 dicembre 1971 n. 1034, poiché con tale rito può essere unicamente impugnato il silenzio serbato dall'amministrazione su un'istanza, ma non è possibile formulare alcuna altra domanda; v. anche Cons. Stato, IV, 12 febbraio 2010 n. 773 sull'inammissibilità dell'impugnazione del provvedimento sopravvenuto nell'ambito di un giudizio avverso il silenzio. 37 In contrapposizione a tale orientamento formalista si è sviluppata altra tesi, che ha valorizzato, rispetto al mero dato della proposizione di una domanda di cognizione nell'ambito di un rito speciale, l'ammissibilità del cumulo oggettivo di domande, proposte con lo stesso atto introduttivo, come espressamente previsto dall'art. 104 del c.p.c., salvo verificare la necessità di conversione del rito29. In conformità con tali principi, l'art. 32 del codice del processo amministrativo ha stabilito che è sempre possibile nello stesso giudizio il cumulo di domande connesse proposte in via principale o incidentale, facendo cadere ogni dubbio sull'ammissibilità del cumulo e prevedendo che il cumulo di più domande assoggettate a riti diversi comporta solo l'applicazione del rito ordinario, ad eccezione delle controversie cui si applica il rito abbreviato, che prevalgono in ogni caso sugli altri riti. Il principio del cumulo delle domande ha poi trovato nello stesso Codice un concreta e speciale attuazione proprio con riferimento ai casi controversi, venuti in passato all'esame della giurisprudenza. In particolare, l'art. 117, comma 6, del Codice ha previsto che, se l'azione di risarcimento del danno è proposta congiuntamente a quella avverso il silenzio, il giudice può definire con il rito camerale l'azione avverso il silenzio e trattare con il rito ordinario la domanda risarcitoria. 29 Cons. Stato, sez. VI, 18 giugno 2002, n. 3332, che ha ritenuto ammissibile un ricorso cumulativo, proposto in primo grado, contenente sia la richiesta di esecuzione del giudicato sia la domanda risarcitoria a condizione che, in applicazione del principio di conservazione e di conversione degli atti processuali, sussistano i presupposti di contenuto e forma previsti per un'ordinaria azione cognitoria. La tesi presuppone che un ricorso cumulativo contenente una domanda assoggettata a rito speciale e una domanda risarcitoria sia ammissibile, non in quanto l'azione risarcitoria possa essere ordinariamente proposta seguendo altro rito, ma in quanto si deve ritenere ammissibile il cumulo delle due domande a condizione che sussistano i presupposti di contenuto e forma previsti per un'ordinaria azione cognitoria, con conseguente conversione del rito; ciò in applicazione anche dei principi di effettività e concentrazione delle tutele. 38 La disposizione in primo luogo ammette la proponibilità contestuale delle due domande, e, a differenza di quanto previsto per l'impugnazione del provvedimento sopravvenuto, non stabilisce una conversione obbligatoria del rito, ma lascia al giudice il potere di decidere con rito camerale l'azione avverso il silenzio, rinviando al rito ordinario la trattazione della domanda risarcitoria. Tale disposizione, in parte innovativa su tale ultimo punto, ha codificato quell'orientamento favorevole all'ammissibilità del cumulo di domande, già presente prima dell'entrata in vigore del Codice e, sotto tale profilo, la norma assume una natura interpretativa circa l'ammissibilità del cumulo, che va quindi riconosciuta anche con riferimento ai giudizi già pendenti al momento dell'entrata in vigore del Codice (Cons. Stato, IV, 27 novembre 2010 n. 8251). La domanda di risarcimento proposta unitamente al ricorso avverso il silenzio deve, quindi, essere ritenuta ammissibile (Consiglio di Stato 21 marzo 2011 n. 1739). Nel caso di azione di risarcimento del danno proposta congiuntamente a quella di cui al silenzio articolo, il giudice può, pertanto, definire con il rito camerale l'azione avverso il silenzio e trattare con il rito ordinario la domanda risarcitoria. Giova ricordare che per il risarcimento dell'eventuale danno che il ricorrente comprovi di aver subito in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, il termine decadenziale di 120 giorni per proporre l’azione risarcitoria non decorre fintanto che perdura l'inadempimento. Il termine predetto inizia, comunque, a decorrere dopo un anno dalla scadenza del termine per provvedere. 39 La domanda di risarcimento dei danni, anche quando la posizione soggettiva vulnerata abbia natura di interesse legittimo, è regolata dal principio dell'onere della prova di cui all'art. 2697 cod. civ., in base al quale chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Grava, perciò, sul danneggiato l'onere di provare, ai sensi del citato articolo, tutti gli elementi costitutivi della domanda di risarcimento del danno per fatto illecito, ossia l’evento dannoso, la condotta, la colpa, il nesso di causalità30. Con l’aggiunta, all’articolo 117, di un comma 6 bis da parte del D.L.vo n. 195 del 2011, si intende superare il problema applicativo per cui, mentre per i riti relativi ad accesso e appalti è detto espressamente che il rito speciale si applica anche nei giudizi di impugnazione (vedi gli articoli 116, comma 5, 119, comma 7, e 120, comma 11), tale previsione mancava per il rito del silenzio. 6 - La definizione con sentenza in forma e procedura abbreviata alternativa alla misura cautelare. L’art. 60 consente la definizione del giudizio in esito all'udienza camerale di trattazione della comanda cautelare, disponendo che in sede di decisione della domanda cautelare il giudice può 30 Non può essere accolta una domanda di risarcimento del danno asseritamente subito da un impresa, in conseguenza del ritardo, peraltro esiguo, con il quale la P.A. ha concluso un procedimento amministrativo, nel caso in cui difetti la prova sia del danno, sia del fatto che l'inosservanza del termine di conclusione del procedimento è attribuibile a una condotta dolosa o colposa dell’Amministrazione,TAR Toscana 18 febbraio 2011 n. 341(1) Cons. Stato, sez. V, 15 settembre 2010, n. 6797, Cons. Stato sez. IV, 11 giugno 2002, n. 3256, T.A.R. Lazio, sez. I, 5 maggio 2009, n. 4567; T.A.R. Puglia, Lecce, sez. II, 11 febbraio 2010, n. 550: T.A.R. Lazio, sez. I, 22 settembre 2010, n. 32382, T.A.R. Toscana, sez. II, 31 agosto 2010, n. 5145. 40 definire, in camera di consiglio, il giudizio con sentenza in forma semplificata alle seguenti condizioni: - purché siano trascorsi almeno venti giorni dall'ultima notificazione del ricorso, - sia accertata la completezza del contraddittorio e dell'istruttoria, - siano sentite sul punto le parti costituite, - una delle parti non abbia dichiarato che intende proporre motivi aggiunti, ricorso incidentale o regolamento di competenza, ovvero regolamento di giurisdizione (se la parte dichiara che intende proporre regolamento di competenza o di giurisdizione, il giudice assegna un termine non superiore a trenta giorni). Ove ne ricorrano i presupposti, il collegio dispone l'integrazione del contraddittorio o il rinvio per consentire la proposizione di motivi aggiunti, ricorso incidentale, regolamento di competenza o di giurisdizione e fissa contestualmente la data per il prosieguo della trattazione. Presupposti della sentenza in forma semplificata sono la completezza del contraddittorio (cioè la rituale notifica del ricorso e il rispetto del termine per la discussione sull'istanza incidentale), la completezza dell'istruttoria, l'avviso alle parti, ma l'esigenza e l'opportunità della sollecita decisione nel merito di una causa è da intendersi rimessa al prudente apprezzamento del giudice e non alla volontà delle parti, alle quali è stato riconosciuto il diritto di essere avvertite dell'intenzione del giudice (di decidere immediatamente nel merito la causa) al fine precipuo di non esaurire le loro difese sul piano della misura 41 cautelare incidentalmente richiesta e di sviluppare pertanto le proprie argomentazione difensive anche nel merito. Ai fini della validità della sentenza in forma semplificata è, pertanto, necessario che il Collegio, oltre alla previa verifica della regolarità del contraddittorio e della completezza dell'istruttoria, abbia puntualmente informato le parti costituite - e presenti all'udienza in camera di consiglio - della possibilità di adottare un tale tipo di pronuncia. Detta informazione, che non è finalizzata alla previa acquisizione del consenso delle parti (non richiesto dalla legge), bensì a consentire alle parti l'esercizio completo ed esauriente del proprio diritto di difesa nel caso concreto (mediante l'eventuale richiesta di un rinvio per la produzione di nuove prove o per proporre motivi aggiunti, ovvero per chiedere un termine a difesa), deve essere riferita specificamente alla singola controversia e non può pertanto essere considerata validamente sostituita dall'avvertimento eventualmente fatto in sede di preliminari d'udienza per tutte le istanze cautelari da chiamare nella camera di consiglio, in quanto siffatto modus procedendi frusterebbe la specifica funzione di garanzia del diritto di difesa immanente alla prescrizione normativa dell'audizione delle parti sul punto, essendo invero nell'udienza in camera di consiglio essenziale l'apporto delle parti che deve poter essere dato nella pienezza degli elementi conoscitivi riferiti anche alle tesi avversarie, e potendosi dunque solo in tale momento processuale (re cognita) acquisire un parere delle parti, seppure non vincolante per l'organo giudicante31. 31 Ne consegue che del tutto superflua e non significativa è la mera comunicazione effettuata indistintamente per tutte le cause chiamate all'udienza cautelare e concernente la possibilità di una decisione nel merito della controversia, risolvendosi simile comunicazione in un mero richiamo astratto del dato normativo, mentre il contraddittorio va instaurato sul punto in esame nell'ambito di ogni singola controversia, onde consentire una valutazione in concreto della ricorrenza o meno dei presupposti cui è subordinato il ricorso alla decisione in forma semplificata (nel caso di specie, sia nel verbale d'udienza cautelare sia nella sentenza gravata mancava qualsiasi attestazione relativa all'avvenuta audizione delle parti costituite e comparse 42 La motivazione della sentenza può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo ovvero, se del caso, ad un precedente conforme. 7 – I riti camerali di opposizione ai decreti che dichiarano l’estinzione e l’improcedibilità. L'articolo 85 del codice disciplina le modalità per la declaratoria di estinzione e improcedibilità del ricorso. L'estinzione e l'improcedibilità di cui all'articolo 35 possono essere pronunciate con decreto dal presidente o da un magistrato da lui delegato. L'estinzione e l'improcedibilità sono dichiarate, invece, con sentenza se si verificano, o vengono accertate, all'udienza di discussione. Il giudizio di appello procede secondo le regole ordinarie e l'udienza di discussione è fissata d'ufficio con priorità. L'articolo 35 disciplina il contenuto delle pronunce in rito che possono essere emesse anche d'ufficio, quindi prescindendo da un'istanza di parte o da un'eccezione. Il giudice dichiara, anche d'ufficio, il ricorso improcedibile quando nel corso del giudizio sopravviene il difetto di interesse delle parti alla decisione, o non sia stato integrato il contraddittorio nel termine assegnato, ovvero sopravvengono altre ragioni ostative ad una pronuncia sul merito. in ordine alla possibilità di una definizione della causa in forma semplificata). (Consiglio di stato, sez. VI, 09 dicembre 2010 , n. 8625). 43 Il giudice dichiara estinto il giudizio: a) se, nei casi previsti dal codice, non viene proseguito o riassunto nel termine perentorio fissato dalla legge o assegnato dal giudice; b) per perenzione; c) per rinuncia. Il decreto è depositato in segreteria, che ne dà comunicazione alle parti costituite; pur tuttavia nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione ciascuna delle parti costituite può proporre opposizione al collegio, con atto notificato a tutte le altre parti. Il giudizio di opposizione si svolge ai sensi dell'articolo 87, comma 3 con i procedimenti in camera di consiglio ed è deciso con ordinanza che: - in caso di accoglimento dell'opposizione, fissa l'udienza di merito. - in caso di rigetto, pone le spese a carico dell'opponente e le liquida nella stessa ordinanza, esclusa la possibilità di compensazione anche parziale. L'ordinanza è depositata in segreteria, che ne dà comunicazione alle parti costituite e avverso alla stessa può essere proposto appello. La perenzione La perenzione trova la sua giustificazione nell'inerzia della parte, qualora questa abbia omesso di compiere, nel termine previsto, un atto di impulso processuale posto a suo carico; pertanto non è configurabile allorché il ritardo sia, invece, dovuto all'ufficio giudiziario, che non abbia provveduto a fissare l'udienza a 44 seguito del tempestivo deposito della relativa istanza, dovendo essa circoscriversi alla differente ipotesi in cui, esauriti gli effetti della domanda di fissazione di udienza, l'onere di impulso processuale torna alle parti. Il principio al quale si ispira l'istituto della perenzione è quello secondo cui i ricorsi si considerano abbandonati se nel termine previsto dalla legge non si sia compiuto alcun atto di procedura, ed è applicabile tutte le volte in cui, esauriti gli effetti della domanda di fissazione (per cancellazione della causa dal ruolo), l'onere di impulso processuale torni alle parti, le quali, per evitare la perenzione, devono attivarsi mediante nuovi atti di procedura. Con riguardo alla perenzione il codice prevede tre tipologie (due a regime, una transitoria): Una prima ipotesi è quella disciplinata dall'articolo 81 per cui il ricorso si considera perento se nel corso di un anno non sia compiuto alcun atto di procedura32. Una seconda ipotesi è quella disciplinata dall'articolo 82 (cosiddetta "perenzione dei ricorsi ultraquinquennali”, che prescinde dall'eventuale presentazione dell'istanza di fissazione d'udienza e dispone che dopo il decorso di cinque anni dalla data di deposito del ricorso, la segreteria comunica alle parti costituite apposito avviso in virtù del quale è fatto onere al ricorrente di presentare nuova istanza di fissazione di udienza, sottoscritta 32 Detto termine non decorre nel caso di presentazione dell'istanza di fissazione di udienza e finche non si sia provveduto su di essa. Anche l'avvenuta cancellazione della causa dal ruolo implica in via generale, pena la declaratoria di perenzione del ricorso, la necessità di una nuova istanza di fissazione dell'udienza (Consiglio Stato , sez. VI, 17 aprile 2009 , n. 2318). Non sussistono, invece, i presupposti della perenzione del ricorso nel caso in cui la causa, all'udienza di discussione, sia stata rinviata a data da destinare, dal momento che per la nuova fissazione deve provvedersi d'ufficio (Consiglio Stato , sez. IV, 13 marzo 2009 , n. 1520). 45 dalla parte che ha rilasciato la procura di cui all'articolo 24 e dal suo difensore, entro centottanta giorni dalla data di ricezione dell'avviso. In difetto di tale nuova istanza, il ricorso è dichiarato perento; in quest'ultimo caso se in assenza dell'avviso di pendenza. ultraquinquennale del ricorso, è comunicato alle parti l'avviso di fissazione dell'udienza di discussione nel merito, il ricorso è deciso qualora il ricorrente dichiari, anche in udienza a mezzo del proprio difensore, di avere interesse alla decisione; altrimenti è dichiarato perento dal presidente del collegio con decreto. La nuova domanda di fissazione dell'udienza, da presentare per evitare la perenzione, deve essere sottoscritta dalla parte, quindi dal soggetto che pur essendo la parte sostanziale del processo solitamente non firma i relativi atti33. Una terza ipotesi di perenzione è prevista all'allegato 3 del decreto legislativo numero 104 del 2010 con una norma transitoria contenuta all'articolo 1 per la definizione dei ricorsi pendenti da più di cinque anni alla data di entrata in vigore del codice del processo amministrativo Quest'ultima disposizione prevede che, a prescindere dalla comunicazione dell'avviso di pendenza del ricorso da oltre cinque anni, nel termine di centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del codice, le parti presentano una nuova istanza di fissazione di udienza, sottoscritta dalla parte che ha rilasciato la procura per la proposizione del ricorso e dal suo difensore, 33 È alla parte sostanziale, che dispone dell'interesse dedotto in giudizio, che spetta la valutazione dell'attuale utilità della decisione; da qui l'onere di dichiarare personalmente la permanenza dell'interesse alla decisione (Consiglio Stato , sez. VI, 14 gennaio 2009 , n. 133). 46 relativamente ai ricorsi pendenti da oltre cinque anni e per i quali non è stata ancora fissata l'udienza di discussione. In difetto di detto adempimento il ricorso è dichiarato perento con decreto del presidente d'ufficio. Pur tuttavia nel termine di centottanta giorni dalla comunicazione del decreto, il ricorrente deposita un atto, sottoscritto dalla parte personalmente e dal difensore e notificato alle altre parti, in cui dichiara di avere ancora interesse alla trattazione della causa, il presidente revoca il decreto disponendo la reiscrizione della causa sul ruolo di merito. Se, nella pendenza del termine per la proposizione della dichiarazione di interesse, è comunicato alle parti l'avviso di fissazione dell'udienza di discussione, il giudice provvede ai sensi dell'articolo 82, comma 2, del codice, per cui il ricorso è deciso qualora il ricorrente dichiari, anche in udienza a mezzo del proprio difensore, di avere interesse alla decisione; altrimenti è dichiarato perento dal presidente del collegio con decreto34. Gli effetti della perenzione, sia a regime, sia prevista dalla norma transitoria, sono disciplinati dall'articolo 83 per cui la stessa opera di diritto e può essere rilevata anche d'ufficio. La perenzione del ricorso opera, infatti, di diritto in base al dato fattuale del mancato compimento di atti di procedura per il periodo previsto legislativamente. Il termine previsto per la presentazione dell'istanza di discussione del ricorso ha carattere decadenziale, con la conseguenza che il 34 Giova ricordare che i termini per la perenzione sono endoprocedimentali, con la conseguenza che vanno aumentati, alla pari degli altri, dei giorni derivanti dal computo dei termini feriali (Consiglio Stato , sez. V, 10 febbraio 2010 , n. 654). 47 suo inutile decorso comporta la perenzione del ricorso, la quale opera di diritto, è rilevabile d'ufficio ed è insensibile alle vicende personali del ricorrente e del suo difensore35. Dal momento che il legislatore ha previsto che ciascuna delle parti sopporta le proprie spese nel giudizio, la pronuncia sulla perenzione del giudizio non deve provvedere sulle spese. A detta regola fa eccezione la decisione con ordinanza collegiale adottata con il rito camerale di rigetto dell’opposizione al decreto che dichiara la perenzione allorquando è fatto obbligo di condannare la parte soccombente alla rifusione delle spese processuali e degli onorari di difesa. La rinuncia L'articolo 84 del codice disciplina le modalità di rinuncia al ricorso consentendo che la parte può rinunciare al ricorso in ogni stato e grado della controversia, mediante dichiarazione sottoscritta da essa stessa o dall'avvocato munito di mandato speciale e depositata presso la segreteria, o mediante dichiarazione resa in udienza e documentata nel relativo verbale. In conseguenza della natura unilaterale della scelta di rinunciare al ricorso il codice prevede che il rinunciante deve pagare le spese degli atti di procedura compiuti, salvo che il collegio, avuto riguardo a ogni circostanza, ritenga di compensarle. Quanto alle modalità viene ribadito che la rinuncia deve essere notificata alle altre parti almeno dieci giorni prima dell'udienza. Se le parti che hanno interesse alla prosecuzione non si oppongono, il processo si estingue. 35 Consiglio Stato , sez. VI, 22 settembre 2008 , n. 4558) 48 L'abbandono del ricorso per rinuncia allo stesso è rimesso integralmente a colui che agisce, ed è sottoposto alle sole condizioni della provenienza dalla parte, o dal suo procuratore all'uopo espressamente autorizzato, e dell'intervenuta conoscenza della controparte dell'atto di rinuncia, da conseguirsi in modo formale e, quindi, non solo con notifica o dichiarazione agli atti, ma anche mediante altre forme equipollenti, quali il deposito in udienza dell'atto di rinuncia sottoscritto dalla parte personalmente o anche con dichiarazione sottoscritta dalla ricorrente e, per adesione, anche dalle difese della altre parti costituite. Una volta intervenute dette formalità, spetta al giudice pronunciare, espressamente, e a seguito di un accertamento che coinvolga la presenza dei detti requisiti, l'estinzione del giudizio, permanendo, fino a quel momento, il potere del rinunciante di revocare il proprio atto36. Innovativa è la norma contenuta al comma 4 che recepisce un principio giurisprudenziale costantemente ribadito, disponendosi che, anche in assenza delle formalità di cui ai commi precedenti il giudice può desumere dall'intervento di fatti o atti univoci dopo la proposizione del ricorso ed altresì dal comportamento delle parti argomenti di prova della sopravvenuta carenza d'interesse alla decisione della causa37. 36 Effetto della rinuncia è pertanto, dal lato sostanziale, la cristallizzazione della situazione dedotta al momento anteriore della proposizione del ricorso, dall'altro lato, di carattere processuale, l'obbligo di provvedere al rimborso delle spese sostenute dalla controparte, che tuttavia costituisce una posizione disponibile delle parti costituite, potendovi queste rinunciare (Consiglio Stato , sez. IV, 14 aprile 2010 , n. 2071). La rinuncia in appello al ricorso di primo grado e agli effetti della sentenza che lo ha concluso configura una causa estintiva del giudizio che comporta l'annullamento senza rinvio della sentenza appellata, configurandosi come una ipotesi di sopravvenuto difetto di interesse alla decisione. 37 Giova ricordare che, secondo un costante indirizzo giurisprudenziale, l'istanza di rinuncia al ricorso non sottoscritta anche dalla parte, ovvero, esclusivamente dal difensore non munito di mandato speciale ad hoc, non può valere a detto fine (non 49 L’Improcedibilità È improcedibile il ricorso ove nel corso del giudizio si verifichi la sostituzione del provvedimento impugnato con altro atto non meramente confermativo o elusivo, comportamento o situazione, che modifichino la situazione di diritto e di fatto in senso favorevole o non, in guisa tale da togliere al ricorrente ogni interesse in ordine alla legittimità dell'atto impugnato38. 8 - Procedimento di ingiunzione. L’art. 118 disciplina il procedimento del decreto ingiuntivo nelle controversie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, aventi ad oggetto diritti soggettivi di natura patrimoniale. Il codice di limita a rinviare dinamicamente al Capo I del Titolo I del Libro IV del codice di procedura civile. Per l'ingiunzione è competente il presidente o un magistrato da lui delegato e l’opposizione si propone con ricorso. Nella fase di cognizione aperta con l'atto di opposizione al decreto ingiuntivo, il giudice non può limitarsi ad esaminare se l'ingiunzione sia stata legittimamente emessa, ma deve procedere a una autonoma valutazione di tutti gli elementi probatori, offerti sia dal creditore per dimostrare la fondatezza della propria sussistendo i formali requisiti tassativamente prescritti precedentemente dall'art. 46, r.d. 17 agosto 1907 n. 642); tuttavia, pur se presentata in modo irrituale, detta istanza deve essere interpretata come ammissione di una sopravvenuta carenza d' interesse alla prosecuzione del giudizio (se presentata in appello, questo deve essere dichiarato improcedibile per sopravvenuto difetto d'interesse a ricorrere e la sentenza gravata, annullata senza rinvio) (Consiglio Stato , sez. VI, 17 dicembre 2008 , n. 6257). 38 Consiglio Stato , sez. IV, 18 giugno 2009 , n. 4026. 50 pretesa dedotta con il ricorso per l'ingiunzione sia dall'opponente per contestare tale pretesa. Il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo si atteggia, nel procedimento davanti al G.A. introdotto dall'art. 8 l. 21 luglio 2000 n. 205, non diversamente da quello delineato dal codice di procedura civile e dà luogo, quindi, ad un ordinario giudizio di cognizione, teso ad accertare la fondatezza della pretesa fatta valere e non se l'ingiunzione fu legittimamente emessa in relazione alle condizioni previste dalla legge, con la conseguenza che in esso solo da un punto di vista formale l'opponente assume la posizione di attore e l'opposto quella di convenuto, perché è il creditore ad avere veste sostanziale di attore. Di conseguenza dal rinvio contemplato da tale disposizione alla disciplina dettata dal citato capo del codice di rito, trova applicazione anche il combinato disposto degli articoli 641 e 647 c.p.c., per cui il termine perentorio per proporre l'opposizione al decreto ingiuntivo è determinato, in difetto di diversa indicazione, in quaranta giorni dalla notifica del decreto. Tuttavia, l'opposizione al decreto ingiuntivo dinanzi al giudice amministrativo non si propone nelle forme previste dall'articolo 645 c.p.c. - ossia "con atto di citazione notificato al ricorrente", bensì, per espressa previsione del codice, "con ricorso", rinviandosi, pertanto, alla disciplina del processo amministrativo, che prescrive, oltre alla notifica del ricorso all'Amministrazione resistente ed ad almeno uno dei soggetti controinteressati, anche il successivo deposito del ricorso medesimo presso la Segreteria del giudice adito. E’ apparso dubbio se, al fine in esame, sia necessaria la compiuta instaurazione del rapporto processuale amministrativo - che si ha 51 solo con il deposito del ricorso notificato nella segreteria del giudice amministrativo - o sia piuttosto sufficiente la semplice notificazione del ricorso. In relazione alla particolare natura del termine previsto per la proposizione del ricorso a decreto ingiuntivo e tenuto conto degli specifici effetti che comunque sono ricollegati alla notificazione del ricorso giurisdizionale amministrativo, si ritiene che soltanto la notificazione del ricorso debba avere luogo nel termine di quaranta giorni, mentre il successivo deposito va effettuato nell'osservanza Il mancato degli rispetto ordinari del termine termini per processuali. la proposizione dell'opposizione a decreto ingiuntivo determina, infatti, la definitiva esecutività del decreto, ossia una situazione processuale assimilabile alla formazione della cosa giudicata. Possono, quindi, applicarsi in via analogica alla fattispecie in esame i principi generali del processo amministrativo che concernono i termini processuali per la contestazione delle decisioni suscettibili di passare in giudicato, ed in particolare il principio per cui l'impugnazione è tempestiva qualora la notificazione del ricorso avvenga entro il relativo termine decadenziale, mentre il deposito dell'atto notificato può avere luogo anche in un momento successivo (purché nel rispetto dello specifico termine previsto per l'adempimento di tale incombente). Tale principio si ritiene applicabile anche al procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, attesane l'identità di ratio rispetto alle sopraindicate previsioni e nonostante detto procedimento debba considerarsi un ordinario giudizio di cognizione, anziché un mezzo d'impugnazione (Consiglio Stato , sez. V, 28 maggio 2010 , n. 3404). 52 Il decreto ingiuntivo non opposto definisce la controversia, al pari della sentenza passata in giudicato, ed ha quindi valore di cosa giudicata agli effetti della proposizione del ricorso per ottemperanza contemplato dall'art. 27, t.u. 26 giugno 1924 n. 1054. 9 - I riti abbreviati relativi a speciali controversie (art. 119 CPA). Una particolare importanza assumono nel codice le disposizioni che riprendono e in parte riscrivono le regole del rito speciale in materia di appalti pubblici, recentemente introdotte dal d. lgs. n. 53 del 2010. Aderendo all’esigenza di omogeneità del sistema, il Codice prevede l’applicazione anche al nuovo contenzioso sugli appalti del rito accelerato ordinario disciplinato dall’art. 119, con la sola eccezione dei termini per la notificazione del ricorso di primo grado e dei motivi aggiunti (tanto contro provvedimenti già impugnati, quanto contro provvedimenti nuovi), che viene, eccezionalmente, fissato in trenta giorni contro i sessanta ordinari espressamente confermati dall’art. 119 anche per il rito accelerato “comune a particolari materie”. Con riferimento a quest’ultimo modello processuale, si segnalano, rispetto alla disciplina prevista dall’art. 23 bis della legge n. 1034 del 1971, i nuovi termini per l’impugnazione delle sentenze (con l’espressa precisazione dell’irrilevanza della omessa impugnazione del dispositivo ai fini della successiva richiesta di sospensione) e l’espressa indicazione dei termini di 53 appello delle ordinanze, nonché la modifica dei presupposti per la concessione delle misure cautelari e l’abolizione dei termini di deposito delle memorie e dei documenti a decorrere dall’ordinanza che fissa il merito e la necessità di un’espressa richiesta per la pubblicazione del dispositivo (non operante per il contenzioso appalti). L’art. 119 del codice sostituisce l’art. 23 bis della legge n. 1034 del 1971, disciplinando il rito abbreviato comune a determinate materie Le disposizioni si applicano nei giudizi aventi ad oggetto le controversie relative a: a) i provvedimenti concernenti le procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture, salvo quanto previsto dagli articoli 120 e seguenti; b) i provvedimenti adottati dalle Autorità amministrative indipendenti, con esclusione di quelli relativi al rapporto di servizio con i propri dipendenti; c) i provvedimenti relativi alle procedure di privatizzazione o di dismissione di imprese o beni pubblici, nonché quelli relativi alla costituzione, modificazione o soppressione di società, aziende e istituzioni da parte degli enti locali; d) i provvedimenti di nomina, adottati previa delibera del Consiglio dei ministri; e) i provvedimenti di scioglimento di enti locali e quelli connessi concernenti la formazione e il funzionamento degli organi; f) i provvedimenti relativi alle procedure di occupazione e di espropriazione delle aree destinate all'esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità e i provvedimenti di 54 espropriazione delle invenzioni adottati ai sensi del codice della proprietà industriale; g) i provvedimenti del Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive; h) le ordinanze adottate in tutte le situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell'articolo 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, e i consequenziali provvedimenti commissariali (protezione civile nazionale); i) il rapporto di lavoro del personale dei servizi di informazione per la sicurezza, ai sensi dell'articolo 22, della legge 3 agosto 2007, n. 124 (AISI, AISE e DIS); l) le controversie comunque attinenti alle procedure e ai provvedimenti della pubblica amministrazione in materia di impianti di generazione di energia elettrica di cui al decreto legge 7 febbraio 2002, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2002, n. 55, comprese quelle concernenti la produzione di energia elettrica da fonte nucleare, i rigassificatori, i gasdotti di importazione, le centrali termoelettriche di potenza termica superiore a 400 MW nonché quelle relative ad infrastrutture di trasporto ricomprese o da ricomprendere nella rete di trasmissione nazionale o rete nazionale di gasdotti; m) i provvedimenti della commissione centrale per la definizione e applicazione delle speciali misure di protezione, recanti applicazione, modifica e revoca delle speciali misure di protezione nei confronti dei collaboratori e testimoni di giustizia; m-bis) le controversie aventi per oggetto i provvedimenti dell'Agenzia nazionale di regolamentazione del settore postale di cui alla lettera h) del comma 2 dell'articolo 37 della legge 4 giugno 2010, n. 96, 55 compresi quelli sanzionatori ed esclusi quelli inerenti ai rapporti di impiego. (lettera aggiunta dall'articolo 2, comma 2, d.lgs. n. 58 del 2011) m-ter) i provvedimenti dell'Agenzia nazionale per la regolazione e la vigilanza in materia di acqua istituita dall'articolo 10, comma 11, del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106; m-quater) le azioni individuali e collettive avverso le discriminazioni di genere in ambito lavorativo, previste dall'articolo 36 e seguenti del decreto legislativo 25 luglio 2006, n. 198, quando rientrano, ai sensi del citato decreto, nella giurisdizione del giudice amministrativo. (lettere aggiunte dall'articolo 1, comma 1, d.lgs. n. 195 del 2011) L’Adunanaza plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza 3 giugno 2011 n. 10 ha ritenuto che al di fuori dei casi in cui l’ordinamento attribuisce espressamente al giudice amministrativo la giurisdizione sulla "sorte del contratto" che si pone a valle di un procedimento amministrativo viziato (v. art. 133, co. 1, lett. e), n. 1, c.p.a., in tema di contratti pubblici relativi a lavori, servizi, e forniture), secondo l’ordinario criterio di riparto di giurisdizione spetta al giudice amministrativo conoscere dei vizi del procedimento amministrativo, e al giudice ordinario dei vizi del contratto, anche quando si tratti di invalidità derivata dal procedimento amministrativo presupposto dal contratto. Tale riparto di giurisdizione non fa tuttavia venire meno l’interesse a impugnare davanti al giudice amministrativo gli atti amministrativi prodromici di un negozio societario, atteso che il loro annullamento produce un effetto viziante del negozio societario a valle, con la conseguente possibilità di: a) azionare rimedi risarcitori; b) impugnare il negozio societario davanti al 56 giudice ordinario; c) chiedere all’Amministrazione l’ottemperanza al giudicato amministrativo, e, in caso di perdurante inottemperanza, adire il giudice amministrativo che in sede di ottemperanza può intervenire sulla sorte del contratto (6). L’Adunanza plenaria ha ritenuto, altresì che il rito abbreviato di cui all’art. 119 c.p.a., per quanto progressivamente esteso ad un rilevante numero di materie, non è un rito ordinario ma un rito speciale, vale a dire un’eccezione al rito ordinario, ove si considerino: il dimezzamento dei termini processuali; la maggiore onerosità economica del rito; la corsia preferenziale per l’ottenimento di una celere decisione, con inevitabile rallentamento dei processi ordinari. Dal carattere eccezionale del rito abbreviato, deriva come conseguenza immediata e diretta, che le ipotesi in cui esso si applica sono tassative e di stretta interpretazione, non suscettibili di interpretazione analogica. Al fine della verifica se una determinata controversia rientri o meno in tale rito, è del tutto irrilevante il comportamento processuale delle parti. Una peculiarità di detto rito è che tutti i termini processuali ordinari sono dimezzati. Fanno eccezione al dimezzamento, nei giudizi di primo grado, i termini per la notificazione: - del ricorso introduttivo; - del ricorso incidentale; - dei motivi aggiunti. Non si dimezzano i termini di cui all'articolo 62, comma 1, per l’impugnazione delle ordinanze cautelari per cui è ammesso appello al Consiglio di Stato, da proporre nel termine di trenta 57 giorni dalla notificazione dell'ordinanza, ovvero di sessanta giorni dalla sua pubblicazione. Si dimezzano, invece, i termini per il deposito del ricorso (principale ed incidentale) e dei motivi aggiunti39. La dimidiazione dei termini processuali prevista adesso dall’art. 119 concerne solo l'impugnazione di atti amministrativi e non i giudizi risarcitori Salva la pronuncia di sentenza in forma semplificata, il tribunale amministrativo regionale chiamato a pronunciare sulla domanda cautelare: - accerta la completezza del contraddittorio ovvero dispone l'integrazione dello stesso; - se ritiene, a un primo sommario esame, la sussistenza di profili di fondatezza del ricorso e di un pregiudizio grave e irreparabile, fissa con ordinanza la data di discussione del merito alla prima udienza successiva alla scadenza del termine di trenta giorni dalla data di deposito dell'ordinanza, disponendo altresì il deposito dei documenti necessari e l'acquisizione delle eventuali altre prove occorrenti; - fissa la data di svolgimento dell’udienza in caso di rigetto dell'istanza cautelare da parte del tribunale amministrativo regionale, ove il Consiglio di Stato riformi l'ordinanza di primo grado (in tale ipotesi, il termine di trenta giorni decorre dalla data di ricevimento dell'ordinanza da parte della segreteria del tribunale amministrativo regionale, che ne dà avviso alle parti). 39 Come ormai pacificamente e unanimemente ritenuto in giurisprudenza, il dimezzamento dei termini di cui sopra (precedentemente previsto dall’art. 23-bis l. TAR e ribadito dal codice si applica anche al termine di deposito dell'appello (cfr. Cons. Stato, Ad. Pl., 31 maggio 2002, n. 5; Cons. Stato, sez. V, 31 gennaio 2007, n.. 389). 58 L'obbligo per il giudice di fissare i termini per il deposito di atti di memorie è correlato alla fissazione dell'udienza nel termine previsto dalla norma predetta, che deve ritenersi avere carattere ordinatorio; conseguentemente, in caso di fissazione dell'udienza oltre il termine predetto, i depositi di documenti, memorie e repliche vanno effettuati nei termini dimezzati previsti in via generale. Con l'ordinanza cautelare, in caso di estrema gravità ed urgenza, il tribunale amministrativo regionale o il Consiglio di Stato possono disporre le opportune misure cautelari. Al procedimento cautelare si applicano le disposizioni del Titolo II del Libro II, in materia di misure cautelari (tutela cautelare collegiale, monocratica interinale e ante causam). Innovativa è la norma che rende facoltativa la pubblicazione del dispositivo quando almeno una delle parti, nell'udienza discussione, dichiara di avere interesse alla pubblicazione anticipata del dispositivo rispetto alla sentenza e la dichiarazione della parte è attestata nel verbale d'udienza. In tal caso il dispositivo è pubblicato mediante deposito in segreteria, non oltre sette giorni dalla decisione della causa. Il termine, pertanto, non decorre dall’udienza (pubblica o camerale) di discussione, ma dalla camera di consiglio di decisione. La parte può chiedere al Consiglio di Stato la sospensione dell'esecutività del dispositivo, proponendo appello entro trenta giorni dalla relativa pubblicazione, con riserva dei motivi da proporre entro trenta giorni dalla notificazione della sentenza ovvero entro tre mesi dalla sua pubblicazione. 59 La mancata richiesta di sospensione dell'esecutività del dispositivo non preclude la possibilità di chiedere la sospensione dell'esecutività della sentenza dopo la pubblicazione dei motivi. Anche le predette disposizioni si applicano anche nei giudizi di appello, revocazione e opposizione di terzo. 10 - Il rito speciale in materia di procedure di affidamento di appalti e servizi pubblici. L'articolo 120 detta disposizioni integrative specifiche rispetto a quella contenuta all'articolo 119, limitatamente all'impugnazione degli atti delle procedure di affidamento, ivi comprese le procedure di affidamento di incarichi e concorsi di progettazione e di attività tecnico-amministrative ad esse connesse, relativi a pubblici lavori, servizi o forniture, nonché i connessi provvedimenti dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture. Il rito accelerato si deve applicare quando la domanda proposta in giudizio, è rientrante tra quelli di cui sopra non abbia ad oggetto esclusivamente il risarcimento del danno, ma riguardi anche l'annullamento di atti amministrativi. Detti provvedimenti sono impugnabili unicamente mediante ricorso al tribunale amministrativo regionale competente (escludendosi la proposizione del ricorso straordinario)40. 40 L’art. 243-bis. del Codice dei contratti disciplina l’informativa in ordine all'intento di proporre ricorso giurisdizionale disponendo che nelle materie di cui all'articolo 244, comma 1, i soggetti che intendono proporre un ricorso giurisdizionale informano le stazioni appaltanti della presunta violazione e della intenzione di proporre un ricorso giurisdizionale. L'informazione è fatta mediante comunicazione scritta e sottoscritta dall'interessato, o da un suo rappresentante, che reca una sintetica e sommaria indicazione dei 60 La peculiarità più rilevante riguarda il termine per l'impugnazione degli atti delle procedure di affidamento, muovendosi dal principio affermato dalla Corte costituzionale secondo cui la riduzione a metà del termine entro il quale proporre ricorso, in materia di opere pubbliche, non importa modalità di esercizio così gravose da rendere impossibile o estremamente difficile l'esercizio della difesa e lo svolgimento della connessa attività processuale; del resto varie norme vigenti dispongono nel senso della riduzione dei termini per instaurare giudizi amministrativi (Corte costituzionale 10 novembre 1999 numero 427). Apparendo dubbio se la riduzione del termine per impugnare riguardi anche la proposizione del ricorso incidentale, non espressamente menzionato, per porre rimedio alla incongruenza costituta dalla mancata previsione, nel testo originario dell’articolo 120, comma 5, del termine abbreviato per la proposizione del ricorso incidentale nei giudizi riguardanti le presunti vizi di illegittimità e dei motivi di ricorso che si intendono articolare in giudizio, salva in ogni caso la facoltà di proporre in giudizio motivi diversi o ulteriori. L'interessato può avvalersi dell'assistenza di un difensore. La comunicazione può essere presentata fino a quando l'interessato non abbia notificato un ricorso giurisdizionale. L'informazione è diretta al responsabile del procedimento. La comunicazione prevista dal presente comma può essere effettuata anche oralmente nel corso di una seduta pubblica della commissione di gara ed è inserita nel verbale della seduta e comunicata immediatamente al responsabile del procedimento a cura della commissione di gara. La stazione appaltante, entro quindici giorni dalla comunicazione del preavviso di ricorso comunica le proprie determinazioni in ordine ai motivi indicati dall'interessato, stabilendo se intervenire o meno in autotutela. L'inerzia equivale a diniego di autotutela. L'omissione della comunicazione e l'inerzia della stazione appaltante costituiscono comportamenti valutabili, ai fini della decisione sulle spese di giudizio, nonché ai sensi dell'articolo 1227 del codice civile. Il diniego totale o parziale di autotutela, espresso o tacito, è impugnabile solo unitamente all'atto cui si riferisce, ovvero, se quest'ultimo è già stato impugnato, con motivi aggiunti.. 61 procedure di affidamento di contratti pubblici di lavori pubblici, servizi e forniture ovvero di incarichi e concorsi di progettazione dal D.L.vo n. 195 del 2011 è stato ricondotto anche il ricorso incidentale nell’ambito del termine abbreviato previsto per questa tipologia di ricorsi. Tale lacuna, infatti, dava luogo a un’evidente "sfasatura" temporale tra la posizione del ricorrente principale e quella del (o dei) controinteressato, con un vantaggio in termini temporali per quest’ultimo, che presumibilmente, sotto il profilo fattuale e sostanziale, si trova già ad essere la parte avvantaggiata in giudizio in quanto aggiudicataria, sia pure in via provvisoria, della commessa pubblica; per ulteriori dettagli, cfr. l’ultimo paragrafo, essendo stata la disposizione modificata in sede di esame definitivo. Giova ricordare che l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza n. 4 del 2011 conferma il più risalente indirizzo interpretativo, in forza del quale il giudice ha il dovere di decidere gradualisticamente la controversia, secondo l’ordine logico che, di regola, pone la priorità della definizione delle questioni di rito rispetto alle questioni di merito, e fra le prime la priorità dell'accertamento della ricorrenza dei presupposti processuali rispetto alle condizioni dell'azione. Nel processo amministrativo va fatta una netta distinzione tra la titolarità di una posizione sostanziale differenziata che abilita un determinato soggetto all’esercizio dell’azione (legittimazione al ricorso) e l’utilità ricavabile dall’accoglimento della domanda di annullamento (interesse al ricorso), anche prescindendo dal carattere "finale" o "strumentale" di tale vantaggio. 62 La legittimazione al ricorso presuppone il riconoscimento della esistenza di una situazione giuridica attiva, protetta dall’ordinamento, riferita ad un bene della vita oggetto della funzione svolta dall’amministrazione o da un soggetto ad essa equiparato. La legittimazione al ricorso, nel caso di ricorsi in materia di procedure di gara, deve essere correlata ad una situazione differenziata, in modo certo, per effetto della partecipazione alla stessa procedura oggetto di contestazione. Tale regola, ormai consolidata, subisce alcune deroghe, concernenti, rispettivamente: a) la legittimazione del soggetto che contrasta, in radice, la scelta della stazione appaltante di indire la procedura; b) la legittimazione dell’operatore economico "di settore", che intende contestare un "affidamento diretto" o senza gara; c) la legittimazione dell’operatore che manifesta l’intenzione di impugnare una clausola del bando "escludente", in relazione alla illegittima previsione di determinati requisiti di qualificazione. Tali deroghe, che si connettono ad esigenze e a ragioni peculiari, sono tuttavia inidonee a determinare l’affermazione di una nuova regola generale di indifferenziata titolarità della legittimazione al ricorso, basata sulla mera qualificazione soggettiva di imprenditore potenzialmente aspirante all’indizione di una nuova gara. I termini per l'impugnazione sono fissati in maniera differenziata in relazione al rispetto da parte dell'amministrazione pubblica della disciplina contenuta nella direttiva ricorsi e recepite 63 nell'ordinamento nazionale con il decreto legislativo numero 53 del 2010. Nel caso in cui sia mancata la pubblicità del bando, il ricorso non può comunque essere più proposto decorsi trenta giorni dal giorno successivo alla data di pubblicazione dell'avviso di aggiudicazione definitiva di cui all'articolo 65 e all'articolo 225 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, a condizione che tale avviso contenga la motivazione dell'atto con cui la stazione appaltante ha deciso di affidare il contratto senza previa pubblicazione del bando. L’art. 65 del codice dei contratti, recependo nell'ordinamento nazionale l’art. 35, paragrafo 4, e art. 36, paragrafo 1, direttiva 2004/18), ha previsto che le stazioni appaltanti che hanno aggiudicato un contratto pubblico o concluso un accordo quadro inviano un avviso relativo ai risultati della procedura di aggiudicazione, entro quarantotto giorni dall'aggiudicazione del contratto o dalla conclusione dell'accordo quadro. L'articolo 225 del codice dei contratti, invece, recependo l'art. 43, della direttiva 2004/17, dispone che gli enti aggiudicatori che abbiano aggiudicato un appalto o concluso un accordo quadro inviano un avviso relativo all'appalto aggiudicato entro due mesi dall'aggiudicazione dell'appalto o dalla conclusione dell'accordo quadro e alle condizioni dalla Commissione europea. Se sono omessi gli avvisi o le informazioni di cui sopra oppure se essi non sono conformi alle prescrizioni ivi contenute, il ricorso non può comunque essere proposto decorsi sei mesi dal giorno successivo alla data di stipulazione del contratto. Per l'impugnazione degli atti della procedura di gara il ricorso e i motivi aggiunti, anche avverso atti diversi da quelli già 64 impugnati, devono essere proposti nel termine di trenta giorni, decorrente dalla ricezione della comunicazione di cui all'articolo 79 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163. Le stazioni appaltanti, in applicazione della norma predetta, sono tenute ad informare tempestivamente i candidati e gli offerenti delle decisioni prese riguardo alla conclusione di un accordo quadro, all'aggiudicazione di un appalto, o all'ammissione in un sistema dinamico di acquisizione, ivi compresi i motivi della decisione di non concludere un accordo quadro, ovvero di non aggiudicare un appalto per il quale è stata indetta una gara, ovvero di riavviare la procedura, ovvero di non attuare un sistema dinamico di acquisizione41. L'onere di immediata impugnazione del bando di concorso (o di gara) è strettamente riconnesso alla contestazione di clausole riguardanti requisiti soggettivi di partecipazione, ostative all'ammissione dell'interessato, o al più impositive, ai fini della partecipazione, di oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati per eccesso rispetto ai contenuti della procedura concorsuale, laddove siano assimilabili, per struttura e modo di operare, a quelle concernenti i requisiti soggettivi; va invece escluso un siffatto onere nei riguardi di ogni altra clausola dotata solo di astratta e potenziale lesività, la cui idoneità a produrre una concreta ed attuale lesione può essere valutata 41 Giova ricordare inoltre che la Corte giustizia CE, con la sentenza della sez. III, 28 gennaio 2010 n. 406 ha affermato il principio secondo il quale l'art. 1, n. 1, della direttiva del Consiglio 21 dicembre 1989, 89/665/CEE, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all'applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, esige che il termine per proporre un ricorso diretto a far accertare la violazione della normativa in materia di aggiudicazione di appalti pubblici ovvero ad ottenere un risarcimento dei danni per la violazione di detta normativa decorra dalla data in cui il ricorrente è venuto a conoscenza o avrebbe dovuto essere a conoscenza della violazione stessa. 65 unicamente all'esito, non scontato, della medesima procedura e solo in caso in cui tale esito sia negativo per l'interessato. Quando è impugnata l'aggiudicazione definitiva, se la stazione appaltante fruisce del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato, il ricorso è notificato, oltre che presso detta Avvocatura, anche alla stazione appaltante nella sua sede reale, in data non anteriore alla notifica presso l'Avvocatura, e al solo fine dell'operatività della sospensione obbligatoria del termine per la stipulazione del contratto. Salvo che il giudizio non sia immediatamente definito con sentenza in forma semplificata adottata nella camera di consiglio fissata per la trattazione della domanda cautelare, ai sensi dell'articolo 60, l'udienza di merito, ove non indicata dal collegio ai sensi dell'articolo 119, comma 3 con l’ordinanza che esamina la domanda cautelare, è immediatamente fissata d'ufficio con assoluta priorità; e ciò a prescindere dall’accoglimento della domanda cautelare. I nuovi atti attinenti la medesima procedura di gara devono essere impugnati con ricorso per motivi aggiunti. Viene meno, pertanto la facoltatività della impugnazione con ricorso autonomo prevista in via ordinaria. Il giudice decide interinalmente sulla domanda cautelare, anche se ordina adempimenti istruttori, se concede termini a difesa, o se solleva o vengono proposti incidenti processuali. La norma predetta trova ragione di essere nell'esigenza di evitare che richieste di rinvio (ad esempio per proposizione di ricorso incidentale, motivi aggiunti o incidenti del processo) possano incidere sul principio della necessità che la fase cautelare venga definita in tempi certi. 66 Il dispositivo del provvedimento con cui il tribunale amministrativo regionale definisce il giudizio è pubblicato entro sette giorni dalla data della sua deliberazione. Quindi non è rimessa alla valutazione delle parti la scelta di pubblicazione del dispositivo. Si ribadisce che si accentua il principio che tutti gli atti di parte e i provvedimenti del giudice devono essere sintetici e la sentenza è redatta, ordinariamente, nelle forme di cui all'articolo 74 con la sentenza redatta in forma semplificata. L'articolo 74 del codice prevede che nel caso in cui ravvisi la manifesta fondatezza ovvero la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza del ricorso, il giudice decide con sentenza in forma semplificata. La motivazione della sentenza può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo ovvero, se del caso, ad un precedente conforme. 11 - Le peculiarità del rito delle infrastrutture strategiche. Ulteriori disposizioni processuali per le controversie relative a infrastrutture strategiche vengono introdotto dall'articolo 125 del codice, per cui nei giudizi che riguardano le procedure di progettazione, approvazione, e realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi e relative attività di espropriazione, occupazione e asservimento, di cui alla parte II, titolo III, capo IV del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, trovano applicazione le norme predette in materia di impugnazione delle 67 procedure di gara ad eccezione dell'articolo 122 che disciplina il rapporto tra l'annullamento dell'aggiudicazione e la efficacia del contratto42. Con l’aggiunta operata al comma 4 dell’articolo 125 il D.L.vo n. 195 del 2011 ci si è limitati e riportare nel codice, con funzione di coordinamento, la previsione introdotta dall’articolo 6, comma 3, secondo periodo, del decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 88, recante "Disposizioni in materia di risorse aggiuntive ed interventi speciali per la rimozione di squilibri economici e sociali, a norma dell'articolo 16 della legge 5 maggio 2009, n. 42". Le disposizioni del comma 3, che limitano i casi di declaratoria di inefficacia dei contratti già stipulati (salva l’ipotesi dell’art. 121 CPA), si applicano anche alle controversie relative: (comma così sostituito dall'articolo 1, comma 1, d.lgs. n. 195 del 2011) a) alle procedure di cui all'articolo 140 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163; b) alle procedure di progettazione, approvazione e realizzazione degli interventi individuati nel contratto istituzionale di sviluppo ai sensi dell'articolo 6 del decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 88; 42 La norma si riferisce alla progettazione, l'approvazione dei progetti e la realizzazione delle infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale, nonché l'approvazione secondo quanto previsto dall'articolo 179 dei progetti degli insediamenti produttivi strategici e delle infrastrutture strategiche private di preminente interesse nazionale, individuati a mezzo del programma di cui al comma 1 dell'articolo 1 della legge 21 dicembre 2001, n. 443. Nell'ambito del programma predetto sono, altresì, individuate, con intese generali quadro tra il Governo e ogni singola regione o provincia autonoma, le opere per le quali l'interesse regionale è concorrente con il preminente interesse nazionale. Per tali opere le regioni o province autonome partecipano, con le modalità indicate nelle stesse intese, alle attività di progettazione, affidamento dei lavori e monitoraggio, in accordo alle normative vigenti e alle eventuali leggi regionali allo scopo emanate. Rimangono salve le competenze delle province autonome di Trento e Bolzano previste dallo statuto speciale e relative norme di attuazione. 68 c) alle opere di cui all'articolo 32, comma 18, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 convertito in legge 15 luglio 2011, n. 111. In via derogatoria è, infatti, previsto che in sede di pronuncia del provvedimento cautelare, si tiene conto: - delle probabili conseguenze del provvedimento stesso per tutti gli interessi che possono essere lesi; - del preminente interesse nazionale alla sollecita realizzazione dell'opera. Ai fini dell'accoglimento della domanda cautelare, si valuta anche la irreparabilità del pregiudizio per il ricorrente, il cui interesse va comunque comparato con quello del soggetto aggiudicatore alla celere prosecuzione delle procedure. Ferma restando l'applicazione degli articoli 121 (“Inefficacia del contratto nei casi di gravi violazioni”) e 123 (“Sanzioni alternative”, al di fuori dei casi in essi contemplati la sospensione e l'annullamento dell'affidamento non comporta la caducazione del contratto già stipulato, e il risarcimento del danno eventualmente dovuto avviene solo per equivalente. Si applica l'articolo 34, comma 3 per cui quando nel corso del giudizio l'annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l'illegittimità dell'atto se sussiste l'interesse ai fini risarcitori. L'art. 246 comma 4 del Codice dei contratti di cui al d.lg. n. 163 del 2006 e successive modificazioni, che nel caso di annullamento dell'aggiudicazione preclude la caducazione del contratto, è disposizione eccezionale applicabile solo agli interventi relativi alle infrastrutture strategiche e agli insediamenti produttivi di interesse nazionale, individuati a 69 mezzo del programma di cui all'art. 1, l. 21 dicembre 2001 n. 443, non essendo sufficiente per la sua applicazione ad ipotesi diverse una analoga esigenza di speditezza della procedura. 12 - Il rito elettorale. Il legislatore delegato non ha esercitato la delega nella parte concernente l’introduzione ex novo di una tutela specifica relativa alla fase preparatoria delle elezioni politiche, sebbene un tentativo in tal senso era stato fatto dalla commissione redigente presso il Consiglio di Stato. Come si legge nella Relazione, i tempi serrati di tale fase preparatoria – insuperabili per il vincolo posto dall’art. 61 della Costituzione, che impone di espletare le elezioni politiche nei 70 giorni dal decreto presidenziale di scioglimento delle Camere precedenti – hanno sconsigliato il Governo dall’intraprendere la via della soppressione del procedimento amministrativo di competenza dell’Ufficio elettorale centrale nazionale presso la Corte di Cassazione ipotizzata dalla commissione redigente. A ciò va aggiunto che nello stesso giorno in cui è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il D. l.vo 2 luglio 2010 n. 104 di approvazione del nuovo codice del processo amministrativo, che, tra l’altro, innova il giudizio elettorale, e, all’art. 129, ammette una tutela anticipata avverso gli atti di esclusione dai procedimenti elettorali preparatori, il 7 Luglio 2010 è stata pubblicata la sentenza della Corte Costituzionale n. 236 del 2010, che ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 83–undecies del D.P.R. 16/5/60 n. 570, nella parte in cui esclude la possibilità di 70 un’autonoma impugnativa degli atti del procedimento preparatorio alle elezioni comunali, provinciali e regionali, ancorché immediatamente lesivi, anteriormente alla proclamazione degli eletti. L’art. 2, allegato 4, del nuovo codice amministrativo, contenente le norme di coordinamento ed abrogazioni in materia di elezioni amministrative, ha peraltro previsto l’abrogazione dell’art. 83– undecies, oggetto della sentenza di incostituzionalità. La norma di coordinamento recita: l’art. 83 del D.P.R. 570/1960 è così sostituito: «la tutela in materia di operazioni per le elezioni dei consiglieri comunali, successive all’emanazione del decreto di convocazione dei comizi, è disciplinata dalle disposizioni dettate dal codice del processo amministrativo». La Corte Costituzionale ha affermato che la posticipazione dell’impugnabilità degli atti di esclusione di liste o candidati ad un momento successivo allo svolgimento delle elezioni viola gli artt. 24 e 113 Cost. L’interesse del candidato – si legge in motivazione – “è quello di partecipare ad una determinata consultazione elettorale, in un definito contesto politico e ambientale”. Ogni forma di tutela che intervenga ad elezioni concluse «appare inidonea ad evitare che l’esecuzione del provvedimento illegittimo di esclusione abbia, nel frattempo, prodotto un pregiudizio”. La Corte ha evidenziato che “lo stesso legislatore, del resto, con la disposizione dell’art. 44 della L. 69 del 2009, ha delegato il Governo ad adottare norme che consentono l’autonoma impugnabilità degli atti cosiddetti endoprocedimentali immediatamente lesivi di situazioni giuridiche soggettive”. 71 Per completare il quadro della normativa di riferimento, che richiede una tutela piena e tempestiva contro gli atti della pubblica amministrazione, la Corte ha richiamato gli artt. 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali che riconoscono, tra l’altro, il diritto ad un ricorso effettivo.. Venendo all'esame delle norme del codice l'articolo 126 ribadisce l’ambito della giurisdizione sul contenzioso elettorale, prevedendo che il giudice amministrativo ha giurisdizione in materia di operazioni elettorali relative al rinnovo degli organi elettivi dei comuni, delle province, delle regioni e all'elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia43. Nella materia elettorale l'articolo 128 del codice esclude la possibilità di proporre il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica. 43 Rimangono fuori dalla giurisdizione le questioni riguardanti i profili di eleggibilità e incompatibilità dei candidati alle competizioni elettorali. In materia di contenzioso elettorale amministrativo sono devolute al giudice amministrativo le controversie in tema di operazioni elettorali, mentre spetta al giudice ordinario la cognizione delle controversie concernenti l'ineleggibilità, le decadenze e le incompatibilità. La giurisdizione del giudice ordinario non trova limitazioni o deroghe per il caso in cui la questione di eleggibilità venga introdotta mediante impugnazione del provvedimento del Consiglio Comunale sulla convalida degli eletti o impugnazione dell'atto di proclamazione o, in genere, impugnazione del provvedimento che si pronuncia sull'eleggibilità del candidato, perché anche in tali ipotesi la decisione verte non sull'annullamento dell'atto amministrativo, bensì sul diritto soggettivo perfetto inerente all'elettorato attivo o passivo. Invece le controversie inerenti non l'eleggibilità degli eletti, bensì la surrogazione dei rinuncianti con i candidati che li seguono nella graduatoria, esulano dalla giurisdizione del giudice ordinario, ai sensi dell'art. 82, D.P.R. 16 maggio 1960 n. 570, e sono devolute alla giurisdizione del Tribunale Amministrativo Regionale. 72 13 - Il rito in materia di ammissione delle liste e dei candidati. Come accennato l'articolo 129 introduce una specifica disciplina con riguardo alla tutela anticipata avverso gli atti di esclusione dai procedimenti elettorali preparatori per le elezioni comunali, provinciali e regionali I provvedimenti relativi al procedimento preparatorio per le elezioni comunali, provinciali e regionali concernenti l'esclusione di liste o candidati possono essere immediatamente impugnati, esclusivamente da parte dei delegati delle liste e dei gruppi di candidati esclusi, innanzi al tribunale amministrativo regionale competente, nel termine di tre giorni dalla pubblicazione, anche mediante affissione, ovvero dalla comunicazione, se prevista, degli atti impugnati. Al di fuori dei provvedimenti di esclusione dalla procedura elettorale ogni provvedimento relativo al procedimento, anche preparatorio, per le elezioni è impugnabile soltanto alla conclusione del procedimento elettorale, unitamente all'atto di proclamazione degli eletti. Il ricorso avverso l'esclusione dalla competizione elettorale nel termine di tre giorni decorrenti come sopra, deve essere, a pena di decadenza notificato, direttamente dal ricorrente o dal suo difensore, esclusivamente mediante consegna diretta, posta elettronica certificata o fax, all'ufficio che ha emanato l'atto impugnato (e non presso gli uffici dell’Avvocatura dello Stato), nonchè alla Prefettura (per gli adempimenti connessi alla eventuale modifica dei manifesti e delle schede elettorali) e, ove possibile, agli eventuali controinteressati. 73 In ogni caso, l'ufficio che ha emanato l'atto impugnato rende pubblico il ricorso mediante affissione di una sua copia integrale in appositi spazi all'uopo destinati sempre accessibili al pubblico e tale pubblicazione ha valore di notifica per pubblici proclami per tutti i controinteressati; la notificazione si ha per avvenuta il giorno stesso della predetta affissione; Il ricorso va depositato presso la segreteria del tribunale adito, che provvede ad affiggerlo in appositi spazi accessibili al pubblico. Le parti sono tenute ad indicare, rispettivamente nel ricorso o negli atti di costituzione, l'indirizzo di posta elettronica certificata o il numero di fax da valere per ogni eventuale comunicazione e notificazione. Non è chiaro se l'inosservanza di detta norma sia sanzionata con l'inammissibilità del ricorso. L'udienza di discussione si celebra, senza possibilità di rinvio anche in presenza di ricorso incidentale, nel termine di tre giorni dal deposito del ricorso, senza avvisi. Alla notifica del ricorso incidentale si provvede con le forme previste per il ricorso principale. Il giudizio è deciso all'esito dell'udienza con sentenza in forma semplificata, da pubblicarsi nello stesso giorno. La relativa motivazione può consistere anche in un mero richiamo delle argomentazioni contenute negli scritti delle parti che il giudice ha inteso accogliere e fare proprie. La sentenza non appellata è comunicata immediatamente (“senza indugio”) dalla segreteria del tribunale all'ufficio che ha emanato l'atto impugnato. 74 Il ricorso di appello, nel termine di due giorni dalla pubblicazione della sentenza, deve essere, a pena di decadenza: a) notificato, direttamente dal ricorrente o dal suo difensore, esclusivamente mediante consegna diretta, posta elettronica certificata o fax, all'ufficio che ha emanato l'atto impugnato, alla Prefettura e, ove possibile, agli eventuali controinteressati; in ogni caso, l'ufficio che ha emanato l'atto impugnato rende pubblico il ricorso mediante affissione di una sua copia integrale in appositi spazi all'uopo destinati sempre accessibili al pubblico e tale pubblicazione ha valore di notifica per pubblici proclami per tutti i controinteressati; la notificazione si ha per avvenuta il giorno stesso della predetta affissione; per le parti costituite nel giudizio di primo grado la trasmissione si effettua presso l'indirizzo di posta elettronica certificata o il numero di fax indicato negli atti difensivi; b) depositato in copia presso il tribunale amministrativo regionale che ha emesso la sentenza di primo grado, il quale provvede ad affiggerlo in appositi spazi accessibili al pubblico; c) depositato presso la segreteria del Consiglio di Stato, che provvede ad affiggerlo in appositi spazi accessibili al pubblico. Nel giudizio di cui sopra non si applicano le disposizioni di cui agli articoli 52, comma 5, e 54, commi 1 e 2, per cui il giorno di sabato non è considerato festivo ai fini della decorrenza dei termini decadenziali da non calcolare a ritroso. 14 - Il rito relativo alle operazioni elettorali di comuni, province, regioni e Parlamento europeo. 75 L'articolo 130 disciplina, invece, il rito relativo alle operazioni elettorali di comuni, province, regioni e Parlamento europeo Contro tutti gli atti del procedimento elettorale successivi all'emanazione dei comizi elettorali è ammesso ricorso soltanto alla conclusione del procedimento elettorale, unitamente all'impugnazione dell'atto di proclamazione degli eletti: a) quanto alle elezioni di comuni, province e regioni, da parte di qualsiasi candidato o elettore dell'ente della cui elezione si tratta, al tribunale amministrativo regionale nella cui circoscrizione ha sede il predetto ente territoriale, da depositare nella segreteria del tribunale adito entro il termine di trenta giorni dalla proclamazione degli eletti; b) quanto alle elezioni dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia, da parte di qualsiasi candidato o elettore, davanti al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, da depositare nella relativa segreteria entro il termine di trenta giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell'elenco dei candidati proclamati eletti. Spetta agli Stati membri il compito di organizzare le elezioni del Parlamento europeo, secondo la procedura fissata dalle disposizioni nazionali, e, in tale ambito, procedere allo spoglio dei voti ed alla proclamazione ufficiale dei risultati elettorali. Il Parlamento europeo non può rimettere in discussione la regolarità della proclamazione dell'ufficio elettorale nazionale in quanto, in base all'art. 12 dell'atro del 1976, è tenuto a prendere atto dei risultati44. Coloro che presentano un ricorso in materia elettorale, sia che si tratti di cittadini elettori, che di candidati non eletti, sono tenuti a 44 Corte giustizia CE, sez. IV, 30 aprile 2009 , n. 393 76 dare prova della propria legittimazione all'impugnazione nel termine perentorio di dieci giorni dalla notificazione del ricorso. La prova della legittimazione è diversa a seconda che il ricorso sia proposto da candidati non eletti o da cittadini elettori non partecipanti alla competizione. Per i primi la legittimazione si identifica con l'interesse a ricorrere perché il petitum consiste nell'annullamento in toto o in parte qua della proclamazione degli eletti nella parte in cui non hanno sortito un esito favorevole a loro o alla loro lista: la legittimazione può pertanto essere attestata dalla semplice iscrizione nelle liste dei partecipanti alla competizione o in qualsivoglia atto o documento idoneo a comprovare tale requisito. Per i secondi che mirano alla realizzazione dell'interesse collettivo al corretto svolgimento delle operazioni elettorali, la legittimazione è soggetta alla prova di essere cittadino elettore del comune ove si è svolta la competizione i cui risultati sarebbero inficiati da errore. Il contenzioso elettorale innanzi al giudice amministrativo, pur se soggetto ad un rito speciale, è pur sempre inquadrato nello schema del processo d'impugnazione, onde l'oggetto del giudizio è definito dai motivi dedotti entro il termine di decadenza ed il ricorrente è tenuto a specificarli con l'atto introduttivo, ancorché sia consentita una minore precisione nella prospettazione dei vizi, mentre nelle memorie e nella discussione orale può essere illustrato quanto già dedotto. Pertanto, sarebbe inammissibile il ricorso con cui, nel contestare le operazioni elettorali, si prospettino vizi generici o ipotetici, o una generica omissione nel computo di voti e preferenze, allo 77 scopo di evitare che l'omessa indicazione dei vizi si trasformi in un mero espediente per provocare il generale riesame, in sede di giudizio delle schede elettorali. Nel giudizio elettorale unica parte pubblica necessaria è l'ente locale interessato, che si appropria del risultato elettorale e sul quale si riverberano gli effetti di un eventuale annullamento, ovvero della conferma della proclamazione degli eletti; per cui in particolare, gli organi temporanei, abilitati a dichiarare i risultati finali del procedimento elettorale, come l'ufficio elettorale centrale, e a maggior ragione gli uffici circoscrizionali e di sezione, non sono portatori di un interesse giuridicamente apprezzabile al mantenimento dei loro atti, per cui il ricorso contro le operazioni elettorali non deve essere ad essi notificato ed ove il ricorso sia stato notificato ad uno dei predetti uffici, questi ultimi devono essere estromessi dal giudizio elettorale per difetto di legittimazione passiva (Consiglio Stato ad. plen., 23 febbraio 1979 , n. 7). Il presidente, con decreto: a) fissa l'udienza di discussione della causa in via di urgenza; b) designa il relatore; c) ordina le notifiche, autorizzando, ove necessario, qualunque mezzo idoneo; d) ordina il deposito di documenti e l'acquisizione di ogni altra prova necessaria; e) ordina che a cura della segreteria il decreto sia immediatamente comunicato, con ogni mezzo utile, al ricorrente. Il ricorso è notificato, unitamente al decreto di fissazione dell'udienza, a cura di chi lo ha proposto, entro dieci giorni dalla 78 data della comunicazione del decreto presidenziale di fissazione dell'udienza : a) all'ente della cui elezione si tratta, in caso di elezioni di comuni, province, regioni; b) all'Ufficio elettorale centrale nazionale, in caso di elezioni dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia; c) alle altre parti che vi hanno interesse, e comunque ad almeno un controinteressato. I termini relativi all'introduzione del giudizio elettorale devono ritenersi prescritti a pena di decadenza e la natura perentoria appare logicamente considerazione riconducibile del) preminente al (ed imposta interesse dalla pubblico, evidentemente sotteso al regime processuale in esame, ad una definizione delle controversie elettorali in tempi certi e solleciti. Tali esigenze impediscono di attribuire alcuna rilevanza, ai fini dell'individuazione del "dies a quo" del termine per il deposito del ricorso , alla notificazione di quest'ultimo (da ritenersi, pertanto, "inutiliter data") ad un soggetto privo di legittimazione passiva. Ne consegue che il "dies a quo" per il computo del termine in questione va, invece, individuato nel giorno della notifica ai soggetti passivamente legittimati la cui qualità di parti necessarie realizza, di contro, le segnalate esigenze di certezza nell'instaurazione del giudizio. Il termine di dieci giorni, fissato per il deposito del ricorso elettorale notificato, ha natura perentoria e decorre dal momento in cui il destinatario riceve la notificazione dell'atto e non già dal momento, eventualmente successivo, in cui il notificante riceva 79 l'avviso del perfezionamento della notifica, effettuata tramite il servizio postale. Entro dieci giorni dall'ultima notificazione del ricorso con in calce il decreto presidenziale, il ricorrente deposita nella segreteria del tribunale la copia del ricorso e del decreto, con la prova dell'avvenuta notificazione, insieme con gli atti e documenti del giudizio. Nel processo elettorale il mancato deposito del ricorso nei termini di decadenza prescritti, non è sanata dalla tempestiva costituzione degli intimati, trattandosi di un'ipotesi di decadenza, impedita soltanto dal compimento dell'atto. L'amministrazione resistente e i controinteressati depositano nella segreteria le proprie controdeduzioni nei quindici giorni successivi a quello in cui la notificazione si è perfezionata nei loro confronti. La Corte costituzionale con la sentenza 11 novembre 2011 n. 304 ha ritenuto non è fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Consiglio di Stato in riferimento agli articoli 24, 76, 97, 103, 111, 113 e 117 della Costituzione - degli articoli 8, comma 2, 77, 126, 127, 128, 129, 130 e 131 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. nella parte in cui precludono al giudice amministrativo di accertare anche solo incidentalmente la falsità degli atti pubblici nel giudizio amministrativo in materia elettorale . Ha osservato al riguardo la Corte che la devoluzione al giudice civile della querela di falso rappresenta una (unanimemente condivisa) opzione di sistema, non soltanto di risalente e costante tradizione – estesa poi al processo tributario (art. 39 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, recante «Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 80 dicembre 1991, n. 413») ed ora trasfusa nell’art. 8, comma 2, del nuovo codice del processo amministrativo, in una linea da considerare di sostanziale e immutata continuità rispetto alla corrispondente disciplina di cui alla serie delle disposizioni previgenti –, ma anche rispondente a persistenti valori ed esigenze di primario risalto: tra questi va, anzitutto, annoverata la necessaria tutela della fede pubblica, che in determinate ipotesi – quale è quella degli atti muniti di valore fidefacente privilegiato a norma dell’art. 2700 cod. civ. – deve essere assicurata a prescindere dalla sede processuale in cui l’autenticità dell’atto sia stata, incidentalmente, messa in dubbio. La certezza e la speditezza del traffico giuridico – che rappresentano il bene finale presidiato dal regime probatorio normativamente riservato a determinati atti – potrebbero risultare, infatti, non adeguatamente assicurate ove l’accertamento sulla autenticità dell’atto fosse rimesso ad un mero "incidente", risolto all’interno di un determinato procedimento giurisdizionale, senza che tale verifica avesse effetti giuridici al di là delle parti e dell’oggetto dello specifico procedimento. Da ciò consegue che la prevista disciplina della pregiudiziale di falso nel processo amministrativo risponde ad una causa normativa del tutto in linea con la necessità di assicurare la salvaguardia di esigenze di primario rilievo: e ciò, non soltanto nel quadro di una – pur doverosa – armonia nel sistema delle giurisdizioni, ma – soprattutto – nell’ambito di una adeguata ponderazione delle varie esigenze coinvolte. La "unitarietà" della giurisdizione in specifiche materie ben può, dunque, costituire una necessità destinata a prevalere su quella di concentrazione dei singoli e diversi giudizi, senza che a tal proposito possa in qualche modo venire in discorso – come al contrario mostra di ritenere il giudice a quo – la maggiore o minore idoneità di questo o quello tra i modelli processuali ad assicurare adeguata tutela in quelle stesse materie. 81 All'esito dell'udienza, il collegio, sentite le parti se presenti, pronuncia la sentenza. La sentenza è pubblicata entro il giorno successivo alla decisione della causa. Se la complessità delle questioni non consente la pubblicazione della sentenza, nello stesso termine di cui al periodo precedente è pubblicato il dispositivo mediante deposito in segreteria. In tal caso la sentenza è pubblicata entro i dieci giorni successivi. Non è più prevista, pertanto, la lettura del dispositivo del provvedimento giurisdizionale in pubblica udienza. La sentenza è immediatamente trasmessa in copia, a cura della segreteria del tribunale amministrativo regionale, al Sindaco, alla giunta provinciale, alla giunta regionale, al presidente dell'ufficio elettorale nazionale, a seconda dell'ente cui si riferisce l'elezione. Il comune, la provincia o la regione della cui elezione si tratta provvede, entro ventiquattro ore dal ricevimento, alla pubblicazione per quindici giorni del dispositivo della sentenza nell'albo o bollettino ufficiale dell'ente interessato a mezzo del segretario che ne è diretto responsabile. In caso di elezioni relative a comuni, province o regioni, la sentenza è comunicata anche al Prefetto. Ai medesimi incombenti si provvede dopo il passaggio in giudicato della sentenza annotando sulla copia pubblicata la sua definitività. Il tribunale amministrativo regionale, quando accoglie il ricorso, esercitando una giurisdizione di merito, corregge il risultato delle elezioni e sostituisce ai candidati illegittimamente proclamati coloro che hanno diritto di esserlo. 82 In caso di ricorso avverso le operazioni elettorali inerenti il Parlamento europeo, i voti delle sezioni le cui operazioni sono state annullate non hanno effetto. Tutti i termini processuali diversi da quelli indicati negli articoli 129, 130 e 131 sono dimezzati rispetto ai termini del processo ordinario. L'ente comunale, provinciale o regionale, della cui elezione si tratta, comunica agli interessati la correzione del risultato elettorale. L'Ufficio elettorale nazionale comunica la correzione del risultato elettorale agli interessati e alla segreteria del Parlamento europeo. L'appello avverso le sentenze di cui sopra è proposto entro il termine di venti giorni dalla notifica della sentenza, per coloro nei cui confronti è obbligatoria la notifica; per gli altri candidati o elettori nel termine di venti giorni decorrenti dall'ultimo giorno della pubblicazione della sentenza medesima nell'albo pretorio del comune. Anche in questo caso il presidente fissa in via d'urgenza l'udienza di discussione. Al giudizio si applicano le norme che regolano il processo di appello innanzi al Consiglio di Stato, e i relativi termini sono dimezzati rispetto a quelli del giudizio ordinario. La sentenza, quando, in riforma di quella di primo grado, accoglie il ricorso originario, provvede con le stesse modalità previste per il processo di primo grado. L'articolo 132 disciplina alcune peculiarità del procedimento in appello in relazione alle operazioni elettorali del Parlamento europeo. 83 Le parti del giudizio di primo grado possono proporre appello mediante dichiarazione da presentare presso la segreteria del tribunale amministrativo regionale che ha pronunciato la sentenza, entro il termine di cinque giorni decorrenti dalla pubblicazione della sentenza o, in mancanza, del dispositivo. L'atto di appello contenente i motivi deve essere depositato entro il termine di trenta giorni decorrenti dalla ricezione dell'avviso di pubblicazione della sentenza. 15 – Il sistema di tutela cautelare. Centrale nel processo amministrativo codificato è la disciplina della fase cautelare. Si assicura una più effettiva garanzia del contraddittorio e una maggiore conoscenza degli atti di causa da parte del Giudice, attraverso l’ampliamento dei termini per la fissazione della camera di consiglio (almeno venti giorni dal ricevimento della notifica e dieci dal deposito, che deve essere sempre accompagnato, a pena di improcedibilità, da quello dell’istanza di fissazione), ciò che ha consentito di affermarne in modo espresso l’idoneità anche a soddisfare la garanzia del contraddittorio per la eventuale decisione in forma semplificata (salva la formale richiesta di ulteriori termini a difesa per la proposizione di motivi aggiunti o di ricorsi incidentali). E’ stato introdotto il termine (di due giorni liberi dalla camera di consiglio) per la presentazione di memorie e documenti. Viene istituzionalizzata la possibilità che l’istanza cautelare venga utilizzata per richieste istruttorie e/o per ottenere una 84 sollecita fissazione dell’udienza di merito e viene, comunque, espressamente garantita la sollecita fissazione di quest’ultima in caso di concessione di misure cautelari. Sono poi disciplinati i procedimenti: - per la tutela cautelare monocratica nelle more della camera di consiglio; - per quella ante causam (estesa a tutte le controversie). Si sono introdotte norme volte ad impedire un uso distorto e strumentale a vantaggio della sola parte ricorrente (che avrà l’onere di dimostrare la ricevuta notifica e di depositare l’istanza di fissazione di udienza prodromica alla fissazione della camera di consiglio) e di consentire una più effettiva garanzia di contraddittorio per le parti resistenti e controinteressate (che, oltre a poter essere, anche informalmente, sentite prima della decisione sull’istanza, potranno sempre chiedere la revoca della misura eventualmente adottata, qualora riescano a rappresentarne la insussistenza dei presupposti per la concessione). Viene introdotta la disposizione in tema di sospensione e di interruzione del processo e quelle sull’istanza di fissazione (per la quale è ribadito e chiarito in ogni caso l’obbligo di presentazione entro un anno dal deposito del ricorso ovvero dalla relativa cancellazione o riassunzione; ovvero entro novanta giorni dalla comunicazione dell’atto che fa venir meno la sospensione). Con la finalità della accelerazione della definizione della controversia, viene data la possibilità di anticipare la decisione attraverso la concentrazione del giudizio su una sola questione, con rinuncia agli altri motivi di ricorso . Misure cautelari collegiali (art. 55). 85 Presupposto per la concessione della misura cautelare (in forma atipica e non limitata alla sospensione dell’efficacia dell’atto impugnato) è che il ricorrente: - chieda l'emanazione di misure cautelari, compresa l'ingiunzione a pagare una somma in via provvisoria, che appaiono, secondo le circostanze, più idonee ad assicurare interinalmente gli effetti della decisione sul ricorso; - provi di subire un pregiudizio grave e irreparabile durante il tempo necessario a giungere alla decisione sul ricorso. La domanda cautelare può essere proposta: - con il ricorso di merito; - con distinto ricorso notificato alle altre parti. La domanda cautelare è improcedibile, e quindi non può essere esaminata e decisa, finche non è presentata l'istanza di fissazione dell'udienza di merito, salvo che essa debba essere fissata d'ufficio. Sulla domanda cautelare il collegio pronuncia nella prima camera di consiglio successiva a due dati temporali concomitanti: - al ventesimo giorno dal perfezionamento, anche per il destinatario, dell'ultima notificazione; - al decimo giorno dal deposito del ricorso. Le parti possono depositare memorie e documenti fino a due giorni liberi prima della camera di consiglio (non si tiene conto dei giorni festivi, della domenica e del sabato). Il collegio, per gravi ed eccezionali ragioni, può autorizzare la produzione in camera di consiglio di documenti, con consegna di copia alle altre parti fino all'inizio di discussione. 86 Ai fini del giudizio cautelare, se la notificazione è effettuata a mezzo del servizio postale, il ricorrente, se non è ancora in possesso dell'avviso di ricevimento, può provare la data di perfezionamento della notificazione producendo copia dell'attestazione di consegna del servizio di monitoraggio della corrispondenza nel sito internet delle poste. È fatta salva la prova contraria (cioè la parte destinataria della notifica può, costituendosi, fornire la prova della mancata ricezione). Nella camera di consiglio le parti possono costituirsi e i difensori sono sentiti ove ne facciano richiesta. La trattazione in camera di consiglio si svolge oralmente e in modo sintetico. In sede di esame della domanda cautelare il collegio adotta, su istanza di parte, i provvedimenti necessari per assicurare la completezza dell'istruttoria e l'integrità del contraddittorio, ma può disporre misure cautelari solo se ritiene sussistente la propria competenza ai sensi degli articoli 13 e 14; altrimenti provvede ai sensi dell'articolo 15, commi 5 e 6, conseguentemente quando è proposta domanda cautelare il tribunale adito, ove non riconosca la propria competenza , non decide su tale domanda e con ordinanza indica il giudice competente. Se, nel termine perentorio di trenta giorni dalla comunicazione di tale ordinanza, la causa è riassunta davanti al giudice dichiarato competente, il processo prosegue davanti al nuovo giudice. Giova ricordare che, ai sensi dell'articolo 16, comma 2, il Tribunale indicato come competente può richiedere d'ufficio, con ordinanza, il regolamento di competenza, indicando il tribunale che reputa competente. 87 Il collegio si pronuncia con ordinanza emessa in camera di consiglio e qualora dalla decisione sulla domanda cautelare derivino effetti irreversibili, può disporre la prestazione di una cauzione, anche mediante fideiussione, cui subordinare la concessione o il diniego della misura cautelare. Il provvedimento che impone la cauzione ne indica l'oggetto, il modo di prestarla e il termine entro cui la prestazione va eseguita. Fa eccezione alla regola della cauzione l’ipotesi della concessione della misura cautelare nel caso in cui la domanda cautelare che attiene a diritti fondamentali della persona o ad altri beni di primario rilievo costituzionale (salute, istruzione, incolumità personale, libertà civili). L'ordinanza cautelare motiva in ordine alla valutazione del pregiudizio allegato e indica i profili che, ad un sommario esame, inducono ad una ragionevole previsione sull'esito del ricorso. Il tribunale amministrativo regionale, in sede cautelare, se ritiene che le esigenze del ricorrente siano apprezzabili favorevolmente e tutelabili adeguatamente con la sollecita definizione del giudizio nel merito, fissa con ordinanza collegiale la data di discussione del ricorso nel merito. Nello stesso senso può provvedere il Consiglio di Stato, motivando sulle ragioni per cui ritiene di riformare l'ordinanza cautelare di primo grado; in tal caso, la pronuncia di appello è trasmessa al tribunale amministrativo regionale per la sollecita fissazione dell'udienza di merito. Sarà cura della segreteria di sottoporre al presidente l’ordinanza del Giudice d’appello per la sollecita fissazione dell’udienza di merito. 88 L'ordinanza con cui è disposta una misura cautelare fissa la data di discussione del ricorso nel merito. In caso di mancata fissazione dell'udienza, il Consiglio di Stato, se conferma in appello la misura cautelare, dispone che il tribunale amministrativo regionale provveda alla fissazione della stessa con priorità. A tal fine l'ordinanza è trasmessa a cura della segreteria al primo giudice. Innovativa è la norma dell'articolo 57 che rende obbligatoria la decisione sulle spese della fase cautelare con ordinanza. La pronuncia sulle spese conserva efficacia anche dopo la sentenza che definisce il giudizio, salvo diversa statuizione espressa nella sentenza o nel decreto che definisce il giudizio. Al comma 1, dell’articolo 57, la sostituzione da parte del D. L.vo n. 195 del 2011 delle parole "la sentenza" con le parole "il provvedimento" e la specificazione del riferimento alla sentenza "di merito" derivano, da un lato, dalla necessità di considerare l’eventualità che il processo possa essere definito altrimenti (con ordinanza, se definito in rito su una questione di competenza; ovvero con decreto presidenziale, ad esempio di perenzione o di improcedibilità) e, dall’altra parte, dalla scelta – corollario dell’esigenza di coerenza con i principi processualcivilistici – di consentire solo alla sentenza di merito la forza di modificare la statuizione sulle spese resa con ordinanza collegiale (che, nel sistema del codice, di norma sopravvive anche a diversa statuizione sulle spese, se questa non abbia specificamente preso in esame lo specifico punto). Quest'ultima norma comporta che la fase cautelare ormai con riguardo al regime delle spese processuali è del tutto autonoma dalla decisione del ricorso nel merito; rimettendosi pur tuttavia al 89 giudice del merito di deliberare difformemente da quanto statuito nella fase cautelare. La liquidazione delle spese prescinde, infatti, da quella conseguente al giudizio di merito, salvo diversa statuizione espressa nella sentenza. L'articolo 58 del codice disciplina la revoca, la modifica delle misure cautelari collegiali e la riproposizione della domanda cautelare respinta Le parti possono riproporre la domanda cautelare al collegio o chiedere la revoca o la modifica del provvedimento cautelare collegiale nei seguenti casi: - se si verificano mutamenti nelle circostanze; - se si allegano fatti anteriori di cui si è acquisita conoscenza successivamente al provvedimento cautelare, fornendo la prova del momento in cui ne è venuto a conoscenza; - se sussistano situazioni che consentano una revocazione richiamandosi i caso di cui all'articolo 395 del codice di procedura civile. L'articolo 59 disciplina l’esecuzione delle misure cautelari, prevedendosi che qualora i provvedimenti cautelari non siano eseguiti, in tutto o in parte, l'interessato, con istanza motivata e notificata alle altre parti, può chiedere al tribunale amministrativo regionale le opportune misure attuative. Il riferimento generico al tribunale deve intendersi connesso alla tipologia di provvedimento nel quale si chiede l'esecuzione. Conseguentemente se si chiede l'esecuzione di un decreto cautelare monocratico la relativa istanza va proposta al presidente del tribunale, mentre se si chiede l'esecuzione di un'ordinanza collegiale relativa istanza va proposta al collegio, salvo che non 90 vi siano le condizioni di estrema urgenza e di pregiudizio per la situazione soggettiva di cui si lamenta la lesione che legittimano la proposizione dell'istanza cautelare interinale. Il tribunale esercita i poteri inerenti al giudizio di ottemperanza di cui al Titolo I del Libro IV e provvede sulle spese. Il richiamo ai poteri inerenti al giudizio di ottemperanza e non al rito comporta che la richiesta di esecuzione segue le regole del procedimento cautelare e non del giudizio di ottemperanza quale disciplinato dall'articolo 114. I poteri del giudice dell'ottemperanza sono quelli disciplinati dall'articolo 114 commi 4, 5,6,7 per cui, in caso di accoglimento del ricorso: - ordina l'ottemperanza, prescrivendo le relative modalità, anche mediante la determinazione del contenuto del provvedimento amministrativo o l'emanazione dello stesso in luogo dell'amministrazione; - determina le modalità esecutive, considerando inefficaci gli atti emessi in violazione o elusione e provvede di conseguenza, tenendo conto degli effetti che ne derivano; - nomina, ove occorra, un commissario ad acta; - salvo che ciò sia manifestamente iniquo, e se non sussistono altre ragioni ostative, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dal resistente per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell'esecuzione della decisione cautelare; tale statuizione costituisce titolo esecutivo. Il giudice della tutela cautelare conosce di tutte le questioni relative all'esatta ottemperanza, ivi comprese quelle inerenti agli atti del commissario. 91 Si applica la stessa procedura prevista per il giudizio di ottemperanza i fini dell' impugnazione dei provvedimenti emessi dal commissario "ad acta ", nominato dal giudice amministrativo in sede di giudizio di ottemperanza; detta impugnazione deve essere proposta dalle parti alle quali il giudicato si riferisce. Nel giudizio amministrativo, l'accoglimento della domanda cautelare relativa al diniego di atti relativi ad interessi pretensivi risulta inscindibilmente connesso all'esatta ottemperanza da parte dell'Amministrazione al contenuto conformativo del jussum cautelare, idoneo - laddove correttamente eseguito - a conferire concretezza al contenuto pretensivo dell'interesse azionato in giudizio. Pertanto, la mera rimozione in sede di autotutela del provvedimento negativo adottato a fronte di un'istanza supportata da un interesse di carattere pretensivo non è idonea di per sé a determinare l'improcedibilità del ricorso per sopravenuta carenza di interesse alla relativa coltivazione. È del tutto evidente, del resto, il carattere pienamente non satisfattivo di un provvedimento di ritiro il quale, incidendo su un assetto di interessi mai in concreto modificato, sortisce nei fatti l'effetto (equivalente quoad effectum ad un nuovo diniego espresso) di lasciare ancora immutata una situazione di mancato soddisfacimento del richiamato interesse pretensivo45. Nel caso di ricorso proposto anche al fine di ottenere chiarimenti in ordine alle modalità di ottemperanza,ai sensi del comma 5 dell'articolo 112, il giudice fornisce chiarimenti in ordine alle modalità di ottemperanza, anche su richiesta del commissario. 45 Consiglio Stato , sez. VI, 05 febbraio 2010 , n. 537 92 La definizione con sentenza in forma e procedura abbreviata alternativa alla misura cautelare. L’art. 60 consente la definizione del giudizio in esito all'udienza cautelare, disponendo che in sede di decisione della domanda cautelare il giudice può definire, in camera di consiglio, il giudizio con sentenza in forma semplificata alle seguenti condizioni: - purché siano trascorsi almeno venti giorni dall'ultima notificazione del ricorso, - sia accertata la completezza del contraddittorio e dell'istruttoria, - siano sentite sul punto le parti costituite, - una delle parti non abbia dichiarato che intende proporre motivi aggiunti, ricorso incidentale o regolamento di competenza, ovvero regolamento di giurisdizione (se la parte dichiara che intende proporre regolamento di competenza o di giurisdizione, il giudice assegna un termine non superiore a trenta giorni). Ove ne ricorrano i presupposti, il collegio dispone l'integrazione del contraddittorio o il rinvio per consentire la proposizione di motivi aggiunti, ricorso incidentale, regolamento di competenza o di giurisdizione e fissa contestualmente la data per il prosieguo della trattazione. Presupposti della sentenza in forma semplificata sono la completezza del contraddittorio (cioè la rituale notifica del ricorso e il rispetto del termine per la discussione sull'istanza incidentale), la completezza dell'istruttoria, l'avviso alle parti, ma l'esigenza e l'opportunità della sollecita decisione nel merito di 93 una causa è da intendersi rimessa al prudente apprezzamento del giudice e non alla volontà delle parti, alle quali è stato riconosciuto il diritto di essere avvertite dell'intenzione del giudice (di decidere immediatamente nel merito la causa) al fine precipuo di non esaurire le loro difese sul piano della misura cautelare incidentalmente richiesta e di sviluppare pertanto le proprie argomentazione difensive anche nel merito. Anche al di fuori dell’ipotesi di cui sopra, e, quindi anche per i giudizi trattati in udienza pubblica l'articolo 74 del codice prevede che nel caso in cui ravvisi la manifesta fondatezza ovvero la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza del ricorso, il giudice decide con sentenza in forma semplificata. La motivazione della sentenza può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo ovvero, se del caso, ad un precedente conforme. Misure cautelari monocratiche Il codice prevede due tipologie di misure cautelari monocratiche: - le misure cautelari interinali (articolo 56); - le misure cautelari ante causam (articolo 61). Le misure cautelari monocratiche interinali Le misure cautelari interinali disciplinate dall'articolo 56 sono quelle richieste contestualmente alla domanda cautelare rivolta al collegio ovvero, autonomamente, allorquando sia già stato proposto il ricorso introduttivo del giudizio. 94 La finalità è quella di garantire una tutela per quelle situazioni soggettive che potrebbero essere pregiudicate anche nelle more dell'esame collegiale della domanda cautelare. L'articolo 56 del codice prevede che il ricorrente può chiedere al presidente del tribunale amministrativo regionale, o della sezione cui il ricorso è assegnato, di disporre misure cautelari provvisorie, prima della trattazione della domanda cautelare da parte del collegio. Le condizioni sono le seguenti: - proposizione dell'istanza con la domanda cautelare o con distinto ricorso notificato alle controparti; - prova della sussistenza di una situazione di estrema gravità ed urgenza, tale da non consentire neppure la dilazione fino alla data della camera di consiglio; - presentazione dell'istanza di fissazione d'udienza per il merito, salvo che essa debba essere fissata d'ufficio (condizione quest'ultima di procedibilità dell'esame dell'istanza cautelari monocratica); - competenza del tribunale amministrativo adito. Il presidente provvede sulla domanda solo se ritiene la competenza del tribunale amministrativo regionale, altrimenti rimette le parti al collegio per i provvedimenti di cui all'articolo 55, comma 13, per cui il giudice adito può disporre misure cautelari solo se ritiene sussistente la propria competenza, ai sensi degli articoli 13 e 14; altrimenti provvede ai sensi dell'articolo 15, commi 5 e 6, rilevando la propria incompetenza e indicando il tribunale competente, ovvero sollevando il regolamento di competenza dinanzi al Consiglio di Stato.. 95 Competente a decidere sull'istanza cautelare monocratica interinale è il presidente o un magistrato da lui delegato. Il presidente verifica che la notificazione del ricorso si sia perfezionata nei confronti dei destinatari o almeno della parte pubblica e di uno dei controinteressati e provvede con decreto motivato non impugnabile. L'innovazione del codice è particolarmente importante, in quanto per l’esame della domanda cautelare interinale occorre che si sia proceduto alla notifica effettiva dell'istanza stessa all’amministrazione resistente e ad almeno un controinteressato, garanzia dell’effettività del contraddittorio. In considerazione dei tempi spesso estremamente ridotti dati per ottenere una tutela cautelare effettiva è consentita la notificazione da parte del difensore anche a mezzo fax. In quest'ultimo caso, pur tuttavia, le misure cautelari perdono efficacia se il ricorso non viene notificato per via ordinaria entro cinque giorni dalla richiesta delle misure cautelari provvisorie. Si applica l'articolo 55, comma 6 per cui ai fini del giudizio cautelare, se la notificazione è effettuata a mezzo del servizio postale, il ricorrente, se non è ancora in possesso dell'avviso di ricevimento, può provare la data di perfezionamento della notificazione producendo copia dell'attestazione di consegna del servizio di monitoraggio. Qualora l'esigenza cautelare non consenta l'accertamento del perfezionamento delle notificazioni, per cause non imputabili al ricorrente, il presidente può comunque provvedere, fatto salvo il potere di revoca. Innovativa è la norma che rimette alla valutazione del presidente "ove ritenuto necessario", fuori udienza e senza formalità, sentire, 96 anche separatamente, le parti che si siano rese disponibili prima dell'emanazione del decreto. In analogia a quanto previsto per la concessione delle misure cautelari collegiali, qualora dalla decisione sulla domanda cautelare derivino effetti irreversibili, il presidente può subordinare la concessione o il diniego della misura cautelare alla prestazione di una cauzione, anche mediante fideiussione, determinata con riguardo all'entità degli effetti irreversibili che possono prodursi per le parti e i terzi. Viene ulteriormente chiarito (sebbene nella prassi già avvenisse) che nel decreto deve essere comunque indicata la camera di consiglio per la trattazione collegiale della domanda cautelare è ciò sia nel caso che l'istanza venga accolta, sia nel caso che venga rigettata. Opportunamente viene chiarito che in caso di accoglimento della domanda cautelare la misura cautelare è efficace sino a detta camera di consiglio fissata per la trattazione collegiale. Ciò comporta che in caso di rinvio della camera di consiglio il decreto cautelare perde efficace ed eventuali misure interinali rientrano nella competenza del collegio anche nelle more di un eventuale rinvio, ovvero dell'esecuzione di adempimenti istruttori. Il decreto perde, infatti, efficacia se il collegio non provvede sulla domanda cautelare nella camera di consiglio. Fino a quando conserva efficacia, il decreto è sempre revocabile o modificabile su istanza di parte notificata. A quest'ultima si applica il comma 2 che disciplina le modalità di notifica dell'istanza di revoca del decreto cautelare. 97 Misure cautelari monocratiche anteriori alla causa L'articolo 61 del codice estende a tutte le materie di competenza del giudice amministrativo la possibilità di richiedere misure cautelari monocratiche anteriori alla causa (previste precedentemente soltanto nel caso dei contenziosi riguardanti l'affidamento di appalti pubblici). I presupposti per richiedere la misura cautelare ante causam sono i seguenti - la sussistenza di una situazione di eccezionale gravità e urgenza; - tale da non consentire neppure la previa notificazione del ricorso e la domanda di misure cautelari provvisorie con decreto presidenziale. Il soggetto legittimato al ricorso può proporre istanza per l'adozione delle misure interinali e provvisorie che appaiono indispensabili durante il tempo occorrente per la proposizione del ricorso di merito e della domanda cautelare in corso di causa. L'istanza, notificata con le forme prescritte per la notificazione del ricorso, si propone al presidente del tribunale amministrativo regionale competente per il giudizio. Il presidente o un magistrato da lui delegato, accertato il perfezionamento della notificazione per i destinatari, provvede sull'istanza, sentite, ove necessario, le parti e omessa ogni altra formalità. Anche in questo caso la notificazione può essere effettuata dal difensore a mezzo fax. Qualora l'esigenza cautelare non consenta l'accertamento del perfezionamento delle notificazioni, per cause non imputabili al 98 ricorrente, il presidente può comunque provvedere, fatto salvo il potere di revoca da esercitare nelle forme previste per la revoca del provvedimento cautelare interinale e disciplinata dall'articolo 56, comma 4, terzo e quarto periodo. Altro presupposto è la competenza del tribunale adito in quanto l'incompetenza del giudice è rilevabile d'ufficio. Il decreto che rigetta l'istanza non è impugnabile; tuttavia la stessa può essere riproposta dopo l'inizio del giudizio di merito con le forme delle domande cautelari in corso di causa. Il provvedimento di accoglimento è notificato dal richiedente alle altre parti entro il termine perentorio fissato dal giudice, non superiore a cinque giorni. Qualora dall'esecuzione del provvedimento cautelare derivino effetti irreversibili il presidente può disporre la prestazione di una cauzione, anche mediante fideiussione, cui subordinare la concessione della misura cautelare. Il provvedimento di accoglimento perde comunque effetto ove entro quindici giorni dalla sua emanazione non venga notificato il ricorso con la domanda cautelare ed esso non sia depositato nei successivi cinque giorni corredato da istanza di fissazione di udienza. In ogni caso la misura concessa ante causam perde effetto con il decorso di sessanta giorni dalla sua emissione, dopo di che restano efficaci le sole misure cautelari che siano confermate o disposte in corso di causa. Il provvedimento di accoglimento non è appellabile ma, fino a quando conserva efficacia, è sempre revocabile o modificabile su istanza di parte previamente notificata con le modalità previste per la notifica dell'istanza di concessione della misura cautelare. 99 Per l'attuazione del provvedimento cautelare e per la pronuncia in ordine alle spese si applicano le disposizioni sui provvedimenti cautelari in corso di causa. La disciplina della tutela cautelare ante causam non trova applicazione per i giudizi in grado d'appello; conseguentemente la domanda inibitoria del provvedimento giurisdizionale impugnato può essere richiesta soltanto dopo o contestualmente alla proposizione dell'appello. Il processo d’appello cautelare. L'appello cautelare è disciplinato dall'articolo 62, il quale prevede che contro le ordinanze cautelari è ammesso appello al Consiglio di Stato. Il ricorso in appello è soggetto a due termini. Va, infatti, proposto: - nel termine di trenta giorni dalla notificazione dell'ordinanza; - ovvero di sessanta giorni dalla sua pubblicazione. L'appello va depositato nel termine perentorio di trenta giorni, decorrente dal momento in cui l'ultima notificazione dell'atto stesso di cui all'articolo 45; - è deciso in camera di consiglio con ordinanza. Al giudizio si applicano: - gli articoli 55, comma 2 e commi da 5 a 10 in materia di prestazione della cauzione, termini per la fissazione della camera di consiglio, notifiche, costituzione delle parti, deposito di atti e , motivazione ; - articoli 56 e 57, rispettivamente in tema di misure interinali monocratiche e di spese del giudizio cautelare. 100 L'ordinanza di accoglimento che dispone misure cautelari è trasmessa a cura della segreteria al primo giudice, perché, ai sensi dell'articolo 55, comma 11 si provveda alla fissazione della stessa con priorità. In quest'ultima ipotesi l'ordinanza del Consiglio di Stato va immediatamente sottoposta al presidente per la fissazione dell'udienza di merito. Nel giudizio cautelare d’appello è rilevata anche d'ufficio la violazione, in primo grado, degli articoli 10, comma 2, 13, 14, 15, comma 5, 42, comma 4, e 55, comma 13 in materia di competenza inderogabile del giudice di primo grado. Se rileva la violazione degli articoli 13, 14, 15, comma 5, 42, comma 4, e 55, comma 13, in tema di competenza inderogabile, il giudice competente per l'appello cautelare sottopone la questione al contraddittorio delle parti ai sensi dell'articolo 73, comma 3, e regola d'ufficio la competenza ai sensi dell'articolo 15, comma 4. Quando dichiara l'incompetenza del tribunale amministrativo regionale adito, con la stessa ordinanza annulla le misure cautelari emanate da un giudice diverso da quello competente. Per la definizione della fase cautelare si applica l'articolo 15, comma 9, per cui le parti possono sempre riproporre le istanze cautelari al giudice dichiarato competente.. 101