Misteri Trentini I Turchi nel cuore delle Dolomiti I fantasmi di Castel

TN emigrazione 36
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Misteri Trentini
TRENTINO
EMIGRAZIONE
Valle di Fassa, Moena
I Turchi nel cuore delle Dolomiti
La colonnina di una fontana decorata con la falce
di luna e la stella si conclude con il volto in pietra dai tratti somatici tipicamente orientali... poi
la scritta “Turchia”... eppure siamo a Moena, in
Valle di Fassa: com'è possibile?
Tutto vero: siamo nel rione Turchia, un nucleo di
case modenesi formatosi,
si racconta, in seguito all'arrivo di un fuggiasco
turco.
Un tempo, in occasione
di particolari matrimoni,
qui si assisteva alla “Bastìa dei Turchi”, una manifestazione che animava
le vie del rione con abiti
all'orientale, musica e
danze. E in questa ricca e
colorata coreografia si
sentiva la voce del “sultano” risuonare: “Le leggi del
Corano parlano chiaro: il
forestier che sposare vuole
una turca donzella / tanto
più deve pagar quanto è più
bella! Impunemente ai turchi non si può far dispetto /
per la barba di Maometto!”.
Bassa Valsugana, Telve
I fantasmi di Castel Alto
Dev'esser stato proprio
malvagio, il conte di Castel Alto di Telve, se vogliamo dare ascolto a tutte le leggende nate sul suo
conto. Al termine di ogni
raccolto i contadini della
zona dovevano salire al
castello a portare la parte
dovuta al loro signore.
Era un'incombenza ben
triste, quella, che il più
delle volte lasciava le povere famiglie della zona
nel dramma della fame e
della miseria. Quando,
infatti, i raccolti non erano stati buoni, praticamente tutto ciò che i
campi riuscivano a dare
finiva nei depositi del castello, assieme a qualche
vacca e agli ultimi maiali
sopravvissuti in valle.
Accadde un giorno - si
era quasi al tramonto e
una lunga fila di contadini stava faticosamente risalendo la strada che conduceva a Castel Alto che la penombra di un
boschetto venne rotta da
un lugubre canto:
“Ma dove andate, / poveri
contadini, / con quei sacchi
di farina / rubati alla bocca / dei vostri figli?”
Tutti si fermarono stupiti, appoggiarono i sacchi e
le botti a terra e si misero
in ascolto:
“Portate le forche, / imbracciate i tridenti, / uccidete il
signore / e cantate di gioia /
per la vostra libertà!”
Ma chi poteva essere quel
sobillatore, nascosto in
quella selva, che si divertiva a spaventarli a quel
modo?
“Siamo anime fantasme /
di vecchi contadini, / morti
di fatica e di dolore / per arricchire / il nostro signore!”.
La storia termina qui:
non sapremo mai se quei
sudditi raccolsero l'invito
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delle anime dei contadini
morti a ribellarsi contro i
soprusi del conte di Castel Alto.
Possiamo soltanto dire
che il maniero, oggi, è ridotto in rovina a causa
del tempo ma, forse, anche della vendetta di tanta gente sfruttata e martoriata.
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Alto Garda, Arco
I Guerrieri di Pietra
La terra trentina non cessa mai di restituire alla storia oggetti misteriosi,
che un tempo però dovettero avere un significato ben preciso. Così è per le
statue stele risalenti all’Età del Rame, venute alla luce durante gli scavi per
la costruzione del nuovo ospedale di Arco.
Molte e affascinanti sono le ipotesi che le circondano: sono la rappresentazione di divinità tutelari? Oppure di personaggi altolocati? Rappresentano,
infatti, entità dalla forma umana, dai volti impenetrabili e dalle fattezze stilizzate, prive di gambe e di braccia. Conficcato nel terreno, erano probabilmente dipinte, come confermerebbero tracce color ocra sulle pietre.
I tipi fondamentali di statue-stele, simulacri in pietra diffusi in tutta Europa, sono tre, tutti ben rappresentati ad Arco. C’è il tipo “maschile”, di grandi dimensioni, con incisi le armi e il cinturone; c’è il tipo “femminile”, più
piccolo, segnato da seni appena accennati e da oggetti ornamentali; infine
c’è il tipo “asessuato”, ancor più piccolo, forse la rappresentazione di un bambino.
Valle di Non, Corte Inferiore (Rumo)
I gamberetti dell ultima cena
L’acqua e il vino, il pane
nelle tonde forme di pagnotta, l’agnello e il pesce, ma anche frutta uva, ciliegie, fichi... - e
soprattutto gamberetti:
così si presenta la tavola
imbandita dell’Ultima
Cena affrescata nella
chiesa di Sant’Udalrico a
Corte Inferiore di Rumo.
Una scena figurativa
senz’altro originale e alla
quale magari non si è
abituati: eppure, Giovanni e Battista Baschenis di
Averaria, bergamaschi e
autori dell’affresco nel
1471, erano soliti rappresentare in questo modo il
Sacro desco. La loro era
infatti un’“arte povera”,
rivolta al popolo e per
questo doveva essere comunicativa, comprensibile.
Ecco allora i prodotti
della campagna e della
vita quotidiana, come ad
esempio quei crostacei, i
gamberetti, che un tempo abbondavano nelle acque pulite dei corsi d’acqua del Trentino.
Sono rappresentati nelle
loro esatte fattezze, con
zampe, chele, corazza
snodata, coda piatta: e
sono di colore rosso,
quindi significa che sono
cotti, pronti per essere
mangiati, perché altrimenti sarebbero di color
bianco tendente al marrone.
Gesù, allora, con i suoi
Apostoli, è seduto a una
tavola il cui “menu” assomiglia molto a quello che
poteva essere presente
sulle tavole di quei valligiani per i quali i Baschenis dipingevano i loro affreschi sacri.
(Dal libro “Luoghi misteriosi del Trentino” di Mauro Neri,
ed. Panorama, Trento)