TN emigrazione 36 21-03-2007 11:38 Pagina 42 Misteri Trentini TRENTINO EMIGRAZIONE Valle di Fassa, Moena I Turchi nel cuore delle Dolomiti La colonnina di una fontana decorata con la falce di luna e la stella si conclude con il volto in pietra dai tratti somatici tipicamente orientali... poi la scritta “Turchia”... eppure siamo a Moena, in Valle di Fassa: com'è possibile? Tutto vero: siamo nel rione Turchia, un nucleo di case modenesi formatosi, si racconta, in seguito all'arrivo di un fuggiasco turco. Un tempo, in occasione di particolari matrimoni, qui si assisteva alla “Bastìa dei Turchi”, una manifestazione che animava le vie del rione con abiti all'orientale, musica e danze. E in questa ricca e colorata coreografia si sentiva la voce del “sultano” risuonare: “Le leggi del Corano parlano chiaro: il forestier che sposare vuole una turca donzella / tanto più deve pagar quanto è più bella! Impunemente ai turchi non si può far dispetto / per la barba di Maometto!”. Bassa Valsugana, Telve I fantasmi di Castel Alto Dev'esser stato proprio malvagio, il conte di Castel Alto di Telve, se vogliamo dare ascolto a tutte le leggende nate sul suo conto. Al termine di ogni raccolto i contadini della zona dovevano salire al castello a portare la parte dovuta al loro signore. Era un'incombenza ben triste, quella, che il più delle volte lasciava le povere famiglie della zona nel dramma della fame e della miseria. Quando, infatti, i raccolti non erano stati buoni, praticamente tutto ciò che i campi riuscivano a dare finiva nei depositi del castello, assieme a qualche vacca e agli ultimi maiali sopravvissuti in valle. Accadde un giorno - si era quasi al tramonto e una lunga fila di contadini stava faticosamente risalendo la strada che conduceva a Castel Alto che la penombra di un boschetto venne rotta da un lugubre canto: “Ma dove andate, / poveri contadini, / con quei sacchi di farina / rubati alla bocca / dei vostri figli?” Tutti si fermarono stupiti, appoggiarono i sacchi e le botti a terra e si misero in ascolto: “Portate le forche, / imbracciate i tridenti, / uccidete il signore / e cantate di gioia / per la vostra libertà!” Ma chi poteva essere quel sobillatore, nascosto in quella selva, che si divertiva a spaventarli a quel modo? “Siamo anime fantasme / di vecchi contadini, / morti di fatica e di dolore / per arricchire / il nostro signore!”. La storia termina qui: non sapremo mai se quei sudditi raccolsero l'invito 42 delle anime dei contadini morti a ribellarsi contro i soprusi del conte di Castel Alto. Possiamo soltanto dire che il maniero, oggi, è ridotto in rovina a causa del tempo ma, forse, anche della vendetta di tanta gente sfruttata e martoriata. TN emigrazione 36 21-03-2007 11:38 Pagina 43 Alto Garda, Arco I Guerrieri di Pietra La terra trentina non cessa mai di restituire alla storia oggetti misteriosi, che un tempo però dovettero avere un significato ben preciso. Così è per le statue stele risalenti all’Età del Rame, venute alla luce durante gli scavi per la costruzione del nuovo ospedale di Arco. Molte e affascinanti sono le ipotesi che le circondano: sono la rappresentazione di divinità tutelari? Oppure di personaggi altolocati? Rappresentano, infatti, entità dalla forma umana, dai volti impenetrabili e dalle fattezze stilizzate, prive di gambe e di braccia. Conficcato nel terreno, erano probabilmente dipinte, come confermerebbero tracce color ocra sulle pietre. I tipi fondamentali di statue-stele, simulacri in pietra diffusi in tutta Europa, sono tre, tutti ben rappresentati ad Arco. C’è il tipo “maschile”, di grandi dimensioni, con incisi le armi e il cinturone; c’è il tipo “femminile”, più piccolo, segnato da seni appena accennati e da oggetti ornamentali; infine c’è il tipo “asessuato”, ancor più piccolo, forse la rappresentazione di un bambino. Valle di Non, Corte Inferiore (Rumo) I gamberetti dell ultima cena L’acqua e il vino, il pane nelle tonde forme di pagnotta, l’agnello e il pesce, ma anche frutta uva, ciliegie, fichi... - e soprattutto gamberetti: così si presenta la tavola imbandita dell’Ultima Cena affrescata nella chiesa di Sant’Udalrico a Corte Inferiore di Rumo. Una scena figurativa senz’altro originale e alla quale magari non si è abituati: eppure, Giovanni e Battista Baschenis di Averaria, bergamaschi e autori dell’affresco nel 1471, erano soliti rappresentare in questo modo il Sacro desco. La loro era infatti un’“arte povera”, rivolta al popolo e per questo doveva essere comunicativa, comprensibile. Ecco allora i prodotti della campagna e della vita quotidiana, come ad esempio quei crostacei, i gamberetti, che un tempo abbondavano nelle acque pulite dei corsi d’acqua del Trentino. Sono rappresentati nelle loro esatte fattezze, con zampe, chele, corazza snodata, coda piatta: e sono di colore rosso, quindi significa che sono cotti, pronti per essere mangiati, perché altrimenti sarebbero di color bianco tendente al marrone. Gesù, allora, con i suoi Apostoli, è seduto a una tavola il cui “menu” assomiglia molto a quello che poteva essere presente sulle tavole di quei valligiani per i quali i Baschenis dipingevano i loro affreschi sacri. (Dal libro “Luoghi misteriosi del Trentino” di Mauro Neri, ed. Panorama, Trento)