ASSOCIAZIONE DI VOLONTARIATO - GUBBIO C/O SANTA MARIA AL CORSO La lettera settimanale di Don A.M.Fanucci “1 maggio 2016” www.ilgibbo.it CHIESA E POVERI, UN AMORE LUNGO E PROBLEMATICO (A. M. Fanucci, pro manuscripto. Lezioni alla LUMSA-GUBBIO, anno 1999 ss) Cap. 6 RECLUSIONE E FILANTROPIA (sec. XVIII) Parte sesta 3.2.5 I ricchi nelle città: la borghesia Quante furono le vittime delle rivolte popolari? Pochissime tra coloro contro i quali in primis si scatenava la gente, i nobili (che facilmente potevano rifugiarsi nelle loro campagne), appena più numerose tra i borghesi (funzionari eminenti, banchieri, avvocati, mercanti) che avevano possedimenti solo in città e quindi erano più indifesi. Moltissime furono, per contro, le vittime della repressione delle rivolte, ma nessuno le ha contate, il popolo stesso la riteneva fondamentalmente giusta la risposta sanguinaria. Difficili a definirsi e difficili a contarsi, i bourgeois (gli abitanti del borgo) erano un’élite non troppo ristretta (tra l’8 e il 10% della popolazione), ma intraprendente nelle sue attività e in sé ben compatta, gente che non aspirava a diventare nobile, anzi attirava i nobili, qualificata com’era da una ricchezza diffusa della quale non tutti i nobili disponevano; una ricchezza rilevantissima in alcuni (mercanti soprattutto), consistente in altri, tale comunque da fare anche di un semplice maestro artigiano uno che aveva qualcosa di più del necessario. La borghesia è per definizione la “classe in ascesa”, perché la borghesia è mobilità sociale in atto, perché la ricchezza dei suoi membri dà loro pretese superiori alle loro origini, ma anche i mezzi per realizzare quelle pretese. I nobili esaltavano l’ozio, mentre le virtù con le quali i borghesi amavano presentarsi erano quelle dell’intraprendenza, della parsimonia e della sobrietà: queste ultime due facilmente disattese a tutto vantaggio della prima, poiché quando l’attività commerciale girava al punto giusto si potevano accumulare in breve tempo patrimoni liquidi ingenti, equivalenti a quelli posseduti dai nobili più ricchi in forma di latifondo. 4. Le novità fasulle 4.1 Nel campo dell’accoglienza dei “poveri figli” Reazionaria la prassi d’accoglienza dei trovatelli La parola d’ordine era, sì, “proteggere”, e questo spiega la preferenza tanto spesso accordata, in questa età, alle scuole per bambini poveri, all’interno dei brefotrofi. Ma questa imprevista “benevolenza” verso i “poveri figli” avrebbe dovuto destare da subito grossi sospetti, in quanto essa era in flagrante contrasto con tutte le dichiarazione di principio; ed effettivamente essa aveva scopi precisi, accuratamente mimetizzati ma sempre operanti: dar ai “poveri figli” una qualifica professionale che li abilitasse a lavorare, sì, ma solo nelle aziende dei loro “benefattori”, educarli ad essere sempre e soltanto sudditi, votati all’obbedienza cieca a sorda, e non anche alla libertà; al rispetto della legge e dell’ordine, e non anche ad un ragionato atteggiamento critico; educati alla responsabilità passiva del lavoro dipendente, non certo all’attiva responsabilità del piccolo imprenditore. 4.2 Nel campo della “redenzione attraverso il lavoro” Seconda parola d’ordine: redimere attraverso il lavoro; questo spiega perché il rilancio del lavoro come rimedio alla povertà sia una tesi presente in quasi tutta la letteratura dell’epoca. Che la povertà torni ad essere utile, costi quello che costi! Ma che senso ha parlare di “redenzione attraverso il lavoro”, visto che con l’Illuminismo ogni approccio etico/religioso al problema della povertà impallidisce e scompare? Di lavoro gli Illuministi parlano attraverso categorie “più scientifiche”, “più moderne”: la politica sociale, l’interesse collettivo, la ragione di stato. I mendicanti che non lavorano non sono solo dei poveracci, ma sono anche e soprattutto una minaccia per l’ordine sociale. Dovrebbero sempre esserci dei poveri, certo!!, perché essi costituiscano parte integrante della economia politica, ma non dovrebbero mai esistere dei miserabili, perché l’esistenza di quest’ultimi fa vergogna all’umanità. In questa temperie culturale la filantropia si preoccupa molto del cosiddetto “lassismo sociale”, della pigra indulgenza e del pressappochismo con i quali quel problema viene affrontato. Il povero socialmente accettabile è solo il lavoratore, o (ma solo temporaneamente) il disoccupato. Il lavoro diviene la chiave di volta della lotta al pauperismo, e questa è una conquista di grande significato, se è vero che l’Éncyclopedie, alla voce Travaille, scrive Un uomo che non possiede nulla e al quale si vieta di mendicare ha il diritto di chiedere di poter vivere di lavoro; su questa linea insiste Montesquieu: lo Stato deve garantire a tutti la possibilità di procacciarsi i mezzi necessari al proprio decoroso di sostentamento. Che la povertà torni ad essere utile! Ottimo. Ma anche equivoco. Forse i poveri avevano intuito che, dietro quella sfilza di splendide proclamazioni di principio, a loro si chiedeva o di lavorare o di morire1 E questa presa di coscienza, più o meno implicita, spiega il puntuale fallimento dei tentativi di impegnare i poveri nel lavoro2? 1 2 cfr W. DOYLE, o.c., 214 cfr D.MENOZZI, Condivisione e marginalità, dall’emarginazione una lettera alle Chiese, EGA/EDB, 1984, 35 -37 4.3 Le buone intenzioni e gli esiti reali Scriveva ancora Thomas Paine: ma le cosiddette “nazioni civilizzate” hanno ancora il diritto di chiamarsi tali? “Quando vediamo che gli anziani finiscono nella workhouse e i giovani alla forca, dev’esserci qualcosa di errato nel sistema di governo”. Evidentemente Paine metteva sullo stesso piano, a titolo di “rimedio”, la “casa di lavoro”, “rimedio” ai disabili e agli anziani, e la pena di morte, “rimedio” contro la delinquenza giovanile. Il puntuale fallimento dei tentativi di impegnare i poveri nel lavoro si spiega perché, come tutte le grandi tesi illuministe, a cominciare dalla fiducia incondizionata nel progresso 3, anche queste sul lavoro sono espressione o di un fatto di coscienza comune: una Weltanchauung rigorosamente individualista; o di un fatto strutturale: l’emergenza di esigenze produttive nuove e sempre più impellenti. Il sommarsi di quella impostazione mentale con quelle esigenze oggettive trasforma la scelta di convogliare i poveri alle Case di Lavoro in vera e propria reclusione forzata, anche per la povertà dei mezzi che la sanità e l’assistenza hanno a disposizione. Siamo di fronte a qualcosa di diverso da quello che aveva pensato Luis Vives: il suo era infatti un progetto che ad un certo punto prevedeva anche la reclusione, ma per il tempo minimo possibile, indispensabile a impostare il processo educativo del povero che era stato accolto perché prendesse coscienza della propria dignità e delle proprie possibilità di positivo inserimento nella società; il discorso del Vives aveva senso all’interno di uno schema di riforma ecclesiale e sociale complessa: qui invece la reclusione dei poveri è fine a se stessa, è un’operazione di polizia, è uno strumento di controllo politico e ideologico teso a difendere la Chiesa e la società dai poveri. Eccolo, lo snodo essenziale: si proclama di voler difendere i poveri, in realtà ci si difende dai poveri. E i poveri non vogliono saperne, ma questo non dissuade minimamente le Autorità dal riprovarci ancora. Gli enormi, tetri istituti per handicappati che nasceranno a partire dal 1700 ufficialmente servivano per loro, erano un’espressione di filantropia, di amicizia per l’uomo: in realtà servivano per togliere dalla normale circolazione gente che avrebbe turbato la vita delle persone normali. E così i dépots de mendicité, importati dalla Francia in Italia al tempo di Napoleone. In Inghilterra il Workhouse Test Act (1727) fu l’espressione della forte avversione dei ceti benestanti nei confronti dei poveri, identificati sempre comunque come dei parassiti. Che la povertà torni ad essere utile, costi quello che costi! Nel 1834 la “Nuova legge sui poveri” sancisce l’assoggettamento dell’assistenza sociale agli interessi del mercato del lavoro; gli aiuti ai poveri sono del tuttocontroproducenti, se offrono la possibilità di vivere senza lavorare; al contrario ai poveri bisogna dare un lavoro in agricoltura, nell’edilizia, nell’attività manifatturiera: settori tutti ampiamente sottopagati. Quelli che non accettano vanno costretti con la forza. Gubbio, 3 Maggio 2016, don Angelo M. Fanucci, Canonico Penitenziere, Rettore della Chiesa di S. Maria de’ Servi 3 Questa probabilmente è la matrice di tutte le tesi illuministe; contro di essa polemizzò duramente il Leopardi,cn tutto il suo sarcasmo a proposito delle magnifiche sorti e progressive del genere umano. *** FINALMENTE I POVERI SALGONO IN CATTEDRA: MARISA GALLI, IL LATO UMANO20 LA VIGILIA IMMEDIATA Lo stato gioioso dell'animo arriva al culmine, dilata il cuore oltre misura, c'è lo stupore incantato di chi riceve un miracolo dopo tante accorate insistenze. Tutte le ombre che a intervalli regolari si agitavano minacciose ora sono definitivamente scomparse, che bellezza! Dileguate come le nuvole dei giorni scorsi, che vagavano persistenti nel cielo, cariche di temporale. Oggi invece è tutto limpido e sereno, la natura partecipa alla nostra gioia. I familiari miei, al contrario di me, si avviliscono subito; il loro attaccamento istintivo si manifesta in questo modo, ma io che posso farci se essi non capiscono le cose essenziali nel verso più giusto? Come mentalità siamo su due linee parallele, ma totalmente diverse, frutto esclusivo di differenti esperienze. Ma ad ogni modo, per sdrammatizzare l’imbarazzante situazione presente, è meglio sorridere, tacere e accettare tutto pacificamente, perché insistere su un determinato argomento non serve a niente, si ottiene solo l'effetto contrario, questo l'ho capito da un pezzo; poi una gioia così autentica e lungamente sognata nulla riesce a turbarla. Sono in compagnia di mia zia che sta a letto indisposta, stiamo parlando appunto della notizia arrivata pochi minuti prima, quando si ode un rumore di auto; qualcuno viene inaspettatamente a trovarci, è proprio lui, Don Franco, che viene a prendere il libretto di risparmio per ritirare tutta la somma, anzi deve raddoppiarla per il deposito anticipato che reclamano i proprietari prima di firmare il contratto di affitto. Certo, il margine che ci resta per affrontare le spese future è davvero irrisorio, una cosa che certo spaventerebbe la persona più ottimista del mondo, ma a quelli della nostra povertà interessa ben poco evidentemente, compiono il passo secondo le strette regole di legge e basta. Consegno il risparmio con intima soddisfazione senza il minimo rimpianto, la spogliazione totale, generosa e spontanea scaturisce proprio dal fondo, non sono affatto attaccata a quel denaro, pure se frutto paziente di tanti piccoli sacrifici messi insieme. Quante volte ho rinunciato pure alle minuscole cose più necessarie, neppure saprei dirlo, e adesso vorrei solo avere una cifra molte volte maggiore per mettergliela festosamente in mano e farlo provvedere ai bisogni più urgenti che si presentano fitti e improrogabili. Intanto passano le settimane e alla villa di Fermo vanno avanti i primi lavori di preparazione, imbiancatura, arredamento con le poche robe raccolte, però siamo ancora piuttosto distanti dal possedere lo stretto necessario; poi c'è la riattivazione dell'impianto idraulico, di quello elettrico da fare con una certa celerità, perché il tempo stringe e Natale è vicino! Allora ecco emergere una squadra di giovani entusiasti e volenterosi, appartenenti alle più disparate categorie, che danno uno spettacolo singolare di solidarietà umana, forse del tutto insospettata; nel loro cuore la testimoniano così, non a parole vuote, ma con una concreta dimostrazione di fatto, ponendosi in alacre e generoso, servizio. Fornite loro l'occasione buona, poi vedrete di cosa sono capaci! Una domenica sera viene di nuovo Don Franco, porta una grossa busta sotto il braccio: sono le grandi foto della casa piantata in mezzo al bosco. Il luogo già sulla carta risulta magnifico e mostra le foto con l'espressione serena e felice di un uomo che, fidando essenzialmente nella potenza di Dio, ha creduto in anticipo alla realizzazione delle cose impossibili, ha raggiunto uno scopo grandioso, mentre gli altri, specialmente all'inizio, lo ritenevano fiabesco e illusorio. Sì, ora rallegrati dal fondo dell'intimo, perchè grazie a questa vivida Fede, che nessun ostacolo è riuscito a intaccare, sei diventato spargitore copioso di gioia presso quelle creature sofferenti che anelano soltanto ad essa, la cercano disperatamente forse spesso a tentoni nel buio, ne hanno una fame arretrata; a tale sconcertante constatazione diretta si è commosso oltre misura il tuo cuore, generando un mare sconfinato d'amore. Unita a questa, Don Franco mi comunica l'altra triste notizia: la morte improvvisa del Parroco della nostra Parrocchia. Quanto incredulo, doloroso stupore regala talvolta la vita! Sembra quasi impossibile la morte del buon Parroco perché lo avevamo visto solo poche ore prima di somministrare i Sacramenti alla Messa di mezzogiorno, attivissimo come sempre fino all'ultimo. 20.a continua ********************************************************************************************* ********************************************************************************* CREDERE, OGGI Come praticare e predicare la fede oggi IL VANGELO CHE TORNA ad ENTUSIASMARE nella lettura che ne dà PAOLO CURTAZ: da GESÙ INCONTRA Ed. Paoline La parte migliore Marta e Maria (Lc 10,38-42) 3.a continua Quindi Il discepolo vive la doppia dimensione del servizio e della preghiera, dell'azione e della meditazione, del "fuori" e del "dentro". Non sono atteggiamenti contrapposti, Gesù non invita Marta a smettere di cucinare ma a trovare nell'ascolto della sua Parola la ragione della sua azione! L'azione, allora, trova forza e motivazione nella preghiera personale. E la preghiera porta con sé tutte le persone e le situazioni incontrate durante il servizio. Marta e Maria, non Marta o Maria, Poi, certo, ci sono accentuazioni e sfumature! Tutti in parrocchia abbiamo il volontario che passa la giornata a fare lavoretti in oratorio ma che non vedrete mai recitare il rosario con le vecchine prima di messa! Così come ci sono persone che passano il tempo a studiare e a meditare ma che sono incapaci di gestire una riunione pastorale... Betania ci dice che la vita spirituale del discepolo corre su due binari: l'azione e la contemplazione, entrambi necessari e inscindibili. Se ci mettiamo alla sequela di Cristo, se davvero il vangelo contagia la nostra vita, proviamo un desiderio irrefrenabile di crescere e conoscere, di cambiare la nostra prospettiva su noi stessi e sul mondo. Gradatamente tutto appare in una luce nuova, in una prospettiva diversa: come quando il sole che entra in una stanza buia, la nostra vita, la stessa (!), assume contorni definiti e comprensibili. Tutto acquista un senso, si vede l'orizzonte, il disegno. Intuito, ovvio. Ma chiaro. Impariamo a guardare altrove, oltre, dentro. Un esercizio che dura tutta la vita, sapendo bene che la conversione è il punto di partenza di un cammino senza fine. Ci mettiamo tutta la vita a diventare discepoli! Ma, almeno, dopo aver accolto, aver osato, esserci arresi alla verità del vangelo, sappiamo bene in che direzione andare. Quella dell'amore, della verità, del dono, del perdono, della mitezza, della pace. Nutriamo la vita interiore meditando la Parola (ognuno col suo ritmo, non esiste un modo unico di pregare!), affidandoci al Signore, frequentando una comunità, svolgendo con consapevolezza e rettitudine il nostro lavoro. La fede ci spinge verso i fratelli nel desiderio di servire Cristo nei più poveri. Non è facile, oggi, conservare e nutrire la fede, ci vuole coraggio e impegno. Ma ne vale la pena. Marta e Maria ci indicano il percorso per una vita interiore luminosa e feconda: la preghiera e la meditazione che sfociano nel servizio e un servizio che attinge forza e serenità nella contemplazione. Mi piace ricordare qui un santo valdostano vissuto intorno all'anno Mille: Bernardo da Aosta decise di salire sul colle del Mons Loris che collega l'Italia alla Svizzera e di costruirvi una casa di accoglienza, un ospizio, per accogliere i viandanti che percorrevano quel collegamento obbligato fra Nord e Sud Europa. Da allora, e. sono passati mille anni, all'ospizio del Gran San Bernardo, estate e inverno, troverete monaci alpinisti pronti ad accogliervi con un sorriso. Il motto della congregazione da lui fondata recita: Hic Christus adoratur et pascitur. Qui Cristo è adorato e sfamato. Tragedie Ma non ci sono solo momenti luminosi.nella vita del discepolo. Non solo momenti in cui si ha la percezione di poter ospitare Cristo, di accoglierlo, di stare ad ascoltare la sua Parola che illumina e riempie. La vita reale è colma di incertezza e sofferenza. E di lutti. Così accade nella casa di Betania: Lazzaro si ammala e muore. Avrò modo, a Dio piacendo, di commentare ampiamente questo episodio in un ulteriore libro sui vangeli. Qui voglio solo ritagliare il dialogo di Gesù con le due sorelle, sempre nella logica in cui ci siamo posti, quella della sequela di Cristo. Chi conosce il vangelo di Giovanni sa bene che l'episodio della resurrezione di Lazzaro segna la fine del ministero di Gesù: il clamore suscitato dal miracolo sarà fatale per Gesù (0v 11,47-53), L'ultimo segno compiuto dal contestato Rabbi è anticipazione di ciò che sta per accadere sul Golgota: Gesù dona la sua vita per Lazzaro così come darà la sua vita per tutti noi. È in un contesto di morte che avviene l'incontro con Marta e Maria. Per ricordarci che al discepolo la sofferenza non è evitata. Che se anche abbiamo incontrato Cristo, il dolore può sconvolgere la nostra vita, come accade quando si ammala e viene a mancare una persona amata. È un discorso ampio, che ho già affrontato altrove, ma occorre ribadirlo: la fede non è un'assicurazione sulla vita, non mi garantisce, non mi protegge dai fulmini! 3.a continua