CONGRESSO TOMISTA INTERNAZIONALE L’UMANESIMO CRISTIANO NEL III MILLENNIO: PROSPETTIVA DI TOMMASO D’AQUINO ROMA, 21-25 settembre 2003 Pontificia Accademia di San Tommaso – Società Internazionale Tommaso d’Aquino Dalla physica alla fisica Galileo e i gradi di astrazione Prof. Lorella Congiunti Pontificia Università Urbaniana, Roma (Italia) Up to the modern scientific revolution, “physica” means natural philosophy. In Galileo’s works, the word “physics” still means “physica” but in a different way. In fact, according to Galileo, physics is the knowledge about nature, but it can exist only thanks to mathematics. So physics is no longer physica, because it is no longer a philosophical science but a mathematical one. Galileo is not fully aware of this difference; I think that we can make the question clearer, thanks to the theory of abstraction, especially explained in Super Boethii de Trinitate by Thomas Aquinas. In Galilean sciences, the abstraction becomes a sort of arithmetical subtraction. Only a clear theory about degrees of abstraction –such as the Thomistic one– can put every science in the right place within the building of the human sciences. Il sapere umano è plurale e insieme unitario; il rispetto della pluralità degli ambiti e la tutela del loro orizzonte unitario costituiscono un compito di cui un sapere propriamente umano deve farsi carico. Come è anche scritto nella Fides et Ratio, le “diverse forme della verità”1 dovrebbero tendere verso l’unità. Leggiamo al n. 85: «voglio esprimere con forza la convinzione che l’uomo è capace di giungere a una visione unitaria e organica del sapere. Questo è uno dei compiti di cui il pensiero cristiano dovrà farsi carico nel corso del prossimo millennio dell’era cristiana. La settorialità del sapere, in quanto comporta un approccio parziale alla verità con la conseguente frammentazione del senso, impedisce l’unità interiore dell’uomo contemporaneo» (n. 85). «Le più numerose sono quelle che poggiano su evidenze immediate o trovano conferma per via di esperimento. È questo l’ordine di verità proprio della vita quotidiana e della ricerca scientifica. A un altro livello si trovano le verità di carattere filosofico, a cui l’uomo giunge mediante la capacità speculativa del suo intelletto. Infine, vi sono le verità religiose, che in qualche misura affondano le loro radici anche nella filosofia. Esse sono contenute nelle risposte che le varie religioni nelle loro tradizioni offrono alle domande ultime» Fides et Ratio, n. 30. 1 © Copyright 2003 INSTITUTO UNIVERSITARIO VIRTUAL SANTO TOMÁS Fundación Balmesiana – Universitat Abat Oliba CEU L. CONGIUNTI, Dalla “physica” alla fisica Uno degli ambiti del sapere, che ha posto e pone motivi di disgregazione e a volte di unilaterale riduzionismo, è costituito dalla scienza fisica, o meglio dalle scienze fisiche. Il fatto stesso che esista una sorta di incapacità di distinguere “la scienza” da “le scienze”, identificando ogni forma di sapere rigoroso con quello sperimentale-matematico, è indizio di confusione concettuale. Occorre forse indagare innanzitutto il significato della parola “fisica”, cercando nella sua storia motivi di chiarezza. Esiste al proposito un nodo storico inaggirabile, ovvero quel momento della storia del pensiero moderno occidentale che vede il passaggio dalla physica alla fisica. Proprio su questo vorrei soffermarmi e in modo particolare sul contributo di Galileo Galilei2 a questa transizione (che sia rivoluzione o continuità), illuminando tale passaggio con alcuni spunti teoretici tommasiani3 . Come è ben noto, Galileo voleva essere considerato filosofo e matematico, non fisico, perché la fisica non esisteva ancora e la physica4 non gli piaceva più: in verità il problema è proprio questo, egli ancora si muove dentro la physica, mutandola in fisica. Infatti identifica la filosofia con la filosofia della natura ovvero con la physica- ma ritiene impossibile porre in atto tale sapere senza fare ricorso alla matematica. Dunque “filosofo e e matematico” vuol dire per Galileo “fisico”, solo che tale parola ancora non aveva assunto il suo nuovo significato. Il problema del rapporto tra filosofia e scienze, nelle pagine galileiane, consiste essenzialmente nel rapporto tra filosofia della natura e fisica matematica. Ciò che interessa, infatti, sembra essere solo la dimensione orizzontale della speculazione filosofica: nelle pagine galileiane “filosofia” significa ancora “filosofia della natura” ma non più physica aristotelica. Per le opere di Galileo, farò sempre riferimento alla edizione nazionale Opere, a cura di A. Favaro, Firenze 1890-1909, 20 voll. L’opera è stata ristampata per il medesimo editore nel 1929-39 a cura di Garbasso e Abetti e nel 1968 a cura di Abetti, Fermi, Mazzoni. Indicherò con il numero romano il volume e con il numero arabo la pagina. 3 Ho già condotto una ricerca nella medesima prospettiva metodologica nel mio San Tommaso e Galileo: il “tentar l’essenza” tra la conoscenza e le scienze, “Verifiche”, n. 1-2, gennaio-giugno, 1997, pp. 63-100. 4 D’ora in poi nel testo indicherò con “physica” la filosofia della natura, e con “fisica” la fisica come scienza matematica e sperimentale. 2 p. 2 Congresso Tomista Internazionale I due poli epistemologici sono, dunque, la filosofia e la matematica. La novità di Galileo è aver posto nella medesima prospettiva formale la filosofia (appunto, la filosofia della natura) e la matematica (appunto, fisica matematica). Al tempo di Galileo e per Galileo filosofia della natura e scienza fisica sono indistinguibili, però a partire da Galileo e per Galileo la scienza fisica è possibile solo in quanto matematica, e questo provocherà la dissociazione di filosofia della natura e scienza fisica, e l’associazione di fisica e matematica. Fino all’epoca moderna, sotto il nome di “filosofia naturale” si intendeva indicare quello sguardo globale e razionale mirante ai “perché” ultimi, che era lo sguardo fatto proprio da Aristotele nella sua Physica: «Poiché in ogni campo di ricerca di cui esistono princìpi o cause o elementi, il sapere e la scienza derivano dalla conoscenza di questi ultimi —noi, infatti, pensiamo di conoscere ciascuna cosa solo quando ne abbiamo ben compreso le prime cause e i primi princìpi e, infine, gli elementi—, è evidente che anche nella scienza della natura si deve cercare di determinare anzitutto ciò che riguarda i princìpi. È naturale che si proceda da quello che è più conoscibile e chiaro per noi verso quello che è più chiaro e conoscibile per natura: ché non sono la medesima cosa il conoscibile per noi e il conoscibile in senso assoluto. Perciò è necessario procedere in questo modo: da ciò che è meno chiaro per natura ma più chiaro per noi a ciò che è più chiaro e conoscibile per natura. A noi risultano dapprima chiare ed evidenti le cose nel loro insieme; e solo in un secondo momento l’analisi ci consente di individuarne gli elementi e i princìpi. Perciò bisogna procedere dall’universale al particolare: infatti alla sensazione si presenta come più immediatamente conoscibile l’intero, e l’universale è, in un certo senso, l’intero, perché esso contiene molte cose come parti».5 Nel 1687 Newton intitola Philosophiae naturalis principia mathematica la propria opera, che segna l’apice di una rivoluzione aperta nel 1543 dal De revolutionibus orbium coelestium di Niccolò Copernico. Proprio i titoli di queste due opere, sovente assunte come confini della cosiddetta rivoluzione scientifica, ci descrivono un sapere che vede concetti alla deriva, che si allontanano e si sovrappongono. Infatti l’opera di Copernico evidenzia come lo sconvolgimento nasca nei cieli, dal guardare i cieli come fossero terra, eppure egli ancora parla di orbes e di revolutiones, cioè di movimenti circolari, anche se proprio il rapportarsi delle orbes e delle loro revolutiones rivoluzionano la concezione del mondo. Ecco che il termine rivoluzione, da Copernico usato nel senso primario di movimento circolare, va a indicare, per un curioso e sapiente slittamento semantico, lo stesso movimento del sapere. 5 Aristotele, Physica, I (A), 1, 184 a 1-25 (trad. it. Laterza, Roma-Bari 1987). p. 3 L. CONGIUNTI, Dalla “physica” alla fisica L’opera di Newton, che è opera di fisica, propone nel titolo i tre termini epistemologici protagonisti della rivoluzione: filosofia, natura, matematica. Ebbene le parole ancora sono usate alla maniera antica ma per significare un sapere nuovo; la novità è grammaticalmente evidenziata mediante il caso genitivo, essendo il complemento di specificazione estremamente stringente. Infatti i principi matematici sono della filosofia naturale e la filosofia naturale si trova così ad avere dei principi matematici, ad esserne costituita. Dentro questo arco astronomico e metodologico si muove il pensiero di Galileo. Galileo, come è ben noto, si ritiene “filosofo e matematico” 6 . Egli non ambisce semplicemente a una doppia identità “professionale”, scientifica e filosofica, piuttosto, conformemente ai suoi contemporanei, non ha ancora la precisa coscienza di un’indagine particolare del mondo della natura distinta da quella peculiarmente filosofica. Ciononostante, egli ha una ben precisa coscienza della sovrapposizione di campi del sapere e della novità di questa impresa. Scrive: «Egli è forza di confessare che il voler trattar le questioni naturali senza geometria è un tentar di fare quello che è impossibile a essere fatto» 7 , ed inoltre è «Impossibile il poter ben filosofare senza la scorta della geometria»8 , e ancora più chiaramente: «e già parmi di sentir intonar negli orecchi che altro è il trattar le cose fisicamente e altro matematicamente, e che i geometri doveriano restar tra le lor girandole, e non affratellarsi con le materie filosofiche, le cui verità sono diverse dalle verità matematiche; quasi che il vero possa essere più di uno»9 . La mancata distinzione teorica tra filosofia della natura e fisica scientifica reca allo scienziato l’onere di fondare filosoficamente i propri asserti metodologici e le conclusioni tratte da questo metodo. Ciò è chiarissimo nel noto passo del Saggiatore relativo alla struttura del libro della natura10 : una sorta Cfr. Galileo, X, 353 (lettera a Belisario Vinta del 07.05.1610). Così Sagredo nel Dialogo, VII-247. 8 Si tratta di un titolo Da porsi nel libro di tutte le opere che per intero suona così «Di qui si comprenderà in infiniti essempli quale sia l’utilità delle matematiche in concludere circa alle proposizioni naturali, e quanto sia impossibile il poter ben filosofare senza la scorta della geometria conforme al vero pronunciato da Platone» è collocato dal Favaro nei Frammenti di data incerta (VIII-613,614). In questo contesto, lascio sospesa l’analisi del rapporto matematica-geometria nel pensiero di Galileo. 9 Galileo, IV, 49-50 (Diversi fragmenti appartenenti al trattato delle cose che stanno su l’acqua). 10 La metafora del libro della natura è ricorrente nei testi di Galileo: cfr. per esempio VII, 27 (“Dedica al Granduca di Toscana”, Dialogo); XVI, 112-113 (lettera a Piero Dini del 21.V.1611); V, 329 (lettera a Madama Cristina di Lorena, probabilmente del 1615); 6 7 p. 4 Congresso Tomista Internazionale di compendio di filosofia fondamentale, scritto da uno scienziato. «La filosofia è scritta in questo grandissimo libro (io dico l’universo), ma non si può intender se prima non s’impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri ne’ quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questa è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto»11 . La frase, notissima e moltissime volte analizzata, merita comunque attenzione. Innanzitutto essa è una definizione della filosofia, intesa, come già abbiamo sottolineato, esclusivamente come filosofia della natura: infatti è scritta nel libro della natura. Il metodo di questa filosofia deve essere matematico, perché la lingua della natura stessa è matematica. L’affermazione che la natura è scritta in lingua matematica è di tipo ontologico, è una definizione della struttura della realtà. Ecco impiantate una metodologia, una gnoseologia, una ontologia. Galileo non opera una distinzione tra filosofia della natura e scienze fisiche, cadendo così in profondi equivoci: egli è un raffinato fisico ma un grossolano metafisico, cosa che spesso accade quando si tenta di svolgere un compito con strumenti inadeguati. Galileo “libera” la scienza dalla tutela della filosofia, ma pone pericolosamente la filosofia in schiavitù della scienza. Come scrisse Olgiati, per la “fatale unilateralità dell’ingegno umano” Galileo compie l’errore simmetrico a quello di Aristotele: «Il primo [Aristotele] fece della scienza con una mentalità filosofica, trattò il particolare e tá physicá come se si identificassero con l’universale e coi metá tá physicá e cadde in tal modo dall’astrazione all’astrattismo; il secondo [Galileo] fece della metafisica con la mentalità dello scienziato moderno; eresse un metodo valevole per il mondo materiale a valore universale, e precipitò così dalla concretezza nell’astrattismo [...] Aristotele volle far della filosofia anche nella fisica: Galileo volle essere scienziato e matematico anche nella metafisica»12 . Tuttavia in Aristotele è presente una consapevolezza di metodologie diverse, in Galileo invece assente. Galileo afferma che per conoscere la natura occorre esclusivamente la matematica. Di contro, come è ben noto, Aristotele scrive: «Alcuni non sono XVIII, 295 (lettera a Fortunio Liceti del gennaio 1641). Mi sono soffermata sull’analisi di questi passi, nel mio articolo Il mondo di Galileo: l’oggetto del suo sapere fisico-matematico, parte prima “Il gran libro della natura”, “Verifiche”, n. 3-4, luglio-dicembre, 1993, pp. 369-390. 11 Galileo, VI, 232 (Il Saggiatore). 12 F. Olgiati, La metafisica di Galileo Galilei, in Aa. Vv., Nel terzo centenario della morte di Galileo, Vita e Pensiero, Milano, 1942, pp. 1561-162. p. 5 L. CONGIUNTI, Dalla “physica” alla fisica disposti ad ascoltare se non si parla con rigore matematico; altri, invece, non ascoltano se non chi parla per esempi, mentre altri ancora esigono che si adduca la testimonianza di poeti. Alcuni esigono che si dica tutto con rigore; ad altri, invece, il rigore dà un senso di molestia, sia per la loro incapacità di comprendere i nessi del ragionamento, sia per avversione alle sottigliezze. Il rigore ha, in effetti, qualcosa che può sembrare sottigliezza; e per questo alcuni lo considerano qualcosa di meschino, tanto nei discorsi quanto negli affari. Pertanto, è necessario essere stati istruiti sul metodo con cui ciascuna scienza va trattata, in quanto è assurdo ricercare a un tempo una scienza e il metodo di questa scienza. Nessuna di queste due cose, infatti, è facile da apprendere» 13 . La problematica del metodo delle scienze rimanda alla questione dei gradi di astrazione14 , sulla quale vorrei condurre alcune brevi riflessioni, soprattutto a margine del commento tommasiano al De trinitate di Boezio15 che si presenta come un vero e proprio testo “epistemologico”16 , e può essere assunto, a mio avviso, come testo guida per comprendere criticamente la posizione di Galileo. Tommaso delinea una articolazione del sapere dipendente dalle operazioni dell’intelletto, nella prospettiva euristica della adeguazione: «la verità dell’intelletto consiste nel suo adeguarsi alla realtà […] l’intelletto distingue una realtà dall’altra in modo diverso, a seconda delle sue diverse operazioni. Con l’operazione con cui compone e divide esso distingue una realtà dall’altra appunto perché sa che una non sussiste nell’altra. Con l’operazione invece con cui comprende ciò che una cosa è, l’intelletto distingue una realtà dall’altra quando conosce cosa è la prima, nulla sapendo della seconda, nemmeno se sia unita alla prima o da essa separata. E perciò al contrario della precedente, questa distinzione non ha propriamente il nome di separazione. Essa si chiama correttamente astrazione, ma solo quando le cose, di cui si pensa una senza l’altra, sono insieme nella realtà. […] Nell’operazione dell’intelletto si dà una triplice distinzione. La prima deriva dall’operazione dell’intelletto che compone e divide, e si chiama propriamente separazione: essa compete alla scienza Aristotele, Metaph., II 3, 995 a 6-17 (trad. it. Bompiani, Milano 2000). Per una riflessione sulla nozione di astrazione nelle scienze contemporanee, cfr. F. Bertelè, A. Olmi, A. Salucci, A. Strumia, Scienza, analogia, astrazione. Tommaso d’Aquino e le scienze della complessità, Il Poligrafo, Padova 1999. 15 Farò riferimento alla traduzione curata da G. Mazzotta: Tommaso d’Aquino. Forza e debolezza del pensiero. Commento al De Trinitate di Boezio, Rubbettino editore, Soveria Mannelli 1996. 16 «È a proposito di questa opera teologica che Tommaso ha prodotto le sue teorie più avanzate intorno all’epistemologia delle scienze» J.-P- Torrell, Tommaso d’Aquino. L’uomo e il teologo, Piemme, Casale Monferrato 1994, p. 87. 13 14 p. 6 Congresso Tomista Internazionale divina o metafisica. La seconda, che deriva dall’operazione che forma le quiddità delle cose, è l’astrazione dalla materia sensibile: ad essa corrisponde la matematica. La terza deriva dalla stessa operazione che astrae l’universale dal particolare, e questa appartiene anche alla fisica: questa è comune a tutte le scienze, poiché la scienza tralascia quel che è accidentale e considera quel che è essenziale»17 . Si delinea così il sapere teoretico nella sua triplice declinazione aristotelica18 , fisica, matematica, metafisica19 ; la distinzione dei saperi viene strutturata con la sottolineatura della peculiarità di ciascuno. La matematica e la fisica corrispondono a diversi gradi di astrazione, in quanto i loro oggetti intrattengono un diverso rapporto con la materia: gli oggetti della fisica dipendono dalla materia nell’essere e nell’essere pensati, quelli della Tommaso d’Aquino, In Boet. De Trin., q. V, art. 3, resp. 18 «Tre sono di conseguenza le branche della filosofia teoretica: la matematica, la fisica e la teologia» Aristotele, Metaph., VI 1, 1026 a 19-20 (trad. it. cit.). Ovviamente la questione di vari gradi del sapere affonda nella speculazione platonica, basti pensare, per esempio, a tutto il libro VII della Repubblica. 19 Come mette in evidenza Mazzotta: «L’oggetto della fisica e delle scienze naturali si costituisce dunque con il cosiddetto primo di astrazione, col quale si prescinde dalla materia individuale ma non dalla materia comune. Questa astrazione a rigore non è formale ma “totale”: non prescinde dalla materia per limitarsi alla forma, ma prende l’universale prescindendo dal particolare […] si parla di ‘astrazione del tutto’ o ‘dell’universale’ a proposito della fisica e di ‘astrazione della forma’ a proposito della matematica mentre per la metafisica si preferisce parlare di ‘separazione’. Come dire che propriamente non si danno tre gradi di astrazione ma due soltanto, essendo la separazione qualcosa di totalmente distinto»G. Mazzotta, op. cit., p. 60*. Notiamo che esegesi meno aderenti al testo di Tommaso invece affermano che c’è un’astrazione universalizzatrice comune a tutto il sapere (astrazione totale) e poi tre gradi di astrazione formale che differenziano fisica, matematica, metafisica, così per esempio la Vanni Rovighi e Maritain: entrambi esplicitamente seguono più il commento del Gaetano che Tommaso, su questo punto. Mi sembra invece che la Rivetti Barbò traduca l’astrazione totale con “disindividuazione” e l’astrazione formale con “vari gradi di astrazione”, rispettando lo spirito di Tommaso. Cfr. S. Vanni Rovighi, Elementi di filosofia, Brescia 1964, in particolare vol II, p. 12; J. Maritain, Distinguere per unire, I gradi del sapere, trad. it. Morcelliana, Brescia 1974-81, pp. 58-62; F. Rivetti Barbò, Dubbi, discorsi, verità. Lineamenti di filosofia della conoscenza, Jaca Book, Milano 19912 , in particolare cap. 6. Mazzotta fa notare che comunque “astrazione formale” e “astrazione totale” non corrispondono semanticamente ad “astrazione della forma” e ad “astrazione del tutto”. G. Mazzotta, op. cit., p. 62. Cfr. anche A. Maurer, The division and methods of the sciences. Question V and VI of his Commentary of the De Trinitate of Boethius, PIMS, Toronto 1953, p. XXVIII, n. 30. 17 p. 7 L. CONGIUNTI, Dalla “physica” alla fisica matematica dipendono dalla materia nell’essere ma non nel pensiero. 20 La peculiarità della matematica risiede, dunque, nello svuotamento dalla materia sensibile, nel poter pensare non solo prescindendo dalla materia individuale (cosa richiesta a ogni sapere concettuale), ma dalla materia sensibile in generale. Che la distanza tra fisica e matematica risieda nella materia, lo troviamo confermato anche nel precoce opuscolo De ente et essentia dove sinteticamente Tommaso nota: «diffinitio autem substantiarum naturalium non tantum formam continet sed etiam materiam, aliter enim diffinitiones naturales et mathematice non different»21 . La diversità delle discipline teoretiche è legata alla diversità di metodo; il metodo si dà infatti in tre modalità diverse: riprendendo letteralmente Boezio, Tommaso fa corrispondere alle scienze “in naturalibus” un procedere “rationaliter”, alle scienze “in mathematicis” un procedere “disciplinater”, alle scienze “in divinis” un procedere “intellectualiter”22 . Dunque un metodo intellettuale per la scienza divina, un metodo razionale per la filosofia naturale e un metodo “dimostrativo-apprenditivo” per la matematica. La matematica appare come il sapere forse più difficilmente dicibile. Vediamo infatti che il “disciplinater”, che contraddistingue il metodo matematico, trova una difficile comprensione e una varietà di traduzioni. Viene, infatti, tradotto come “metodo dimostrativo dell’apprendimento” da Mazzotta23 , come “metodo dimostrativo” «Ci sono dunque alcuni oggetti di speculazione che dipendono dalla materia nell’essere, poiché non possono esistere senza materia. Questi oggetti si distinguono tra di loro. Alcuni dipendono dalla materia nell’essere e nell’essere pensati come gli oggetti nella cui definizione entra la materia sensibile e, dunque, non si possono intendere senza materia sensibile. Per fare un esempio, nella definizione di uomo occorre includere la carne e le ossa. Di questi oggetti tratta la fisica o scienza naturale. Altri oggetti speculabili, invece, dipendono dalla materia nell’essere ma non nel pensiero, poiché nella loro definizione non è inclusa la materia sensibile, com’è il caso della linea e del numero. Di questi oggetti tratta la matematica. Ci sono finalmente oggetti speculabili che non dipendono dalla materia nell’essere, in quanto possono esistere senza materia, sia perché non esistono mai nella materia, come Dio e l’angelo, sia perché ora esistono nella materia e ora no, come la sostanza, la qualità, la potenza, l’atto, l’uno e i molti, e così via. Di tutti questi oggetti tratta la teologia o scienza divina, così chiamata perché bisogna studiarla dopo la fisica: dobbiamo infatti procedere dalle cose sensibili a quelle non sensibili» Tommaso d’Aquino, In Boet. De Trin., q. V, art. 1, resp. 21 Id., De ente et essentia, n. 2. 22 Cfr. Id., In Boet. De Trin., q. VI. 23 G. Mazzotta, op. cit. 20 p. 8 Congresso Tomista Internazionale da Orbetello24 ; alla lettera con “disciplinatamente” da Pandolfi25 , per quanto riguarda l’italiano; mentre in spagnolo diventa “axiomáticamente” in Lértora Mendoza – JE. Bolzán26 , e “método deductivo” in Garcia Marques-Fernández 27 ; infine in inglese troviamo l’espressione “mode of learning” in Maurer28 . Sicuramente è interessante che il diverso declinarsi delle espressioni riguardi proprio la matematica. Mazzotta e Maurier mettono in evidenza l’aspetto apprenditivo implicito nel termine “disciplina” che deriva proprio da disco, ed è l’attività propria del discepolo, di chi impara disciplinatamente29 . In questo modo l’astrazione della matematica sembra acquisire quell’aspetto dinamico che forse potrebbe apparentarsi con il “discorso” galileiano (e per certi versi potrebbe spiegare la peculiare dimensione galileiana della reminiscenza: un imparare dall’evidenza). In questa struttura del sapere non manca la considerazione dei saperi di confine30 , ovvero delle scienze intermedie «che stanno tra la matematica e la fisica»; si danno infatti tre ordini di scienze che studiano entità naturali e matematiche: puramente fisiche, che «considerano le proprietà delle cose naturali Boezio, La Consolazione della filosofia. Gli opuscoli teologici, a cura di L. Orbetello, Rusconi, Milano 1979. 25 C. Pandolfi (a cura di), Tommaso d’Aquino. Commenti ai libri di Boezio, De Trinitate. De Ebdomadibus, ESD, Bologna, 1997 26 C.A. Lértora Mendoza – J. E. Bolzán, Santo Tomás y los métodos de las ciencias especulativas, in “Sapientia”, (1927) 1972, pp. 37-50. 27 A. Garcia Marques – J.A. Fernández, Exposición del “De Trinitate” de Boecio, Eunsa, Pamplona 1986. 28 A. Maurer, op. cit. 29 «Il termine disciplina –che definisce il metodo della matematica- deriva dal verbo latino discere equivalente al greco mathein, donde anche “matematica”. I due verbi tanto in greco che in latino hanno il medesimo significato di “imparare” o “ricevere la scienza da un altro”, come qui precisa lo stesso Tommaso. La comune radice semantica induce a tradurre disciplinabiliter con “apprendimento sistematico”, anche perché procedere per apprendimento sistematico porta a quella “conoscenza certa” che solitamente “si chiama scienza”. […] La maggiore certezza della matematica rispetto a tutte le scienze, speculative e pratiche, la costituisce scienza che si trasmette per apprendimento, appunto per via “disciplinare”. Si direbbe che il procedimento matematico è piuttosto intuizionistico nel senso che vi si passa da un implicito all’esplicito, non da una cosa all’altra: a rigore, in matematica non si dis-corre, ma si sviluppa –appunto con disciplina- quanto è più o meno inviluppato nella definizione data nel postulato iniziale o nella definizione di partenza» G. Mazzotta, op. cit., pp. 68 e 69*. 30 «Questa dottrina, che pone in comunicazione diversi livelli scientifici, potrebbe ancor oggi avere grande fecondità» G. Mazzotta, op. cit., p. 64*. 24 p. 9 L. CONGIUNTI, Dalla “physica” alla fisica in quanto tali»; puramente matematiche, che «studiano le quantità assolutamente»; scienze medie che «applicano principi matematici a cose naturali, come musica, astronomia e simili. Queste ultime, tuttavia, sono più affini alla matematica, perché nel loro studio quel ch’è fisico funge da materia e quel ch’è matematico funge da forma. Esemplificando, la musica considera i suoni non in quanto tali, ma in quanto hanno analogia con i numeri; la stessa cosa accade nelle altre scienze medie. Per questo esse usano strumenti matematici per trarre le loro conclusioni su cose naturali. Di conseguenza, nulla impedisce che, avendo qualcosa in comune con la scienza naturale, esse considerino la materia sensibile; in quanto invece hanno qualcosa in comune con la matematica, esse sono astratte» 31 . Questa sistemazione del sapere filosofico, in cui scienza e filosofia sono la stessa cosa, in cui fisica e matematica corrispondono a diversi gradi di astrazione, e in cui è possibile correre tra i due saperi, è a mio avviso il giusto contesto in cui collocare l’innovazione di Galileo. In particolare, la questione del livello di astrazione dei concetti matematici è fondamentale, perché è proprio lì che si gioca quel diritto alla matematizzazione in fisica che, secondo una tradizione esegetica galileiana in cui si distinguono gli studi del Koyrè32 , costituisce il platonismo di Galileo. Tommaso d’Aquino, In Boet. De Trin., q. V, art. 3, ad 6um. Una consistente tradizione storiografica, infatti, legge Galileo come un platonico. In particolare, Koyré ha scritto: «Io ho chiamato Galileo un platonico, e credo che nessuno dubiterà che lo sia» (A. Koyré, Introduzione a Platone, trad. it., Editori Riuniti, Roma 1996, p. 131). In nota, Koyré tempera tale affermazione: «Il platonismo di Galileo è stato più o meno chiaramente riconosciuto da alcuni storici moderni della scienza e della filosofia» (Ibid., p. 139, nota 64). Egli fa riferimento a Cassirer (E. Cassirer, Das Erkenntnisproblem in der Philosophie und Wissenschaft der neueren Zeit, Berlino 1911, vol. I), Olschki (L. Olschki, Galileo und seine Zeit, Lipsia 1927), Burtt (E. A. Burtt, The Methaphysical Foundations of Modern Physical Science, Londra-New York 1925). Koyré trova conferma di tale interpretazione soprattutto nel Dialogo galileiano dove, per bocca di Salviati, Galileo afferma: «Che i pitagorici avessero in somma stima la scienza dei numeri, e che Platone stesso ammirasse l’intelletto umano e lo stimasse partecipe di divinità solo per l’intender egli la natura de’ numeri, io benissimo lo so, né sarei lontano dal farne l’istesso giudizio» (Galileo, VII-35). Dunque il platonismo e il matematismo di Galileo sono per Koyré due facce della medesima questione. Koyré, infatti, sottolinea che «è evidente che per i discepoli di Galileo, come per i suoi contemporanei e predecessori, matematica significa platonismo». (A. Koyré, op. cit., p. 131). Koyrè distingue, con Brunschvicg (L. Brunschvicg, Les étapes de la philosophie mathématique, Parigi 1922, pp. 69 e ss. ; Id., Le progrès de la conscience dans la philosophie occidentale, Parigi 1937, pp. 37 e ss), due tradizioni platoniche, l’aritmologia mistica, che è «il neoplatonismo dell’Accademia Fiorentina, mescolanza di mistica, di aritmologia e 31 32 p. 10 Congresso Tomista Internazionale Innanzitutto, la questione si pone, al primo livello, come statuto della stessa conoscenza scientifica dell’uomo; Galileo ribadisce in più modi la diversità esistente tra la molteplice varietà delle realtà naturali individuali e la limitata universalità delle nozioni scientifiche: «et parrebbemi arditezza, per non dir temerità, la mia, se dentro gli angusti confini del mio intelletto volessi circoscrivere l’intendere e l’oprare della natura»33 . Nei testi di Galilei, si possono a mio avviso rintracciare due punti nella sua trattazione del tutto non sistematica –ma coerente- di tale questione: l’inaccessibile individualità della realtà; la priorità delle cose rispetto ai nomi. Quanto al primo punto34 , anche Galileo sembra negare la conoscenza scientifica del singolare laddove afferma: «ne’ veggo che nell’intender queste sostanze vicine aviamo altro vantaggio che la copia de’ particolari, ma tutti egualmente ignoti, per i quali andiamo vagando, trapassando con pochissimo o niuno acquisto dall’uno all’altro» 35 : il particolare rimane ignoto36 . Quanto al secondo punto, ovvero il rapporto tra nomi e cose, Galileo è particolarmente insistente: «I nomi e gli attributi si devono accomodare all’essenza delle cose, e non l’essenza a i nomi; perché prima furon le cose, e poi di magia» (A. Koyré, Studi galileiani, trad. it., Einaudi, Torino, 1976, p. 217) e la scienza matematica, che è il platonismo di Galileo, e riconosce: «Ma come, questo nuovo platonismo è lontano dall’antico! Perché in realtà, se grazie a Descartes, possiamo ormai intendere lo spazio con un atto di pura intelligenza e non più come una conoscenza ibrida e sostituire così il mito con la scienza, se, grazie a Galileo, il movimento si trova ormai sottomesso alla legge del numero, in cambio, questo spazio e questo numero hanno perso il valore cosmico che avevano, che potevano avere per Platone» (Ibid., p. 298). 33 Galileo XI, 107(lettera a Piero Dini, 21.5.1611 – corsivo aggiunto) 34 Se è forse superfluo ricordare la questione nei testi di Aristotele e Tommaso (bastino due brevissimi riferimenti: «la sensazione in atto ha per oggetto cose particolari, mentre la scienza ha per oggetto gli universali» Aristotele De anima, II, 5, 417b 21-24, «La scienza è degli universali» Tommaso d’Aquino In II De Anima, lect. 12) è senz’altro degno di nota che il limite dell’individualità venga ancora sottolineato nelle scienze contemporanee; per esempio Prigogine rileva che Boltzmann dovette rassegnarsi alla interpretazione probabilistica perché «noi studiamo la distribuzione delle velocità in una popolazione di particelle, e non la traiettoria individuale di ogni singola particella» I. Prigogine, La fine delle certezze. Il tempo, il caos e le leggi di natura, Bollati Boringhieri, Torino 1997, p. 26, corsivi aggiunti E ancora Granger nota: «non ogni genere di fenomeni è accessibile allo stesso modo per la scienza. L’unico ostacolo (peraltro radicale) mi sembra essere la realtà individuale degli eventi e degli enti» G. Granger, La scienza e le scienze, Il Mulino, Bologna 1996, p. 105. 35 Galileo, V, 187 (lettera a Marco Velseri, 1.12.1612 – corsivo aggiunto). 36 Notiamo che la lettera a Marco Velseri in cui Galileo pone queste affermazioni è la famosissima III lettera sulle macchie solari, in cui egli nega la possibilità di conoscere le essenze delle sostanze. p. 11 L. CONGIUNTI, Dalla “physica” alla fisica i nomi»37 ; e ancora «Ma io stimerei più presto, la natura aver fatte prima le cose a suo modo e poi fabbricati i discorsi umani, abili a poter carpire (ma però con fatica grande) alcuna cosa dei suoi segreti» 38 . Dunque Galileo afferma chiaramente che le cose hanno una priorità sui nomi e sui discorsi, e che fra questi e quelle c’è un rapporto di “accomodamento”, di parziale “carpimento”. La priorità delle cose individuali rispetto alle nozioni universali consente di interpretare i numerosi ricorsi galileiani alla reminiscenza. In modo particolare, nel Dialogo frequentemente ricorre la tesi: «quando uno non sa la verità da per sé, è impossibile che altri gliela faccia sapere» 39 . Mentre Koyré afferma che si tratta di affermazioni da prendere sul serio40 , viceversa Feyerabend inserisce i richiami galileiani alla reminiscenza entro le tecniche di persuasione con le quali Galileo riesce a imporre la teoria copernicana41 . Galileo, V, 97 (lettera a Marco Velseri, 4.5.1612) Galileo, VII, 289 (Dialogo). 39 Galileo, VII, 183 (Ibid.). Cfr. per esempio, nella medesima opera, anche: «[una conclusione] e non pur compresa, ma di già anche saputa se ben forse non avvertita», VII, 36; «potete comprender come voi medesimo sapevi veramente che la Terra risplendeva non meno che la Luna e che il ricordarsi solamente alcune cose sapute da per voi, come anco sapevi che tanto si mostra chiara una nuvoletta quanto la Luna; sapevi parimente che l’illuminazion della Terra non si vede di notte, ed insomma sapevi il tutto, senza saper di saperlo» VII, 115, «e questo ancora sapete da per voi e non v’accorgere di saperlo» VII,115, «voi volevi dire che Aristotele ve l’aveva detto, avvertito, ricordato, e non insegnato» VII, 184, «il proceder per interrogazioni mi par che dilucidi assai le cose, oltre al gusto che si ha dello scalzare il compagno, cavandogli di bocca quel che non sapeva di sapere» VII, 276, «ed io cercherò di ricordarvelo» VII, 403. 40 «Le allusioni a Platone, i richiami al metodo socratico – alla maieutica – del parto dei giudizi, i richiami alla dottrina della comprensione-reminiscenza non sono affatto motivi estranei all’opera, frange letterarie dovute a entusiasmo superficiale per l’opera di Platone, entusiasmo che, in se stesso, potrebbe essere solo un riflesso del “platonismo” del rinascimento fiorentino. Non hanno la loro ragione di essere nel desiderio di accattivarsi, fin dall’inizio, l’onest’uomo, da molto tempo ormai stanco dell’eredità della scolastica aristotelica; nel desiderio di farsi scudo, contro l’autorità di Aristotele, di quella del suo maestro e principale avversario, del divino Platone. Proprio al contrario: queste allusioni, questi richiami devono esser presi interamente sul serio», A. Koyré, op. cit., p. 294. 41 «L’accordo fra la nuova dinamica e l’idea del moto della Terra, accordo che Galileo accresce con l’aiuto del metodo dell’anamnesi, fa sembrare entrambe le cose più ragionevoli» P. K. Feyerabend, Contro il metodo. Abbozzo di una teoria anarchica della conoscenza,, trad. it., Feltrinelli, Milano 1984, p. 117. Ed ancora: «Se l’astronomia 37 38 p. 12 Congresso Tomista Internazionale Premesso che la retorica non dovrebbe essere considerata come una pura strumentalizzazione del discorso e che essa ha un ruolo importante nelle scienze galileiane42 , sembra comunque eccessivo prestare uno spessore coerentemente gnoseologico all’anamnesi di Galileo. Infatti, presupporrebbe la preesistenza dei concetti, e comunque una priorità del conosciuto rispetto al conoscibile. Ma tale teoria non è conciliabile con l’affermazione della priorità delle cose e dell’accomodamento dei nomi, e neanche con il riconoscimento dei confini dell’intelletto di fronte alla sconfinata natura; inoltre non sarebbe neanche sensatamente connessa alla metodologia delle scienze che, più che una strategia di scoperta, diventerebbe una tecnica per rammentare. Forse la reminiscenza viene intesa da Galileo come affermazione della naturale possibilità di accedere al vero, e non già del suo aprioristico possesso43 . La priorità delle cose potrebbe significare, all’opposto, la svalutazione del nome, una sorta di nominalismo, anch’esso per certi versi sostenibile a partire dai testi di Galileo. «Voi errate, signor Simplicio; voi dovevi dire che ciaschedun sa ch’ella si chiama gravità. Ma io non vi domando del nome, ma dell’essenza della cosa: della quale essenza voi non sapete punto più di quello che voi sappiate dell’essenza del movente le stelle in giro, eccettuatone il nome, che a queste è stato posto e fatto familiare e domestico per la frequente esperienza che mille volte ne veggiamo: ma non è che realmente noi intendiamo più, che principio o che virtù sia quella che muove la pietra in giù, di quel che noi sappiamo chi la muova in su, separata dal proiciente, o chi muova la Luna in giro, eccettoché (come ho detto) il nome, che più singolare e proprio gli abbiamo assegnato di “gravità”, doveché a quello con termine più generico assegnamo “virtù impressa”, a quello diamo “intelligenza”, o “assistente”, o “informante”, ed a infiniti altri moti diamo loro per cagione la “natura”»44 ; e ancora «gli odori […] i sapori […] i suoni li quali fuor dell’animal vivente non credo che sieno altro che nomi […] e fuor di noi precopernicana si trovava in difficoltà (posta di fronte com’era a una serie di dati d’osservazione che la confutavano e a numerose implausibilità), la teoria copernicana versava in difficoltà ancora maggiori (trovandosi di fronte a dati d’osservazione che la confutavano e a implausibilità ancora più drastiche); ma, essendo in accordo con teorie ancor più inadeguate, guadagnò forza e fu conservata, le confutazioni essendo state rese inefficaci mediante ipotesi ad hoc e mediante tecniche di persuasioni più abili» Ibid., p. 118. 42 Su questo aspetto, cfr. per esempio M. Pera, Scienza e retorica, Laterza, Roma-Bari 1991. 43 Mi sembra che il contesto di lettura, in cui inserire questo tipo di reminiscenza, sia il rifiuto della conoscenza per autorità: «non voler essere di quelli così sconoscenti e ingrati verso natura e Dio, che avendomi dato sensi e discorso, io voglia pospor sì gran doni alle fallacie di un uomo» Galileo, VI, 341 (Il Saggiatore). 44 Galileo, VII, 260 (Dialogo, corsivi aggiunti – per non creare confusione i corsivi galileiani sono stati qui sostituiti con le virgolette). p. 13 L. CONGIUNTI, Dalla “physica” alla fisica non sono altro che nomi […] rimosso il corpo animato e sensitivo, il calore non resti altro che un semplice vocabolo»45 . Galileo ha dunque orrore dei puri nomi, e sempre li paventa. Anzi, egli sembra contrapporre, con accenti simili a quelli successivi di Locke46 , l’essenza reale, che chiama “essenza della cosa”, e l’essenza nominale, che chiama invece “nome”. Ma questa sorta di nominalismo non sembra collocabile con coerenza in un contesto che lo spieghi. Anzi, l’interesse che Galileo mostra per la possibilità di fare affermazioni vere e necessarie47 sembra ridurre il “puro nome” ad una degenerazione da evitare. Galileo, infatti, afferma chiaramente che alcuni termini sono puri nomi, e precisamente quelli che pretendono di dire le essenze. Ma non afferma che tutti i concetti corrispondono a puri nomi. La questione rimanda al cosiddetto rifiuto delle essenze e alla negazione del valore oggettivo delle qualità secondarie, problematiche peculiarmente galileiane che risultano leggibili nella loro innovazione solo se proiettate su uno schermo di conoscenze universali. Galileo non argomenta, come vedremo poi, che niente si può conoscere, ma che proprio quelle nozioni ritenute tradizionalmente essenziali, proprio quelle non sono possedibili. Dunque, quel che sembra certo è che per Galileo la conoscenza riposa sulla priorità delle cose e sulla possibilità che i nomi si accomodino alle stesse cose. Sembra asserire, infatti, una sorta di inesauribile derivazione dei nomi dalle cose, laddove la priorità è appunto di ordine temporale e causale insieme, in un contesto in cui l’astrazione si presuppone in modo tradizionale come processo di produzione di concetti, a dirimere la questione tra universale in essendo e in praedicando48 . I “confini dell’intelletto” appaiono convertibili nei termini del “recipiente” tommasiano, ovvero del soggetto conoscente: «receptum est in recipiente per modum recipientis»49 . Galileo, VI, 350-351 (Il Saggiatore). J. Locke, Saggio sull’intelligenza umana ,trad. it., Laterza, Roma-Bari 1994, vol. III, lib. III, cap. VI, n. 2, pp. 494-495. 47 Egli vuole «la vera costituzion dell’universo» (Galileo, VI, 233, Il Saggiatore), afferma di «sentirsi tirare dalla necessità» (Galileo VI, 347 , Ibid.). 48 Tommaso d’Aquino, In Metaph., lib. VII, lec. XIII. 49 Id., S. Theol., I, q. 84, art. 1, resp. Così si esprime Boezio nella Consolazione della filosofia: «omne enim, quod cognoscitur, non secundum sui vim, sed secundum cognoscentium potius comprehenditur facultatem» Boezio, Consolatio Philosophiae, ed. a cura di K. Büchner, “Editiones Heidelbergenses”, Heidelberg 19602 , libro V, n. 4 (tondo aggiunto). 45 46 p. 14 Congresso Tomista Internazionale Dunque la scienza si costruisce con il primo grado di astrazione, anche se Galileo non lo chiama chiaramente così, e lo pone, implicito e inaggirabile, sullo sfondo. Per quanto riguarda il secondo grado di astrazione, abbiamo invece espliciti richiami; per esempio, nel contesto di una disputa di argomento fisico se la figura sia causa del movimento con un peripatetico che si appellava in senso affermativo a Aristotele, a Simplicio, ad Averroè ed a Tommaso, Galileo scrive: «E chi direbbe mai, altri che ‘l Sig. Grazia, che le figure semplicemente prese, che tanto è quanto dire prese in astratto e separate dai corpi sensibili, sien cagione di velocità o di tardità?»50 . Dunque Galileo ben conosce che le figure semplicemente prese corrispondono al secondo grado di astrazione, implicando un prescindere dalla materia sensibile; si tratta cioè di astrazione a sensibilibus51 : «separate dai corpi sensibili». Allude anche a una inoperanza, sul piano fisico ovvero dinamico52 , della figura semplicemente presa. Anche nella lettera a Guidobaldo del Monte53 , Galileo considera la geometria come disciplina dell’astratto, più precisamente dell’astrazione dalla materia: «e che quando cominciamo a concernere la materia, per la sua contingenza si cominciano ad alterare le proposizioni in astratto dal geometra Galileo, IV, 738 (Considerazioni appartenenti al libro del Sig. Vincenzo Di Grazia corsivi aggiunti). 51 «Uno modo sicut universalia abstracta intelligimus abstracta a singularibus, alio modo sicut matematica abstracta a sensibilibus»Tommaso d’Aquino, In Metaph., Lib. I, lec. X, n. 158. 52 Che la fisica si dia innanzitutto come studio del movimento, cioè come dinamica, è opinione condivisa da Aristotele e Galileo. Ricordiamo che l’affermazione «ignorato motu, ignoratur natura» (cfr. Aristotele, Phys., III 1, 200 b 15) viene riportata persino dall’antiaristotelico Vincenzo Viviani come “filosofico e vulgato assioma”, V. Viviani, Racconto istorico della vita di Galileo Galilei, in Galileo, XIX, e recentemente pubblicato con il titolo Vita di Galileo, a cura di B. Basile, Salerno Editrice, Roma 2001, p. 37. 53 Guidobaldo Del Monte , matematico, autore del Liber mechanicorum (1577) e dei Perspectivae Libri Sex (1600): «ricoprì un ruolo pratico come ispettore generale delle fortificazioni e delle città della Toscana dal 1588, ma la maggior parte della sua attività si svolse nel circolo degli intellettuali di Urbino, perseguendo un’erudizione scientifica e favorendo le ispirazioni di studiosi, come Galileo, animati da simili interessi» M. Kemp, La scienza dell’arte. Prospettiva e percezione visiva da Brunelleschi a Seurat, trad. it., Giunti, Firenze 1990, p. 103. La famiglia Del Monte ricorpre un ruolo importante nel mondo della cultura, anche per la sua funzione committente, per esempio, di Caravaggio. Cfr. R. Papa, Caravaggio, Giunti, Firenze 2002. 50 p. 15 L. CONGIUNTI, Dalla “physica” alla fisica considerate, delle quali non così perturbati siccome non si può dare certa scienza, così dalla loro speculazione è assoluto il matematico» 54 . A questo punto, premesso che Galileo non nega in generale la dottrina della astrazione (il primo grado) ma che la presuppone, e che conosce il secondo grado, possiamo capire meglio come si collochi con originalità il suo rapporto con il sapere55 . Solo passando attraverso la porta della astrazione possiamo comprendere cosa è la matematica per Galileo. Occorre misurarsi con il rapporto operante tra la figura semplicemente presa e la materia che è lasciata fuori da questa presa. Il Dialogo è il luogo opportuno per una tale verifica. «Simplicio: non è dubbio che l’imperfezion della materia fa che le cose prese in concreto non rispondano alle considerate in astratto. …. Salviati: Sì come a voler che i calcoli tornino sopra i zuccheri, le sete e le lane, bisogna che il computista faccia le sue tare di casse, invoglie e altre bagaglie, così, quando il filosofo geometra vuol riconoscere in concreto gli effetti dimostrati in astratto, bisogna che difalchi gli impedimenti della materia; che se ciò saprà fare, io vi assicuro che le cose si riscontreranno non meno aggiustatamente che i computi metrici. Gli errori dunque non consistono né nell’astratto né nel concreto, né nella geometria o nella fisica, ma nel calcolatore, che non sa fare i conti giusti» 56 . L’impostazione è estremamente interessante. Viene implicitamente ribadita la posizione tradizionale la geometria come scienza dell’astratto e la fisica come scienza del concreto ma si va contestualmente delineando la nuova figura di sapiente, capace di superare la distinzione tra astratto e concreto: il filosofo geometra. Non sarebbe improprio tradurre questa espressione con “fisico-matematico”: colui che affronta la materia con la geometria. Come può accadere questa straordinaria impresa conoscitiva? “Difalcando” gli impedimenti della materia. Ora, “difalcare” 57 non è “astrarre”, perché nel contesto della frase “astrarre” corrisponde al secondo grado di astrazione, cioè al prendere le figure senza materia sensibile. Difalcare è invece prendere anche Galileo, X, 100 (lettera a Guidobaldo del Monte, 29.XI.1602 – corsivo aggiunto). Una trattazione della nozione di “separazione”, e dunque dello statuto della metafisica secondo Galileo, esula dai limiti di questo breve scritto, tuttavia si può accennare che per Galileo la metafisica è ricondotta alla fisica, come sua condizione di verità (ovvero: viene costruita una metafisica che possa fungere da fondamento reale per le certezze della fisica), e che l’approccio alle cose divine appare lentamente spostato al di fuori dei compiti della ragione. 56 Galileo, VII, 234 (Dialogo- corsivi miei). 57 Ho cercato di cogliere il vero significato di questo verbo, anche nei miei Il mondo di Galileo: l’oggetto del suo sapere fisico-matematico, parte seconda: “Diffalcare gli impedimenti della materia ”, in “Verifiche”, XXIII (1994), 1-2, pp. 97-124; San Tommaso e Galileo: il “tentar l’essenza” tra la conoscenza e le scienze, cit. 54 55 p. 16 Congresso Tomista Internazionale la materia, ma senza le sue imperfezioni. Difalcare non è un’operazione conoscitiva di prescindere o negare, ma è un’operazione aritmetica, un calcolo. Il calcolo a cui Galileo fa riferimento è il calcolo del commerciante (forse una eco della professionalità paterna): il fine del calcolo è conoscere il peso netto, ma il peso netto non è mai da solo, è avvolto da casse, invoglie e bagaglie; queste possono essere pesate e sottratte: “peso lordo – tara = peso netto”. Ebbene quale calcolo si impone al filosofo geometra? Si impone di conoscere quanto pesa la “tara”, che non corrisponde alla “materia”, ma agli “impedimenti della materia”. Gli impedimenti della materia, che vanno sottratti nel calcolo del peso netto, sono il risultato di una eccedenza: significano quanta imperfezione della materia le impedisce di essere materia perfetta. L’attenzione deve, dunque, spostarsi sulla materia, ed è Galileo stesso ad aiutare in questa operazione. Infatti nelle Nuove Scienze, dunque nel suo più tardo testamento metodologico, scrive: «tuttavia io pure il dirò, affermando che, astraendo tutte le imperfezzioni (sic) della materia e supponendola perfettissima e inalterabile e da ogni accidental mutazione esente, con tutto ciò il solo esser materiale fa che la macchina maggiore, fabbricata dell’istessa materia e con l’istesse proporzioni che la minore, in tutte l’altre condizioni risponderà con giusta simmetria alla minore, fuor che nella robustezza e resistenza contro alle violente invasioni, ma quanto più sarà grande, tanto a proporzione sarà più debole. E perché io suppongo, la materia essere inalterabile, cioè sempre l’istessa, è manifesto che di lei, come di affezione eterna e necessaria, si possano produr dimostrazioni non meno dell’altre schiette e pure matematiche» 58 . Torna il verbo “astrarre” ma legato non alla materia (astrazione dal sensibile, la figura semplicemente presa) ma rivolto solo alle sue imperfezioni, a tutte le imperfezioni della materia. Dopo questa operazione, la materia come rimane? Rimane perfettissima e inalterabile, esente da ogni mutazione accidentale: per una tale materia si possono dare perfette dimostrazioni matematiche. L’astrazione-difalcazione si pone come diversa sia rispetto alla disindividuazione (che comunque presuppone) che dalla astrazione di secondo grado, perché è sottrazione solo di quanto nella materia è imperfetto, ovvero non solo dell’individuale ma non anche di tutta la materia. Il risultato di tale operazione non è di nuovo un concetto geometrico astratto, in sé non applicabile in quanto tale alla realtà concreta: siamo, invece, su un altro livello. Il risultato è un livello concettuale che, con il tramite della 58 Galileo, VIII, 50-51 (Nuove Scienze – corsivo aggiunto). p. 17 L. CONGIUNTI, Dalla “physica” alla fisica supposizione, coincide con quello reale. Infatti Galileo suppone la materia inalterabile: ci si potrebbe domandare se con questa operazione Galileo costringa la materia alla idealità. Bonicalzi, ponendo a confronto Aristotele, Galileo e Descartes, relativamente a Galileo così conclude: «le matematiche quali modi universali della scienza, costringono la materia a una inalterabilità ideale»59 . In effetti proprio questo accadrà, ma questa situazione non sembra essere rispondente alle intenzioni di Galileo: egli invece trova nella materia la sua essenza geometrica. Il libro della natura è scritto in caratteri matematici, questi caratteri sono della materia: per questo usa spesso la materia come attributo della figura geometrica, “piano materiale”, “triangolo materiale” etc. Non si tratta di considerare, con Tommaso, che «il termine “materiale” designa non solo ciò che è costituito di materia, ma anche ciò che esiste nella materia; in tal senso anche la linea sensibile può chiamarsi materiale. Per questo nulla vieta che la linea possa comprendersi senza materia»60 . È come se Galileo additasse una nuova via, non astratta né concreta, ma calcolata: l’ipotesi considera la materia come inalterabile con alterazioni sottraibili. Sottrarre non vuol dire, allora, mettere fra parentesi o prescindere, vuole dire proprio calcolare. Ecco il risultato: non il geometra che astrae o il fisico che concretizza (figure aristoteliche), e neanche l’astronomo e il musicista (figure medie), ma il filosofo geometra che semplicemente sa calcolare tutta la realtà! Allora, se la figura semplicemente presa non opera niente, invece la figura congiunta alla materia produce movimento: «La figura, come figura, non opera cosa alcuna, ma bisogna che ella sia congiunta con la materia»61 . Questo vuol dire che la sostanza è sinolo di materia e figura geometrica con delle accidentali imperfezioni dalle quali si può prescindere, calcolandole. La materia, cui sono state sottratte le imperfezioni, risulta descritta nelle Nuove Scienze proprio come nel Dialogo Galileo descrive l’eterea quintessenza della cosmologia aristotelico-tolemaica: «la sustanza de i corpi celesti esser ingenerabile, incorruttibile, inalterabile, impassibile, ed in somma esente da ogni mutazione, fuor che dalla locale» 62 . La supposizione delle Nuove Scienze è, F. Bonicalzi, L’ordine della certezza. Scientificità e persuasione in Descartes, Marietti, Genova 1990. 60 Tommaso d’Aquino, In Boet. De Trin., q. V, art. 3, ad 2um. 61 Galileo, IV, 89 (Discorso intorno alle cose che stanno in su l’acqua o che in quella si muovono) 62 Galileo, VII, 131 (Dialogo). 59 p. 18 Congresso Tomista Internazionale dunque, innanzitutto una supposizione cosmologica63 : la materia della terra è uguale a quella delle stelle, basta saper sottrarre la tara. La unificazione di fisica e matematica, e di astronomia e fisica terrestre, avviene in un colpo solo e con la medesima operazione intellettuale: il difalcare, l’astrazione-sottrazione. “Fisica matematica” sarà allora il nome di una nuova scienza, che usa la matematica per conoscere le cose della natura e soprattutto il loro movimento, che ne è l’aspetto più facilmente misurabile. Ma non è l’esistenza di questa disciplina a porre problema, quanto la sua estensione che tende a coprire tutto l’ambito del sapere teoretico. Galileo esplicita questo passaggio affermando: «è forza di confessare che il voler trattare le quistioni naturali senza geometria è un tentar di fare quello che è impossibile a esser fatto» 64 . È impossibile perché la materia è, sottratte le alterazioni, inalterabile. Lo statuto delle scienze medie viene sottratto a ogni intermedietà, diventando la norma, risulta universalizzato, cioè reso esteso tanto quanto la fisica. Questo perché lo sguardo matematico non è solo uno sguardo possibile, ma è divenuto per Galileo uno sguardo necessario. Notiamo che Tommaso aveva presente l’errore di chi poneva la matematica al posto della metafisica – «sa che platonismo e aristotelismo ebbero il periodo di offuscamento con l’ingresso esagerato della matematica nelle loro costruzioni» 65 –, per questo sottolinea i limiti del sapere matematico che «per la materialità e per l’immaginazione riproduttrice che in esso permangono, si pone a un livello inferiore rispetto al sapere metafisico» 66 . L’operazione di Galileo è diversa: la matematica si estende sulla fisica e poi sulla metafisica, dando luogo a una visione del mondo che risulta assunta per l’efficacia del suo risultato. Dunque Galileo, come ogni scienziato che con i nomi voglia parlare delle cose, presuppone l’astrazione disindividuante, mentre da fisico-matematico oltrepassa l’astrazione dalla materia sensibile, sostituendola con il calcolo della sottrazione. La confusa consapevolezza di questa situazione epistemologica conduce Galileo alla richiesta del titolo di “filosofo”: una richiesta che sembra avere non solo una intenzione particolare, singolare “io sono un filosofo”, ma anche e Reputa la Terra goder delle medesime perfezioni che gli altri corpi integranti dell’universo, es esser in somma un globo mobile e vagante non men che la Luna, Giove, Venere o altro pianeta» Ibid. 64 Galileo, VII-229 (Ibid.). 65 G. Mazzotta, op. cit., p. 63*. 66 Ibid. 63 « p. 19 L. CONGIUNTI, Dalla “physica” alla fisica soprattutto universale: “ogni scienziato è un filosofo, il vero filosofo è lo scienziato”. Dunque, nella prospettiva galileiana sembra affacciarsi non solo il tentativo che anche lo scienziato sia riconosciuto come umanista, ma la pretesa che l’umanista sia riconosciuto solo nello scienziato: solo una corretta impostazione della questione dei gradi di astrazione può forse consentire la feconda convivenza dell’umanesimo e delle scienze. p. 20