Enigma dei lampi di raggi gamma. Missione scientifica nello spazio realizzata dal Dipartimento Interateneo di Fisica (Università di Bari, Politecnico di Bari) e dall’INFN. A partire dalle ore 17 di martedì 3 giugno, per tre giorni consecutivi, si apre presso la base di Cape Canaveral in Florida, la “finestra di lancio” del razzo vettore Delta II della NASA che reca il satellite scientifico internazionale GLAST. L’incertezza sulla data è comune nei casi in cui sulle piattaforme di lancio della base ci siano più vettori in “lista d’attesa”. Nel nostro caso si tratta dello shuttle “Discovery” in partenza verso la Stazione Spaziale Internazionale: è comprensibile che a differenza degli aeroporti, dove le liste d’attesa per il traffico aereo sono dell’ordine dei minuti (quando va bene!), per questi giganti dello spazio ci vogliano un paio di giorni. Il satellite GLAST, del peso di circa 4 tonnellate, sarà collocato entro 75 minuti dal decollo su un’orbita circolare di 565 Km di altezza e compirà un giro del globo ogni 90 minuti, esplorando la volta celeste e trasmettendo i dati a terra per un periodo stimabile dai cinque ai dieci anni. Lo scopo principale della missione scientifica è quello di osservare i raggi gamma provenienti dalle regioni più remote dell’universo, dove hanno luogo cataclismi cosmici non ancora ben conosciuti che coinvolgono quasar, pulsar, supernove … che a loro volta testimoniano, in funzione della loro distanza, ere molto turbolente in cui l’universo era più giovane di alcuni miliardi di anni di quello attuale. I raggi gamma riescono ad attraversare tali distanze senza essere praticamente disturbati e a differenza delle particelle cosmiche corpuscolari non sono deviati dai campi magnetici galattici: quindi recano una sicura informazione sulla posizione e sull’evoluzione della sorgente di partenza. L’indagine scientifica diretta sui raggi gamma cosmici nasce all’inizio degli anni ’60 attraverso misure effettuate da satelliti militari statunitensi collocati in orbita per monitorare eventuali test nucleari eseguiti in violazione del trattato di sospensione sottoscritto poco prima tra le super-potenze mondiali. I sensori di questi satelliti invece registravano frequenti lampi di raggi gamma di origine sconosciuta provenienti non dalla superficie terrestre, ma dalla volta celeste. Dieci anni dopo, rimosso il segreto militare, gli astrofisici intrapresero uno studio sistematico con apparecchiature più moderne installate su diversi satelliti. Alla fine degli anni ’90 il satellite dell’ESA denominato Beppo-Sax ed il satellite EGRET della NASA hanno praticamente chiarito che questi lampi (almeno un lampo al giorno), raggiungono senza preavviso la terra da distanze variabili che si spingono sino a 12 miliardi di anni luce (quando l’universo era quasi cinque volte più piccolo di adesso ed aveva un settimo dell’età attuale!). Subito dopo l’arrivo essi si possono associare con estrema precisione a sorgenti molto attive ed osservabili nella banda radio, nel visibile e nella banda dei raggi X. La maggior parte di queste sorgenti libera istantaneamente nel lampo energie incredibili, pari per esempio a quella emessa da tutto l’universo osservabile in un secondo! Il meccanismo di emissione di questi lampi è ancora controverso e capire se si tratta di esplosioni di supernove di massa elevata (diciamo alcune decine di volte quella solare) o collisioni tra buchi neri è materia di studio dei prossimi anni, attraverso i dati più copiosi e precisi di questo nuovo satellite. Qui a Bari presso il Dipartimento di Fisica si è formato negli ultimi dieci anni un folto gruppo di ricercatori che ha contribuito in modo determinante a realizzare i dispositivi elettronici di questo che attualmente è il più grande satellite per osservazione di raggi gamma. Il cuore della strumentazione di bordo, tutta realizzata insieme ad altri ricercatori italiani, consiste di circa un milione di sensori a silicio. La costruzione di questo apparato molto complesso ha costituito una sfida tecnologica senza precedenti in quanto ha implicato la messa a punto di rivelatori miniaturizzati e alquanto sofisticati che debbono consumare pochissima energia elettrica e reggere gli stress meccanici, termici e l’esposizione a radiazioni nello spazio per almeno dieci anni. Il sostegno a questa collaborazione è stato assicurato dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e dall’Agenzia Spaziale Italiana e a livello internazionale da USA, Francia, Germania, Svezia, Giappone che hanno sviluppato tutta la strumentazione complementare e hanno fornito contributi progettuali e logistici essenziali all’iniziativa. Il costo della missione è dell’ordine del miliardo di dollari, malgrado un notevole risparmio dovuto al lavoro di realizzazione in casa della componente italiana e soprattutto barese. Se il satellite fosse stato tutto costruito come altri dalle industrie specializzate forse sarebbe costato il doppio! Appena il satellite sarà stato collocato in orbita si prevedono come prime ed indispensabili operazioni la calibrazione della strumentazione, la valutazione dei disturbi sulle misure ed infine il puntamento verso una delle sorgenti cosmiche più luminose nella banda dei raggi gamma. Si tratta della pulsar di Vela, che ci consentirà sia di verificare la capacità del satellite di puntare la sua strumentazione verso regioni precise dell’universo, che di calibrare la risposta temporale dei dispositivi elettronici. In questa fase, che sarà seguita dai nostri ricercatori baresi presso il laboratorio di Stanford in California, dura 60 giorni circa. Tutto l'apparato satellitare sarà già completamente attivato e osserverà gran parte della volta celeste, consentendo subito (ci auguriamo) importanti scoperte nel campo astrofisico. Successivamente tutti i dati che saranno raccolti saranno analizzati presso i laboratori delle università italiane e straniere coinvolte: si studieranno oltre a questi enigmatici lampi di raggi gamma, soprattutto pulsar, materia oscura, brillamenti solari, buchi neri super massicci, raggi cosmici....un lavoro che inizia più di dieci anni fa e che ne durerà altrettanti, un ritorno scientifico di gran valore per la nostra comunità accademica, una preziosa opportunità per quei giovani che qui a Bari vorranno orientare la loro curiosità scientifica ed il loro entusiasmo creativo verso questi temi di astrofisica. Paolo Spinelli prof. ord. di Fisica Sperimentale,