se essere felice
L'Organizzazione Mondiale della Sanità definisce la salute come "uno stato di
completo benessere fisico, mentale e sociale e non la semplice assenza dello stato
di malattia o infermità".
1° capitolo
IL PROBLEMA
Numerosi studi indicano che quando le popolazioni indigene, consumano cibi
occidentali, cominciano a soffrire di problemi di salute, anche gravi come quelli
cardiaci o oncologici
La differenza tra il cibo che mangiamo noi e il loro, non sta solamente nella
carne o nei grassi, ma nella differente genuinità del cibo.
Sicuramente l’abuso di grassi saturi, può essere la causa di problemi cardiaci,
ma non solo, ci si rende conto
studiando gli Eschimesi che,
con un’alimentazione ricca di
grassi, hanno pochi problemi
cardiaci.
“Il colpevole pare essere,
l’adulterazione di tutto ciò che
mettiamo in bocca; questo
include l’aggiunta massiccia di
zucchero raffinato, che
aumenta i grassi nel sangue e
diminuisce la forza del
sistema immunitario”. "Esiste
una relazione fra
comportamenti alimentari
scorretti e il manifestarsi di
malattie - spiega Katia
Petroni, membro del comitato
scientifico di valutazione della
fondazione Veronesi, con
particolare attenzione agli
effetti del sovrappeso. Infatti
il grasso addominale porta ad
infiammazioni croniche che
sono terreno fertile di
malattie cardiovascolari, tumori e malattie degenerative del sistema nervoso.
E'quindi cruciale scegliere meglio gli alimenti riducendo l'apporto calorico,
l'indice glicemico e il carico glicemico
Naturalmente questo è solo una piccola parte del problema, come scrive
Stephen Davies, “il trattamento dei cibi e le tecniche di raffinazione
compromettono ulteriormente il contenuto nutritivo, allo stesso modo delle
tecniche di coltivazione intensiva che portano alla demineralizzazione della
terra. Gli agenti chimici utilizzati nelle coltivazioni, e altri inquinanti ambientali,
si inseriscono nella catena alimentare, distruggendo ulteriormente il valore
nutritivo dei cibi e indebolendo i nostri meccanismi di disintossicazione”.
Stephen Davies sostiene che
“molte malattie degenerative
come
quelle
coronariche,
potrebbero essere dovute in
larga parte, all’ incapacità del
nostro corpo di adeguarsi alla
rivoluzione virtuale del XX
secolo per quanto riguarda il
cibo.”
Il problema primario riguarda
i mezzi che utilizzano per far
crescere, raccogliere, vendere
e preparare il cibo che
mettiamo in tavola.
Al nostro sistema digestivo,
viene chiesto uno sforzo
enorme per trasformare oltre
al cibo, “migliaia di nuovi e
strani elementi” assunti con la
nostra alimentazione.
Ad esempio oggi, come scrive
Mc Taggart, “le industrie
legate alla produzione di
carne, fanno largo uso di
steroidi,
antibiotici,
tranquillanti e betabloccanti.
Nell’agricoltura vengono impiegati normalmente, pesticidi, erbicidi, rodenticidi,
fungicidi e fertilizzanti nitrati”.
Inoltre la raffinazione del grano e dello zucchero, riduce la presenza di minerali
e di vitamine nell’alimento.
Per conservare i cibi, vengono aggiunti, additivi, coloranti, dolcificanti,
modificatori di consistenza o conservanti.
Irraggiamento dei vegetali
L’irradiazione dei cibi è utilizzata per:
1) inibire enzimi e spore che causano il deterioramento degli alimenti,
aumentando la durata d’immagazzinamento del cibo;
2) inattivare il materiale genetico delle cellule microbiche e di altri
microrganismi patogeni e parassiti, uccidendoli o impendendone la
riproduzione, diminuendo quindi tanto la probabilità di contaminazione
dell'ambiente dei paesi in cui il cibo viene esportato con specie aliene che
quella di intossicazioni e tossinfezioni, soprattutto per carne, prodotti ittici e
pollame;
3) sterilizzare il cibo stesso, ritardando sia la maturazione che la germinazione
di bulbi, tuberi e altre radici commestibili e permettendone l'estensione del
periodo di commercializzazione e l'esportazione a lunghe distanze;
La radiazione danneggia il materiale genetico degli organismi con cui entra in
contatto uccidendoli o impendendone la riproduzione danneggiandone gli
organi sessuali (o i tessuti embrionali o germinali, come nel caso dello stesso
cibo quando quest'ultimo è un frutto o un tubero), e modificando allo stesso
tempo anche le proprietà chimico-fisiche degli alimenti stessi.
È importante ricordare che un cibo irradiato può essere liberato dai
batteri, ma non dalle tossine da essi prodotte. Inoltre un cibo irradiato
deve la sua lunga conservazione a una sterilizzazione quasi totale, che
intacca anche il suo contenuto di probiotici.
La sicurezza del processo si baserebbe sul fatto che i prodotti radiolitici sono al
90% composti chimici già presenti negli alimenti. Le autorità sanitarie di più di
50 paesi paesi hanno ritenuto l'effetto sulla salute umane del restante 10%
non critico che non vuol dire che non sia tossico.
La composizione chimica di un cibo irradiato risulta comunque diversa da
quella di un cibo trattato per via termica: Per
esempio l'esposizione di campioni di latte
vaccino a cottura tramite microonde ha rivelato
che gli aminoacidi trans-idroxiprolina e l-prolina
subiscono una trasformazione nei rispettivi
isomeri cis-idroxiprolina e d-prolina; nei
campioni dello stesso latte, processati con
cotture tradizionali (ebollizione), non si è invece
rivelato tale processo di isomerizzazione.
I vegetali irradiati sono inoltre depauperati di
molte vitamine, quali la C, la B1 e la B2,
con un evidente perdita del loro valore
nutrizionale, che spesso non traspare al
consumatore dall'apparenza del prodotto
Stefano
Ciafani,
vicepresidente
nazionale
Legambiente, dice: «Chiediamo con forza
maggiori e migliori controlli sui prodotti agroalimentari importati in Italia da
zone contaminate radioattivamente, come ad esempio quelle limitrofe a
Chernobyl o Fukushima. I paesi colpiti dal disastro di Chernobyl, o quello di
Fukushima, hanno posto sui prodotti agroalimentari contaminati limiti più
restrittivi rispetto a quelli europei con la conseguenza che i prodotti alimentari
che non possono più essere commercializzati sono, invece, legittimamente
importati dai paesi dell’Unione Europea e venduti all’interno dell’Europa.
Il Parlamento italiano e la Commissione Europea attui provvedimenti specifici
per rivedere e abbassare i limiti di radioattività consentita per tutelare così
consumatori, italiani ed europei, rispetto al rischio di alimentarsi nella dieta
quotidiana con prodotti che altri paesi considerano radioattivi».
Gran parte della frutta che mangiamo è importata
Forse non siamo a conoscenza che dal mese di ottobre fino a giugno, le arance
che troviamo in vendita sono di produzione italiana, anche se possono arrivare
da Spagna e Grecia, mentre negli altri mesi dell’anno arrivano dal Sud del
mondo. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare molte arance non sono
di colore arancio. A causa delle condizioni climatiche nel paese di produzioni
possono infatti avere tonalità dal giallo al verde. Ma visto che il consumatore
desidera un ben determinato colore i frutti vengono trattati chimicamente. In
questo caso la maturazione della frutta viene artificialmente accelerata con
l'utilizzo di alcune sostanze chimiche.
Uno degli acceleranti di maturazione più diffuso è l'etilene, un gas che si
diffonde nei tessuti dei frutti e che può risultare più efficace delle auxine,
giberelline e acido abscissico.
Per ottenere la maturazione accelerata la frutta viene conservata in camere ad
elevata presenza di etilene che ne causa un aumento della respirazione e
l'idrolisi della cellulosa. Questo processo è necessario solo per i frutti
climaterici.
L'UE prescrive addirittura che un frutto troppo verde non possa essere
venduto.
La maggior parte delle arance di importazione, infatti, vengono raccolte ancora
acerbe, poste in refrigeratori e trattate con etilene per farle maturare e
colorare. La buccia viene trattata con cera naturale o paraffina per aumentare
la brillantezza e proteggerle.
La maggior parte dei frutti appena raccolti è trattata con antifungini per
prevenire il formarsi della muffa.
Nei supermercati però si trovano solo arance rosse. Ciò è dovuto alle
aspettative dei consumatori che hanno indotto i produttori a creare agrumi
facili da sbucciare, privi di semi e con precise caratteristiche che ne attestino le
virtù salutari.
In particolare l'attenzione salutista ha rispolverato l'interesse per le arance
rosse, cadute in disgrazia una ventina d'anni fa in favore delle bionde. Il verde,
in Italia, è considerato il segnale di un frutto non maturo. Per questo le arance
verdi non si vendono, sebbene non via sia alcun nesso fra il grado di
maturazione e la tonalità della loro buccia.
Questo tipo di agrume assume la sua colorazione considerata tipica soprattutto
quando viene coltivato in regioni
con clima temperato come Italia.
Ma persino nel nostro paese il
colore non è garantito, visto che le
temperature possono scendere
non a sufficienza, specialmente
per quanto riguarda i raccolti
precoci. Per questa ragione i frutti
vengono trattati con etilene: il
processo,
che
permette
di
"togliere il verde", viene applicato
nell'Europa meridionale e quindi in Italia soprattutto all'inizio della stagione
delle arance, vale a dire in autunno.
e questo è solo un esempio ma ogni frutto o vegetale importato subisce queste
aggressioni
ERRORI E ABITUDINI DI UNO
ALIMENTAZIONE NON CORRETTA
STILE
DI
VITA
E
UN'
L’errore alimentare più comune consiste nello squilibrio tra assunzione di
calorie e consumo dell’energia introdotta nella dieta, con un eccesso relativo
della prima che conduce all’accumulo di grasso.
Un contributo significativo all’aumento del peso deriva da uno stile alimentare
tipico dei fast food: porzioni molto abbondanti e a poco prezzo a scapito della
qualità degli alimenti, con scarsa presenza di frutta e verdura e alimenti
freschi.
E’ stato dimostrato che gli alimenti più preziosi per la salute (frutta e verdura e
in generale tutti gli alimenti freschi) incidono sulla spesa domestica e le
persone
economicamente
svantaggiate tendono a scegliere
alimenti
meno
costosi
(conservati e quindi con alto
contenuto di grassi saturi e
sale).
Un’altra abitudine alimentare non
salutare, ma della quale le
persone hanno scarsa
consapevolezza (iperconsumo
passivo), è il consumo fuori pasto di cibi altamente energetici e di bevande
zuccherate che non risponde a una reale necessità dell’organismo ma
obbedisce all’offerta continua di alimenti e bevande sulla spinta della
pubblicità, specie della televisione, che promuove selettivamente alimenti
calorici, ricchi di grassi, sale e zuccheri e di bevande zuccherine. Soprattutto i
bambini e le classi sociali svantaggiate rappresentano il bersaglio di queste
forme di promozione di abitudini alimentari non corrette.
Il ruolo negativo della televisione (come anche dei videogiochi) si esercita
anche tramite la tendenza alla sedentarietà, dal momento che le ore destinate
all’attività fisica vengono sostituite da lunghi tempi di permanenza di fronte al
video. Ciò vale soprattutto per i giovani, ma questo stile di vita riguarda
sempre di più anche gli adulti.
D’altra parte sono sempre più chiare le prove che le abitudini alimentari
acquisite nell’infanzia si mantengono tendenzialmente per tutta la vita. La
famiglia (in particolare la figura materna) e la scuola hanno perciò un ruolo
determinante nell’influenzare le scelte alimentari future.
Negli ultimi 50 anni molto è cambiato. Lo dicono i dati dell’Organizzazione
Mondiale della Sanità: gli obesi sull’intero pianeta sfiorano la quota di due
miliardi, la metà dei quali hanno sviluppato questa condizione soltanto dopo il
1980. Negli ultimi trent’anni sono mutati i costumi e i comportamenti
alimentari. Basti pensare a bevande zuccherate, energy drink e junk food,
entrati a “gamba tesa” sul mercato in appena tre lustri attraverso massicce
strategie di marketing mirate ad aumentarne i consumi.
O al graduale e inesorabile incremento delle porzioni.
Più che pensare ai rimedi, dunque, è la prevenzione la strategia più efficace da
mettere in campo. Su questo gli specialisti sono concordi: un adeguato
percorso di educazione alimentare, soprattutto tra i più piccoli, e il rispetto di
una dieta di tipo mediterraneo possono ridurre l’insorgenza di nuovi casi di
obesità e di tutte le malattie a essa correlate.
La scuola può contribuire distribuendo una merenda bilanciata a metà mattina,
impostando menù salutari nelle mense scolastiche, eliminando spuntini e
bevande caloriche dai distributori automatici e facendo svolgere almeno le due
ore di attività motoria suggerite dal curriculum scolastico a tutti gli alunni. Nel
contesto scolastico sta diventando sempre più importante la questione del
cosiddetto obesity bias, ovvero la tendenza a giudicare negativamente una
persona in sovrappeso che ha come conseguenze derisione e critiche
emotivamente dannose per i bambini e gli adolescenti coinvolti.
Cominciamo ad esplorare anche i danni della sedentarietà
Le funzioni fisiologiche migliorano fino ai 30 anni di età. Dopodiché inizia un
declino che, però, è variabile tra le funzioni.
L'attività fisica gioca un ruolo di primo piano nel rallentare l'orologio biologico.
Ad esempio, la capacità aerobica è superiore del 25% circa in soggetti
fisicamente attivi rispetto ai sedentari di tutte le età. Se ci si mantiene allenati
si può arrivare a 50 anni e valere come un soggetto di 20 anni sedentario.
Vediamo nel particolare cosa succede col tempo ai vari organi e sistemi.
• Una persona sedentaria ha doppie possibilità di avere problemi al
cuore rispetto ad una fisicamente attiva e doppie possibilità di morire in caso
di infarto.
• Stesso livello di rischio lo corre chi soffre di ipertensione, chi fuma, chi ha il
colesterolo alto.
• Il 30% almeno delle morti legate a problemi di cuore, diabete e
cancro al colon sono riconducibili alla vita sedentaria.
• L'inattività fisica aumenta il rischio di mortalità per tutte le cause, dove le
malattie cardiovascolari sono le protagoniste indiscusse.
• Le persone inattive corrono un rischio di mortalità per tutte le cause fino al
30% maggiore delle persone fisicamente attive.
• Il World Health Report (WHR, 2002) ha quantificato le morti annuali nel
mondo legate all'inattività fisica:1,9 milioni.
• E nelle nazioni sviluppate i "morti per pigrizia" vanno dal 5% al 10% del
totale dei decessi. Un'enormità.
• L'"Interheart Study", pubblicato su Lancet nel 2004 condotto
longitudinalmente per 5 anni su 30000 persone di tutto il mondo ha concluso
che addirittura il 90% delle malattie coronariche (CHD, coronary heart
diseases) sono legate in primis al fumo e a un eccesso di lipidi nel sangue. Ma
subito dopo troviamo la sedentarietà assieme ad obesità addominale, diabete e
ipertensione
• Tra i più quotati fattori di rischio mortalità troviamo dunque il fumo,
l'alimentazione scorretta l'obesità, l'ipertensione, il diabete e un
eccesso di lipidi plasmatici (colesterolo e trigliceridi). Tutti fattori,
guarda caso, prevenibili (o contenibili) con l'attività fisica e una buona
alimentazione
Quali danni alla salute possono derivare da un’alimentazione
non corretta?
La sindrome metabolica
La sindrome metabolica è un insieme di fattori di rischio che, sommati, hanno
un impatto sulla salute peggiore dei singoli fattori presi uno per uno. Chi può
essere definito portatore di sindrome metabolica?
Chi presenta almeno tre o più di questi fattori:
• Ipertensione
• Glucosio ematico elevato
• Trigliceridi alti
• Colesterolo HDL basso
• Obesità addominale (grasso viscerale con girovita >88 cm nelle donne e
>102 cm negli uomini)
La sindrome è caratterizzata da resistenza all'insulina, infatti viene altrimenti
detta sindrome da resistenza all'insulina.
La sindrome metabolica è legata anche a fattori genetici ancora sconosciuti,
ma l'inattività fisica e una scorretta alimentazione è associata con un rischio
elevato di svilupparla.
MASSA OSSEA, OSTEOPOROSI E RISCHIO DI FRATTURE
L'osteoporosi
rappresenta
una perdita di massa ossea
e un deterioramento della
microarchitettura
del
tessuto osseo. La perdita di
calcio dalle ossa è un fatto
fisiologico e colpisce più le
donne degli uomini. Nelle
donne la perdita di calcio
inizia a 35 anni nella misura
dello
0,8%
all'anno;
nell'uomo questa perdita
inizia a 50 anni ed è la
metà della donna. Si parla
di
osteoporosi
quando,
all'esame
della
MOC
(Mineralometria
Ossea
Computerizzata),
viene
diagnosticata
una
BMD
(densità minerale ossea)
inferiore di almeno 2,5
deviazioni standard (DS) a quella media di una giovane donna adulta. Lo
scheletro della donna è protetto dalla perdita di calcio grazie alla presenza di
estrogeni. La menopausa e la drammatica riduzione di estrogeni comporta un
minor assorbimento di calcio a livello intestinale e una minor produzione di
calcitonina (ormone che contrasta la perdita di calcio dalle ossa). Le perdite di
calcio superano abbondantemente le deposizioni sulle ossa e la
demineralizzazione dello scheletro femminile procede ad una velocità del 3-6%
all'anno nei primi cinque anni successivi alla menopausa, per poi stabilizzarsi
attorno all'1% all'anno. Di questo passo, a 70 anni una donna può aver già
perso il 30% della propria massa ossea. Questo indebolimento significativo
delle ossa le espone facilmente a fratture. Anche qua l'attività fisica e
l'alimentazione gioca un ruolo cruciale e si lega a doppio filo alla prevenzione
delle fratture in presenza di osteoporosi. In primo luogo perché l'associazione
tra attività fisica e alimentazione aiuta a contenere la perdita di calcio secondo
un principio di risposta localizzata allo stress muscolare: si rinforzano solo le
ossa legate ai muscoli sollecitati. La contrazione muscolare è un fattore di
stimolo della mineralizzazione ossea, anche se con un effetto più o meno
pronunciato in base all'età.
Nelle donne, in particolare, in periodo pre-menopausale può mantenere o
aumentare la densità della massa ossea, mentre nel periodo peri-menopausale
e post-menopausale serve soprattutto a contenere o a mantenere le perdite di
calcio. Soggetti fisicamente attivi hanno un rischio di fratture del femore del
20-40% fino al 55% in meno rispetto a soggetti inattivi. Cioè, l'osteoporosi è
un fattore predisponente, ma le cause scatenanti sono, soprattutto, le cadute.
Nelle donne anziane solo il 28% delle fratture del femore sono spontanee
legate direttamente all'osteoporosi. Il resto del rischio è riconducibile ad altri
fattori, in particolare alle cadute. Mantenersi attivi e forti è l'unico antidoto alle
cadute e un valido aiuto per invertire/mantenere/contenere la decalcificazione.
Malattie cardiovascolari e cerebrali
Secondo l’Atlante
pubblicato dall’Organizzazione mondiale della sanità,
l’alimentazione non corretta e la sedentarietà sono tra i maggiori responsabili
(precedute solo dall’abitudine al fumo) dei 17 milioni di morti per malattie
circolatorie cardiache e cerebrali.
Un grosso contributo negativo è fornito indubbiamente dall’eccesso di grassi e
in particolare da quelli di origine animale (cioè i grassi saturi e il colesterolo)
che aumentano i livelli di lipidi pericolosi nel sangue (LDL) e riducono il
cosiddetto colesterolo buono (HDL), favorendo cosi i processi di aterosclerosi.
Gli alimenti più ricchi di acidi grassi saturi e colesterolo sono la carne e gli
insaccati, i formaggi, gli oli da frittura. Se al consumo di questi alimenti si
aggiunge una condizione di sovrappeso o di obesità, come spesso accade, il
rischio per il cuore è amplificato.
L’alimentazione influenza anche il rischio di cancro. A oggi è stata
identificata una chiara relazione tra tumori dello stomaco e dell’esofago e
un’alimentazione ricca di carne rossa.
Esiste poi un rischio aggiuntivo di neoplasie dell’apparato digerente dovuto
all’assunzione di alcol. Più dubbie sono le relazioni tra dieta e tumore della
prostata, del rene e della vescica e ancora meno con il tumore della
mammella.
Dopo molti anni di analisi di oltre 7.000 studi scientifici, l’American Institute of
Cancer Research (AICR) e il World Cancer Research Fund (WRF), due
autorevoli società scientifiche statunitensi, hanno messo a punto un decalogo
di raccomandazioni per la prevenzione del cancro a tavola.
– Raccomandazioni AICR/WRF per la prevenzione del cancro attraverso
l’alimentazione
1. Mantenersi il più possibile magri ma evitare di essere sottopeso
2. Praticare l’attività fisica per almeno 30 minuti al giorno
3. Evitare le bevande zuccherate. Limitare il consumo di alimenti a elevato
apporto calorico
4. Consumare ortaggi, frutta, cereali e legumi di vario tipo
5. Limitare il consumo di carne rossa (come vitello, maiale e agnello)
ed evitare le carni conservate
6. Se si consumano bevande alcoliche, limitarsi a 2 unità alcoliche al giorno
per l’uomo e 1 unità alcolica per la donna
7. Limitare il consumo di cibi salati e gli alimenti conservati sotto sale
(cloruro di sodio)
8. Non usare integratori/supplementi per la prevenzione del cancro
9. Proseguire l’allattamento al seno fino al sesto mese e poi passare ad altre
bevande e alimenti
10. Chi ha una storia di cancro deve, dopo il trattamento, seguire le
raccomandazioni per la prevenzione oncologica
I grassi sono un elemento importante della dieta, ma ne va limitata la quantità
e soprattutto vanno scelti secondo la qualità. I grassi dovrebbero
rappresentare circa un terzo delle calorie da assumere quotidianamente, ma
vanno privilegiati i grassi essenziali insaturi (quelli del tipo omega-3 e omega-6
contenuti negli oli di semi e nel pesce) e limitati i grassi animali.
Per quanto riguarda gli zuccheri (carboidrati), va raccomandato soprattutto il
consumo di quelli complessi (ricchi di amido e presenti in cereali, pasta riso,
legumi secchi e patate), limitando l’assunzione di carboidrati semplici (il
glucosio, il saccarosio e il fruttosio presenti in dolci, merendine e snack).
L’eccessiva assunzione di zuccheri semplici nell’infanzia, insieme al mancato
consumo della prima colazione va corretto perché rappresenta, insieme a
sedentarietà e scarso introito di frutta e verdura, uno dei fattori di rischio per
sovrappeso e obesità.
Molti studi indicano che un abbondante consumo frutta e verdura
fresca, ma anche di cereali e legumi, riduce il rischio cardio e
cerebrovascolare (e anche la mortalità per queste cause) nonché la
probabilità di insorgenza di tumori del colon-retto e del polmone.
Una parte dei benefici derivanti dagli ortaggi è legato anche alla presenza di
fibra alimentare, il cui introito raccomandato è intorno ai 30 g al giorno. Il
contenuto di fibre alimentari controlla l’assorbimento di zuccheri e grassi e
quindi i livelli di glucosio e grassi nel sangue. Inoltre facilita il raggiungimento
del senso di sazietà. Infine è importante l’apporto con la frutta e la verdura di
micronutrienti, come vitamine, sostanze antiossidanti e sali minerali.
Si calcola che se ogni cittadino dell’Unione Europea consumasse 600
grammi di frutta e verdura al giorno, si eviterebbero più di 135 mila
morti all’anno per malattie cardiovascolari. La soglia di 400 grammi al
giorno, corrispondente a circa 5 porzioni (five a day), è la quantità
minima consigliata.
La ripartizione ideale degli alimenti e delle calorie
Per gruppi di alimenti
Nell’arco della giornata
In una dieta equilibrata le calorie dovrebbero provenire:
• per circa il 55-60% dai carboidrati
• per il 28-30% dai grassi
• per il 10-12% dalle proteine
Le calorie giornaliere devono essere introdotte:
• per il 20% a colazione
• per il 40% a pranzo
• per il 30% a cena
• per il 5% a metà mattina
• per il 5% a metà pomeriggio
Per quanto frutta e verdura diano un contributo prezioso all’organismo per la
loro ricchezza di vitamine e sali minerali, l’abitudine in costante crescita di
aggiungere alla dieta integratori alimentari (a base principalmente di vitamine
del gruppo A, B, C, E, di folati e beta carotene con o senza l’aggiunta di
minerali) ha fatto discutere la comunità scientifica. Infatti non è provata un
loro effetto sulla riduzione del rischio di malattie cardiache e tumori e anzi sono
emersi alcuni rischi.
In merito all’utilizzo degli integratori alimentari il Ministero della
Salute ha emanato nel 2002 una Circolare che precisa che gli
integratori non possono sostituire i cibi.
Il Ministero della Salute, a garanzia della sicurezza del consumatore, ha
stabilito l’apporto giornaliero massimo di vitamine e minerali.
Linee guida del Ministero della Salute relative agli apporti giornalieri di
vitamine e minerali ammessi negli integratori alimentari
vitamina A
vitamina D
mcg 1.200
mcg 7,5
vitamina E
vitamina K
vitamina C
tiamina (vitamina B1)
riboflavina (vitamina B2)
niacina
vitamina B6
acido folico
vitamina B12
biotina
acido pantotenico
beta carotene
mg 36
mcg 105
mg 240
mg 2,1
mg 2,4
mg 27
mg 3
mcg 400
mcg 3,75
mg 0,225
mg 18
mg 7,5
calcio
magnesio
fosforo
ferro
zinco
iodio
rame
fluoro
selenio
manganese
cromo
molibdeno
boro
mg 1.200
mg 450
mg 1.200
mg 21
mg 22,5
mcg 225
mg 1,8
mg 4
mcg 83
mcg 10
mcg 200
mcg 100
mg 1,5
Un’alimentazione equilibrata deve anche prevedere un’assunzione moderata di
sale. Secondo i dati dell’Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la
Nutrizione (INRAN), ogni giorno l’adulto
italiano assume con l’alimentazione in
media circa 10 g di sale (corrispondenti a
circa 4 g di sodio: 1 grammo di sale da
cucina ovvero di cloruro di sodio contiene
393,4 mg di sodio), un valore quasi dieci
volte superiore a quello necessario.
L’OMS fissa la dose massima consentita a
5 g al giorno di sale (circa 2 g di sodio,
ovvero mezzo cucchiaio da cucina).
Questa semplice misura dietetica sarebbe
in grado di ridurre i livelli di pressione arteriosa e consentire un miglior
controllo dell’ipertensione (quindi anche della necessità di farmaci
antipertensivi) e una riduzione delle conseguenze di questa condizione (ictus e
malattie coronariche).
Ma c’è anche un aspetto nuovo, di
certo non il principale seppur curioso e
interessante,
legato
alle
elevate
temperature raggiunte nelle abitazioni e
negli uffici. Con 20-21 gradi all’interno,
rispetto ai 19 consigliati, si ridurrebbe la
“spesa energetica” del nostro organismo,
al punto da favorire l’aumento del peso.
«Il troppo caldo fa male perché la quantità di calorie che la persona
brucia per mantenere la temperatura corporea a 37 gradi si riduce se
quella nell’ambiente è più elevata e più vicina a quella corporea»,
afferma Paolo Cavallo Perin, ordinario di medicina interna all’Università
di Torino e autore di uno studio sull’argomento su International Journal
of Obesity.
Infine, quasi un bambino su due abusa di televisione e di videogiochi
(oltre tre ore al giorno)
comportamento favorito dal fatto che la metà dei bimbi dispone di un
televisore in camera propria.
Nonostante sia chiaro il ruolo determinante della scuola per influenzare le
abitudini alimentari e favorire l’attività fisica, solo il 68% delle scuole possiede
una mensa e il 38% prevede la distribuzione per la merenda di metà mattina di
alimenti salutari (frutta, yogurt ecc.). Inoltre, il 34% delle classi svolge meno
di due ore di attività motoria a settimana. Per quanto riguarda gli adolescenti
italiani, invece, a undici anni è sovrappeso od obeso il 29,3% dei maschi e il
19,5% delle femmine, a quindici anni il 25,6% dei maschi e il 12,3% delle
femmine.
Lo affermano i dati dello studio Hbsc (Health Behaviour in School-aged
Children) raccolti su oltre 77.000 ragazzi di 11-15 anni. Inoltre, un giovane su
quattro tra gli 11 e i 15 anni tende a saltare la prima colazione; pochi
consumano la frutta (20%) e la verdura (11%) più volte al giorno; più del 25%
consuma bevande zuccherate e circa il 35% mangia dolci almeno una volta al
giorno
“Sembrano salutari, ma possono contenere più zucchero delle bevande gassate
e possono favorire l’obesità e il diabete E’ questa la frase che questo mese i
newyorkesi leggeranno sulle fiancate degli autobus e in spot televisivi, in una
campagna d’informazione da 1,4 milioni di dollari, decisa dal dipartimento della
Salute della città di New York. Nel mirino ci sono le bevande ricche di zuccheri
aggiunti, come quelle aromatizzate alla frutta, quelle energetiche e sportive, e
i tè dolci.
In Italia i bambini più grassi e pigri d’Europa
Due casi su tre i bambini obesi si trasformeranno a loro volta in adulti
obesi. Snack grassi, patatine fritte e bibite gassate hanno preso il sopravvento
anche nelle merende italiane. Con tutti i rischi che i chili in eccesso da bambini
possono comportare: maggiore rischio di malattie cardiovascolari, diabete,
problemi ortopedici, disordini mentali, basso apprendimento a scuola e bassa
autostima.
Una variabile fondamentale è il contesto familiare. Il peso e l’istruzione dei
genitori mostrano un’associazione con lo stato fisico dei figli. Nelle famiglie in
cui c’è almeno un genitore obeso, c’è una maggiore percentuale di bambini con
chili di troppo. Stessa cosa vale per il livello di istruzione: laddove l’istruzione
dei genitori è elevata, si assiste a una percentuale minore di figli in
sovrappeso.
L’educazione alimentare resta cruciale. Secondo l’ultimo rapporto Istat-Unicef,
è ancora molto alta la quota di bambini che non fa una colazione adeguata, ad
esempio. Tra i 3 e i 17 anni il 9,9% non mangia a sufficienza al mattino; quota
che sale al 16,7% tra gli 11 e i 17, mentre tra i più piccoli dai 3 ai 10 anni la
percentuale scende al 3,9%. A metà mattina, poi, il 65% fa una merenda
troppo abbondante. Ed è a questo punto della giornata che si abusa di snack
grassi e poco salutari: tra i bambini di 3-10 anni la quota di chi mangia uno
snack una volta al giorno è pari all’11,4%, mentre tra gli adolescenti aumenta
al 17,4 per cento. Frutta e verdura nella dieta giornaliera dei bambini italiani
sono rare se non del tutto assenti. Il 22% dei genitori, secondo i dati raccolti
dal ministero della Salute, dichiara che i propri figli non consumano
quotidianamente una mela o un’insalata. Nella fascia 3-10 anni solo 10,9%
mangia quattro porzioni o più di frutta e verdura. La quota sale al 13,3% tra
gli 11 e i 17 anni. Ma se il consumo si abbassa a tre porzioni giornaliere, la
quota sale al 66% per i più piccoli e al 60% per i più grandi.
Al contrario, ben il 44% dei bambini consuma abitualmente bevande
zuccherate e gassate. Anche qui il consumo è correlato con il livello culturale
dei genitori: i dati dell’Istat-Unicef dicono che la quota di consumatori
quotidiani di più di mezzo litro di bevande gassate tra i ragazzi di 11-17 anni è
pari al 4,7% se le madri sono laureate, si sale al 10,4% se hanno il diploma di
scuola superiore e all’8,6% se hanno completato solo la scuola dell’obbligo.
D’altronde che l’Italia sia la patria del buon mangiare è solo un ricordo ormai
da un po’ di tempo. Nel Good Enough to Eat Index, la classifica dei Paesi in cui
mangia meglio stilata da Oxfam incrociando reperibilità e qualità del cibo, i
prezzi e la salute dei consumatori, l’Italia occupa l’ottavo posto a pari merito
con Australia, Irlanda, Lussemburgo e Portogallo. Prima di noi ci sono Olanda
(prima in classifica), Francia, Svizzera, Austria, Belgio, Danimarca e Svezia. Se
per la reperibilità degli alimenti abbiamo il punteggio massimo, scendiamo di
qualche posizione per la qualità, ma soprattutto per il costo e (guarda un po’)
le condizioni di salute di chi mangia.