se essere felice L'Organizzazione Mondiale della Sanità definisce la salute come "uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non la semplice assenza dello stato di malattia o infermità". 1° capitolo IL PROBLEMA Numerosi studi indicano che quando le popolazioni indigene, consumano cibi occidentali, cominciano a soffrire di problemi di salute, anche gravi come quelli cardiaci o oncologici La differenza tra il cibo che mangiamo noi e il loro, non sta solamente nella carne o nei grassi, ma nella differente genuinità del cibo. Sicuramente l’abuso di grassi saturi, può essere la causa di problemi cardiaci, ma non solo, ci si rende conto studiando gli Eschimesi che, con un’alimentazione ricca di grassi, hanno pochi problemi cardiaci. “Il colpevole pare essere, l’adulterazione di tutto ciò che mettiamo in bocca; questo include l’aggiunta massiccia di zucchero raffinato, che aumenta i grassi nel sangue e diminuisce la forza del sistema immunitario”. "Esiste una relazione fra comportamenti alimentari scorretti e il manifestarsi di malattie - spiega Katia Petroni, membro del comitato scientifico di valutazione della fondazione Veronesi, con particolare attenzione agli effetti del sovrappeso. Infatti il grasso addominale porta ad infiammazioni croniche che sono terreno fertile di malattie cardiovascolari, tumori e malattie degenerative del sistema nervoso. E'quindi cruciale scegliere meglio gli alimenti riducendo l'apporto calorico, l'indice glicemico e il carico glicemico Naturalmente questo è solo una piccola parte del problema, come scrive Stephen Davies, “il trattamento dei cibi e le tecniche di raffinazione compromettono ulteriormente il contenuto nutritivo, allo stesso modo delle tecniche di coltivazione intensiva che portano alla demineralizzazione della terra. Gli agenti chimici utilizzati nelle coltivazioni, e altri inquinanti ambientali, si inseriscono nella catena alimentare, distruggendo ulteriormente il valore nutritivo dei cibi e indebolendo i nostri meccanismi di disintossicazione”. Stephen Davies sostiene che “molte malattie degenerative come quelle coronariche, potrebbero essere dovute in larga parte, all’ incapacità del nostro corpo di adeguarsi alla rivoluzione virtuale del XX secolo per quanto riguarda il cibo.” Il problema primario riguarda i mezzi che utilizzano per far crescere, raccogliere, vendere e preparare il cibo che mettiamo in tavola. Al nostro sistema digestivo, viene chiesto uno sforzo enorme per trasformare oltre al cibo, “migliaia di nuovi e strani elementi” assunti con la nostra alimentazione. Ad esempio oggi, come scrive Mc Taggart, “le industrie legate alla produzione di carne, fanno largo uso di steroidi, antibiotici, tranquillanti e betabloccanti. Nell’agricoltura vengono impiegati normalmente, pesticidi, erbicidi, rodenticidi, fungicidi e fertilizzanti nitrati”. Inoltre la raffinazione del grano e dello zucchero, riduce la presenza di minerali e di vitamine nell’alimento. Per conservare i cibi, vengono aggiunti, additivi, coloranti, dolcificanti, modificatori di consistenza o conservanti. Irraggiamento dei vegetali L’irradiazione dei cibi è utilizzata per: 1) inibire enzimi e spore che causano il deterioramento degli alimenti, aumentando la durata d’immagazzinamento del cibo; 2) inattivare il materiale genetico delle cellule microbiche e di altri microrganismi patogeni e parassiti, uccidendoli o impendendone la riproduzione, diminuendo quindi tanto la probabilità di contaminazione dell'ambiente dei paesi in cui il cibo viene esportato con specie aliene che quella di intossicazioni e tossinfezioni, soprattutto per carne, prodotti ittici e pollame; 3) sterilizzare il cibo stesso, ritardando sia la maturazione che la germinazione di bulbi, tuberi e altre radici commestibili e permettendone l'estensione del periodo di commercializzazione e l'esportazione a lunghe distanze; La radiazione danneggia il materiale genetico degli organismi con cui entra in contatto uccidendoli o impendendone la riproduzione danneggiandone gli organi sessuali (o i tessuti embrionali o germinali, come nel caso dello stesso cibo quando quest'ultimo è un frutto o un tubero), e modificando allo stesso tempo anche le proprietà chimico-fisiche degli alimenti stessi. È importante ricordare che un cibo irradiato può essere liberato dai batteri, ma non dalle tossine da essi prodotte. Inoltre un cibo irradiato deve la sua lunga conservazione a una sterilizzazione quasi totale, che intacca anche il suo contenuto di probiotici. La sicurezza del processo si baserebbe sul fatto che i prodotti radiolitici sono al 90% composti chimici già presenti negli alimenti. Le autorità sanitarie di più di 50 paesi paesi hanno ritenuto l'effetto sulla salute umane del restante 10% non critico che non vuol dire che non sia tossico. La composizione chimica di un cibo irradiato risulta comunque diversa da quella di un cibo trattato per via termica: Per esempio l'esposizione di campioni di latte vaccino a cottura tramite microonde ha rivelato che gli aminoacidi trans-idroxiprolina e l-prolina subiscono una trasformazione nei rispettivi isomeri cis-idroxiprolina e d-prolina; nei campioni dello stesso latte, processati con cotture tradizionali (ebollizione), non si è invece rivelato tale processo di isomerizzazione. I vegetali irradiati sono inoltre depauperati di molte vitamine, quali la C, la B1 e la B2, con un evidente perdita del loro valore nutrizionale, che spesso non traspare al consumatore dall'apparenza del prodotto Stefano Ciafani, vicepresidente nazionale Legambiente, dice: «Chiediamo con forza maggiori e migliori controlli sui prodotti agroalimentari importati in Italia da zone contaminate radioattivamente, come ad esempio quelle limitrofe a Chernobyl o Fukushima. I paesi colpiti dal disastro di Chernobyl, o quello di Fukushima, hanno posto sui prodotti agroalimentari contaminati limiti più restrittivi rispetto a quelli europei con la conseguenza che i prodotti alimentari che non possono più essere commercializzati sono, invece, legittimamente importati dai paesi dell’Unione Europea e venduti all’interno dell’Europa. Il Parlamento italiano e la Commissione Europea attui provvedimenti specifici per rivedere e abbassare i limiti di radioattività consentita per tutelare così consumatori, italiani ed europei, rispetto al rischio di alimentarsi nella dieta quotidiana con prodotti che altri paesi considerano radioattivi». Gran parte della frutta che mangiamo è importata Forse non siamo a conoscenza che dal mese di ottobre fino a giugno, le arance che troviamo in vendita sono di produzione italiana, anche se possono arrivare da Spagna e Grecia, mentre negli altri mesi dell’anno arrivano dal Sud del mondo. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare molte arance non sono di colore arancio. A causa delle condizioni climatiche nel paese di produzioni possono infatti avere tonalità dal giallo al verde. Ma visto che il consumatore desidera un ben determinato colore i frutti vengono trattati chimicamente. In questo caso la maturazione della frutta viene artificialmente accelerata con l'utilizzo di alcune sostanze chimiche. Uno degli acceleranti di maturazione più diffuso è l'etilene, un gas che si diffonde nei tessuti dei frutti e che può risultare più efficace delle auxine, giberelline e acido abscissico. Per ottenere la maturazione accelerata la frutta viene conservata in camere ad elevata presenza di etilene che ne causa un aumento della respirazione e l'idrolisi della cellulosa. Questo processo è necessario solo per i frutti climaterici. L'UE prescrive addirittura che un frutto troppo verde non possa essere venduto. La maggior parte delle arance di importazione, infatti, vengono raccolte ancora acerbe, poste in refrigeratori e trattate con etilene per farle maturare e colorare. La buccia viene trattata con cera naturale o paraffina per aumentare la brillantezza e proteggerle. La maggior parte dei frutti appena raccolti è trattata con antifungini per prevenire il formarsi della muffa. Nei supermercati però si trovano solo arance rosse. Ciò è dovuto alle aspettative dei consumatori che hanno indotto i produttori a creare agrumi facili da sbucciare, privi di semi e con precise caratteristiche che ne attestino le virtù salutari. In particolare l'attenzione salutista ha rispolverato l'interesse per le arance rosse, cadute in disgrazia una ventina d'anni fa in favore delle bionde. Il verde, in Italia, è considerato il segnale di un frutto non maturo. Per questo le arance verdi non si vendono, sebbene non via sia alcun nesso fra il grado di maturazione e la tonalità della loro buccia. Questo tipo di agrume assume la sua colorazione considerata tipica soprattutto quando viene coltivato in regioni con clima temperato come Italia. Ma persino nel nostro paese il colore non è garantito, visto che le temperature possono scendere non a sufficienza, specialmente per quanto riguarda i raccolti precoci. Per questa ragione i frutti vengono trattati con etilene: il processo, che permette di "togliere il verde", viene applicato nell'Europa meridionale e quindi in Italia soprattutto all'inizio della stagione delle arance, vale a dire in autunno. e questo è solo un esempio ma ogni frutto o vegetale importato subisce queste aggressioni ERRORI E ABITUDINI DI UNO ALIMENTAZIONE NON CORRETTA STILE DI VITA E UN' L’errore alimentare più comune consiste nello squilibrio tra assunzione di calorie e consumo dell’energia introdotta nella dieta, con un eccesso relativo della prima che conduce all’accumulo di grasso. Un contributo significativo all’aumento del peso deriva da uno stile alimentare tipico dei fast food: porzioni molto abbondanti e a poco prezzo a scapito della qualità degli alimenti, con scarsa presenza di frutta e verdura e alimenti freschi. E’ stato dimostrato che gli alimenti più preziosi per la salute (frutta e verdura e in generale tutti gli alimenti freschi) incidono sulla spesa domestica e le persone economicamente svantaggiate tendono a scegliere alimenti meno costosi (conservati e quindi con alto contenuto di grassi saturi e sale). Un’altra abitudine alimentare non salutare, ma della quale le persone hanno scarsa consapevolezza (iperconsumo passivo), è il consumo fuori pasto di cibi altamente energetici e di bevande zuccherate che non risponde a una reale necessità dell’organismo ma obbedisce all’offerta continua di alimenti e bevande sulla spinta della pubblicità, specie della televisione, che promuove selettivamente alimenti calorici, ricchi di grassi, sale e zuccheri e di bevande zuccherine. Soprattutto i bambini e le classi sociali svantaggiate rappresentano il bersaglio di queste forme di promozione di abitudini alimentari non corrette. Il ruolo negativo della televisione (come anche dei videogiochi) si esercita anche tramite la tendenza alla sedentarietà, dal momento che le ore destinate all’attività fisica vengono sostituite da lunghi tempi di permanenza di fronte al video. Ciò vale soprattutto per i giovani, ma questo stile di vita riguarda sempre di più anche gli adulti. D’altra parte sono sempre più chiare le prove che le abitudini alimentari acquisite nell’infanzia si mantengono tendenzialmente per tutta la vita. La famiglia (in particolare la figura materna) e la scuola hanno perciò un ruolo determinante nell’influenzare le scelte alimentari future. Negli ultimi 50 anni molto è cambiato. Lo dicono i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità: gli obesi sull’intero pianeta sfiorano la quota di due miliardi, la metà dei quali hanno sviluppato questa condizione soltanto dopo il 1980. Negli ultimi trent’anni sono mutati i costumi e i comportamenti alimentari. Basti pensare a bevande zuccherate, energy drink e junk food, entrati a “gamba tesa” sul mercato in appena tre lustri attraverso massicce strategie di marketing mirate ad aumentarne i consumi. O al graduale e inesorabile incremento delle porzioni. Più che pensare ai rimedi, dunque, è la prevenzione la strategia più efficace da mettere in campo. Su questo gli specialisti sono concordi: un adeguato percorso di educazione alimentare, soprattutto tra i più piccoli, e il rispetto di una dieta di tipo mediterraneo possono ridurre l’insorgenza di nuovi casi di obesità e di tutte le malattie a essa correlate. La scuola può contribuire distribuendo una merenda bilanciata a metà mattina, impostando menù salutari nelle mense scolastiche, eliminando spuntini e bevande caloriche dai distributori automatici e facendo svolgere almeno le due ore di attività motoria suggerite dal curriculum scolastico a tutti gli alunni. Nel contesto scolastico sta diventando sempre più importante la questione del cosiddetto obesity bias, ovvero la tendenza a giudicare negativamente una persona in sovrappeso che ha come conseguenze derisione e critiche emotivamente dannose per i bambini e gli adolescenti coinvolti. Cominciamo ad esplorare anche i danni della sedentarietà Le funzioni fisiologiche migliorano fino ai 30 anni di età. Dopodiché inizia un declino che, però, è variabile tra le funzioni. L'attività fisica gioca un ruolo di primo piano nel rallentare l'orologio biologico. Ad esempio, la capacità aerobica è superiore del 25% circa in soggetti fisicamente attivi rispetto ai sedentari di tutte le età. Se ci si mantiene allenati si può arrivare a 50 anni e valere come un soggetto di 20 anni sedentario. Vediamo nel particolare cosa succede col tempo ai vari organi e sistemi. • Una persona sedentaria ha doppie possibilità di avere problemi al cuore rispetto ad una fisicamente attiva e doppie possibilità di morire in caso di infarto. • Stesso livello di rischio lo corre chi soffre di ipertensione, chi fuma, chi ha il colesterolo alto. • Il 30% almeno delle morti legate a problemi di cuore, diabete e cancro al colon sono riconducibili alla vita sedentaria. • L'inattività fisica aumenta il rischio di mortalità per tutte le cause, dove le malattie cardiovascolari sono le protagoniste indiscusse. • Le persone inattive corrono un rischio di mortalità per tutte le cause fino al 30% maggiore delle persone fisicamente attive. • Il World Health Report (WHR, 2002) ha quantificato le morti annuali nel mondo legate all'inattività fisica:1,9 milioni. • E nelle nazioni sviluppate i "morti per pigrizia" vanno dal 5% al 10% del totale dei decessi. Un'enormità. • L'"Interheart Study", pubblicato su Lancet nel 2004 condotto longitudinalmente per 5 anni su 30000 persone di tutto il mondo ha concluso che addirittura il 90% delle malattie coronariche (CHD, coronary heart diseases) sono legate in primis al fumo e a un eccesso di lipidi nel sangue. Ma subito dopo troviamo la sedentarietà assieme ad obesità addominale, diabete e ipertensione • Tra i più quotati fattori di rischio mortalità troviamo dunque il fumo, l'alimentazione scorretta l'obesità, l'ipertensione, il diabete e un eccesso di lipidi plasmatici (colesterolo e trigliceridi). Tutti fattori, guarda caso, prevenibili (o contenibili) con l'attività fisica e una buona alimentazione Quali danni alla salute possono derivare da un’alimentazione non corretta? La sindrome metabolica La sindrome metabolica è un insieme di fattori di rischio che, sommati, hanno un impatto sulla salute peggiore dei singoli fattori presi uno per uno. Chi può essere definito portatore di sindrome metabolica? Chi presenta almeno tre o più di questi fattori: • Ipertensione • Glucosio ematico elevato • Trigliceridi alti • Colesterolo HDL basso • Obesità addominale (grasso viscerale con girovita >88 cm nelle donne e >102 cm negli uomini) La sindrome è caratterizzata da resistenza all'insulina, infatti viene altrimenti detta sindrome da resistenza all'insulina. La sindrome metabolica è legata anche a fattori genetici ancora sconosciuti, ma l'inattività fisica e una scorretta alimentazione è associata con un rischio elevato di svilupparla. MASSA OSSEA, OSTEOPOROSI E RISCHIO DI FRATTURE L'osteoporosi rappresenta una perdita di massa ossea e un deterioramento della microarchitettura del tessuto osseo. La perdita di calcio dalle ossa è un fatto fisiologico e colpisce più le donne degli uomini. Nelle donne la perdita di calcio inizia a 35 anni nella misura dello 0,8% all'anno; nell'uomo questa perdita inizia a 50 anni ed è la metà della donna. Si parla di osteoporosi quando, all'esame della MOC (Mineralometria Ossea Computerizzata), viene diagnosticata una BMD (densità minerale ossea) inferiore di almeno 2,5 deviazioni standard (DS) a quella media di una giovane donna adulta. Lo scheletro della donna è protetto dalla perdita di calcio grazie alla presenza di estrogeni. La menopausa e la drammatica riduzione di estrogeni comporta un minor assorbimento di calcio a livello intestinale e una minor produzione di calcitonina (ormone che contrasta la perdita di calcio dalle ossa). Le perdite di calcio superano abbondantemente le deposizioni sulle ossa e la demineralizzazione dello scheletro femminile procede ad una velocità del 3-6% all'anno nei primi cinque anni successivi alla menopausa, per poi stabilizzarsi attorno all'1% all'anno. Di questo passo, a 70 anni una donna può aver già perso il 30% della propria massa ossea. Questo indebolimento significativo delle ossa le espone facilmente a fratture. Anche qua l'attività fisica e l'alimentazione gioca un ruolo cruciale e si lega a doppio filo alla prevenzione delle fratture in presenza di osteoporosi. In primo luogo perché l'associazione tra attività fisica e alimentazione aiuta a contenere la perdita di calcio secondo un principio di risposta localizzata allo stress muscolare: si rinforzano solo le ossa legate ai muscoli sollecitati. La contrazione muscolare è un fattore di stimolo della mineralizzazione ossea, anche se con un effetto più o meno pronunciato in base all'età. Nelle donne, in particolare, in periodo pre-menopausale può mantenere o aumentare la densità della massa ossea, mentre nel periodo peri-menopausale e post-menopausale serve soprattutto a contenere o a mantenere le perdite di calcio. Soggetti fisicamente attivi hanno un rischio di fratture del femore del 20-40% fino al 55% in meno rispetto a soggetti inattivi. Cioè, l'osteoporosi è un fattore predisponente, ma le cause scatenanti sono, soprattutto, le cadute. Nelle donne anziane solo il 28% delle fratture del femore sono spontanee legate direttamente all'osteoporosi. Il resto del rischio è riconducibile ad altri fattori, in particolare alle cadute. Mantenersi attivi e forti è l'unico antidoto alle cadute e un valido aiuto per invertire/mantenere/contenere la decalcificazione. Malattie cardiovascolari e cerebrali Secondo l’Atlante pubblicato dall’Organizzazione mondiale della sanità, l’alimentazione non corretta e la sedentarietà sono tra i maggiori responsabili (precedute solo dall’abitudine al fumo) dei 17 milioni di morti per malattie circolatorie cardiache e cerebrali. Un grosso contributo negativo è fornito indubbiamente dall’eccesso di grassi e in particolare da quelli di origine animale (cioè i grassi saturi e il colesterolo) che aumentano i livelli di lipidi pericolosi nel sangue (LDL) e riducono il cosiddetto colesterolo buono (HDL), favorendo cosi i processi di aterosclerosi. Gli alimenti più ricchi di acidi grassi saturi e colesterolo sono la carne e gli insaccati, i formaggi, gli oli da frittura. Se al consumo di questi alimenti si aggiunge una condizione di sovrappeso o di obesità, come spesso accade, il rischio per il cuore è amplificato. L’alimentazione influenza anche il rischio di cancro. A oggi è stata identificata una chiara relazione tra tumori dello stomaco e dell’esofago e un’alimentazione ricca di carne rossa. Esiste poi un rischio aggiuntivo di neoplasie dell’apparato digerente dovuto all’assunzione di alcol. Più dubbie sono le relazioni tra dieta e tumore della prostata, del rene e della vescica e ancora meno con il tumore della mammella. Dopo molti anni di analisi di oltre 7.000 studi scientifici, l’American Institute of Cancer Research (AICR) e il World Cancer Research Fund (WRF), due autorevoli società scientifiche statunitensi, hanno messo a punto un decalogo di raccomandazioni per la prevenzione del cancro a tavola. – Raccomandazioni AICR/WRF per la prevenzione del cancro attraverso l’alimentazione 1. Mantenersi il più possibile magri ma evitare di essere sottopeso 2. Praticare l’attività fisica per almeno 30 minuti al giorno 3. Evitare le bevande zuccherate. Limitare il consumo di alimenti a elevato apporto calorico 4. Consumare ortaggi, frutta, cereali e legumi di vario tipo 5. Limitare il consumo di carne rossa (come vitello, maiale e agnello) ed evitare le carni conservate 6. Se si consumano bevande alcoliche, limitarsi a 2 unità alcoliche al giorno per l’uomo e 1 unità alcolica per la donna 7. Limitare il consumo di cibi salati e gli alimenti conservati sotto sale (cloruro di sodio) 8. Non usare integratori/supplementi per la prevenzione del cancro 9. Proseguire l’allattamento al seno fino al sesto mese e poi passare ad altre bevande e alimenti 10. Chi ha una storia di cancro deve, dopo il trattamento, seguire le raccomandazioni per la prevenzione oncologica I grassi sono un elemento importante della dieta, ma ne va limitata la quantità e soprattutto vanno scelti secondo la qualità. I grassi dovrebbero rappresentare circa un terzo delle calorie da assumere quotidianamente, ma vanno privilegiati i grassi essenziali insaturi (quelli del tipo omega-3 e omega-6 contenuti negli oli di semi e nel pesce) e limitati i grassi animali. Per quanto riguarda gli zuccheri (carboidrati), va raccomandato soprattutto il consumo di quelli complessi (ricchi di amido e presenti in cereali, pasta riso, legumi secchi e patate), limitando l’assunzione di carboidrati semplici (il glucosio, il saccarosio e il fruttosio presenti in dolci, merendine e snack). L’eccessiva assunzione di zuccheri semplici nell’infanzia, insieme al mancato consumo della prima colazione va corretto perché rappresenta, insieme a sedentarietà e scarso introito di frutta e verdura, uno dei fattori di rischio per sovrappeso e obesità. Molti studi indicano che un abbondante consumo frutta e verdura fresca, ma anche di cereali e legumi, riduce il rischio cardio e cerebrovascolare (e anche la mortalità per queste cause) nonché la probabilità di insorgenza di tumori del colon-retto e del polmone. Una parte dei benefici derivanti dagli ortaggi è legato anche alla presenza di fibra alimentare, il cui introito raccomandato è intorno ai 30 g al giorno. Il contenuto di fibre alimentari controlla l’assorbimento di zuccheri e grassi e quindi i livelli di glucosio e grassi nel sangue. Inoltre facilita il raggiungimento del senso di sazietà. Infine è importante l’apporto con la frutta e la verdura di micronutrienti, come vitamine, sostanze antiossidanti e sali minerali. Si calcola che se ogni cittadino dell’Unione Europea consumasse 600 grammi di frutta e verdura al giorno, si eviterebbero più di 135 mila morti all’anno per malattie cardiovascolari. La soglia di 400 grammi al giorno, corrispondente a circa 5 porzioni (five a day), è la quantità minima consigliata. La ripartizione ideale degli alimenti e delle calorie Per gruppi di alimenti Nell’arco della giornata In una dieta equilibrata le calorie dovrebbero provenire: • per circa il 55-60% dai carboidrati • per il 28-30% dai grassi • per il 10-12% dalle proteine Le calorie giornaliere devono essere introdotte: • per il 20% a colazione • per il 40% a pranzo • per il 30% a cena • per il 5% a metà mattina • per il 5% a metà pomeriggio Per quanto frutta e verdura diano un contributo prezioso all’organismo per la loro ricchezza di vitamine e sali minerali, l’abitudine in costante crescita di aggiungere alla dieta integratori alimentari (a base principalmente di vitamine del gruppo A, B, C, E, di folati e beta carotene con o senza l’aggiunta di minerali) ha fatto discutere la comunità scientifica. Infatti non è provata un loro effetto sulla riduzione del rischio di malattie cardiache e tumori e anzi sono emersi alcuni rischi. In merito all’utilizzo degli integratori alimentari il Ministero della Salute ha emanato nel 2002 una Circolare che precisa che gli integratori non possono sostituire i cibi. Il Ministero della Salute, a garanzia della sicurezza del consumatore, ha stabilito l’apporto giornaliero massimo di vitamine e minerali. Linee guida del Ministero della Salute relative agli apporti giornalieri di vitamine e minerali ammessi negli integratori alimentari vitamina A vitamina D mcg 1.200 mcg 7,5 vitamina E vitamina K vitamina C tiamina (vitamina B1) riboflavina (vitamina B2) niacina vitamina B6 acido folico vitamina B12 biotina acido pantotenico beta carotene mg 36 mcg 105 mg 240 mg 2,1 mg 2,4 mg 27 mg 3 mcg 400 mcg 3,75 mg 0,225 mg 18 mg 7,5 calcio magnesio fosforo ferro zinco iodio rame fluoro selenio manganese cromo molibdeno boro mg 1.200 mg 450 mg 1.200 mg 21 mg 22,5 mcg 225 mg 1,8 mg 4 mcg 83 mcg 10 mcg 200 mcg 100 mg 1,5 Un’alimentazione equilibrata deve anche prevedere un’assunzione moderata di sale. Secondo i dati dell’Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione (INRAN), ogni giorno l’adulto italiano assume con l’alimentazione in media circa 10 g di sale (corrispondenti a circa 4 g di sodio: 1 grammo di sale da cucina ovvero di cloruro di sodio contiene 393,4 mg di sodio), un valore quasi dieci volte superiore a quello necessario. L’OMS fissa la dose massima consentita a 5 g al giorno di sale (circa 2 g di sodio, ovvero mezzo cucchiaio da cucina). Questa semplice misura dietetica sarebbe in grado di ridurre i livelli di pressione arteriosa e consentire un miglior controllo dell’ipertensione (quindi anche della necessità di farmaci antipertensivi) e una riduzione delle conseguenze di questa condizione (ictus e malattie coronariche). Ma c’è anche un aspetto nuovo, di certo non il principale seppur curioso e interessante, legato alle elevate temperature raggiunte nelle abitazioni e negli uffici. Con 20-21 gradi all’interno, rispetto ai 19 consigliati, si ridurrebbe la “spesa energetica” del nostro organismo, al punto da favorire l’aumento del peso. «Il troppo caldo fa male perché la quantità di calorie che la persona brucia per mantenere la temperatura corporea a 37 gradi si riduce se quella nell’ambiente è più elevata e più vicina a quella corporea», afferma Paolo Cavallo Perin, ordinario di medicina interna all’Università di Torino e autore di uno studio sull’argomento su International Journal of Obesity. Infine, quasi un bambino su due abusa di televisione e di videogiochi (oltre tre ore al giorno) comportamento favorito dal fatto che la metà dei bimbi dispone di un televisore in camera propria. Nonostante sia chiaro il ruolo determinante della scuola per influenzare le abitudini alimentari e favorire l’attività fisica, solo il 68% delle scuole possiede una mensa e il 38% prevede la distribuzione per la merenda di metà mattina di alimenti salutari (frutta, yogurt ecc.). Inoltre, il 34% delle classi svolge meno di due ore di attività motoria a settimana. Per quanto riguarda gli adolescenti italiani, invece, a undici anni è sovrappeso od obeso il 29,3% dei maschi e il 19,5% delle femmine, a quindici anni il 25,6% dei maschi e il 12,3% delle femmine. Lo affermano i dati dello studio Hbsc (Health Behaviour in School-aged Children) raccolti su oltre 77.000 ragazzi di 11-15 anni. Inoltre, un giovane su quattro tra gli 11 e i 15 anni tende a saltare la prima colazione; pochi consumano la frutta (20%) e la verdura (11%) più volte al giorno; più del 25% consuma bevande zuccherate e circa il 35% mangia dolci almeno una volta al giorno “Sembrano salutari, ma possono contenere più zucchero delle bevande gassate e possono favorire l’obesità e il diabete E’ questa la frase che questo mese i newyorkesi leggeranno sulle fiancate degli autobus e in spot televisivi, in una campagna d’informazione da 1,4 milioni di dollari, decisa dal dipartimento della Salute della città di New York. Nel mirino ci sono le bevande ricche di zuccheri aggiunti, come quelle aromatizzate alla frutta, quelle energetiche e sportive, e i tè dolci. In Italia i bambini più grassi e pigri d’Europa Due casi su tre i bambini obesi si trasformeranno a loro volta in adulti obesi. Snack grassi, patatine fritte e bibite gassate hanno preso il sopravvento anche nelle merende italiane. Con tutti i rischi che i chili in eccesso da bambini possono comportare: maggiore rischio di malattie cardiovascolari, diabete, problemi ortopedici, disordini mentali, basso apprendimento a scuola e bassa autostima. Una variabile fondamentale è il contesto familiare. Il peso e l’istruzione dei genitori mostrano un’associazione con lo stato fisico dei figli. Nelle famiglie in cui c’è almeno un genitore obeso, c’è una maggiore percentuale di bambini con chili di troppo. Stessa cosa vale per il livello di istruzione: laddove l’istruzione dei genitori è elevata, si assiste a una percentuale minore di figli in sovrappeso. L’educazione alimentare resta cruciale. Secondo l’ultimo rapporto Istat-Unicef, è ancora molto alta la quota di bambini che non fa una colazione adeguata, ad esempio. Tra i 3 e i 17 anni il 9,9% non mangia a sufficienza al mattino; quota che sale al 16,7% tra gli 11 e i 17, mentre tra i più piccoli dai 3 ai 10 anni la percentuale scende al 3,9%. A metà mattina, poi, il 65% fa una merenda troppo abbondante. Ed è a questo punto della giornata che si abusa di snack grassi e poco salutari: tra i bambini di 3-10 anni la quota di chi mangia uno snack una volta al giorno è pari all’11,4%, mentre tra gli adolescenti aumenta al 17,4 per cento. Frutta e verdura nella dieta giornaliera dei bambini italiani sono rare se non del tutto assenti. Il 22% dei genitori, secondo i dati raccolti dal ministero della Salute, dichiara che i propri figli non consumano quotidianamente una mela o un’insalata. Nella fascia 3-10 anni solo 10,9% mangia quattro porzioni o più di frutta e verdura. La quota sale al 13,3% tra gli 11 e i 17 anni. Ma se il consumo si abbassa a tre porzioni giornaliere, la quota sale al 66% per i più piccoli e al 60% per i più grandi. Al contrario, ben il 44% dei bambini consuma abitualmente bevande zuccherate e gassate. Anche qui il consumo è correlato con il livello culturale dei genitori: i dati dell’Istat-Unicef dicono che la quota di consumatori quotidiani di più di mezzo litro di bevande gassate tra i ragazzi di 11-17 anni è pari al 4,7% se le madri sono laureate, si sale al 10,4% se hanno il diploma di scuola superiore e all’8,6% se hanno completato solo la scuola dell’obbligo. D’altronde che l’Italia sia la patria del buon mangiare è solo un ricordo ormai da un po’ di tempo. Nel Good Enough to Eat Index, la classifica dei Paesi in cui mangia meglio stilata da Oxfam incrociando reperibilità e qualità del cibo, i prezzi e la salute dei consumatori, l’Italia occupa l’ottavo posto a pari merito con Australia, Irlanda, Lussemburgo e Portogallo. Prima di noi ci sono Olanda (prima in classifica), Francia, Svizzera, Austria, Belgio, Danimarca e Svezia. Se per la reperibilità degli alimenti abbiamo il punteggio massimo, scendiamo di qualche posizione per la qualità, ma soprattutto per il costo e (guarda un po’) le condizioni di salute di chi mangia.