Comune di Roma
Ordine degli Architetti di Roma e Provincia
Luci su via Veneto
Concorso Nazionale di
ASPETTI VEGETAZIONALI
Progettazione per un
apparecchio di illuminazione
denominato Via Veneto
A cura del Dott. Gianfranco Rossi
Scheda di Fisiologia Vegetale
Luce e fotosintesi delle piante
In natura le piante sono esposte alla luce bianca del sole, così chiamata in quanto costituita
dall’insieme di luci di tutte le bande spettrali, ossia di tutti i colori. Le piante non reagiscono
effettivamente alla luce bianca, ma piuttosto a radiazioni di particolare lunghezza d’onda in
essa contenute.
Ogni radiazione consiste di piccoli “pacchetti” di energia chiamati quanti o, nel caso
dell’energia luminosa, fotoni. Per catturare l’energia radiante del sole, i fotoni debbono
essere assorbiti da molecole adatte. La cosiddetta luce “bianca” del sole, come sopra
accennato, è in effetti un insieme di tutti i vari colori della luce in cui ogni colore è dovuto
alla radiazione di una differente lunghezza d’onda. La luce blu, per esempio, ha onde di
lunghezza compresa tra 400 e 500 nm, mentre la luce rossa va da 600 a 700 nm.
I pigmenti fotosintetici
Le lunghezze d’onda di luce più attive nel provocare la fotosintesi sono quelle delle bande
spettrali rossa e blu. L’estrazione dei pigmenti verdi dalle piante superiori ha rivelato che
esistono due tipi di clorofilla a e b, che differiscono leggermente nello spettro di
assorbimento. Sono presenti a ogni modo altri pigmenti di colore giallo-arancione
(carotenoidi e xantofille), che assorbono luce (solo nella banda spettrale del blu) e
partecipano al prodursi della fotosintesi.
La molecola di clorofilla si compone di due parti principali: una testa, consistente in una
struttura chimica ad anello con uno ione di magnesio al centro ed una lunga coda diritta
composta di una catena di fitolo. La testa è responsabile dell’assorbimento della luce,
mentre sembra che la coda ancori le molecole alla membrana tilacoide (tilacoidi:
vescichette poste nella struttura interna del cloroplasto, contenenti clorofilla ed altri
pigmenti fotosintetici).
Le clorofilla a e b differiscono solo per la natura di un piccolo gruppo chimico attaccato alla
testa: un gruppo –CH3 nella clorofilla a è rimpiazzato da un gruppo –CHO nella clorofilla b.
In definitiva la clorofilla può considerarsi un gruppo di pigmenti affini, capaci di assorbire
luce in un ambito caratteristico di lunghezza d’onda, nelle bande del rosso e del blu-viola,
pur diversificandosi per la presenza di picchi di assorbimento ad una ben precisa e specifica
lunghezza d’onda. La clorofilla a in particolare, presente in quantità maggiore nella miscela
verde e con due picchi di assorbimento a 663 e a 420 nm., ha la maggiore capacità di
fotosinteticare, mentre gli altri pigmenti provvedono al suo sostegno energetico.
Lo spettro d’azione della fotosintesi mostra anche una particolarità molto importante nella
regione rossa, cioè una rapida diminuzione di efficacia fotosintetica quando la lunghezza
d’onda della luce viene aumentata da 680 nm a 720 nm, e ciò nonostante il fatto che queste
lunghezze d’onda vengano efficacemente assorbite dalla clorofilla. E’ stato lo studio di
questo effetto “red drop” (caduta nel rosso) a fornire la prima prova definitiva che nella
fotosintesi sono coinvolte le due suddette reazioni luminose. Infatti, se una pianta veniva
esposta a un fascio di luce rossa della lunghezza d’onda di circa 700 nm, e poi
simultaneamente esposta ad un altro raggio di luce rossa di lunghezza d’onda più corta, per
esempio 650 nm, la velocità della fotosintesi risultava aumentata rispetto al livello che si
sarebbe aspettati sulla base dell’intensità dovuta alla radiazione di 700 nm.
Effetto Emerson
Il suddetto fenomeno, detto effetto Emerson, ha portato all’individuazione, nelle piante
superiori, di due distinti centri fotosintetici in cui avvengono le principali reazioni luminose,
chiamati rispettivamente Fotosistema I e Fotosistema II. Le molecole di clorofilla a che
operano nei centri di reazione di questi due fotosistemi sono leggermente diverse e
dimostrano picchi di assorbimento nella banda spettrale rossa a lunghezze d’onda
leggermente differenti: 700 nm nel Fotosistema I e 680 nm nel Fotosistema II. Per questa
ragione la molecola di clorofilla a del centro di reazione del Fotosistema I è chiamata P700
e, quella del centro di reazione del Fotosistema II, è chiamata P680 (il numero indica la
lunghezza d’onda a cui si verifica il massimo dell’assorbimento).
L’effetto Emerson è spiegato dal fatto che a lunghezze d’onda superiori a 690 nm il
Fotosistema II non opera e la fotosintesi diventa molto inefficiente perché il Fotosistema I,
che assorbe fino a 720 nm, non può effettivamente funzionare da solo. Il secondo raggio di
luce rossa a 650 nm ha l’effetto di innescare il funzionamento del Fotosistema II,
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permettendo così il prodursi della fotosintesi perché entrambi i fotosistemi acquistano la
capacità di catturare l’energia luminosa.
Da ciò ne deriva che i due tipi di unità fotosintetiche, posti nella membrana del tilacoide,
cooperano ed interagiscono così intensamente fra loro che il Fotosistema I non può
operare senza che il Fotosistema II gli fornisca elettroni e, quest’ultimo, può funzionare
solo se il Fotosistema I gli sottrae elettroni.
Influenza della luce sulla fotosintesi
La luce influenza direttamente la velocità e l’intensità della fotosintesi. L’intensità luminosa
non influisce in ugual misura sulle diverse specie di piante: nelle “sciafile” (piante da ombra)
la funzione, in genere, si svolge meglio con luce moderata, mentre le “eliofile” (piante da
pieno sole) esigono maggiore intensità luminosa, sempre che non vengano superati limiti
estremi che agiscono in senso negativo.
Esistono, quindi, limiti di minima e di massima e condizioni ottimali intermedie a seconda
dei diversi soggetti vegetali. Le predette possibilità sono poi correlate alla quantità di
anidride carbonica presente nell’aria (che normalmente è dello 0,03%) ed alla sua
possibilità di entrata nei parenchimi clorofilliani del tessuto fogliare, cosa che avviene quasi
esclusivamente attraverso gli stomi. In ogni caso, la vitalità e funzionalità delle cellule e dei
plastidi sono prima condizione per la formazione e l’attività della clorofilla.
Inoltre, l’accumulo dei prodotti elaborati durante le ore di luce (fase organicativa della
fotosintesi) impedisce il procedere del processo fotosintetico: per questo motivo è utile
l’interruzione notturna dell’attività stessa al fine di consentire il completamento della
distribuzione dei prodotti ai vari organi della pianta per l’immediata utilizzazione o per la
riserva (fase organizzativa della fotosintesi).
Lampade fotosintetiche
Essendo massimo il coefficiente di utilizzazione per la luce rossa, si comprende come
queste radiazioni siano le meglio sfruttate dalla pianta. Si è potuto controllare ciò con
l’impiego delle sorgenti luminose artificiali, le quali, come è noto, hanno uno spettro di
emissione che non si sovrappone mai con quello della luce solare, ma presenta spesso una
carenza in alcune zone di emissione.
La luce delle lampadine a filamento incandescente di tungsteno sono ricche di radiazioni
rosse (ed infrarosse) ma povere di radiazioni violette ed ultraviolette, per cui le piante
hanno tendenza a sfilare; al contrario le radiazioni dei tubi fluorescenti sono povere di
radiazioni rosse e determinano debole fotosintesi.
Da tempo sono in uso lampade fotosintetiche, adatte per l’illuminazione dei vegetali (molto
utilizzate nelle serre) nelle quali si abbina in una stessa sorgente luminosa la luce ad
incandescenza con quella emessa da una lampada a vapori di mercurio ricca di radiazioni
violette ed ultraviolette; l’ampolla esterna è fatta di vetro comune che limita le radiazioni
dell’estremo ultravioletto molto dannose.
Bibliografia
CAPPELLETTI – Botanica – U.T.E.T.
DE AGOSTINI – Enciclopedia delle Scienze “Biologia” – I.G.D.A.
WILKINS – I segreti delle piante – I.G.D.A.
VANNICOLA – Botanica – FIORI
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Scheda botanica
Platanus x acerifolia (=P. x hispanica) Ibrido orticolo – Platano comune.
Classificazione sistematica
Divisione:
Angiosperme
Classe:
Dicotiledoni
Ordine:
Hamamelidali
Famiglia:
Platanacee
Origine
Il Platano comune è un ibrido ottenuto da incroci fra P.orientalis e P.occidentalis. E’
coltivato e diffuso in Europa a scopo paesaggistico ed ornamentale; in Italia è diffuso in tutte
le regioni dalla pianura fino a 700 m di altitudine.
Portamento
Possiede portamento arboreo e raggiunge, con rapido sviluppo, i 30 m di altezza.
La ramificazione avviene ad una certa altezza dal suolo, generando una chioma globosa, a
cupola, ampia circa 10 m. Tronco eretto e regolare da cui si dipartono grossi rami frondosi
e contorti. La corteccia è chiara, di colore grigio con riflessi verde-giallastri, e liscia; durante
il periodo di riposo vegetativo, nei soggetti già di qualche anno si squama, esponendo la
nuova corteccia sottostante di colore verdastro (desquamazione a placche o ritidoma).
Spesso alla base si formano numerosi polloni.
Fogliame
Il fogliame è deciduo. Le foglie sono semplici, alterne, di tipo palmato-lobate
(20x25 cm) con 3-5 lobi larghi e dentati, verde lucido sopra, più pallide sotto, coperte da
una peluria bruno-giallastra da giovani e con nervatura palminervia. Il picciolo è lungo e
possiede delle stipole che avvolgono completamente le gemme laterali.
Strutture riproduttive
Pianta monoica con fiori unisessuali sessili che sono riuniti in densi capolini sferici e
peduncolati di circa 1 cm di diametro. I capolini maschili, distribuiti sui rami di un anno,
possiedono colore giallastro; quelli femminili, più rossastri, sono presenti sull’apice dei
nuovi rametti. La fioritura avviene normalmente nella tarda primavera. Le infruttescenze
sono costituite da nucule sferoidali del diametro di 3-4 cm, lungamente peduncolate; da
giovani sono verdi, maturando diventano brunastre e liberano acheni piumosi contenenti i
semi alla fine dell’inverno dell’anno successivo.
Note generali
Il Platano viene utilizzato unicamente a scopo ornamentale in parchi e viali urbani.
E’ molto adatto all’uso cittadino perché presenta una notevole resistenza all’inquinamento,
uno spiccato adattamento ai diversi tipi di suolo (preferendo quelli argillosi, non
eccessivamente calcarei), una energica resistenza ai tagli di potatura ed agli interventi di
dendrochirurgia. Teme la siccità e periodi prolungati di temperature molto basse. Ama la
luce e radica in profondità. Il legno è di ottima qualità e durata, viene apprezzato in
falegnameria e come legna da ardere.
Avversità
Tra le più pericolose crittogame dei Platani in città si può segnalare Ceratocystis
fimbriata f. platani, la Dothiorella dothidea e la Gnomonia platani (=Gloesporium platani),
nonché i funghi delle Carie che provocano seri problemi di stabilità; tra gli insetti, invece, la
Corythucha ciliata detta comunemente “tingide americana o cicalina del Platano”.
Il Ceratocystis fimbriata, o cancro colorato, è responsabile dell’alterazione più
grave dei platani tanto da pregiudicare la sopravvivenza stessa delle piante. I
sintomi della presenza del cancro sono molteplici ed inizialmente non molto
evidenti: ad esempio, sul tronco possono manifestarsi rigonfiamenti, bollosità
e crepature nella parte apparentemente sana della corteccia accanto a zone
necrotiche. In seguito la corteccia tende a divenire più giallognola, poi
brunastra, infine si dissecca e si screpola distaccandosi dal legno sottostante
divenuto fortemente imbrunito. Le foglie possono improvvisamente ingiallire
e disseccarsi, senza cadere subito, in corrispondenza delle necrosi delle zone
corticali sottostanti. Seppure involontario, il vettore della malattia è l’uomo,
in considerazione del fatto che le spore fungine normalmente non viaggiano
trasportate del vento. Operazioni di potatura, lavorazioni stradali e relativi
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scavi per i servizi nel sottosuolo, parcheggio delle auto, piantagioni troppo
fitte sono tutte cause di diffusione del fungo e, attualmente, non esiste
fungicida in grado di fermare la malattia, per cui è della massima importanza
la lotta preventiva, limitando al massimo ferite e traumi e, procedendo alla
potatura, se necessaria, nei mesi invernali, provvedendo alla protezione dei
tagli con materiali antisettici e cicatrizzanti.
La Dothiorella dothidea è un fungo da ferita, agente di tracheomicosi
con sintomi e difesa molto simili a quelli di Ceratocystis che genera
blocchi nel sistema linfatico dell’albero.
La Gnomonia platani, o antracnosi, è un’alterazione meno grave,
almeno sui Platanus acerifolia (del tipo, cioè, di quelli presenti in via
Veneto), che si sviluppa di norma in primavera in presenza di umidità
elevata e di temperature incostanti ma prevalentemente basse: un
primo stadio può verificarsi precocemente già alla chiusura delle
gemme che disseccano rapidamente, mentre, se l’alterazione si
manifesta sul germoglio sviluppatosi normalmente, si possono
verificare disseccamenti totali o necrosi localizzate sulle nervature.
L’infezione, di norma, si arresta con le alte temperature di luglio ma
può riprendere in autunno.
Le Carie che oltre nel Platano possono presentarsi su Ippocastani,
Olmi e Tigli, consistono nella disgregazione dei tessuti operata da
organismi fungini dei generi Fomes, Poria, Lenzites, Coriolus, Polyporus,
Phellinus, Ganoderma, ecc.. Il processo cariogeno riduce il legno
dell’albero in una sostanza friabile che porta, come prima
conseguenza dannosa, alla perdita delle funzioni meccaniche del legno
stesso, per cui è facile che si verifichino rotture di varia rilevanza negli
organi aerei periferici e, spaccature, o cadute di alberi interi. Una
ferita di potatura, soprattutto se di grosse dimensioni e se non subito
protetta, è sicura via di ingresso ai suddetti miceti di alterazione della
massa legnosa. La presenza sugli alberi dei carpofori di tali funghi
xilovori, sistemati lungo il tronco a mo di bianche mensolette
sovrapposte, denuncia l’esistenza di un profondo processo di carie
nella massa legnosa dell’albero stesso.
Parassita animale del platano è la Corythucha ciliata, o tingide
americana, un Emittero che alla stato adulto sverna sotto la corteccia
poi migra verso le parti alte della chioma, stabilizzandosi in
corrispondenza della pagina inferiore delle foglie dove si alimenta, si
accoppia e depone le uova per riprodursi. Le neanidi che si sviluppano
dalle uova, si nutrono conficcando i loro stiletti boccali nel tessuto
fogliare, ingiallendolo e deturpandolo con i copiosi escrementi
nerastri. In un anno si avvicendano, di norma, 3 generazioni
dell’insetto: gli adulti della prima si notano tra la fine di giugno ed i
primi di luglio; quelli della seconda a metà agosto, mentre saranno gli
adulti di terza generazione quelli destinati a svernare. L’insetto
potrebbe, forse, essere anche un vettore del Ceratocystis e, come tale,
fonte di grave pericolo.
Bibliografia
MOTTA – Enciclopedia di Scienze Naturali – FEDERICO MOTTA EDITORE
FERRARI – MEDICI – Alberi e Arbusti in Italia – EDAGRICOLE
SELEZIONE DAL READER’S DIGEST – Guida pratica agli alberi e arbusti in Italia
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Scheda botanica
Magnolia grandiflora (Magnoliaceae) America settentrionale - Magnolia
sempreverde
Classificazione sistematica
Divisione:
Angiosperme
Classe:
Dicotiledoni
Ordine:
Policarpiche
Famiglia:Magnoliacee
Origine
La Magnolia è originaria dell’America settentrionale ed anche di parte del suo
stesso territorio centrale. In Italia non è presente allo stato naturale, ma solo come essenza
ornamentale, per lo più impiegata isolata o a gruppi nel giardino e, in alcuni casi, per
alberare viali.
Portamento
Arborea alta fino a m 20-25. La ramificazione, del tipo monopodiale si presenta già
dalla base del tronco, conferendo alla pianta un regolare aspetto conico-piramidale e una
fitta chioma.
Fogliame
La Magnolia grandiflora è una latifoglia sempreverde, con foglie semplici, ovate o
ellittiche (5 x 15 cm), a margine intero, di color ruggine al rovescio e verde-scuro e lucide
sulla pagina superiore, inserite in modo alterno su rametti brunastri e lisci.
Strutture riproduttive
I fiori sono ermafroditi, bianchi, profumati, larghi 20 cm circa, di antica struttura,
con parti disposte a spirale su di un asse conico-allungato a guisa di uno strobilo di conifera.
Gli organi sessuali, costituiti entrambi di numerosi elementi, appaiono gialli. La fioritura
avviene durante i mesi estivi di giugno-luglio e l’impollinazione è entomofila. La Magnolia
presenta un’infruttescenza conica, peduncolata, di forma ovoidale, a pigna, lunga 8-12 cm .
Essa è composta da numerosi follicoli (plurifollicolo), ciascuno dei quali, a maturità, lasciano
intravedere semi rosso-corallo sospesi ad un filamento.
Note generali
Le foglie di questa sempreverde rimangono sui rami per almeno due anni e,
unitamente ai fiori molto decorativi, conferiscono alla pianta bellezza ed eleganza. La pianta
è stata introdotta in Europa nel 1737 e, da allora, si è molto utilizzata a scopo ornamentale.
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Ama climi miti, tollerando gelate non troppo intense; è per questo motivo che deve essere
posta in luoghi esposti al sole riparati dal vento. Il terreno preferito è del tipo siliceoargilloso, umifero, profondo, fertile, con buon drenaggio e a reazione acida. Sono
assolutamente da evitare suoli compatti, asfittici e con ristagni idrici prolungati. Il legno
consistente, robusto e piuttosto resistente, ne caratterizza l’impiego in molti lavori di
falegnameria. Infine dobbiamo ricordare che questa specie e le magnoliacee in genere sono
piante di remotissima antichità (reperti fossili ne indicano l’appartenenza al Cretacico).
Morfologicamente, esse presentano strutture che più si avvicinano alle Bennettitinae, tanto
da costituire il gruppo dal quale ha avuto origine, per successiva evoluzione, la maggior
parte delle Angiosperme viventi.
Avversità
Le avversità a cui la Magnolia grandiflora può andare soggetta sono le
seguenti.
Mal bianco: chiazze irregolari bianche polverose soprattutto sulle foglie più
giovani (Erysiphe poligoni);
Maculature fogliari: macchie bianchicce irregolari (Sphaeropsis magnoliae) –
macchie ocracee sulle foglie apicali nella parte centrale del lembo e lungo la
nervatura principale (Colletotrichum ticinese – Gloesporium magnoliae) –
macchie brune fuligginose, specie verso il margine (Phyllosticta magnoliae) –
macchie brune necrotiche su foglie e rametti (Cercospora magnoliae – Diplodia
magnoliae – Pestalozzia guepinii);
Marciumi radicali provocati dai funghi Armillaria mellea e Phyllosticta
omnivorum;
Cancri rameali da Nectria spp.;
Tracheomicosi e deperimenti della vegetazione per opera del fungo
Verticillium albo-atrum;
Virosi: apparizione di macchie lineari e sinuose di colore giallo sulle foglie.
Da ricordare infine alcuni problemi fisiologici (deperimenti e defogliazioni)
legati ad inadeguatezze pedo-climatiche (suoli basici, asfittici, con ristagni
idrici, o particolarmente siccitosi) e la clorosi ferrica in terreni troppo ricchi
di calcare attivo.
Bibliografia
MOTTA – Enciclopedia di Scienze Naturali – FEDERICO MOTTA EDITORE
FERRARI – MEDICI – Alberi e Arbusti in Italia – EDAGRICOLE
SELEZIONE DAL READER’S DIGEST – Guida pratica agli alberi e arbusti in Italia
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Magnolia grandiflora
Platanus acerifolia