Rivista Italiana di Genetica e Immunologia Pediatrica - Italian Journal of Genetic and Pediatric Immunology Anno II numero 4 - ottobre 2010 | direttore scientifico: Carmelo Salpietro - direttore responsabile: Giuseppe Micali Home page Numeri precedenti Norme editoriali | Stampa l'articolo 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Motore di ricerca ◀ Indietro pagina 4 Avanti ► Scoliosi: aspetti clinici e genetici Ilaria Sanzarello, Giovanna Elisa Calabrò, Stefania Marvaso, Maria Concetta Cutrupi UOC di Genetica ed Immunologia Pediatrica Università di Messina Introduzione Il termine scoliosi deriva dal greco “skolios” (obliquo) ed indica una complessa deformità strutturale della colonna vertebrale che modifica il suo asse fisiologico nei tre piani dello spazio (Fig. 1): sul piano frontale si verifica un movimento di flessione laterale, sul piano sagittale un’alterazione delle curve fisiologiche e sul piano assiale uno spostamento in rotazione. In accordo con la classificazione della Scoliosis Research Society distinguiamo, dunque, una scoliosi non strutturata e una scoliosi strutturata (Tab. 1). La deviazione della colonna vertebrale nel caso di scoliosi posturale è visibile soprattutto quando il soggetto sta in piedi. In posizione distesa, essa si riduce completamente. Le cause di questo tipo di scoliosi possono essere diverse e riconducibili, in prima istanza, alla mancanza di un adeguato movimento o al mantenimento di posizioni scorrette troppo a lungo. Ci riferiamo, in particolare, all’ipercifosi, detta anche “dorso curvo”, un’accentuazione della normale curvatura della colonna a livello del torace che si evidenzia mettendo il paziente di profilo. Essa è dovuta ad una postura scorretta, spesso di origine familiare, che può essere corretta durante la crescita Fig. 1 Posizioni anomale della colonna vertebrale - Fig. 2 Scoliosi La scoliosi, dunque, è una deformità che colpisce la colonna vertebrale (Fig. 2), è una curva o complesso di curve del rachide estrinsecantesi prevalentemente su un piano frontale, con una deformità strutturale (con più o meno evidenti alterazioni estetiche) che si rileva attraverso una rotazione sul proprio asse delle vertebre (Fig. 3) evidenziabile, sulla schiena del paziente, da una protuberanza detta gibbo (Fig. 4); tale deformità è fissa, permanente e non può quindi essere modificata volontariamente dal paziente che ne è affetto. Tale deviazione è accompagnata anche da una torsione della colonna su se stessa che coinvolge, oltre alla spina dorsale, le articolazioni, i legamenti, la muscolatura paravertebrale e, nei casi più gravi, gli organi interni, ad esempio quelli cardiorespiratori, e le viscere, causando, quindi, problemi funzionali, oltre che estetici. L’85% delle scoliosi sono considerate idiopatiche, cioè di origine sconosciuta. Si ritiene che siano numerosi i fattori coinvolti nell’insorgenza ed evoluzione della scoliosi: genetici, neurologici, biochimici, metabolici, di sviluppo, muscolari. Secondo i dati recenti della ricerca scientifica, i fattori neurologici sembrano essere quelli maggiormente responsabili della patologia ed in particolare incidono sul controllo della stabilità e dell’equilibrio della colonna. L’ipercifosi si può associare anche ad un’alterazione dei corpi vertebrali la cui causa, a parte eventuali traumi, può essere collegata ad un’osteocondrosi, o osteocondrite delle cartilagini (malattia di Scheuermann). In questi casi, i sintomi sono un persistente mal di schiena e la posizione “curva” delle spalle (Fig. 5). Vi sono però anche altri cause che possono determinare la scoliosi posturale come: la dismetria degli arti inferiori, la lussazione dell’anca, le lesioni endorachidee o i difetti della muscolatura del tronco che possono provocare dolori vertebrali o muscolari. In questi casi, la terapia consiste nell’eliminazione delle cause, ad esempio compensando l’accorciamento dell’arto con l’applicazione di rialzi, eliminando i dolori vertebrali o rinforzando la muscolatura del tronco attraverso esercizi specifici. Fig. 3 Il rachide ruota attorno all'asse longitudinale e alla rotazione si associa la torsione delle singole vertebre: come conseguenza si ha:lo spostamento dei corpi vertebrali verso il lato convesso della curva;lo spostamento dei processi spinosi versoil lato concavo della curva ed il gibbo costale - Fig. 4 Protuberanza detta Gibbo E’ importante distinguere la scoliosi intesa come dismorfismo o deformazione strutturale permanente della colonna vertebrale, che si evidenzia in modo chiaro attraverso l’esame radiografico dalla scoliosi posturale (Fig. 5), detta anche paramorfismo, che si riferisce semplicemente ad un atteggiamento viziato che, pur determinando una deviazione laterale della colonna, non comporta alcuna deformazione permanente e può essere corretta attraverso interventi volontari. Fig. 5 Scoliosi posturale e caratteristica posizione “curva” delle spalle Distinta dalla scoliosi posturale è la scoliosi strutturale, che provoca una deformazione permanente della colonna vertebrale. Ne esistono due tipi, una primaria, che riguarda la maggior parte dei casi (80%), chiamata anche idiopatica, dal momento che non se ne conoscono ancora esattamente le cause. L’altra secondaria o congenita dovuta a patologie conosciute, anche se piuttosto rare, che riguardano malformazioni ossee della colonna vertebrale, dell’anca o di un arto inferiore, la cui gravità varia da caso a caso. Scoliosi primaria e scoliosi idiopatica dell’adolescente (AIS) La Scoliosi Idiopatica dell'Adolescente (AIS), definita come una curvatura strutturale, laterale e rotatoria della colonna vertebrale, rappresenta la forma di scoliosi più diffusa: ne sarebbero affette tra le 2-4 persone ogni 1000. Si tratta di una malattia ad evoluzione molto rapida che si sviluppa nel corso della pubertà fino alla maturità ossea, quando gli adolescenti stanno attraversando il periodo di maggiore crescita della statura, infatti colpisce dall'1 al 3% dei soggetti in una popolazione compresa fra i 10 e i 16 anni, con un rapporto di prevalenza nel sesso femminile rispetto a quello maschile di 4 a 1. Colpisce in particolare i soggetti longilinei ed astenici. Si arresta, generalmente, quando l’attività delle cartilagini di accrescimento dei corpi vertebrali cessa, diventando fissa una volta raggiunta l’età adulta. L’eziologia dell’AIS, nonostante sia oggetto di studio da parecchi anni, rimane a tutt’oggi sconosciuta. Le teorie elaborate negli anni hanno incluso la possibilità di un’influenza genetica, metabolica, ormonale, neuromuscolare e biomeccanica. Alcuni di questi fattori sembrano infatti essere responsabili dell’insorgenza della patologia, altri sembrano contribuire alla progressione della gravità della curva. Appurata la causa genetica la patogenesi della scoliosi idiopatica va valutata in rapporto all’età e alla sede. In rapporto all’età d’insorgenza distinguiamo le seguenti forme di scoliosi idiopatica: 1) Infantile: 0-3 anni; 2) Giovanile: 4 anni – inizio pubertà (in media 10 anni nella femmina e 12 anni nel maschio) ; 3) dell’adolescenza: inizio pubertà – maturazione ossea (10-16 anni) La forma infantile (2%), da non confondere con quella congenita, si manifesta generalmente nel primo anno di vita ed è molto rara. E’ nella maggioranza dei casi una curva toracica che colpisce prevalentemente i maschi ed è di gran lunga più frequente in Inghilterra risolvendosi spontaneamente senza alcun trattamento (resolving structural scoliosis) ; in pochi casi progredisce nella crescita fino a curve strutturali gravemente rigide con prognosi sfavorevole: l’esame clinico oltre alla presenza del gibbo mostra una deformazione, talvolta grave, del capo e del volto (plagiocefalia) con cranio a forma di parallelogramma e appiattimento della fronte che risulta arretrata. La forma giovanile (5-10 %) si evidenzia più frequentemente tra i 6 e 8 anni fermandosi nell’evoluzione e rievolvendo all’inizio della pubertà. La forma adolescenziale (80-85 %) coincide con l’inizio della crescita puberale (in media 10 anni nelle femmine e 12 anni nei maschi) evolvendosi in questo periodo, detto della rapida crescita puberale della colonna, di durata intorno ai 4-5 anni; è in questo intervallo di tempo che avviene lo sviluppo sessuale e la maturità ossea della colonna vertebrale. La scoliosi idiopatica può presentare clinicamente e radiologicamente vari tipi di curve che si diversificano in: - toracica semplice con apice T8 o T9; - toraco-lombare semplice con apice T11 o T12 o L1 - lombare semplice con apice L2 o L3; - toraco-lombare doppia con due curve di senso opposto; - toracica doppia (descritta da Moe) rara; - altre molto rare. La deformità estetica varia a seconda della curva: è più grave nella curva toracica e toraco-lombare semplice, meno grave nelle curve della toraco-lombare doppia, dove i gibbi, le spalle e il bacino si equilibrano e l’unica alterazione presente è l’accorciamento del tronco. Eziologia Dal punto di vista eziologico l’osservazione di una stretta correlazione tra le fasi di crescita dell’adolescente e l’evoluzione della curva scoliotica, fa degli ormoni della crescita i candidati più ovvi nel ruolo di fattori eziologici della patologia. I meccanismi alla base della crescita sono estremamente complessi e coinvolgono l’interazione di numerosi fattori ormonali. Tra questi, ormoni come la tiroxina, gli ormoni sessuali e l’ormone somatotropo (GH) sono certamente tra i più significativi. L’ipotesi si basa sul concetto che, inducendo una più rapida crescita, ad esempio delle strutture anteriori rispetto a quelle posteriori, questo indurrebbe uno spostamento rotatorio significativo dei corpi vertebrali quindi una condizione di instabilità che potrebbe favorire il processo scoliotico. In modo particolare è stato osservato come il GH, quando somministrato in terapia, si associ, seppur sporadicamente, ad un rapido aumento della curvatura scoliotica. Tuttavia ciò non chiarirebbe il ruolo del GH nell’eziologia della AIS. Nell’indagine tra le possibili cause responsabili dell’insorgenza della AIS sembrano evidenziarsi, negli ultimi anni, numerose evidenze riguardo l’associazione della stessa con patologie neurologiche. Le ipotesi sono state quelle di ricondurre l’insorgenza della patologia scoliotica ad una disfunzione del sistema nervoso centrale. La scoliosi pare infatti associarsi a malformazioni cerebellari (malattia di Chiari tipo I), a danni diretti della colonna dorsale e del corno posteriore del midollo spinale e a danni compressivi midollari, come la siringomielia. Tuttavia rimane fortemente controverso se attribuire a questi fattori una responsabilità eziologica nell’insorgenza della AIS o ritenerli piuttosto conseguenza della patologia stessa. Recenti evidenze hanno rivolto la loro attenzione al ruolo della ghiandola pineale nell’eziologia della AIS. L’iniziale interesse nei confronti di questa ghiandola risale ad un lavoro che evidenziava la presenza di una curvatura della colonna, con rotazione vertebrale, in polli che avevano subito un intervento di pinealectomia. L’ipotesi veniva poi supportata da un altro lavoro che attribuiva alla melatonina, ormone secreto proprio dalla ghiandola pineale, un importante ruolo nell’impedimento dello sviluppo del processo scoliotico. Questi lavori trovavano supporto anche in studi di Machida et al. dove si attribuiva, a bassi livelli di melatonina, un’ingravescenza della curvatura scoliotica in adolescenti affetti da AIS. L’ipotesi è stata ripresa da Cheung et al. in uno studio che, prendendo spunto dal precendente lavoro di Thillard, valutava, in polli sottoposti a pinealectomia, l'effetto di soppressione della melatonina sullo sviluppo di una curvatura scoliotica. L’ipotesi, inizialmente confermata, non ha però trovato supporto in un successivo lavoro dello stesso Cheung dove l’intervento veniva effettuato su primati e in cui, nonostante la soppressione di melatonina, non si sviluppava una scoliosi. Recentemente un ulteriore approfondimento sull’argomento è stato offerto da un gruppo di ricercatori cinesi che hanno posto in correlazione il polimorfismo genico del recettore 1B per la melatonina (MT2) con l’insorgenza della AIS, sostenendo che un deficit recettoriale per la melatonina, quindi un alterato pathway di trasmissione del segnale, possa essere la causa di una disfunzione osteoblastica e quindi di anomalie di crescita scheletrica osservabili, appunto, anche nei pazienti con AIS. Nonostante l’AIS sia oggetto di studio da parecchi anni, la sua eziologia rimane, tutt’oggi, ancora sconosciuta. Tuttavia il ruolo fondamentale dei fattori genetici nella patogenesi della stessa è stato ormai ampiamente confermato: in questi ultimi anni e ancor più di recente, si è confermata l’ipotesi ereditaria come causa della malattia. Si era già precedentemente osservato, studiando gli alberi genealogici dei soggetti scoliotici, che l’incidenza della deformità in alcuni gruppi familiari era nettamente superiore alla media (familiarità della scoliosi). Oggi numerosi lavori scientifici affermano che la malattia è conseguenza di una predisposizione genetica multifattoriale a trasmissione, principalmente, autosomica dominante con penetranza incompleta. Alla fine degli anni ’90 Carr A (J Bone Joint Surg, 1990) ed Kesling KL et al. (Spine 1997) hanno studiato la possibile correlazione tra alcuni geni candidati e lo sviluppo di Scoliosi Idiopatica. Dai loro lavori è emerso un rischio di insorgenza della patologia pari al 76 % in gemelli monozigoti, del 36 % in gemelli dizigoti, dell’11% in parenti di primo grado, del 2, 4 e del 1, 4 % rispettivamente in parenti di secondo e terzo grado. Tuttavia, se alcuni studi suggeriscono una modalità di trasmissione autosomica dominante, altri la ricollegano a meccanismi X-linked. Più genericamente, sulla base della grande variabilità di presentazione della patologia scoliotica in membri della stessa famiglia, si tende oggi a considerare la AIS una patologia a trasmissione poligenica e multifattoriale. Le attuali metodologie di screening genetico hanno consentito, specialmente con metodiche di clonazione posizionale o analisi di linkage, di identificare determinati loci cromosomici e correlarli allo sviluppo di questa patologia. Questi lavori hanno permesso di escludere i geni per il collagene di tipo I (COLα1) e II (COLα2); per l’elastina (ELN) e per l’aggrecano (ACAN). Sembrerebbero essere, invece, coinvolti nella patogenesi della AIS altri loci genici localizzati rispettivamente su il cromosoma 17p11 e il 19p13 (Fig.6). Due lavori revisionati dalla più recente letteratura hanno evidenziato l’associazione tra l’alterazione del gene della matrilina (MATN 1), una proteina extracellulare del connettivo, e l’insorgenza della scoliosi idiopatica. I risultati ottenuti mostrano la presenza di un legame tra l'allele 103 bp del gene MATN1 e la scoliosi idiopatica. In realtà, si evince dagli studi, è più corretto parlare di una predisposizione genica alla scoliosi che potrebbe manifestarsi solo in concomitanza di altri fattori genetici ed ambientali. La ricerca degli ultimi anni ha rivolto la sua attenzione, anche, sull’attività degli estrogeni nell’eziologia della AIS. A tal proposito nello studio condotto da Wu et al. (Spine, 2006) è stato dimostrato che il polimorfismo del gene del sito Xbal, recettore dell'estrogeno, è associato ad un aumentato rischio di sviluppare la AIS. Anche Tang et al. (Spine, 2006), in un recente lavoro, confermano la relazione tra espressione recettoriale estrogenica ed aumento di progressione della curva scoliotica. Fig. 6 Loci genici (17p11 e il 19p13) coinvolti nella patogenesi dell’AIS Un altro importante campo di indagine sulla ricerca eziologica dell’insorgenza della AIS è quello della biomeccanica. La stabilità della colonna vertebrale si basa infatti sull’integrità strutturale delle sue componenti specifiche (corpi vertebrali, disco ed elementi legamentosi). Tale integrità rende l’intera colonna vertebrale un’unità biomeccanica. E’ chiaro che, qualora una delle componenti strutturali o dei meccanismi utili a garantire i normali meccanismi biomeccanici vada incontro a delle alterazioni, si creano le condizioni predisponenti l’insorgenza di AIS. Numerosi studi sono presenti in letteratura sull’analisi delle componenti strutturali della colonna vertebrale e delle loro eventuali alterazioni. Hadley-Miller et al. (J Bone Joint Surg, 1994) riscontrarono delle importanti anomalie nelle fibre elastiche dei legamenti spinali in soggetti affetti da deformità scoliotica rispetto ai controlli sani. Un’anomala percentuale del contenuto di glicosaminoglicani e fibre collagene nel nucleo polposo dei dischi intervertebrali in pazienti che avevano AIS è stata invece dimostrata da Pedrini et al. (J Lab Clin Med, 1973). Anche i piatti vertebrali sono stati oggetto di studio ad parte di Zhu et al. (Paediatr Int, 2006) che evidenziarono una ipertrofia condrocitaria della porzione anteriore del disco intervertebrale nei soggetti con AIS. Altre ipotesi eziopatogenetiche hanno infine interessato l’analisi delle fibre muscolari dei muscoli paraspinali, dimostrandone un’alterazione della distribuzione in pazienti affetti da AIS (Spencer GS et al. 1976). A tal proposito un particolare studio sulla sindrome di Marfan ha dimostrato una possibile associazione tra la disfunzione muscolare e legamentosa, propria di questa patologia, e l’insorgenza della AIS. Tale ipotesi, però, non trova supporto da altri lavori della recente letteratura. Se da un lato le alterazioni muscolari, legamentose o midollari della colonna vertebrale instaurano un importante squilibrio nelle fasi di crescita della colonna, dall’altro l’analisi dei suddetti cambiamenti porta ad affermare che questi possano più verosimilmente essere conseguenti al processo scoliotico che altera la forza meccanica applicata ai dischi. Tali ipotesi biomeccaniche, pur non potendo essere annoverate tra le cause responsabili dell’insorgenza della patologia scoliotica, sembrerebbero contribuire notevolmente a una progressione della deformità vertebrale in collaborazione con altri fattori. Alla luce di quanto ad oggi riportato in letteratura, l’opinione corrente è pertanto quella di classificare la scoliosi idiopatica dell’adolescente come una malattia genetica complessa, la cui insorgenza deriva dall’associazione di una determinata predisposizione genica con l’influenza di fattori ambientali e biomeccanici responsabili della caratteristica deformità della colonna vertebrale. Diagnosi e Terapia La diagnosi della scoliosi si basa sulla ricerca di segni clinici precisi che vengono suddivisi in primari e secondari e sull’esclusione delle altre cause, come le malformazioni vertebrali e le malattie neuromuscolari, che rappresentano il 15 % di tutte le scoliosi. Da un punto di vista diagnostico è fondamentale valutare se si è alle prese con un paziente affetto da scoliosi strutturale o da semplice atteggiamento scoliotico. Il paziente scoliotico, o con scoliosi sospetta, deve essere esaminato in tre posizioni: in stazione eretta, flesso in avanti, adagiato su un lettino in posizione supina. Osservando il soggetto in stazione eretta (Fig.7, 8) si può osservare bene l'eventuale asimmetria del livello orizzontale delle spalle e dei fianchi, l'asimmetria dei triangoli della taglia, la presenza di eventuali deformazioni a carico del torace e del bacino; e inoltre la sede della curva, il suo verso, la presenza o meno di curve di compenso. Le scapole possono essere alte o alate per la spinta ricevuta posteriormente dal gibbo costale. Per mezzo di uno speciale filo a piombo può essere valutato un eventuale squilibrio tra il tronco e le pelvi. Il filo a piombo va appoggiato a livello della 7a vertebra cervicale (prominente), facendolo poi cadere nella piega interglutea. Esaminando il paziente flesso in avanti (Fig. 9) è possibile valutare l'incurvamento dei processi spinosi e soprattutto l'entità del gibbo costale, "ad occhio" o tramite uno speciale apparecchio, composto da una livella unita ad una scala graduata, che va appoggiata sul dorso del paziente, misurando con un lato sull'apice della prominenza del gibbo, la distanza in centimetri dall'emitorace controlaterale. Lo scoliometro (Fig.10) può ancora essere considerato un utile supporto diagnostico in quanto permette di misurare con facilità e rapidità il grado di inclinazione assiale del tronco provocato dalla deformità vertebrale. E’ sufficiente far flettere il soggetto in avanti, in posizione di “bending”, posare lo scoliometro sul dorso con il segno “0” in corrispondenza delle spinose e leggere il grado di inclinazione. Un’inclinazione maggiore di 7° ha dimostrato un valore predittivo positivo del 96% per curve maggiori di 10°. Osservando il paziente adagiato su un lettino in posizione supina è possibile misurare la lunghezza degli arti inferiori ma soprattutto valutare la conformazione globale del rachide ed il trofismo della muscolatura paravertebrale. E' quindi importante valutare l'elasticità o grado di correggibilità della curva scoliotica, trazionando il paziente per il capo e facendogli compiere movimenti di lateralità del tronco. Tuttavia è chiaro che, se l'esame clinico è il primo indispensabile strumento che ci consente di sospettare concretamente la presenza di una scoliosi, solo l'esame radiografico ci fornirà tutti gli elementi di certezza che ci permetteranno un giudizio completo. L'esame radiografico consente infatti di misurare l'entità della curva scoliotica e la componente di rotazione-torsione dei corpi vertebrali. Le radiografie standard in ortostatismo del rachide (AP e LL) sono la base di partenza per una valutazione (in caso di sospetta dismetria degli arti inferiori, è consigliabile eseguire un secondo esame radiografico in clinostatismo e "lateral bending" con inclinazione laterale del tronco, dal momento che in caso di scoliosi funzionale la curva si corregge spontaneamente). Di norma, nella proiezione in antero-posteriore la colonna vertebrale appare rettilinea. In assetto sagittale invece (proiezione latero-laterale) la colonna presenta delle curve fisiologiche a convessità anteriore (lordosi) ed a convessità posteriore (cifosi) (Fig.11). La presenza di deviazioni della colonna sul piano frontale (scoliosi) si ripercuote anche sul piano sagittale con un'alterazione dell'assetto normale del rachide. In presenza di scoliosi (toraciche e/o lombari) la cifosi toracica e la lordosi lombare possono essere ridotte od anche invertite. L'esame radiografico va studiato per evidenziare tutte le componenti della deformità scoliotica: entità della curva, variazioni dell'assetto sagittale, rotazione vertebrale. Fig.10 Lo Scoliometro La misurazione della deviazione scoliotica viene espressa in gradi secondo l’angolo di Cobb (Fig.12; 13): quest'angolo si ottiene tracciando due rette tangenti rispettivamente alle limitanti della prima ed ultima vertebra colpite da scoliosi; le due perpendicolari a queste rette si intersecano formando un angolo che indica l'entità in gradi della deviazione scoliotica. Fig. 11 in rosso l'assetto sagittale teorico corretto Il 7-8% degli adolescenti presenta una scoliosi compresa tra i 5 e gli 11° di Cobb. Il 2-3% degli adolescenti presenta una scoliosi compresa tra gli 11 ed i 20° di Cobb. Lo 0, 3%-0, 5% degli adolescenti presenta una scoliosi compresa tra i 20 ed i 30° di Cobb (l'1, 2% delle femmine e lo 0, 1% dei maschi). Solo lo 0, 2-0, 3% degli adolescenti presenta una deviazione superiore ai 30° di Cobb. Una curva scoliotica richiede trattamento solo se maggiore dei 30-40° di Cobb, per cui l'incidenza delle scoliosi che richiedono trattamento è dello 0, 2-0, 3%. Fig.12 Angolo di Cobb Il completamento dell’indagine diagnostica si pone infine con il test di Risser (Fig.14) che valuta il grado di ossificazione della cresta iliaca per stabilire l'età ossea (che non sempre coincide con quella cronologica) del paziente. Normalmente l'ossificazione inizia dalla spina iliaca anteriore superiore procedendo posteriormente fino alla spina iliaca posteriore superiore; al termine della crescita si ha una fusione completa con l'ala iliaca. Per la classificazione Risser ha suddiviso l'accrescimento in cinque gradi: 1+ quando l'ossificazione è intorno al 25%; 2+ quando è intorno al 50%; 3+ quando la copertura è di circa il 75%; 4+ quando si ha l'ossificazione completa del tratto e 5+ quando si ha la fusione completa del nucleo apofisario con l'ileo (fine dell'accrescimento e stabilità pressoché definitiva della curva scoliotica). Fig.13 Elementi di valutazione radiografica - Misurazione della curva sec. Cobb La terapia della scoliosi idiopatica può essere incruenta o chirurgica . La terapia chirurgica va prospettata per le curve gravi significatamene maggiori di 40 gradi, dove a secondo della gravità clinica, l’insufficienza respiratoria, l’aspetto estetico inaccettabile, l’insuccesso di un corsetto e il progredire delle curve nella vita adulta, costituiscono l’indicazione più appropriata. La terapia incruenta è tutt’ora essenzialmente basata sul busto ortopedico, unico mezzo efficace per la scoliosi idiopatica progressiva. Le complicazioni della terapia con busto non sono frequenti; il problema più comune è quello psicologico. Nel trattamento di questi pazienti sono necessari notevoli attitudini da parte del curante; la famiglia e il medico devono essere di supporto al bambino in questo periodo di stress. Un’altra complicanza frequente è rappresentata dalle piaghe: queste, di solito, sono causate da costruzione o adattamento non accurati del busto. L’irritazione della pelle può aversi al di sotto della presa pelvica e può essere dovuta ad una traspirazione eccessiva o ad allergia. Se l’irritazione persiste, la rimozione del busto per pochi giorni è sufficiente a risolvere l’erosione cutanea. Anche l’allergia al materiale plastico o al cuoio è frequente: in questo caso si dovrà foderare internamente la presa pelvica con spugne sintetiche (Alimed, Pelide, Plastazolo). A volte può presentarsi una meralgia parestesica per eccessiva pressione, sulla spina iliaca antero-superiore, del nervo cutaneo laterale della coscia: l’intorpidimento regredisce facilmente con adeguata rimozione della compressione in detta sede. Scoliosi secondaria Si distinguono dalla scoliosi idiopatica gli altri casi di scoliosi, distinti come secondari, a ben precisa patogenesi, già classificati dalla Scoliosis Research Society (Tab.2). La Scoliosi secondaria o congenita è dovuta a patologie conosciute, anche se piuttosto rare, che riguardano malformazioni ossee della colonna vertebrale, dell’anca o di un arto inferiore, la cui gravità varia da caso a caso. Può, inoltre, essere associata a sindromi neuromuscolari (la si osserva, ad esempio, in alcune malattie come la paralisi cerebrale, la distrofia muscolare, la poliomielite, l’ipotonia congenita, l’atrofia muscolo-spinale e l’atassia di Friedrich), alle displasie scheletriche e ad altre malattie genetiche rare, come la sindrome di Marfan e la Neurofibromatosi tipo 1 (NF1). La NF1 (OMIM: 162200), anche detta Malattia di Von Recklinghause, è una tra le più comuni malattie autosomiche dominanti con una incidenza di 1 su 2500–3000 nati ed una prevalenza di circa 1 su 4000–5000 individui nella popolazione generale. Il 50% circa dei casi sono sporadici. E’ una malattia ad espressività molto variabile (soprattutto interfamiliare) e penetranza quasi completa ed età dipendente (è completa oltre i 5-6 anni). Il gene malattia, di circa 60 esoni, è localizzato sul cromosoma 17 (17q11.2) (Fig. 15) e codifica per una proteina, la neurofibromina (Fig.16), regolatrice della crescita e differenziazione cellulare. Ad oggi si conoscono oltre 450 mutazioni (delezioni, inserzioni, duplicazioni, sostituzioni nucleotidiche) a carico del gene NF1 ma senza una reale associazione genotipo-fenotipo, fatta eccezione per le ampie delezioni associate ad un fenotipo severo con ritardo mentale e dismorfismi facciali. Nel 2007 M. Upadhyaya et al. proposero, sull’American Journal of Human Genetics, un’altra importante correlazione genotipo-fenotipo, ossia la delezione c.2970-2972 delAAT sull’esone 17 del gene NF1 e l’assenza di neurofibromi cutanei. La NF1 è una malattia genetica multisistemica che si presenta con segni clinici che possono interessare vari organi (cute, sistema nervoso periferico, scheletrico e cardiovascolare) e con possibili complicazioni di varia natura e gravità (vascolari, tumorali) che compaiono nel tempo. Clinicamente, è caratterizzata da tre tipi di manifestazioni: (1) segni clinici principali (che si manifestano nella grande maggioranza degli individui affetti e fanno parte dei criteri diagnostici) : macchie caffè latte (>6), efelidi (lentigginosi) ascellare, inguinale e/o della base del collo o del tronco, noduli iridei di Lisch e neurofibromi; (2) segni clinici accessori (presenti in una discreta percentuale di individui affetti, ma non tali da entrare a far parte dei criteri diagnostici) : macrocefalia, statura al 10°–25° percentile, anomalie toraciche (pectus excavatum o carenatum), ipertelorismo; (3) complicanze (variabili e poco frequenti, ma spesso gravi ed invalidanti) : disturbi cognitivi e dell’apprendimento, neurofibroma plessiforme, scoliosi, displasia delle ossa lunghe, complicanze neurologiche, ipertensione arteriosa, malformazioni cardiovascolari. Fig.14 Test di Risser Il segno clinico patognominico della NF1 è rappresentato dalle macchie caffè-latte (Fig.17), primo segno della malattia, di forma variabile, di diametro fra 10 e 30 mm, a margini netti e di colore uniforme. Compaiono alla nascita o entro il 1° anno d’età e aumentano di n° e/o dimensioni fino al 5°-6° anno di vita. Sono diffuse a tutta la superficie corporea, con predilezione per tronco e arti, e risparmio di volto e regioni palmo-plantari. Sono presenti nel 95% delle persone con NF1. Per costituire un criterio clinico devono essere almeno 6 e con di diametro superiore a 5 mm prima della pubertà e oltre il 15 mm in età adulta. Fig. 15-16 Gene NF1 (17q11.2) e Neurofibromina Altre manifestazioni cutanee presenti nella NF1 sono: - lentigginosi nelle aree di frizione cutanea (ascelle e inguine) o freeckling ascellari o inguinali (Fig. 18) : aree iperpigmentate del tutto simili alle macchie caffè latte ma di dimensioni inferiori, di 2-3 mm di diametro, presenti alla nascita o che compaiono nei primi 6-7 anni di vita. Possono localizzarsi anche alla base del collo, sul tronco, a livello delle zone periorale e perioculare. Sono in genere il secondo segno che compare, dopo i 2-3 anni, e sono presenti nell’85% delle persone con NF1. Fig. 17 Macchie caffè latte in una nostra paziente affetta da NF1 - neurofibromi cutanei o sottocutanei (Fig.19) : piccole masserelle molli elastiche che compaiono in genere alla pubertà, raramente prima dei 7 anni o durante la gravidanza, il che suggerisce un’influenza ormonale. Possono essere isolati o, più frequentemente multipli, in alcuni casi molto numerosi; sono tumori benigni dei nervi periferici e non interessano altri tessuti, ma possono crescere e comprimere i tessuti circostanti, come il neurofibroma spinale. I neurofibromi sottocutanei costituiscono un fattore di rischio di presenza di sottostante neuro fibroma plessiforme o di un tumore maligno della guaina dei nervi periferici il cui acronimo inglese è MPNST (malignant peripheral nerve sheath tumour). I neurofibromi sono presenti nel 98% degli adulti con NF1. Per costituire un segno clinico devono essere 2 o più. Fig. 18 Freckling ascellare ed inguinale in nostre pazienti affette da NF1 Nei pazienti con NF1 possono essere presenti anche i seguenti segni clinici: - neurofibromi plessiformi (Fig. 20) che sono tumori benigni che però infiltrano non solo il nervo ma anche i tessuti circostanti causando compressione e modificazioni dell’anatomia di tessuti ed organi. E’ un segno clinico precoce. E’ presente nel 30% delle persone con NF1. Anche un solo neurofibroma plessiforme è sufficiente per essere considerato segno diagnostico. Fig. 19 Neurofibromi cutanei in nostre pazienti adulte affette da NF1 - noduli iridei di Lisch (Fig. 21): amartomi asintomatici presenti sulla superficie dell’iride, visibili solo con la “lampada a fessura” come masse tridimensionali traslucide, punteggiate da cellule contenenti melanina. Compaiono in genere dopo i 5-6 anni. Sono presenti nel 95% delle persone con NF1. Non hanno alcun significato clinico se non diagnostico quando sono due o più. - glioma delle vie ottiche: tumore benigno a bassa crescita interessante le vie ottiche (nervo e talora anche il chiasma ottico) a comparsa entro i primi 10 anni di vita. E’ presente nel 15% dei bambini con NF1 ed individuabile solo con Risonanza magnetica o TAC cerebrale. Solo nel 2-5% dei casi può dare problemi oculari (diminuzione della vista, strabismo, protrusione del globo oculare), pubertà precoce o progredire, e di solito questo succede entro l’età di 6 anni, raramente dopo e comunque entro i 10 anni. - displasia scheletrica: anomalia di alcune ossa lunghe (tibia, fibula) che tendono a rompersi e a non ripararsi, dando luogo ad un aspetto radiologico tipo “pseudoartrosi”, o dell’osso sfenoide. Sono anomalie già presenti alla nascita ma infrequenti (5% delle persone con NF1). Tra le complicanze che si riscontrano più frequentemente nei pazienti con NF1 figurano quelle ortopediche quali: 1) La Scoliosi o cifoscoliosi con curva a piccolo raggio comprendente da 5 a 6 vertebre 2) La Pseudoartrosi congenita di tibia, da molti considerata una manifestazione tipica della malattia Il trattamento più appropriato della scoliosi neurofibromatosica è l’artrodesi immediata, eseguita in qualsiasi età in cui viene diagnosticata la deformità. Il busto non è efficace per correggere queste curve scoliotiche. La cifoscoliosi evolutiva, complicata da problemi neurologici compressivi midollari, non costituisce una indicazione alla laminectomia che potrebbe condurre ad un peggioramento della paresi e una rapida evoluzione della deformità. La diagnosi di Neurofibromatosi, ad oggi, è essenzialmente clinica, e si basa sui criteri diagnostici internazionali NIH, pubblicati nel 1988. La diagnosi di NF1 si pone in presenza di 2 o più dei seguenti criteri diagnostici (Tab. 3). Fig. 20-21 Neurofibroma plessiforme e Noduli Iridei di Lisch La diagnosi clinica, in alcuni casi, può essere confermata dalla diagnosi molecolare finalizzata all’identificazione delle mutazioni a carico del gene NF1. Può essere utilizzata la tecnica del Test della Proteina Troncata (PTT) la cui sensibilità è relativamente elevata in quanto, l’80% circa delle mutazioni NF1 sono da sfasamento del registro di lettura che comportano appunto una proteina più corta. Per la sua complessità, tuttavia, il PTT viene limitato ai casi sporadici. La FISH (Fluorescent In Situ Hibrydization) viene utilizzata per le ampie delezioni (< 10%) e quando c’è il sospetto clinico di delezione, (fenotipo severo), anche nei casi familiari. Nei casi familiari si può ricorrere anche all’analisi di linkage. Negli ultimi anni ci si è molto concentrati su un’altra tecnica per l’identificazione delle mutazioni NF1: la DHPLC (Denaturing HighPperformance Liquid Chromatography) che risultata in grado di identificare il maggior numero di mutazioni del gene NF1 rispetto la PTT. La diagnosi molecolare di NF1, tuttavia, è resa difficile da diversi limiti quali le dimensioni del gene, differenti tipi di mutazione e la reale assenza di una correlazione tra tipo di mutazione e decorso clinico della malattia. Fa eccezione la ricerca delle microdelezioni che sembrano essere associate ad un fenotipo più grave ed ad un maggiore rischio di tumori. Il ricorso alla diagnosi prenatale, ad oggi, è limitato dall’imprevedibilità del fenotipo essendo la NF1 una malattia genetica ad espressione molto variabile, soprattutto interfamiliare. La varietà dell’espressione clinica, il rischio di tumori e l’imprevedibilità dell’evoluzione impongono un monitoraggio attento ed un approccio multidisciplinare dei pazienti con NF1, in cui il genetista rappresenta il “regista” nella gestione generale del paziente affetto da NF1 e nella valutazione dei parenti e del loro rischio di ricorrenza, ma sempre in stretta collaborazione con gli altri specialisti, al fine di garantire ai pazienti affetti un adeguato follow up ed una migliore qualità di vita. Tab. 3 Criteri diagnostici NIH, 1988 Bibliografia 1) Heary RF, Madhavan K. Genetics of scoliosis. Neurosurgery. 2008 Sep;63 (3 Sup) :222-7. 2) Wick JM, Konze J, Alexander K, Sweeney C. Infantile and juvenile scoliosis: the crooked path to diagnosis and treatment. 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