Shalom.it Quando la ricerca incontra l’etica Contributed by Micol Anticoli Tuesday, 11 June 2013 Biotecnologie, sperimentazione umana, Ogm, cellule staminali. L’ebraismo a confronto con le nuove frontiere della scienza, lo spiega il rabbino Gianfranco Di Segni, primo ricercatore all’Istituto di Biologia Cellulare e Neurobiologia del CNR e docente al Collegio Rabbinico Italiano. A cura di Micol Anticoli Qual è il rapporto tra ebraismo e ricerca biomedica? Il progresso medico non può prescindere dalla sperimentazione su animali e, successivamente, su esseri umani. La sperimentazione deve però essere regolamentata e anche quella sugli animali può essere intrapresa solo se non ci sono altri mezzi per ottenere le stesse informazioni (ad esempio, utilizzando microrganismi o colture cellulari); inoltre, si deve fare il possibile per prevenire inutili sofferenze all’animale o per alleviarle. Il divieto di procurare dolore agli animali (tzà’ar ba’alè chayìm) è una delle esplicite proibizioni della legge ebraica e numerosi riferimenti a questa norma si trovano sia nella Bibbia che nel Talmud. Ormai in molte università e centri di ricerca del mondo (inclusa l’Università Ebraica di Gerusalemme), chi effettua ricerche sugli animali deve prima frequentare degli appositi corsi di etica. E per la sperimentazione umana? Rabbi Immanuel Jakobovits z.l., il fondatore dell’etica medica ebraica moderna, ha stabilito delle linee-guida per la sperimentazione sugli uomini, che in sintesi sono: il valore della vita è infinito; ogni possibilità di cura, anche remota, in grado di salvare una vita umana va messa in atto; l’obbligo di salvare una persona ricade su ognuno che sia in grado di farlo (come è scritto nella Torà, “Non rimanere inerte quando il tuo prossimo è in pericolo”, Levitico 19: 16); ogni vita ha lo stesso valore, senza distinzione di età, stato di salute, livello sociale o culturale; non si ha il diritto di rifiutare una cura atta a salvare la propria vita se ritenuta necessaria da medici competenti; terapie, anche quelle che comportino una certa dose di rischio, possono essere intraprese se hanno lo scopo di impedire una morte altrimenti certa. Rabbi Jakobovits conclude che cure sperimentali eventualmente rischiose possono essere condotte sull’uomo solo se sono potenzialmente utili al paziente stesso; inoltre, è obbligatorio tentare terapie sperimentali su pazienti seriamente ammalati se altre cure non sono disponibili. In casi diversi da questi, non è lecito sottomettersi a terapie sperimentali o sottomettervi altre persone, anche con il loro consenso. Se però la terapia sperimentale non implica rischi per la vita o la salute e può promuovere il progresso medico, è doveroso per chiunque possa farlo offrirsi volontario. Il consenso da parte del paziente è meno rilevante, in questo caso, dell’opinione di un medico competente e della valutazione obiettiva dell’effettiva necessità della cura e dei suoi rischi. Riguardo alla cura di malattie con cellule staminali, qual è la posizione ebraica? Per capire dov’è il problema, dobbiamo prima spiegare cosa sono le cellule staminali. Ogni essere umano deriva dall’unione di due cellule: la cellula-uovo femminile e il seme maschile. La cellula-uovo fecondata dal seme (detta zigote) inizia a moltiplicarsi per produrre 2, 4, 8, 16 cellule e così via, fino a formare l’intero organismo, composto da miliardi di cellule. A un certo punto dello sviluppo embrionale, inizia la cosiddetta differenziazione cellulare: ossia, alcune cellule si specializzano a formare il tessuto nervoso, altre quello muscolare, altre ancora le ossa, la pelle e così via. In altre parole, le cellule dell’embrione allo stadio iniziale possono diventare qualsiasi tipo cellulare, mentre via via che lo sviluppo procede, le cellule differenziate perdono la capacità di dare origine a tipi di cellule differenti. Le cellule che possono differenziarsi in diversi tipi cellulari sono chiamate “staminali”, e sono totipotenti nelle fasi iniziali dell’embrione, perché sono in grado di generare un intero organismo; sono multipotenti in fasi successive dello sviluppo embrionale, quando sono capaci di differenziarsi in un numero limitato di cellule. Anche nell’organismo adulto ci sono cellule staminali multipotenti: ad esempio, le cellule del midollo osseo durante tutta la vita producono le diverse cellule del sangue (globuli rossi, globuli bianchi, ecc.). Le cellule staminali embrionali possono essere ottenute da cellule di un embrione fecondato in vitro (fuori del corpo umano) nei primi stadi dello sviluppo (5-7 giorni dalla fecondazione). La ricerca sulle cellule staminali, che sono quelle con più ampio raggio di differenziazione, è importante perché si spera che con esse si possano ricreare tessuti danneggiati da malattie o dal naturale invecchiamento. E il problema etico dov’è? È chiaro che per avere le cellule staminali embrionali bisogna “sacrificare” l’embrione: e qui sta il problema etico. Se l’embrione è considerato “persona umana”, prelevare le cellule dall’embrione equivarrebbe a un infanticidio. Se l’embrione, invece, non ha lo status di persona, potremmo ritenere che il problema etico non sussista e, addirittura, potremmo pensare di produrre appositamente degli embrioni per utilizzarli a scopo di ricerca o di terapia. La prima ipotesi è quella seguita dalla chiesa cattolica, per la quale lo zigote è già persona a tutti gli effetti ed è quindi assolutamente inviolabile. Secondo questo punto di vista, non è possibile produrre cellule staminali embrionali per la ricerca e per un’eventuale terapia. Possono solo essere usate cellule staminali derivate dall’adulto o dal cordone ombelicale e simili. L’attuale legge in Italia vieta la produzione di cellule staminali embrionali (ma paradossalmente, non proibisce la ricerca su cellule staminali derivate da embrioni prodotti all’estero). La posizione ebraica è differente da quella cattolica? La posizione ebraica maggioritaria (condivisa anche da molte http://www.shalom.it/J Powered by Joomla! Generated: 1 June, 2017, 06:28 Shalom.it chiese protestanti e dall’Islam) non è la seconda ipotesi su indicata, quella totalmente permissiva, ma una terza, intermedia fra le altre due. L’embrione non è considerato persona nella fase iniziale dello sviluppo, soprattutto perché ancora non è stato impiantato nell’utero. La sua distruzione quindi non comporta un omicidio: tuttavia, non è considerato lecito produrre embrioni appositamente per una terapia o per la ricerca scientifica. Piuttosto, si usano embrioni “soprannumerari”, ossia quelli prodotti per la fecondazione medicalmente assistita e non utilizzati, che altrimenti sarebbero destinati a rimanere in un congelatore fino all’inevitabile disfacimento; inoltre, l’embrione da cui si prelevano le cellule staminali non deve aver superato il 40° giorno dalla fecondazione (perché prima di questo tempo, secondo il Talmud, l’embrione è “mera acqua”); la ricerca deve essere finalizzata a scopi terapeutici e va svolta sotto il controllo di un comitato etico con il consenso informato dei genitori. Secondo la posizione ebraica, dunque, l’embrione prodotto in vitro e non ancora impiantato nell’utero materno, pur non avendo lo status di persona, ha comunque diritto al rispetto, in virtù dell’essere umano che in potenza (ma non in atto) è insito in esso. Tale diritto passa in secondo piano solo quando l’alternativa è la sua distruzione e quando se ne può ragionevolmente trarre un beneficio per l’umanità. Questa posizione è unanime nel mondo ebraico? In realtà no. Secondo Rabbi J. David Bleich, uno dei massimi esperti mondiali di bioetica ebraica, l’essere umano anche se solo “in potenza” e se fuori dall’utero materno va rispettato totalmente. La ricerca e i benefici che se ne possono trarre non sono un motivo sufficiente per distruggere un embrione. Rabbi Bleich sostiene che la posizione cattolica (anche se si basa su premesse dottrinarie diverse) è quella corretta: questa - dice Rabbi Bleich - sarebbe la “missione” del cattolicesimo nel mondo, ossia preservare la santità della vita a tutti i livelli, fin dal suo inizio. La posizione maggioritaria in campo ebraico, però, è quella permissiva, alle condizioni su indicate. In particolare, si sono ufficialmente espressi in questo senso sia Rabbi Jakobovits z.l. sia il “Rabbinical Council of America” (RCA), la più importante organizzazione americana dell’ebraismo ortodosso, che in una lettera indirizzata al presidente Bush nel 2001 perorava il finanziamento pubblico per la ricerca sulle cellule staminali embrionali. Tale finanziamento - che era stato bloccato da Bush - è stato reintrodotto da Obama, una decisione subito applaudita dall’RCA. Ci sono limiti da un punto di vista ebraico alle biotecnologie? La concezione ebraica è favorevole alla ricerca scientifica e allo sviluppo tecnologico. La Torà afferma che la prima coppia umana fu posta nel giardino dell’Eden per “lavorarlo e custodirlo” (Genesi 2:15). Uno dei significati di queste parole è che l’uomo ha il dirittodovere di coltivare la terra e di civilizzarla (“lavorarla”); ma la Terra va anche preservata (“custodita”) e non portata alla distruzione. Non ogni intervento nella natura è permesso: la Torà proibisce, ad esempio, una serie di “mescolanze”, come la creazione di specie animali ibride o l’innesto di una pianta su una specie diversa. Questi divieti sono generalmente interpretati come un’indicazione che non si debba sovvertire la natura del mondo e sulla base di questa concezione c’è chi ha voluto proibire l’ingegneria genetica, ma secondo la maggior parte dei decisori rabbinici questa non rientra nella proibizione, soprattutto quando è finalizzata alla terapia di malattie (p. es., per la produzione di insulina ricombinante). Infatti, negli organismi geneticamente modificati (Ogm) non si “mescola” in genere un organismo intero con un altro, ma si preleva una minima porzione del DNA di un organismo per introdurlo in un altro. Quindi gli Ogm sono permessi? Non è così semplice. Il problema principale riguardo all’utilizzazione degli Ogm è la valutazione di un’eventuale pericolosità dei cibi transgenici. Secondo una precisa norma della Torà è vietato procurare un danno alla propria o altrui salute: se in base all’opinione degli esperti alcuni Ogm fossero dannosi per la salute o per l’ambiente, allora tali cibi sarebbero vietati proprio in quanto dannosi, e non per essere organismi ibridi. Se invece secondo gli esperti non ci sono rischi, allora l’ottimizzazione di colture per apportare un maggiore livello di elementi nutritivi, minerali o vitamine, non solo sarebbe un atto lecito ma verrebbe anche considerato come un adempimento a un precetto della Torà, una mitzwà. Fornire gli alimenti a chi è affamato, come è il caso degli abitanti dei paesi del terzo e quarto mondo che hanno problemi di sovrappopolazione e di carenza di cibo, è certamente un dovere religioso e morale della massima importanza. A cura di Micol Anticoli http://www.shalom.it/J Powered by Joomla! Generated: 1 June, 2017, 06:28