GLOBALIZZAZIONE E POVERTÀ ALLA LUCE DI CENTESIMUS ANNUS 19 ottobre 2006 Roma La globalizzazione e la povertà sono due delle principali questioni sull’agenda politica odierna, al Nord come al Sud, all’Est e Ovest del mondo. L’opinione generale che gli studi econometrici – più ampiamente sociali – non mancano di rilevare è che la globalizzazione sia “cattiva” perché incrementa la povertà e la disuguaglianza. E se è vero che tutti ormai viviamo (o almeno ne facciamo parte) consapevoli o meno nel villaggio globale, e se ancora pressoché metà della popolazione mondiale vive con meno di due dollari al giorno (si vedano le statistiche per il 2006 del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo – UNDP – sul sito http://www.undp.org/publications/annualreport2006/equitable_growth.shtml), ecco mostrato quanto questi due fenomeni sociali, sicuramente non nuovi, hanno una estensione e persistenza che non può – sia per ragioni di stabilità economica, politica e sociale, che per motivi più strettamente etici e di responsabilità civile – lasciarci indifferenti. In quest’ottica, nella cornice della Pontificia Università Urbaniana di Roma, lo scorso 19 ottobre l’Acton Institute for the Study of Religion and Liberty ha presentato la quinta Conferenza della serie dedicata al quindicesimo anniversario dalla promulgazione dell’Enciclica Centesimus annus (1991) a cui sono intervenuti: Lord Brian Griffiths come relatore, ViceChairman della Goldman Sachs International, l’onorevole Humberto Belli, già Ministro per l’educazione del Nicaragua e S.E. l’Arcivescovo Silvano M. Tomasi, Osservatore Permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite a Ginevra come respondents alla relazione presentata. Il filo conduttore della discussione, moderata dal dott. Samuel Gregg – Direttore del Research Acton Institute, Grand Rapids (Usa) – è ruotato intorno al contributo che l’ultima grande Enciclica sociale del Magistero di Giovanni Paolo II ha dato al Pensiero sociale della Chiesa, in particolare, nell’affrontare le sfide dell’epoca globale odierna: venuta meno l’ideologia 576 D. SANTANGELO socialista e contro una visione consumistica o puramente materialista della persona umana e della società globale, centrale è il ruolo occupato dall’umanesimo cristiano per orientare la vita sociale ed il compito positivo svolto dall’economia di mercato come strumento per alleviare la povertà e promuovere una libertà umana integrale. Il relatore, che unisce in sé competenza accademica e incarichi politici al tempo del governo Thatcher in Gran Bretagna, dopo aver individuato la globalizzazione attraverso quel continuo processo di interconnessione tecnologica, economica, culturale, politica, sociale, militare, grazie alla crescita negli scambi di capitali e di lavoro (non sempre anche quello di persone), ne ha evidenziato la legittimità morale sostenendo che lo sviluppo medio che ha portato ad un maggiore benessere economico e alla riduzione della povertà può aver garantito il successo dell’economia di mercato perché sostanzialmente basata sui valori propri dell’antropologia cristiana. Più che sugli altri aspetti evidenziati dall’Autore (centralità della governance globale attraverso l’esame dell’impegno di istituzioni internazionali come la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale) – di fede anglicana, è su quanto appena sostenuto che crediamo si possa aggiungere qualcosa in questa sede alla luce della Dottrina sociale della Chiesa. Certo, dopo che il n. 42 della Centesimus annus ha affermato che è possibile una certa compatibilità tra una forma di capitalismo – meglio, “economia d’impresa” o “di mercato”, o “libera” – e l’etica cristiana, si è sviluppata la questione della possibile alleanza (sostenuta oggi dai teo-cons) tra capitalismo democratico e Cristianesimo, su cui però non possiamo non rimarcare un certo riduzionismo quando si arriva a legittimare che nel suddetto Documento magisteriale ci sia la proposizione di un’etica cattolica del capitalismo, che arrivi finanche ad assumerlo nei suoi esiti come una delle sue creazioni più vere e ben riuscite. Lo stesso rischio può essere presente laddove si affermi con una certa genericità che la globalizzazione ha avuto successo perché ha tra i suoi fondamenti dei valori cristiani: potremmo accettare simile affermazione solo se ciò servisse a favorire quella mobilitazione di forze (non solo economiche, ma più ampiamente umane) in ogni ambito esistenziale, istituzionale e civile delle coscienze individuali e sociali necessaria per spingere al rialzo quegli standards di vita che possono dirsi dignitosi GLOBALIZZAZIONE E POVERTÀ ALLA LUCE DI CENTESIMUS ANNUS 577 per l’altra metà della popolazione del globo che giace ancora nel baratro della povertà e la cui elevazione è “una grande occasione per la crescita morale, culturale ed anche economica dell’intera umanità” (Centesimus annus 28). Per il resto, l’analisi offerta dall’illustre Relatore è condivisibile: lo sviluppo non è solo questione che nasce all’esterno dei Paesi poveri e poi vi si esporta, ma certo inizia a casa propria con una coerenza di atteggiamenti e pratiche di vita virtuose che possono favorire il tanto desiderato sviluppo in specie dei popoli più bisognosi e fragili. Su questo, forse più che altre agenzie internazionali, la Chiesa cattolica e le altre Chiese cristiane con la loro suddivisione territoriale estesa e capillare possono essere un buon veicolo per risvegliare e stimolare una crescita dall’interno delle coscienze di ciascuno e di tutti, ma soprattutto di quelle Nazioni coinvolte che vivono ancora in condizioni di grave povertà assoluta e/o relativa. Il primo commentatore, il dott. Belli, dopo aver illustrato la relazione diretta che si è venuta a creare storicamente tra i Paesi che hanno aderito in maniera sempre più allargata all’economia globale e la riduzione del loro grado di povertà evidenziando la positività del settore privato come motore di questo successo competitivo, si è a ragione interrogato su quanto avvenuto in termini di riduzione della povertà sia dovuto alla crescente globalizzazione. È stato così osservato e giustamente lo condividiamo ribadendo con ancora più enfasi che non serve un atteggiamento ingenuamente satisfattorio della globalizzazione: essa è si una grossa opportunità, ma può esserlo seriamente e diventarlo sempre di più se il vantaggio competitivo è assicurato attraverso la centralità e la priorità di ogni (e di tutta la) persona umana intesa “come soggetto autonomo di decisione morale”, che costruisce così “mediante tale decisione l’ordine sociale” (Centesimus annus 13). A ciò si accompagna: l’importanza del ruolo formativo svolto dagli agenti educativi, il fattore istituzionale per la presenza di strutture che favoriscano questo sviluppo, un quadro legislativo idoneo che promuova una solidarietà internazionale che liberi l’accesso ai mercati senza ingabbiare i Paesi poveri in normative che sono di vantaggio solo per i Paesi più ricchi e soprattutto con potere contrattuale più forte (si pensi ai danni apportati dal sistema degli aiuti e sussidi all’agricoltura delle Nazioni industrializzate e non a quelle in via di sviluppo). 578 D. SANTANGELO Poi è stata la volta dell’Arcivescovo Tomasi che, sottolineando la complessità delle controversie esistenti nel rapporto globalizzazione e povertà, ha proceduto dapprima a sollevare delle questioni molto concrete sul tema discusso e poi ha offerto una piattaforma concettuale in risposta a quanto sollevato. Ecco le domande che riportiamo per correttezza e perché adatte a focalizzare meglio il tema affrontato: l’integrazione economica sempre più globale che esito ha avuto sui Paesi più poveri? Come si è incoraggiata l’agricoltura nei Paesi più poveri e il costo delle importazioni alimentari si è ridotto? La povertà è migliorata con la globalizzazione o no? In relazione a ciò, chiave risolutiva di tutto quanto è necessario ancora promuovere e fare è l’apporto proprio dell’antropologia cristiana della Centesimus annus, come risposta della Chiesa cattolica idonea a formare una cultura pubblica che, includendo il settore pubblico e quello privato con tutte le forze intermedie della società, sia capace di identificare, costruire e valorizzare un orizzonte culturale imperniato sul riconoscimento che la globalizzazione può essere praeparatio evangelica dovunque si opera e si vive per portare non necessariamente a livelli più ricchi economicamente, ma ad una vita più decente per tutti perché sussidiariamente e solidalmente articolata. Da questa ricca condivisione – alimentata anche dagli interventi offerti dal pubblico che ha partecipato all’iniziativa, ecco allora identificata un’opportunità veramente globale per ogni cristiano e per ciascuno che voglia lavorare al bene comune: divenire così sempre più coscienza critica da favorire e da mantenere possibilmente in equilibrio tra la rilevanza assunta dalla libertà personale (“il cui centro, non dimentichiamolo “è etico e religioso” – Centesimus annus 42) e l’appartenenza di tutti alla stessa famiglia umana, delle cui fatiche e tribolazioni avvertiamo tutta l’ansia per costruire e sviluppare un’umanità sempre più interconnessa globalmente anche nella gioia di un presente storico più evangelico perché più ricco dell’apporto di ciascuno e di tutti alla buona causa del vivere umano animato dall’universalità e dalla concretezza dell’amore cristiano. DOMENICO SANTANGELO