COME PUO’ NASCERE UNA VIOLENZA SESSUALE DI GRUPPO TRA MINORENNI di Raffaella Visini “Un gruppo di ragazzi fra i quattordici e i diciassette anni è accusato di violenza dai genitori di una ragazzina di tredici. …Da qualche tempo venivano invitati, attraverso una sorta di tam tam tra compagni, a casa della ragazza. Negano che vi sia stata violenza o una qualsiasi forma di costrizione e si considerano colpevoli della violazione di norme educative o di principi etici, non certo di leggi. Si descrivono piuttosto come oggetti di adescamento… Affermano che i rapporti con la ragazza si protraevano già da tempo, con un allargamento progressivo del numero di adolescenti che entravano in contatto con lei. Dal loro punto di vista si trattava di incontri con funzione di iniziazione sessuale, in cui chi già conosceva la ragazza faceva da tramite per nuove conoscenze… L’episodio ha le caratteristiche di un’esperienza sessuale di gruppo, in cui a vario titolo e con diversi livelli di partecipazione, i ragazzi vengono trascinati dalla necessità psicologica di dimostrare a se stessi e ai coetanei la propria adeguatezza in termini di età, esperienza, identità sessuale. …La cosiddetta vittima non è affatto tale agli occhi dei ragazzi; piuttosto appare loro come regista, conduttrice e protagonista principale della vicenda, capace di impartire ordini e distribuire le parti, consapevole ed esperta di fronte ad un branco di ragazzini ansiosi di mostrarsi alla sua altezza…” (Adolescenti trasgressivi – Ed. Franco Angeli). Tale visione distorta, in cui la vittima di un abuso non viene riconosciuta come tale dagli esecutori, spesso nasce, purtroppo, proprio a causa dei racconti e degli atteggiamenti di ragazzine che si vantano delle proprie esperienze sessuali per suscitare ammirazione, interesse o invidia nei maschietti coetanei o poco più grandi. Una tredicenne non viene percepita allora come una ragazzina fragile e in difficoltà con la propria sessualità nascente e con le nuove emozioni che prova nei confronti dell’altro sesso. Non è ritenuta un’adolescente alla disperata ricerca di essere messa al centro dell’attenzione, di sentirsi desiderata, di trovare facilmente e in fretta quelle gratificazioni affettive probabilmente carenti nell’infanzia. Ma viene vista al contrario come una donna esperta e disinvolta, seduttiva, che invita consapevolmente ed esplicitamente ad entrare sotto la sua guida nel mondo del sesso. Viene ammirata e temuta, anche se in fondo un po’ disprezzata. E’ in questo scenario che la percezione dell’atto di gruppo come reato si perde. Non viene pensato come violenza nemmeno a posteriori. Ciò è dovuto in parte alla mancanza effettiva di atti di prepotenza o maltrattamento, essendo i ragazzi stati invitati ad interagire con la “vittima” da coloro che avevano già fatto tale esperienza con lei senza incontrare opposizione. E in parte alla necessità di sottrarsi alle prese in giro e alle provocazioni dei coetanei presenti, e a volte della ragazza stessa, e di dimostrare a tutti la propria adeguatezza sessuale. L’esperienza di gruppo che prendo ad esempio si è consumata durante mattinate di assenza ingiustificata da scuola. Questa situazione, già di per sé trasgressiva, amplifica nella comitiva il clima eccitante di fuga dalle responsabilità e di ricerca del piacere. La “vittima” non è quindi tale ma semplicemente un membro del gruppo, anche lei a caccia di sensazioni proibite. Quello che porta all’atto sessuale è la difficoltà di controllare il desiderio derivante dagli intensi impulsi presenti nella pubertà. Se in precedenza la compagnia di amici era costituita prevalentemente da individui dello stesso sesso ed era nel suo insieme l’oggetto affettivo principale, con la pubertà è la relazione con l’altro sesso ad acquisire la massima importanza ma anche a causare le maggiori difficoltà. La dimensione di gruppo può aiutare allora i ragazzi a lasciare andare le inibizioni e ad affrontare un’esperienza, quella sessuale, che permette loro di definire la propria identità di genere e di affermare il proprio ruolo maschile, superando il senso di inettitudine ed il timore nei confronti della femminilità. Se nel passato delle ragazze che subiscono tali abusi troviamo spesso storie di deprivazione affettiva da parte dei genitori, i ragazzi hanno di solito in comune vissuti di inadeguatezza profondi. Raccontano di ripetuti fallimenti scolastici e di difficoltà di affermazione e riconoscimento sociale. Da qui la voglia e la necessità di riscattarsi che si esprime con un atto sessuale di attestazione di mascolinità e di capacità di conquistarsi il piacere e di affermazione esibita di un’identità di genere di fatto ancora immatura. Le famiglie di questi adolescenti possono rivelare tendenze abbandoniche o al contrario iperprotettive. Ovvero da un lato non sostengono i figli nella crescita, stimolandoli adeguatamente allo studio e preparandoli all’ingresso nell’età adulta; dall’altro li difendono contro ogni evidenza, negando le loro responsabilità rispetto all’accaduto e cercando sistematicamente i colpevoli al di fuori del nucleo familiare. Quasi sempre questi genitori condividono con i figli una scarsa problematizzazione etica e un’ignoranza della gravità dei comportamenti agiti, da un punto di vista sia psicologico sia penale. Se nella situazione di gruppo possono venire meno nei ragazzi i freni inibitori legati all’inadeguatezza, alla vergogna o al timore, dovrebbero reggere però i sensi di colpa derivanti dall’educazione etica ricevuta in famiglia. Se questa è venuta a mancare, un adolescente, maschio o femmina che sia, non è in grado da solo di inserire i propri impulsi sessuali in un sistema di valori personale e non riconosce quindi la gravità delle sue azioni.