il metateatro e la rottura scenica

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Letteratura
Con “metateatro” (dal greco metá, “dopo”, “oltre”, “al
di là”) s’intende “il teatro nel teatro”, cioè una serie di
procedimenti presenti nella tragedia, nella commedia, nel
melodramma ecc., grazie ai quali il teatro “si mette in
scena”, rappresenta se stesso o parla di se stesso.
La forma più completa di teatro nel teatro è l’inserzione,
all’interno di un’opera teatrale, di una rappresentazione, che viene a costituire, rispetto a quella primaria, una
sorta di rappresentazione di secondo grado. Tra gli
esempi più celebri possiamo ricordare un capolavoro di
William Shakespeare, la tragedia Amleto (1600): il protagonista fa mettere in scena da una compagnia di attori,
ospiti alla reggia di Danimarca, il tradimento e l’uccisione
del re suo padre, così da smascherare l’assassino grazie
alle sue reazioni durante lo spettacolo.
Un’altra forma di metateatro è costituita dai procedimenti di rottura dell’illusione scenica, per cui il teatro, invece di presentarsi come imitazione immediata e
verosimile della realtà, mette apertamente in luce il suo
carattere fittizio e convenzionale, svelandosi, di solito con
intenti scherzosi, come finzione e come gioco.
Procedimenti di quest’ultimo tipo erano frequenti nella
commedia greca antica (V sec. a.C.), mentre con la commedia nuova (IV-III sec. a.C.) ebbe inizio una lenta evoluzione verso il cosiddetto “dramma assoluto”, in cui l’attore e il personaggio s’identificano e si fondono, l’autore
si nasconde dietro le vicende rappresentate, e queste sono messe in scena realisticamente, così da indurre quell’immedesimazione degli spettatori nell’azione, a cui diamo il nome di “illusione scenica”.
P
lauto, pur traendo le sue opere da modelli greci della
commedia nuova, interrompe questo processo di trasformazione della commedia in forma chiusa (processo che sarà poi ripreso e condotto molto innanzi dall’altro grande
commediografo latino, Terenzio), accogliendo ogni specie
di intrusione metateatrale, per ricavarne effetti comici,
come abbiamo visto sopra. Egli attinge per questo aspetto
anche e soprattutto a una tradizione italica di spettacoli teatrali preletterari, di tipo farsesco e buffonesco, che
comportavano da parte degli attori la ricerca di un contatto diretto con il pubblico, fatto di ammiccamenti, strizzatine d’occhi, lazzi e motteggi, anche improvvisati.
V
i è però anche un’altra forma di metateatro presente in
Plauto, su cui ha richiamato l’attenzione in tempi relativamente recenti un importante studio di Marino Barchiesi1:
l’assimilazione, più o meno esplicita, degli inganni e delle
beffe, tramati dal servo ai danni degli antagonisti, alle “trame” della commedia, con la conseguente identificazione
del servo stesso con il poeta comico. Il servus callidus viene infatti rappresentato mentre medita, escogita e “mette in
scena” i suoi intrighi, proprio come l’autore e il capocomico
creano e realizzano lo spettacolo teatrale. Spunti di questo
tipo trovano la loro più brillante espressione nello Pseudŏlus,
dove lo schiavo che dà il titolo alla commedia, preparandosi
a invenire (“trovare”, ma anche “inventare”) la somma di
denaro necessaria per sciogliere i nodi della vicenda, paragona espressamente se stesso al poeta, il quale, «quando
prende in mano le tavolette, cerca ciò che non esiste da nessuna parte, e purtuttavia lo trova, e rende verosimile quella
che è un’invenzione (mendacium)» (vv. 401-403).
N
el teatro novecentesco il metateatro celebra i suoi trionfi, com’è noto, con Luigi Pirandello, soprattutto (ma non
soltanto) nella trilogia, detta appunto metateatrale, costituita da Sei personaggi in cerca d’autore (1921), Ciascuno a
suo modo (1924) e Questa sera si recita a soggetto (1930).
Nel primo e più importante di questi drammi, a un capocomico sconcertato si presentano sul palcoscenico, durante le
prove di uno spettacolo, sei personaggi creati e poi abbandonati dal loro autore: essi, mossi dall’esigenza che sia data
forma ed espressione al loro dramma, si propongono e
s’impongono al capocomico e agli attori con l’urgenza dei
loro conflitti dolorosi e delle loro tragiche contraddizioni.
D
al metateatro antico, che consiste fondamentalmente
nello svelare, per lo più con intento scherzoso, il carattere
fittizio dell’evento scenico e del mondo creato dalla fantasia
del poeta, attraverso una lunga evoluzione si è giunti, con Pirandello e poi con gli sviluppi successivi del teatro contemporaneo, a mescolare e confondere scena e vita reale, accomunate dalla precarietà e dalla labilità di apparenze egualmente ingannevoli. Non si tratta più semplicemente della
rottura dell’illusione scenica: l’illusione stessa, con un gioco
molto più sottile, viene messa in discussione in quanto tale,
postulando (è ciò che fa Pirandello) che i personaggi esistano
di per se stessi al di fuori della finzione, e insinuando il dubbio che non esista una realtà oggettiva (di cui il teatro sarebbe “mimèsi”, imitazione), ma che la vita reale sia non meno
illusoria, inafferrabile, inconsistente ed evanescente del
mondo fittizio inventato dall’arte.
1. M. Barchiesi, Plauto e il “metateatro” antico, in “Il Verri”, 1969, n. 31, ripubblicato in I moderni alla ricerca di Enea, Bulzoni, Roma 1981, pp. 147-174.
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G. Garbarino, L. Pasquariello – Paravia
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PERCORSI TESTUALI
Il metateatro, ovvero la rottura
dell’illusione scenica
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