Patologia Generale – Prof. Laconi 04/10/2012 Raffo Michela

Patologia Generale – Prof. Laconi 04/10/2012
Raffo Michela
VACCINI
L’efficacia di un vaccino dipende da tutta una serie di variabili:
 Innanzitutto deve avvenire l’induzione dell’immunità appropriata; infatti ogni particolare
antigene, o ogni particolare microorganismo, può avere necessità di stimolare una risposta
immunitaria diversa da un altro. C’è addirittura chi sostiene, in base ai dati più recenti che
stanno emergendo, che ogni nostro tessuto ha una sua risposta immunitaria particolare,
quindi la risposta immunitaria del polmone, del fegato e del rene sono diverse tra loro.
Senza arrivare a questi estremi è ad ogni modo evidente che una risposta prevalentemente
su base anticorpale è diversa da una risposta prevalentemente su base cellulare.
Microorganismi intracellulari patogeni richiedono una risposta cellulo-mediata, mediata da
linfociti T citotossici e T helper; invece gli anticorpi neutralizzano benissimo le tossine e
anche molti virus. Quindi è evidente che quando noi utilizziamo un vaccino per
immunizzarci contro quel particolare microorganismo dobbiamo tener conto di quale tipo
di immunità stimolare preferenzialmente.
I vaccini vivi sono migliori dei vaccini morti da questo punto di vista perché i vaccini vivi si
preoccupano loro stessi di percorrere le stesse vie di stimolazione che percorrerebbe il
microorganismo nativo, quindi ci garantiscono un pochino di più la produzione di
un’immunità appropriata.
Il tipo di immunità da stimolare rimane tuttavia incerto qualora non si conosca il tipo di
immunità più efficace contro quel particolare microorganismo, come nel caso della malaria.
 La stabilità nel tempo dei vaccini ovviamente condiziona l’efficacia; il problema si pone
soprattutto per i vaccini vivi, ma anche i vaccini morti devono essere preparati in maniera
stabile; questo è un parametro che può essere particolarmente importante per vaccini che si
utilizzano anche in paesi con scarse risorse, in cui non è così facile conservarli in ambienti
relativamente protetti, come frigoriferi o ambienti secchi.
 Immunogenicità sufficiente: i vaccini vivi sono generalmente più efficaci di quelli morti, e
questo dipende da tre fattori principali:
1) la stimolazione antigenica è più protratta; essendo vivi infatti possono vivere
nell’organismo per un certo tempo;
2) garantiscono una stimolazione nel tessuto più appropriato;
3) favoriscono la stimolazione della risposta più efficace.
 Sicurezza e costo condizionano anch’essi l’efficacia di un vaccino e sono problemi enormi,
che ritratteremo in igiene e medicina preventiva. La sicurezza e il costo possono andare a
limitare l’utilizzo dei vaccini. La sicurezza è un problema che riguarda tutti, il costo
soprattutto i paesi con più scarse risorse, ma che spesso ne hanno più necessità.
Per quanto riguarda l’appropriatezza del tipo di vaccino
conta anche la via di somministrazione. Qui è fatto un
esempio del tipo di anticorpi che sono stimolati a
seconda che si utilizzino vaccini morti per via
parenterale (le linee tratteggiate) oppure vivi (la linea
continua). Le gialle sono le IgG nel siero, le verdi sono
le IgM nel siero, le rosse sono le IgA nel siero, mentre le
blu/viola sono le IgA secretorie a livello della mucosa
nasale, le celesti sono le IgA secretorie a livello
duodenale, mentre la linea tratteggiata rappresenta le
IgA secretorie nasali e duodenali.
La produzione di IgM non varia a seconda che si somministri il virus morto per via parenterale o
quello vivo per via orale; le IgA nasali e le IgA duodenali invece sono presenti solo quando noi
somministriamo l’antigene vivo per via orale; se somministriamo l’antigene morto per via
parenterale le IgA secretorie non compaiono.
Quindi è chiaro che se le IgA secretorie costituiscono una barriera importante nei confronti di quella
patologia, per cui noi stiamo somministrando il vaccino, non possiamo utilizzare un vaccino morto
per via parenterale ma dobbiamo utilizzare un vaccino vivo per via orale. E questo permette di
sottolineare il concetto che anche la via di somministrazione è importante.
Per quanto riguarda la sicurezza del vaccino illustra bene questo argomento il caso della pertosse.
Inizialmente la mortalità da pertosse era dello 0,5% nei bambini sotto i 5 anni; questa percentuale è
elevatissima, perché indica che 5 bambini su 1000 sotto i 5 anni morivano.
A seguito dell’introduzione del vaccino con il microbo ucciso la mortalità è scesa da 200 a meno di
2 casi all’anno.
La vaccinazione è stata introdotta negli anni ’40 negli Stati Uniti; il vaccino veniva somministrato
all’età di tre mesi insieme al vaccino contro la difterite e il tetano (DTP).
Gli effetti collaterali sono: febbre, dolore, pianto persistente, raramente torpore e sono stati
segnalati pochi casi, non accertati, di encefalite; quindi anche effetti qualche volta importanti.
In Giappone nel 1972 l’ 85% della popolazione fu vaccinata e ci furono solo 300 casi di pertosse,
senza decessi.
Nel 1975 vi furono 2 decessi a seguito della vaccinazione, che per questo venne sospesa.
Nel 1979 vi furono 13’000 casi di pertosse con 41 morti.
Questi numeri un po’ riassumono la problematica dei vaccini. La vaccinazione è sicuramente una
strategia utile -non può essere discusso questo- che presenta dei problemi e che deve essere sempre
tenuta sotto attenzione. Quindi quando si discute sulla opportunità o meno di sottoporre bambini di
pochi mesi alla vaccinazione non si stanno facendo discorsi inutili; però è anche giusto che si parta
dai dati di fatto, come per il caso riportato sopra.
I vaccini sono tra le strategie più efficaci, che la medicina ha sviluppato per proteggere la nostra
salute, che tuttavia comporta dei rischi; anche questo è un dato di fatto; per cui non possiamo dire
che chi mette in discussione i vaccini fa dei discorsi completamente campati in aria. Però bisogna
tener conto del fatto che i numeri siano questi.
Dobbiamo fare una scelta e le scelte non sono mai tanto facili, soprattutto quando parliamo di
bambini di pochi mesi; dobbiamo fare un rapporto tra i costi e i benefici; se non usassimo i vaccini
ci sarebbero molti più morti per malattie infettive, nei confronti delle quali siamo in grado di
proteggerci, di quanti ne avremmo se li usassimo. Ci sono comunque casi di morti o di effetti
collaterali a lungo termine associati ai vaccini; però dobbiamo scegliere se correre questo rischio o
l’altro, che è decisamente molto più alto.
I problemi legati alla sicurezza dei vaccini sono a diversi livelli.
 I vaccini attenuati possono presentare:
 reversione verso il ceppo selvaggio; abbiamo già citato l’esempio del vaccino con virus
polio attenuato (sviluppato da Sabin), in cui soprattutto i tipi 2 e 3 hanno poche mutazioni
rispetto al ceppo selvaggio, per cui è facile che queste mutazioni vengano riacquisite al
contrario. Esiste anche -ed è utilizzato oggi forse di più- il virus morto, sviluppato da Salk.
Salk e Sabin sono due americani che hanno lavorato in parallelo allo sviluppo di un vaccino
contro la poliomielite.
La poliomielite è stata una patologia che ha coinvolto anche emotivamente le popolazioni,
soprattutto nei paesi sviluppati dove si moriva meno per altre malattie, ma dove la
poliomielite rappresentava un rischio costante, rischio che ci si contagiasse nelle piscine,
negli asili, negli ambienti in cui c’era contatto molto stretto tra bambini. I genitori erano
terrorizzati; la malattia si presentava a ondate e ogni anno c’era il pericolo, nei periodi di
massima incidenza, di contrarre la poliomielite.
È per questo che si lavorò intensamente intorno agli anni ’50 per sviluppare il vaccino antipolio; ci furono tuttavia anche degli incidenti importanti. La prima volta che fu introdotto il
vaccino Salk, con il virus morto, ci furono dei produttori di vaccino che non lo inattivarono
in maniera adeguata; quindi bambini che furono vaccinati con il vaccino, che in teoria
doveva essere morto, contrassero la poliomielite. Questi incidenti rallentarono poi di molto
lo sviluppo del vaccino stesso, perché di fronte a un incidente che riguarda bambini in
perfetta salute, che si ritrovano da un giorno all’altro con la poliomielite e con le sue
conseguenze irreversibili, è chiaro che tutte le ricerche subiscono un rallentamento enorme;
può anche essere difficile determinare quale sia la causa, anche se in quel caso fu trovata
abbastanza in fretta.
Per il vaccino vivo attenuato di Sabin, come detto precedentemente, i problemi riguardavano
la reversione verso il wild type. C’era anche un po’ di competizione tra Sabin e Salk,
competizione che aiuta a camminare più in fretta, ma che talvolta rende la ricerca difficile
perché nella fretta di arrivare primi si possono compiere degli errori.
La storia dei vaccini riassume molte delle problematiche che sono legate al mondo della
ricerca e al mondo dello sviluppo di nuovi farmaci; infatti anche i vaccini sono considerati
dei farmaci e hanno delle regole per la loro introduzione nella clinica molto stringenti; il
bersaglio è generalmente una popolazione sana, molto giovane, spesso bambini; quindi le
regole che sono state sviluppate per l’introduzione nel mercato dei vaccini sono ancora più
rigide di quelle della gran parte degli altri farmaci. Però questo non vuol dire che qualche
volta non si facciano degli errori, che infatti si verificano, causando blocchi e ritardi nello
sviluppo di nuovi vaccini.
 Un altro problema riguarda la somministrazione di vaccini vivi a soggetti immunodeficienti,
perché un vaccino vivo attenuato non è costituito da un agente completamente avirulento,
ma da un microbo la cui virulenza è notevolmente attenuata.








Se un soggetto ha uno stato di immunodeficienza anche questa virulenza attenuata si può
tradurre in patologia, non grave come sarebbe con il ceppo wild type, però importante.
Anche in questo caso bisogna stare attenti soprattutto perché spesso noi non sappiamo che i
bambini di pochi mesi sono immunodeficienti, in quanto possono avere dei difetti non
immediatamente evidenti; il sistema immunitario dei bambini di pochi mesi infatti non è
mai perfettamente sviluppato, quindi non ci aspettiamo una risposta immunitaria completa in
altre circostanze; perciò può essere proprio il momento della vaccinazione quello in cui
scopriamo, a nostre spese, che il bambino è immunodeficiente.
I vaccini vivi possono provocare infezioni persistenti;
possono provocare reazioni di ipersensibilità agli antigeni virali;
possono provocare reazioni di ipersensibilità nei confronti degli antigeni delle uova. Infatti
le uova sono spesso i terreni di coltura in cui vengono coltivati i vaccini, per cui estraendo
questi ultimi è possibile prelevare anche antigeni del terreno su cui sono stati coltivati i
vaccini stessi.
I vaccini morti possono presentare delle problematiche dovute a diversi fattori:
Il vaccino può non essere inattivato correttamente, come accaduto per il vaccino anti-polio.
Ci può essere contaminazione da parte di lieviti con cui sono stati preparati i vaccini;
contaminazione con virus animali se vengono utilizzate cellule animali;
contaminazione con endotossina, caso descritto con il vaccino antipertosse.
Gli adiuvanti sono delle sostanze che si usano, abbinate all’antigene, per avere una risposta
immunitaria più efficace in senso protettivo; quindi sono delle sostanze che aumentano l’efficacia
dei vaccini. Agiscono tramite due meccanismi principali:
 determinando l’effetto di deposito, quindi favorendo un rilascio lento dell’antigene in modo
tale che il sistema immunitario venga stimolato in maniera più protratta; questo si pensa che
sia l’effetto tipico di uno degli adiuvanti più utilizzati, che è l’alluminio;
 un altro effetto, probabilmente ancora più importante dal punto di vista biologico è
determinato dal fatto che alcuni adiuvanti sono dei ligandi per i TLR (Toll Like
Receptors) e non solo. I TLR sono dei recettori per PAMP (pattern molecolari associati a
patogeni) che hanno la funzione di attivare cellule del sistema immunitario innato per
presentare l’antigene alle cellule del sistema immunitario acquisito; una cellula i cui TLR
sono stati legati è una cellula in grado di esprimere molecole di MHC e quindi di presentare
l’antigene ai linfociti T e di stimolare adeguatamente il sistema dei linfociti T e B.
È evidente che quando parliamo di vaccini stiamo parlando del coinvolgimento della
risposta immunitaria acquisita e quindi delle cellule B e T, la cui stimolazione è
fondamentale; per cui se le cellule dell’immunità innata hanno i loro ligandi per i TLR
attivati questa stimolazione sarà più efficace.
Anche questo è un universo che si è aperto di recente -perché i TLR e gli altri recettori per
PAMP, anche endocellulari, sono stati scoperti relativamente da poco, 15/20 anni massimoe rappresenta una nuova opportunità per meglio utilizzare gli antigeni, per meglio stimolare
il sistema immunitario, e abbiamo ancora molto da capire su questo.
Lo sviluppo dei vaccini ha ancora enormi prospettive aperte per realizzarli nella maniera più
idonea possibile.
L’utilizzo appropriato di adiuvanti di sicuro può migliorare di molto l’efficacia con cui noi
somministriamo i vaccini; questo perché gli antigeni, soprattutto gli antigeni nativi di
natura proteica, se somministrati da soli non sono dei grandi stimolatori del sistema
immunitario specifico, per cui l’anatossina tetanica e difterica da sole non sono dei forti
stimolatori della risposta immunitaria, per cui non danno una risposta anticorpale adeguata
se non abbinate agli adiuvanti, che possono avere o funzione di deposito o di amplificare la
risposta immunitaria attraverso il legami dei TLR e altri simili.
 Anche la stimolazione di citochine è una conseguenza del legame con i recettori TLR e
anche questo può creare un ambiente più idoneo per la stimolazione di una risposta
immunitaria adeguata.
Quindi la funzione degli adiuvanti è fondamentale; su questa le ricerche si stanno concentrando per
individuare quelli più adeguati, che possono essere di volta in volta diversi; sappiamo infatti che i
TLR sono numerosi; nella specie umana sono una decina e ciascuno lega delle molecole diverse: il
DNA e l’RNA delle cellule batteriche, il flagello, l’LPS ecc... quindi sono tutti recettori, che una
volta attivati, possono innescare delle risposte diverse che possono essere più adatte per un antigene
piuttosto che per un altro. Abbiamo comunque ancora molto da capire su questo aspetto.
(Seguono degli elenchi dei vaccini che vengono utilizzati, che vedremo in igiene, che ora al prof.
non interessano e che ha messo solo per completezza).
Per quanto riguarda lo sviluppo di nuovi vaccini oggi è molto attiva la ricerca sulla possibilità di
inserire dei geni per far produrre alle nostre stesse cellule antigeni contro cui noi vogliamo produrre
anticorpi. Chiaramente è una strada non facile, che non si sa se avrà mai successo.
La sicurezza dei vaccini è un argomento molto importante; la problematica legata ai vaccini
riassume quella legata allo sviluppo di nuovi farmaci in generale, ma in maniera amplificata perché
il bersaglio generalmente è una popolazione sana di bambini, che in linea di massima non ha
neanche problemi legati all’invecchiamento, quindi una popolazione sana a tutti gli effetti.
Introdurre un vaccino è più facile all’inizio perché se c’è una malattia come la poliomielite, che
sta facendo strage, che sta infettando centinaia di migliaia di persone (questi erano i numeri) e ne sta
uccidendo parecchi, è chiaro che il problema è molto sentito e introdurre un vaccino, anche non
perfetto, è più facile perché si vede che è efficace, che riduce il problema di molto anche se si paga
un prezzo. Invece dopo che il vaccino ha funzionato, e quindi si ha una riduzione notevole
dell’incidenza della malattia legata a quel microorganismo, ecco che i problemi di tossicità vengono
riconsiderati, e acquisiscono importanza non solo i problemi maggiori ma anche i problemi minori,
per cui si ridiscute a quel punto anche sull’utilità o meno del vaccino.
È un pochino la fase in cui siamo noi adesso per alcuni vaccini; infatti l’incidenza di alcune
patologie è nettamente diminuita, quasi scomparsa, e quindi anche un solo caso di complicazioni
serie pone il problema, perché se la patologia non è presente nella popolazione non se ne percepisce
la gravità e quindi l’utilità del vaccino si rimette in discussione; questo è giusto che avvenga, ma
deve avvenire anche considerando l’esperienza precedente. Quindi non deve essere rimesso in
discussione tutto, ma si devono mantenere sempre in discussione quegli argomenti su cui si può
migliorare, come l’efficacia dei vaccini.
Più conosciamo il sistema immunitario più ci rendiamo conto che è complicato. La vaccinazione
non deve essere vista in modo semplicistico; non è che noi introduciamo un antigene, il sistema
immunitario lo riconosce come non self, costruisce gli anticorpi e tutto finisce lì.
Quando noi iniettiamo un antigene nel nostro organismo facciamo sempre qualcosa di
potenzialmente pericoloso. L’insorgenza di molte malattie autoimmuni è legata a episodi
infettivi, a contatto con antigeni non self. Non sappiamo esattamente perché accade questo,
abbiamo delle ipotesi ragionevoli, ma comunque questo ci dice che il contatto con antigeni non self
può essere un momento scatenante per patologie autoimmuni ad esempio.
Infatti una delle accuse maggiori che si fa alla somministrazione dei vaccini è che questi possano
essere legati all’insorgenza di patologie a sfondo autoimmune; questa non è una circostanza contro
la quale dobbiamo dire: “non è possibile, sono tutti studi basati sul nulla, sono tutte affermazioni
emotive ecc…” in realtà questo non ci deve sorprendere perché il contatto con antigeni non self, a
seconda dello stato in cui il sistema immunitario si trova, può essere un momento scatenante per
patologie autoimmuni e quando si vaccinano milioni o miliardi di persone è chiaro che un caso su
un milione può succedere; lo dobbiamo mettere in conto; non bisogna percepirlo come un errore
che abbiamo fatto per cui paghiamo questa conseguenza; è un qualcosa che è insito nel meccanismo
che stiamo stimolando; pertanto non si sa se si riuscirà a eradicare completamente questi effetti
collaterali così rari, anzi è improbabile.
Il panorama dei vaccini illustra inoltre una serie di problemi che sono insiti nello sviluppo e nella
vendita di farmaci. Un esempio è stato il caso di pochi anni fa della SARS, in cui il Ministero della
Salute italiano ha acquistato tantissime dosi di vaccino dalle case farmaceutiche, che poi non servì a
nulla, che tutti noi abbiamo pagato. Si può discutere sul fatto che questo fosse giustificato o meno;
si è stati forse un pochino imprudenti nell’amplificare il pericolo rappresentato da queste infezioni.
Non è da escludere che ci sia qualcuno che alimenta queste notizie per raggiungere uno scopo che
non è proprio quello di difendere la salute della popolazione. Quindi bisogna essere attenti e
soppesare anche questo rischio e non utilizzare uno strumento che in quel momento non ci serve.
Nello sviluppo dei vaccini Sabin e Salk stavano correndo in parallelo, gareggiando per arrivare
primi, e oggi la gara per arrivare primi è ancora più esacerbata perché la velocità è cresciuta, e
capita che due case farmaceutiche diverse si facciano concorrenza l’una con l’altra e cerchino di
arrivare prima, come è accaduto recentemente per la produzione di un vaccino contro il papilloma; è
chiaro che se si arriva prima, magari anche non essendo perfetti nello sviluppo di un vaccino, si ha
comunque un vantaggio notevole perché si entra nel mercato, ci si stabilisce e poi è difficile essere
rimossi.
Quindi occhi aperti, perché come medici faremo parte della comunità scientifica, che deve essere di
riferimento per la comunità; non possiamo essere quelli passivi che accettano qualunque
informazione. Dobbiamo essere nella posizione di valutare quello che si legge in maniera critica e
non possiamo deresponsabilizzarci rispetto a questi problemi.
Certamente non è facile, qualche volta anche dei luminari della scienza hanno preso delle cantonate
rispetto a questi problemi, come è avvenuto per la SARS, ma anche nel nostro piccolo dobbiamo
impegnarci per capire da quale parte pende la maggior parte dell’evidenza riconoscendo quando si
stanno forzando un pochino troppo i meccanismi.
C’è anche il problema legato alle assicurazioni, che è un altro universo in cui ovviamente gli
interessi fanno da padrone.
LE IMMUNODEFICIENZE
Le immunodeficienze sono delle condizioni di malfunzionamento del sistema immunitario. Possono
essere classificate in due categorie principali sulla base di un criterio clinico, e cioè sulla base delle
conseguenze che sono causate da questi difetti:
 Difetti delle Ig, del complemento e della fagocitosi sono associate a frequenti infezioni
da batteri piogeni, come l’Hemophilus, lo Streptococcus pneumoniae, lo Staphylococcus
aureus e altri.
 Mentre i difetti delle cellule T sono associati a (gravi) infezioni opportunistiche, ovvero
infezioni da parte di microorganismi, che normalmente non ci provocano particolari
problemi, ma che in casi di difetti delle cellule T possono provocare infezioni, talvolta anche
gravi. Questi microorganismi opportunisti comprendono la Candida, il Pneumocystis
Carinii, virus intestinali ecc…
Invece da un punto di vista della origine possiamo distinguere :
 immunodeficienze primarie (su base genetica);
 immunodeficienze secondarie (su base acquisita).
Noi ci occuperemo principalmente delle immunodeficienze primarie su base genetica e
accenneremo soltanto a quelle secondarie, la principale delle quali è la immunodeficienza acquisita
da infezione da virus HIV, che non tratteremo.
Le immunodeficienze primarie possono essere provocate da deficit dell’immunità innata e da
deficit dell’immunità acquisita.
I deficit dell’immunità innata possono essere legati a diversi fattori.
 Difetti nel segnale trasdotto dai PRR (Pattern Recognition Receptor), tra cui i TLR ma non
solo, possono provocare immunodeficienza. Questo perché alcuni PRR trasducono il segnale
attraverso la proteina MyD88. Quando ci sono dei difetti di questa proteina i segnali
trasdotti dai TLR non raggiungono il nucleo e quindi la cellula non risponde alla
stimolazione. Data l’importanza dei TLR nell’attivare le cellule macrofagiche, dendritiche
(in generale le APC) e la secrezione di citochine è evidente che il difetto di questa proteina
può avere delle conseguenze cliniche importanti, in questo caso in particolare può favorire
infezioni da piogeni.
 Poi ci sono tutta una serie di difetti dei fagociti coinvolti nell’immunodeficienza.
 Uno dei più comuni è la malattia granulomatosa cronica, che è legata a un deficit
dell’enzima NADPH ossidasi, molto importante per la formazione dei radicali dell’ossigeno
( il respiratory burst) nei granulociti e nei macrofagi; questo è un meccanismo fondamentale
per la distruzione del materiale ingerito, dei batteri, che si esplica non solo attraverso la
produzione di specie radicaliche derivate dall’ossigeno, ma anche dall’ossido nitrico. È la
via metabolica che produce acqua ossigenata, ipoclorito ecc… che hanno un effetto
battericida importante e che operano assieme ovviamente agli enzimi litici presenti nei
lisosomi.
Tutto il sistema parte dall’attivazione della NADPH ossidasi, quindi se questo enzima è
difettoso la conseguenza chiaramente è una diminuita attivazione di questa via.
 La sindrome di Chediak-Higashi (dovuta a mutazioni del gene di Chediak-Higashi,
CHS) si traduce in un difetto dei lisosomi, che è correlato alla fagocitosi, ma è associato
anche ad altri difetti, quali albinismo e difetti delle piastrine.
 Deficit nella adesione dei leucociti si presentano quando ci sono difetti a carico del CR3,
un recettore del complemento, o delle β2 integrine, dei recettori che facilitano l’adesione dei
leucociti.
 Difetti dell’asse IFNγ-IL12 sono dovuti a mutazioni dei recettori o dell’IL-12; l’asse IFNγIL12 è importante per l’attivazione del pathway dei T-helper 1.
 Difetti del recettore TNF sono associati a febbre persistente e a infiammazione locale.
 La febbre mediterranea familiare è associata a mutazione del gene che codifica per la
pirina, un down-regolatore della attività dei neutrofili e dei macrofagi; quindi c’è un’iperattivazione dei neutrofili e dei macrofagi in corso di febbre mediterranea familiare.
Per quanto riguarda la malattia granulomatosa cronica
la NADPH ossidasi è un enzima molto complesso,
costituito da diverse subunità, molte di queste
codificate dal cromosoma X; in particolare uno dei
difetti più comuni riguarda la glicoproteina 91
codificata sul cromosoma X. Quando è difettosa una
qualunque delle subunità la funzionalità dell’enzima è
comunque ridotta, e la conseguenza è una minore
produzione di radicali dell’ossigeno. La reazione che
viene catalizzata è la trasformazione dell’ossigeno in
ossigeno radicalico, che poi darà l’avvio alla
formazione di acqua ossigenata e altri derivati dai
radicali dell’ossigeno.
L’NADPH prodotto attraverso questa via metabolica presenta anche un collegamento con un altro
enzima che vedremo in seguito, ovvero la glucosio-6-fosfato-deidrogenasi (G6PD) che produce
NDPH, che poi viene utilizzato dalla NADPH ossidasi; quindi a monte della NADPH ossidasi c’è
un altro enzima, che alla popolazione sarda interessa particolarmente, perché ci sono molti individui
che hanno un deficit nella produzione della G6PD.
È possibile osservare l’attività dell’enzima dopo
stimolazione con esteri del forbolo, degli attivatori
dei neutrofili, misurando la produzione di ione
superossido. Si nota che la produzione nei
granulociti di una persona normale (linea rossa) ha
un certo valore; in un portatore (linea tratteggiata),
che ha il difetto in un solo cromosoma, si ha una
condizione intermedia, invece in soggetti che hanno
entrambi i cromosomi con il difetto (linea verde) la
produzione è vicina allo zero, se non completamente
assente.
 Deficit del sistema del complemento.
Le vie di attivazione del complemento sono tre: la via alternativa, la via classica e la via delle
lectine.
 La via lectinica è costituita dal MBL (mannose binding lectin), che poi a sua volta si lega
alle subunità enzimatiche MASP1 e MASP2. Difetti di una di queste componenti
comportano rischi di infezioni durante l’infanzia;
 così come rischi di infezioni sono associati anche a difetti delle subunità del complemento
della via classica C1, C2 e C4, associati anche a una malattia: il lupus eritematosus
sistemico (LES), la cui patogenesi è complessa, e alla quale riaccenneremo parlando di
malattie autoimmuni.
 Il deficit di C3, la componente chiave dell’attivazione del complemento, comune sia alla via
classica sia alla via alternativa, o di fattore H o di fattore I (fattore Inibitorio) porta a gravi
infezioni ricorrenti;
 mentre il deficit di C5, C6, C7 o C8, fattori finali del complemento, è associato a frequenti
infezioni da neisserie.
 Deficit del C1-INH è associato a una super-attivazione del complemento, che causa la
sindrome dell’angioedema ereditario.
 C’è poi una proteina di ancoraggio, la glicosil-fosfatidil-inositolo, GPI, che si lega al DAF
e al CD59, che sono proteine regolatorie del complemento: il DAF è coinvolto nella
formazione della C3 convertasi; il CD59 è coinvolto nella formazione del complesso di
attacco di membrana (MAC). In entrambi i casi quando mancano questi sistemi regolatori
abbiamo un quadro definito come emoglobinuria parossistica notturna, associato a lisi dei
globuli rossi.
La sindrome può essere più o meno grave a seconda del difetto dell’uno o dell’altro
regolatore; è legata al fatto che i globuli rossi sono particolarmente sensibili all’attivazione
del complemento; non hanno nucleo, e quindi non possono difendersi da una lisi, perciò
sono le cellule più vulnerabili.
Esiste anche la possibilità di sviluppare una sindrome acquisita di emoglobinuria
parossistica notturna. Questo accade quando la mutazione avviene in un clone di
progenitori di globuli rossi. La mutazione si trasmette a tutte le cellule che derivano da
quella cellula staminale, che saranno suscettibili di emolisi.
I deficit delle cellule B possono essere associati a polmoniti, otiti e sinusiti. Le più comuni, anche
se sono abbastanza rare, sono:
 la agammaglobulinemia legata all’X. Il cromosoma X ha molti geni legati alla risposta
immunitaria ed è probabilmente anche per questo che il sistema immunitario nel sesso
femminile funziona in maniera un pochino diversa rispetto al sesso maschile.
Le donne sono molto più suscettibili allo sviluppo di alcune patologie autoimmuni di quanto
lo siano i maschi, e le donne devono anche far fronte a una situazione a rischio per quanto
riguarda il sistema immunitario, che è quella della gravidanza, in cui deve essere “tollerata”
la presenza di antigeni che non sono self.
La agammaglobulinemia legata all’X è dovuta a un difetto della tirosina chinasi, soprattutto
della tirosina chinasi di Bruton, che è fondamentale per la maturazione delle cellule B; per
cui abbiamo come conseguenza l’assenza di cellule B e di follicoli germinativi; abbiamo
solo linfociti pre-B.


Il deficit di IgA, è il più comune nei caucasici (1/700). È associato a infezione delle
mucose; in questi soggetti qualche volta si sviluppano anticorpi anti-IgA. Questo proprio
perché le IgA non sono presenti e quando vengono iniettate, a seguito della scoperta del
deficit, possono essere sviluppati anticorpi. Ovviamente sarà la parte costante della catena
pesante la più immunogenica, perché è quella tipica di ogni classe di immunoglobuline.
Sindrome da iper-IgM legata all’X in cui si ha mutazione del CD40L sui linfociti T-helper.
Il legame del CD40L è fondamentale perché avvenga lo switch isotipico, che a seguito della
mutazione non avviene; per cui avremo una iper-produzione di IgM e un deficit nella
produzione delle altre immunoglobuline. Si assiste anche a un difetto nei macrofagi.
I deficit delle cellule T possono essere dovuti a diverse patologie:
 La sindrome di DiGeorge, dovuta ad una agenesia del timo, le cui cause sono sconosciute;
sono state riscontrate micro-delezioni del cromosoma 2 e spesso si associa anche ad altre
malformazioni, come ad esempio agenesia delle paratiroidi.
 Disfunzioni delle cellule T invece possono essere legate a mutazioni delle catene γ, ε e ζ
(presente in dimero), ovvero le catene del CD3, proteina che permette la trasduzione del
segnale del TCR. Può esserci anche una diminuita produzione di IL-2, che si occupa di
stimolare i linfociti T.
 La SCID (Severe Combined Immunodeficiency o immunodeficienza severa combinata) è
invece una sindrome molto grave, con una mortalità elevata entro i due anni, per la quale è
assolutamente necessario operare un trapianto di midollo, che sia ovviamente compatibile,
affinché venga prevenuta la reazione del trapianto verso l’ospite (GVHD graft versus host
disease) legata al fatto che se il midollo non è compatibile riconosce i tessuti periferici come
non self e quindi scatenerà una reazione immunitaria “autoimmune”. In questi bambini le
vaccinazioni di cui abbiamo parlato precedentemente non si possono fare: sia il bacillo di
Calmette e Guerin (BCG), bacillo tubercolare attenuato, sia il vaccino con virus polio
attenuato, possono causare gravi infezioni.
Il rapporto maschi/femmine è 3/1.
Il 50% è legata al cromosoma X e questo forse ci spiega perché l’incidenza è prevalente
nel sesso maschile. Il difetto è nella catena γ comune di IL-2R. Si chiama catena γ comune
perché è comune anche ai recettori IL-4, IL-7, IL-9, IL-15 e IL-21 e proprio la IL7 è
fondamentale per la maturazione delle cellule T, quindi se manca la catena γ comune manca
anche il recettore per IL7.
Un 25% è dovuto a difetti delle RAG1 e RAG2 (geni associati alla ricombinazione), della
catena δ CD3 e delle MHC II.
Un altro 25% dei casi è legato invece a difetti della adenosina deaminasi (ADA) o della
purina nucleoside fosforilasi (PNP).
Deficit della ADA e della PNP portano
entrambe a SCID perché causano un blocco
dell’enzima ribonucleotide reduttasi, che è
essenziale per la sintesi dei
deossiribonucleotidi, fondamentali per la
sintesi del DNA. Essendo le cellule del sistema
immunitario in attiva replicazione, se mancano
gli enzimi fondamentali per questi meccanismi
il sistema immunitario non funziona. Il blocco
della ribonucleotide reduttasi è dovuto a un
qualunque squilibrio dei deossiribonucleotidi.
In media il nostro DNA è costituito da parti
uguali di tutti e quattro i tipi di
deossiribonucleotidi. Il pool di questi ultimi è
basso, molto più basso del pool dei
ribonucleotidi, perché in condizioni di riposo
le cellule non sintetizzano DNA e sintetizzano
deossiribonucleotidi solo poco prima della fase
S, quindi la ribonucleotide reduttasi si attiva
solo nella tarda fase G1 del ciclo cellulare e
sintetizza i deossiribonucleotidi che servono in
perfetto equilibrio molare tra loro, in rapporto 1:1:1:1.
Riesce a far questo grazie al fatto che la ribonucleotide reduttasi è regolata in modo tale per cui il
deossiribonucleotide precedente inibisce la sua stessa sintesi e stimola la sintesi del
deossiribonucleotide successivo. Quindi A stimola C, C stimola G e G stimola T.
La cellula garantisce che questo enzima funzioni in maniera perfetta quando i deossiribonucleotidi
sono in quantità equi-molare nella cellula. Se uno di questi aumenta rispetto agli altri la
ribonucleotide reduttasi si blocca perché quel deossiribonucleotide in eccesso deve essere smaltito.
Il problema è che il rischio di commettere errori nella sintesi del DNA è elevatissimo perché la
cellula ha bisogno mediamente della stessa quantità di ogni deossiribonulceotide. Se uno è in
eccesso la DNA polimerasi, e più in generale il complesso di polimerizzazione, rischia di inserirlo
quando non deve.
Se c’è uno squilibrio tra i deossiribonucleotidi, cosa che avviene quando mancano questi due
enzimi (ADA e PNP), si ha uno squilibrio dei pool deossiribonucleotidici e quindi un blocco della
ribonucleotide reduttasi e la sintesi del DNA si ferma; quindi non vengono generate le cellule del
sistema immunitario.
 La sindrome di Wiscott-Aldrich è legata a X; i difetti sono nell’organizzazione del
citoscheletro delle cellule T, che non riescono a interagire in maniera efficace con le cellule
B.
 La atassia-teleangiectasia è dovuta alla proteina difettosa ATM (atassia-teleangiectasia
mutata), coinvolta nel riparo delle rotture del DNA doppia elica, quindi si ha una diminuita
ricombinazione e un’aumentata sensibilità alle radiazioni. Gli enzimi coinvolti nella
ricombinazione genica sono anche gli enzimi coinvolti nel riparo delle rotture del DNA,
perché la ricombinazione genica comporta una rottura del DNA a doppia elica; ovviamente
avviene solamente nei linfociti, non nelle altre cellule, ma difetti nei meccanismi di riparo
portano anche a difetti nella ricombinazione genica.
Le immunodeficienze secondarie.
Le immunodeficienze secondarie dovute a farmaci molto spesso vengono indotte volontariamente,
perché se c’è un sistema immunitario che sta operando in maniera errata noi fino ad ora non siamo
in grado di fare molto altro se non diminuire la sua azione. Tra i farmaci più efficaci e utilizzati che
causano immunodeficit ci sono i corticosteroidi.
I corticosteroidi sono farmaci immunosoppressori classici e esplicano diversi effetti sul sistema
immunitario:
 Causano una diminuzione dei linfociti circolanti, soprattutto dei T e soprattutto dei CD4;
 Determinano una minore attività dei linfociti T e B che rimangono e
 determinano una minore sintesi di citochine, soprattutto IL-2, 4, 6, 10, IFNγ, TNFα,che
sono citochine infiammatorie (eccetto la 10, che è anti-infiammatoria).
Il quadro plasmatico, che si registra dopo la somministrazione di glucocorticoidi, è quello illustrato
nella tabella:
si ha un aumento dei neutrofili, una
diminuzione drastica dei linfociti e anche
degli eosinofili, dei monociti e dei basofili;
questi ultimi si riducono a tal punto da non
poter essere quasi più osservati. Questi
effetti, che si realizzano dopo una sola
somministrazione, sono reversibili entro 24
ore, ovviamente se le dosi sono
relativamente basse e contenute.
Queste terapie spesso si portano avanti per
lunghi periodi di tempo, quindi il quadro sarà determinato dalla lunghezza del periodo di tempo per
cui sono stati assunti questi farmaci.
Questi sono effetti che spesso noi cerchiamo, ma non sempre; infatti il cortisone si prende anche per
altre ragioni; però dobbiamo tener conto che ci sono questi effetti. E quando li usiamo per ottenere
immunosoppressione i cortisonici causano anche tanti altri effetti collaterali; per questo sono
farmaci da usare con estrema cautela quando ce n’è effettivamente bisogno.
Ci sono poi tanti altri farmaci immunosoppressori, alcuni dei quali agiscono bloccando la sintesi
del DNA. Bloccando la sintesi del DNA si raggiunge un blocco dell’attività del sistema
immunitario, che ha un’attiva riproduzione cellulare.
Il ciclofosfamide è un agente alchilante, mutageno, che agisce causando blocco della sintesi del
DNA. Questo è un farmaco anche anti-neoplastico; è citotossico e non distingue tra linfociti e altre
cellule, quindi blocca la sintesi del DNA di tutte le popolazioni cellulari proliferanti. Chiaramente le
dosi che si usano per l’immunosoppressione sono molto diverse da quelle che si usano per ottenere
un effetto anti-neoplastico.
L’azatioprina, diventa 6-mercaptopurina e questa acido tio-inosinico, che inibisce la sintesi delle
purine e del DNA, perché è un analogo fraudolento delle basi puriniche e quindi anche qui si
bloccano gli enzimi che portano alla sintesi del DNA.
Il metotrexate è un analogo dell’acido folico, necessario per la sintesi del DNA; pertanto
diminuendo la disponibilità di acido folico diminuisce la sintesi del DNA.
Ciclosporina, tacrolimus e rapamicina agiscono interferendo nella trasmissione del segnale nei
linfociti T; quindi è un’azione più selettiva sulle cellule che noi vogliamo bloccare; gli altri farmaci
non distinguono tra cellule T, B e cellule proliferanti di altri tessuti, invece ciclosporina, tacrolimus
e rapamicina sono relativamente selettivi, comunque non selettivi in assoluto.
La causa di immunodeficienza acquisita più diffusa al mondo è ancora la malnutrizione: mancando
l’apporto energetico il sistema immunitario entra in crisi; l’immunodeficienza si manifesta ancora
prima della sofferenza degli altri tessuti. Si ha atrofia dei tessuti linfatici, soprattutto del timo,
quando, come succede molto spesso, la malnutrizione colpisce i bambini.
Non solo malnutrizione in generale ma anche la carenza di alcuni elementi può portare a
immunodeficienza;
qui in particolare viene fatto l’esempio dello zinco, che
addirittura può provocare immunodeficienza nelle generazioni a
venire quando la carenza avvenga durante la gravidanza.
L’esperimento in questione è stato fatto su topi allevati in carenza
di zinco; la generazione F1, cioè i primi figli, hanno livelli di IgM
molto bassi rispetto a quelli allevati con zinco; ma anche la
generazione F2 presenta livelli di IgM più bassi della norma e
l’effetto si osserva ancora, seppur in misura minore anche nella
F3 sebbene nelle generazioni filiali i topi siano stati allevati con
quantità di zinco assolutamente adeguate.
Quindi la carenza di oligoelementi può condizionare uno stato di
immunodeficienza. Questo nelle nostre regioni non è un
problema, però in altre regioni del mondo sono problemi ancora presenti.