Un figlio malato tra paure e SPERANZE

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PSICONCOLOGIA
Un figlio malato
tra paure e SPERANZE
di Emanuela Zerbinatti
Dallo shock della diagnosi al lungo iter
di cura, il cammino mano nella mano
con un bimbo malato pare tutto in salita,
ma alla fine guarire si può ed è come
una nuova nascita
L’ARTICOLO IN BREVE
“
ostro figlio è malato di scare le idee nel momento in cui
cancro”: accade ad alcune è importante mantenere la lucisfortunate famiglie di dità per sé e per il bene del picdover affrontare una notizia così colo e degli altri familiari, a cui
impossibile da accettare, gravata bisognerà comunque dire come
com’è di paure e, nello stesso stanno le cose.
“Non c’è genitore che,
tempo, della necessità di stare
accanto a chi, per età, ha biso- messo di fronte alla diagnosi di
tumore, non si
gno di essere accudito ancor più di Il sangue freddo chieda se in qualmodo è
qualsiasi
altro
è presupposto che
responsabile della
malato.
per decisioni malattia
del
Anche per l’afiglio,
e
questo
dulto la diagnosi
ponderate
vale soprattutto
di tumore giunge
quasi sempre improvvisa ed è per i bambini nei primi mesi di
sempre uno shock, ma quando vita, oppure se si è perso
c’è di mezzo un bambino, tutto tempo, magari sottovalutando
si fa indubbiamente più com- segni o sintomi che col senno
di poi avrebbero potuto essere
plicato.
“E adesso?” Le paure, i interpretati come l’esordio”
dubbi, e perfino i sensi di colpa spiega Andrea Biondi, responche affollano la mente di un sabile del Centro di ricerca per
genitore subito dopo la diagno- le leucemie e le malattie ematosi sono tanti e rischiano di offu- logiche dei bambini ‘M. Tetta-
V
14 Fondamentale ottobre 2009
Dal momento della comunicazione della diagnosi al lungo
percorso di cura, la scoperta di avere un figlio malato di cancro
mette a dura prova qualsiasi famiglia. I tassi di guarigione dei
tumori infantili sono comunque sempre più elevati. Ciò significa
che è necessario affrontare la malattia anche dal punto di vista
psicologico e degli equilibri familiari nel modo più sereno
possibile. Un oncologo con grande esperienza di trattamento di
bambini fornisce i suoi consigli, incentrati sulla collaborazione
tra curante, famiglia e piccolo paziente.
manti’ presso l’ospedale San
Gerardo di Monza. “La verità è
che, con l’eccezione di alcune
rare forme genetiche ereditarie,
la quasi totalità dei tumori
infantili ha origine sporadica.
In altri termini compaiono,
come quelli degli adulti, per
accumulo di danni al DNA
delle cellule che diventano
tumorali. E i genitori, in questo, non c’entrano”.
LA CURA E LA SPERANZA
Per fortuna i progressi compiuti dalla scienza oggi permet-
tono di dire che è scorretto definire il tumore una ‘malattia
incurabile’. Certo, le terapie
sono lunghe e talvolta dolorose,
ma la speranza di sopravvivenza
è sicuramente più alta che in
passato e i bambini non fanno
eccezione.
“È proprio così” conferma
Biondi. “Giusto per rimanere
nell’ambito della mia specialità,
è bene ricordare che le leucemie
linfoblastiche acute, le più frequenti nei bambini, hanno tassi
di guarigione a 5 anni del 75-80
per cento. Per alcuni sottotipi le
Gestire le proprie emozioni
percentuali sono più basse,
intorno al 50 per cento circa,
ma ogni anno rosicchiamo
qualche punto percentuale in
più. L’unica strada per battere le
malattie oncologiche infantili
resta però la ricerca centrata sul
bambino e sull’adolescente”.
Non si può infatti pensare
di continuare a utilizzare le
conoscenze acquisite nella
cura dei tumori dell’adulto
anche con i più piccoli: aspetti clinici e terapeutici sono
diversi e quindi lo studio della
malattia e dei farmaci, oltre
alla messa a punto dei protocolli terapeutici, deve essere
fatto sul minori. Anche per
questa ragione AIRC ha rinnovato il finanziamento ai Progetti di ricerca interregionali
pediatrici (vedi Fondamentale
di giugno 2009 a p. 14)
FARMACI INNOVATIVI
ANCHE PER I PICCOLI
“Oggi, appena viene fatta
la diagnosi e il bambino entra
nel percorso di cura, viene
automaticamente inserito nei
programmi di ricerca. Questo
non significa che farà da cavia”
precisa Biondi “ma che su di
lui verranno applicati tutti i
protocolli terapeutici già
approvati per sicurezza ed efficacia e che i suoi dati circa la
risposta verranno registrati per
consentire, insieme a quelli di
altri piccoli malati, di continuare a monitorare l’efficacia
dei protocolli stessi o di trovare altre strade qualora non funzionassero. Dal 2007, infatti, è
attiva una normativa europea
che ci consente in tempi molto
più rapidi di iniziare la sperimentazione di farmaci innovativi su bambini e adolescenti in
cui tutti i protocolli noti e
approvati hanno fallito”.
Il dubbio è che magari un
genitore non si senta di sperimentare una nuova cura sul
proprio bambino.
“Non è affatto detto, anzi.
Il nostro centro è uno dei
pochi accreditato per la sperimentazione dei farmaci in fase
1 e 2 (cioè le prime sperimentazioni sull’uomo) sui minori
e riceviamo parecchie richieste
anche da parte di genitori il
cui figlio non è stato preso in
carico da noi. Ogni padre o
madre vuole avere la certezza
di non aver tralasciato nulla
per salvare il proprio figlio, e
questo anche se noi non siamo
ancora in grado di dare cifre
attendibili sulle reali probabilità di successo o sopravvivenza. Però, ripeto, parliamo di
sperimentazione su bambini
in cui ogni altro tentativo è
fallito e comunque di farmaci
che nell’adulto si sono dimostrati sicuri e tollerabili. Nessuno vuole fare esperimenti o
inutili accanimenti e i genitori, per quanto disperati, sono i
primi a metterlo in chiaro”.
BAMBINI AL CENTRO
È evidente che in questi casi
il rapporto di fiducia tra curanti
e genitori deve essere particolarmente forte. Ma qual è il ruolo
del bambino in tutto questo?
“È fondamentale. Il nostro
paziente è il bambino, e in
quanto tale deve essere sempre il
centro di ogni intervento. Il
lavoro che si fa con il singolo
malato, l’atteggiamento che si
assume con lui, le parole studiate in base all’età e al grado di
maturazione psicologica per
spiegargli tutto ciò che gli sta
accadendo, servono per costruire un rapporto con il bambino
ma al tempo stesso stabiliscono
e rafforzano un rapporto collaborativo e di fiducia anche coi
genitori. Ovviamente ci sono
La rabbia. Essere arrabbiati per un evento come una grave
malattia di un figlio è assolutamente normale e giusto.
Attenzione però a dove e come la scaricate: per voi e per gli altri
sarebbe meglio cercare di incanalare rabbia e frustrazione nel
modo più costruttivo possibile, parlandone con amici,
associazioni di genitori, volontari in ospedale, psicologi. Senza
dimenticarsi di se stessi: qualche ora di sport, una corsa,
aiutano a scaricare le tensioni.
I sensi di colpa. Anche questi fanno parte di una reazione
normale date le circostanze e infatti la maggior parte dei genitori
sviluppa sensi di colpa, che però vanno affrontati ed eliminati:
nessun genitore è colpevole per la malattia che ha colpito il figlio,
nemmeno in quei rari casi di tumore su base ereditaria.
I dubbi e le paure. Continuare a chiedere informazioni mediche
non deve diventare fonte di vergogna o di altri sensi di colpa: fa
anche questo parte del normale vissuto dei genitori dopo la
diagnosi. Si può pensare o sperare in un errore e lo shock è tale
anche quando non si mette in dubbio ciò che viene detto dai
medici. L’importante è non tenersi dubbi e paure: chiedere e
sapere è utile, e nessuno può togliervi questo diritto.
Il pianto. Piangere in continuazione di fronte al figlio malato
(ma anche ai fratelli) significa fargli credere che non ha
speranze. Cercate di mantenere la calma quando siete con i
bambini e di sfogarvi con altri adulti (amici, parenti), senza però
cadere nell’eccesso opposto: è importante mostrarsi di umore
adeguato alla situazione, evitando disperazione, ma anche gioia
o ilarità immotivate.
PSICONCOLOGIA
Che cosa dire al bambino
anche momenti di confronto e anche grazie alla diffusione semlavoro diretto coi genitori e gli pre più massiccia di internet.
“La Rete è uno strumento
altri familiari, ma il fulcro resta
il bambino. Tutto avviene in che va usato con precauzione”
avverte l’esperto. “Ovviamente
funzione del suo benessere”.
Un lavoro enorme che non vieto nulla ai familiari dei
miei pazienti e,
richiede molto
tempo ed enerMolti genitori anzi, li incoraga informarsi
gia. “Però ripaoffrono aiuto gio
con chi voglioga”
ammette
Biondi “perché ad altre famiglie no, però chiedo
in difficoltà
che tornino da
qualcosa
di
me per ogni
molto forte deve
accadere nei rapporti se così eventuale dubbio o richiesta
tanti genitori tornano per suscitata da quanto trovato.
continuare a collaborare, Non è presunzione e non
sostenendoci o aiutando altri penso di avere tutte le risposte,
genitori nelle condizioni in ma si tratta di valutare caso per
cui si sono trovati loro e ciò caso, in base all’esperienza
indipendentemente da qual è maturata in anni di studio,
stato l’esito per i figli. Molti lavoro e anche confronto con
entrano a far parte di associa- altri esperti. Per ora il web non
zioni di genitori, che di quella è ancora in grado di fornire le
grossa mole di lavoro di cui si risposte personalizzate di cui
diceva fanno la parte più gros- ciascuno avrebbe bisogno”.
sa. Oggi come oggi sono queste associazioni che si fanno
A VOLTE RITORNANO
carico di stare accanto ai bamGuarire si può, e accade
bini e ai loro familiari per sempre più spesso. A volte,
tutto il percorso che inizia con però, è difficile sentirsi sicuri
gli accertamenti diagnostici”.
anche quando le cose sembraE sono anche molto ben no essersi risolte.
organizzate, con interazioni e
“Quello delle recidive è
scambi di informazioni con sempre un dramma. Si precigruppi analoghi all’estero, pita di nuovo tutti nell’incubo
Che cosa dire agli altri figli
La diagnosi di tumore sconvolge i genitori e di conseguenza anche gli
altri membri della famiglia che percepiscono il cambiamento
improvviso e vogliono sapere che cosa sta accadendo. Mettete
onestamente al corrente della situazione anche i fratelli e le sorelle con
gli stessi criteri visti per il piccolo malato.
• Non fateli sentire abbandonati: fate sì che gli altri figli possano venirvi
a trovare mentre siete in ospedale e si rendano conto che il fratello è
realmente malato e necessita della madre o del padre. Nello stesso
tempo cercate di tornare a casa quando potete;
• appoggiatevi solo a persone (nonni, parenti, amici, vicini) che i vostri
figli conoscono e di cui si fidano per lasciarli quando siete in ospedale;
• frenate l’eccessiva anche se naturale tendenza di parenti e amici a
fare regali al figlio malato, trascurando gli altri;
• fategli sentire che possono contribuire anche loro al nuovo ritmo
della vita familiare: i fratelli, anche i più piccoli, possono essere
gratificati se si chiede loro di dare, per esempio, una mano in casa.
Fermo restando che tutti gli studi di psicologia infantile
confermano che non si può tacere una notizia del genere a un
bambino (anche perché la capisce da solo in fretta), dovete
però cercare le parole e i modi giusti per far capire che è una
realtà molto difficile, ma superabile. Ecco alcune semplici
regole da integrare coi suggerimenti dello staff medico che
segue il vostro bambino.
• Non mentite: bugie, omissioni e mezze verità verrebbero
subito a galla e porterebbero il piccolo a non fidarsi più di voi e
degli adulti in generale, medici e curanti compresi;
• se non ve la sentite di farlo subito o avete bisogno di un po’
di tempo per assorbire voi stessi il colpo della diagnosi e
trovare le parole giuste per l’età e il carattere del bambino,
aspettate pure qualche giorno, quando sarete più calmi e
avrete compreso meglio la situazione, ma non rinviate in
eterno: prima o poi dovrete dirglielo per prepararlo al fatto che
dovrà affrontare l’ospedale e le cure lunghe e talora dolorose;
• evitate di sommergerlo subito di informazioni: ha bisogno
(come voi) di tempo per elaborare e adattarsi alla situazione;
• fatelo sentire libero di chiedere qualsiasi cosa riguardi la
sua salute e se non ve la sentite o non sapete rispondere,
fatelo fare dallo staff dell’ospedale;
• dategli speranza e qualsiasi cosa gli diciate fatelo
infondendogli amore e sicurezza: spesso i bambini reagiscono
meno all’informazione che all’amore e alla sicurezza derivanti
dalla fiducia.
e bisogna ripartire daccapo. Se
una ricaduta in corso di terapia viene vissuta semplicemente come un fallimento di
questa, a cui bisogna trovare
un’alternativa, più drammatica è la situazione di chi ha terminato le cure da anni” con-
clude Biondi. “Qui davvero si
rischia di provare le stesse
emozioni vissute con la prima
diagnosi, con al limite il piccolo vantaggio dato dalla consapevolezza che se si è riusciti
a contenere il danno una
volta, ce la si può fare ancora”.
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