LEGGERE AI BAMBINI IN OSPEDALE: DALL’INTRATTENIMENTO AL PRENDERSI CURA. Pia Massaglia Professore Associato di Neuropsichiatria Infantile, Università di Torino Psicoterapeuta Psicoanalitica dell’Infanzia e dell’Adolescenza L’esperienza di ospedalizzazione in età evolutiva rappresenta un momento di crisi per il bambino e per i suoi familiari, che interrompe l’andamento della quotidianità dell’intero nucleo: suscita, specie in caso di malattie gravi, intense angosce rispetto alla vita e all’integrità fisica (che sembrano risucchiare anche i precedenti aspetti di serenità) e si accompagna a sentimenti di solitudine e di esclusione. L’ingresso in ospedale comporta per il bambino la perdita del proprio benessere psicofisico, del proprio ambiente, con i suoi rapporti e le sue attività; allo stesso tempo propone l’incontro ansiogeno con la malattia (propria e altrui) e con gli operatori sanitari, che (a differenza del medico di famiglia) sono portatori di messaggi di gravità e di sofferenza. In questa situazione, emergono accanto alle ansie e ai timori, intensi bisogni di normalità, che si esprimono ad esempio attraverso il desiderio andare presto a casa, per giocare ed andare a scuola. La presenza di una malattia importante rischia davvero di interferire con il processo di crescita, in particolare rispetto all’acquisizione di una progressiva autonomia (favorendo un arresto o una regressione dello sviluppo, in particolare sul piano emotivo-relazionale) e alla costruzione dell’identità personale (incentrata sulla patologia); può essere anche occasione di vantaggi secondari, con ridimensionamento e/o annullamento delle normali richieste/proposte educative. In una prospettiva di “umanizzazione”, con il recupero di tutti gli aspetti di normalità possibili, per quanto riguarda il passaggio da paziente a persona in pediatria dobbiamo lavorare per una trasformazione in divenire: prima da piccolo paziente a bambino con malattia, poi da bambino a ragazzo e ad adulto (eventualmente con malattia). Nonostante i progressi compiuti nella cura della maggior parte delle malattie gravi e croniche dell’infanzia, permane il rischio per chi ne è affetto di restare “a vita” un piccolo bambino malato. Sono in primo piano gli aspetti impedenti (“la palla al piede”) e/o escludenti (“il tunnel”), cui si contrappongono atteggiamenti di copertura o di negazione (“va tutto bene, nessun problema”) o di idealizzazione (“è meglio così”). Lo sforzo comune riguarda l’integrazione di fragilità e risorse, rischi e prospettive. In età pediatrica l’intervento di cura va condotto in una prospettiva di sviluppo, quindi orientato a sostenere il bambino malato nel suo percorso di crescita generale, mantenendo condizioni di vita reale e mentale il più possibile normali. In generale la crescita del bambino come persona avviene nell’ambito di una relazione di attenzione e di cura, che lasci spazio all’evoluzione individuale. Nel contesto ospedaliero pediatrico, la qualità di vita risulta collegata a numerosi fattori: mentre a livello emotivo sono rilevanti l’assetto familiare e la personalità individuale del singolo bambino, a livello reale incidono sia la situazione clinica sia la qualità delle cure, che comprende il complesso degli atti sanitari e delle proposte educative, ludiche e scolastiche. Quando la qualità delle cure è insufficiente a testimoniare l’attenzione al bambino malato come persona, in molti casi nel vissuto del piccolo ricoverato si inverte l’ottica interpretativa dell’esperienza contingente, passando dalla considerazione reale “sono in ospedale, perché sto male” alla valutazione soggettiva “sto male, perché sono in ospedale”. L’attività regolare di lettura in ospedale rappresenta una risorsa preziosa nell’ambito degli interventi a favore del miglioramento della qualità di vita durante e dopo il ricovero, per la sua rilevanza soprattutto sul piano emotivo e relazionale. Innanzi tutto la lettura ad alta voce consente ai bambini malati, indipendentemente dall’età e dai limiti imposti dalle loro condizioni di malattia e di cura, di partecipare ad un’attività di elevato valore educativo mediata dalla narrazione, che oltre a costituire un piacevole intrattenimento fornisce un’occasione forse unica di rapporto con un adulto extra-familiare ed extra-sanitario, non richiedente ma elargente, anche se professionale. Inoltre a livello emotivo-relazionale l’offerta di incontro tramite la lettura di un testo si colloca in un campo transizionale, rappresentato appunto dalla storia, che fornisce una piattaforma delimitata e neutra rispetto al coinvolgimento personale, già sollecitato pesantemente dalle condizioni fisiche contingenti. L’apertura di un ambito transizionale consente infatti al bambino malato di disporsi in un’area di maggiore o minore vicinanza (rispetto al lettore e al racconto) in base alle proprie risorse e fragilità contingenti. Nello sviluppo normale la voce costituisce il ponte che il bambino getta rispetto alla distanza fisica acquisita con la capacità motoria, che lo svincola e lo separa; nell’ambito della limitazione imposta dalla condizione di ricovero la voce consente un contatto estremamente significativo ma a distanza, garantendo il necessario rispetto del corpo e di uno spazio di sicurezza. Ne deriva un ampio margine di discrezionalità, che favorisce un più sereno vissuto dell’attività in confronto ad altre proposte ludico-didattiche. Allo stesso tempo si sollecitano sentimenti e pensieri e si stimola il canale verbale, il cui arricchimento è sempre prezioso nel processo evolutivo, ma è tanto più opportuno in rapporto all’esperienza di malattia e/o di terapia, che rischia di risultare tanto più traumatica, quanto meno è esplorabile e comunicabile nei suoi risvolti emotivi. Si tratta quindi di una proposta sempre preziosa nei diversi ambiti ospedalieri (ambulatori, day-hospital, degenze), ma particolarmente valida in caso di affezioni gravi con periodi di ospedalizzazione prolungati e/o ripetuti, come accade per molte patologie (oncologiche, malformative, ecc) o per sequele di eventi traumatici. Le letture possono essere di vario genere (come fiabe, miti, leggende, favole, racconti e novelle d’autore, filastrocche) e vanno scelte nell’ambito di quelle normalmente proposte per l’infanzia, con attenzione alla ricchezza in termini di comunicazione emotiva rispetto ai grandi sentimenti della vita: timori, speranze, gioie e sofferenze costituiscono la trama profonda di molte storie, in cui si giocano anche incontri favorevoli e sfavorevoli e si snoda un percorso. Tutti questi elementi contribuiscono ad offrire ai piccoli ricoverati un modo delicato ma efficace di prendersi cura della loro esperienza, restituendola all’ambito generale della vita e della crescita. La lettura ad alta voce svolta dall’adulto aiuta anche a recuperare la fiducia nell’attenzione e nella capacità dei “grandi” di comprendere e di condividere, quindi di curare. Vengono così naturalmente contenuti i sentimenti di solitudine e di incomunicabilità, e può essere superato il vissuto di fissazione atemporale dell’esistenza a favore del recupero della continuità della propria storia di vita, che comprenda (oltre all’adesso) il passato e la prospettiva del futuro. L’esperienza di ospedalizzazione e di malattia può allora essere meglio affrontata, perché sentita come meno devastante, quindi superata (patologie acute) o integrata (patologie croniche) nel processo di crescita. Ascoltare molte storie aiuta il bambino a riprendere il filo della propria storia, rimettendosi in cammino e recuperando il percorso precedente. Ad alcuni bambini consente anche una maggiore elaborazione simbolica, che permette di pensare (quindi di raccontare e/o di scrivere) la propria vicenda/avventura in ospedale. Per molti genitori l’attività di lettura ad alta voce rappresenta un possibile modello di incontro con il proprio bambino, realizzabile anche da loro nel quotidiano sia in ospedale sia a casa, con effetti positivi sulla qualità della relazione in un momento di particolare difficoltà. (Relazione al Convegno Leggere per Crescere, Un progetto GlaxoSmithKline, Roma, 25 ottobre 2005)