AreaPediatrica | Vol. 15 | n. 4 | ottobre-dicembre 2014
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Caso clinico Titolo articolo anche lungo
[ tutto
su
]
Il trattamento dei disturbi
da comportamento dirompente in età evolutiva
Una revisione della letteratura scientifica dedicata alle attuali possibilità terapeutiche
disponibili per il trattamento dei DBD in età evolutiva.
Simona Rosina, Marco Lamberti, Massimo Ciuffo,
Nadia Imbrigiotta, Antonella Gagliano1
Dante Ferrara, Davide Vecchio, Giovanni Corsello2
1
Unità Operativa Complessa di Neuropsichiatria Infantile –
Università degli Studi di Messina
2
Scuola di Specializzazione in Pediatria – Università degli Studi di Palermo
A
143
I
disturbi da comportamento dirompente pos
sono essere descritti come un continuum che emerge dal Disturbo Oppositivo-provocatorio (ODD)
e giunge al Disturbo di Condotta (CD). Entrambi questi disturbi possono associarsi al Disturbo da Deficit di
Attenzione con Iperattività (ADHD) e, contemporaneamente, essere precursori del Disturbo Antisociale di
Personalità (ASPD) (Loeber et al, 2000). Il Disturbo di
Condotta e il Disturbo Oppositivo-Provocatorio costituiscono un importante problema clinico in età evolutiva,
data l’incidenza sempre crescente negli ultimi anni. Una
puntuale revisione della letteratura effettuata da Hinshaw
e Lee (2003) metteva in risalto come la prevalenza all’interno degli studi clinici di bambini e/o adolescenti con
ODD variasse dall’1% del campione ad oltre 20%, mentre
quella di popolazioni con diagnosi di OD da meno dell’1%
ad oltre il 10% (TDMHSAS Best practice guidelines, 2013).
Nel complesso possiamo affermare che i disturbi da comportamento dirompente in età evolutiva comprendono un
ampio spettro di problematiche comportamentali ed affettive. Questo articolo si propone di fornire una revisione
delle attuali possibilità terapeutiche, sia farmacologiche
che psicoeducative, disponibili per il trattamento di questi
disturbi . Appare importante in particolare che il clinico
consideri il farmaco come un irrinunciabile strumento di
intervento da utilizzare soprattutto nei casi in cui i DBD
possono costituire un elemento di rischio evolutivo.
Caso clinico
ntonio giunse alla nostra osservazione all’età
di 14 anni e 7 mesi. Nella storia clinica si registrava
una diagnosi di Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività formulata presso un centro di salute mentale del
territorio quando Antonio aveva 7 anni. Non era stato
adottato alcun provvedimento terapeutico. Le modalità
di comportamento si mostrarono da subito orientate a
violare le norme sociali, ad attaccare aggressivamente o
minacciare gli altri. In particolare si descrivevano atti
di aggressione fisica, scatenati da frustrazioni e divieti,
rivolti alla madre e al nonno materno, che rappresentavano le principali figure di riferimento affettivo e di controllo normativo. Seppure saltuariamente, il ragazzino
si lasciava coinvolgere da un gruppo di coetanei in atti
di bullismo e in atteggiamenti non aderenti alle norme
sociali. L’inizio dell’attività sessuale era stato piuttosto
precoce e il ragazzino aveva anche avviato il consumo
di sostanze alcoliche e di sigarette. Frequenti erano le
menzogne e le false promesse per ottenere vantaggi e
permessi. La frequenza della scuola era incostante, con
impegno accademico molto ridotto. L’affettività connessa agli eventi negativi era piuttosto piatta, con scarsa
partecipazione affettiva, ridotte capacità empatiche e
di decentramento, scarso interesse per i sentimenti e i
desideri degli altri. Non sembrava mancare, però, l’insight rispetto ai suoi stati emotivi e cognitivi ed una
certa quota, seppure emergente, di giudizio e critica dei
suoi comportamenti. Tali modalità di comportamento
erano presenti in tutti gli ambienti di vita del ragazzo
e causavano compromissione clinicamente significativa
del funzionamento sociale e scolastico. La situazione
familiare risultava caratterizzata dalla separazione della
coppia parentale originale, non più conflittuale e con
ruoli e spazi affettivi sufficientemente definiti. Una figura parentale di supporto molto significativa nella vita
del ragazzino era il nonno materno.
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Introduzione
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Tutto su Il trattamento dei disturbi da comportamento dirompente in età evolutiva
Si effettuò pertanto un colloquio con tutti gli adulti
di riferimento del ragazzo, che si dimostrarono molto attenti, cooperativi e aderenti alle direttive. Si presero anche
in considerazione le caratteristiche dell’ambiente in cui
le modalità di comportamento indesiderabile erano state emesse dal ragazzo. Infatti Antonio aveva frequentato
gruppi di coetanei dissociali e problematici. Apparve chiaro
che il comportamento atipico del ragazzo aveva lo scopo
di aderire alle regole del gruppo, ma al tempo stesso era
sintomatico di un sottostante e preesistente malfunzionamento in termini comportamentali e neuropsicologici, non
spiegabile semplicemente come adattamento al contesto
sociale ed insorto molto precocemente (età pre-scolare).
Venne così avviata una politerapia con acido valproico
come stabilizzatore dell’umore e con un antipsicotico di
ultima generazione (aripiprazolo) per il controllo dei comportamenti aggressivi. Contemporaneamente si propose
al ragazzo un ciclo di sedute di psicoterapia ad indirizzo
cognitivo-comportamentale. Nei sei mesi successivi si osservarono costanti e progressivi miglioramenti del quadro
clinico. Il ragazzo continuò ad assumere con regolarità la
terapia farmacologia con acido valproico e aripiprazolo.
I colloqui di supporto furono interrotti per conclusione
del ciclo.
A distanza di 6–12 mesi le condotte impulsivo-aggressive risultavano quasi completamente estinte; l’adattamento ed il rispetto delle regole sociali si era ampliato
significativamente e non si registravano più comportamenti evidenti di violazione delle regole comunitarie.
Il ragazzo veniva avviato all’apprendistato di un’attività
lavorativa e alla frequenza di una scuola serale. L’umore
risultava sufficientemente stabile e la consapevolezza dei
suoi e degli altrui stati emotivi e cognitivi era nettamente
aumentata. Le dinamiche relazionali intra ed extra-familiari erano notevolmente migliorate e il ragazzo aveva
stabilito rapporti sereni con tutti gli adulti di riferimento.
Classificazione e descrizione dei dbd
I
l DSM IV, il manuale diagnostico e statistico
dei disturbi mentali (APA, 1994), annoverava
tra i Disturbi Dirompenti del Comportamento:
F90.0 Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività [314]
F90.9 Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività Non Altrimenti Specificato [314.9]
F91.8 Disturbo della Condotta [312.8]
F91.3 Disturbo Oppositivo Provocatorio [313.81]
·
·
·
·
Disturbo da Comportamento Dirompente
· F91.9
Non Altrimenti Specificato [312.9].
Il DSM-5 (APA, 2013) ha estrapolato il Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività da questo gruppo di disturbi,
collocandolo tra i disturbi del neurosviluppo, e ha invece
incluso nuove categorie diagnostiche che fanno riferimento alla condizione di difficoltà nel controllo degli impulsi.
Le attuali categorie diagnostiche comprese all’interno dei
Disturbi da Comportamento Dirompente sono le seguenti:
F91.3 Disturbo oppositivo provocatorio [313.81]
F63.81 Disturbo esplosivo intermittente [312.34]
Disturbo di condotta
- F91.1 Esordio Infantile [312.81]
- F91.2 Esordio Adolescenza [312.32]
- F91.9 Esordio Non specificato [312.89]
F60.2 Disturbo antisociale di personalità [301.7]
F63.1 Piromania [312.33]
F63.3 Kleptomania [312.32]
F91.8 Altri specificati disturbi dirompenti, da
discontrollo degli impulsi e disturbi di condotta
[312.89]
F91.9 Altri non specificati disturbi dirompenti, da
discontrollo degli impulsi e disturbi di condotta
[312.9].
Si tratta pertanto di condizioni accomunate dalla
presenza di una difficoltà nel controllo delle emozioni e
nell’autoregolazione del comportamento, che si associano
ad azioni che violano i diritti e l’incolumità altrui e/o sono
in conflitto con le comuni norme della società. Questi
disturbi sono maggiormente comuni negli uomini rispetto
alle donne e vedono il loro esordio nell’infanzia o, al più
tardi, in adolescenza. I sintomi-cardine si identificano,
classicamente, nei maschi, nell’irrequietezza motoria con
atteggiamenti di sfida, aggressività fisica e spesso violazione delle regole (ad esempio vandalismo, furti ed indisciplina scolastica compresa la scarsa frequenza e l’abbandono),
mentre nelle femmine si esprimono maggiormente con
comportamenti caratterizzati perlopiù da menzogne,
fughe scolastiche e condotte sessuali devianti come per
esempio la facile promiscuità. È quindi fondamentale che
la frequenza, la persistenza e la pervasività associati a tali
comportamenti vengano rapportati ad età, sesso e cultura
per definirne il grado di disfunzionalità ed evitare il gravo
impatto sociale che ne può conseguire.
La novità più significativa introdotta dal DSM 5 è
quella dell’individuazione dei tratti Calloso Anemozionali (CU), importanti per effettuare una sottotipizzazione
all’interno della categoria ampia dei Disturbi dirompenti
del comportamento (DCD).
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Tutto su Il trattamento dei disturbi da comportamento dirompente in età evolutiva
I disturbi da comportamento dirompente possono essere descritti
come un continuum che emerge dal disturbo oppositivo-provocatorio
(ODD) e giunge al disturbo di condotta (CD).
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Comorbilità e outcome
I disturbi dirompenti del comportamento sono frequentemente associati con il Disturbo da Deficit d’Attenzione/
Iperattività, con i disturbi dell’umore sia di tipo depressivo
che bipolare (Biederman et al, 2003), con il disturbo da
abuso di sostanze e con il disturbo da discontrollo degli
impulsi. L’alto tasso di comorbilità tra questi disturbi trova motivo nella condivisione di identici fattori di rischio e
nell’influenza bidirezionale di ognuna di queste patologie
(Masi et al, 2008). Se non adeguatamente e tempestivamente trattati questi disturbi tendono a progredire. Il
grave impatto sociale che consegue a tali disturbi può
manifestarsi con isolamento dalla comunità e successiva
associazione a gruppi disfunzionali. Il frequente abbandono scolastico e quindi il mancato completamento degli
studi inasprisce il disagio sociale e può impedire un’adeguata integrazione lavorativa. Le condotte aggressive-
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Basi neurobiologiche
La base neurobiologica del comportamento aggressivo è il
circuito neuronale che coinvolge l’amigdala e l’ipotalamo.
L’amigdala è stata identificata come struttura centrale del
circuito neurale coinvolto nella percezione della salienza emozionale nelle espressioni facciali; sembra, quindi,
che essa svolga un ruolo più generale nel processamento
di tutte le forme di informazioni sociali salienti – oltre
che dei segnali a valenza negativa o minacciosi – o nella decodifica di espressioni facciali di natura ambigua
(Fitzgerald et al, 2006). L’amigdala esplica la sua azione
attraverso le connessioni con l’ipotalamo che, a sua volta,
agisce sul mesencefalo (tegmento ventrale e grigio periacqueduttale).
Aspetti neuropsicologici
Si ammette che alla base di questo gruppo di disturbo
ci siano disfunzioni neurocognitive che compromettono
la capacità di fare associazioni tra comportamenti e conseguenze negative e positive o che generano una ridotta
sensibilità alla punizione e/o alla ricompensa. Di conseguenza, sia l’apprendimento di un comportamento adeguato che la capacità di astensione da un comportamento
errato risultano alterati (Matthys et al, 2012).
Un altro importante aspetto da tenere in considerazione è quello relativo alla tipologia dell’aggressività (Vitiello
& Stoff, 1998; Masi et al, 2011) che molto frequentemente
si associa a questi disturbi e che può essere:
predatoria: non impulsiva, finalizzata all’ottenimento di un vantaggio, programmata, spesso subdola e
furtiva, spesso non associata ad uno stato affettivo
significativo, è associata a basso arousal, ed a maggiore rischio di evoluzione antisociale. L’obiettivo è
ottenere il possesso di un oggetto (object-oriented)
o il dominio su una persona (person-oriented);
affettiva: impulsiva, associata a situazioni provocanti esterne (reali o interpretate come tali), ha un
elevato livello di arousal, disinibizione, instabilità
affettiva, ha più rara evoluzione dissociale.
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I tratti CU comprendono:
1. mancanza di rimorso e senso di colpa (lack of remorse or guilt): il soggetto non si pente quando fa
qualcosa di sbagliato ed ha una ridotta preoccupazione per le conseguenze negative delle proprie
azioni;
2. mancanza di empatia(callous-lack of empathy): il
soggetto non è interessato ai sentimenti degli altri;
è freddo e insensibile ed appare preoccupato solo
degli effetti su di sé delle proprie azioni, anche se
esse possono causare danno agli altri;
3. assenza di preoccupazioni per le sue performance
(unconcerned about performance): il soggetto non
mostra preoccupazione per gli scarsi risultati scolastici, sul lavoro o in altre attività importanti, non
fa alcuno sforzo per raggiungere i risultati anche
quando gli obiettivi sono chiari, ma tipicamente
dà la colpa agli altri per i suoi insuccessi;
4. appiattimento affettivo (shallow or deficient affect):
non esprime sentimenti né mostra le sue emozioni
agli altri, se non in maniera superficiale e non sincera, o quanto ciò gli procuri vantaggi (ad esempio
per manipolare e intimidire gli altri).
Diversi studi dimostrano, infatti, come i tratti CU abbiano una validità diagnostica non soltanto nel Disturbo
di condotta ma anche negli altri disturbi da comportamento dirompente (Herpers et al, 2012).
Tutto su Il trattamento dei disturbi da comportamento dirompente in età evolutiva
impulsive concorrono a possibili problematiche legali con
gravi ripercussioni sia sull’individuo stesso che sui costi
sociali che ne derivano.
Le forme ad insorgenza precoce sono più gravi perché
hanno una maggiore tendenza a mantenersi in età adolescenziale ed adulta con comportamenti antisociali. L’identificazione precoce di bambini a rischio di disturbo del comportamento dirompente consente quindi di avviare rapidamente
un percorso terapeutico integrato (Eyberg et al, 2008) ed
interrompere la spirale negativa che ne può conseguire.
Trattamento non farmacologico
I
l trattamento si basa su un intervento olistico
il cui target non è soltanto il bambino ma anche la
famiglia, la scuola, il contesto sociale così come le figure
professionali che intervengono nel progetto riabilitativo.
Il trattamento dei DBD deve necessariamente comprendere interventi volti a migliorare l’interazione genitorefiglio (Boggs et al, 2004) e un training per le abilità di
problem-solving (Kulkarni et al, 2010).
Gli obiettivi del trattamento sono:
riduzione dei comportamenti disfunzionali;
ampliamento delle capacità di adattamento sociale;
valorizzazione dei “punti di forza”;
prevenzione del fallimento e/abbandono scolastico;
inserimento in attività extracurriculari;
indicazione di percorsi terapeutico-riabilitativi al
termine del trattamento.
Il trattamento psicoeducativo si basa su:
terapia cognitivo comportamentale
parent training.
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Terapia cognitivo comportamentale
La psicoterapia cognitivo comportamentale individuale è
utilizzata per aiutare i bambini e gli adolescenti a ridurre
i loro comportamenti negativi ed oppositivi (Behavior
Guide Staff, 2006). Essa è finalizzata ad implementare
la capacità di autocontrollo ed autoregolazione del comportamento, di attenzione, pianificazione e di gestione
strategica delle attività tramite un approccio focalizzato
sui processi cognitivi e di socializzazione. L’approccio
comportamentale è caratterizzato da un dettagliato assessment delle risposte problematiche e delle condizioni
ambientali che le elicitano e le mantengono, nonché delle
strategie per produrre un cambiamento nell’ambiente
circostante e quindi nel comportamento dei genitori.
Durante un trattamento di tipo comportamentale, sia
le contingenze ambientale positive, sia quelle negative
che incrementano o decrementano la frequenza di alcuni
comportamenti sono identificate e quindi modificate nel
tentativo di far diminuire i comportamenti “problema” e
far aumentare quelli di tipo adattivo. Ulteriori obiettivi
sono: la riduzione, fino alla scomparsa, del comportamento di evitamento delle situazioni (e quindi dei comportamenti) che provocano disagio interiore; la ristrutturazione
di pensieri e di credenze disfunzionali (Cognitive reframing); l’agevolazione e l’incentivazione delle personali
capacità di far fronte alle problematiche (Coping).
Parent training
Tale approccio terapeutico è volto al miglioramento delle
capacità di gestione educativa del bambino e delle interazioni all’interno del nucleo familiare. Il parent training è
suggerito infatti come una via per l’acquisizione di tecniche di gestione dei comportamenti, provocatori e distruttivi e, al tempo stesso, come strumento di modificazione
dei rapporti genitore/bambino in ambiente domestico
(Kazdin, 2000). Il trattamento basato sulla modificazione del comportamento dei genitori, si fonda sulla teoria
dell’apprendimento sociale, ed è stata sviluppata per genitori di bambini iperattivi, impulsivi, non cooperativi,
oppositivi e aggressivi (Vio, Marzocchi & Offredi, 1999;
Barkley, 2006). Esistono numerose evidenze a favore
dell’idea che il trattamento integrato genitore-bambino
si dimostra efficace nel produrre un miglioramento dei
comportamenti disfunzionali (Boggs et al, 2004). Tali
risultati sono confermati da Streiner e Remsing, 2007 e
da Eyberg, Nelson e Boggs, 2008.
Trattamento farmacologico
L
a farmacoterapia non rappresenta la prima
linea di intervento (Kazdin, 2000), ma nel trattamento
dei DBD riveste comunque un ruolo centrale, soprattutto
con riferimento ai quadri di maggiore gravità ed in cui il
rischio evolutivo è elevato. Ci si avvale dell’utilizzo di diversi farmaci per controllare l’aggressività e i comportamenti
dirompenti associati all’ODD e al CD, nonostante molte
delle molecole non siano ancora state approvate per l’uso in
età pediatrica e devono pertanto essere prescritte off label.
Ulteriore obiettivo del trattamento farmacologico è il controllo dei sintomi e/o della disregolazione comportamentale in modo da implementare il beneficio dei trattamenti
psicoeducativi (Bradley, 2004). Sebbene il razionale alla
base dell’uso degli atipici per il controllo dei comporta-
Tutto su Il trattamento dei disturbi da comportamento dirompente in età evolutiva
Questi disturbi sono maggiormente comuni negli uomini
rispetto alle donne, e vedono il loro esordio nell’infanzia o,
al più tardi, in adolescenza.
Antipsicotici
Gli antipsicotici rappresentano una vasta classe di farmaci
che comprende sia il gruppo degli antipsicotici classici (tipici) che e quello degli antipsicotici di nuova generazione
(atipici). La caratteristica farmacologica chiave di tutti i
neurolettici con proprietà antipsicotiche è la loro capacità
di bloccare i recettori D2 della dopamina. I neurolettici di
nuova generazione sono invece antagonisti serotoninodopaminergici con proprietà antagonistiche dei recettori
A2 della serotonina e D2 della dopamina. Il loro differente
controllo serotoninergico del rilascio della dopamina è alla
base della minore incidenza di effetti collaterali di tipo
extrapiramidale. Numerose evidenze si sono accumulate
sull’efficacia degli antipsicotici atipici sui sintomi impulsivi
e aggressivi in età evolutiva (Loy et al, 2012; Pringsheim et
al, 2012; Findling et al, 2008). Soprattutto il risperidone si è
dimostrato efficace nel ridurre i sintomi comportamentali
(irritabilità, aggressività, stereotipie) in pazienti pediatrici
con disturbi da comportamento dirompente (Findling et
al, 2004; Reyes et al, 2005, Pringhseim et al, 2012; Duhing
et al, 2013). L’efficacia sui sintomi comportamentali sembra
si mantenga anche a lungo termine (Loy et al, 2012). Anche
l’aripiprazolo si è dimostrato un trattamento efficace e ben
tollerato per bambini e adolescenti con ADHD e sintomi
di disturbi di condotta (Ercan et al, 2012). La categoria
degli antipsicotici atipici ha un minor rischio di effetti extrapiramidali; di contro è ampiamente documentato che si
associa frequentemente ad effetti metabolici e ad aumento
ponderale. Negli ultimi anni si sono accumulate numerose
Psicostimolanti
Gli stimolanti sono una classe di farmaci che implementano le abilità attentive ed il controllo inibitorio, migliorando la capacità di aderire e di beneficiare degli interventi psicosociali (Klein et al, 1997, Coghill et al, 2013). Quelli
utilizzati nella pratica clinica sono metilfenidato (MPH)
e d-amfetamina, che agiscono prevalentemente rilasciando dopamina dai terminali dopaminergici presinaptici.
L’altra isoforma di amfetamina, la l-amfetamina, rilascia
noradrenalina e dopamina con meccanismo simile. In
Italia è attualmente disponibile solo il MPH (a breve e a
lunga emivita). Tutti gli psicostimolanti si sono dimostrati
efficaci sull’aggressività (Connor et al, 2002), soprattutto
nei DBD in comorbilità con ADHD.
Stabilizzatori dell’umore
Si dicono stabilizzatori dell’umore i farmaci attivi nel
trattamento dei disturbi dell’umore caratterizzati da aumento o da un abbassamento del tono dell’umore. Essi
comprendono il litio ed alcuni farmaci usati anche come
antiepilettici (valproato, carbamazepina, lamotrigina, topiramato). La letteratura è concorde nel sottolineare che
gli stabilizzatori dell’umore e gli antiepilettici possono
ridurre i comportamenti aggressivi, impulsivi e discontrollati che si associano a questi disturbi (Donovan et al,
2000). Il carbolithium in particolare sembra dotato di
proprietà anti-aggressive (Rifikin et al, 1997).
Altre strategie terapeutiche
La clonidina è un farmaco agonista alfa 2 adrenergico
che inibisce il rilascio di noradrenalina. Ha effetto anti-
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·
·
segnalazioni di sindrome metabolica (modificazioni del
metabolismo lipidico e glucidico ed incremento della pressione arteriosa) in bambini e ragazzi trattati con atipici, che
appaiono più sensibili degli adulti a questo genere di effetti
avversi (Dori & Green, 2011). Seppure appaiono piuttosto
sicuri sul piano dei potenziali effetti avversi cardiovascolari,
soprattutto relativamente alla possibilità di allungamento
del tratto Qt (Germanò et al, 2013), è sempre utile sottoporre i pazienti in trattamento ad un attento monitoraggio
cardiovascolare.
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menti gravemente disturbanti sia sufficientemente solido,
pochi trial clinici in età evolutiva sono ancora disponibili
sull’efficacia e la sicurezza a breve e lungo termine della
gran parte delle molecole utilizzate. Ciò è probabilmente
attribuibile agli elevati costi da sostenere per uno studio
clinico controllato e ai problemi etici che coinvolgono l’analizzare popolazioni pediatriche.
Le categorie farmacologiche maggiormente utilizzate
sono le seguenti:
antipsicotici (tipici ed atipici);
stimolanti;
stabilizzatori dell’umore.
Tutto su Il trattamento dei disturbi da comportamento dirompente in età evolutiva
pertensivo e può anche essere utilizzato nel trattamento
dell’ADHD, soprattutto quando l’ADHD si associa a
tic/Sindrome di Tourette. L’efficacia della clonidina nel
trattamento dell’aggressività è stata indagata soprattutto
in studi in aperto (Kemph et al, 1999). Hazell e Stuart,
2003 hanno utilizzato la clonidina come potenziamento
della terapia con stimolanti con miglioramento del 50%
dei pazienti trattati. L’effetto avverso più comunemente
riportato è la sedazione.
Ancora in fase di approvazione, sono:
lysdexanfetamina: profarmaco metabolizzato a damfetamina che favorisce il rilascio di dopamina
e norepinefrina con miglioramento delle capacità
attentive e azione sullo stato di allerta;
guanfacina: agonista degli alfa 2A adrenergici con
azione a livello della corteccia prefrontale che migliora
l’attenzione e l’autoregolazione comportamentale.
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Algoritmo terapeutico
Ricercatori e clinici di tutto il mondo condividono le
preoccupazioni che molti giovani con ADHD e/o di-
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sono state pubblicate le conclusioni di un consensus di
esperti (selezionati dal Prof. Kutcher), che ha indicato
le migliori strategie di trattamento precoce di bambini
con ADHD (o disturbo ipercinetico, nei paesi preferendo questa classificazione) e/o DBDS. Il trattamento di
prima linea suggerito per l’ADHD senza comorbilità è
stato quello di un farmaco psicostimolante accompagnato da un intervento psicosociale. Per i pazienti ADHD
in comorbilità con disturbo della condotta (CD) l’intervento psicosociale dovrebbe essere in combinazione
con la farmacoterapia. Per quelli con CD invece, viene
suggerito quale trattamento di prima linea l’intervento
psicosociale, mentre la farmacoterapia aggiuntiva viene
considerata quando l’aggressività e l’impulsività sono
marcate e persistenti. La terapia con psicostimolanti
in add-on all’antipsicotico di seconda generazione è
consigliata solo come trattamento di terza linea dopo
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Tutto su Il trattamento dei disturbi da comportamento dirompente in età evolutiva
di trattamenti non farmacologici basati sull’approccio
psicoterapico cognitivo-comportamentale e sul parent
training. Occorre però considerare che in molti casi
tale strategia può risultare insufficiente, lenta a produrre effetti o difficilmente realizzabile. Spesso inoltre
la disfunzionalità data dal disturbo rende necessario
ottenere dei risultati in tempi rapidi per evitare che i
comportamenti disfunzionali si cronicizzino o che si
instauri un disturbo di personalità. Come seconda linea
pertanto, soprattutto nel caso di comorbilità con ADHD
o disturbi dell’umore, l’approccio terapeutico deve prevedere l’uso della terapia farmacologica. In questo caso,
la classe di farmaci che gode delle maggiori evidenze
scientifiche è quella degli antipsicotici atipici, dotati di
una sufficiente efficacia e tollerabilità
Dai rilievi della letteratura appare evidente come il trattamento dei Disturbi da Comportamento Dirompente
in età evolutiva debba prevedere l’uso in prima linea
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Gli autori
dichiarano
di non avere
nessun conflitto
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149
Discussioni e conclusioni
.
AreaPediatrica | Vol. 15 | n. 4 | ottobre-dicembre 2014
combinati con interventi comportamentali (Linton et al,
2013). Sebbene ulteriori studi siano comunque necessari
per confermare l’efficacia e la tollerabilità a lungo di
uso concomitante di antipsicotici e psicostimolanti nei
bambini e negli adolescenti nella pratica clinica tale
tipo di terapia è attualmente molto diffusa. Anche la
gran parte dei pazienti in età evolutiva con disturbi da
comportamento dirompente, associati a ritardo mentale,
disturbi dello spettro autistico e sindrome di Tourette,
presentano una riduzione dei sintomi comportamentali gravi (negatismo, ostilità, discontrollo dell’impulso,
aggressività, agiti distruttivi, etc.) con l’associazione di
una psicofarmacoterapia ai trattamenti psicoeducativi
e psicoterapici (Amam et al, 2002; Budman et al, 2008).