Erica Zucca Fisiopatologia – Prof. Pisanu 23/04/13 Lezione 3 (parte

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Erica Zucca
Fisiopatologia – Prof. Pisanu
23/04/13
Lezione 3 (parte 1)
SHOCK
Definizione
Storicamente, lo shock è stato definito come un quadro di grave ipotensione e di collasso
cardiocircolatorio. Questa è una definizione che non va più bene perché è una definizione storica.
Oggi, lo shock viene inquadrato come una sindrome da diminuzione della disponibilità o dell’utilizzazione di
O2 a livello periferico, tessutale, cellulare e del microcircolo e quindi meccanismi fisiopatologici di
compenso che ne conseguono.
Queste due definizioni di shock vanno considerate entrambe, anche se la prima è obsoleta, anche perché,
di fatto, si intende che il paziente si trova in una condizione di shock quando ha una pressione arteriosa al
di sotto di 90/60 e soprattutto non risponde alla somministrazione di liquidi endovena, cioè la pressione
rimane bassa nonostante la somministrazione di liquidi.
Può succedere che uno abbia una pressione di 70/30 o 60/30 e poi dopo la somministrazione dei liquidi
endovena abbia una ripresa della pressione e in questo caso si tratta semplicemente di un quadro
ipotensivo, un collasso transitorio. Invece, per shock si intende un collasso persistente e soprattutto
refrattario al trattamento con la somministrazione di liquidi, sia nello shock ipovolemico che nello shock
settico.
La pressione del paziente va sostenuta e, se non risponde alla somministrazione di liquidi, va sostenuta con
farmaci, che possono essere dei farmaci inotropi o dei farmaci vasocostrittori, che portano ad un aumento
della pressione, perché la pressione a un livello al di sopra di 90/60 serve a garantire numerose funzioni,
encefaliche, cardiache e renali.
Lo shock si differenzia dallo stress, per stress in medicina si intende l’alterazione di un meccanismo
omeostatico, per esempio un’ipoglicemia a 20 è uno stress ipoglicemico e un’iperglicemia a 600 è uno
stress iperglicemico.
Per stress in medicina si intende qualsiasi variazione dell’equilibrio omeostatico preesistente fisiologico e
quindi anche lo shock è uno stress, però shock e stress non sono sinonimi.
Classificazione
Lo shock è fondamentalmente diviso in due gruppi:
1. Shock da patologia metabolica cellulare primitiva
Per esempio, una sepsi batterica periferica è responsabile di uno stato di shock in cui è coinvolto
tutto l’organismo e quindi questo shock è da sofferenza metabolica cellulare primitiva.
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Immaginiamo che un ascesso distrugga dei tessuti, i tessuti non sono più in grado di utilizzare
l’ossigeno, benché ci sia una grande quantità di ossigeno. In questo shock settico, l’organismo cerca
di compensare alla mancanza di ossigeno in periferia portando una grandissima quantità di
ossigeno. Quindi lo shock settico è iperdinamico perché c’è un iperdinamismo circolatorio, che
serve proprio a compensare la scarsa utilizzazione di ossigeno in periferia. L’ossigeno che nello
shock settico arriva in periferia è molto maggiore anche rispetto a una situazione di normalità, ma
non viene utilizzato perché i tessuti sono stati distrutti dalla sepsi.
2. Shock da patologia metabolica cellulare secondaria
Si ha una riduzione dell’utilizzazione dell’ossigeno in periferia perché c’è poco ossigeno. Per
esempio, nello shock emorragico si ha una grande perdita di sangue ed emoglobina, quindi la
quantità di ossigeno che viene portata in periferia è molto più bassa.
Nel caso dello shock iperdinamico settico si ha una grande quantità di ossigeno che viene portata in
periferia ma siccome c’è una sofferenza cellulare primitiva questo ossigeno non viene utilizzato, mentre nel
caso dello shock emorragico è il contrario, ossia c’è una scarsa quantità di ossigeno disponibile e i tessuti
potrebbero teoricamente utilizzarlo, ma siccome c’è poco ossigeno non lo utilizzano.
Avrò delle stesse alterazioni a livello cellulare e periferico in un tempo successivo e alla fine, dopo un certo
tempo, purtroppo le alterazioni cellulari e periferiche dello shock da sofferenza primitiva e secondaria
convergono in un’unica direzione.
Oltre alla classificazione più moderna, permane una classificazione a pronto utilizzo, consacrata dall’uso,
che classifica lo shock in base alle cause:
1.
2.
3.
4.
5.
Shock ipovolemico
Shock cardiogeno
Shock settico
Shock neurogeno
Shock anafilattico
Lo shock ipovolemico, il cui emblema è lo shock emorragico, può avere anche altre cause, come la
disidratazione da ustione, la disidratazione da occlusione intestinale, ecc.
Lo shock settico è quello da sepsi batterica, virale e fungina.
Lo shock neurogeno, agli albori della fisiopatologia, era lo shock per eccellenza, infatti Claude Bernard
aveva scoperto che andando a sezionare i nervi del sistema ortosimpatico c’era una vasodilatazione
periferica. Lo shock neurogeno è proprio quello in cui c’è una vasodilatazione, quindi una discrepanza tra
contenitore e contenuto, cioè c’è una grande dilatazione del letto vascolare, la quantità di liquido
contenuto all’interno è bassa e quindi c’è un crollo della pressione. Questo è lo shock neurogeno per
eccellenza, da vasodilatazione per paralisi delle fibre ortosimpatiche che innervano i vasi arteriosi.
Lo shock anafilattico è molto particolare perché c’è una liberazione di stamine e altre sostanze, che
determinano una fuoriuscita di liquido a livello interstiziale, e quindi c’è un’importante edema, soprattutto
mucoso, che sequestra i liquidi e determina un’ipovolemia.
Lo shock cardiogeno viene definito shock in quanto la pressione è al di sotto di 90/60 e refrattaria alle
terapie. Lo shock cardiogeno può avvenire per cause cardiache, pre-cardiache o post-cardiache. Per
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esempio nell’edema polmonare, dove c’è un accumulo di liquido a livello polmonare, c’è una mancata
progressione della volemia e quindi c’è un crollo pressorio. Lo stesso meccanismo si verifica nell’embolia
polmonare, dove c’è una completa mancanza della vis a tergo, la volemia si abbassa e c’è un crollo
pressorio.
Shock da patologia metabolica cellulare secondaria
Iniziamo dallo shock da patologia metabolica cellulare secondaria, cioè lo shock ipovolemico o emorragico.
Un concetto importante è quello della pressione venosa centrale (PVC).
La PVC è la pressione che si misura a livello dell’atrio di destra. Per misurare la PVC, bisogna mettere un
CVC (catetere venoso centrale) che entra dalla succlavia e va nell’atrio di destra. Il paziente sta in posizione
clinostatica, praticamente si inserisce una cannula, che arriva fino all’atrio di destra, collegata a un
manometro che è al lato del paziente. È facilissimo: basta aprire una rotellina e si misura, in cm d’acqua, la
pressione venosa centrale. Lo fa l’infermiere tranquillamente aprendo la valvolina, una volta che c’è il CVC.
Il manometro per monitorare la PVC normalmente è espresso in cm d’acqua, per convertire in mmHg basta
moltiplicare per 1,33 (1cm d’acqua = 1,33 mmHg).
La PVC normalmente è compresa tra 8 e 12 cm d’acqua.
Normalmente la pressione venosa centrale è l’espressione della volemia. Immaginate che uno perda 2 litri
di sangue, la volemia da quasi 5 litri perde quasi il 40%. Avrò un crollo pressorio e un crollo della pressione
del ritorno venoso anche a livello dell’atrio. Tanto è vero che nei pazienti emorragici la PVC scende anche a
2, a 3, a 1, non è più misurabile quando lo shock è in fase veramente avanzata.
Quando un paziente ha perso liquidi, ha sanguinato, quindi è in shock emorragico, e ha ridotta disponibilità
di ossigeno per patologia cellulare secondaria, ossia perché poco ossigeno arriva in periferia, devo
somministrare liquidi. La cosa più importante è restituire volume, in modo che la pressione arteriosa ritorni
nella norma, se poi non risponde darò dei farmaci inotropi che sostengono il circolo. Però la cosa più
importante è restituire volume perché senza volume non c’è pressione, se non c’è pressione c’è l’arresto
cardiaco. Quindi la cosa più importante è la somministrazione di liquidi, restituire volume ma restituire
volume vuol dire restituire PVC cioè portare la pressione venosa centrale a valori alti, tra 8 e 12.
Se un paziente emorragico ha un valore 3 di PVC, io so che devo somministrare liquidi per riportare la
pressione a valori accettabili e per non avere un arresto cardiaco. Quanti liquidi devo somministrare me lo
dice la PVC, cioè devo somministrare tanti liquidi fino a quando la PVC non è rientrata nella norma, cioè tra
8 e 12.
Posso teoricamente somministrare liquidi fino a vedere un valore di pressione arteriosa più o meno nella
norma o comunque accettabile entro 90/60, oppure posso fare la cosa più corretta dal punto di vista clinico
e scientifico: vedere la PVC e somministrare liquidi finché la pressione venosa centrale non è rientrata a
valori di normalità tra 8 e 12.
Se da un lato, nello shock ipovolemico devo riportare la pressione venosa centrale tra 8 e 12, devo
somministrare una quantità di liquidi necessaria a sostenere una pressione arteriosa che sia accettabile,
dall’altro, posso avere anche il contrario.
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Nel caso dell’edema polmonare acuto, se vado a misurare la PVC avrò 25, un valore altissimo, perché lì c’è
un aumento altissimo della PVC dovuto ad un accumulo di liquido a livello polmonare, praticamente il
sangue non riesce ad andare avanti, si blocca lì e il paziente ha la pressione altissima. Nell’edema
polmonare devo abbassare la pressione venosa centrale con i diuretici, facendo appunto urinare moltissimo
il paziente, cosicché la volemia si abbassa, la PVC torna nella norma e il paziente non muore per arresto
cardiaco perché non riceve per niente sangue.
Durante l’inspirazione, si crea una depressione negativa che aspira il sangue dalla vena cava in atrio.
Quando un paziente è intubato e respira tramite il ventilatore, la depressione non c’è, ma c’è la pressione
di spinta del respiratore che spinge l’aria dentro.
Un paziente in shock che non è intubato avrà quei valori che vi ho detto prima di PVC, correlati anche alla
depressione negativa che si forma durante l’inspirazione.
Ma se un paziente intubato, durante l’inspirazione, ha una pressione positiva indotta dal respiratore, la PVC
sarà diversa. Anzi la PVC, in un paziente intubato, sarà sempre più bassa rispetto a un paziente non
intubato. Se in un paziente non intubato la PVC è tra 8 e 12, in un paziente intubato sarà per esempio tra 6
e 9. In un paziete intubato mi devo aspettare sempre un valore più basso, non mi devo spaventare se trovo
valori di 2 in un paziente intubato che in un paziente non intubato sarebbero 4.
Lo shock è uno stress e ovviamente in uno stato di stress vengono secreti tutti gli ormoni dello stress.
Noi funzioniamo grazie agli ormoni dello stress (se non avessi avuto i surreni non sarei stato in grado di fare
le scale). Ci sono degli organi dello stress, che sono le ghiandole surrenali, sia la corticale che la midollare.
Anche il GH (growth hormon) è un ormone dello stress. Fino all’adolescenza completata, fino ai 25 anni, ci
fa crescere di notte, successivamente viene utilizzato soprattutto come ormone dello stress. Grazie al GH
vengono secrete le somatomedine, che hanno una funzione di risposta allo stato di stress.
Risposta allo stato di stress vuol dire che, nel momento in cui ho un crollo della pressione arteriosa, saranno
secreti: il cortisolo, dalla corticale del surrene, l’adrenalina, dalla midollare, oppure anche la noradrenalina.
L’adrenalina e la noradrenalina sono delle ammine vasoattive, che tendono a dare una vasocostrizione
periferica e quindi a riportare la pressione alla norma.
Ma soprattutto la cosa importante è che in una situazione di stress, dove c’è un consumo importantissimo
di glucosio, c’è una distruzione delle proteine e l’utilizzo da parte del fegato di queste proteine mediante
una neogluconeogenesi e quindi c’è anche un’attivazione metabolica importantissima, anche del
glucagone.
Da un lato abbiamo gli ormoni dello stress, che sono: il cortisolo, le ammine vasoattive, il glucagone e il GH,
l’ormone della crescita che poi assume funzioni di ormone dello stress.
Dall’altro, abbiamo l’insulina che è l’ormone del benessere. Gli ormoni dello stress sono ormoni
antinsulinici.
In una situazione di stress importante si ha l’attivazione di questi ormoni antinsulinici, una vasocostrizione
periferica importante e alla fine c’è uno shift dal ciclo di Krebs alla glicolisi anaerobia, quindi produzione di
acido lattico, che viene dalla periferia e dà un’acidosi metabolica importante.
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Questa vasocostrizione periferica è un po’ settoriale, serve a far sì che ci sia una centralizzazione del circolo
e che quindi gli organi nobili, il miocardio e l’encefalo, siano irrorati in maniera appropriata anche in una
situazione di stress come lo shock ipovolemico o settico.
La vasocostrizione avviene a livello del tessuto sottocutaneo, a livello cutaneo non serve perché la cute è
fredda e sudata, quindi il contenuto liquido sottocutaneo viene centralizzato. A livello splancnico, tutto il
circolo splancnico viene allo stesso tempo centralizzato. Quindi in uno stato di stress, di shock ipovolemico
o settico, avrò una vasocostrizione a livello sottocutaneo e a livello dei visceri, in modo tale che la gran
parte dei liquidi vengano centralizzati per miocardio ed encefalo.
Questa situazione può interessare ad esempio l’arteria renale, che si vasocostringe in maniera abnorme.
L’arteria renale basta sfiorarla e si trasforma praticamente in uno spillo, quindi è impossibile anche da
anastomizzare. Tant’è che chi fa il trapianto di rene tira via il rene e fa un’iniezione di papaverina, che dà la
vasodilatazione, in modo da non avere lo spasmo dell’arteria renale perché se l’arteria renale si spasmizza
non si può anastomizzare, non si può più collegare all’arteria iliaca per esempio.
L’arteria renale è sensibilissima allo spasmo, soprattutto durante uno stato di shock, questo perché il
paziente non deve urinare per evitare di perdere ulteriormente liquidi dall’organismo, però allo stesso
tempo il rene non può stare più di un certo tanto senza produrre urina perché va in necrosi tubulare acuta
e insufficienza renale acuta.
Allora, per esempio, in uno stato di shock si somministra la dopamina, se è vero che l’arteria renale si
spasmizza a tal punto che diventa uno spillo e non la posso neanche prendere in mano, è anche vero allo
stesso tempo che l’arteria renale ha i recettori alla dopamina, quindi se io somministro la dopamina al
paziente, la dopamina sull’arteria renale, che ha i recettori, dà una vasodilatazione. Tanto è vero che certi
pazienti riprendono a urinare nel momento in cui somministro la dopamina perché l’arteria renale si dilata
grazie alla dopamina. In un paziente in stato di shock, refrattario, che non sale al di sopra di 90/60, dopo
che ho somministrato i liquidi, lo metto sotto dopamina, che ha un effetto inotropo, e porta su la pressione
e dà anche una vasodilatazione renale.
Tutto questo succede a livello del microcircolo, perché è lì che avvengono gli scambi. Il microcircolo è
importantissimo da conoscere: c’è un’arteriola precapillare, che distribuisce il suo sangue in una rete del
microcircolo, e la venula che porta via il sangue residuo.
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Questo è molto importante nel fenomeno di centralizzazione del circolo, perché qui (indica sotto la scritta
“arteriola”) ci sono degli shunt, per cui il sangue può essere bypassato direttamente dall’arteriola alla
venula a livello del sottocutaneo, del tessuto muscolare e viscerale, perché serve appunto la
centralizzazione del circolo a garantire uno stato di emergenza, una migliore vascolarizzazione encefalica e
miocardica.
Per esempio nella congestione (sono andato al mare, ho mangiato e mi è venuta la congestione), uno ha
impegnato l’intestino in una digestione, anche nell’intestino esiste questo microcircolo, dove vengono
riassorbite le sostanze che poi vanno a livello venoso.
Nel caso di una brusca variazione di temperatura, questa fa sì che ci sia uno shunt, un passaggio del sangue
dall’arteriola alla venula, e succede che a livello intestinale c’è una stasi, praticamente il sangue non passa
più attraverso il microcircolo, ma lo bypassa e quell’edema importante, quella stasi, che si forma a livello
intestinale, determina uno spasmo intestinale acuto riflesso, un dolore importante e quindi ipotermia in
acqua e morte per annegamento. Tutto è innescato da un blocco del microcircolo intestinale.
Per quanto riguarda lo shock da patologia metabolica secondaria, il caso emblematico è lo shock
emorragico. Lo shock emorragico è uno shock ipovolemico, ma ce ne possono essere anche di altri tipi:
1.
2.
3.
4.
5.
Shock ipodinamico-ipovolemico da vasoplegia
Shock anafilattico
Shock cardiogeno
Pneumotorace iperteso
Embolia polmonare
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Per pneumotorace si intende il collasso polmonare dopo che entra aria nella cavità pleurica. Ci sono 3 tipi
di pneumotorace:

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
chiuso, cioè entra aria e si collassa il polmone ma non entra più aria nel cavo pleurico e quindi
rimane stabile;
a valvola, cioè l’aria entra ed esce;
iperteso, entra aria ma non esce.
Quello iperteso è il peggiore, perché l’aria entra e non esce, succede, per esempio se si ha un
pneumotorace, cioè collasso del polmone di destra, che l’aria continua ad entrare nell’emitorace di destra e
sposta il mediastino a sinistra. Lo sbandieramento del mediastino a sinistra inginocchia le vene cave
superiore e inferiore, si ha un mancato ritorno venoso, una mancata vis a tergo, quindi un crollo della
pressione e morte del paziente, refrattario a tutto a meno che il pneumotorace non venga trattato.
Il professore racconta un episodio in cui in un paziente, durante un intervento, i due emidiaframmi
avevano la convessità verso il basso (normalmente la convessità è verso l’alto), erano cioè spinti da un
duplice pneumotorace iperteso. Quando un paziente è intubato e ventilato, se c’è anche una minima
rottura o perforazione della pleura, il ventilatore continua a ventilare e la pressione passa da 120/80, 90,
70, 30, a niente. Qualsiasi somministrazione di liquidi e di ammine vasoattive non serve a nulla, serve
mettere due tubi in torace al volo, destro e sinistro, togliere l’aria, far espandere i polmoni, evitare
l’inginocchiamento delle vene cave e il paziente torna a pressione normale. Questo è un esempio
intraoperatorio di pneumotorace iperteso.
In uno stato di shock:
- cute pallida, fredda, sudata, per la vasocostrizione;
- ansia, agitazione;
- ipotensione ortostatica;
- ipotensione;
- tachicardia;
- iperventilazione;
- oliguria.
Ogni tipo di shock è correlato a una particolare eziologia come quello cardiogeno o quello anafilattico.
Principi di terapia
Un concetto molto importante nel trattamento dello shock, e di tutte le emergenze in generale, è il
concetto della Early gold directed teraphy: devo agire in fretta con una terapia mirata per riportare lo stato
di emergenza ad una condizione di normalità. Se non intervengo in tempo utile lo shock diventa
irreversibile, porta a delle lesioni irreversibili e quindi il paziente inesorabilmente arriva a morte.
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In caso di rottura di milza con emoperitoneo, cioè passaggio di sangue nel peritoneo, se ho un valore di
500-800 cc di sangue la gravità dello shock è lieve, se ho 1000-1500 è moderata, quando sono a 1500-2000
lo shock è severo. Severo vuol dire che il grado di ipotensione aumenta e la risposta dell’organismo è
sempre meno valida, se non intervengo in tempo a somministrare liquidi, a restituire volemia e a riportare
la pressione a valori normali, a rimuovere la causa e cioè fare una splenectomia d’urgenza, il paziente
muore, perché avrà un arresto cardiaco dovuto al fatto che non ha più ritorno venoso.
I principi della terapia devono restituire volume al paziente che l’ha perso per tenere il circolo, cioè avere la
pressione a livelli accettabili, e garantire una contrattilità cardiaca, un inotropismo cardiaco, con i farmaci
eventualmente. Si possono utilizzare fino a tre farmaci per sostenere il paziente e cioè dopamina,
dobutamina, noradrenalina.
Quando si ha uno stato di shock con paziente sostenuto da 3 farmaci vuol dire che lo shock è gravissimo,
perché si ha necessità non solo di infondere liquidi, ma anche di 3 ammine vasoattive, per riportare la
pressione alla norma. Poi quando inizia a migliorare scalo per esempio la dobutamina (penso volesse dire
dopamina), poi scalo la noradreanlina, lo lascio solo sotto dobutamina, poi tolgo la dobutamina perché si
sostiene da solo.
Principi di terapia:



restituire i liquidi, cristalloidi e colloidi;
correggere l’acidosi, perché il paziente che ha uno stato ipovolemico grave, emorragico o settico, è
in acidosi metabolica;
somministrare ossigeno migliorando la FiO2.
Se io per esempio nell’ossigeno ho una pressione parziale di 760 mmHg, non è che estraggo tutto l’ossigeno
che c’è nell’aria ma ne estraggo una parte.
Quando somministro l’ossigeno al paziente ci sono 3 modalità per somministrarlo: gli occhialini nasali, che
non servono a nulla se per esempio il paziente respira dalla bocca l’ossigeno qua non ci arriverà mai; le
maschere classiche, che hanno due buchi laterali, dove la regolazione dei litri di ossigeno arriva da una
manopola che c’è sulla bombola o sull’ossigeno messo a muro; però se io voglio migliorare l’estrazione di
ossigeno posso usare una particolare maschera, che si chiama maschera di Venturi, collegata lo stesso al
sistema a muro o a bombola, deve essere umidificata ovviamente perché l’ossigeno secco causa dei gravi
danni alveolari. Questa maschera ha dei sistemi di estrazione dell’ossigeno, posso estrarlo al 20-30-40-50%
quindi cambio una valvola che fa variare la FiO2 , cioè l’estrazione di ossigeno. Quindi son sicuro che quando
ho un paziente che ha una maschera di venturi al 50, mi estrae il 50% dell’ossigeno che gli somministro,
cosa che normalmente non sarebbe perché non si estrae più del 10-15%.
Sepsi
Dovete conoscere perfettamente cos’è la sepsi, la sepsi grave, lo shock settico e che cos’è l’evoluzione
irreversibile dello shock settico, cioè la MODS, la MOFS e la morte.
La sepsi è la causa prevalente di morte in chirurgia, ma non solo in chirurgia perché ci sono sepsi di varia
origine, polmonare, urinaria, ecc.
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È importante conoscere la differenza tra infezione, sepsi, shock settico, ma soprattutto tra infezione, SIRS,
sepsi e shock settico.
L’infezione è un processo causato da microrganismi localizzati nell’ambito di un tessuto.
L’infezione può essere per esempio un patereccio, un patereccio in chirurgia è qualsiasi infezione
suppurativa delle dita degli arti superiori e inferiori (un’unghia incarnita è un patereccio se ha pus).
L’infezione è un processo infiammatorio locale, per esempio di un dito, si parla di sepsi, invece, quando
l’organismo è coinvolto nell’infezione, si ha la comparsa di febbre, l’aumento della frequenza cardiaca ecc.,
e si ha così il passaggio dall’infezione alla sepsi.
Partendo dal patereccio nell’unghia, se il batterio è molto aggressivo, si diffonde anche al dito e alla mano,
ho febbre e allora non ho più semplicemente un’infezione ma ho una sepsi.
Passo dalla sepsi alla sepsi grave e poi allo shock settico quando ho un valore di pressione al di sotto di
90/60 refrattaria alle terapie.
Opero un paziente di ernia (intervento semplice di 45 minuti), poi misuro la temperatura. In chirurgia si
parla di febbre quando la temperatura è superiore a 38 °C (al di sotto è una febbricola).
Quando opero un paziente di ernia, anche se non c’è alcun tipo di infezione, la temperatura può essere
37,5 °C perché l’organismo reagisce al trauma chirurgico che genera un po’ di febbricola i primi 3 giorni
dopo l’intervento.
La SIRS (Systemic Infiammatory Response Syndrome)si verifica non soltanto perché c’è un’infezione
batterica, virale o fungina, ma si può verificare anche per un trauma. La SIRS è una risposta infiammatoria
sistemica dell’organismo alla noxa patogena, non è detto che sia un batterio.
Devo considerare 4 elementi fondamentali:




la temperatura >38 °C quindi febbre oppure <36 °C quindi ipotermia;
una frequenza cardiaca superiore a 90;
un numero di atti respiratori > 20 (il numero normale di atti respiratori è 16);
globuli bianchi > 12000 o < 4000.
Per definizione, la SIRS è una sindrome di risposta ad un agente patogeno, traumatico o infettivo, che deve
avere almeno due di questi 4 elementi.
Parlo di sepsi, modernamente, quando la SIRS è data da un’infezione.
Per esempio, nel caso di un indicente, un trauma, si crea un ematoma, la temperatura aumenta a causa
dell’assorbimento dell’ematoma, dando una febbricola, aumento della frequenza cardiaca. Con aumento di
globuli bianchi e febbricola si può avere una SIRS, ma una SIRS da trauma che non può essere definita sepsi.
Sepsi, per definizione, è una SIRS data da un agente patogeno batterico, virale o fungino, certo o anche solo
sospetto.
Salendo le scale, alla fine, ho tachicardia e tachipnea, 2 criteri sono soddisfatti, quindi dovrei avere una
SIRS, ma in realtà non è così.
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Il professor Vincent, famosissimo intensivista di Bruxelles, ha scritto una lettera “to the editor” alla SIRS,
parafrasando lo stile epistolare inglese (“Dear Sir”) che dice:
“Dear SIRS, I’m sorry to say that I don’t like you.” (“Cara SIRS, devo dirti che proprio non mi piaci”)
Questa definizione di SIRS è “too sensitive” (troppo sensibile), la definizione va contestualizzata.
Se un paziente a letto è tachicardico e tachipnoico quello sì che può aver una SIRS, non uno che corre ecc.
Il passaggio cruciale è questo: nel momento in cui ho un sospetto che l’eziologia sia infettiva allora parlo di
sepsi. Quindi la definizione di sepsi è una SIRS data da un agente infettivo. Questa è la definizione moderna,
in passato si parlava di setticemia, “è morto di setticemia”.
Setticemia è un termine ormai scomparso. Per batteriemia si intende che i batteri sono passati in circolo e
setticemia quando sono passati e si sono pure moltiplicati, per cui la carica batterica è aumentata
notevolmente. Questa definizione di setticemia non esiste più. Si parla di SIRS, sepsi, SIRS data da un agente
infettivo.
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