Petar Bojanic Introduzione (trad. it. Virgilio Cesarone) Innanzitutto vorrei ringraziare il professor Virgilio Cesarone per avermi invitato a parlare in questo seminario intitolato “Sul Politico”, così come voi per essere qui. Poche settimane fa mi ha mandato una scheda descrittiva per il seminario, nella quale cercava di differenziare, da un lato, “la questione sul politico”, che implica la “filosofia della politica”, e, dall’altro, “la politica” e la “filosofia politica”. Lo spazio in cui “la politica” o le “political sciences di matrice anglosassone” operano e si evidenziano è caratterizzato da istituzioni nel senso di istituzioni politiche. Prima che io vi dia una spiegazione preliminare della prima e della seconda, lasciate che vi accenni a ciò che m’interessa. Il problema che ritengo più importante è: che cos’è una buona istituzione? Come diventa istituzionalizzato qualcosa? Che cos’è la resistenza ad un’istituzione? Che cosa non può venire istituzionalizzato e che cosa accade a ciò che rimane al di fuori dell’istituzione? La violenza è necessaria per l’istituzionalizzazione e quanta violenza? La violenza può trasformarsi nel potere dell’istituzione? La questione di base è come preservare lo spazio del “politico” oppure se risulta possibile che siano le istituzioni a non trasformare necessariamente (convertire, castrare, standardizzare, o distruggere) il “politico” nella “politica”. Il mio interesse è nell’istituzionalizzazione e nella teoria delle istituzioni, o, in altre parole, nel passaggio (e nel non-passaggio) da “il politico” (the political, das Politische, le politique) in un’istituzione, in “la politica” (the politics, die Politik, la politique). Penso che l’ontologia politica (diciamo che quest’espressione è sinonimo di “ontologia istituzionale”) è nel passaggio tra i due termini, “il politico” e “la politica”. Allo stesso modo penso che questo passaggio potrebbe essere inteso in due accezioni: per esempio sia nello studio sulle origini e la fonte di ciò che è politics, sia 1 nel senso di essere interessati all’aggettivo politico, political, politique. Recentemente Thomas Bedorf ha descritto la relazione tra “il politico” e “la politica” nel suo libro Verkennende Anerkennung: il politico senza politica è vuoto, la politica senza politico è cieca (p. 240). Così l’“ontologia politica” non è in nessun posto prioritaria, e nemmeno in uno spazio prima del politics o dell’essere (“Poiché prima dell’essere c’è la politica”, cfr. Deleuze, Guattari, Mille Plateaux, p. 249); né potremmo cercarla in alcune potenzialità del pensiero di cui parlano Nancy e Lacou-Labarthe: “Ciò che resta da pensare, altrimenti detto, non è una nuova istituzione (o istruzione) della politica attraverso il pensiero, ma l’istituzione politica del pensiero detto occidentale” (Rejouer le politique, 1981, p. 15). In aggiunta a questo, l’ontologia sociale non potrebbe essere ricercata solamente nella “capacità degli esseri umani di creare e di agire per motivi indipendenti dalla volontà di azione” (cfr. J. Searle, Social Ontology and Political Power, p. 101) e nemmeno nella capacità dell’essere umano di creare “il governo come ultima struttura istituzionale” (Ivi, p. 96). Giovanni Gentile è più preciso di Searle quando parla di un’“impossibilità di un’etica apolitica” e quando definisce la politica nel seguente modo: “La politica è l’attività dello spirito in quanto Stato” (Genesi e struttura della società, 1943, pp. 114-117). Prima di voi ed oggi con voi, mi piacerebbe confermare che la costruzione di una possibile “ontologia politica” dovrebbe cominciare con i lavori di Husserl e con il suo impegno nello spazio della “Filosofia della politica”, senza riguardo per il fatto che egli usa raramente la parola Politik e che caratterizza il suo lavoro come unpolitisch, impolitico. Perché? Mi sembra ci siano due motivi: il primo è che c’è una stupefacente affinità tra il progetto di Husserl e quello, per esempio, di Searle, al punto che una teoria dell’istituzione e del politics non può essere pensata oggi fuori dalla matrice anglosassone. Husserl è stato il primo che ha tematizzato l’istituzione ed il processo d’istituzionalizzazione. Il secondo motivo riguarda una confusione tra radicale e rivoluzionario (comunismo e la sinistra) nei circoli accademici odierni. Mi sembra che leggere i testi di Husserl di fasi e periodi differenti della sua opera – lasciatemi ricordare che nel 1935 durante le sue lezioni a Vienna disse di sé che era 2 molto più radicale e rivoluzionario di quelli che al tempo lo erano solamente a parole – può fornire il problema principale della teoria della politica. Permettetemi di fare menzione, in via del tutto preliminare di pochi punti in merito alla comprensione husserliana dello stato e della politica (come sapete Schumann ha scritto su questo, nonché Natalie Depraz, quasi 17 anni fa). a) Nei testi del 1910, che trattano della relazione intersoggettiva, dove la locuzione “ontologia sociale” compare per la prima volta, Husserl parla dell’esistenza di una Gemeinschaftsnorm, di una norma della comunità, che ogni individuo possiede prima di se stesso, la quale evidentemente è la condizione per la possibilità del “politico”. Implicitamente a questo punto lo stato è l’istituzione per eccellenza per la sua stabilità e apertura. Lo stato è un’istituzione aperta ed una comunità aperta, pronta ad accettare nuovi membri ed a perderne uno vecchio, al contrario di una banda di ladri, che è sempre chiusa (cfr. E. Husserl, Zur Phänomenologie der Intersubjektivität. Erster Teil: 1905-1920, p. 105). b) Già negli articoli per “Kaizo” del 1922 Husserl parla di una sovra-nazione [Übernation] che supererebbe gli stati individuali, e quindi della comunità etica del mondo intero e del popolo del mondo [wahrhaft humane Weltvolk]; questa prospettiva cambia la comprensione dello stato e l’apertura dello stato nazione (Husserl, Aufsätze und Vorträge, XXVII, pp. 58-59). c) Negli anni trenta (in testi comunemente classificati come dedicati all’intersoggettività) parla della comunità, in cui l’accadere della vita sociale e politica è definito come qualcosa che precede lo stato [Willensgemeinschaft] eppure qualcosa che segue la famiglia, la quale viene designata come unità istintiva (Husserl Zur Phänomenologie der Intersubjektivität. Zweiter Teil, p. 180). Accanto a questi tre momenti della comprensione husserliana dello stato e della comunità, noi abbiamo due prospettive di Husserl che determinano una futura teoria e fenomenologia dell’istituzione: la prima concerne la centratura ed il parlare husserliano di un super-ego, della trasposizione dell’egologia trascendentale e della istanza super-egologica. Lo stato (l’istituzione più importante) viene definito qui 3 come un Io [Stattsich]. È evidente la comprensione che avrà questa prospettiva. La seconda prospettiva è quella a partire da cui qualsiasi “questione sul politico” deve iniziare: questa è la relazione io-tu che Husserl qualifica come la “archi-connessione tra me e te” e come la “relazione archi-sociale” (Ivi, pp. 166-167). Sull’istituzione e l’ontologia politica (trad. it. Luca Alici) Mi sembra che l’espressione “fenomenologia dell’istituzionale” venga utilizzata una sola volta da Maurizio Ferraris nel suo volume Documentalità. Questo fatto mi offre l’occasione per tornare su alcune delle difficoltà connesse alla parola o all’espressione “istituzione”. Il mio intento è duplice. Con John Searle (che parla di “ontologia dell’istituzione” o di ontologia della creazione dell’istituzione1, di “fenomeno istituzionale” o di “fenomeni istituzionali”2) vorrei affermare che la teoria o la fenomenologia dell’istituzione è il lavoro più importante nella costruzione di un’ontologia politica e sociale, anche se la teoria dell’istituzione è “ancora in evoluzione” o “ancora nella sua infanzia”3. Su questo terreno, vorrei poi tentare di puntualizzare l’importanza della violenza (e del potere) e delle strategie violente nella creazione e nella conservazione delle istituzioni, nonché descrivere, attraverso l’esemplarità di un termine che da Husserl (e Kant) arriva, attraverso la sua traduzione e ricezione, nella filosofia francese del XX secolo, un altro problema è la confusione riguardante l’istituzione. Due brevi appendici di Husserl di un centinaio di anni or sono, dedicate all’ontologia sociale, alla comunità e alle norme, sono incredibilmente convergenti con le intenzioni di Searle. Si può dire senza troppe 1 Cfr Searle 2009, p. 252 : "I have not ventured far on the subject of imitation in The Construction of Social Reality because it did not have a central place: I was not looking to show how new institutions are born by imitating old ones, but rather to determine the ontology of the creation and sustaining of these institutions". 2 Searle 2006, p. 23. 3 Searle 2005, p. 22. 4 remore che queste appendici sono quasi uno schizzo dello sforzo a lungo termine che Searle mette in atto per creare una nuova ontologia sociale e politica4. Esclusivamente quando parla dell’istituzione, Searle non solo non ha intenzione di analizzare l’uso ordinario del termine “istituzione”, ma non trova neppure importante se ciò di cui egli parla quando si riferisce all’istituzione abbia qualcosa a che fare con la realtà istituzionale. Così, nonostante Searle sia molto interessato “a scoprire quella colla che soggiace alle società umane e le tiene insieme”5, per iniziare davvero a pensare l’istituzione, secondo Searle, è necessario capire che l’istituzione non “costringe il popolo come tale” ma crea nuove relazioni di potere: le istituzioni sono abilitate perché creano poteri (deontici) o potere umano, perché “le strutture istituzionali creano ragioni per l’azione indipendenti dai desideri”6, perché “la creazione di un fatto istituzionale è l’assegnazione collettiva di una funzione di Status”7, perché l’istituzione del linguaggio è allo stesso tempo la fondazione di ogni altra istituzione8, etc. Due sottolineature. La convinzione secondo cui le strutture istituzionali creano ragioni per l’azione indipendenti dal desiderio non è detto che sia corretta ed essenzialmente non risponde, per esempio, ai primi famosi tentativi di tematizzazione dell’istituzione in Hume e alla relazione tra istinto e istituzione. Può la sessualità non essere soddisfatta con il matrimonio o la bramosia con l’istituzione della proprietà privata? “Tutti gli uccelli della medesima specie in ogni età e in ogni paese costruiscono i loro nidi allo stesso modo. In ciò si vede la forza dell’istinto. Gli uomini, in periodi e luoghi differenti, progettano le loro case differentemente. Qui si coglie l’influenza della ragione e della consuetudine. Una simile conclusione si può trarre dalla comparazione dell’istinto della generazione e dell’istituzione della proprietà”9. 4 Husserl 1973a, pp. 98-107. I titoli originali delle appendici XVIII e XIX sono: «Die Gegebenheit konkreter sozialer Gegenständlichkeiten und Gebilde und fie Klärung auf sie bezüglicher Begriffe. Sozialer Ontologie und deskriptive Soziologie» e «Gemeinschaft und Norm». 5 Searle 2005, p. 18; Searle 2006, pp. 27-28. 6 Searle 2005, pp. 10-11; Searle 2009, p. 48. 7 Searle 2005, p. 22. 8 Searle 2010, p. 110. 9 Hume 1777, p 15; Deleuze 1953b, p. 10. Cfr Deleuze 1991: “It is a fact that a drive is satisfied 5 La seconda sottolineatura potrebbe in qualche modo anche seguire da questa prima ed essere sostanziata da alcuni pensieri di Hume. Riguarda la relazione tra istituzioni e Forza Bruta, che Searle sviluppa e tratta continuamente, negli anni, come parte del suo pensiero sul potere. Sembra che l’origine di questo problema possa essere riscontrata nella scoperta di Searle secondo cui esiste la così detta istituzione extralinguistica; scoperta che, durante questi ultimi anni e nel corso di spiegazioni e correzioni senza fine, egli ha maneggiato in maniera da renderla ancora più complicata. Vale a dire che, pensando ai performativi come dichiarazioni, Searle differenzia dichiarazioni extra-linguistiche “come aggiornare una riunione, dichiarare qualcuno marito e moglie, dichiarare guerra, e così via – da dichiarazioni linguistiche – come promettere, ordinare e affermare a titolo di dichiarazione”10. Questi casi nonlinguistici Searle li considera prototipi di dichiarazioni e la loro caratteristica principale è che non sono derivati dalla semantica. In un esempio oramai noto, che Searle cita molto spesso in luoghi e modi differenti, un uomo può arrivare a divorziare da suo moglie pronunciando tre volte la frase “Ti divorzio”. La volontà di divorzio, in alcuni paesi musulmani, sta attualmente prendendo piede, dice Searle, proprio perché gli atti linguistici sono in quei casi derivati da poteri politici, legali o teologici11. Potere o poteri sono termini che qui vengono usati, forse per la prima volta, in questo modo, mentre, recentemente, come sappiamo, molti dei testi di Searle sono stati organizzati intorno alla parola o alle parole forza, violenza o coazione. Per noi sarebbe importante che ciò che Searle designa come potere o dichiarazione extralinguistica possa anche essere considerato un documento. La guerra è stata dichiarata perché la decisione è stata raggiunta e la dichiarazione trasmessa all’altra parte, la inside an institution. We speak here of specifically social institutions, not governmental institutions. In marriage, sexuality is satisfied; in property, greed. The institution, being the model of actions, is a designed system of possible satisfaction. The problem is that this does not license us to conclude that the institution is explained by the drive. The institution is a system of means, according to Hume, but these means are oblique and indirect; they do not satisfy the drive without also constraining it at the same time“ (46-47). 10 Searle 2002, p. 170. 11 Searle 2002, p. 171. 6 riunione è stata sospesa perché qualcuno ha con sé un’autorizzazione, un pezzo di carta, ed esercita un’autorità, mentre la procedura della ripetizione della sentenza “Ti divorzio” è in effetti una citazione trovata in codici e in norme religiose di alcune minoranze e tribù musulmane. Affinché la guerra sia dichiarata e quindi abbia inizio, occorre necessariamente che sia messo per scritto da qualche parte. Di una dichiarazione scritta, che altro non è che un documentum o il suo prototipo – instrumentum (un’affermazione resa pubblica o in presenza di un gruppo di testimoni) –, si ha bisogno. Così, ciò che Searle in questo luogo nomina “potere(i)” proviene infatti dal documento e dal consentimento che precede la dichiarazione linguistica e in un senso, così anche le istituzioni in generale. Costituirà un nuovo problema, che qui dovrebbe restare a margine, il fatto che i così detti atti linguistici, che sono derivati dalla semantica (promettere, ordinare, enunciare, etc), potrebbero anche seguire dalle varie collezioni di norme e leggi e avere un’origine documentaria. La ricostruzione che Searle compie del termine potere, all’inizio collocato in una sorta di sfera extralingustica o pre-linguistica – con ciò volendo dire che c’è qualcosa che ha un potere di istituzionalizzare che non è linguistico o verbale – contiene due processi simultanei. Searle innanzitutto introduce molti nuovi concetti (sfondo, autorità, potere politico, ontologia politica), che dovrebbero attenuare e mettere da parte le considerazioni dell’origine dei fatti sociali e delle istituzioni. Forza o violenza, che si trovano nelle fondazioni dell’autorità e delle istituzioni, di cui Hume parla (“Tempo e consuetudine danno autorità a tutte le forme di governo e a tutte le successioni di principi; e questo potere, che all’inizio fu fondato solo sull’ingiustizia e la violenza, diventa nel tempo legale e obbligatorio”12), sono ovunque – al fine di proteggere il potere istituzionale. Come se la Forza Bruta (o tutti i diversi meccanismi e poteri di coercizione che caratterizzano la stessa istituzione) proteggesse l’istituzione da se stessa. Sembra che Searle abbia inteso – e questa è la seconda operazione simultanea – che il processo d’istituzionalizzazione dei fatti sociali o il processo di turnazione dei fatti sociali in istituzionali, possa essere assicurato se e 12 Hume 2010, p. 310. 7 solo se l’istituzione protegge se stessa da una di queste proprie parti infedeli (“molte persone muoiono, rubano e truffano”). La funzione della forza militare e di polizia, che “presuppone la deontologia piuttosto che essere incoerente con essa”13, ovvero la funzione della minaccia della forza o di un monopolio sulla violenza organizzata, è de facto rompere la resistenza di azioni avverse all’istituzione o azioni che in se stesse hanno ragioni che dipendono dai desideri. Su questo secondo livello, o a partire da questa seconda prospettiva, cosa costituirebbe la fonte del potere di polizia o del potere militare? Come commento preliminare, sebbene gradirei per ora accantonare questo aspetto, non vorrei trascurare di menzionare che il pensiero di Searle sul potere, alla luce di questa famosa posizione di Hume, ricorda realmente una delle differenziazioni di Benjamin tra violenza che crea il diritto e violenza che lo protegge. In questo filone, sebbene egli analizzi, nel suo ultimo libro, certi testi di Michel Foucault (sfortunatamente non quelli che esplicitamente riguardano le istituzioni14), la posizione di Searle è esattamente opposta a quella di Foucault. Searle è prima di tutto interessato al potere dell’istituzione o al potere che fonda l’istituzione, e che l’istituzione quindi distribuisce prevenendo e abolendo ogni elemento contrario all’istituzione. Diversamente, Foucault, nell’analizzare le istituzioni, insiste sul fatto di iniziare dalle relazioni di potere che precedono il campo dell’istituzionale e resistono alle istituzioni (“Soyons très anti-institutionnaliste”): “Non è in questione tanto l’importanza delle istituzioni nelle relazioni di potere. Ma piuttosto suggerire che le istituzioni dovrebbero essere analizzate partendo dalle relazioni di potere e non da altre vie; queste relazioni sono state trovate prima di queste istituzioni, anche quando sono invecchiate e cristallizzate con loro”15. Al contrario di Searle, in Foucault non c’è una “struttura istituzionale ultima” (Stato), nessuna speciale o ultima istanza che protegga e regoli il processo di 13 Searle 2010, pp. 141-142. Searle 2010, pp. 152-155. 15 Foucault 2001, p. 1058. 14 8 istituzionalizzazione. Per Foucault l’analisi del potere come resistenza all’istituzione o alle istituzioni è realmente il solo processo attraverso cui l’istituzione si è istituzionalizzata. Nessuna istituzione esiste e basta, ma ci sono piuttosto dei processi d’istituzionalizzazione (Stiftung) e codificazione senza fine. Stiften, Stiftung A parte i verbi stiften e urstiften, Husserl usa i termini tedeschi Stiftung, Urstiftung, Nachstiftung o Endstiftung. Anche oggi, a dispetto del fatto che c’è ancora da aspettare molto tempo prima che possiamo avere pubblicati tutti i manoscritti di Husserl, è comunque relativamente semplice difendere l’importanza dell’idea husserliana e l’importanza che queste parole, tuttora strane, abbiano in generale nel lavoro di Husserl. Quando l’archivio, allora appena realizzato, aprì le sue porte ai primi visitatori a Lovanio, prima della Seconda Guerra Mondiale (uno dei primi visitatori fu Merleau-Ponty16) e subito dopo la guerra (il primo fu certamente Ricoeur), era impossibile immaginare la forza dell’investimento e dell’insistenza husserliana sulla coppia Stiftung/Urstiftung. La responsabilità di velare l’unicità di questi termini è nata con Emmanuel Lévinas, che traduce il termine Urstiftung nelle Meditazioni cartesiane (1929) in due modi17. Lévinas, che non aveva mai lavorato nell’archivio, potrebbe essere un ottimo esempio di molte possibili supposizioni: 1) che l’importanza delle strategie “sconosciute” di Husserl possa solo essere riscontrata nei manoscritti inediti; 2) che generazioni completamente differenti di fruitori degli archivi di Husserl (a Parigi o Lovanio) testimonino di un’identica convinzione nell’importanza della scoperta husserliana (Derrida o Lyotard o Richir); 3) che la traduzione di Merleau-Ponty (Stiftung tradotto con istituzione) predomini e abbia 16 Merleau-Ponty visitò Lovanio per la prima volta il 1 Aprile 1939 (vi ritornò poi nel 1946). Tra i molti testi consultò Die Krisis e poi una serie di manoscritti segnati con la lettera D (primordiale Konstitution, Urkonstitution) che tuttora sono inediti (Cfr. Van Breda 1962, pp. 410-430). 17 Nel § 38 Lévinas e Gabrielle Pfeiffer (Alexandre Koyré esaminò questa traduzione) traducono Urstiftung con formation première e nel famoso § 50 con création première (Husserl 1992a, pp. 135, 181). Dorion Cairns traduce sempre Urstiftung con “primal instituting” (Husserl 1969, pp. 80, 111). Quando traduce la parola Stiftung, Cairns predilige il termine “institution” o “instituting” rispetto a “foundation” (Cairns 1973, p. 108). 9 un’influenza sulle interpretazioni successive di Husserl più grande rispetto, per esempio, alla prima ipotesi di traduzione di Ricoeur18; 4) che la traduzione di Stiftung con istituzione faccia di Husserl esattamente e puramente una “materia francese”, e non solo perché proviene direttamente dagli archivi senza alcuna influenza della ricezione tedesca o degli studiosi tedeschi, incorpori Husserl nel milieu giuridico e politico della Francia e lo abiliti ad essere interpretato da posizioni marxiste e di sinistra; 5) infine, (Ur)Stiftung, come una sorta di (proto)istituzione, conduce la fenomenologia direttamente all’interno di differenti tesi di importanti filosofi francesi che non hanno letto Husserl nell’archivio, ma che quindi “con lui” necessariamente pensano l’istituzione come tale19. Questo ultimo punto può introdurre l’idea che la lettura, la traduzione e l’influenza di Husserl, iniziata nel suo archivio belga e continuata a Parigi, possa istituire ciò che noi possiamo approssimativamente chiamare “Filosofia Continentale”. Ciò significa che la strategia di Husserl con Stiftung/Urstiftung può essere la fonte del sintagma “Filosofia Continentale”, perché il pensiero dell’istituzione della filosofia (la questione “Cosa è l’istituzione della filosofia?” nasconde la fondamentale questione “Cosa è la filosofia?”) è strutturato come il pensiero dell’Europa, come il pensiero dell’umanità (Menschenheit)20 e come il pensiero dell’incontro con l’altro (intersoggettività, comunità). Merleau-Ponty traduce il termine Stiftung – “il bellissimo termine Stiftung (le beau mot de Stiftung) che Husserl ha usato per significare l’infinita fecondità di ogni 18 Ricœur, subito dopo il suo ritorno da Lovanio con la prima traduzione della «Vienna Conference» di Husserl del 1935, nel suo primo testo dedicato a Husserl, «The Sense of History» del 1949, parla della storia come del momento più importante nella comprensione di noi stessi e cita il § 15 del libro Crisis, il cui titolo è «Reflections on the Method of our Historical Considerations»: “That sort of elucidation of history by which we return to ourselves in order to question the original foundation [die Urstiftung; la fondation originelle nell’originale francese] of the goals which connect the chain of the generations to come […], this elucidation, I say, is only the authentic coming to awareness by the philosopher of the true end of his willing, of what is willing in him, comes from willing, and is willing as such from his spiritual ancestors”. “I can know who I am, continues Ricœur, through uncovering an origin [Ursprung], a primal institution [Urstiftung; une proto-fondation in francese], which is also a project toward the future horizon, a final institution [Endstiftung; une fondation finale]” (Ricœur 1967, p. 155; Ricœur 1949, pp. 293-294). 19 Qui mi sto riferendo al progetto di Michel Foucault (Cfr. M. Foucault 1971, pp. 9-15). 20 “Philosophy is the ‘innate entelechy’ of Europe, the ‘proto-phenomenon’ of its culture” (Ricœur 1967, p. 152). 10 momento nel tempo” – con istituzione21. Cos’è quindi l’istituzione? E questo sintagma latino – in statuere – riesce realmente a rispondere all’intenzione husserliana di trovare un’operazione o una forma che differisca da tutte quelle usate in precedenza? Attorno ad un atto creativo inizia qualcosa, si provvede alla stabilità di qualcosa e ci si differenzia dai termini Begründung, Letztbegründung, Konstitution, Setzung, Fundierung, etc. Elencherò, preliminarmente e senza essere troppo lungo, una serie di significati del termine istituzione, che dovrebbe essere comparato alle intenzioni di Husserl. Oltre a dare un inizio a qualcosa (originare, iniziare – in francese instituer significa un atto attraverso il quale qualcosa è inaugurato), oltre a costruire (stabilire) qualcosa sulla terra del proprietario (istituzione è sempre connessa ad architettura, a un oggetto), istituire condivide la medesima linea semantica del termine latino status. In statuere è fare in modo che qualcosa sorga (senza aiuto, senza un sostegno, reggendosi da sola) o sappia tenersi in verticale22. L’istituzione assicura il suo status attraverso statuti, ovvero attraverso regole interne (institutes). Il secondo, egualmente importante, corpus di significato e uso del verbo istituire si riferisce all’apertura di una istituzione nel: 1) indicare o creare un successore (un accordo tra generazioni); 2) istituire degli strumenti per fornire degli insegnamenti ed educare; 3) istituire implica la creazione di una riserva o la creazione di un luogo per qualcosa che deve ancora avvenire, che sta per avvenire, ma che è ancora assente o invisibile. Come ho indicato in precedenza, l’espressione in statuere, nella quale si suppone sia stata tradotta e trasformata l’idea di Husserl, ha già in Francia una ricca e fertile tradizione di political-law. Tradizione che innanzitutto segue Kant, per il quale la pace è qualcosa di necessariamente instaurato (Frieden stiften)23. Solo nell’ultima decade della sua vita, Kant fa spesso uso delle parole stiften o gestiften. Stiften senza 21 Merleau-Ponty 1966, p. 95. Quindi, in contrasto con la parola “foundation”, che assume il senso dello star seduti e della stabilità che lo star seduti comporta (fundamentum è il posteriore). Il fondo vuol dire soldi. Il significato colloquiale di Stifter è “Founder”; Anstifter è “Initiator”, mentre Stiftung significa una fondazione che offre stipendi o concessioni per progetti riusciti. 23 Kant 1923, p. 349. 22 11 dubbio implica violenza o forza. Kant crede, e manifesta in molti luoghi chiaramente questa sua convinzione (molte volte nelle note dei suoi manoscritti), che qualcosa può essere instaurato o piuttosto istituzionalizzato attraverso la violenza o la forza. Il che significa guardare all’atto di violenza come all’atto inaugurale di ogni instaurazione, inclusa quello della pace. Per esempio, il paragrafo 55 di Metafisica della morale inizia con la speranza kantiana che sia possibile instaurare una condizione che si avvicina al diritto attraverso la guerra (um etwa einen dem rechtlichen sich annähernden Zustand zu stiften). Nelle lezioni del semestre invernale 1793/1794, che fu preparato per la pubblicazione da Johann Friedrich Vigilantius (Metaphysik der Sitten Vigilantius), Kant è molto chiaro: “perché senza violenza il diritto non può essere instaurato, quindi è la violenza a dover precedere il diritto, invece che la norma basarsi sui diritti che fonda la forza (potenza/potere). Dato il popolo in statu naturali, esso è ex leges, a parte dallo status legale, senza una legge, solo qualche forza esterna che lo tiene intorpidito”24. Ma lasciatemi tornare in Francia. Merleau-Ponty, in questa nota del corso “L’Institution dans l’histoire personnelle et publique” (1954-1955) indica che è precisamente Husserl colui che, attraverso la coppia Stiftung/Urstiftung, riesce a trovare il significato della rivoluzione permanente: “Rivoluzione e istituzione: rivoluzione è re-istituzione, il cui obiettivo è il rovesciamento (renversement) dell’istituzione precedente […]. Rivoluzione è un ritorno all’origine, il risveglio di qualcosa che deraglia dalle idealizzazioni della fondazione, dal loro contesto, il futuro che è il passato, il futuro che è una comprensione molto più profonda del passato, che è gestiftet (institute) […]. Il doppio aspetto dell’istituzione: essa è stessa ed è su un altro lato di se stessa, restrizione e apertura”25. 24 “Dass ohne Gewalt kein Recht gestiftet werden kann, so muss dem Recht die Gewalt vorausgehen, statt dessen der Regel nach das Recht die Gewalt begründet muss. An nehme Menschen in statu naturali, sie sind ex leges, in keinem rechtlichen Zustande, sie haben keine Gesetze, noch äußerliche Gewalt, die sie aufrecht erhält” (Kant 1975, p. 515). 25 Merleau-Ponty 2003, pp. 42-43. 12 Ma queste affermazioni non contengono solo le polemiche di Merleau-Ponty con Sartre, un altro fenomenologo francese, né egli evoca le vecchie questioni in connessione con il Marxismo o con Trotsky. Durante un corso, nel quale analizza meticolosamente Marx, Proust e Freud, Merleau-Ponty si sforza di mostrare il vantaggio della parola “istituzione” (“Un’istituzione non è la posizione di un concetto, ma di un essere, l’apertura di un campo”26) in relazione alla legge, al contratto, alla costituzione27. Questo non è null’altro che la ripetizione della tradizione: 1) mentre si ascolta Merleau-Ponty, possiamo in realtà sentire i celebri richiami di Saint-Just all’introduzione delle istituzioni nella Repubblica perché esse sono la sua anima28; 2) quando Merleau-Ponty parla di un doppio aspetto dell’istituzione, egli nei fatti ripete Saint-Simon (il creatore dell’espressione contreinstitution, “contro-istituzione” [1820])29; 3) la relazione tra restrizione e apertura dell’istituzione rappresenta de facto il potere convertibile e incorporante dell’istituzione (all’interno della coscienza di istituzione (Bergson), consuetudine, habitus, energia, istinto sono convertiti). Al fine di esaminare e spiegare qui l’istituzione del (Ur)Stiftung in questo terreno così complicato coperto dalle parole in statuere e institution, al fine di scoprire la forza dell’intenzione di Husserl e come la sua opinione sia andata di molto oltre questo contesto – in una parola, l’introduzione di Husserl nella filosofia francese significa istituire un nuovo (assoluto) Urstifter30, un nuovo Edmund Husserl, che istituisce non solo una filosofia continentale o analitica, ma persino una filosofia pura31, o addirittura l’istituzione della filosofia 26 Merleau-Ponty 2003, p. 101. La soluzione di Deleuze di questo periodo è la più complicata e difficile da tradurre in inglese: “L'institution, c'ést le figuré” (Deleuze 1953a, p. 39). 27 Questa è la posizione di Emile Durkheim, ma anche di istituzionalisti francesi (Maruice Hauriou, Georges Renard, Joseph T. Delos), importanti giuristi e scienziati politici tra le due guerre. 28 “Les institutions, qui sont l’âme de la République, nous manquent” (Saint-Just 1988, p. 191). 29 Una delle ultime lezioni di Jacques Derrida fu «A Model of Philosophy as a Counter-Institution», sostenuta il 23 Agosto 2002 (Derrida 2005, pp. 246-261). 30 Il francese Descartes è Urstifter (“the primal founder, not only of the modern idea of objectivistic rationalism but also of the transcendental motif which explodes it”): cfr Husserl 1970, p. 73. Alla fine della sua vita, Husserl distingue tra proto-istituzione assoluta e relativa (Documento 33, «Die Unterscheidung zwischen absoluter und relativer Urstiftung», Sommer 1937). L’intenzione di Descartes è radicale e assoluta, proprio come la proto-instituzione della filosofia greca (Husserl 1992b, pp. 421-423). 31 In un documento, segnato col numero 32, «Teleologie in der Philosophiegeschichte», scritto nel 13 come tale? – propongo tre differenti visioni delle versioni dell’intervento di Husserl. Solo la terza, provocata da uno dei frammenti di Ricoeur, scritto più di trenta anni or sono, potrebbe possibilmente giustificare il mio umile sforzo. 1) Ingarden, nelle sue lezioni ad Oslo del 196732, insiste nel sostenere che la trasformazione graduale della parola Setzung (posizione; setzen, innalzare) in Stiftung sta a significare il passaggio di Husserl attraverso l’idealismo. Husserl sostituisce il termine Setzung (che può essere facilmente trovato in Kant e nel neo-kantismo) già nelle Meditazioni e nella Logica formale e trascendentale, al fine di rinforzare la forza attiva dell’intenzionalità. Idealismo non è trovare qualcosa o accettare o confermare la sua esistenza; idealismo è creare quel qualcosa, consentire la rivelazione del suo essere, la rivelazione della cosa stessa. Ingarden indica che questo è vero in alcuni casi, per esempio quando è istituita un’università, quando l’essere di una università è scoperto attraverso un atto (stiften). Ma qual è la cosa in questione? Ingarden è molto sicuro che, dal 1929, Husserl cambi la forma di ogni atto di comprensione e lo introduca in una possibilità di istituire (stiften) qualcosa (in questo modo il trascendentale e intenzionale si sovrappongono come aree in grado di creare). 2) Un’altra prospettiva indebolisce l’idealismo husserliano se si accetta la sua insistenza sull’importanza della storia. Vale a dire: non esiste nessun ordine dell’ideale (la geometria è un esempio celebrato in Husserl) che attraverso il linguaggio (scritto e parlato) non metta al sicuro la propria oggettività e la propria non-temporalità. Il linguaggio è ciò che costantemente ri-attualizza e completa una volta di più (Nachstiftung; re-istituisce) ciò che già è stato originariamente istituito. Comunque, questo è precisamente il paradosso fondamentale di ogni Stiftung su cui Husserl insiste: come mai qualcosa che è all’inizio, che è potenziale, che non è 1936 e tra giugno e luglio del 1937, Husserl scrive: “Die Methode, sie, die überrelativen Wahrheiten, zu finden, setzt mit voraus die Methode der Reinhaltung des streng theoretischen Interesses, auf das philosophische Wahrheit bezogen ist. Die Erfordernisse dieser doppelten Methode sind die Bedingungen der Möglichkeit einer Philosophie – einer reinen Philosophie” (Husserl 1992b, p. 393). 32 Lecture IV (6 October 1967), Ingarden 1992, p. 124. 14 presente in questo atto attuale, come mai questo qualcosa di implicito, primo e potenziale è in ogni cosa e in quella attuale (Husserl chiama questo leistend [producente] in atto)? Tre domande: “come ogni Stiftung rinnova e ripete Urstiftung?”; come è possibile che Urstiftung sia in ogni Stiftung?” e “come è che il futuro sia anticipato nel telos di un proto-atto (Endstiftung è già Urstiftung)33”? Queste questioni aprono la porta ad una serie di questioni note: come è possibile potenziale, riserva, proroga, surplus? Una cosa ancora: durante la ri-occorrenza della proto-istituzione (Urstiftung) per mano di ogni prossima Stiftung, il linguaggio apre simultaneamente un mondo comune possibile nel quale io e un altro, il passato e il presente camminano insieme. 3) La terza interpretazione della coppia husserliana Stiftung/Urstiftung è fornita da un breve stralcio, trovato a pagina 181 del testo “Il problema della fondazione della filosofia morale” del direttore per lungo tempo dell’archivio di Husserl a Parigi, ovvero Paul Ricoeur34. Nonostante non citi Husserl, Ricoeur scrive implicitamente con la mano di Husserl, usando un manoscritto da poco pubblicato35. Non solo l’esistenza di questo testo rifiuta lo stato di Ingarden (e non solo questo) – Husserl ha scritto sulla prima istituzione molto prima del 1929 – questo testo conferma chiaramente che i pensieri di Husserl sulla comunità sono l’inizio di questa avventura che riguarda lo Stiftung: Ricoeur scrive: «Con le istituzioni appare un nuovo passività dell’attualizzazione del sé da passività che corrisponde alla dell’ineguaglianza che non smettiamo fattore di passività che è composto con la parte di ogni persona per se stessa con l’altra situazione di intersoggettività iniziale mai di correggere […]. Intendo dire che noi 33 Merleau-Ponty 2003, p. 92. Derrida 1989, pp. 138, 141. Questo testo, che non è stato ancora pubblicato in Francia, fu per la prima volta presentato in Italiano nel 1975 (Ricœur 1978, pp. 175-192). 35 Qui in questione è il manoscritto 28, «Problem: Transfer (Tradition) and Urstiftung» (Übernahme und Urstiftung. Gedanken kollidieren nicht in der Intersubjektivität, aber Zwecke kollidieren eventuell): Husserl 1973b, pp. 222-225. Ricœur non dovrebbe aver preso in considerazione questo manoscritto prima della sua pubblicazione, probabilmente perché non era stato classificato. Iso Kern ha scoperto che esso apparteneva ai manoscritti concernenti la comunità, scritti negli anni 20, o più precisamente tra il 1921 e il 1922. 34 15 possiamo agire solamente attraverso strutture di interazione che ci sono già e che tendono a distendere la loro propria storia che consiste di inerzie e innovazioni che loro stesse hanno sedimentato a loro volta […]. Ho introdotto la parola istituzione qui perché mi è sembrato di rispondere ad un duplice criterio: per quanto concerne il primo aspetto, ogni istituzione conduce indietro ad un Urstftung – una fondazione mitica primordiale – così che l’istituzione significa che sono già dentro ciò che è istituito […]. Non sono mai prima dell’inizio di ogni istituzione, sono piuttosto sempre in una situazione successiva al fatto dell’istituzione. Una seconda indicazione è fornita dal fallimento di ogni sforzo, fenomenologico o di altro tipo, a trarre il sociale e il politico dalla relazione immediata Io-Tu e, di conseguenza, a fare senza un termine medio. Questo sogno di immediatezza, delle relazioni faccia-a-faccia senza l’intermediazione di un termine medio è ben nota. È il sogno che il dialogo possa essere la misura di ogni relazione umana. Ma sappiamo bene che persino la relazione dialogica più intima è possibile solo sulla base dell’istituzione”. A parte le critiche implicite di Emanuel Lévinas (ora è completamente trasparente perché Lévinas non menzioni mai lo (Ur)Stiftung di Husserl), mi sembra che, già a questo punto, il compito della filosofia di istituire, di generare e di rigenerare la comunità sia rivelata. Questo è l’inizio che termina con il testo finale di Husserl che concerne l’assoluta e relativa istituzione primaria dell’istituzione della filosofia (o pura filosofia). La prima missione della filosofia non è, come ha scritto Derrida nel 1954 “la réactivation de la genèse” (la genesi di qualcosa di altro fuori dalla filosofia), ma “la réactivation de SA genèse”36. Questa missione d’istituzionalizzazione è una e medesima. 36 Derrida 1990, p. 259. “La première tâche de la philosophie: la réactivation de la genèse”. Derrida traduce la parola Stiftung in modo differente: “fondement originaire”. 16 Bibliografia Benjamin, W. – 1996, Critique of Violence, in Selected Writings, 1, Cambridge, Harvard University Press Cairns, D. – 1973, Guide for Translating Husserl, Hague, Martinus Nijhoff Deleuze, G. – 1953a, Empirisme et subjectivité, Paris, PUF – 1953b, L’institution ne s’explique pas par l’instinct, in Deleuze, G (ed.), Instincts et Institutions, Paris, Hachette – 1991, Empirism and Subjectivity. An Essay on Hume’s Theory of Human Nature, New York, Columbia University Press Derrida, J. – 1967, De la grammatologie, Paris, Les éditions de minuit – 1989, Edmund Husserl’s Origin of Geometry: An Introduction, New York, N. Hays and Harvester Press – 1990, Le problème de la genèse dans la philosophie de Husserl, Paris, PUF – 2005, A Model of Philosophy as a Counter-Institution, in S.I.E.C.L.E., Coloque de Cerisy, Paris, Editions de l’IMEC Ferraris, M. – 2009, Documentalità. 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