Sentenze interessanti – N.04/2013 1) Corte di cassazione n. 480 dell’8 gennaio 2013 – invito a presentarsi presso l’ufficio stranieri della Questura al fine di dar corso all’esecuzione dell’espulsione – inosservanza a detto invito – assoluzione dal reato ex art. 650 c.p. Non risponde del reato previsto dall’art. 650 c.p. lo straniero che non ottemperi all’invito a presentarsi presso un ufficio di P.S. ai fini dell’espulsione dal territorio nazionale, in quanto l’ordine di allontanamento del Questore e la relativa sequenza procedimentale stabilita dall’art. 14 del D.Lgs. n. 286/1998 non possono essere validamente surrogati da altri atti. Nel caso di specie, l’ordine impartito all’imputato dai Carabinieri di presentarsi presso l’ufficio di Polizia era rivolto solo a facilitare la procedura di espulsione nei suoi confronti, non a provvedere alla tutela di specifiche ed esplicitate esigenze di sicurezza pubblica, come peraltro implicitamente riconosciuto dallo stesso P.M. ricorrente laddove afferma che l’ordine fu impartito per la necessità di attivare con speditezza la trafila burocratica connessa all’espulsione, in caso di sussistenza dei presupposti. Riferimenti normativi art. 650, c.p. 2) Corte di cassazione n. 18231 del 24 ottobre 2012 – domanda di protezione internazionale proposta da cittadino di nazionalità nigeriana – riconoscimento dello status di protezione sussidiaria – onere di provare la relazione fra fattore esterno di pericolo e la propria condizione soggettiva – rigetto del ricorso di parte E’ rigettato il ricorso proposto contro la sentenza della Corte d’appello che, nel confermare la pronuncia di primo grado, ha respinto la domanda di protezione internazionale. Non può trovare accesso la tesi secondo cui, nell’invocare i principi affermati dalla Corte di giustizia con decisione n. 465/07 del 17 febbraio 2009, la concessione della protezione sussidiaria per l’esistenza di una minaccia grave ed individuale alla vita od alla persona del richiedente non è subordinata alla prova della sussistenza di una relazione di imputabilità o riferibilità personale delle ragioni della minaccia. Se certamente è indiscutibile la portata interpretativa del richiamato decisum della Corte di giustizia, è altrettanto evidente che detta decisione, escludendo l’onere di provare la riferibilità soggettiva della minaccia e quindi la sussistenza di un legame causale tra fattore esterno di pericolo e la propria condizione soggettiva, non esclude affatto che tra il primo e la seconda debba comunque esistere una qualsiasi relazione che faccia ragionevolmente presumere che al rimpatrio del richiedente segua, al di là di alcuna spiegazione “causale”, il suo coinvolgimento effettivo nella situazione di pericolo. Riferimenti normativi art. 2, comma 1, lettera g), D.Lgs. n. 251/2007 3) Corte di cassazione n. 16026 del 24 settembre 2012 – domanda di protezione internazionale proposta da cittadino del Togo – mancanza di credibilità delle dichiarazioni rese dall’interessato in ordine alla superficiale valutazione politica della situazione del paese di origine – debbono essere vagliate le dichiarazioni del richiedente – accoglimento del ricorso di parte Il ricorso deve essere accolto, essendo state violate le norme relative alle modalità di accertamento dei fatti posti a base della domanda di protezione internazionale ed essendo risultata carente la motivazione relativa alla credibilità soggettiva ed alle condizioni oggettive del paese d’origine dello straniero. La pronuncia impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte di appello, in diversa composizione, che dovrà attenersi al seguente principio di diritto: nell’esame delle dichiarazioni del richiedente una misura di protezione internazionale la valutazione della credibilità soggettiva di quest’ultimo deve essere svolta alla stregua dei criteri stabiliti dall’art. 3, comma 5, del D.Lgs. n. 251/2007, e non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi, dando conto del loro scrutinio e l’acquisizione delle informazioni sul contesto socio politico del paese di rientro deve avvenire in correlazione con i motivi di persecuzione o di pericoli dedotti, sulla base delle fonti d’informazioni indicate dall’art. 8, comma 3, del D.Lgs. n. 25/2008, ed in mancanza, o 18/02/2013 1/64 Sentenze interessanti – N.04/2013 ad integrazione di esse, mediante l’acquisizione di altri canali informativi, dando conto delle ragioni della scelta. Riferimenti normativi art. 3, comma 5, D.Lgs. n. 251/2007 art. 8, comma 3, D.Lgs. n. 25/2008 4) Corte di cassazione n. 10546 del 25 giugno 2012 – domanda di protezione internazionale –erronea interpretazione del giudice di merito asserente il principio della mancata applicazione, al procedimento di definizione della domanda, dell’art. 7 della legge n. 241/1990 – accoglimento del ricorso di parte E’ accolto il ricorso e, per l’effetto, l’impugnata sentenza va cassata e si dispone il rinvio alla Corte di appello in diversa composizione. E’ esatto l’assunto di parte secondo cui l’art. 7 della legge n. 241 del 1990 dovesse trovare applicazione nella definizione della domanda di protezione internazionale essendo chiaro il richiamo espresso operato ad esso dall’art. 18 del D.Lgs. n. 25/2008. E’ quindi errata la negatoria della sua applicazione affermata dalla Corte di merito. Ma la conseguenza non è la nullità del provvedimento per carenza di requisito formale ma la invalidità di una decisione che abbia puramente e semplicemente “accettato” la acquisizione procedimentale lesiva di diritti della difesa: il vizio di omesso avviso, in realtà, rifluisce sul diritto alla difesa. Riferimenti normativi art. 18, D.Lgs. n. 25/2008 5) Tribunale di Genova del 5 dicembre 2012 – straniero coniugato con cittadina italiana – domanda di rilascio di permesso di soggiorno per motivi familiari – diniego fondato su condanna per reati in materia di stupefacenti – assenza del giudizio di pericolosità sociale – illegittimità del diniego E’ illegittimo il diniego del rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari, opposto a cittadino straniero condannato per reato di detenzione al fine di spaccio di sostanze stupefacenti. Nel caso di richiesta del permesso di soggiorno nell’ipotesi di ricongiungimento familiare, le norme in esame non prevedono l’applicabilità dell’automatismo pure dalle stesse stabilito, in linea generale, in presenza di condanne per i reati in esse contemplati, occorrendo, invece, per il diniego, la formulazione di un giudizio di pericolosità sociale che conforti la valutazione che lo straniero rappresenta “una minaccia concreta e attuale per l’ordine pubblico o la sicurezza”, tale da rendere recessiva la valutazione degli ulteriori elementi previsti dalle norme. Riferimenti normativi art. 19, comma 2, lettera c), TU art. 28, comma 1, lettera b), Regolamento 6) Consiglio di Stato n. 132 del 14 gennaio 2013 – emersione 2009 – diniego motivato dalla presenza di un decreto penale di condanna per il reato ex art. 648 c.p. – omessa valutazione degli apporti partecipativi forniti dalla parte – applicazione dei principi affermati dalla Corte costituzionale con sentenza n. 172/2012 – illegittimità del diniego E’ accolto l’appello di parte e, in riforma della sentenza impugnata, deve disporsi l’annullamento del diniego d’emersione, fatto discendere dall’Amministrazione sulla scorta di un decreto penale di condanna per il reato di cui all’art. 648 c.p. Ha errato l’Amministrazione nel non tener conto della volontà dell’interessato, esplicitata in sede di controdeduzioni alla comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, di voler richiedere al Tribunale la rimessione in termini per l’opposizione del decreto penale da essa ritenuto ostativo al perfezionamento della procedura di emersione. Tale modus procedendi confligge da un lato con la ratio sottesa all’istituto di cui all’art. 10 bis della legge n. 241/1990, che configura un rapporto di leale collaborazione tra privato ed Amministrazione, il quale implica che il destinatario del provvedimento sia messo nelle condizioni di poter eventualmente rimuovere il motivo ostativo all’accoglimento dell’istanza presentata; dall’altro confligge con l’orientamento giurisprudenziale, secondo il quale, proprio con riferimento alla materia dell’immigrazione, l’oggetto dei giudizii tende ad estendersi alla pretesa sostanziale posta a base dell’impugnazione, cosicché devono essere sempre valutate anche le sopravvenienze favorevoli. 18/02/2013 2/64 Sentenze interessanti – N.04/2013 Inoltre, per effetto della pronuncia di incostituzionalità disposta con sentenza n. 172/2012, il contestato diniego ha perso il proprio parametro legislativo di riferimento, stante l’efficacia retroattiva delle pronunce di illegittimità costituzionale rispetto ai rapporti non ancora definiti. Ne deriva, pertanto, che i provvedimenti emanati sulla base di una disposizione dichiarata costituzionalmente illegittima nel corso del giudizio d’impugnazione devono essere annullati. Riferimenti normativi art. 1 ter, comma 13, lettera c), legge n. 102/2009 7) Consiglio di Stato n. 19 del 7 gennaio 2013 – permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti – revoca incentrata su sentenza penale per reato in materia di stupefacenti – assenza del giudizio di pericolosità sociale – illegittimità della revoca E’ accolto l’appello di parte e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, deve essere annullato il provvedimento di revoca del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, adottato sulla scorta di una sentenza penale per reati inerenti gli stupefacenti. Contrariamente a quanto affermato dal TAR, il provvedimento impugnato in primo grado non è adeguatamente motivato - alla luce degli artt. 5, comma 5, secondo periodo e 9, commi 7, lettera c), 10 e 11 del D.Lgs. n. 286/1998 – e anzi risulta adottato in espressa violazione di tutte le disposizioni che impongono di considerare la situazione familiare dello straniero, la durata del soggiorno in Italia e il suo radicamento sociale e lavorativo. Non si fa infatti alcun riferimento nel provvedimento alla attuale situazione del nucleo familiare, al pregresso ricongiungimento, mentre la durata del soggiorno e il radicamento sociale e lavorativo vengono utilizzate contra legem – e cioè seguendo una ratio esattamente opposta a quella propria della legge – come circostanze a sfavore dello straniero, in quanto considerate aggravanti del comportamento sanzionato con la condanna. Riferimenti normativi art. 9, comma 7, lettera c), TU 8) TAR Lazio n. 287 del 14 gennaio 2013 – domanda di rilascio del primo permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato – rigetto motivato dalla pregressa espulsione accompagnata alla mancata autorizzazione ministeriale al reingresso – mancata rideterminazione dell’Amministrazione alla luce della disciplina sopravvenuta – illegittimità del diniego E’ accolto il ricorso avverso il diniego del rilascio del primo permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato, assunto sulla base di una pregressa espulsione accompagnata alla mancata autorizzazione ministeriale al reingresso. Come più volte affermato dal Consiglio di Stato in casi analoghi di sopravvenienze normative recanti una disciplina più favorevole, è opportuno che l’Amministrazione si ridetermini sull’istanza del ricorrente alla luce della disciplina sopravvenuta, soprattutto al fine di potergli consentire di chiedere la revoca del divieto di reingresso dimostrando di aver spontaneamente ottemperato al decreto di espulsione. Infatti, non si può ritenere ostativo alla applicazione della disciplina sopravvenuta la circostanza che all’epoca l’espulsione del ricorrente fu disposta mediante accompagnamento alla frontiera per mezzo della forza pubblica. Peraltro, la circostanza che all’epoca vi fosse la previsione normativa che sanciva l’allontanamento forzato, non sta però a significare che tutti gli allontanamenti fossero eseguiti con tale modalità. Di fatto, solo una piccola parte delle espulsioni veniva effettivamente eseguita con lo strumento dell’accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica poiché spesso non era possibile individuare lo Stato di origine dell’immigrato o perché comunque non vi erano i mezzi a disposizione. Per tale ragione non vi è certezza che l’espulsione disposta nei confronti del ricorrente mediante accompagnamento alla frontiera sia stata effettivamente eseguita con il ricorso alla forza pubblica, essendo anche possibile che egli sia volontariamente rimpatriato e che quindi egli possa, alla luce della sopravvenuta disciplina, chiedere la revoca del divieto di reingresso. Riferimenti normativi art. 4, comma 6, TU art. 13, commi 4, 13 e 14, TU [versione precedente] art. 13, comma 14, TU [versione attuale] artt. 19 e 19 bis, Regolamento 18/02/2013 3/64 Sentenze interessanti – N.04/2013 9) TAR Lazio n. 286 del 14 gennaio 2013 – emersione 2009 – decreto di archiviazione emesso a seguito della mancata presentazione delle parti – infondatezza del ricorso E’ respinto il ricorso avverso il decreto di archiviazione della pratica di emersione, adottato a seguito della mancata presentazione delle parti all’invito di convocazione per la sottoscrizione del contratto di soggiorno. La presentazione delle parti dinanzi allo Sportello Unico infatti, oltre a soddisfare l’esigenza di verificare l’effettiva identità degli istanti nonché di far assolvere ai medesimi i relativi oneri di documentazione, non surrogabili da altri, rappresenta il comportamento concludente a cui il legislatore dà preminente rilievo ai fini della regolarizzazione del rapporto di lavoro, segnando il punto d’incontro della concorde volontà delle parti non solo di confermare la pregressa esistenza di tale rapporto ma soprattutto della volontà di farlo emergere e quindi regolarizzare, usufruendo della facoltà di legge. Ne consegue ineludibilmente che la mancata presentazione del datore di lavoro non può che impedire la definizione del procedimento, con conseguente obbligo di archiviazione e cessazione dei benefici conservativi di legge, per cui sia il datore di lavoro italiano sia il lavoratore straniero saranno perseguibili per gli illeciti penali e amministrativi commessi per l’instaurazione di un rapporto di lavoro in violazione delle leggi sull’immigrazione. Inoltre, va altresì fatto presente, con particolare riferimento all’abbandono da parte del datore di lavoro, che non appare possibile utilizzare lo strumento coercitivo di cui all’art. 2932 c.c. in considerazione della mancanza di un obbligo giuridico alla conclusione del procedimento amministrativo “de quo”, ferma restando ovviamente le suddette responsabilità penali ed amministrative. In conclusione, la mancata presentazione del datore di lavoro preclude la conclusione del procedimento di emersione dall’altro espone gli interessati alle responsabilità civili e penali conseguenti all’impiego di un soggetto straniero clandestino in un rapporto di lavoro. Riferimenti normativi art. 1 ter, comma 7, legge n. 102/2009 10) TAR Lazio n. 10667 del 10 dicembre 2012 – visto d’ingresso per turismo richiesto da soggetto minore – diniego incentrato sul rischio migratorio – insussistenza di detto rischio – illegittimità del diniego E’ fondato il ricorso della ricorrente avverso il diniego di visto d’ingresso per turismo, opposto alla di lei figlia minore, dall’Ambasciata di Bogotà, sul rilievo del cosiddetto “rischio migratorio”. E’ altresì condannata, detta Ambasciata, a rifondere le spese pari a € 750,00 oltre accessori di legge. Quanto all’assoluta assenza di comprovate garanzie economiche nel Paese di residenza dei familiari dichiarati qui conviventi, una volta accertato che la minore ha i mezzi per entrare e fermarsi temporaneamente in Italia, l’Amministrazione avrebbe dovuto indicare elementi concreti, da cui desumere l’assenza di un radicamento in Colombia della parte istante. Inoltre, atteso che la minore è studentessa iscritta ad un istituto scolastico colombiano e convive con la famiglia, è di tutta evidenza che ella non abbia ancora un reddito proprio, mentre resta del tutto indimostrato che la famiglia versi in tale stato di indigenza da non potersi permettere il mantenimento della giovane: tale circostanza è stata, infatti, negata in giudizio dalla ricorrente, che ha evidenziato come la minore possa contare anche su due zii materni con regolare attività lavorativa. Riferimenti normativi art. 4, commi 2 e 3, TU art. 6 bis, Regolamento 18/02/2013 4/64 Sentenze interessanti – N.04/2013 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE PRIMA SEZIONE PENALE UDIENZA PUBBLICA 0El1 7/1212012 Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SEVERO CHIEFFI Dott. MARIA CRISTINA SIOTTO Dott. ALDO CA VALLO Dott. RAFFAELE CA POZZI Dott. MAURIZIO BARBARISI - Prcs.id~nte- - Consigliere- "'' 2<» ~ ~ - Consigliere - SENTENZA sul ricorso proposto da: PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE D'APPELLO J'RPSSO' OSt l ETi'4 PeED Q DI BOLOGNA nei confronti di: I) avverso la sentenza n. 1730/2008 TRIBUNALE di MODENA, del 11 /02/2010 visti gli atti, la sentenza e il ricorso udita in PUBBLICA UDIENZA dell7/ 12/2012 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALDO CAV ALLO Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. ~ ~, chehaconcl~oper t'\•~&wu·tF~~ ~ \tt...M.<> J.«.L ~ ~~~,~~- ') Uditi difensor Avv. 5/64 ,j ...J.UJ'1/J.()Jj_- • Consigliere - REGISTRO GENERAI, E -Rei. Consigliere- N. 3049612012 ha pronunciato la seguente Udito, per la parte civile, l'Avv St"NT~NZA N• Sentenze interessanti – N.04/2013 Ritenuto In fatto 1. Con sentenza In data 11 febbraio 2010 Il THbunale monocratlco di Modena, per quanto ancora rileva nel presente gludlz,lo di legittimità, ha assolto Il cittadino straniero lal reato di cui all'art. 650 cod. pen., perché Il fatto non sussiste. I fatti quali ricostruiti In sentenza sono l seguenti: Il 20 marzo 2007 componenti del nucleo carabinieri dell'Ispettorato del lavoro di Modena, Identificavano una persona di nazionalità straniera che risultava privo di pennesso di soggiorno, Il quale, dopo aver declinato false generalità, Gli accertamenti sulle esatte ammetteva di chiamarsi generalità dell'uomo tennlnavano In un orario In cui l'ufficio stranieri della Questura era chiuso, per cui 1 militari gli consegnavano un biglietto di Invito a presentarsi Il giorno dopo presso Il predetto ufficio, per regolarlzzare la sua posizione sul territorio dello Stato, con l'avvertenza che In caso di Inosservanza sarebbe stato punito al sensi dell'art. 650 cod. pen .. Riteneva Il tribunale che essendo l'art. 650 nonna penale In bianco, di carattere sussidiario, essa può operare solo quando la violazione del provvedimento dell'autorità non trova nell'ordinamento la sua specifica sanzione, non necessariamente di carattere penale, ed In particolare non opera quando l'ordine sia munito di un proprio meccanismo di tutela. Richiamava, quindi, In relazione all'lnottemperanza all'Invito dato dall'autorità di pubblica sicurezza allo straniero di presentarsi presso l'ufficio di polizia volto a procedere all'espulsione dal territorio dello Stato, la giurisprudenza di legittimità che di recente si era espressa escludendone la rlcondudbllttà alla fattispecie sanzionata penalmente dalflart. 6So cod. pen •. Condudeva che, alla luce della obiettiva condizione dell'Imputato e delle affennazlonl rese In dibattimento dall'appuntato capozza, era indubbio che l'Invito rivolto a fosse flnalt-zzato a consentire alla Questura di dare corso all'esecuzione dell'espulslorne del soggetto dal territorio nazionale, di qui l'assoluzione dell'Imputato dal reato ascrittogll. 2. Avverso la sentenza del THbunale di Modena ha proposto ricorso per Cassazione il Procuratore Generale presso la Corte di appello di Bologna il quale deduce l'erronea applicazione della leoge penale In riferimento all'art. 650 cod. pen.. Sostiene Il PG ricorrente che la sentenza gravata si fonda su un Indirizzo giurisprudenziale non condivisibile e contraddetto da altro magglorltario per U quale, anche dopo l'abrogazione dell'art. 144 TUPS ad 6/64 Sentenze interessanti – N.04/2013 opera del D.LQs. n. 286 del 1998, art. 47, le for:e dell'ordine continuano ad avere la facoltà di Invitare lo straniero a presentarsi all'autorità competente per ragioni di pubblica sicurezza; si tratta di ordine vincolante e pienamente legittimo la cui viOlazione Integra Il rea;to previsto dall'art. 650 cod. pen•. Più specificamente l'Invito a presentarsi per "regolarlzzare la posizione relativa al permesso di soggiorno" ~ un tipico ordine Impartito per n~glonl di sicurezza pubblica rientrando tra queste ragioni tutte le finalità di pubblica sicurezza sottese al contenuti normatlvl di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998 da cui derivino obblighi o soggezioni gravanti sul soggetto (Sez. 1, sent. 21 .10.2005, n. 43837, PG In proc. Bledar, Rv. 232876). Non vi è motivo di escludere, secondo Il ricorrente, dalle finalità per le quali l'ordine di presentazione può essere Impartito la necessità d i eseguire un prowedlmento di espulsione posto che non vi sarebbe alcuna Illegittima surroga al potere di allontanamento del Questore; di più, nel caso di specie l carabinieri emisero l'Invito a causa della chiusura notturna dell'unico ufficio competente a prendere l prowedlmentl necessari ad eseguire l'espulsione secondo le modalità previste dalla legge, dunque legittimamente emisero l'ordine di presentazione per motM di sicurezza pubbliCa e la lnottemperanza ad esso è sanzionata dall'a1rt. 650 cod. pen .• RltlltnutD In diritto 1. Secondo Il più recente Indirizzo lnterpretatlvo di questa Corte, applicato con la sentenza gravata e ribadito anche In una recente decisione non masslmata di questa seziOne prima (la n. 5058 del 2012) relativa ad Impugnazione proposta dal Procuratore Generale presso la Corte di appello di Bologna e che Il Colleolo condivide, «non risponde del reato previsto dall'art. 650 cod. pen. lo straniero che non ottemperi all'Invito a presentarsi presso un ufficio di P.S. al fini dell'espulsione dal temtorlo nazionale, In quanto l'ordine di allontanamento del Questore e la relativa sequenza procedlrnentale stabilita dal d. lgs. n. 286 del 1998, art. 14 non possono essere validamente surrogati da altri atti» (cass. Sez. 1, sent. 1.4.2009, n. 19154, Rv. 230631 ; Cass. Sez. 1, sent. 1.4.2009, n. 19154, Rv.230631; Cass. Sez. 1, sent. 20.5.2010, n. 32974, Rv.248273). Tale orientamento ermeneutico si fonda sul rilievo che la contrawem:lone di cui all'art. 650 cod. pen., tipica norma penale In bianco di carattere susstdlarlo, è configurabile quando Il fatto della mancata osservanza def prowedlmento dell'autorità non sia previsto come reato da una specifica norma owero qualora Il prowedlmento rimasto Inosservato sia munito di un proprio meccanismo di tutela (Cass. Sez. 1, sent. 2 7/64 Sentenze interessanti – N.04/2013 \ 14.2.2000, n. 01711, Rv. 215341 ; Cass. Sez. 1, sent. 3.3.2000,2653, Rv. 215373). È stato quindi ribadito che la mancata osservanza deve riguardare: - un ordfne speCifico Impartito ad un soggetto determinato, in occasione di eventi o circostanze tali da far ritenere necessario che proprio quel soggetto ponga In essere una certa condotta; e ciò per ragioni di sk:urezza o di ordine pubblico, o di Igiene o di giustizia; - un provvedimento adottato In relazione a situazioni non preflgurate da alcuna previsione normativa che comporti una specifica ed autonoma sanzione; - un provvedimento emesso per ragioni di giustizia, di sicurezza, di ordine pubblico, di Igiene che sia adottato nell'Interesse della collettività e non di singoli soggetti. Per provvedimento dato per "ragione di sicurezza pubblica", per quel che attiene alla fattispecie qui cl occupa, deve Intendersi lo specifico provvedimento ovvero ordine amminiStrativo autorizzato da una norma giuridica a tutela della sicurezza collettiva, che sia finalizzato alla preventiva eliminazione di situazioni pericolose per 1consociati. 3. La sentenza Impugnata ha fatto corretta applicazione del suddetti principi ed lnvero nel caso di specie l'ordine Impartito all'Imputato dal Carabinieri di Modena di presentarsi presso l'uffldo di Polizia era rivolto solo a facilitare la procedura di espulsione nel suoi confronti, non a provvedere alla tutela di specifiche ed esplicitate esigenze di sicurezza pubblica, come peraltro Implicitamente riconosciuto dallo stesso PM ricorrente laddove afferma che l'ordine fu Impartito per la necessità di attivare con spedttezza la traflla burocratica connessa alla espulsione, in caso di sussistenza del prèsUppostl. 4. Ne consegue che il ricorso deve essere rigettato. P.Q.M. Rigetta Il ricorso. Cosl deciso In Roma, il 17 dicembre 2012. Ileo~est~ I l presldente 4 a-_;.1&' l Gtlll\:"M. IN CANCM ·' .-uA - 8 GEN. 201~ IL C~NCEL!-II!RI • ~~ ~-VS?'> 8/64 Sentenze interessanti – N.04/2013 STRANIERI Cass. civ. Sez. I, Ord., 24-10-2012, n. 18231 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SALME' Giuseppe - Presidente Dott. MACIOCE Luigi - rel. Consigliere Dott. RAGONESI Vittorio - Consigliere Dott. DE CHIARA Carlo - Consigliere Dott. MERCOLINO Guido - Consigliere ha pronunciato la seguente: ordinanza sul ricorso iscritto al n. 5148 del R.G. anno 2009 proposto da: A.E.E. domiciliato in ROMA, Viale Carso 23 presso l'Avvocato SALERNI Arturo del Foro di Roma che lo rappresenta e difende per procura a margine; - ricorrente contro Ministro dell'Interno; - intimato avverso la sentenza n. 10 del 2.2.2009 della Corte di Appello di Trieste; udita la relazione della causa svolta nella c.d.c. del 28.09.2012 dal Consigliere Dott. Luigi MACIOCE; presente il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PRATIS Pierfelice, che ha concluso per il rigetto. 9/64 Sentenze interessanti – N.04/2013 Fatto Diritto P.Q.M. Svolgimento del processo La Commissione Territoriale per la Protezione Internazionale di Gorizia con decisione 18.2.2008 respinse la domanda di protezione proposta dal cittadino (OMISSIS) A.E.E. - che sosteneva di essere stato fatto segno ad atti persecutori della setta Confraternity Bucania in quanto cristiano e di diversi orientamenti accademici e di essere stato anche seriamente ferito ad una gamba - e l'interessato propose ricorso a Tribunale deducendo che il governo nigeriano era complice in tale diffusa repressione. Con sentenza 12.8.2008 il Tribunale di Trieste respinse il ricorso per inadeguatezza del quadro probatorio offerto ed il cittadino (OMISSIS) propose reclamo alla Corte di Trieste. La Corte di merito, con sentenza 29.1.2009 ha rigettato il reclamo osservando che esclusa la sussistenza di una sfera di protezione propria del diritto di asilo che fosse diversa da quella assicurata dalla legge nazionale a presidio del diritto alla protezione internazionale - le allegazioni afferenti la mancanza di tutela dei diritti umani in Nigeria erano, in difetto di allegazione e prova, assolutamente generiche, che emergeva solo l'allegazione del fatto noto e cioè della esistenza di accesi scontri civili e di instabilità nel paese, che nulla collegava quel quadro al richiedente protezione salvo atti non tradotti e una nota ospedaliera non indicativa, che l'azione delle sette e dei gruppi non era asserito potesse incidere sull'azione del governo, che anche l'istanza di protezione sussidiaria era rimasta affidata a resoconti giornalistici ed a mere affermazioni afferenti l'aggressione patita. Per la cassazione di tale sentenza, notificata il 5.2.2009, A. E.E. ha proposto ricorso depositato tempestivamente D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35, comma 14, articolato su tre motivi, illustrati in memoria finale. Dopo relazione ex art. 380 bis c.p.c., depositata il 23.11.2009, il ricorso è stato chiamato alla adunanza del 23.3.2010 ed il Collegio, con ordinanza interlocutoria 5.8.2010, rilevato che, erroneamente essendo stata disposta la relazione e non provvedutosi a notificare a cura della cancelleria ricorso e decreto di fissazione di udienza al Ministero intimato, in tal senso doveva ancora provvedersi, ha rinviato a nuovo ruolo per detto incombente. Nessuna difesa è stata svolta dall'Amministrazione pur ritualmente intimata. 10/64 Sentenze interessanti – N.04/2013 Motivi della decisione Ritiene il Collegio che il ricorso, non essendo condivisibili le censure sulle quali si fonda, debba essere rigettato. Primo motivo: la questione, riproposta nel motivo dopo la concorde risposta negativa data dai giudici di merito, afferisce alla autonoma configurazione di un diritto di asilo a fondamento costituzionale ed a precettività immediata; essa ha visto risposte offerte dalla giurisprudenza della Cassazione (tra le tante 18549 e 18940 del 2006) che, certamente, sono necessitanti di una integrazione alle ragioni del decisum, considerando che il diritto di asilo comprende tanto gli strumenti di protezione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007 quanto le forme di tutela "avanzata" (art. 19, comma 1) previste dal T.U. del 1998. Ma la questione è posta in modo totalmente astratto dal motivo e dal quesito, che in nessun modo indicano quale protezione diversa ed ulteriore rispetto a quelle invocate e denegate in sede di Commissione Territoriale e nell'impugnazione di merito, si sarebbe potuta nella specie predicare. Secondo motivo: con esso si censura il mancato esercizio dei poteri officiosi nell'indagine sulle situazioni persecutorie e in particolare quelli di procedere alla traduzione degli atti prodotti in lingua inglese. Il ricorrente lamenta in sostanza la mancata applicazione del D.Lgs. 25 del 2008, art. 8, avendo la Corte di merito mancato di svolgere il proprio necessario ruolo "attivo" nell'acquisizione informativa. Il principio invocato è esatto (vd. S.U. 7933 e 27310 del 2008, 11535- 19393 del 2009) ma la censura si regge sulla sola affermazione del ricorrente, che omette di indicare quali dati di contesto politico si sarebbero dovuti acquisire e non sono stati acquisiti, si che ci si duole del mancato ricorso a informazioni meramente "esplorative". La doglianza è pertanto inammissibile. Terzo motivo: con esso si esso nega che, per configurare il presupposto della protezione sussidiaria, debba essere fornita prova da parte dei richiedente di una minaccia grave alla sua persona. Ad avviso de ricorrente la diversa opinione della Corte di merito sarebbe in grave conflitto con la decisione della Corte di Giustizia (C-465/07 del 17.2.2009) che, pronunziando ex art. 234 Trattato sulla interpretazione dell'art. 15 lett. C della Direttiva 2004/83/CE, ebbe ad affermare - come non inteso dalla Corte territoriale - che la concessione della protezione per l'esistenza di una minaccia grave ed individuale alla vita od alla persona del richiedente non è subordinata alla prova della sussistenza di una relazione di imputabilità o riferibilità personale delle ragioni della minaccia. Ritiene il Collegio che se è certamente indiscutibile la portata interpretativa del richiamato decisum della Corte di Giustizia, è altrettanto evidente che detta decisione, escludendo l'onere di provare la riferibilità soggettiva della minaccia e quindi la sussistenza di un legame causale tra fattore esterno di pericolo e la 11/64 Sentenze interessanti – N.04/2013 propria condizione soggettiva, non esclude affatto che tra il primo e la seconda debba comunque esistere una qualsiasi relazione che faccia ragionevolmente presumere che al rimpatrio del richiedente segua, al di là di alcuna spiegazione "causale", il suo coinvolgimento effettivo nella situazione di pencolo. Ma è proprio la sussistenza di tale ragionevole presunzione che la Corte di merito ha escluso per la insussistenza dei fatti certi dai quali essa avrebbe potuto originare (vd. pag. 7 ult.cpv.) e sui quali - semmai - avrebbe potuto fondare iniziative di indagine ed approfondimento dei fatti. Infatti se la valutazione dei giudice deve prendere le mosse da una versione precisa e credibile, se pur sfornita di prova (perchè non reperibile o non richiedibile), della personale esposizione a rischio grave alla persona od alla vita (anche in ragione di dati solo oggettivi quali l'appartenenza a razza, sesso, etnia, setta o quant'altro), tale premessa (si veda Cass. 2294 del 2012) è indispensabile perchè il giudice debba dispiegare il suo intervento istruttorio ed informativo officioso sulla situazione persecutoria addotta nel paese di origine (Cass. 10202 de 2011). I motivi difettano del tutto di configurare alcun errore su tale premessa decisiva ed anzi il terzo motivo in disamina ammette espressamente che la sua prospettazione di pericolo personale era rimasta mera affermazione generica. Da quanto esposto segue il rigetto del ricorso senza che sia luogo a regolare le spese, in difetto di difese dell'intimato Ministero. P.Q.M. Rigetta il ricorso. 12/64 Sentenze interessanti – N.04/2013 Sentenza n. 16206 del 24 settembre 2012 Corte di Cassazione LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA CIVILE SOTTOSEZIONE 1 ha pronunciato la seguente: ORDINANZA sul ricorso 5338-2012 proposto da: *****, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE CLODIO 12, presso lo studio dell'avvocato RESTIVO DIEGO, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato PULITO VINCENZO, giusta procura speciale in calce al ricorso; - ricorrente contro COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI CROTONE, PROCURATORE GENERALE DELLA CORTE D'APPELLO DI CATANZARO, MINISTERO DELL'INTERNO ((OMISSIS)); - intimati avverso la sentenza n. 59/2011 della CORTE D'APPELLO di CATANZARO del 10.2.2011, depositata il 14/02/2011; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/06/2012 dal Consigliere Relatore Dott. MARIA ACIERNO. E' presente il Procuratore Generale in persona del Dott. MAURIZIO VELARDI. Fatto SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE Con la sentenza impugnata, la Corte d'Appello di Catanzaro ha respinto la domanda di protezione internazionale, già oggetto di rigetto da parte della Commissione territoriale e del Tribunale in primo grado, proposta dal cittadino del Togo, *****. Quest'ultimo aveva dichiarato davanti alla Commissione territoriale di essere stato arrestato nel suo paese per complicità con il padre, attivista antigovernativo, e di essere riuscito fortunosamente a fuggire, allontanandosi dal Togo. La Commissione ed il Tribunale avevano ritenuto che non fossero stati forniti elementi di fatto sufficienti a verificare le modalità della persecuzione subita e le modalità di fuga narrate. La Corte d'Appello, investita anche di motivi relativi alla nullità del provvedimento adottato dalla Commissione per mancata traduzione del medesimo e per omessa audizione collegiale dello straniero, riteneva: 13/64 Sentenze interessanti – N.04/2013 a) l'audizione individuale dello straniero, in mancanza di una contestazione tempestiva della modalità adottata, doveva presumersi che fosse stata richiesta dall'interrogando; b) l'obbligo di traduzione previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 10, comma 4 aveva ad oggetto gli atti del procedimento e non il testo del provvedimento finale; c) il racconto dello straniero non è verosimile per totale assenza di prove sulle circostanze narrate. Tale lacuna non può essere integrata da alcuno degli elementi suppletivi indicati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, sia per mancanza di riscontri oggettivi (articoli di stampa o altro) della veridicità delle dichiarazioni svolte, sia perchè la situazione del paese d'origine dello straniero, anche secondo il sito www.viaqqiaresicuri.it, non giustifica i timori persecutori del ricorrente essendo stata riscontrata l'abolizione della pena di morte e la istituzione di una Commissione d'inchiesta sulle violazioni dei diritti umani perpetrate dal 1958 al 2005, data in cui sono state indette libere elezioni. La richiesta di audizione del ricorrente in questo contesto politicogiudiziario non preoccupante è stata, di conseguenza ritenuta superflua, dal momento che anche a fronte di una narrazione più dettagliata delle ragioni della fuga, rimane una situazione obiettiva del paese d'origine dello straniero che non desta allarme. Avverso questa pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il cittadino straniero affidandosi a due motivi. Nel primo motivo è stata denunciata la carenza di motivazione della sentenza impugnata sia in ordine all'omessa giustificazione della mancanza di credibilità delle dichiarazioni dello straniero sia in ordine alla superficiale valutazione della situazione politica del paese di origine del richiedente, caratterizzata invece, secondo Amnesty International, nel 2010, da condizioni inumane di detenzione, da numerosi arresti di oppositori politici, detenuti in assenza totale di garanzie difensive, da una forte compressione della libertà di espressione, da una situazione politica molto incerta; da un alto numero di prigionieri politici e di coscienza. Nel secondo motivo è stata dedotta la violazione degli art. 1 e 33 della Convenzione di Ginevra, del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 5 e 7, che definiscono le condizioni soggettive per il riconoscimento della condizione di rifugiato politico e la nozione di atti di persecuzione, nonchè del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 che stabilisce i criteri di credibilità soggettiva del richiedente, quando sia privo di supporti probatori oggettivi ed, infine, l'art. 10 Cost., comma 3. Sotto il profilo della violazione delle garanzie procedimentali è stato, inoltre, censurato l'omesso svolgimento dell'audizione davanti alla Commissione in composizione collegiale e l'omessa traduzione del provvedimento della Commissione territoriale in una lingua conosciuta dal richiedente, con conseguente nullità del decreto in oggetto. Le censure relative alle violazioni delle garanzie procedimentali, da affrontare preventivamente in ordine logico, devono essere disattese. Sulla mancata audizione del richiedente davanti alla Commissione territoriale in composizione collegiale, è sufficiente rilevare, da un lato, la genericità della censura in quanto non corredata della specifica indicazione del vulnus subito dall'interessato in ordine all'insufficienza o al travisamento delle dichiarazioni rese, dall'altro, la facoltà degli organi giurisdizionali, ove ritenuta carente la predetta audizione, di reiterarla, ad istanza di parte o d'ufficio, se necessaria ai fini della completa istruzione della domanda. Il pieno svolgimento di due gradi di merito conduce, pertanto, ad escludere il rilievo autonomo del dedotto vizio, tenuto anche contro della generale portata del principio, affermato dalla Corte di Cassazione nella pronuncia n. 12957 del 2011, ancorchè con riferimento al giudizio davanti alla Corte di Appello, della delegabilità degli incombenti relativi all'istruzione orale ad uno dei componenti del collegio, attualmente codificato nel novellato art. 350 c.p.c., comma 1 (comma modificato L. 12 novembre 2011, n. 183, ex art. 27, comma 1, lett. b). Anche per il vizio di omessa traduzione del provvedimento di diniego emesso dalla Commissione territoriale, deve procedersi ad analoga valutazione. La violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 10, comma 4 non ha determinato alcuna compressione effettiva delle garanzie processuali e difensive 14/64 Sentenze interessanti – N.04/2013 della parte che ha sempre tempestivamente attivato gli organi giurisdizionali competenti in modo pieno. Pur convenendo sull'erroneità della motivazione della sentenza di secondo grado che ha dichiarato ingiustificatamente limitato agli atti e non al provvedimento finale l'obbligo di traduzione, in contrasto con il consolidato orientamento della Corte di Cassazione al riguardo (Cass. 18493 del 2011 e 26480 del 2011), deve però escludersi che da tale omissione sia derivata una lesione processuale che, comunque, deve esser puntualmente dedotta ed allegata (Cass. 24543 del 2011 ed indirettamente 420 del 2012) e non solo genericamente dedotta. Sono invece fondati gli altri motivi. La Corte d'appello, nel ritenere non verosimili le dichiarazioni del richiedente relative al rischio di persecuzione nel paese d'origine, ha del tutto omesso di valutare i criteri di credibilità soggettiva indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, essendosi limitata ad affermare la mancanza di riscontri obiettivi, invece d'indicare le ragioni dell'inattendibilità soggettiva del richiedente, con riferimento alle condizioni della fuga, alla tempestività della richiesta di protezione internazionale, alla coerenza intrinseca delle dichiarazioni, alle giustificazioni dell'assenza di documenti o prove. L'obbligo di cooperazione istruttoria che incombe sul giudice della protezione internazionale (S.U. 27310 del 2008; 26056 del 2010) deve riguardare, in particolare, la specifica situazione di rischio di persecuzione o di pericolo qualificato, rappresentata dal richiedente e non genericamente ed esclusivamente la condizione generale del paese. Nella pronuncia, tuttavia, anche l'esame del quadro politico giudiziario e delle condizioni di sicurezza del Togo risulta del tutto carente. L'affermazione secondo la quale "il Togo è un paese relativamente sicuro", viene desunta soltanto dal sito del Ministero degli Esteri www.viaqgiaresicuri.it destinato ad informare turisti e cittadini stranieri che intendono recarsi nel paese oggetto d'indagine. A questa indicazione viene aggiunto che è stata abolita la pena di morte, che è stata istituita una commissione d'inchiesta per le violazioni dei diritti umani perpetrate dal 1958 al 2005 e che sono state indette libere elezioni nel 2005, al termine di una dittatura. Per queste ulteriori informazioni la fonte citata è Amnesty International. Manca un preciso riferimento cronologico alla situazione attuale come richiesto dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a), secondo il quale l'esame della domanda di protezione internazionale prevede la valutazione di tutti i fatti pertinenti che riguardano il paese d'origine al momento dell'adozione della decisione. Non risulta, in particolare, dalla motivazione della sentenza, che le informazioni poste a base della decisione siano state assunte, secondo le modalità indicate dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, ovvero in virtù di dati aggiornati, richiesti e trasmessi dalla Commissione Nazionale sul diritto d'asilo (se non già reperibili in atti nel fascicolo della Commissione territoriale), i quali si fondano su fonti ACHNUR o del Ministero degli Esteri, così come recentemente stabilito da questa Corte nella pronuncia n. 10202 del 2011, così massimata: "Ai fini dell'accertamento della fondatezza di una domanda di protezione internazionale, il giudice di merito non può poggiare la propria valutazione sulla esclusiva base della credibilità soggettiva del richiedente, essendo tenuto, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, ad un dovere di cooperazione che gli impone di accertare la situazione reale del paese di provenienza mediante l'esercizio di poteri-doveri officiosi d'indagine e di acquisizione documentale, peraltro derivanti anche dall'adozione del rito camerale, in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul paese di origine del richiedente asilo che la Commissione Nazionale, ai sensi del comma 3, art. 8 sopra citato, fornisce agli organi giurisdizionali chiamati a pronunciarsi su impugnazioni di decisioni negative". La richiesta e l'adozione delle fonti indicate dal citato art. 8 non ha, peraltro, carattere esclusivo, ben potendo essere integrata da informazioni assunte, anche via web, attraverso altri canali d'informazione ma non può essere sufficiente, senza neanche aver dato conto dell'attivazione dei canali informativi previsti dalla legge, il riferimento a dati, cronologicamente generici e desunti da fonti riguardante categorie di soggetti, come i turisti od i cittadini stranieri, non comparabili con i richiedenti la protezione internazionale. 15/64 Sentenze interessanti – N.04/2013 Il ricorso deve, in conclusione essere accolto, essendo state violate le norme relative alle modalità di accertamento dei fatti posti a base della domanda di protezione internazionale ed essendo risultata carente la motivazione relativa alla credibilità soggettiva ed alle condizioni oggettive del paese d'origine dello straniero. La pronuncia deve essere cassata con rinvio alla Corte d'Appello di Catanzaro, in diversa composizione, che dovrà attenersi al seguente principio di diritto: nell'esame delle dichiarazioni del richiedente una misura di protezione internazionale la valutazione della credibilità soggettiva del richiedente deve essere svolta alla stregua dei criteri stabiliti nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 (verifica dell'effettuazione di ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; la deduzione di un'idonea motivazione sull'assenza di riscontri oggettivi; la non contraddittorietà delle dichiarazioni rispetto alla situazione del paese; la presentazione tempestiva della domanda; l'attendibilità intrinseca), e non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi, dando conto del loro scrutinio e l'acquisizione delle informazioni sul contesto socio politico del paese di rientro deve avvenire in correlazione con i motivi di persecuzione o di pericolo dedotti, sulla base delle fonti d'informazione indicate nel D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, ed in mancanza, o ad integrazione di esse, mediante l'acquisizione di altri canali informativi, dando conto delle ragioni della scelta. P.Q.M. Accoglie il ricorso. Cassa e rinvia anche per le spese del presente giudizio alla Corte d'Appello di Catanzaro in diversa composizione. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 26 giugno 2012. Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2012 16/64 Sentenze interessanti – N.04/2013 COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA - STRANIERI Cass. civ. Sez. VI - 1, Ord., 25-06-2012, n. 10546 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA CIVILE SOTTOSEZIONE 1 Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SALME' Giuseppe - Presidente Dott. MACIOCE Luigi - rel. Consigliere Dott. BERNABAI Renato - Consigliere Dott. DOGLIOTTI Massimo - Consigliere Dott. RAGONESI Vittorio - Consigliere ha pronunciato la seguente: ordinanza sul ricorso iscritto al n. 27858 del R.G. anno 2011 proposto da: G.M.A. domiciliato in ROMA, Via Valadier 39 presso l'avv. PRECENZANO Francesco con l'Avvocato Angela Rita Forte del Foro di Cosenza che lo rappresenta e difende per procura a margine del ricorso; - ricorrente contro Ministero dell'Interno, dom.to in Roma Via dei Portoghesi 12 presso l'Avvocatura Generale dello Stato che lo rappresenta e difende per legge; - controricorrente avverso la sentenza 15.07.2011 della Corte di Appello di Roma; udita la relazione della causa svolta nella c.d.c. del 29.05.2012 dal Consigliere Dott. 17/64 Sentenze interessanti – N.04/2013 Luigi MACIOCE; presente il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Pasquale Figiani. Fatto Diritto P.Q.M. Svolgimento del processo G.M.A., cittadino del (OMISSIS), giunto sul territorio italiano il 21.11.2008 richiese la protezione internazionale sull'assunto di essere di confessione musulmana ed appartenente alla etnia (OMISSIS), invisa al predominante gruppo etnico dei (OMISSIS), e di essere stato gravemente vessato, minacciato e quindi espulso perchè perseguitato da un esponente del gruppo dominante anche per le sue attenzioni dimostrate verso la figlia di costui. Ristretto nel Centro di (OMISSIS) ed ascoltato dalla Commissione Territoriale di Roma il 25.2.2009, il G. si vide respingere tutte le domande e propose quindi ricorso al Tribunale di Roma, chiedendo il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria o infine del diritto al rilascio di un permesso umanitario. Il Tribunale con sentenza 19.4.2010 respinse il ricorso ed il G. propose tempestivo reclamo innanzi alla Corte di Roma, rinnovando la richiesta di audizione personale, l'istanza di assunzione di informazioni, la richiesta di eventuale CTU, ma la Corte adita, con sentenza 15.7.2011, ha rigettato il reclamo affermando, per quel che rileva, che al procedimento non era applicabile la L. n. 241 del 1990, art. 7, e che nel merito andava condivisa la valutazione negativa fatta dal primo giudice, essendo stata sottoposta una vicenda soltanto personale e non essendo stati allegati dati e fatti sulla pretesa conflittualità tra etnie (OMISSIS) in grado di giustificare il ricorso alle iniziative istruttorie officiose della Corte stessa. Per la cassazione di tale sentenza il G. ha proposto ricorso notificato il 10.11.2011 con tre motivi ai quali ha resistito l'Amministrazione dell'Interno con controricorso del 14.12.2011. Il Presidente ha fissato udienza al 29.5.2012 disponendo che la cancelleria provvedesse alle notifiche D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35, comma 14. Motivi della decisione 18/64 Sentenze interessanti – N.04/2013 Devesi in primo luogo ritenere tempestivo il deposito del ricorso. Ed infatti a danno del ricorrente non può operare il termine di decadenza di 30 giorni dalla notifica della sentenza di appello di cui al vigente D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, comma 14 (sentenza notificata l'8.9.2011 e ricorso depositato, dopo la indebita notifica, il 30.11.2011): posto che la sentenza 15.7.2011 è stata bensì notificata a cura della cancelleria ma non nel suo testo integrale ma solo nella pagina 3, contenente il dispositivo, non è stato rispettato il sopra richiamato termine di legge e la difforme attività notificatoria è da ritenersi inidonea a far decorrere il termine breve de quo (Cass. 10204 del 2011), con la conseguenza della piena applicazione del termine annuale residualmente operante. Primo motivo; lamenta la mancata applicazione, per erronea esclusione del suo richiamo, della L. n. 241 del 1990, art. 7. La censura è fondata. E' esatto l'assunto per i quale l'art. 7, dovesse trovare applicazione nella definizione della domanda d protezione essendo chiaro il richiamo espresso operato ad esso del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 18. E' quindi errata la negatoria della sua applicazione affermata dalla Corte di merito. Ma la conseguenza non è la nullità del provvedimento per carenza di requisito formale ma la invalidità di una decisione che abbia puramente e semplicemente "accettato" la acquisizione procedimentale lesiva di diritti della difesa: il vizio di omesso avviso, in realtà, rifluisce sul diritto alla difesa (come affermato, per la non dissimile ipotesi dell'obbligo di procedere alla traduzione degli atti nei corso del procedimento di protezione, da Cass. 26480 e 24544 del 2011). Nella specie il ricorso è del tutto autosufficiente nell'affermare che avrebbe potuto, ove avvisato, produrre alla C.T. documentazione di rilievo, proprio quella documentazione che a pag. 3 della sentenza di appello si afferma non essere reperibile in atti. Secondo motivo: lamenta la sommaria valutazione di carenza di allegazioni sufficienti a fondare l'iniziativa officiosa. La censura va collegata a quella di cui sopra e va fatta applicazione dei principi posti dalle SU. 27310 del 2008 e da Cass. 10202 del 2011 e 17576-26056 del 2010. In questo quadro il motivo è da considerarsi fondato, posto che l'iniziativa officiosa e "collaborativa" del giudice che disamini una disattesa domanda di protezione internazionale, ben può essere negata le volte in cui le prospettazioni documentali ed orali del richiedente protezione siano di tale implausibilità da rendere inutile l'iniziativa stessa, ma non può essere negata le volte in cui il richiedente protezione, per violazione della norma su procedimento di cui al precedente motivo, non abbia potuto ragionevolmente formulare alcuna produzione o deduzione, vieppiù se tale omissione neanche sia stata emendata con la proposizione dei fatti in sede di audizione innanzi al giudice (neanche tale audizione essendo stata disposta). Terzo motivo: esso denunzia ut supra la illogicità della motivazione e, per quanto di ragione, deve essere accolto. Si cassa l'impugnata sentenza e si rinvia allo stesso Ufficio perchè - dando ingresso ed esaminando le allegazioni e deduzioni dell'interessato precluse dalla violazione commessa innanzi alla Commissione Territoriale e se del caso avvalendosi dei suoi poteri informativi - formuli nuova valutazione e conclusivamente regoli anche le spese del giudizio di legittimità. 19/64 Sentenze interessanti – N.04/2013 P.Q.M. Accoglie il ricorso, cassa l'impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia - anche per le spese - alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione. 20/64 Sentenze interessanti – N.04/2013 . • IL TRIBUNALE DI GENOVA SEZIONE X CIVILE li Giudice monocratico; in persona della dott.ssa Giovanna Cannata Provvedendo sul ricorso presentato ai sensi degli artt. 30 c. 6 della 286/98 e 702 bis c.p.c. da , rappresentato e difeso dali' avv. Alessandra Ballerini contro Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura distrettuale dello Stato per l'annullamento del provvedimento del Questore di Genova del 30/05/2012, di diniego del rilas()!Q_g~Lp_~esso__dLsoggicmo p& motivi-fanligliari; poklré n: · riSiilta-coiìdìilliiato dalTribunale di Livorno i::orisentenza in data 211212011 per il reato di detenzione al fine di spaccio di sostanze stupefacenti, per fatti commessi in data 6/l 0/2007 e 24/1012007 alla pena di anni uno e mesi nove di reclusione; Letti gli atti e sentiti i difensori, a scioglimento della riserva assunta all'udienza del 15/1112012, Considerato che le circostanze di fatto non sono controverse tra le parti e, in particolare che: • il è entrato clandestinamente in Italia almeno dal 2007; • a carico del ricorrente risulta la condanna non defmitiva sopra menzionata nonché condanne per altri reati commessi in violazione della lege sull'immigrazione; • in data 22/9/2011 ha contratto matrimonio con la cittadina italiana con la quale risulta residente; • il ricorrente sostiene la illegittimità del provvedimento impugnato poiché, nonostante la condanna riportata la valutazione di pericolosità per l'ordine pubblico non può essere automaticamente presunta dalla legge, ma, l'ultimo periodo del comma 3 dell'art. 4 del dlgs 286/98, prevede che debba essere oggetto di un accertamento in concreto, allorché il permesso di soggiorno venga richiesto per il ricongiungimento famigliare sussistente per la convivenza con la moglie italiana presso l'abitazione ove entrambi risultano risiedere anagraficamente; • tale assunto deve essere condiviso: invero, la Corte di Cassazione (Sez. l, Ordinanza n. 8795 de/15104120 Il e successive conformi) con recente e univoco orientamento ha statuito che "Per effetto delle modifiche introdotte, con il d.lgs. 8 gennaio 2007, n. 5, agli artt. 4, comma 3 e 5, comma 5 (cui è stato anche aggiunto il comma 5 bis) del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, in caso di richiesta di rilascio del pennesso di soggiorno per motivi di coesione familiare non è più prevista l'applicabilità de! meccanismo di automatismo espulsivo, in precedenza vigente, che scattava in virtù della sola condanna del richiedente rer i reati identificati dalla nonna (nella srecie, in materia di stupefacenti), sulla base di una l 21/64 Sentenze interessanti – N.04/2013 valutazione di pericolosità sociale effettuata "ex ante" in via legislativa, occorrendo, invece, per il diniego, la fonnulazione di un giudizio di pericolosità sociale effettuato in concreto, il quale induca a concludere che lo straniero rappresenti una minaccia concreta ed attuale per l'ordine pubblico e la sicurezza, tale da rendere recessiva la valutazione degli ulteriori elementi di valutazione contenuti nel novellato art. 5, comma 5 del d.lgs. n. 286 del 1998 (la natura e la durata dei vincoli fiuniliari, resistenza di legami familiari e sociali con il paese d'origine e, per lo straniero già presente nel territorio nazionale, la durata del soggiorno pregresso)", con la conseguenza che è onere dell'autorità amministrativa e, successivamente, dell'autorità giurisdizionale, al fine di non incorrere nel vizio di motivazione, di esplicitare le ragioni della pericolosità sociale, alla luce dei parametri nonnativi sopra evidenziati"; • pertanto, nel caso di richiesta del pennesso di soggiorno nell'ipotesi di ricongiungimento familiare, le nonne in esame non prevedono l'applicabilità dell'automatismo pure dalle stesse stabilito, in linea generale, in presenza di condanne per i reati in esse contemplati, occorrendo invece, per il diniego, la fonnulazione di un giudizio di pericolosità sociale che conforti la valutazione che lo straniero rappresenta <<una minaccia concreta e attuale per l'ordine pubblico o la sicurezza>>, tale da rendere recessiva la valutazione degli ulteriori elementi previsti dalle nonne; • d'altra parte, alla luce dei principi espressi, deve altresì escludersi che il ricongiungimento familiare debba prevalere con mero automatismo, anche in presenza delle condanne previste dalle ·disposizioni perchè, invece, in presenza dei presupposti che fonderebbero il diritto al ricongiungimento familiare, la sussistenza di condanne ostative può bene legittimare il diniego di rilascio o rinnovo del pennesso di soggiorno; ~e~···ne!inp~te·l'Ailmrità.àiliii!Uiislriitìviì Jia a so~te~o·· d~Ila IJ.ella in cui ha richiamato non salo la condanna pericolosità .socia.Ié del per reato ostativo previsto dall'art. 4, comma 3, TU circostanziando le modalità della condotta e la gravità dei fatti contestati, ma anche ponendo in dubbio l'effettiva convivenza con la moglie italiana; • nella specie, alla luce degli atti, deve ritenesi che effettivamente non possa essere esclusa, sulla base degli accertamenti degli operanti, la effettiva convivenza dei , non trovato nella casa al primo accesso, veniva ivi coniugi, in quanto il rinvenuto nel secondo accesso in orario serale; • risulta, inoltre, che lo stesso, seppure non ancora inserito nel mondo lavorativo, ha comunque iniziato a svolgere una attività di volontariato nell'ambito di un procedimento di Sorveglianza, si è sposato, e cambiando luogo di residenza (da Livorno a Genova) ha interrotto i contatti con il mondo della criminalità che hanno portato alla condanna sopra indicata; • peraltro si tratta di condanna piuttosto risalente nel tempo, non risultano altri procedimenti pendenti a suo carico, ed in relazione alla quale è stata riconosciuta la attenuante del fatto di non rilevante gravità, con la conseguenza che non riulta che il fosse inserito in maniera stabile in una organizzazione criminale; • infine, risulta né è contestato che vivano a Genova due fratelli del ricorrente, i quali svolgono regolare attività lavoraiiva; • da tutti tali elementi deve escludersi una valutazione di pericolosità per l'ordine pubblico in concreto dello straniero ricorrente; • pertanto il ricorso deve essere accolto relativamente alla richiesta di annullamento del prowedimento, dovendo la situazione essere ripresa in considerazione dalle competenti autorità amministrative, non avendo questo giudice competenza ad emettere ulteriori provvedimenti; • in considerazione dell'oggetto della domanda e della necessità del vaglio del giudice ricorrono giusti motivi per la compensazione delle spese di giudizio parte 2 22/64 espi!citaioje .ragioni. . Sentenze interessanti – N.04/2013 P.Q.M. In accoglimento del ricorso proposto da ANNULLA il provvedimento del Questore di Genova del 30/5/2012 di diniego del rihtscio del permesso di soggiorno per motivi famigliari; compensate le spese. Così deciso il4 dicembre 2012 Dott. 3 23/64 Sentenze interessanti – N.04/2013 N. 00132/2013REG.PROV.COLL. N. 03713/2011 REG.RIC. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 3713 del 2011, proposto da: rappresentato e difeso dagli avv.ti Roberto Fontana e Massimo Auditore ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Stefano Parretta, in Roma, viale Mazzini, 123, contro Prefettura in della Provincia persona del di Prefetto Genova, p.t., costituitasi in giudizio, ex lege rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliata presso gli ufficii della stessa, in Roma, via dei Portoghesi, 12, nei confronti di 24/64 Sentenze interessanti – N.04/2013 Giordano Francesca, non costituitasi in giudizio, per la riforma della sentenza del T.A.R. LIGURIA - SEZIONE II n. 00135/2011, resa tra le parti, concernente rigetto istanza di emersione dal lavoro irregolare. Visto il ricorso, con i relativi allegati; Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Ufficio Territoriale del Governo di Genova; Visto che non si è costituita in giudizio la cointeressata evocata; Vista l’Ordinanza n. 2622/2011, pronunciata nella Camera di Consiglio del giorno 17 giugno 2011, di accoglimento della domanda di sospensione dell’esecuzione della sentenza appellata; Visti gli atti tutti della causa; Data per letta, alla pubblica udienza del 30 novembre 2012, la relazione del Consigliere Salvatore Cacace; Udito, alla stessa udienza, l’avv. Paola Saulino dello Stato per l’Amministrazione appellata, nessuno essendo ivi comparso per l’appellante; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue: FATTO e DIRITTO Con la sentenza impugnata il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria ha respinto il ricorso proposto dall’odierno appellante, cittadino extracomunitario, avverso il provvedimento di reiezione dell’istanza di regolarizzazione del rapporto di lavoro subordinato domestico presentata dal datore di lavoro ex art. 1-ter della legge n. 25/64 Sentenze interessanti – N.04/2013 102/2009, adottato dal Dirigente dello Sportello Unico per l’Immigrazione presso la Prefettura della Provincia di Genova sul presupposto della esistenza a suo càrico di un decreto penale di condanna per il reato di cui all’art. 648 c.p., ostativo al conseguimento della emersione ai sensi dell’art. 1-ter, comma 13, della legge n. 102/2009. Con sentenza succintamente motivata il T.A.R. ha in particolare rilevato “che il reato commesso dal ricorrente osta all’accoglimento del ricorso”. Con unico motivo di impugnazione il ricorrente denuncia come né l’Amministrazione né il Giudice di primo grado abbiano tenuto conto del fatto ch’egli “avendo appreso dell’esistenza di tale decreto penale solo a seguito dell’emersione, ha immediatamente proposto istanza di rimessione in termini al Giudice competente ( GIP Tribunale Savona ), per opporre il detto decreto”; non ci si troverebbe, invero, a suo avviso, “di fronte ad una sentenza di condanna, perché, ammesso e non concesso che ai sensi di legge il decreto penale sia equiparabile ad una sentenza, è comunque incontestabile che il decreto penale, una volta opposto, viene revocato e si instaura un giudizio ( ordinario o speciale ), solo all’esito del quale vi sarà, eventualmente, sentenza di condanna”. Si è costituito in giudizio, senza peraltro formulare difese, l’Ufficio Territoriale del Governo di Genova. Non si è costituita in giudizio la cointeressata datrice di lavoro. Con nota depositata in data 16 novembre 2012 la Prefettura di Genova – Ufficio Territoriale del Governo, premesso di aver provveduto alla revoca in autotutela del predetto proprio 26/64 Sentenze interessanti – N.04/2013 provvedimento di rigetto, chiede che venga dichiarata la cessazione della materia del contendere. La causa è stata chiamata e trattenuta in decisione alla udienza pubblica del 30 novembre 2012. Va, preliminarmente, escluso che il sopravvenuto provvedimento di ritiro adottato dall’Amministrazione valga a consentire una pronuncia di cessazione della materia del contendere, in quanto lo stesso ( del quale non è nemmeno chiara la decorrenza ex tunc od ex nunc ) non garantisce comunque all’interessato la definitiva acquisizione del bene della vita, cui egli aspira. L’interesse alla coltivazione del gravame dunque permane, anche ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 34, comma 3, c.p.a. Ciò posto, il ricorso è fondato e va accolto. Ha errato, invero, l’Amministrazione nel non tener conto della volontà dell’interessato, esplicitata in sede di controdeduzioni alla comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, di voler richiedere al Tribunale di Savona la rimessione in termini per l’opposizione del decreto penale da essa ritenuto ostativo al perfezionamento della procedura di emersione ( opposizione poi effettivamente proposta all’incirca due mesi dopo a seguito di rituale rimessione in termini e tale quanto meno da sospendere l’esecuzione del decreto stesso fino alla sua revoca da pronunciarsi nel giudizio conseguente all’opposizione ). Infatti, tale modus procedendi confligge da un lato con la ratio sottesa all'istituto di cui all'art. 10-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, che configura un rapporto di leale collaborazione tra privato ed Amministrazione, il quale implica che il destinatario del 27/64 Sentenze interessanti – N.04/2013 provvedimento sia messo nelle condizioni di poter eventualmente rimuovere il motivo ostativo all'accoglimento dell'istanza presentata ( l’atto di opposizione, com’è generale opinione, si configura come gravame puro - traducendosi in una mera richiesta di giudizio da svolgersi nel contraddittorio delle parti, secondo le peculiarità dei varii riti previsti dalla legge processuale – in presenza del quale il decreto penale di condanna non diviene esecutivo – o, se divenuto esecutivo per mancanza di rituale opposizione nei termini, perde poi tale sua caratteristica a seguito della rimessione in termini per la proposizione dell’opposizione – sì da non poter costituire valido vincolo per l’attività amministrativa, né poter essere equiparato ad una pronuncia di condanna, che concretizza quell’esigenza di accertamento della colpevolezza, demandata, in caso di proposizione dell’opposizione, al solo giudizio ad essa conseguente ); dall'altro confligge con l'orientamento giurisprudenziale. secondo il quale, proprio con riferimento alla materia dell'immigrazione, l'oggetto dei giudizii tende ad estendersi alla pretesa sostanziale posta a base della impugnazione (si veda, per tutte, la decisione del Consiglio di Stato 7 giugno 2006, n. 3412, espressamente citata dall'ordinanza della Corte Costituzionale 27 aprile 2007, n. 143), cosicché devono essere sempre valutate anche le sopravvenienze favorevoli ( il principio è peraltro codificato, anche se con riguardo al solo permesso di soggiorno, all'art. 5, comma 5, del D. lgs. 25 luglio 1998, n. 286 ). In tale contesto è evidente, peraltro, che, come sopra evidenziato, il diniego oggetto del giudizio è stato adottato sul presupposto dell’automatismo della condanna per uno dei reati previsti dagli 28/64 Sentenze interessanti – N.04/2013 articoli 380 e 381 del codice di procedura penale; e ciò ai sensi dell’art. 1-ter, comma 13, lett. c), della legge n. 102 del 2009, che tuttavia è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla Corte costituzionale con sentenza n. 172/2012 proprio nella parte in cui fa derivare automaticamente il rigetto della istanza di regolarizzazione del lavoratore extracomunitario dalla pronuncia nei suoi confronti di una sentenza di condanna per uno dei reati previsti dall'art. 381 del codice di procedura penale, senza prevedere che la pubblica amministrazione provveda ad accertare che il medesimo rappresenti una minaccia per l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato. A ciò consegue che, per effetto della suddetta pronuncia di incostituzionalità, il contestato diniego ha perso il proprio parametro legislativo di riferimento, stante l'efficacia retroattiva (per il combinato disposto dell'art. 136 della Costituzione e dell'art. 30 della legge 11.3.1953, n. 87) delle pronunce di illegittimità costituzionale rispetto ai rapporti non ancora definiti. Secondo, invero, il consolidato indirizzo della giurisprudenza, la declaratoria di illegittimità costituzionale di una disposizione legislativa si riflette sull'atto adottato in applicazione della medesima, rendendo tale atto illegittimo sin dall'origine e quindi annullabile, a meno di intervenuta inoppugnabilità del medesimo per situazioni giuridiche oramai consolidatesi per esaurimento dei relativi effetti, ovvero per decorso dei termini di impugnazione, per intervenuta prescrizione, per legittimità dichiarata con sentenza passata in giudicato ( cfr., ex multis, C.d.S., sez. IV, 5.3.2008, n. 934; sez. V, 15.2.2007, n. 652; sez. VI, 25.6.2008, n. 3212 ); situazioni, queste, nessuna delle quali si verifica ovviamente quando, come nel caso 29/64 Sentenze interessanti – N.04/2013 all’esame, siano stati ritualmente e tempestivamente esperiti gli idonei rimedii giudiziarii vòlti a contestare l’assetto di interessi risultante dall’atto impugnato. Ne deriva, dunque, che i provvedimenti emanati sulla base di una disposizione dichiarata costituzionalmente illegittima nel corso del giudizio d'impugnazione devono essere annullati. Sulla base delle considerazioni di cui sopra l’appello va in definitiva accolto, con conseguente annullamento, in accoglimento del ricorso di primo grado, del provvedimento con lo stesso impugnato. Le spese del doppio grado di giudizio possono essere integralmente compensate fra le parti. P.Q.M. il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado. Spese del doppio grado compensate. Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa. Così deciso in Roma, addì 30 novembre 2012, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Terza – riunito in Camera di consiglio con l’intervento dei seguenti Magistrati: Gianpiero Paolo Cirillo, Presidente Salvatore Cacace, Consigliere, Estensore Dante D'Alessio, Consigliere Alessandro Palanza, Consigliere Paola Alba Aurora Puliatti, Consigliere 30/64 Sentenze interessanti – N.04/2013 L'ESTENSORE IL PRESIDENTE DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 14/01/2013 IL SEGRETARIO (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.) 31/64 Sentenze interessanti – N.04/2013 N. 00019/2013REG.PROV.COLL. N. 07137/2012 REG.RIC. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) ha pronunciato la presente SENTENZA ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm. sul ricorso numero di registro generale 7137 del 2012, proposto da: rappresentato e difeso dagli avv. Romano Lombardi, Luigi Tessitore, con domicilio eletto presso Gianluca Contaldi in Roma, via Pier Luigi da Palestrina n.63; contro Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n.12; per la riforma della sentenza breve del T.A.R. TOSCANA - FIRENZE: SEZIONE II n. 01368/2012, resa tra le parti, concernente revoca permesso di soggiorno 32/64 Sentenze interessanti – N.04/2013 Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 26 ottobre 2012 il Cons. Alessandro Palanza e uditi per le parti gli avvocati Lorenzelli su delega di Tessitore e l’avvocato dello Stato Soldano; Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.; Considerato che : - Il signor ha impugnato la sentenza n. 01368/2012 che ha respinto il suo ricorso per l'annullamento del provvedimento di revoca del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo (ex carta di soggiorno) e del contestuale rifiuto al rilascio del permesso di soggiorno ad altro titolo, emesso dal Questore della Provincia di Grosseto; - Alla base del rigetto era posta la rilevazione di una sentenza penale ostativa, costituita dalla sentenza 2 luglio 2010 del Tribunale di Livorno per il reato previsto dall’art. 73 del D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 e un complessivo giudizio di pericolosità sociale del ricorrente motivato dal fatto che il cittadino straniero, pur svolgendo una regolare attività lavorativa e, quindi, avendo la disponibilità di un reddito da lavoro ha, comunque, tratto illecito profitto da attività delittuose - pericolose sotto il profilo dell’ordine e della sicurezza pubblica – che hanno comportato una condanna per reati inerenti gli stupefacenti; 33/64 Sentenze interessanti – N.04/2013 - Agli atti risulta, senza essere contestato dall’Amministrazione, che il signor è regolarmente residente in Italia da più di venti anni, ha lavorato regolarmente con continuità in tutto questo periodo, dal 2007 è titolare di permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo e ha effettuato ricongiungimento familiare nei confronti della moglie e del figlio da oltre dieci anni, al momento del ricorso in primo grado, e con essi tuttora convive; - Anche nel caso di revoca dell’ordinario permesso di soggiorno l’art. 5, comma 5, secondo periodo, del D.Lgs n. 286/1998 prevede che, in caso di ricongiungimento familiare, si tenga anche conto “della natura e della effettività dei vincoli familiari dell'interessato e dell'esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d'origine, nonché, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche della durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale.” ; - Per quanto concerne la revoca del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, l’art. 9, comma 7, del medesimo decreto legislativo prevede come causa di revoca rilevante per il caso in esame alla lettera c): “quando mancano o vengano a mancare le condizioni per il rilascio, di cui al comma 4” e che lo stesso comma 4 indica tra le cause ostative “eventuali condanne anche non definitive, per i reati previsti dall'articolo 380 del codice di procedura penale, nonché, limitatamente ai delitti non colposi, dall'articolo 381 del medesimo codice”, precisando infine che “ai fini dell'adozione di un provvedimento di diniego di rilascio del permesso di soggiorno di cui al presente comma il questore tiene conto altresì della durata del soggiorno nel territorio nazionale e dell'inserimento sociale, familiare e lavorativo dello straniero.”; 34/64 Sentenze interessanti – N.04/2013 - Quando alla revoca del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo segue l’espulsione, devono puntualmente applicarsi le disposizioni di cui al comma 10 del medesimo art. 9 che recita: “Nei confronti del titolare del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, l'espulsione puo' essere disposta: a) per gravi motivi di ordine pubblico o sicurezza dello Stato; b) nei casi di cui all'articolo 3, comma 1, del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 155; c) quando lo straniero appartiene ad una delle categorie indicate all'articolo 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, ovvero all'articolo 1 della legge 31 maggio 1965, n. 575, sempre che sia stata applicata, anche in via cautelare, una delle misure di cui all'articolo 14 della legge 19 marzo 1990, n. 55.” Deve altresì applicarsi il seguente comma 11: “Ai fini dell'adozione del provvedimento di espulsione di cui al comma 10, si tiene conto anche dell'età dell'interessato, della durata del soggiorno sul territorio nazionale, delle conseguenze dell'espulsione per l'interessato e i suoi familiari, dell'esistenza di legami familiari e sociali nel territorio nazionale e dell'assenza di tali vincoli con il Paese di origine”. Ritenuto che: - Avvertite le parti a norma dell’art. 60 c.p.a., la causa possa essere decisa direttamente nel merito; - Contrariamente a quanto affermato dal Tar, il provvedimento impugnato in primo grado non è adeguatamente motivato alla luce di tutte le disposizioni soprarichiamate e anzi risulta adottato in espressa violazione di tutte quelle che impongono di considerare la 35/64 Sentenze interessanti – N.04/2013 situazione familiare dello straniero, la durata del soggiorno in Italia e il suo radicamento sociale e lavorativo. Non si fa infatti alcun riferimento nel provvedimento alla attuale situazione del nucleo familiare, al pregresso ricongiungimento, mentre la durata del soggiorno e il radicamento sociale e lavorativo vengono utilizzate contra legem - e cioè seguendo una ratio esattamente opposta a quella propria della legge – come circostanze a sfavore dello straniero, in quanto considerate aggravanti del comportamento sanzionato con la condanna; - Il provvedimento impugnato in primo grado non menziona neppure il fatto che la singola condanna è stata comminata per un reato che, tra i reati concernenti gli stupefacenti, è di minore gravità riguardando la coltivazione e non lo spaccio e che questa fattispecie di reato è l’unica che è considerata tra i reati compresi nell’art. 381 c.p.p. e non nell’art. 380, dovendosi peraltro anche osservare al riguardo che la recente sentenza della corte costituzionale n.172/2012 ha dichiarato incostituzionale la equiparazione delle condanne per reati compresi nell’art. 381 c.p.p. a quelli compresi nell’art. 380 dello stesso codice ai fini della procedure di emersione di lavoratori stranieri; - Il provvedimento impugnato deve essere annullato per mancanza e incongruità della motivazione in relazione alla concreta situazione di cui si tratta e per violazione di legge con riferimento alle disposizioni richiamate che impongono di tener conto, anche in caso di condanne ostative, di ulteriori e determinate circostanze per giungere ad una effettiva valutazione di pericolosità, dato che quest’ultima, in casi come quello in esame, non può discendere 36/64 Sentenze interessanti – N.04/2013 automaticamente ed esclusivamente dalla condanna ostativa in mancanza di ulteriori e convergenti accertamenti; - Restano tuttavia salvi gli ulteriori provvedimenti di competenza dell’amministrazione, purché adeguatamente motivati in conformità ai criteri di cui si è fatto cenno sopra; - In relazione all’andamento della vicenda processuale possano essere compensate le spese per entrambi i gradi del giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sul ricorso in appello, come in epigrafe proposto, accoglie l’appello e, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso in primo grado. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 ottobre 2012 con l'intervento dei magistrati: Pier Giorgio Lignani, Presidente Roberto Capuzzi, Consigliere Hadrian Simonetti, Consigliere Dante D'Alessio, Consigliere Alessandro Palanza, Consigliere, Estensore L'ESTENSORE IL PRESIDENTE 37/64 Sentenze interessanti – N.04/2013 DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 07/01/2013 IL SEGRETARIO (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.) 38/64 Sentenze interessanti – N.04/2013 N. 00287/2013 REG.PROV.COLL. N. 11525/2010 REG.RIC. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Quater) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 11525 del 2010, integrato da motivi aggiunti, proposto da: rappresentato e difeso dall'avv. Mario Antonio Angelelli, con domicilio eletto presso Mario Antonio Angelelli in Roma, viale Carso,23; contro Questura di Roma; Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12; per l'annullamento del provvedimento dell'8/6/2010 con il quale veniva decretato il rifiuto dell'istanza di rilascio del permesso di soggiorno per lavoro subordinato. 39/64 Sentenze interessanti – N.04/2013 Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 ottobre 2012 il dott. Maria Laura Maddalena e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO Con il ricorso in epigrafe, il ricorrente ha impugnato il decreto del Questore di Roma, emesso in data 6.8.2010, con cui è stata rigettata la domanda volta ad ottenere il rilascio del primo permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato, in quanto egli era stato destinatario di una pregressa espulsione, disposta dalla prefettura di Crotone, con divieto di reingresso per dieci anni e non si era munito della autorizzazione ministeriale al reingresso. Espone inoltre il ricorrente di aver richiesto, in data 4 ottobre 2010, istanza di revoca dell’espulsione presso la Prefettura di Crotone. Il ricorso è articolato in varie doglianze di eccesso di potere e violazione di legge. Con ricorso per motivi aggiunti, debitamente notificato e depositato in data 10.1.2012, il ricorrente ha fatto presente la circostanza sopravvenuta dell’entrata in vigore della direttiva comunitario 2008/115/CE, c.d. direttiva rimpatri, chiedendone l’immediata applicazione. 40/64 Sentenze interessanti – N.04/2013 All’udienza camerale del 25.10.2012, l’istanza cautelare è stata accolta. All’odierna udienza, la causa è stata trattenuta in decisione. Occorre previamente una breve ricostruzione in fatto della vicenda. Il ricorrente ha fatto ingresso in Italia, in data 31.5.2009, munito di visto d’ingresso per lavoro subordinato flussi 2007. A seguito dei rilievi dattiloscopici, è emerso che lo stesso era stato colpito da decreto di espulsione del Prefetto di Crotone del 15.6.2005, con contestuale imposizione del divieto di reingresso nel territorio nazionale per dieci anni. Non essendosi munito di autorizzazione ministeriale al reingresso ed essendo rientrato in Italia prima dello scadere dei dieci anni, la Questura di Roma aveva rigettato l’istanza di rilascio del primo permesso di soggiorno. Il ricorrente chiedeva poi alla Prefettura di Crotone la revoca del decreto di espulsione. Ma detta istanza veniva rigettata con provvedimento notificato al ricorrente in data 6.4.2011. Con il ricorso per motivi aggiunti, il ricorrente invoca – come si è anticipato – la violazione della c.d. direttiva rimpatri, n.115/2008, entrata in vigore in data 24.12.2010. Espone il ricorrente che la direttiva mostra una chiara preferenza per il rimpatrio volontario dello straniero. Infatti, in base all’art. 11 così come interpretato dal ricorrente- in caso di rimpatrio volontario non sarebbe possibile disporre alcun divieto di reingresso sul territorio nazionale. Egli pertanto chiede che la direttiva comunitaria venga immediatamente applicata al caso di specie, con disapplicazione 41/64 Sentenze interessanti – N.04/2013 della normativa italiana laddove essa prevede un automatico divieto di riengresso decennale, indipendentemente dalle circostanze concrete e, in particolare, dalla partenza volontaria. A questo proposito il ricorrente sostiene che è evidente la prova del suo spontaneo rientro nel suo paese di origine, come dimostra il fatto che abbia chiesto in Bangladesh il visto per l’ingresso in Italia. Quanto alla questione dell’applicabilità al caso di specie della normativa sopravvenuta, il ricorrente ha richiamato quanto ha statuito l’Adunanza plenaria – proprio a proposito della diretta applicabilità della direttiva 115/2008 - nelle pronunce n. 7 e 8 del 2011, secondo le quali il principio del tempus regit actum esplica la sua efficacia solo quando il rapporto cui l’atto inerisce sia irretrattabilmente definito, il che non si verifica quando siano stati esperiti idonei rimedi giudiziari volti a contestare l’assetto prodotto dall’atto impugnato. In particolare, le stesse pronunce della plenaria hanno affermato che le disposizioni espunte dall’ordinamento per effetto della diretta applicabilità delle norme comunitarie non possono essere oggetto di applicazione, anche indiretta, nella definizione di rapporti ancora sub judice. Il presente ricorso pone il problema dell’immediata applicabilità delle norme della direttiva 115/2008 concernenti la disciplina del divieto di reingresso (art. 11). Come è noto, la questione è stata affronta dalla CGE, con sentenza del 28 aprile 2011, caso El Dridi, nella quale la Corte ha affermato l’immediata applicabilità degli artt. 15 e 16 in quanto incondizionati 42/64 Sentenze interessanti – N.04/2013 e sufficientemente precisi da non richiedere ulteriori specifici elementi perché gli Stati membri li possano mettere in atto. Nel frattempo però il legislatore italiano ha provveduto a dare attuazione alla direttiva con d.l. 23 giugno 2011 n. 89, convertito, con modificazioni, in legge 2 agosto 2011, n. 129. pertanto si ritiene opportuni valutare la questione alla luce della sopravvenuta normativa di recepimento della direttiva. La nuova disciplina nazionale, pur facendo salvo il meccanismo (sconosciuto al legislatore comunitario) della possibilità di rimuovere anticipatamente il divieto di reingresso richiedendo l’apposita autorizzazione ministeriale, ha anche adeguato il nostro ordinamento alla normativa comunitaria circa il termine di durata del divieto di reingresso (art. 11, comma 2 della dir. 115/2008) e disciplinando l’ipotesi della partenza volontaria (art. 7 della direttiva). Quanto al primo aspetto, ha previsto che il divieto di reingresso non possa essere comminato – di regola - per più di cinque anni (e per meno di tre), salvo il caso di ipotesi di particolare gravità in cui può essere previsto un termine più lungo. Quanto alla partenza volontaria, che costituisce – in base al decimo considerando della direttiva - lo strumento da preferire rispetto al rimpatrio forzato, il legislatore nazionale ha previsto all’art. 13, comma 5, che lo straniero destinatario di un decreto di espulsione possa richiedere, qualora non ricorrano le condizioni per l’accompagnamento immediato alla frontiera, un termine per la partenza volontaria. Il successivo comma 13 prevede quindi che in tali casi, il divieto di reingresso possa essere revocato, su istanza 43/64 Sentenze interessanti – N.04/2013 dell’interessato, qualora fornisca la prova di avere lasciato il territorio nazionale entro il termine di ci al comma 5. Pertanto, la nuova disciplina della esecuzione della espulsione mediante lo strumento della partenza volontaria risponde pienamente all’intento della direttiva che – come ha ribadito la Corte di Giustizia nella citata sentenza del 28.4.2011 - è quello di favorire il rimpatrio volontario e di far sì che misure via via più coercitive vengano adottate solo quando esse sono effettivamente necessarie. Sul punto, poi, non può non ricordarsi quanto ha affermato la Plenaria n. 8 del 2011, secondo la quale la sopravvenuta entrata in vigore della direttiva rimpatri n. 115/2008 può avere effetti anche su provvedimenti amministrativi adottati antecedentemente a tale data, in quanto il principio del tempus regit actum esplica la propria efficacia solo allorché il rapporto cui l’atto inerisce sia irretrattabilmente definito, e, conseguentemente, diventi insensibile ai successivi mutamenti della legge. In questo quadro, come ha più volte affermato il Consiglio di Stato in casi analoghi di sopravvenienze normative recanti una disciplina più favorevole (v. per esempio, in relazione alle modifiche apportate in materia di ricongiungimento familiare, Consiglio di Stato sez. III, 28 novembre 2011, n. 6287 e Consiglio di Stato sez. III, 03 ottobre 2011, n. 5420 e in relazione al diniego di rilascio della carta di soggiorno Cons. Stato Sez. III, Sent., 15-05-2012, n. 2801, ) , è opportuno che l’amministrazione si ridetermini sull’istanza del ricorrente alla luce della disciplina sopravvenuta, soprattutto al fine di potergli consentire di chiedere la revoca del divieto di reingresso 44/64 Sentenze interessanti – N.04/2013 dimostrando di aver spontaneamente ottemperato al decreto di espulsione. Infatti, non si può ritenere ostativo alla applicazione della disciplina sopravvenuta la circostanza che all’epoca l’espulsione del ricorrente fu disposta mediante accompagnamento alla frontiera per mezzo della forza pubblica. Se è vero che nel testo attualmente vigente dell’art. 13, le ipotesi in cui deve essere disposto l’accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica sono specificamente indicate al comma 4 dell’art. 13 mentre negli altri casi si propende per l’esecuzione volontaria della misura espulsiva, mediante appunto la concessione di un termine per la partenza volontaria, all’epoca in cui la Prefettura di Crotone dispose l’espulsione del ricorrente, l’accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica costituiva la regola ed era l’ordinario strumento per eseguire la misura dell’espulsione. Nella previgente disciplina, l’intimazione a lasciare il territorio dello Stato era prevista solo in via eccezionale (nelle ipotesi di cui all’art. 13, comma 5, nella precedente versione) qualora il permesso di soggiorno fosse venuto a scadenza e non ne fosse stato chiesto il rinnovo. Non può, peraltro, non rilevarsi che nonostante tale previsione normativa, anche all’epoca solo una piccola parte delle espulsioni veniva effettivamente eseguita con lo strumento dell’accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica poiché spesso non era possibile individuare lo Stato di origine dell’immigrato o perché comunque non vi erano mezzi a disposizione. Per tale ragione non vi è certezza che l’espulsione 45/64 Sentenze interessanti – N.04/2013 disposta nei confronti del ricorrente mediante accompagnamento alla frontiera sia stata effettivamente eseguita con il ricorso alla forza pubblica, essendo anche possibile che egli sia volontariamente rimpatriato e che quindi egli possa, alla luce della sopravvenuta disciplina, chiedere la revoca del divieto di reingresso ai sensi dell’art. 13, comma 14 attualmente vigente. Appare per queste ragioni necessario che l’amministrazione si ridetermini alla luce delle sopravvenienze normative, previamente assicurando al ricorrente la partecipazione procedimentale. Per quanto riguarda le ulteriori censure svolte nel ricorso, si rileva che con il primo motivo, il ricorrente sostiene che vi sarebbe stata violazione dell’art. 5, comma 5 del Tu immigrazione in quanto l’autorizzazione al reingresso deve considerarsi un atto dovuto in presenza di tutti i requisiti per l’ottenimento di un permesso di soggiorno, pertanto la Questura avrebbe dovuto consentire alla ricorrente di regolarizzare la sua posizione, dovendosi qualificare la mancanza della autorizzazione al reingresso come “mera irregolarità amministrativa”. In questi termini, la ricostruzione della fattispecie non può essere condivisa, in quanto la mancanza della autorizzazione ministeriale al reingresso, per la sua valenza anche politica, non può ritenersi una mera irregolarità amministrativa.. Il ricorso pertanto deve essere - nei termini in cui si è detto accolto, con assorbimento delle ulteriori censure , per la rinnovazione del procedimento alla luce di quanto detto nella presente sentenza. 46/64 Sentenze interessanti – N.04/2013 Le spese possono essere compensate, sussistendo giusti motivi, attesa la novità della questione. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Quater) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei termini di cui alla motivazione e per l’effetto annulla il provvedimento impugnato. Compensa le spese. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 ottobre 2012 con l'intervento dei magistrati: Angelo Scafuri, Presidente Stefania Santoleri, Consigliere Maria Laura Maddalena, Consigliere, Estensore L'ESTENSORE IL PRESIDENTE DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 14/01/2013 IL SEGRETARIO (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.) 47/64 Sentenze interessanti – N.04/2013 N. 00286/2013 REG.PROV.COLL. N. 02443/2011 REG.RIC. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Quater) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 2443 del 2011, proposto da: rappresentato e difeso dall'avv. Michele Longo, con domicilio eletto presso Michele Longo in Roma, via Antonio Salandra N.1/A; contro U.T.G. - Prefettura di Roma; Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12; per l'annullamento del rigetto richiesta di emersione di lavoro irregolare del 12.10.2010 e dell’archiviazione della richiesta di permesso di soggiorno per attesa occupazione del 13.1.2011. 48/64 Sentenze interessanti – N.04/2013 Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 giugno 2012 il dott. Maria Laura Maddalena e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO Con il ricorso in epigrafe, il ricorrente impugna il provvedimento con cui lo Sportello unico per l’immigrazione ha disposto l’archiviazione della istanza di emersione presentata dal sig. Gerardo Savino per il ricorrente, in quanto nessuna delle parti si era presentata per la sottoscrizione del contratto di soggiorno. L’amministrazione si è costituita mediante avvocatura dello Stato con memoria di stile. All’odierna udienza, la causa è stata trattenuta in decisione. Il ricorso è infondato e pertanto deve essere respinto. Con l’unico motivo di ricorso, il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 1 ter, comma 7, della l. n.102/2009 e afferma di essere stato licenziato oralmente dal datore di lavoro, prima della conclusione della procedura di emersione e che per questa ragione non è venuto a conoscenza della convocazione dinanzi allo Sportello unico, essendo essa stata inviata solo al datore di lavoro, in quale nel frattempo si era anche reso irreperibile. 49/64 Sentenze interessanti – N.04/2013 Il ricorrente sostiene quindi che l’archiviazione della pratica è stata illegittimamente effettuata poiché una delle parti, egli appunto, aveva ancora interesse alla conclusione del procedimento, al fine di ottenere la regolarizzazione e un permesso di soggiorno per attesa occupazione. A sostegno della sua tesi invoca la circolare ministeriale del 29 dicembre 2009, n. 6406, la quale sostiene che l’archiviazione dl procedimento possa essere disposto solo in caso di mancata presentazione sia del datore di lavoro che del lavoratore in assenza di giustificato motivo. Il motivo non può essere accolto. Ll’art. 1 ter della l. 102/2009 recante la disciplina della sanatoria, configura il rilascio del titolo abilitativo come la risultante della positiva conclusione di due procedimenti, quello propriamente di emersione - che si svolge presso lo Sportello Unico dell’Immigrazione – e quello volto al rilascio del permesso di soggiorno, attributo alla competenza della Questura. Il primo procedimento si sostanzia in una fattispecie a formazione progressiva, i cui passaggi salienti sono costituiti dalla sussistenza del rapporto di lavoro irregolare, dalla domanda di emersione del datore di lavoro, dalla convocazione di entrambe le parti dinanzi al SUI, dall’istruttoria di quest’ultimo, dalla stipula del contratto di soggiorno. Peraltro diversi sono la natura giuridica e gli effetti delle varie fasi del procedimento de quo. a) La sussistenza del rapporto di lavoro irregolare costituisce il presupposto di fatto del procedimento, volto appunto all’emersione 50/64 Sentenze interessanti – N.04/2013 e quindi regolarizzazione di tale rapporto,che deve avere le suddescritte caratteristiche di legge (temporali - vigenza alla data del 30 giugno 2009 e da almeno 3 mesi – e contenutistiche, prestazioni di badante o di colf). Peraltro la circostanza che l’interessato abbia effettivamente prestato attività lavorativa nel settore in questione per il periodo di tempo prescritto non costituisce di per sé sola titolo valido per l’ottenimento del permesso di soggiorno, in quanto va confermata e valorizzata nel successivo sviluppo del procedimento sia dalla relativa attestazione contenuta nell’istanza di emersione del datore di lavoro sia dal riscontro alla convocazione dell’Ufficio sia dalla definitiva stipula del contratto (di soggiorno) stavolta regolare. In definitiva, la circostanza che l’interessato abbia effettivamente prestato attività lavorativa da un lato trova conforto probatorio nella istanza di emersione presentata dal datore di lavoro dall’altro non rileva in sé per sé bensì quale uno dei presupposti per l’attivazione della procedura, fatti salvi ovviamente i riflessi penalistici e civilistici di un rapporto svolto in via fittizia ovvero di fatto ovvero negato. b) L’avvio del procedimento spetta unicamente al datore di lavoro, il quale è per la legge il solo legittimato ad inoltrare la domanda di emersione , in quanto unico soggetto con il quale lo Sportello Unico intrattiene rapporti sia per la richiesta di integrazioni documentali sia per ogni altro tipo di comunicazione (come il preavviso di diniego ex art. 10 bis della legge n. 2541/1990); In sostanza, il legislatore attribuisce al datore di lavoro la facoltà di scegliere se continuare nella commissione di un reato – e tal è l’occupazione dei lavoratori stranieri in violazione della normativa 51/64 Sentenze interessanti – N.04/2013 sull’immigrazione – oppure se “autodenunciarsi”, incentivandolo a tale ultima opzione mediante il beneficio di usufruire dell’immunità per la trasgressione di norme penali e amministrative. La sanatoria ovviamente andrà a beneficiare di riflesso anche il lavoratore straniero – il quale altrimenti non potrebbe continuare a svolgere quelle attività – ma la situazione soggettiva di quest’ultimo è appunto derivata, per cui la relativa posizione si configura come di mera soggezione rispetto alla suddetta libera scelta di autodenunciarsi del datore di lavoro, unico dominus del procedimento, con conseguente impossibilità da parte del lavoratore straniero clandestino occupato “in nero” di presentare autonomamente la domanda di emersione. La domanda di emersione da parte del datore di lavoro naturalmente non vale di per sé ad eliminare la situazione di clandestinità del lavoratore straniero ma produce unicamente gli effetti giuridici “conservativi” previsti rispettivamente dai commi 8 e 10 della L. 102/09 per un periodo temporalmente limitato, e cioè la sospensione dei procedimenti penali e amministrativi nei confronti del datore di lavoro e del lavoratore per la violazione delle norme sulla disciplina dell’immigrazione e del lavoro, ed il divieto di espulsione dello straniero (effetti chiaramente volti a conservare lo status quo in pendenza degli accertamenti delle condizioni per la concessione del beneficio di legge). Tali effetti conservativi temporanei, peraltro, sono strettamente strumentali al perfezionamento della pratica, per cui in caso di esito positivo essi saranno definitivi e stabilizzati (la legge parla di “estinzione dei reati e degli illeciti amministrativi”:comma 11) dal 52/64 Sentenze interessanti – N.04/2013 rilascio del permesso di soggiorno mentre, in caso di conclusione negativa o di archiviazione, residueranno le responsabilità penali ed amministrative per la commissione di illeciti. L’istanza rileva - come detto -dal solo punto di vista amministrativo, come domanda di avvio del procedimento, quale mera manifestazione della volontà del datore di lavoro di far emergere e quindi regolarizzare il rapporto di lavoro con il domestico ovvero badante. Pertanto, nelle more della conclusione della procedura di emersione la situazione soggettiva del lavoratore straniero non è diversa o più titolata di quello in stato di clandestinità - fermo restando la predetta sospensione dei procedimenti penali ed amministrativi a suo carico in quanto, come detto, la mera presentazione dell’istanza di emersione non vale di per sé ad eliminare lo situazione di clandestinità di cui si chiede la sanatoria e non pone, sotto il profilo del diritto amministrativo dell’immigrazione, i lavoratori “da regolarizzare” in una posizione diversa, e più titolata, di una mera aspettativa al rilascio di un favorevole provvedimento che consentirà di sanare la propria posizione e quindi acquisire la legittimazione al permesso di soggiorno. c) La presentazione di entrambe le parti dinanzi al competente SUI costituisce elemento essenziale per la definizione del procedimento. L’art. 1 ter comma 7 precisa infatti che: “La mancata presentazione delle parti senza giustificato motivo comporta l'archiviazione del procedimento.” Tale norma non può che essere interpretata, tenendo conto della struttura del procedimento di emersione nel suo complesso, come 53/64 Sentenze interessanti – N.04/2013 riferentesi alla mancata presentazione anche del solo datore di lavoro. La presentazione delle parti dinanzi allo Sportello unico, infatti, oltre a soddisfare l’esigenza di verificare l’effettiva identità degli istanti nonché di far assolvere ai medesimi i relativi oneri di documentazione, non surrogabili da altri, rappresenta il comportamento concludente a cui il legislatore dà preminente rilievo ai fini della regolarizzazione del rapporto di lavoro, segnando il punto di incontro della concorde volontà delle parti non solo di confermare la pregressa esistenza di tale rapporto ma soprattutto della volontà di farlo emergere e quindi regolarizzare, usufruendo della facoltà di legge. In tale ambito è richiesta la presenza di entrambe le parti, attesa la natura bilaterale del rapporto, per cui non può appunto prescindersi dal loro accordo. Ne consegue ineludibilmente che la mancata presentazione del datore di lavoro non può che impedire la definizione del procedimento, con conseguente obbligo di archiviazione e cessazione dei benefici conservativi di legge, per cui sia il datore di lavoro italiano sia il lavoratore straniero saranno perseguibili per gli illeciti penali e amministrativi commessi per l’instaurazione di un rapporto di lavoro in violazione delle leggi sull’immigrazione. Solo nell’ipotesi in cui la mancata presentazione – adempimento si ribadisce imprescindibile per la positiva conclusione del procedimento – sia giustificata da cause di forza maggiore – come ad esempio in caso di decesso del datore di lavoro – è consentito 54/64 Sentenze interessanti – N.04/2013 addivenire anche in presenza del solo lavoratore straniero ugualmente alle successive fasi procedimentali. In conclusione la mancata presentazione del datore di lavoro preclude la conclusione del procedimento di emersione dall’altro espone gli interessati alle responsabilità civili e penali conseguenti all’impiego di un soggetto straniero clandestino in un rapporto di lavoro. Al riguardo va infine soggiunto, con particolare riferimento all’abbandono da parte del datore di lavoro, che non appare possibile utilizzare lo strumento coercitivo di cui all’art. 2932 c.c. in considerazione della mancanza di un obbligo giuridico alla conclusione del procedimento amministrativo “de quo”, ferma restando ovviamente le suddette responsabilità penali ed amministrative. Sul punto la circolare del Ministero dell’Interno n. 7950 del 7 dicembre 2009 prescrive che anche in caso di rinuncia alla domanda di emersione il datore di lavoro deve comunque presentarsi “al fine di formalizzare la rinuncia al rapporto di lavoro, specificando i motivi che hanno causato l’interruzione dello stesso rapporto e sottoscrivere comunque, contestualmente al lavoratore straniero, il contratto di soggiorno per il periodo relativo all’effettivo impiego del lavoratore”. Tale prescrizione – lungi dal comportare alcun obbligo coercitivo costituisce un efficace deterrente contro i tardivi ripensamenti del datore di lavoro, il quale, pentito di aver presentato la domanda di emersione, potrà proseguire nell’iter procedimentale - concludendo il contratto di soggiorno con 55/64 effetto “liberatorio” delle Sentenze interessanti – N.04/2013 responsabilità sue e del lavoratore interessato e rimanendo ovviamente libero di non proseguire il rapporto di lavoro domestico in questione - anziché interrompere la pratica, esponendosi in tal modo alle suddette gravi responsabilità penali ed amministrative, oltre a quella civile che il lavoratore dovesse far valere dinanzi al giudice del lavoro per l’illegittimo licenziamento. d) L’istruttoria della pratica da parte dell’ufficio competente si sostanzia nell’accertamento del possesso in capo sia al datore di lavoro sia al lavoratore dei requisiti prescritti dalla normativa (reddito, idoneità alloggiativa, mancanza di precedenti penali, gli altri elementi ostativi indicati in particolare dal comma 13). e) La stipulazione del contratto di soggiorno, sempre presso il SUI, costituisce ad un tempo momento conclusivo del procedimento e atto negoziale che, dando contezza della volontà delle parti di confermare il rapporto di lavoro domestico o di badante tra loro in essere nonché di farlo emergere per approfittare della sanatoria di legge, segna il presupposto per l’avvio della fase successiva, quella del procedimento volto al rilascio del permesso di soggiorno. Viceversa mancando la conclusione del procedimento di emersione non può essere rilasciato il permesso di soggiorno per motivi di lavoro - o in attesa di occupazione nel caso di motivata cessazione del rapporto – quand’anche debba ritenersi provata l’esistenza del rapporto di lavoro nel periodo di legge, dal momento che è ineludibile condizione della regolarizzazione la stipula del contratto di soggiorno, sia pure, come detto sopra, per il periodo pregresso in cui il rapporto ha avuto luogo 56/64 Sentenze interessanti – N.04/2013 La positiva conclusione della fase di cui sopra costituisce il presupposto per l’avvio del secondo procedimento, quello volto al rilascio del permesso di soggiorno. Quest’ultimo, avviato sulla base di una nuova istanza (che questa volta può essere presentata autonomamente dal lavoratore interessato), attributo ad altro soggetto istituzionale competente (la Questura) e finalizzato al rilascio del titolo autorizzatorio che consente allo straniero l’eventuale prosecuzione del rapporto lavorativo con il datore di lavoro che ne ha chiesto la regolarizzazione oppure al rilascio del permesso di soggiorno per attesa occupazione nel caso in cui invece non sussista la volontà di proseguire nel rapporto di lavoro precedente. Ne consegue che il diniego di sanatoria riverbera i suoi effetti sul procedimento diretto ad ottenere il permesso di soggiorno, per cui, in presenza del diniego di emersione, il provvedimento della Questura di Roma di archiviazione della domanda di rilascio del permesso di soggiorno si configura come atto necessitato (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 31 maggio 2011 , n. 3266, nonché ord. caut. 20 maggio 2011, n. 2196), non disponendo il cittadino straniero di alcun titolo giuridico in proposito. Ne consegue altresì che , in caso di interruzione della procedura di emersione, non può essere rilasciato al lavoratore clandestino il permesso di soggiorno per attesa occupazione previsto dall’art. 22 del d.lvo n. 286/98 e dell’art. 37 DPR 394/99 per il lavoratore regolare che abbia perso il proprio posto di lavoro. In estrema sintesi il permesso di soggiorno che consegue all’emersione altro non è che l’effetto dell’emersione stessa sicchè 57/64 Sentenze interessanti – N.04/2013 non vi è possibilità del suo rilascio laddove l’emersione non si perfezioni. In conclusione, dunque, per tali ragioni, il ricorso deve essere respinto. Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di lite P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Quater) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Compensa le spese. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 giugno 2012, 25 ottobre 2012 e 4 dicembre 2012 con l'intervento dei magistrati: Angelo Scafuri, Presidente Floriana Rizzetto, Consigliere Maria Laura Maddalena, Consigliere, Estensore L'ESTENSORE IL PRESIDENTE DEPOSITATA IN SEGRETERIA 58/64 Sentenze interessanti – N.04/2013 Il 14/01/2013 IL SEGRETARIO (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.) 59/64 Sentenze interessanti – N.04/2013 N. 10667/2012 REG.PROV.COLL. N. 09348/2012 REG.RIC. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater) ha pronunciato la presente SENTENZA ex art. 60 cod. proc. amm.; sul ricorso numero di registro generale 9348 del 2012, proposto da: -OMISSIS- (Esercente Potestà Genitoriale), rappresentato e difeso dall'avv. Francesco Alberti, con domicilio eletto presso Francesco Alberti in Roma, via Pisa, 30; contro Ministero degli Affari Esteri, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale Dello, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12; Ambasciata D'Italia - Bogota' - Colombia; per l'annullamento del provvedimento n. 7237 dell'ufficio visti dell'ambasciata d'italia a bogotà - colombia di rifiuto di visto turistico per sorella di cittadina u.e. per ingresso in italia. 60/64 Sentenze interessanti – N.04/2013 Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero degli Affari Esteri; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 20 dicembre 2012 il dott. Marco Bignami e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO Considerato che la ricorrente, cittadina della Colombia, impugna il diniego di visto di ingresso per turismo opposto alla di lei figlia minore dall’Ambasciata di Bogotà; che, all’esito della fase cautelare, sussistono i presupposti per definire la causa con sentenza in forma semplificata; che la minore richiede il visto per trascorrere le ferie natalizie con la madre, residente in Italia, e viene invitata nel nostro Paese dal datore di lavoro di quest’ultima, che ha prestato tutte le garanzie previste dalla legge; che l’atto impugnato si fonda sul rilievo del cd. rischio migratorio, posto che non sarebbe comprovata la volontà della minore di rientrare in Colombia; che, secondo la giurisprudenza di questo Tribunale, l’amministrazione è tenuta a fornire in giudizio adeguata motivazione del proprio provvedimento, anche nei casi in cui l’art. 4 61/64 Sentenze interessanti – N.04/2013 del d.lgs. n. 286 del 1998 consente che l’atto sia emanato in assenza di motivazione; che, a seguito di istruttoria disposta dal Tribunale, sono stati indicati 4 profili da cui desumere il rischio migratorio; che il terzo e quarto profilo (mancata comunicazione all’Ambasciata dell’intervenuto affidamento della sorella della minore, cittadina italiana, ai nonni paterni; pregressa adozione di analogo diniego di visto turistico in danno della minore) sono con ogni evidenza privi di rilievo; che anche il secondo profilo appare manifestamente irragionevole, poiché non si vede quale “dubbio” possa ingenerare il fatto che l’invito venga dal datore di lavoro della madre della minore, che risulta essere imprenditore in Italia; che, quanto al primo profilo, “assoluta assenza di comprovate garanzie economiche nel Paese di residenza dei familiari dichiarati qui conviventi (padre, nonna)”, una volta accertato che la minore ha i mezzi per entrare e fermarsi temporaneamente in Italia, l’amministrazione avrebbe dovuto indicare elementi concreti, da cui desumere l’assenza di un radicamento in Colombia della parte istante; che, sotto tale profilo, la minore è studentessa iscritta ad un istituto scolastico colombiano e convive con la famiglia: è perciò naturale che ella non abbia ancora un reddito proprio, mentre resta del tutto indimostrato che la famiglia versi in tale stato di indigenza da non potersi permettere il mantenimento della giovane: tale circostanza è stata negata in giudizio dalla ricorrente, che ha evidenziato come la 62/64 Sentenze interessanti – N.04/2013 minore possa contare anche su due zii materni con regolare attività lavorativa; che, alla luce di ciò, e della verosimiglianza delle ragioni addotte a giustificare il viaggio in Italia per Natale, è fondata la assorbente censura di violazione di legge, per essere stato il visto negato per ragioni insussistenti; che il ricorso va perciò accolto; che le spese seguono la soccombenza e si liquidano in euro 750,00, oltre accessori di legge. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, Annulla l’atto impugnato. Condanna l’amministrazione a rifondere le spese, che liquida in euro 750,00 oltre accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 dicembre 2012 con l'intervento dei magistrati: Elia Orciuolo, Presidente Rita Tricarico, Consigliere Marco Bignami, Consigliere, Estensore L'ESTENSORE IL PRESIDENTE 63/64 Sentenze interessanti – N.04/2013 DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 20/12/2012 IL SEGRETARIO (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.) 64/64