Sentenza n. 16206 del 24 settembre 2012 Corte di Cassazione

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Sentenze interessanti – N.04/2013
1)
Corte di cassazione n. 480 dell’8 gennaio 2013 – invito a presentarsi presso l’ufficio stranieri della
Questura al fine di dar corso all’esecuzione dell’espulsione – inosservanza a detto invito –
assoluzione dal reato ex art. 650 c.p.
Non risponde del reato previsto dall’art. 650 c.p. lo straniero che non ottemperi all’invito a presentarsi presso
un ufficio di P.S. ai fini dell’espulsione dal territorio nazionale, in quanto l’ordine di allontanamento del
Questore e la relativa sequenza procedimentale stabilita dall’art. 14 del D.Lgs. n. 286/1998 non possono
essere validamente surrogati da altri atti. Nel caso di specie, l’ordine impartito all’imputato dai Carabinieri di
presentarsi presso l’ufficio di Polizia era rivolto solo a facilitare la procedura di espulsione nei suoi confronti,
non a provvedere alla tutela di specifiche ed esplicitate esigenze di sicurezza pubblica, come peraltro
implicitamente riconosciuto dallo stesso P.M. ricorrente laddove afferma che l’ordine fu impartito per la
necessità di attivare con speditezza la trafila burocratica connessa all’espulsione, in caso di sussistenza dei
presupposti.
Riferimenti normativi
art. 650, c.p.
2)
Corte di cassazione n. 18231 del 24 ottobre 2012 – domanda di protezione internazionale proposta
da cittadino di nazionalità nigeriana – riconoscimento dello status di protezione sussidiaria –
onere di provare la relazione fra fattore esterno di pericolo e la propria condizione soggettiva –
rigetto del ricorso di parte
E’ rigettato il ricorso proposto contro la sentenza della Corte d’appello che, nel confermare la pronuncia di
primo grado, ha respinto la domanda di protezione internazionale. Non può trovare accesso la tesi secondo
cui, nell’invocare i principi affermati dalla Corte di giustizia con decisione n. 465/07 del 17 febbraio 2009, la
concessione della protezione sussidiaria per l’esistenza di una minaccia grave ed individuale alla vita od alla
persona del richiedente non è subordinata alla prova della sussistenza di una relazione di imputabilità o
riferibilità personale delle ragioni della minaccia. Se certamente è indiscutibile la portata interpretativa del
richiamato decisum della Corte di giustizia, è altrettanto evidente che detta decisione, escludendo l’onere di
provare la riferibilità soggettiva della minaccia e quindi la sussistenza di un legame causale tra fattore
esterno di pericolo e la propria condizione soggettiva, non esclude affatto che tra il primo e la seconda debba
comunque esistere una qualsiasi relazione che faccia ragionevolmente presumere che al rimpatrio del
richiedente segua, al di là di alcuna spiegazione “causale”, il suo coinvolgimento effettivo nella situazione di
pericolo.
Riferimenti normativi
art. 2, comma 1, lettera g), D.Lgs. n. 251/2007
3)
Corte di cassazione n. 16026 del 24 settembre 2012 – domanda di protezione internazionale
proposta da cittadino del Togo – mancanza di credibilità delle dichiarazioni rese dall’interessato
in ordine alla superficiale valutazione politica della situazione del paese di origine – debbono
essere vagliate le dichiarazioni del richiedente – accoglimento del ricorso di parte
Il ricorso deve essere accolto, essendo state violate le norme relative alle modalità di accertamento dei fatti
posti a base della domanda di protezione internazionale ed essendo risultata carente la motivazione relativa
alla credibilità soggettiva ed alle condizioni oggettive del paese d’origine dello straniero. La pronuncia
impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte di appello, in diversa composizione, che dovrà attenersi
al seguente principio di diritto: nell’esame delle dichiarazioni del richiedente una misura di protezione
internazionale la valutazione della credibilità soggettiva di quest’ultimo deve essere svolta alla stregua dei
criteri stabiliti dall’art. 3, comma 5, del D.Lgs. n. 251/2007, e non sulla base della mera mancanza di
riscontri oggettivi, dando conto del loro scrutinio e l’acquisizione delle informazioni sul contesto socio
politico del paese di rientro deve avvenire in correlazione con i motivi di persecuzione o di pericoli dedotti,
sulla base delle fonti d’informazioni indicate dall’art. 8, comma 3, del D.Lgs. n. 25/2008, ed in mancanza, o
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Sentenze interessanti – N.04/2013
ad integrazione di esse, mediante l’acquisizione di altri canali informativi, dando conto delle ragioni della
scelta.
Riferimenti normativi
art. 3, comma 5, D.Lgs. n. 251/2007
art. 8, comma 3, D.Lgs. n. 25/2008
4)
Corte di cassazione n. 10546 del 25 giugno 2012 – domanda di protezione internazionale –erronea
interpretazione del giudice di merito asserente il principio della mancata applicazione, al
procedimento di definizione della domanda, dell’art. 7 della legge n. 241/1990 – accoglimento del
ricorso di parte
E’ accolto il ricorso e, per l’effetto, l’impugnata sentenza va cassata e si dispone il rinvio alla Corte di
appello in diversa composizione. E’ esatto l’assunto di parte secondo cui l’art. 7 della legge n. 241 del 1990
dovesse trovare applicazione nella definizione della domanda di protezione internazionale essendo chiaro il
richiamo espresso operato ad esso dall’art. 18 del D.Lgs. n. 25/2008. E’ quindi errata la negatoria della sua
applicazione affermata dalla Corte di merito. Ma la conseguenza non è la nullità del provvedimento per
carenza di requisito formale ma la invalidità di una decisione che abbia puramente e semplicemente
“accettato” la acquisizione procedimentale lesiva di diritti della difesa: il vizio di omesso avviso, in realtà,
rifluisce sul diritto alla difesa.
Riferimenti normativi
art. 18, D.Lgs. n. 25/2008
5)
Tribunale di Genova del 5 dicembre 2012 – straniero coniugato con cittadina italiana – domanda
di rilascio di permesso di soggiorno per motivi familiari – diniego fondato su condanna per reati
in materia di stupefacenti – assenza del giudizio di pericolosità sociale – illegittimità del diniego
E’ illegittimo il diniego del rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari, opposto a cittadino
straniero condannato per reato di detenzione al fine di spaccio di sostanze stupefacenti. Nel caso di richiesta
del permesso di soggiorno nell’ipotesi di ricongiungimento familiare, le norme in esame non prevedono
l’applicabilità dell’automatismo pure dalle stesse stabilito, in linea generale, in presenza di condanne per i
reati in esse contemplati, occorrendo, invece, per il diniego, la formulazione di un giudizio di pericolosità
sociale che conforti la valutazione che lo straniero rappresenta “una minaccia concreta e attuale per l’ordine
pubblico o la sicurezza”, tale da rendere recessiva la valutazione degli ulteriori elementi previsti dalle norme.
Riferimenti normativi
art. 19, comma 2, lettera c), TU
art. 28, comma 1, lettera b), Regolamento
6)
Consiglio di Stato n. 132 del 14 gennaio 2013 – emersione 2009 – diniego motivato dalla presenza
di un decreto penale di condanna per il reato ex art. 648 c.p. – omessa valutazione degli apporti
partecipativi forniti dalla parte – applicazione dei principi affermati dalla Corte costituzionale
con sentenza n. 172/2012 – illegittimità del diniego
E’ accolto l’appello di parte e, in riforma della sentenza impugnata, deve disporsi l’annullamento del diniego
d’emersione, fatto discendere dall’Amministrazione sulla scorta di un decreto penale di condanna per il reato
di cui all’art. 648 c.p. Ha errato l’Amministrazione nel non tener conto della volontà dell’interessato,
esplicitata in sede di controdeduzioni alla comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, di
voler richiedere al Tribunale la rimessione in termini per l’opposizione del decreto penale da essa ritenuto
ostativo al perfezionamento della procedura di emersione. Tale modus procedendi confligge da un lato con la
ratio sottesa all’istituto di cui all’art. 10 bis della legge n. 241/1990, che configura un rapporto di leale
collaborazione tra privato ed Amministrazione, il quale implica che il destinatario del provvedimento sia
messo nelle condizioni di poter eventualmente rimuovere il motivo ostativo all’accoglimento dell’istanza
presentata; dall’altro confligge con l’orientamento giurisprudenziale, secondo il quale, proprio con
riferimento alla materia dell’immigrazione, l’oggetto dei giudizii tende ad estendersi alla pretesa sostanziale
posta a base dell’impugnazione, cosicché devono essere sempre valutate anche le sopravvenienze favorevoli.
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Inoltre, per effetto della pronuncia di incostituzionalità disposta con sentenza n. 172/2012, il contestato
diniego ha perso il proprio parametro legislativo di riferimento, stante l’efficacia retroattiva delle pronunce di
illegittimità costituzionale rispetto ai rapporti non ancora definiti. Ne deriva, pertanto, che i provvedimenti
emanati sulla base di una disposizione dichiarata costituzionalmente illegittima nel corso del giudizio
d’impugnazione devono essere annullati.
Riferimenti normativi
art. 1 ter, comma 13, lettera c), legge n. 102/2009
7)
Consiglio di Stato n. 19 del 7 gennaio 2013 – permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti –
revoca incentrata su sentenza penale per reato in materia di stupefacenti – assenza del giudizio di
pericolosità sociale – illegittimità della revoca
E’ accolto l’appello di parte e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, deve essere annullato il
provvedimento di revoca del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, adottato sulla
scorta di una sentenza penale per reati inerenti gli stupefacenti. Contrariamente a quanto affermato dal TAR,
il provvedimento impugnato in primo grado non è adeguatamente motivato - alla luce degli artt. 5, comma 5,
secondo periodo e 9, commi 7, lettera c), 10 e 11 del D.Lgs. n. 286/1998 – e anzi risulta adottato in espressa
violazione di tutte le disposizioni che impongono di considerare la situazione familiare dello straniero, la
durata del soggiorno in Italia e il suo radicamento sociale e lavorativo. Non si fa infatti alcun riferimento nel
provvedimento alla attuale situazione del nucleo familiare, al pregresso ricongiungimento, mentre la durata
del soggiorno e il radicamento sociale e lavorativo vengono utilizzate contra legem – e cioè seguendo una
ratio esattamente opposta a quella propria della legge – come circostanze a sfavore dello straniero, in quanto
considerate aggravanti del comportamento sanzionato con la condanna.
Riferimenti normativi
art. 9, comma 7, lettera c), TU
8)
TAR Lazio n. 287 del 14 gennaio 2013 – domanda di rilascio del primo permesso di soggiorno per
motivi di lavoro subordinato – rigetto motivato dalla pregressa espulsione accompagnata alla
mancata autorizzazione ministeriale al reingresso – mancata rideterminazione
dell’Amministrazione alla luce della disciplina sopravvenuta – illegittimità del diniego
E’ accolto il ricorso avverso il diniego del rilascio del primo permesso di soggiorno per motivi di lavoro
subordinato, assunto sulla base di una pregressa espulsione accompagnata alla mancata autorizzazione
ministeriale al reingresso. Come più volte affermato dal Consiglio di Stato in casi analoghi di
sopravvenienze normative recanti una disciplina più favorevole, è opportuno che l’Amministrazione si
ridetermini sull’istanza del ricorrente alla luce della disciplina sopravvenuta, soprattutto al fine di potergli
consentire di chiedere la revoca del divieto di reingresso dimostrando di aver spontaneamente ottemperato al
decreto di espulsione. Infatti, non si può ritenere ostativo alla applicazione della disciplina sopravvenuta la
circostanza che all’epoca l’espulsione del ricorrente fu disposta mediante accompagnamento alla frontiera
per mezzo della forza pubblica. Peraltro, la circostanza che all’epoca vi fosse la previsione normativa che
sanciva l’allontanamento forzato, non sta però a significare che tutti gli allontanamenti fossero eseguiti con
tale modalità. Di fatto, solo una piccola parte delle espulsioni veniva effettivamente eseguita con lo
strumento dell’accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica poiché spesso non era possibile
individuare lo Stato di origine dell’immigrato o perché comunque non vi erano i mezzi a disposizione. Per
tale ragione non vi è certezza che l’espulsione disposta nei confronti del ricorrente mediante
accompagnamento alla frontiera sia stata effettivamente eseguita con il ricorso alla forza pubblica, essendo
anche possibile che egli sia volontariamente rimpatriato e che quindi egli possa, alla luce della sopravvenuta
disciplina, chiedere la revoca del divieto di reingresso.
Riferimenti normativi
art. 4, comma 6, TU
art. 13, commi 4, 13 e 14, TU [versione precedente]
art. 13, comma 14, TU [versione attuale]
artt. 19 e 19 bis, Regolamento
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9)
TAR Lazio n. 286 del 14 gennaio 2013 – emersione 2009 – decreto di archiviazione emesso a
seguito della mancata presentazione delle parti – infondatezza del ricorso
E’ respinto il ricorso avverso il decreto di archiviazione della pratica di emersione, adottato a seguito della
mancata presentazione delle parti all’invito di convocazione per la sottoscrizione del contratto di soggiorno.
La presentazione delle parti dinanzi allo Sportello Unico infatti, oltre a soddisfare l’esigenza di verificare
l’effettiva identità degli istanti nonché di far assolvere ai medesimi i relativi oneri di documentazione, non
surrogabili da altri, rappresenta il comportamento concludente a cui il legislatore dà preminente rilievo ai fini
della regolarizzazione del rapporto di lavoro, segnando il punto d’incontro della concorde volontà delle parti
non solo di confermare la pregressa esistenza di tale rapporto ma soprattutto della volontà di farlo emergere e
quindi regolarizzare, usufruendo della facoltà di legge. Ne consegue ineludibilmente che la mancata
presentazione del datore di lavoro non può che impedire la definizione del procedimento, con conseguente
obbligo di archiviazione e cessazione dei benefici conservativi di legge, per cui sia il datore di lavoro italiano
sia il lavoratore straniero saranno perseguibili per gli illeciti penali e amministrativi commessi per
l’instaurazione di un rapporto di lavoro in violazione delle leggi sull’immigrazione. Inoltre, va altresì fatto
presente, con particolare riferimento all’abbandono da parte del datore di lavoro, che non appare possibile
utilizzare lo strumento coercitivo di cui all’art. 2932 c.c. in considerazione della mancanza di un obbligo
giuridico alla conclusione del procedimento amministrativo “de quo”, ferma restando ovviamente le
suddette responsabilità penali ed amministrative. In conclusione, la mancata presentazione del datore di
lavoro preclude la conclusione del procedimento di emersione dall’altro espone gli interessati alle
responsabilità civili e penali conseguenti all’impiego di un soggetto straniero clandestino in un rapporto di
lavoro.
Riferimenti normativi
art. 1 ter, comma 7, legge n. 102/2009
10) TAR Lazio n. 10667 del 10 dicembre 2012 – visto d’ingresso per turismo richiesto da soggetto
minore – diniego incentrato sul rischio migratorio – insussistenza di detto rischio – illegittimità
del diniego
E’ fondato il ricorso della ricorrente avverso il diniego di visto d’ingresso per turismo, opposto alla di lei
figlia minore, dall’Ambasciata di Bogotà, sul rilievo del cosiddetto “rischio migratorio”. E’ altresì
condannata, detta Ambasciata, a rifondere le spese pari a € 750,00 oltre accessori di legge. Quanto
all’assoluta assenza di comprovate garanzie economiche nel Paese di residenza dei familiari dichiarati qui
conviventi, una volta accertato che la minore ha i mezzi per entrare e fermarsi temporaneamente in Italia,
l’Amministrazione avrebbe dovuto indicare elementi concreti, da cui desumere l’assenza di un radicamento
in Colombia della parte istante. Inoltre, atteso che la minore è studentessa iscritta ad un istituto scolastico
colombiano e convive con la famiglia, è di tutta evidenza che ella non abbia ancora un reddito proprio,
mentre resta del tutto indimostrato che la famiglia versi in tale stato di indigenza da non potersi permettere il
mantenimento della giovane: tale circostanza è stata, infatti, negata in giudizio dalla ricorrente, che ha
evidenziato come la minore possa contare anche su due zii materni con regolare attività lavorativa.
Riferimenti normativi
art. 4, commi 2 e 3, TU
art. 6 bis, Regolamento
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Sentenze interessanti – N.04/2013
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
PRIMA SEZIONE PENALE
UDIENZA PUBBLICA
0El1 7/1212012
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SEVERO CHIEFFI
Dott. MARIA CRISTINA SIOTTO
Dott. ALDO CA VALLO
Dott. RAFFAELE CA POZZI
Dott. MAURIZIO BARBARISI
- Prcs.id~nte-
- Consigliere- "'' 2<» ~ ~
- Consigliere -
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE D'APPELLO
J'RPSSO' OSt l ETi'4 PeED Q DI BOLOGNA
nei confronti di:
I)
avverso la sentenza n. 1730/2008 TRIBUNALE di MODENA, del
11 /02/2010
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA dell7/ 12/2012 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ALDO CAV ALLO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. ~ ~,
chehaconcl~oper t'\•~&wu·tF~~ ~ \tt...M.<> J.«.L
~ ~~~,~~-
')
Uditi difensor Avv.
5/64
,j
...J.UJ'1/J.()Jj_-
• Consigliere - REGISTRO GENERAI, E
-Rei. Consigliere- N. 3049612012
ha pronunciato la seguente
Udito, per la parte civile, l'Avv
St"NT~NZA
N•
Sentenze interessanti – N.04/2013
Ritenuto In fatto
1. Con sentenza In data 11 febbraio 2010 Il THbunale monocratlco di
Modena, per quanto ancora rileva nel presente gludlz,lo di legittimità, ha
assolto Il cittadino straniero
lal reato di cui all'art. 650 cod.
pen., perché Il fatto non sussiste.
I fatti quali ricostruiti In sentenza sono l seguenti: Il 20 marzo 2007
componenti del nucleo carabinieri dell'Ispettorato del lavoro di Modena,
Identificavano una persona di nazionalità straniera che risultava privo di
pennesso di soggiorno, Il quale, dopo aver declinato false generalità,
Gli accertamenti sulle esatte
ammetteva di chiamarsi
generalità dell'uomo tennlnavano In un orario In cui l'ufficio stranieri della
Questura era chiuso, per cui 1 militari gli consegnavano un biglietto di
Invito a presentarsi Il giorno dopo presso Il predetto ufficio, per
regolarlzzare la sua posizione sul territorio dello Stato, con l'avvertenza
che In caso di Inosservanza sarebbe stato punito al sensi dell'art. 650 cod.
pen ..
Riteneva Il tribunale che essendo l'art. 650 nonna penale In bianco, di
carattere sussidiario, essa può operare solo quando la violazione del
provvedimento dell'autorità non trova nell'ordinamento la sua specifica
sanzione, non necessariamente di carattere penale, ed In particolare non
opera quando l'ordine sia munito di un proprio meccanismo di tutela.
Richiamava, quindi, In relazione all'lnottemperanza all'Invito dato
dall'autorità di pubblica sicurezza allo straniero di presentarsi presso
l'ufficio di polizia volto a procedere all'espulsione dal territorio dello Stato,
la giurisprudenza di legittimità che di recente si era espressa escludendone
la rlcondudbllttà alla fattispecie sanzionata penalmente dalflart. 6So cod.
pen •. Condudeva che, alla luce della obiettiva condizione dell'Imputato e
delle affennazlonl rese In dibattimento dall'appuntato capozza, era
indubbio che l'Invito rivolto a
fosse flnalt-zzato a consentire
alla Questura di dare corso all'esecuzione dell'espulslorne del soggetto dal
territorio nazionale, di qui l'assoluzione dell'Imputato dal reato ascrittogll.
2. Avverso la sentenza del THbunale di Modena ha proposto ricorso
per Cassazione il Procuratore Generale presso la Corte di appello di
Bologna il quale deduce l'erronea applicazione della leoge penale In
riferimento all'art. 650 cod. pen..
Sostiene Il PG ricorrente che la sentenza gravata si fonda su un
Indirizzo giurisprudenziale non condivisibile e contraddetto da altro
magglorltario per U quale, anche dopo l'abrogazione dell'art. 144 TUPS ad
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opera del D.LQs. n. 286 del 1998, art. 47, le for:e dell'ordine continuano
ad avere la facoltà di Invitare lo straniero a presentarsi all'autorità
competente per ragioni di pubblica sicurezza; si tratta di ordine vincolante
e pienamente legittimo la cui viOlazione Integra Il rea;to previsto dall'art.
650 cod. pen•. Più specificamente l'Invito a presentarsi per "regolarlzzare
la posizione relativa al permesso di soggiorno" ~ un tipico ordine Impartito
per
n~glonl
di sicurezza pubblica rientrando
tra queste ragioni tutte le
finalità di pubblica sicurezza sottese al contenuti normatlvl di cui al D.Lgs.
n. 286 del 1998 da cui derivino obblighi o soggezioni gravanti sul soggetto
(Sez. 1, sent. 21 .10.2005, n. 43837, PG In proc. Bledar, Rv. 232876).
Non vi è motivo di escludere, secondo Il ricorrente, dalle finalità per le
quali l'ordine di presentazione può essere Impartito la necessità d i
eseguire un prowedlmento di espulsione posto che non vi sarebbe alcuna
Illegittima surroga al potere di allontanamento del Questore; di più, nel
caso di specie l carabinieri emisero l'Invito a causa della chiusura notturna
dell'unico ufficio competente a prendere l prowedlmentl necessari ad
eseguire l'espulsione secondo le modalità previste dalla legge, dunque
legittimamente emisero l'ordine di presentazione per motM di sicurezza
pubbliCa e la lnottemperanza ad esso
è sanzionata dall'a1rt. 650 cod. pen .•
RltlltnutD In diritto
1. Secondo Il più recente Indirizzo lnterpretatlvo di questa Corte,
applicato con la sentenza gravata
e
ribadito anche In una recente
decisione non masslmata di questa seziOne prima (la n. 5058 del 2012)
relativa ad Impugnazione proposta dal Procuratore Generale presso la
Corte di appello di Bologna e che Il Colleolo condivide, «non risponde del
reato previsto dall'art. 650 cod. pen. lo straniero che non ottemperi
all'Invito a presentarsi presso un ufficio di P.S. al fini dell'espulsione dal
temtorlo nazionale, In quanto l'ordine di allontanamento del Questore e la
relativa sequenza procedlrnentale stabilita dal d. lgs. n. 286 del 1998, art.
14 non possono essere validamente surrogati da altri atti» (cass. Sez. 1,
sent. 1.4.2009, n. 19154, Rv. 230631 ; Cass. Sez. 1, sent. 1.4.2009, n.
19154, Rv.230631; Cass. Sez. 1, sent. 20.5.2010, n. 32974, Rv.248273).
Tale orientamento ermeneutico si fonda sul rilievo che la
contrawem:lone di cui all'art. 650 cod. pen., tipica norma penale In bianco
di carattere susstdlarlo, è configurabile quando Il fatto della mancata
osservanza def prowedlmento dell'autorità non sia previsto come reato da
una specifica norma owero qualora Il prowedlmento rimasto Inosservato
sia munito di un proprio meccanismo di tutela (Cass. Sez. 1, sent.
2
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14.2.2000, n. 01711, Rv. 215341 ; Cass. Sez. 1, sent. 3.3.2000,2653, Rv.
215373).
È stato quindi ribadito che la mancata osservanza deve riguardare:
- un ordfne speCifico Impartito ad un soggetto determinato, in
occasione di eventi o circostanze tali da far ritenere necessario che proprio
quel soggetto ponga In essere una certa condotta;
e
ciò per ragioni di
sk:urezza o di ordine pubblico, o di Igiene o di giustizia;
- un provvedimento adottato In relazione a situazioni non preflgurate
da alcuna previsione normativa che comporti una specifica ed autonoma
sanzione;
- un provvedimento
emesso
per ragioni di giustizia, di sicurezza, di
ordine pubblico, di Igiene che sia adottato nell'Interesse della collettività e
non di singoli soggetti.
Per provvedimento dato per "ragione di sicurezza pubblica", per quel
che attiene alla fattispecie qui cl occupa, deve Intendersi lo specifico
provvedimento ovvero ordine amminiStrativo autorizzato da una norma
giuridica a tutela della sicurezza collettiva, che sia finalizzato alla
preventiva eliminazione di situazioni pericolose per 1consociati.
3. La sentenza Impugnata ha fatto corretta applicazione del suddetti
principi ed lnvero nel caso di specie l'ordine Impartito all'Imputato dal
Carabinieri di Modena di presentarsi presso l'uffldo di Polizia era rivolto
solo a facilitare la procedura di espulsione nel suoi confronti, non a
provvedere alla tutela di specifiche ed esplicitate esigenze di sicurezza
pubblica, come peraltro Implicitamente riconosciuto dallo stesso PM
ricorrente laddove afferma che l'ordine fu Impartito per la necessità di
attivare con spedttezza la traflla burocratica connessa alla espulsione, in
caso di sussistenza del prèsUppostl.
4. Ne consegue che il ricorso deve essere rigettato.
P.Q.M.
Rigetta Il ricorso.
Cosl deciso In Roma, il 17 dicembre 2012.
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Sentenze interessanti – N.04/2013
STRANIERI
Cass. civ. Sez. I, Ord., 24-10-2012, n. 18231
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SALME' Giuseppe - Presidente Dott. MACIOCE Luigi - rel. Consigliere Dott. RAGONESI Vittorio - Consigliere Dott. DE CHIARA Carlo - Consigliere Dott. MERCOLINO Guido - Consigliere ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 5148 del R.G. anno 2009 proposto da:
A.E.E. domiciliato in ROMA, Viale Carso 23 presso l'Avvocato SALERNI Arturo
del Foro di Roma che lo rappresenta e difende per procura a margine;
- ricorrente contro
Ministro dell'Interno;
- intimato avverso la sentenza n. 10 del 2.2.2009 della Corte di Appello di Trieste;
udita la relazione della causa svolta nella c.d.c. del 28.09.2012 dal Consigliere
Dott. Luigi MACIOCE;
presente il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PRATIS
Pierfelice, che ha concluso per il rigetto.
9/64
Sentenze interessanti – N.04/2013
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
La Commissione Territoriale per la Protezione Internazionale di Gorizia con
decisione 18.2.2008 respinse la domanda di protezione proposta dal cittadino
(OMISSIS) A.E.E. - che sosteneva di essere stato fatto segno ad atti
persecutori della setta Confraternity Bucania in quanto cristiano e di diversi
orientamenti accademici e di essere stato anche seriamente ferito ad una
gamba - e l'interessato propose ricorso a Tribunale deducendo che il governo
nigeriano era complice in tale diffusa repressione. Con sentenza 12.8.2008 il
Tribunale di Trieste respinse il ricorso per inadeguatezza del quadro probatorio
offerto ed il cittadino (OMISSIS) propose reclamo alla Corte di Trieste. La Corte
di merito, con sentenza 29.1.2009 ha rigettato il reclamo osservando che esclusa la sussistenza di una sfera di protezione propria del diritto di asilo che
fosse diversa da quella assicurata dalla legge nazionale a presidio del diritto
alla protezione internazionale - le allegazioni afferenti la mancanza di tutela dei
diritti umani in Nigeria erano, in difetto di allegazione e prova, assolutamente
generiche, che emergeva solo l'allegazione del fatto noto e cioè della esistenza
di accesi scontri civili e di instabilità nel paese, che nulla collegava quel quadro
al richiedente protezione salvo atti non tradotti e una nota ospedaliera non
indicativa, che l'azione delle sette e dei gruppi non era asserito potesse
incidere sull'azione del governo, che anche l'istanza di protezione sussidiaria
era rimasta affidata a resoconti giornalistici ed a mere affermazioni afferenti
l'aggressione patita.
Per la cassazione di tale sentenza, notificata il 5.2.2009, A. E.E. ha proposto
ricorso depositato tempestivamente D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35, comma
14, articolato su tre motivi, illustrati in memoria finale.
Dopo relazione ex art. 380 bis c.p.c., depositata il 23.11.2009, il ricorso è stato
chiamato alla adunanza del 23.3.2010 ed il Collegio, con ordinanza
interlocutoria 5.8.2010, rilevato che, erroneamente essendo stata disposta la
relazione e non provvedutosi a notificare a cura della cancelleria ricorso e
decreto di fissazione di udienza al Ministero intimato, in tal senso doveva
ancora provvedersi, ha rinviato a nuovo ruolo per detto incombente.
Nessuna difesa è stata svolta dall'Amministrazione pur ritualmente intimata.
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Sentenze interessanti – N.04/2013
Motivi della decisione
Ritiene il Collegio che il ricorso, non essendo condivisibili le censure sulle quali
si fonda, debba essere rigettato.
Primo motivo: la questione, riproposta nel motivo dopo la concorde risposta
negativa data dai giudici di merito, afferisce alla autonoma configurazione di un
diritto di asilo a fondamento costituzionale ed a precettività immediata; essa
ha visto risposte offerte dalla giurisprudenza della Cassazione (tra le tante
18549 e 18940 del 2006) che, certamente, sono necessitanti di una
integrazione alle ragioni del decisum, considerando che il diritto di asilo
comprende tanto gli strumenti di protezione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007
quanto le forme di tutela "avanzata" (art. 19, comma 1) previste dal T.U. del
1998. Ma la questione è posta in modo totalmente astratto dal motivo e dal
quesito, che in nessun modo indicano quale protezione diversa ed ulteriore
rispetto a quelle invocate e denegate in sede di Commissione Territoriale e
nell'impugnazione di merito, si sarebbe potuta nella specie predicare.
Secondo motivo: con esso si censura il mancato esercizio dei poteri officiosi
nell'indagine sulle situazioni persecutorie e in particolare quelli di procedere
alla traduzione degli atti prodotti in lingua inglese. Il ricorrente lamenta in
sostanza la mancata applicazione del D.Lgs. 25 del 2008, art. 8, avendo la
Corte di merito mancato di svolgere il proprio necessario ruolo "attivo"
nell'acquisizione informativa. Il principio invocato è esatto (vd.
S.U. 7933 e 27310 del 2008, 11535- 19393 del 2009) ma la censura si regge
sulla sola affermazione del ricorrente, che omette di indicare quali dati di
contesto politico si sarebbero dovuti acquisire e non sono stati acquisiti, si che
ci si duole del mancato ricorso a informazioni meramente "esplorative". La
doglianza è pertanto inammissibile.
Terzo motivo: con esso si esso nega che, per configurare il presupposto della
protezione sussidiaria, debba essere fornita prova da parte dei richiedente di
una minaccia grave alla sua persona. Ad avviso de ricorrente la diversa
opinione della Corte di merito sarebbe in grave conflitto con la decisione della
Corte di Giustizia (C-465/07 del 17.2.2009) che, pronunziando ex art. 234
Trattato sulla interpretazione dell'art. 15 lett. C della Direttiva 2004/83/CE,
ebbe ad affermare - come non inteso dalla Corte territoriale - che la
concessione della protezione per l'esistenza di una minaccia grave ed
individuale alla vita od alla persona del richiedente non è subordinata alla
prova della sussistenza di una relazione di imputabilità o riferibilità personale
delle ragioni della minaccia.
Ritiene il Collegio che se è certamente indiscutibile la portata interpretativa del
richiamato decisum della Corte di Giustizia, è altrettanto evidente che detta
decisione, escludendo l'onere di provare la riferibilità soggettiva della minaccia
e quindi la sussistenza di un legame causale tra fattore esterno di pericolo e la
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Sentenze interessanti – N.04/2013
propria condizione soggettiva, non esclude affatto che tra il primo e la seconda
debba comunque esistere una qualsiasi relazione che faccia ragionevolmente
presumere che al rimpatrio del richiedente segua, al di là di alcuna spiegazione
"causale", il suo coinvolgimento effettivo nella situazione di pencolo.
Ma è proprio la sussistenza di tale ragionevole presunzione che la Corte di
merito ha escluso per la insussistenza dei fatti certi dai quali essa avrebbe
potuto originare (vd. pag. 7 ult.cpv.) e sui quali - semmai - avrebbe potuto
fondare iniziative di indagine ed approfondimento dei fatti.
Infatti se la valutazione dei giudice deve prendere le mosse da una versione
precisa e credibile, se pur sfornita di prova (perchè non reperibile o non
richiedibile), della personale esposizione a rischio grave alla persona od alla
vita (anche in ragione di dati solo oggettivi quali l'appartenenza a razza, sesso,
etnia, setta o quant'altro), tale premessa (si veda Cass. 2294 del 2012) è
indispensabile perchè il giudice debba dispiegare il suo intervento istruttorio ed
informativo officioso sulla situazione persecutoria addotta nel paese di origine
(Cass. 10202 de 2011).
I motivi difettano del tutto di configurare alcun errore su tale premessa
decisiva ed anzi il terzo motivo in disamina ammette espressamente che la sua
prospettazione di pericolo personale era rimasta mera affermazione generica.
Da quanto esposto segue il rigetto del ricorso senza che sia luogo a regolare le
spese, in difetto di difese dell'intimato Ministero.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
12/64
Sentenze interessanti – N.04/2013
Sentenza n. 16206 del 24 settembre 2012 Corte
di Cassazione
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 5338-2012 proposto da: *****, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE
CLODIO 12, presso lo studio dell'avvocato RESTIVO DIEGO, che lo rappresenta e difende
unitamente all'avvocato PULITO VINCENZO, giusta
procura speciale in calce al ricorso;
- ricorrente contro
COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE
INTERNAZIONALE DI CROTONE, PROCURATORE GENERALE DELLA CORTE
D'APPELLO DI CATANZARO, MINISTERO DELL'INTERNO ((OMISSIS));
- intimati avverso la sentenza n. 59/2011 della CORTE D'APPELLO di CATANZARO del 10.2.2011,
depositata il 14/02/2011;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/06/2012 dal Consigliere
Relatore Dott. MARIA ACIERNO.
E' presente il Procuratore Generale in persona del Dott. MAURIZIO VELARDI.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE
Con la sentenza impugnata, la Corte d'Appello di Catanzaro ha respinto la domanda di protezione
internazionale, già oggetto di rigetto da parte della Commissione territoriale e del Tribunale in
primo grado, proposta dal cittadino del Togo, *****.
Quest'ultimo aveva dichiarato davanti alla Commissione territoriale di essere stato arrestato nel suo
paese per complicità con il padre, attivista antigovernativo, e di essere riuscito fortunosamente a
fuggire, allontanandosi dal Togo. La Commissione ed il Tribunale avevano ritenuto che non fossero
stati forniti elementi di fatto sufficienti a verificare le modalità della persecuzione subita e le
modalità di fuga narrate. La Corte d'Appello, investita anche di motivi relativi alla nullità del
provvedimento adottato dalla Commissione per mancata traduzione del medesimo e per omessa
audizione collegiale dello straniero, riteneva:
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Sentenze interessanti – N.04/2013
a) l'audizione individuale dello straniero, in mancanza di una contestazione tempestiva della
modalità adottata, doveva presumersi che fosse stata richiesta dall'interrogando;
b) l'obbligo di traduzione previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 10, comma 4 aveva ad oggetto gli
atti del procedimento e non il testo del provvedimento finale;
c) il racconto dello straniero non è verosimile per totale assenza di prove sulle circostanze narrate.
Tale lacuna non può essere integrata da alcuno degli elementi suppletivi indicati dal D.Lgs. n. 251
del 2007, art. 3, comma 5, sia per mancanza di riscontri oggettivi (articoli di stampa o altro) della
veridicità delle dichiarazioni svolte, sia perchè la situazione del paese d'origine dello straniero,
anche secondo il sito www.viaqqiaresicuri.it, non giustifica i timori persecutori del ricorrente
essendo stata riscontrata l'abolizione della pena di morte e la istituzione di una Commissione
d'inchiesta sulle violazioni dei diritti umani perpetrate dal 1958 al 2005, data in cui sono state
indette libere elezioni. La richiesta di audizione del ricorrente in questo contesto politicogiudiziario non preoccupante è stata, di conseguenza ritenuta superflua, dal momento che anche a
fronte di una narrazione più dettagliata delle ragioni della fuga, rimane una situazione obiettiva del
paese d'origine dello straniero che non desta allarme.
Avverso questa pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il cittadino straniero affidandosi a due
motivi. Nel primo motivo è stata denunciata la carenza di motivazione della sentenza impugnata sia
in ordine all'omessa giustificazione della mancanza di credibilità delle dichiarazioni dello straniero
sia in ordine alla superficiale valutazione della situazione politica del paese di origine del
richiedente, caratterizzata invece, secondo Amnesty International, nel 2010, da condizioni inumane
di detenzione, da numerosi arresti di oppositori politici, detenuti in assenza totale di garanzie
difensive, da una forte compressione della libertà di espressione, da una situazione politica molto
incerta; da un alto numero di prigionieri politici e di coscienza. Nel secondo motivo è stata dedotta
la violazione degli art. 1 e 33 della Convenzione di Ginevra, del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 5 e
7, che definiscono le condizioni soggettive per il riconoscimento della condizione di rifugiato
politico e la nozione di atti di persecuzione, nonchè del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 che stabilisce
i criteri di credibilità soggettiva del richiedente, quando sia privo di supporti probatori oggettivi ed,
infine, l'art. 10 Cost., comma 3. Sotto il profilo della violazione delle garanzie procedimentali è
stato, inoltre, censurato l'omesso svolgimento dell'audizione davanti alla Commissione in
composizione collegiale e l'omessa traduzione del provvedimento della Commissione territoriale in
una lingua conosciuta dal richiedente, con conseguente nullità del decreto in oggetto.
Le censure relative alle violazioni delle garanzie procedimentali, da affrontare preventivamente in
ordine logico, devono essere disattese.
Sulla mancata audizione del richiedente davanti alla Commissione territoriale in composizione
collegiale, è sufficiente rilevare, da un lato, la genericità della censura in quanto non corredata della
specifica indicazione del vulnus subito dall'interessato in ordine all'insufficienza o al travisamento
delle dichiarazioni rese, dall'altro, la facoltà degli organi giurisdizionali, ove ritenuta carente la
predetta audizione, di reiterarla, ad istanza di parte o d'ufficio, se necessaria ai fini della completa
istruzione della domanda. Il pieno svolgimento di due gradi di merito conduce, pertanto, ad
escludere il rilievo autonomo del dedotto vizio, tenuto anche contro della generale portata del
principio, affermato dalla Corte di Cassazione nella pronuncia n. 12957 del 2011, ancorchè con
riferimento al giudizio davanti alla Corte di Appello, della delegabilità degli incombenti relativi
all'istruzione orale ad uno dei componenti del collegio, attualmente codificato nel novellato art. 350
c.p.c., comma 1 (comma modificato L. 12 novembre 2011, n. 183, ex art. 27, comma 1, lett. b).
Anche per il vizio di omessa traduzione del provvedimento di diniego emesso dalla Commissione
territoriale, deve procedersi ad analoga valutazione. La violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 10,
comma 4 non ha determinato alcuna compressione effettiva delle garanzie processuali e difensive
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Sentenze interessanti – N.04/2013
della parte che ha sempre tempestivamente attivato gli organi giurisdizionali competenti in modo
pieno.
Pur convenendo sull'erroneità della motivazione della sentenza di secondo grado che ha dichiarato
ingiustificatamente limitato agli atti e non al provvedimento finale l'obbligo di traduzione, in
contrasto con il consolidato orientamento della Corte di Cassazione al riguardo (Cass. 18493 del
2011 e 26480 del 2011), deve però escludersi che da tale omissione sia derivata una lesione
processuale che, comunque, deve esser puntualmente dedotta ed allegata (Cass. 24543 del 2011 ed
indirettamente 420 del 2012) e non solo genericamente dedotta.
Sono invece fondati gli altri motivi. La Corte d'appello, nel ritenere non verosimili le dichiarazioni
del richiedente relative al rischio di persecuzione nel paese d'origine, ha del tutto omesso di valutare
i criteri di credibilità soggettiva indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, essendosi
limitata ad affermare la mancanza di riscontri obiettivi, invece d'indicare le ragioni
dell'inattendibilità soggettiva del richiedente, con riferimento alle condizioni della fuga, alla
tempestività della richiesta di protezione internazionale, alla coerenza intrinseca delle dichiarazioni,
alle giustificazioni dell'assenza di documenti o prove. L'obbligo di cooperazione istruttoria che
incombe sul giudice della protezione internazionale (S.U. 27310 del 2008; 26056 del 2010) deve
riguardare, in particolare, la specifica situazione di rischio di persecuzione o di pericolo qualificato,
rappresentata dal richiedente e non genericamente ed esclusivamente la condizione generale del
paese. Nella pronuncia, tuttavia, anche l'esame del quadro politico giudiziario e delle condizioni di
sicurezza del Togo risulta del tutto carente. L'affermazione secondo la quale "il Togo è un paese
relativamente sicuro", viene desunta soltanto dal sito del Ministero degli Esteri
www.viaqgiaresicuri.it destinato ad informare turisti e cittadini stranieri che intendono recarsi nel
paese oggetto d'indagine. A questa indicazione viene aggiunto che è stata abolita la pena di morte,
che è stata istituita una commissione d'inchiesta per le violazioni dei diritti umani perpetrate dal
1958 al 2005 e che sono state indette libere elezioni nel 2005, al termine di una dittatura. Per queste
ulteriori informazioni la fonte citata è Amnesty International. Manca un preciso riferimento
cronologico alla situazione attuale come richiesto dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett.
a), secondo il quale l'esame della domanda di protezione internazionale prevede la valutazione di
tutti i fatti pertinenti che riguardano il paese d'origine al momento dell'adozione della decisione.
Non risulta, in particolare, dalla motivazione della sentenza, che le informazioni poste a base della
decisione siano state assunte, secondo le modalità indicate dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, ovvero
in virtù di dati aggiornati, richiesti e trasmessi dalla Commissione Nazionale sul diritto d'asilo (se
non già reperibili in atti nel fascicolo della Commissione territoriale), i quali si fondano su fonti
ACHNUR o del Ministero degli Esteri, così come recentemente stabilito da questa Corte nella
pronuncia n. 10202 del 2011, così massimata: "Ai fini dell'accertamento della fondatezza di una
domanda di protezione internazionale, il giudice di merito non può poggiare la propria valutazione
sulla esclusiva base della credibilità soggettiva del richiedente, essendo tenuto, ai sensi del D.Lgs.
28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, ad un dovere di cooperazione che gli impone di accertare
la situazione reale del paese di provenienza mediante l'esercizio di poteri-doveri officiosi d'indagine
e di acquisizione documentale, peraltro derivanti anche dall'adozione del rito camerale, in modo che
ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul paese di origine del
richiedente asilo che la Commissione Nazionale, ai sensi del comma 3, art. 8 sopra citato, fornisce
agli organi giurisdizionali chiamati a pronunciarsi su impugnazioni di decisioni negative".
La richiesta e l'adozione delle fonti indicate dal citato art. 8 non ha, peraltro, carattere esclusivo, ben
potendo essere integrata da informazioni assunte, anche via web, attraverso altri canali
d'informazione ma non può essere sufficiente, senza neanche aver dato conto dell'attivazione dei
canali informativi previsti dalla legge, il riferimento a dati, cronologicamente generici e desunti da
fonti riguardante categorie di soggetti, come i turisti od i cittadini stranieri, non comparabili con i
richiedenti la protezione internazionale.
15/64
Sentenze interessanti – N.04/2013
Il ricorso deve, in conclusione essere accolto, essendo state violate le norme relative alle modalità di
accertamento dei fatti posti a base della domanda di protezione internazionale ed essendo risultata
carente la motivazione relativa alla credibilità soggettiva ed alle condizioni oggettive del paese
d'origine dello straniero. La pronuncia deve essere cassata con rinvio alla Corte d'Appello di
Catanzaro, in diversa composizione, che dovrà attenersi al seguente principio di diritto: nell'esame
delle dichiarazioni del richiedente una misura di protezione internazionale la valutazione della
credibilità soggettiva del richiedente deve essere svolta alla stregua dei criteri stabiliti nel D.Lgs. n.
251 del 2007, art. 3, comma 5 (verifica dell'effettuazione di ogni ragionevole sforzo per
circostanziare la domanda; la deduzione di un'idonea motivazione sull'assenza di riscontri oggettivi;
la non contraddittorietà delle dichiarazioni rispetto alla situazione del paese; la presentazione
tempestiva della domanda; l'attendibilità intrinseca), e non sulla base della mera mancanza di
riscontri oggettivi, dando conto del loro scrutinio e l'acquisizione delle informazioni sul contesto
socio politico del paese di rientro deve avvenire in correlazione con i motivi di persecuzione o di
pericolo dedotti, sulla base delle fonti d'informazione indicate nel D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8,
comma 3, ed in mancanza, o ad integrazione di esse, mediante l'acquisizione di altri canali
informativi, dando conto delle ragioni della scelta.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso. Cassa e rinvia anche per le spese del presente giudizio alla Corte d'Appello di
Catanzaro in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 26 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria
il 24 settembre 2012
16/64
Sentenze interessanti – N.04/2013
COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA - STRANIERI
Cass. civ. Sez. VI - 1, Ord., 25-06-2012, n. 10546
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SALME' Giuseppe - Presidente Dott. MACIOCE Luigi - rel. Consigliere Dott. BERNABAI Renato - Consigliere Dott. DOGLIOTTI Massimo - Consigliere Dott. RAGONESI Vittorio - Consigliere ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 27858 del R.G. anno 2011 proposto da:
G.M.A. domiciliato in ROMA, Via Valadier 39 presso l'avv. PRECENZANO
Francesco con l'Avvocato Angela Rita Forte del Foro di Cosenza che lo
rappresenta e difende per procura a margine del ricorso;
- ricorrente contro
Ministero dell'Interno, dom.to in Roma Via dei Portoghesi 12 presso
l'Avvocatura Generale dello Stato che lo rappresenta e difende per legge;
- controricorrente avverso la sentenza 15.07.2011 della Corte di Appello di Roma; udita la
relazione della causa svolta nella c.d.c. del 29.05.2012 dal Consigliere Dott.
17/64
Sentenze interessanti – N.04/2013
Luigi MACIOCE; presente il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale
Dott. Pasquale Figiani.
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
G.M.A., cittadino del (OMISSIS), giunto sul territorio italiano il 21.11.2008
richiese la protezione internazionale sull'assunto di essere di confessione
musulmana ed appartenente alla etnia (OMISSIS), invisa al predominante
gruppo etnico dei (OMISSIS), e di essere stato gravemente vessato,
minacciato e quindi espulso perchè perseguitato da un esponente del gruppo
dominante anche per le sue attenzioni dimostrate verso la figlia di costui.
Ristretto nel Centro di (OMISSIS) ed ascoltato dalla Commissione Territoriale
di Roma il 25.2.2009, il G. si vide respingere tutte le domande e propose
quindi ricorso al Tribunale di Roma, chiedendo il riconoscimento dello status di
rifugiato, della protezione sussidiaria o infine del diritto al rilascio di un
permesso umanitario. Il Tribunale con sentenza 19.4.2010 respinse il ricorso
ed il G. propose tempestivo reclamo innanzi alla Corte di Roma, rinnovando la
richiesta di audizione personale, l'istanza di assunzione di informazioni, la
richiesta di eventuale CTU, ma la Corte adita, con sentenza 15.7.2011, ha
rigettato il reclamo affermando, per quel che rileva, che al procedimento non
era applicabile la L. n. 241 del 1990, art. 7, e che nel merito andava condivisa
la valutazione negativa fatta dal primo giudice, essendo stata sottoposta una
vicenda soltanto personale e non essendo stati allegati dati e fatti sulla pretesa
conflittualità tra etnie (OMISSIS) in grado di giustificare il ricorso alle iniziative
istruttorie officiose della Corte stessa.
Per la cassazione di tale sentenza il G. ha proposto ricorso notificato il
10.11.2011 con tre motivi ai quali ha resistito l'Amministrazione dell'Interno
con controricorso del 14.12.2011.
Il Presidente ha fissato udienza al 29.5.2012 disponendo che la cancelleria
provvedesse alle notifiche D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35, comma 14.
Motivi della decisione
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Sentenze interessanti – N.04/2013
Devesi in primo luogo ritenere tempestivo il deposito del ricorso. Ed infatti a
danno del ricorrente non può operare il termine di decadenza di 30 giorni dalla
notifica della sentenza di appello di cui al vigente D.Lgs. n. 25 del 2008, art.
35, comma 14 (sentenza notificata l'8.9.2011 e ricorso depositato, dopo la
indebita notifica, il 30.11.2011): posto che la sentenza 15.7.2011 è stata bensì
notificata a cura della cancelleria ma non nel suo testo integrale ma solo nella
pagina 3, contenente il dispositivo, non è stato rispettato il sopra richiamato
termine di legge e la difforme attività notificatoria è da ritenersi inidonea a far
decorrere il termine breve de quo (Cass. 10204 del 2011), con la conseguenza
della piena applicazione del termine annuale residualmente operante.
Primo motivo; lamenta la mancata applicazione, per erronea esclusione del suo
richiamo, della L. n. 241 del 1990, art. 7. La censura è fondata. E' esatto
l'assunto per i quale l'art. 7, dovesse trovare applicazione nella definizione
della domanda d protezione essendo chiaro il richiamo espresso operato ad
esso del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 18. E' quindi errata la negatoria della sua
applicazione affermata dalla Corte di merito. Ma la conseguenza non è la nullità
del provvedimento per carenza di requisito formale ma la invalidità di una
decisione che abbia puramente e semplicemente "accettato" la acquisizione
procedimentale lesiva di diritti della difesa: il vizio di omesso avviso, in realtà,
rifluisce sul diritto alla difesa (come affermato, per la non dissimile ipotesi
dell'obbligo di procedere alla traduzione degli atti nei corso del procedimento di
protezione, da Cass. 26480 e 24544 del 2011). Nella specie il ricorso è del
tutto autosufficiente nell'affermare che avrebbe potuto, ove avvisato, produrre
alla C.T. documentazione di rilievo, proprio quella documentazione che a pag.
3 della sentenza di appello si afferma non essere reperibile in atti.
Secondo motivo: lamenta la sommaria valutazione di carenza di allegazioni
sufficienti a fondare l'iniziativa officiosa. La censura va collegata a quella di cui
sopra e va fatta applicazione dei principi posti dalle SU. 27310 del 2008 e da
Cass. 10202 del 2011 e 17576-26056 del 2010. In questo quadro il motivo è
da considerarsi fondato, posto che l'iniziativa officiosa e "collaborativa" del
giudice che disamini una disattesa domanda di protezione internazionale, ben
può essere negata le volte in cui le prospettazioni documentali ed orali del
richiedente protezione siano di tale implausibilità da rendere inutile l'iniziativa
stessa, ma non può essere negata le volte in cui il richiedente protezione, per
violazione della norma su procedimento di cui al precedente motivo, non abbia
potuto ragionevolmente formulare alcuna produzione o deduzione, vieppiù se
tale omissione neanche sia stata emendata con la proposizione dei fatti in sede
di audizione innanzi al giudice (neanche tale audizione essendo stata disposta).
Terzo motivo: esso denunzia ut supra la illogicità della motivazione e, per
quanto di ragione, deve essere accolto.
Si cassa l'impugnata sentenza e si rinvia allo stesso Ufficio perchè - dando
ingresso ed esaminando le allegazioni e deduzioni dell'interessato precluse
dalla violazione commessa innanzi alla Commissione Territoriale e se del caso
avvalendosi dei suoi poteri informativi - formuli nuova valutazione e
conclusivamente regoli anche le spese del giudizio di legittimità.
19/64
Sentenze interessanti – N.04/2013
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa l'impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti e
rinvia - anche per le spese - alla Corte di Appello di Roma in diversa
composizione.
20/64
Sentenze interessanti – N.04/2013
.
•
IL TRIBUNALE DI GENOVA
SEZIONE X CIVILE
li Giudice monocratico; in persona della dott.ssa Giovanna Cannata
Provvedendo sul ricorso presentato ai sensi degli artt. 30 c. 6 della 286/98 e 702 bis
c.p.c.
da
, rappresentato e difeso dali' avv. Alessandra Ballerini
contro
Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura distrettuale
dello Stato
per l'annullamento del provvedimento del Questore di Genova del 30/05/2012, di
diniego del rilas()!Q_g~Lp_~esso__dLsoggicmo p& motivi-fanligliari; poklré n:
· riSiilta-coiìdìilliiato dalTribunale di Livorno i::orisentenza in data 211212011 per il
reato di detenzione al fine di spaccio di sostanze stupefacenti, per fatti commessi in
data 6/l 0/2007 e 24/1012007 alla pena di anni uno e mesi nove di reclusione;
Letti gli atti e sentiti i difensori, a scioglimento della riserva assunta all'udienza del
15/1112012,
Considerato che le circostanze di fatto non sono controverse tra le parti e, in
particolare che:
• il
è entrato clandestinamente in Italia almeno dal 2007;
• a carico del ricorrente risulta la condanna non defmitiva sopra menzionata nonché
condanne per altri reati commessi in violazione della lege sull'immigrazione;
• in data 22/9/2011 ha contratto matrimonio con la cittadina italiana
con la quale risulta residente;
• il ricorrente sostiene la illegittimità del provvedimento impugnato poiché,
nonostante la condanna riportata la valutazione di pericolosità per l'ordine pubblico
non può essere automaticamente presunta dalla legge, ma, l'ultimo periodo del
comma 3 dell'art. 4 del dlgs 286/98, prevede che debba essere oggetto di un
accertamento in concreto, allorché il permesso di soggiorno venga richiesto per il
ricongiungimento famigliare sussistente per la convivenza con la moglie italiana
presso l'abitazione ove entrambi risultano risiedere anagraficamente;
• tale assunto deve essere condiviso: invero, la Corte di Cassazione (Sez. l, Ordinanza n.
8795 de/15104120 Il e successive conformi) con recente e univoco orientamento ha statuito
che "Per effetto delle modifiche introdotte, con il d.lgs. 8 gennaio 2007, n. 5, agli artt. 4,
comma 3 e 5, comma 5 (cui è stato anche aggiunto il comma 5 bis) del d.lgs. 25 luglio 1998,
n. 286, in caso di richiesta di rilascio del pennesso di soggiorno per motivi di coesione
familiare non è più prevista l'applicabilità de! meccanismo di automatismo espulsivo, in
precedenza vigente, che scattava in virtù della sola condanna del richiedente rer i reati
identificati dalla nonna (nella srecie, in materia di stupefacenti), sulla base di una
l
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Sentenze interessanti – N.04/2013
valutazione di pericolosità sociale effettuata "ex ante" in via legislativa, occorrendo, invece,
per il diniego, la fonnulazione di un giudizio di pericolosità sociale effettuato in concreto, il
quale induca a concludere che lo straniero rappresenti una minaccia concreta ed attuale per
l'ordine pubblico e la sicurezza, tale da rendere recessiva la valutazione degli ulteriori
elementi di valutazione contenuti nel novellato art. 5, comma 5 del d.lgs. n. 286 del 1998 (la
natura e la durata dei vincoli fiuniliari, resistenza di legami familiari e sociali con il paese
d'origine e, per lo straniero già presente nel territorio nazionale, la durata del soggiorno
pregresso)", con la conseguenza che è onere dell'autorità amministrativa e, successivamente,
dell'autorità giurisdizionale, al fine di non incorrere nel vizio di motivazione, di esplicitare le
ragioni della pericolosità sociale, alla luce dei parametri nonnativi sopra evidenziati";
• pertanto, nel caso di richiesta del pennesso di soggiorno nell'ipotesi di ricongiungimento
familiare, le nonne in esame non prevedono l'applicabilità dell'automatismo pure dalle stesse
stabilito, in linea generale, in presenza di condanne per i reati in esse contemplati, occorrendo
invece, per il diniego, la fonnulazione di un giudizio di pericolosità sociale che conforti la
valutazione che lo straniero rappresenta <<una minaccia concreta e attuale per l'ordine
pubblico o la sicurezza>>, tale da rendere recessiva la valutazione degli ulteriori elementi
previsti dalle nonne;
• d'altra parte, alla luce dei principi espressi, deve altresì escludersi che il
ricongiungimento familiare debba prevalere con mero automatismo, anche in presenza delle
condanne previste dalle ·disposizioni perchè, invece, in presenza dei presupposti che
fonderebbero il diritto al ricongiungimento familiare, la sussistenza di condanne ostative può
bene legittimare il diniego di rilascio o rinnovo del pennesso di soggiorno;
~e~···ne!inp~te·l'Ailmrità.àiliii!Uiislriitìviì Jia
a so~te~o·· d~Ila
IJ.ella
in cui ha richiamato non salo la condanna
pericolosità .socia.Ié del
per reato ostativo previsto dall'art. 4, comma 3, TU circostanziando le modalità della
condotta e la gravità dei fatti contestati, ma anche ponendo in dubbio l'effettiva
convivenza con la moglie italiana;
• nella specie, alla luce degli atti, deve ritenesi che effettivamente non possa essere
esclusa, sulla base degli accertamenti degli operanti, la effettiva convivenza dei
, non trovato nella casa al primo accesso, veniva ivi
coniugi, in quanto il
rinvenuto nel secondo accesso in orario serale;
• risulta, inoltre, che lo stesso, seppure non ancora inserito nel mondo lavorativo, ha
comunque iniziato a svolgere una attività di volontariato nell'ambito di un
procedimento di Sorveglianza, si è sposato, e cambiando luogo di residenza (da
Livorno a Genova) ha interrotto i contatti con il mondo della criminalità che hanno
portato alla condanna sopra indicata;
• peraltro si tratta di condanna piuttosto risalente nel tempo, non risultano altri
procedimenti pendenti a suo carico, ed in relazione alla quale è stata riconosciuta la
attenuante del fatto di non rilevante gravità, con la conseguenza che non riulta che il
fosse inserito in maniera stabile in una organizzazione criminale;
• infine, risulta né è contestato che vivano a Genova due fratelli del ricorrente, i
quali svolgono regolare attività lavoraiiva;
• da tutti tali elementi deve escludersi una valutazione di pericolosità per l'ordine
pubblico in concreto dello straniero ricorrente;
• pertanto il ricorso deve essere accolto relativamente alla richiesta di annullamento del
prowedimento, dovendo la situazione
essere ripresa in considerazione dalle
competenti autorità amministrative, non avendo questo giudice competenza ad emettere
ulteriori provvedimenti;
• in considerazione dell'oggetto della domanda e della necessità del vaglio del
giudice ricorrono giusti motivi per la compensazione delle spese di giudizio
parte
2
22/64
espi!citaioje .ragioni. .
Sentenze interessanti – N.04/2013
P.Q.M.
In accoglimento del ricorso proposto da
ANNULLA il provvedimento del Questore di Genova del 30/5/2012 di diniego del
rihtscio del permesso di soggiorno per motivi famigliari;
compensate le spese.
Così deciso il4 dicembre 2012
Dott.
3
23/64
Sentenze interessanti – N.04/2013
N. 00132/2013REG.PROV.COLL.
N. 03713/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3713 del 2011, proposto da:
rappresentato e difeso dagli avv.ti Roberto Fontana e Massimo
Auditore ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv.
Stefano Parretta, in Roma, viale Mazzini, 123,
contro
Prefettura
in
della
Provincia
persona
del
di
Prefetto
Genova,
p.t.,
costituitasi in giudizio, ex lege rappresentata e difesa dall’Avvocatura
Generale dello Stato e domiciliata presso gli ufficii della stessa, in
Roma, via dei Portoghesi, 12,
nei confronti di
24/64
Sentenze interessanti – N.04/2013
Giordano
Francesca,
non costituitasi in giudizio,
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LIGURIA - SEZIONE II n. 00135/2011,
resa tra le parti, concernente rigetto istanza di emersione dal lavoro
irregolare.
Visto il ricorso, con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Ufficio Territoriale del
Governo di Genova;
Visto che non si è costituita in giudizio la cointeressata evocata;
Vista l’Ordinanza n. 2622/2011, pronunciata nella Camera di
Consiglio del giorno 17 giugno 2011, di accoglimento della
domanda di sospensione dell’esecuzione della sentenza appellata;
Visti gli atti tutti della causa;
Data per letta, alla pubblica udienza del 30 novembre 2012, la
relazione del Consigliere Salvatore Cacace;
Udito, alla stessa udienza, l’avv. Paola Saulino dello Stato per
l’Amministrazione appellata, nessuno essendo ivi comparso per
l’appellante;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
Con la sentenza impugnata il Tribunale Amministrativo Regionale
per la Liguria ha respinto il ricorso proposto dall’odierno appellante,
cittadino extracomunitario, avverso il provvedimento di reiezione
dell’istanza di regolarizzazione del rapporto di lavoro subordinato
domestico presentata dal datore di lavoro ex art. 1-ter della legge n.
25/64
Sentenze interessanti – N.04/2013
102/2009, adottato dal Dirigente dello Sportello Unico per
l’Immigrazione presso la Prefettura della Provincia di Genova sul
presupposto della esistenza a suo càrico di un decreto penale di
condanna per il reato di cui all’art. 648 c.p., ostativo al
conseguimento della emersione ai sensi dell’art. 1-ter, comma 13,
della legge n. 102/2009.
Con sentenza succintamente motivata il T.A.R. ha in particolare
rilevato “che il reato commesso dal ricorrente osta all’accoglimento
del ricorso”.
Con unico motivo di impugnazione il ricorrente denuncia come né
l’Amministrazione né il Giudice di primo grado abbiano tenuto
conto del fatto ch’egli “avendo appreso dell’esistenza di tale decreto
penale solo a seguito dell’emersione, ha immediatamente proposto
istanza di rimessione in termini al Giudice competente ( GIP
Tribunale Savona ), per opporre il detto decreto”; non ci si
troverebbe, invero, a suo avviso, “di fronte ad una sentenza di
condanna, perché, ammesso e non concesso che ai sensi di legge il
decreto penale sia equiparabile ad una sentenza, è comunque
incontestabile che il decreto penale, una volta opposto, viene
revocato e si instaura un giudizio ( ordinario o speciale ), solo
all’esito del quale vi sarà, eventualmente, sentenza di condanna”.
Si è costituito in giudizio, senza peraltro formulare difese, l’Ufficio
Territoriale del Governo di Genova.
Non si è costituita in giudizio la cointeressata datrice di lavoro.
Con nota depositata in data 16 novembre 2012 la Prefettura di
Genova – Ufficio Territoriale del Governo, premesso di aver
provveduto alla revoca in autotutela del predetto proprio
26/64
Sentenze interessanti – N.04/2013
provvedimento di rigetto, chiede che venga dichiarata la cessazione
della materia del contendere.
La causa è stata chiamata e trattenuta in decisione alla udienza
pubblica del 30 novembre 2012.
Va, preliminarmente, escluso che il sopravvenuto provvedimento di
ritiro adottato dall’Amministrazione valga a consentire una
pronuncia di cessazione della materia del contendere, in quanto lo
stesso ( del quale non è nemmeno chiara la decorrenza ex tunc od
ex nunc ) non garantisce comunque all’interessato la definitiva
acquisizione del bene della vita, cui egli aspira.
L’interesse alla coltivazione del gravame dunque permane, anche ai
sensi e per gli effetti di cui all’art. 34, comma 3, c.p.a.
Ciò posto, il ricorso è fondato e va accolto.
Ha errato, invero, l’Amministrazione nel non tener conto della
volontà dell’interessato, esplicitata in sede di controdeduzioni alla
comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, di
voler richiedere al Tribunale di Savona la rimessione in termini per
l’opposizione del decreto penale da essa ritenuto ostativo al
perfezionamento della procedura di emersione ( opposizione poi
effettivamente proposta all’incirca due mesi dopo a seguito di rituale
rimessione in termini e tale quanto meno da sospendere
l’esecuzione del decreto stesso fino alla sua revoca da pronunciarsi
nel giudizio conseguente all’opposizione ).
Infatti, tale modus procedendi confligge da un lato con la ratio
sottesa all'istituto di cui all'art. 10-bis della legge 7 agosto 1990, n.
241, che configura un rapporto di leale collaborazione tra privato ed
Amministrazione, il quale implica che il destinatario del
27/64
Sentenze interessanti – N.04/2013
provvedimento sia messo nelle condizioni di poter eventualmente
rimuovere il motivo ostativo all'accoglimento dell'istanza presentata
( l’atto di opposizione, com’è generale opinione, si configura come
gravame puro - traducendosi in una mera richiesta di giudizio da
svolgersi nel contraddittorio delle parti, secondo le peculiarità dei
varii riti previsti dalla legge processuale – in presenza del quale il
decreto penale di condanna non diviene esecutivo – o, se divenuto
esecutivo per mancanza di rituale opposizione nei termini, perde poi
tale sua caratteristica a seguito della rimessione in termini per la
proposizione dell’opposizione – sì da non poter costituire valido
vincolo per l’attività amministrativa, né poter essere equiparato ad
una pronuncia di condanna, che concretizza quell’esigenza di
accertamento
della
colpevolezza,
demandata,
in
caso
di
proposizione dell’opposizione, al solo giudizio ad essa conseguente
); dall'altro confligge con l'orientamento giurisprudenziale. secondo
il quale, proprio con riferimento alla materia dell'immigrazione,
l'oggetto dei giudizii tende ad estendersi alla pretesa sostanziale
posta a base della impugnazione (si veda, per tutte, la decisione del
Consiglio di Stato 7 giugno 2006, n. 3412, espressamente citata
dall'ordinanza della Corte Costituzionale 27 aprile 2007, n. 143),
cosicché devono essere sempre valutate anche le sopravvenienze
favorevoli ( il principio è peraltro codificato, anche se con riguardo
al solo permesso di soggiorno, all'art. 5, comma 5, del D. lgs. 25
luglio 1998, n. 286 ).
In tale contesto è evidente, peraltro, che, come sopra evidenziato, il
diniego oggetto del giudizio è stato adottato sul presupposto
dell’automatismo della condanna per uno dei reati previsti dagli
28/64
Sentenze interessanti – N.04/2013
articoli 380 e 381 del codice di procedura penale; e ciò ai sensi
dell’art. 1-ter, comma 13, lett. c), della legge n. 102 del 2009, che
tuttavia è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla Corte
costituzionale con sentenza n. 172/2012 proprio nella parte in cui fa
derivare automaticamente il rigetto della istanza di regolarizzazione
del lavoratore extracomunitario dalla pronuncia nei suoi confronti
di una sentenza di condanna per uno dei reati previsti dall'art. 381
del codice di procedura penale, senza prevedere che la pubblica
amministrazione provveda ad accertare che il medesimo rappresenti
una minaccia per l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato.
A ciò consegue che, per effetto della suddetta pronuncia di
incostituzionalità, il contestato diniego ha perso il proprio
parametro legislativo di riferimento, stante l'efficacia retroattiva (per
il combinato disposto dell'art. 136 della Costituzione e dell'art. 30
della legge 11.3.1953, n. 87) delle pronunce di illegittimità
costituzionale rispetto ai rapporti non ancora definiti.
Secondo, invero, il consolidato indirizzo della giurisprudenza, la
declaratoria di illegittimità costituzionale di una disposizione
legislativa si riflette sull'atto adottato in applicazione della medesima,
rendendo tale atto illegittimo sin dall'origine e quindi annullabile, a
meno di intervenuta inoppugnabilità del medesimo per situazioni
giuridiche oramai consolidatesi per esaurimento dei relativi effetti,
ovvero per decorso dei termini di impugnazione, per intervenuta
prescrizione, per legittimità dichiarata con sentenza passata in
giudicato ( cfr., ex multis, C.d.S., sez. IV, 5.3.2008, n. 934; sez. V,
15.2.2007, n. 652; sez. VI, 25.6.2008, n. 3212 ); situazioni, queste,
nessuna delle quali si verifica ovviamente quando, come nel caso
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Sentenze interessanti – N.04/2013
all’esame, siano stati ritualmente e tempestivamente esperiti gli
idonei rimedii giudiziarii vòlti a contestare l’assetto di interessi
risultante dall’atto impugnato.
Ne deriva, dunque, che i provvedimenti emanati sulla base di una
disposizione dichiarata costituzionalmente illegittima nel corso del
giudizio d'impugnazione devono essere annullati.
Sulla base delle considerazioni di cui sopra l’appello va in definitiva
accolto, con conseguente annullamento, in accoglimento del ricorso
di primo grado, del provvedimento con lo stesso impugnato.
Le spese del doppio grado di giudizio possono essere integralmente
compensate fra le parti.
P.Q.M.
il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza),
definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, lo
accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata,
accoglie il ricorso di primo grado.
Spese del doppio grado compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità
amministrativa.
Così deciso in Roma, addì 30 novembre 2012, dal Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale – Sezione Terza – riunito in Camera di
consiglio con l’intervento dei seguenti Magistrati:
Gianpiero Paolo Cirillo, Presidente
Salvatore Cacace, Consigliere, Estensore
Dante D'Alessio, Consigliere
Alessandro Palanza, Consigliere
Paola Alba Aurora Puliatti, Consigliere
30/64
Sentenze interessanti – N.04/2013
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 14/01/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
31/64
Sentenze interessanti – N.04/2013
N. 00019/2013REG.PROV.COLL.
N. 07137/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex
artt.
38
e
60
cod.
proc.
amm.
sul ricorso numero di registro generale 7137 del 2012, proposto da:
rappresentato e difeso dagli avv. Romano
Lombardi, Luigi Tessitore, con domicilio eletto presso Gianluca
Contaldi in Roma, via Pier Luigi da Palestrina n.63;
contro
Ministero
dell'Interno,
rappresentato
e
difeso
per
legge
dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei
Portoghesi, n.12;
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. TOSCANA - FIRENZE:
SEZIONE II n. 01368/2012, resa tra le parti, concernente revoca
permesso di soggiorno
32/64
Sentenze interessanti – N.04/2013
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 26 ottobre 2012 il
Cons. Alessandro Palanza e uditi per le parti gli avvocati Lorenzelli
su delega di Tessitore e l’avvocato dello Stato Soldano;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
Considerato che :
- Il signor
ha impugnato la sentenza n. 01368/2012
che ha respinto il suo ricorso per l'annullamento del provvedimento
di revoca del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo
periodo (ex carta di soggiorno) e del contestuale rifiuto al rilascio
del permesso di soggiorno ad altro titolo, emesso dal Questore della
Provincia di Grosseto;
- Alla base del rigetto era posta la rilevazione di una sentenza penale
ostativa, costituita dalla sentenza 2 luglio 2010 del Tribunale di
Livorno per il reato previsto dall’art. 73 del D.P.R. 9 ottobre 1990 n.
309 e un complessivo giudizio di pericolosità sociale del ricorrente
motivato dal fatto che il cittadino straniero, pur svolgendo una
regolare attività lavorativa e, quindi, avendo la disponibilità di un
reddito da lavoro ha, comunque, tratto illecito profitto da attività
delittuose - pericolose sotto il profilo dell’ordine e della sicurezza
pubblica – che hanno comportato una condanna per reati inerenti
gli stupefacenti;
33/64
Sentenze interessanti – N.04/2013
- Agli atti risulta, senza essere contestato dall’Amministrazione, che
il signor
è regolarmente residente in Italia da più di
venti anni, ha lavorato regolarmente con continuità in tutto questo
periodo, dal 2007 è titolare di permesso di soggiorno CE per
soggiornanti di lungo periodo e ha effettuato ricongiungimento
familiare nei confronti della moglie e del figlio da oltre dieci anni, al
momento del ricorso in primo grado, e con essi tuttora convive;
- Anche nel caso di revoca dell’ordinario permesso di soggiorno
l’art. 5, comma 5, secondo periodo, del D.Lgs n. 286/1998 prevede
che, in caso di ricongiungimento familiare, si tenga anche conto
“della natura e della effettività dei vincoli familiari dell'interessato e
dell'esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d'origine,
nonché, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche
della durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale.” ;
- Per quanto concerne la revoca del permesso di soggiorno CE per
soggiornanti di lungo periodo, l’art. 9, comma 7, del medesimo
decreto legislativo prevede come causa di revoca rilevante per il
caso in esame alla lettera c): “quando mancano o vengano a
mancare le condizioni per il rilascio, di cui al comma 4” e che lo
stesso comma 4 indica tra le cause ostative “eventuali condanne
anche non definitive, per i reati previsti dall'articolo 380 del codice
di procedura penale, nonché, limitatamente ai delitti non colposi,
dall'articolo 381 del medesimo codice”, precisando infine che “ai
fini dell'adozione di un provvedimento di diniego di rilascio del
permesso di soggiorno di cui al presente comma il questore tiene
conto altresì della durata del soggiorno nel territorio nazionale e
dell'inserimento sociale, familiare e lavorativo dello straniero.”;
34/64
Sentenze interessanti – N.04/2013
- Quando alla revoca del permesso di soggiorno CE per
soggiornanti di lungo
periodo segue l’espulsione, devono
puntualmente applicarsi le disposizioni di cui al comma 10 del
medesimo art. 9 che recita: “Nei confronti del titolare del permesso
di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, l'espulsione
puo' essere disposta: a) per gravi motivi di ordine pubblico o
sicurezza dello Stato; b) nei casi di cui all'articolo 3, comma 1, del
decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni,
dalla legge 31 luglio 2005, n. 155; c) quando lo straniero appartiene
ad una delle categorie indicate all'articolo 1 della legge 27 dicembre
1956, n. 1423, ovvero all'articolo 1 della legge 31 maggio 1965, n.
575, sempre che sia stata applicata, anche in via cautelare, una delle
misure di cui all'articolo 14 della legge 19 marzo 1990, n. 55.” Deve
altresì applicarsi il seguente comma 11: “Ai fini dell'adozione del
provvedimento di espulsione di cui al comma 10, si tiene conto
anche dell'età dell'interessato, della durata del soggiorno sul
territorio
nazionale,
delle
conseguenze
dell'espulsione
per
l'interessato e i suoi familiari, dell'esistenza di legami familiari e
sociali nel territorio nazionale e dell'assenza di tali vincoli con il
Paese di origine”.
Ritenuto che:
- Avvertite le parti a norma dell’art. 60 c.p.a., la causa possa essere
decisa direttamente nel merito;
- Contrariamente a quanto affermato dal Tar, il provvedimento
impugnato in primo grado non è adeguatamente motivato alla luce
di tutte le disposizioni soprarichiamate e anzi risulta adottato in
espressa violazione di tutte quelle che impongono di considerare la
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Sentenze interessanti – N.04/2013
situazione familiare dello straniero, la durata del soggiorno in Italia e
il suo radicamento sociale e lavorativo. Non si fa infatti alcun
riferimento nel provvedimento alla attuale situazione del nucleo
familiare, al pregresso ricongiungimento, mentre la durata del
soggiorno e il radicamento sociale e lavorativo vengono utilizzate
contra legem - e cioè seguendo una ratio esattamente opposta a quella
propria della legge – come circostanze a sfavore dello straniero, in
quanto considerate aggravanti del comportamento sanzionato con la
condanna;
- Il provvedimento impugnato in primo grado non menziona
neppure il fatto che la singola condanna è stata comminata per un
reato che, tra i reati concernenti gli stupefacenti, è di minore gravità
riguardando la coltivazione e non lo spaccio e che questa fattispecie
di reato è l’unica che è considerata tra i reati compresi nell’art. 381
c.p.p. e non nell’art. 380, dovendosi peraltro anche osservare al
riguardo che la recente sentenza della corte costituzionale
n.172/2012 ha dichiarato incostituzionale la equiparazione delle
condanne per reati compresi nell’art. 381 c.p.p. a quelli compresi
nell’art. 380 dello stesso codice ai fini della procedure di emersione
di lavoratori stranieri;
- Il provvedimento impugnato deve essere annullato per mancanza
e incongruità della motivazione in relazione alla concreta situazione
di cui si tratta e per violazione di legge con riferimento alle
disposizioni richiamate che impongono di tener conto, anche in
caso di condanne ostative, di ulteriori e determinate circostanze per
giungere ad una effettiva valutazione di pericolosità, dato che
quest’ultima, in casi come quello in esame, non può discendere
36/64
Sentenze interessanti – N.04/2013
automaticamente ed esclusivamente dalla condanna ostativa in
mancanza di ulteriori e convergenti accertamenti;
- Restano tuttavia salvi gli ulteriori provvedimenti di competenza
dell’amministrazione, purché adeguatamente motivati in conformità
ai criteri di cui si è fatto cenno sopra;
- In relazione all’andamento della vicenda processuale possano
essere compensate le spese per entrambi i gradi del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
definitivamente pronunciando sul ricorso in appello, come in
epigrafe proposto, accoglie l’appello e, in riforma della sentenza
impugnata, accoglie il ricorso in primo grado.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità
amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 ottobre
2012 con l'intervento dei magistrati:
Pier Giorgio Lignani, Presidente
Roberto Capuzzi, Consigliere
Hadrian Simonetti, Consigliere
Dante D'Alessio, Consigliere
Alessandro Palanza, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
37/64
Sentenze interessanti – N.04/2013
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 07/01/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
38/64
Sentenze interessanti – N.04/2013
N. 00287/2013 REG.PROV.COLL.
N. 11525/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 11525 del 2010, integrato da
motivi
aggiunti,
proposto
da:
rappresentato e difeso dall'avv. Mario Antonio Angelelli,
con domicilio eletto presso Mario Antonio Angelelli in Roma, viale
Carso,23;
contro
Questura di Roma; Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso
per legge dall'Avvocatura Dello Stato, domiciliata in Roma, via dei
Portoghesi, 12;
per l'annullamento
del provvedimento dell'8/6/2010 con il quale veniva decretato il
rifiuto dell'istanza di rilascio del permesso di soggiorno per lavoro
subordinato.
39/64
Sentenze interessanti – N.04/2013
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 ottobre 2012 il dott.
Maria Laura Maddalena e uditi per le parti i difensori come
specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con il ricorso in epigrafe, il ricorrente ha impugnato il decreto del
Questore di Roma, emesso in data 6.8.2010, con cui è stata rigettata
la domanda volta ad ottenere il rilascio del primo permesso di
soggiorno per motivi di lavoro subordinato, in quanto egli era stato
destinatario di una pregressa espulsione, disposta dalla prefettura di
Crotone, con divieto di reingresso per dieci anni e non si era munito
della autorizzazione ministeriale al reingresso.
Espone inoltre il ricorrente di aver richiesto, in data 4 ottobre 2010,
istanza di revoca dell’espulsione presso la Prefettura di Crotone.
Il ricorso è articolato in varie doglianze di eccesso di potere e
violazione di legge.
Con ricorso per motivi aggiunti, debitamente notificato e depositato
in data 10.1.2012, il ricorrente ha fatto presente la circostanza
sopravvenuta dell’entrata in vigore della direttiva comunitario
2008/115/CE, c.d. direttiva rimpatri, chiedendone l’immediata
applicazione.
40/64
Sentenze interessanti – N.04/2013
All’udienza camerale del 25.10.2012, l’istanza cautelare è stata
accolta.
All’odierna udienza, la causa è stata trattenuta in decisione.
Occorre previamente una breve ricostruzione in fatto della vicenda.
Il ricorrente ha fatto ingresso in Italia, in data 31.5.2009, munito di
visto d’ingresso per lavoro subordinato flussi 2007.
A seguito dei rilievi dattiloscopici, è emerso che lo stesso era stato
colpito da decreto di espulsione del Prefetto di Crotone del
15.6.2005, con contestuale imposizione del divieto di reingresso nel
territorio nazionale per dieci anni.
Non essendosi munito di autorizzazione ministeriale al reingresso
ed essendo rientrato in Italia prima dello scadere dei dieci anni, la
Questura di Roma aveva rigettato l’istanza di rilascio del primo
permesso di soggiorno.
Il ricorrente chiedeva poi alla Prefettura di Crotone la revoca del
decreto di espulsione. Ma detta istanza veniva rigettata con
provvedimento notificato al ricorrente in data 6.4.2011.
Con il ricorso per motivi aggiunti, il ricorrente invoca – come si è
anticipato – la violazione della c.d. direttiva rimpatri, n.115/2008,
entrata in vigore in data 24.12.2010.
Espone il ricorrente che la direttiva mostra una chiara preferenza
per il rimpatrio volontario dello straniero. Infatti, in base all’art. 11 così come interpretato dal ricorrente- in caso di rimpatrio volontario
non sarebbe possibile disporre alcun divieto di reingresso sul
territorio nazionale.
Egli
pertanto
chiede
che
la
direttiva
comunitaria
venga
immediatamente applicata al caso di specie, con disapplicazione
41/64
Sentenze interessanti – N.04/2013
della normativa italiana laddove essa prevede un automatico divieto
di riengresso decennale, indipendentemente dalle circostanze
concrete e, in particolare, dalla partenza volontaria.
A questo proposito il ricorrente sostiene che è evidente la prova del
suo spontaneo rientro nel suo paese di origine, come dimostra il
fatto che abbia chiesto in Bangladesh il visto per l’ingresso in Italia.
Quanto alla questione dell’applicabilità al caso di specie della
normativa sopravvenuta, il ricorrente ha richiamato quanto ha
statuito l’Adunanza plenaria – proprio a proposito della diretta
applicabilità della direttiva 115/2008 - nelle pronunce n. 7 e 8 del
2011, secondo le quali il principio del tempus regit actum esplica la
sua efficacia solo quando il rapporto cui l’atto inerisce sia
irretrattabilmente definito, il che non si verifica quando siano stati
esperiti idonei rimedi giudiziari volti a contestare l’assetto prodotto
dall’atto impugnato.
In particolare, le stesse pronunce della plenaria hanno affermato che
le disposizioni espunte dall’ordinamento per effetto della diretta
applicabilità delle norme comunitarie non possono essere oggetto di
applicazione, anche indiretta, nella definizione di rapporti ancora
sub judice.
Il presente ricorso pone il problema dell’immediata applicabilità
delle norme della direttiva 115/2008 concernenti la disciplina del
divieto di reingresso (art. 11).
Come è noto, la questione è stata affronta dalla CGE, con sentenza
del 28 aprile 2011, caso El Dridi, nella quale la Corte ha affermato
l’immediata applicabilità degli artt. 15 e 16 in quanto incondizionati
42/64
Sentenze interessanti – N.04/2013
e sufficientemente precisi da non richiedere ulteriori specifici
elementi perché gli Stati membri li possano mettere in atto.
Nel frattempo però il legislatore italiano ha provveduto a dare
attuazione alla direttiva con d.l. 23 giugno 2011 n. 89, convertito,
con modificazioni, in legge 2 agosto 2011, n. 129. pertanto si ritiene
opportuni valutare la questione alla luce della sopravvenuta
normativa di recepimento della direttiva.
La nuova disciplina nazionale, pur facendo salvo il meccanismo
(sconosciuto al legislatore comunitario) della possibilità di
rimuovere anticipatamente il divieto di reingresso richiedendo
l’apposita autorizzazione ministeriale, ha anche adeguato il nostro
ordinamento alla normativa comunitaria circa il termine di durata
del divieto di reingresso (art. 11, comma 2 della dir. 115/2008) e
disciplinando l’ipotesi della partenza volontaria (art. 7 della
direttiva).
Quanto al primo aspetto, ha previsto che il divieto di reingresso non
possa essere comminato – di regola - per più di cinque anni (e per
meno di tre), salvo il caso di ipotesi di particolare gravità in cui può
essere previsto un termine più lungo.
Quanto alla partenza volontaria, che costituisce – in base al decimo
considerando della direttiva - lo strumento da preferire rispetto al
rimpatrio forzato, il legislatore nazionale ha previsto all’art. 13,
comma 5, che lo straniero destinatario di un decreto di espulsione
possa richiedere, qualora non ricorrano le condizioni per
l’accompagnamento immediato alla frontiera, un termine per la
partenza volontaria. Il successivo comma 13 prevede quindi che in
tali casi, il divieto di reingresso possa essere revocato, su istanza
43/64
Sentenze interessanti – N.04/2013
dell’interessato, qualora fornisca la prova di avere lasciato il
territorio nazionale entro il termine di ci al comma 5.
Pertanto, la nuova disciplina della esecuzione della espulsione
mediante lo strumento della partenza volontaria risponde
pienamente all’intento della direttiva che – come ha ribadito la
Corte di Giustizia nella citata sentenza del 28.4.2011 - è quello di
favorire il rimpatrio volontario e di far sì che misure via via più
coercitive vengano adottate solo quando esse sono effettivamente
necessarie.
Sul punto, poi, non può non ricordarsi quanto ha affermato la
Plenaria n. 8 del 2011, secondo la quale la sopravvenuta entrata in
vigore della direttiva rimpatri n. 115/2008 può avere effetti anche su
provvedimenti amministrativi adottati antecedentemente a tale data,
in quanto il principio del tempus regit actum esplica la propria
efficacia solo allorché il rapporto cui l’atto inerisce sia
irretrattabilmente definito, e, conseguentemente, diventi insensibile
ai successivi mutamenti della legge.
In questo quadro, come ha più volte affermato il Consiglio di Stato
in casi analoghi di sopravvenienze normative recanti una disciplina
più favorevole (v. per esempio, in relazione alle modifiche apportate
in materia di ricongiungimento familiare, Consiglio di Stato sez. III,
28 novembre 2011, n. 6287 e Consiglio di Stato sez. III, 03 ottobre
2011, n. 5420 e in relazione al diniego di rilascio della carta di
soggiorno Cons. Stato Sez. III, Sent., 15-05-2012, n. 2801, ) , è
opportuno che l’amministrazione si ridetermini sull’istanza del
ricorrente alla luce della disciplina sopravvenuta, soprattutto al fine
di potergli consentire di chiedere la revoca del divieto di reingresso
44/64
Sentenze interessanti – N.04/2013
dimostrando di aver spontaneamente ottemperato al decreto di
espulsione.
Infatti, non si può ritenere ostativo alla applicazione della disciplina
sopravvenuta la circostanza che all’epoca l’espulsione del ricorrente
fu disposta mediante accompagnamento alla frontiera per mezzo
della forza pubblica.
Se è vero che nel testo attualmente vigente dell’art. 13, le ipotesi in
cui deve essere disposto l’accompagnamento alla frontiera a mezzo
della forza pubblica sono specificamente indicate al comma 4
dell’art. 13 mentre negli altri casi si propende per l’esecuzione
volontaria della misura espulsiva, mediante appunto la concessione
di un termine per la partenza volontaria, all’epoca in cui la
Prefettura
di
Crotone
dispose
l’espulsione
del
ricorrente,
l’accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica
costituiva la regola ed era l’ordinario strumento per eseguire la
misura dell’espulsione. Nella previgente disciplina, l’intimazione a
lasciare il territorio dello Stato era prevista solo in via eccezionale
(nelle ipotesi di cui all’art. 13, comma 5, nella precedente versione)
qualora il permesso di soggiorno fosse venuto a scadenza e non ne
fosse stato chiesto il rinnovo.
Non può, peraltro, non rilevarsi che nonostante tale previsione
normativa, anche all’epoca solo una piccola parte delle espulsioni
veniva
effettivamente
eseguita
con
lo
strumento
dell’accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica
poiché spesso non era possibile individuare lo Stato di origine
dell’immigrato o perché comunque non vi erano mezzi a
disposizione. Per tale ragione non vi è certezza che l’espulsione
45/64
Sentenze interessanti – N.04/2013
disposta nei confronti del ricorrente mediante accompagnamento
alla frontiera sia stata effettivamente eseguita con il ricorso alla forza
pubblica, essendo anche possibile che egli sia volontariamente
rimpatriato e che quindi egli possa, alla luce della sopravvenuta
disciplina, chiedere la revoca del divieto di reingresso ai sensi
dell’art. 13, comma 14 attualmente vigente.
Appare per queste ragioni necessario che l’amministrazione si
ridetermini alla luce delle sopravvenienze normative, previamente
assicurando al ricorrente la partecipazione procedimentale.
Per quanto riguarda le ulteriori censure svolte nel ricorso, si rileva
che con il primo motivo, il ricorrente sostiene che vi sarebbe stata
violazione dell’art. 5, comma 5 del Tu immigrazione in quanto
l’autorizzazione al reingresso deve considerarsi un atto dovuto in
presenza di tutti i requisiti per l’ottenimento di un permesso di
soggiorno, pertanto la Questura avrebbe dovuto consentire alla
ricorrente di regolarizzare la sua posizione, dovendosi qualificare la
mancanza della autorizzazione al reingresso come “mera irregolarità
amministrativa”.
In questi termini, la ricostruzione della fattispecie non può essere
condivisa, in quanto la mancanza della autorizzazione ministeriale al
reingresso, per la sua valenza anche politica, non può ritenersi una
mera irregolarità amministrativa..
Il ricorso pertanto deve essere - nei termini in cui si è detto accolto, con assorbimento delle ulteriori censure , per la
rinnovazione del procedimento alla luce di quanto detto nella
presente sentenza.
46/64
Sentenze interessanti – N.04/2013
Le spese possono essere compensate, sussistendo giusti motivi,
attesa la novità della questione.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione
Seconda Quater)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe
proposto, lo accoglie nei termini di cui alla motivazione e per
l’effetto annulla il provvedimento impugnato.
Compensa le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità
amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 ottobre
2012 con l'intervento dei magistrati:
Angelo Scafuri, Presidente
Stefania Santoleri, Consigliere
Maria Laura Maddalena, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 14/01/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
47/64
Sentenze interessanti – N.04/2013
N. 00286/2013 REG.PROV.COLL.
N. 02443/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2443 del 2011, proposto da:
rappresentato e difeso dall'avv. Michele Longo, con
domicilio eletto presso Michele Longo in Roma, via Antonio
Salandra N.1/A;
contro
U.T.G. - Prefettura di Roma; Ministero dell'Interno, rappresentato e
difeso per legge dall'Avvocatura Dello Stato, domiciliata in Roma,
via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
del rigetto richiesta di emersione di lavoro irregolare del 12.10.2010
e dell’archiviazione della richiesta di permesso di soggiorno per
attesa occupazione del 13.1.2011.
48/64
Sentenze interessanti – N.04/2013
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 giugno 2012 il dott.
Maria Laura Maddalena e uditi per le parti i difensori come
specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con il ricorso in epigrafe, il ricorrente impugna il provvedimento
con cui lo Sportello unico per l’immigrazione ha disposto
l’archiviazione della istanza di emersione presentata dal sig. Gerardo
Savino per il ricorrente, in quanto nessuna delle parti si era
presentata per la sottoscrizione del contratto di soggiorno.
L’amministrazione si è costituita mediante avvocatura dello Stato
con memoria di stile.
All’odierna udienza, la causa è stata trattenuta in decisione.
Il ricorso è infondato e pertanto deve essere respinto.
Con l’unico motivo di ricorso, il ricorrente denuncia la violazione
dell’art. 1 ter, comma 7, della l. n.102/2009 e afferma di essere stato
licenziato oralmente dal datore di lavoro, prima della conclusione
della procedura di emersione e che per questa ragione non è venuto
a conoscenza della convocazione dinanzi allo Sportello unico,
essendo essa stata inviata solo al datore di lavoro, in quale nel
frattempo si era anche reso irreperibile.
49/64
Sentenze interessanti – N.04/2013
Il ricorrente sostiene quindi che l’archiviazione della pratica è stata
illegittimamente effettuata poiché una delle parti, egli appunto,
aveva ancora interesse alla conclusione del procedimento, al fine di
ottenere la regolarizzazione e un permesso di soggiorno per attesa
occupazione.
A sostegno della sua tesi invoca la circolare ministeriale del 29
dicembre 2009, n. 6406, la quale sostiene che l’archiviazione dl
procedimento possa essere disposto solo in caso di mancata
presentazione sia del datore di lavoro che del lavoratore in assenza
di giustificato motivo.
Il motivo non può essere accolto.
Ll’art. 1 ter della l. 102/2009 recante la disciplina della sanatoria,
configura il rilascio del titolo abilitativo come la risultante della
positiva conclusione di due procedimenti, quello propriamente di
emersione
-
che
si
svolge
presso
lo
Sportello
Unico
dell’Immigrazione – e quello volto al rilascio del permesso di
soggiorno, attributo alla competenza della Questura.
Il primo procedimento si sostanzia in una fattispecie a formazione
progressiva, i cui passaggi salienti sono costituiti dalla sussistenza
del rapporto di lavoro irregolare, dalla domanda di emersione del
datore di lavoro, dalla convocazione di entrambe le parti dinanzi al
SUI, dall’istruttoria di quest’ultimo, dalla stipula del contratto di
soggiorno.
Peraltro diversi sono la natura giuridica e gli effetti delle varie fasi
del procedimento de quo.
a) La sussistenza del rapporto di lavoro irregolare costituisce il
presupposto di fatto del procedimento, volto appunto all’emersione
50/64
Sentenze interessanti – N.04/2013
e quindi regolarizzazione di tale rapporto,che deve avere le
suddescritte caratteristiche di legge (temporali - vigenza alla data del
30 giugno 2009 e da almeno 3 mesi – e contenutistiche, prestazioni
di badante o di colf).
Peraltro la circostanza che l’interessato abbia effettivamente
prestato attività lavorativa nel settore in questione per il periodo di
tempo prescritto non costituisce di per sé sola titolo valido per
l’ottenimento del permesso di soggiorno, in quanto va confermata e
valorizzata nel successivo sviluppo del procedimento sia dalla
relativa attestazione contenuta nell’istanza di emersione del datore
di lavoro sia dal riscontro alla convocazione dell’Ufficio sia dalla
definitiva stipula del contratto (di soggiorno) stavolta regolare.
In definitiva, la circostanza che l’interessato abbia effettivamente
prestato attività lavorativa da un lato trova conforto probatorio nella
istanza di emersione presentata dal datore di lavoro dall’altro non
rileva in sé per sé bensì quale uno dei presupposti per l’attivazione
della procedura, fatti salvi ovviamente i riflessi penalistici e civilistici
di un rapporto svolto in via fittizia ovvero di fatto ovvero negato.
b) L’avvio del procedimento spetta unicamente al datore di lavoro, il
quale è per la legge il solo legittimato ad inoltrare la domanda di
emersione , in quanto unico soggetto con il quale lo Sportello Unico
intrattiene rapporti sia per la richiesta di integrazioni documentali sia
per ogni altro tipo di comunicazione (come il preavviso di diniego
ex art. 10 bis della legge n. 2541/1990);
In sostanza, il legislatore attribuisce al datore di lavoro la facoltà di
scegliere se continuare nella commissione di un reato – e tal è
l’occupazione dei lavoratori stranieri in violazione della normativa
51/64
Sentenze interessanti – N.04/2013
sull’immigrazione – oppure se “autodenunciarsi”, incentivandolo a
tale ultima opzione mediante il beneficio di usufruire dell’immunità
per la trasgressione di norme penali e amministrative.
La sanatoria ovviamente andrà a beneficiare di riflesso anche il
lavoratore straniero – il quale altrimenti non potrebbe continuare a
svolgere quelle attività – ma la situazione soggettiva di quest’ultimo
è appunto derivata, per cui la relativa posizione si configura come di
mera
soggezione
rispetto
alla
suddetta
libera
scelta
di
autodenunciarsi del datore di lavoro, unico dominus del
procedimento, con conseguente impossibilità da parte del lavoratore
straniero
clandestino
occupato
“in
nero”
di
presentare
autonomamente la domanda di emersione.
La domanda di emersione da parte del datore di lavoro
naturalmente non vale di per sé ad eliminare la situazione di
clandestinità del lavoratore straniero ma produce unicamente gli
effetti giuridici “conservativi” previsti rispettivamente dai commi 8 e
10 della L. 102/09 per un periodo temporalmente limitato, e cioè la
sospensione dei procedimenti penali e amministrativi nei confronti
del datore di lavoro e del lavoratore per la violazione delle norme
sulla disciplina dell’immigrazione e del lavoro, ed il divieto di
espulsione dello straniero (effetti chiaramente volti a conservare lo
status quo in pendenza degli accertamenti delle condizioni per la
concessione del beneficio di legge).
Tali effetti conservativi temporanei, peraltro, sono strettamente
strumentali al perfezionamento della pratica, per cui in caso di esito
positivo essi saranno definitivi e stabilizzati (la legge parla di
“estinzione dei reati e degli illeciti amministrativi”:comma 11) dal
52/64
Sentenze interessanti – N.04/2013
rilascio del permesso di soggiorno mentre, in caso di conclusione
negativa o di archiviazione, residueranno le responsabilità penali ed
amministrative per la commissione di illeciti.
L’istanza rileva - come detto -dal solo punto di vista amministrativo,
come
domanda
di
avvio
del
procedimento,
quale
mera
manifestazione della volontà del datore di lavoro di far emergere e
quindi regolarizzare il rapporto di lavoro con il domestico ovvero
badante.
Pertanto, nelle more della conclusione della procedura di emersione
la situazione soggettiva del lavoratore straniero non è diversa o più
titolata di quello in stato di clandestinità - fermo restando la predetta
sospensione dei procedimenti penali ed amministrativi a suo carico in quanto, come detto, la mera presentazione dell’istanza di
emersione non vale di per sé ad eliminare lo situazione di
clandestinità di cui si chiede la sanatoria e non pone, sotto il profilo
del diritto amministrativo dell’immigrazione, i lavoratori “da
regolarizzare” in una posizione diversa, e più titolata, di una mera
aspettativa al rilascio di un favorevole provvedimento che
consentirà di sanare la propria posizione e quindi acquisire la
legittimazione al permesso di soggiorno.
c) La presentazione di entrambe le parti dinanzi al competente SUI
costituisce elemento essenziale per la definizione del procedimento.
L’art. 1 ter comma 7 precisa infatti che: “La mancata presentazione
delle parti senza giustificato motivo comporta l'archiviazione del
procedimento.”
Tale norma non può che essere interpretata, tenendo conto della
struttura del procedimento di emersione nel suo complesso, come
53/64
Sentenze interessanti – N.04/2013
riferentesi alla mancata presentazione anche del solo datore di
lavoro.
La presentazione delle parti dinanzi allo Sportello unico, infatti,
oltre a soddisfare l’esigenza di verificare l’effettiva identità degli
istanti nonché di far assolvere ai medesimi i relativi oneri di
documentazione,
non
surrogabili
da
altri,
rappresenta
il
comportamento concludente a cui il legislatore dà preminente
rilievo ai fini della regolarizzazione del rapporto di lavoro, segnando
il punto di incontro della concorde volontà delle parti non solo di
confermare la pregressa esistenza di tale rapporto ma soprattutto
della volontà di farlo emergere e quindi regolarizzare, usufruendo
della facoltà di legge.
In tale ambito è richiesta la presenza di entrambe le parti, attesa la
natura bilaterale del rapporto, per cui non può appunto prescindersi
dal loro accordo.
Ne consegue ineludibilmente che la mancata presentazione del
datore di lavoro non può che impedire la definizione del
procedimento, con conseguente obbligo di archiviazione e
cessazione dei benefici conservativi di legge, per cui sia il datore di
lavoro italiano sia il lavoratore straniero saranno perseguibili per gli
illeciti penali e amministrativi commessi per l’instaurazione di un
rapporto di lavoro in violazione delle leggi sull’immigrazione.
Solo nell’ipotesi in cui la mancata presentazione – adempimento si
ribadisce
imprescindibile
per
la
positiva
conclusione
del
procedimento – sia giustificata da cause di forza maggiore – come
ad esempio in caso di decesso del datore di lavoro – è consentito
54/64
Sentenze interessanti – N.04/2013
addivenire anche in presenza del solo lavoratore straniero
ugualmente alle successive fasi procedimentali.
In conclusione la mancata presentazione del datore di lavoro
preclude la conclusione del procedimento di emersione dall’altro
espone gli interessati alle responsabilità civili e penali conseguenti
all’impiego di un soggetto straniero clandestino in un rapporto di
lavoro.
Al riguardo va infine soggiunto, con particolare riferimento
all’abbandono da parte del datore di lavoro, che non appare
possibile utilizzare lo strumento coercitivo di cui all’art. 2932 c.c. in
considerazione della mancanza di un obbligo giuridico alla
conclusione del procedimento amministrativo “de quo”, ferma
restando
ovviamente
le
suddette
responsabilità
penali
ed
amministrative.
Sul punto la circolare del Ministero dell’Interno n. 7950 del 7
dicembre 2009 prescrive che anche in caso di rinuncia alla domanda
di emersione il datore di lavoro deve comunque presentarsi “al fine
di formalizzare la rinuncia al rapporto di lavoro, specificando i
motivi che hanno causato l’interruzione dello stesso rapporto e
sottoscrivere comunque, contestualmente al lavoratore straniero, il
contratto di soggiorno per il periodo relativo all’effettivo impiego
del lavoratore”.
Tale prescrizione – lungi dal comportare alcun obbligo coercitivo costituisce un efficace deterrente contro i tardivi ripensamenti del
datore di lavoro, il quale, pentito di aver presentato la domanda di
emersione, potrà proseguire nell’iter procedimentale - concludendo
il
contratto
di
soggiorno
con
55/64
effetto
“liberatorio”
delle
Sentenze interessanti – N.04/2013
responsabilità sue e del lavoratore interessato e rimanendo
ovviamente libero di non proseguire il rapporto di lavoro domestico
in questione - anziché interrompere la pratica, esponendosi in tal
modo alle suddette gravi responsabilità penali ed amministrative,
oltre a quella civile che il lavoratore dovesse far valere dinanzi al
giudice del lavoro per l’illegittimo licenziamento.
d) L’istruttoria della pratica da parte dell’ufficio competente si
sostanzia nell’accertamento del possesso in capo sia al datore di
lavoro sia al lavoratore dei requisiti prescritti dalla normativa
(reddito, idoneità alloggiativa, mancanza di precedenti penali, gli altri
elementi ostativi indicati in particolare dal comma 13).
e) La stipulazione del contratto di soggiorno, sempre presso il SUI,
costituisce ad un tempo momento conclusivo del procedimento e
atto negoziale che, dando contezza della volontà delle parti di
confermare il rapporto di lavoro domestico o di badante tra loro in
essere nonché di farlo emergere per approfittare della sanatoria di
legge, segna il presupposto per l’avvio della fase successiva, quella
del procedimento volto al rilascio del permesso di soggiorno.
Viceversa mancando la conclusione del procedimento di emersione
non può essere rilasciato il permesso di soggiorno per motivi di
lavoro - o in attesa di occupazione nel caso di motivata cessazione
del rapporto – quand’anche debba ritenersi provata l’esistenza del
rapporto di lavoro nel periodo di legge, dal momento che è
ineludibile condizione della regolarizzazione la stipula del contratto
di soggiorno, sia pure, come detto sopra, per il periodo pregresso in
cui il rapporto ha avuto luogo
56/64
Sentenze interessanti – N.04/2013
La positiva conclusione della fase di cui sopra costituisce il
presupposto per l’avvio del secondo procedimento, quello volto al
rilascio del permesso di soggiorno.
Quest’ultimo, avviato sulla base di una nuova istanza (che questa
volta può essere presentata autonomamente dal lavoratore
interessato), attributo ad altro soggetto istituzionale competente (la
Questura) e finalizzato al rilascio del titolo autorizzatorio che
consente allo straniero l’eventuale prosecuzione del rapporto
lavorativo con il datore di lavoro che ne ha chiesto la
regolarizzazione oppure al rilascio del permesso di soggiorno per
attesa occupazione nel caso in cui invece non sussista la volontà di
proseguire nel rapporto di lavoro precedente.
Ne consegue che il diniego di sanatoria riverbera i suoi effetti sul
procedimento diretto ad ottenere il permesso di soggiorno, per cui,
in presenza del diniego di emersione, il provvedimento della
Questura di Roma di archiviazione della domanda di rilascio del
permesso di soggiorno si configura come atto necessitato (cfr.
Consiglio di Stato, sez. III, 31 maggio 2011 , n. 3266, nonché ord.
caut. 20 maggio 2011, n. 2196), non disponendo il cittadino
straniero di alcun titolo giuridico in proposito.
Ne consegue altresì che , in caso di interruzione della procedura di
emersione, non può essere rilasciato al lavoratore clandestino il
permesso di soggiorno per attesa occupazione previsto dall’art. 22
del d.lvo n. 286/98 e dell’art. 37 DPR 394/99 per il lavoratore
regolare che abbia perso il proprio posto di lavoro.
In estrema sintesi il permesso di soggiorno che consegue
all’emersione altro non è che l’effetto dell’emersione stessa sicchè
57/64
Sentenze interessanti – N.04/2013
non vi è possibilità del suo rilascio laddove l’emersione non si
perfezioni.
In conclusione, dunque, per tali ragioni, il ricorso deve essere
respinto.
Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese
di lite
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione
Seconda Quater)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe
proposto, lo respinge.
Compensa le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità
amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 giugno
2012, 25 ottobre 2012 e 4 dicembre 2012 con l'intervento dei
magistrati:
Angelo Scafuri, Presidente
Floriana Rizzetto, Consigliere
Maria Laura Maddalena, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
58/64
Sentenze interessanti – N.04/2013
Il 14/01/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
59/64
Sentenze interessanti – N.04/2013
N. 10667/2012 REG.PROV.COLL.
N. 09348/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex
art.
60
cod.
proc.
amm.;
sul ricorso numero di registro generale 9348 del 2012, proposto da:
-OMISSIS- (Esercente Potestà Genitoriale), rappresentato e difeso
dall'avv. Francesco Alberti, con domicilio eletto presso Francesco
Alberti in Roma, via Pisa, 30;
contro
Ministero degli Affari Esteri, rappresentato e difeso per legge
dall'Avvocatura Generale Dello, domiciliata in Roma, via dei
Portoghesi, 12; Ambasciata D'Italia - Bogota' - Colombia;
per l'annullamento
del provvedimento n. 7237 dell'ufficio visti dell'ambasciata d'italia a
bogotà - colombia di rifiuto di visto turistico per sorella di cittadina
u.e. per ingresso in italia.
60/64
Sentenze interessanti – N.04/2013
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero degli Affari
Esteri;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 20 dicembre 2012 il
dott. Marco Bignami e uditi per le parti i difensori come specificato
nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Considerato che la ricorrente, cittadina della Colombia, impugna il
diniego di visto di ingresso per turismo opposto alla di lei figlia
minore dall’Ambasciata di Bogotà;
che, all’esito della fase cautelare, sussistono i presupposti per
definire la causa con sentenza in forma semplificata;
che la minore richiede il visto per trascorrere le ferie natalizie con la
madre, residente in Italia, e viene invitata nel nostro Paese dal
datore di lavoro di quest’ultima, che ha prestato tutte le garanzie
previste dalla legge;
che l’atto impugnato si fonda sul rilievo del cd. rischio migratorio,
posto che non sarebbe comprovata la volontà della minore di
rientrare in Colombia;
che,
secondo
la
giurisprudenza
di
questo
Tribunale,
l’amministrazione è tenuta a fornire in giudizio adeguata
motivazione del proprio provvedimento, anche nei casi in cui l’art. 4
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del d.lgs. n. 286 del 1998 consente che l’atto sia emanato in assenza
di motivazione;
che, a seguito di istruttoria disposta dal Tribunale, sono stati indicati
4 profili da cui desumere il rischio migratorio;
che il terzo e quarto profilo (mancata comunicazione all’Ambasciata
dell’intervenuto affidamento della sorella della minore, cittadina
italiana, ai nonni paterni; pregressa adozione di analogo diniego di
visto turistico in danno della minore) sono con ogni evidenza privi
di rilievo;
che anche il secondo profilo appare manifestamente irragionevole,
poiché non si vede quale “dubbio” possa ingenerare il fatto che
l’invito venga dal datore di lavoro della madre della minore, che
risulta essere imprenditore in Italia;
che, quanto al primo profilo, “assoluta assenza di comprovate
garanzie economiche nel Paese di residenza dei familiari dichiarati
qui conviventi (padre, nonna)”, una volta accertato che la minore ha
i mezzi per entrare e fermarsi temporaneamente in Italia,
l’amministrazione avrebbe dovuto indicare elementi concreti, da cui
desumere l’assenza di un radicamento in Colombia della parte
istante;
che, sotto tale profilo, la minore è studentessa iscritta ad un istituto
scolastico colombiano e convive con la famiglia: è perciò naturale
che ella non abbia ancora un reddito proprio, mentre resta del tutto
indimostrato che la famiglia versi in tale stato di indigenza da non
potersi permettere il mantenimento della giovane: tale circostanza è
stata negata in giudizio dalla ricorrente, che ha evidenziato come la
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minore possa contare anche su due zii materni con regolare attività
lavorativa;
che, alla luce di ciò, e della verosimiglianza delle ragioni addotte a
giustificare il viaggio in Italia per Natale, è fondata la assorbente
censura di violazione di legge, per essere stato il visto negato per
ragioni insussistenti;
che il ricorso va perciò accolto;
che le spese seguono la soccombenza e si liquidano in euro 750,00,
oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima
Quater)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe
proposto,
Annulla l’atto impugnato.
Condanna l’amministrazione a rifondere le spese, che liquida in euro
750,00 oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità
amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20
dicembre 2012 con l'intervento dei magistrati:
Elia Orciuolo, Presidente
Rita Tricarico, Consigliere
Marco Bignami, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 20/12/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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