universita` degli studi di brescia dipartimento di

UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI BRESCIA
DIPARTIMENTO DI SCIENZE CLINICHE E SPERIMENTALI
CORSO DI STUDI IN EDUCAZIONE PROFESSIONALE
ABILITANTE ALL’ESERCIZIO DELLA PROFESSIONE DI
EDUCATORE PROFESSIONALE
“L’educatore professionale sanitario all’interno di una comunità residenziale
psichiatrica – analisi di un’esperienza”
Marta Tavernini
Matricola n. 082569
Referente Dottor. Luigi Benevelli
ANNO ACCADEMICO 2012/2013
Indice
Introduzione
CAPITOLO 1: Excursus storico nella malattia mentale ........................................................... 8
Premessa
1.1 La svolta di Pinèl ................................................................................................................. 9
1.2 Nascita della psichiatria ..................................................................................................... 13
1.3 Nascita della psicoanalisi e del modello fenomenologico ................................................ 15
1.3.1 Il processo di deistituzionalizzazione dell’assistenza psichiatrica pubblica in Italia16
CAPITOLO 2: L’organizzazione dei servizi psichiatrici in Lombardia .................................. 20
Premessa
2.1 Il Centro Psicosociale ......................................................................................................... 21
2.2 Il Servizio psichiatrico diagnosi e cura .............................................................................. 29
2.3 Il Centro diurno .................................................................................................................. 30
2.4 Le strutture residenziali ...................................................................................................... 32
2.4.1 Le comunità protette in Lombardia ......................................................................... 34
CAPITOLO 3: Ruolo dell’educatore all’interno di una CPA ................................................. 42
Premessa
3.1 L’educatore nella storia ...................................................................................................... 42
3.2 L’educatore professionale nella legislazione nazionale ..................................................... 44
3.3 L’educatore professionale nella legislazione regionale ..................................................... 50
3.4 La situazione attuale dell’educatore ................................................................................... 52
3.5 Le competenze dell’educatore ............................................................................................ 53
3.6 L’educatore nelle comunità protette ................................................................................... 55
3.7 Lo sguardo dell’educatore .................................................................................................. 57
CAPITOLO 4: Analisi di un’esperienza nella Comunità Protetta ad Alta Assistenza (C.P.A.
“IL GABBIANO”) .................................................................................................................. 59
Premessa
4.1 Presentazione della “Cooperativa Il Gabbiano” ................................................................ 60
4.2 La Comunità Protetta il Gabbiano ...................................................................................... 62
4.3 Aspetti funzionali e metodologici dell’intervento riabilitativo .......................................... 65
4.4 Il progetto riabilitativo ....................................................................................................... 69
4.5 Gli attori esterni e interni alla comunità ............................................................................. 73
4.6 La famiglia del progetto comunità riabilitativa psichiatrica .............................................. 74
4.7 Progetti all’interno della Comunità “Il Gabbiano”: teatro espressivo e Gabbiano Lavoro.76
4.8 Esperienza di tirocinio presso la Comunità Protetta ad alta assistenza “Il Gabbiano” ..... 81
4.9 Analisi di un caso ............................................................................................................... 83
Conclusioni e proposte
Bibliografia
Sitografia
Ringraziamenti
Introduzione
G.R. è un uomo di 72 anni. E’ malato di schizofrenia dall’età di 25 anni. Ultimo di quattro
fratelli vive la sua infanzia durante il periodo fascista in miseria, all’età di otto anni viene
mandato in convento per offrirgli quell’istruzione che la famiglia per motivi economici non
era in grado di fornirgli; infatti riuscirà a diplomarsi e a frequentare un anno di università.
Vive per molti anni in questo convento senza troppi contatti con la famiglia, a causa delle
regole severe che limitano le visite. Soffre, vuole fuggire, scrive lettere nelle quali esprime il
suo malcontento e il suo desiderio di scappare. Quelle lettere non saranno mai spedite. Le sue
lamentele vengono costantemente placate dal rettore, il quale lo dissuade ogni volta dal
lasciare l’istituto. A venticinque anni G. riesce finalmente ad uscire da questa situazione
diventata per lui una prigione, ha un esaurimento nervoso ed è psicologicamente
compromesso, sta molto male. La famiglia lo accoglie con stupore e si rivolge
immediatamente ad un medico, che gli prescrive psicofarmaci, che lui non prenderà
regolarmente.
Le condizioni peggiorano. G. viene internato in diversi manicomi. In tutta la sua vita saranno
dieci le volte in cui entrerà ed uscirà da queste strutture passando per le più comuni
"torture/cure" quali l’elettoshock, shock insulinico, la camicia di forza. La famiglia non nota
alcun miglioramento e decide così di accoglierlo in casa, facendolo uscire definitivamente dal
manicomio. Sarà il fratello che firmerà tutte le pratiche burocratiche. La famiglia gli offre un
tetto, un lavoro, e l’amore che gli permetteranno di assumere meno pastiglie, di stare meglio,
pur essendo sempre in terapia e sotto controllo da parte del C.P.S. . Verrà ricoverato
nuovamente per ben tre volte presso il C.P.S. una volta con T.S.O. per schizofrenia.
Quell’uomo tutt’oggi quando parla di quell’esperienza confessa amaramente che:
“Se non sei scemo, ti ci fanno diventare”.
Quell’uomo è un mio parente e la famiglia che lo ha ospitato è la mia. Io sono cresciuta in un
contesto educativo, senza saperlo, alimentato solo ed esclusivamente dall’amore. Mia nonna,
persona amata generosa e disponibile pronta ad accogliere tutti, me lo ha insegnato per prima.
Successivamente mia mamma che ha uno spirito da educatrice, ama fare del bene agli altri, ha
accudito e accudisce tutt’oggi questo mio parente in tutte le sfaccettature della malattia.
Essere cresciuta in un tale contesto mi ha quindi dato la sensibilità, lo sguardo, che io ritengo
utili al fine di diventare un buon educatore professionale. Se da una parte ho scoperto questa
mia vocazione, dall’altra tale scelta è stata dovuta anche dal fatto di aver vissuto
indirettamente i modi barbari in cui il mio parente è stato trattato.
Oggi i manicomi non ci sono più, vi sono strutture residenziali che accolgono questa tipologia
di persone, con tutt’altre cure e possibilità di riabilitazione. Per questo motivo ho scelto di
scrivere questa tesi concentrandomi in particolar modo sul ruolo dell’educatore in comunità
protette ad alta assistenza nelle quali vi sono soprattutto malati psichiatrici.
Lo scopo di queste non è la contenzione, non è l’isolamento del malato dalla società, ma è il
tentativo di un reinserimento in essa, di una rieducazione al fine di portare la persona a
riappropriarsi della propria vita.
Per fare ciò l’educatore professionale che lavora in questi contesti sanitari assume
un’importanza fondamentale. Egli lavora a contatto con pazienti psichiatrici che possono
avere disturbi di vario genere quali: disturbi psichici di natura organica, disturbi dovuti all’uso
di sostanze, schizofrenia, sindromi affettive, nevrotiche, disturbi della personalità, ritardo
mentale, sindromi di alterato sviluppo psicologico, ecc.
A volte mi chiedo cosa ne sarebbe stato di questo mio parente se non avesse avuto una
famiglia, se fosse restato nei manicomi, se non vi fosse stata la riforma Basaglia. Infatti la
schizofrenia, che è traducibile come un comportamento dissociato, è un disturbo che, come
abbiamo visto nella storia di G., insorge nel passaggio tra l’adolescenza e l’età adulta, i cui
sintomi vanno dalla distorsione della realtà, alla disorganizzazione del pensiero e del
comportamento, con presenza di allucinazioni, deliri, comportamenti bizzarri, impoverimento
affettivo, deficit neurologico, alogia, abulia. Tale disturbo comporta un grave deterioramento
di una o più delle aree esistenziali come il lavoro, lo studio, la cura di sé, la vita di relazione.
L’educatore professionale condivide con questi malati la quotidianità, ovvero tutti i momenti
della giornata, compie un lavoro sul campo, instaurando con essi una relazione, una
comunicazione vera ed efficace, un rapporto di fiducia cercando di contenere il
comportamento del paziente. L’educatore diventa osservatore, conoscitore del vissuto della
persona e cerca di trasformare questa prossimità spaziale, temporale, affettiva, in un rapporto
di comunicazione tendente alla conoscenza autentica dell’altro. L’educatore compie l’arduo
compito di educare l’individuo a saper utilizzare le capacità residue e a svilupparne di nuove,
educa all’ascolto, all’attesa, alla tolleranza, al non giudizio, alla crescita, allo stare insieme
agli altri, al non arrendersi, in modo da riportare la persona verso un percorso di autonomia.
Nel primo capitolo partiremo quindi da un excursus storico ripercorrendo le tappe
fondamentali di come e dove la “follia” è stata curata, nel secondo capitolo ci concentreremo
sulle comunità protette ad alta assistenza e sulle strutture di assistenza ai malati psichiatrici
riferendoci alla situazione odierna e concentrandoci in particolar modo sulla Lombardia.
Riporteremo infatti dati di una ricerca condotta dalla regione stessa, per fornire una
panoramica della situazione odierna. Nel terzo capitolo l’attenzione si sposterà sul ruolo
dell’educatore all’interno di tali comunità con l’intento di dimostrare che l’approccio
pedagogico ed educativo è complementare da quello medico clinico. Nel quarto ed ultimo
capitolo vi sarà la relazione del tirocinio, che ho condotto presso la comunità Il Gabbiano e
l’analisi di un caso che ho seguito in prima persona. La metodologia è stata quella di partire
dalla storia, passando per un approccio teorico e poi pratico in linea con il corso di studio che
ho frequentato.
CAPITOLO 1: EXCURSUS STORICO DELLA MALATTIA
MENTALE
Premessa
Nonostante l’uso comune tenda a confonderli, follia, pazzia e malattia mentale non sono dei
sinonimi.
La “follia” viene dal latino folle che significa mantice, otre, recipiente vuoto e rimanda
all’idea di una testa piena d’aria.
La parola “pazzia” ha un’origine incerta, ma probabilmente deriva dal greco “pathos”, che
significa sofferenza e dal latino “patiens” (paziente, malato), concentrando dunque il
significato sull’esperienza dolorosa anziché sulle bizzarrie e le stravaganze del folle.
Il termine “follia” è oggi assolutamente in disuso nel linguaggio scientifico, che preferisce
usare il termine “malattia mentale”, alludendo a qualcosa di disfunzionale, rappresentabile
secondo un particolare modello scientifico, che è quello della medicina clinica.
La definizione di malattia mentale fornita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità
sottolinea, come punto di partenza generale che: “I disordini mentali e comportamentali” sono
intesi come condizioni clinicamente significative, caratterizzate da alterazioni del pensiero
dell’umore (emozioni) o del comportamento, associate con afflizioni personali e/o alterazioni
funzionali. I disordini mentali e comportamentali non sono semplicemente variazioni
nell’ambito della “normalità”, ma sono fenomeni chiaramente anormali o patologici. Il
termine classico bio-medico di malattia mentale viene oggi spesso sostituito da espressioni
quali: disturbo mentale, malattia psichiatrica, disturbo psichiatrico, disturbo comportamentale,
disturbo psichico.
L’intento di questo capitolo è quello di fornire una panoramica storica di come e dove la
malattia mentale è stata “curata”. Partiremo quindi dall’antichità per giungere ai giorni nostri
in cui si assiste ad un processo di cura completamente rinnovato, se si pensa che solo
vent’anni fa esistevano ancora i manicomi.
8
1.1 La svolta di Pinèl
Per molto tempo la psiche, le sue caratteristiche e i relativi disturbi, non è stata studio di
un’unica sola disciplina, ma delle scienze umanistiche quali: la filosofia le scienze naturali e
la medicina. Lo studio sistematico ed organico da parte della psichiatria e delle psicologia è
molto recente, tanto quanto lo è la connessione tra la psiche e lo studio del cervello. In effetti
nell’antichità si pensava infatti, che la psiche fosse situata nel cuore, nel sangue o negli umori
corporei1. Alle malattie della psiche veniva dato un significato mistico e religioso e il
trattamento consisteva in riti e preghiere2.
Durante il Medioevo la medicina non progredisce nelle ricerche. Nascono in questo periodo i
primi ricoveri per malati. Il Medioevo associa alla malattia mentale il diavolo, quindi i malati
mentali erano considerati gente indemoniata3, che doveva essere curata da sacerdoti e
inquisitori. Spesso si ricorreva anche all’uccisione, al rogo e all’impalamento4.
Con il Rinascimento l’individuo viene messo al centro e i diritti individuali di persone e di
cittadini vengono rivendicati.
Ackerknecht individua la “prima rivoluzione psichiatrica” nel 1600. Essa fu capeggiata da
Cornelio Agrippa, Paracelso, Girolamo Cardano, Lemnius e Johann Weyer, i quali
sostenevano la concezione, secondo la quale le malattie mentali erano viste come eventi
naturali, da curare con l’intervento di medici professionisti. Essi non credevano più
1
È con Ippocrate, considerato il primo uomo della medicina nella cultura occidentale, che inizia la clinica
medica, intesa come osservazione diretta della malattia. Ippocrate (460 a.C. – 377 a.C.) fu un medico praticante e
maestro di medicina ad Atene e in Tessaglia. Secondo la testimonianza di Platone e Aristotele, fu il medico più
famoso della sua epoca e il fondatore della medicina scientifica in Grecia. Egli ebbe il merito di far avanzare lo
studio sistemico della medicina clinica riassumento le conoscenze mediche delle scuole precendenti e di
descrivere le pratiche per i medici attraverso il Corpus Hippocraticum e altre opere. Famosa è la sua teoria
riguardante lo squilibrio di uno dei quattro umori presenti nell’organismo, approfondita successivamente da
Galeno che distinse quattro tipologie temperamentali: tipo collerico, sanguigno, flemmatico, malinconico, che
corrispondevano ai seguenti umori: bile gialla, sangue, flegma, bile nera. La depressione, per esempio, si
pensava fosse dovuta ad un eccesso di bile nera.
2
Cfr. Enciclopedia, Salute, La psiche: disturbi e terapie, RCS, Milano 2006, pp. 10-14.
3
Ricordiamo il Malleus maleficarum (martello delle streghe di Sprenger e Hinstitor) come opera principale sulla
stregoneria, nella quale viene scritto, che tutti i malati mentali sono indemoniati, perché la forza malvagia,
insinuandosi negli umori, contagia il corpo.
4
Cfr Erwin Ackerknecht, Breve storia della psichiatria, Massari, Bolsena 1999, pp. 7 - 15.
9
nell’origine soprannaturale dei disturbi psichici, ma in una forza psichico-spirituale, il cui
squilibrio era capace di scatenare malattie psichiche e fisiche5.
È nel Seicento che si assiste ad un ridimensionamento della concezione demonologica delle
malattie mentali, ma purtroppo coloro che ne soffrono iniziano ad essere spinti verso un totale
isolamento. Sono di quest'epoca le strutture come Bicêtre6, Salpêtrière7, le Workhouses e le
Zuchthaus tedesche, nelle quali venivano confinati non solo i malati mentali, ma anche i
poveri, gli omosessuali, i delinquenti.8 È in questo periodo infatti, che la follia viene
considerata una malattia psichiatrica inguaribile, in cui il malato mentale viene trattato alla
stregua di un essere pericoloso per la società e viene previsto come trattamento il carcere o il
confinamento in case di internamento.
Nel Settecento la prima psichiatria, sia quella orientata in senso organicistico, sia quella
orientata in senso dinamico si sviluppa su un terreno in cui nasce la fede nella ragione. Questo
periodo viene definito Illuminismo, ed è una fase in cui si assiste ad un grande ottimismo
verso il progresso dell’umanità. Da una parte vi è uno sviluppo della scienza, un
atteggiamento scientifico, il medico è completamente assorto nel suo laboratorio a
dissezionare cadaveri; dall’altra si vive negli istituti la violenza più feroce, e il malato
impallidisce in un orizzonte lontano. L’interesse è volto esclusivamente all’aspetto
organicistico, anatomico e meccanicistico.
La svolta decisiva arriva con Stahl9 il quale elabora la teoria nosologica chiamata
“animismo”.
5
Cfr. Enciclopedia, Salute, La psiche: disturbi e terapie, RCS, Milano 2006, pp. 22-26.
6
Bicêtre fu un ospedale situato nel comune di Le Kremlin-Bicêtre, in origine era stato progettato come ospedale
militare nel 1634. Successivamente fu aperto come orfanotrofio. Nel 1885 prese il nome di Hospice de Bicêtre.
Nella sua storia è stato usato in modo successivo come orfanotrofio, prigione, manicomio. Fu il primo a
introdurre l'utilizzo della camicia di forza come mezzo di restrizione.
7
Salpêtrière nasce originariamente come una fabbrica di polvere da sparo, successivamente venne costruito un
ospedale dove era ubicata la suddetta fabbrica, inaugurando così un rifugio in cui erano detenuti barboni,
vagabondi, ladri e truffatori di Parigi. Successivamente viene promosso un ampliamento della struttura allo
scopo di accogliere prostitute e donne abbandonate. Fu la sede dove venne effettuato il primo trapianto di cuore
in Europa, divenendo una delle più importanti istituzioni mediche di Europa. Oggi è un ospedale che è stato sede
di ricoveri illustri (Chirac e la principessa Diana).
8
Cfr Erwin Ackerknecht, Breve storia della psichiatria, Massari, Bolsena 1999, pp. 15-30.
Georg Ernst Stahl (1659 - 1734) fu un medico, fisico e chimico tedesco che nella sua opera fondamentale
Pheoria medica vera sostenne un sistema animistico in opposizione al meccanicismo.
9
10
Egli recupera il concetto, che vi sia una forza originaria sottostante a tutti gli organismi, che
lui chiama anima, ed è un impulso speciale e dinamico che distingue la materia vivente, da
quella inerte. Egli mette sullo stesso piano materia umana e materia animale, principio alla
base della biologia odierna. Da ciò deriva il fatto che i disturbi mentali non avevano solo
un’origine fisica, ma psichica e che la comprensione dell’anima era utile al medico quanto
altre nozioni di fisica e di chimica. La scienza subisce in questo modo un progressivo
processo di laicizzazione, in cui la ragione sostituisce la fede e la tradizione, la
sperimentazione sostituisce l’astrazione e numerosi medici cercano di categorizzare i sintomi
dei malati di mente.
È nella seconda metà del Settecento, che la psichiatria si definisce come disciplina scientifica,
grazie al lavoro di Pinel, Chiarugi, Tuke, Esquirol. Si tenta una sistematizzazione e una
categorizzazione delle malattie, ma non le si comprende ancora da un punto di vista
psicologico. La cura continua ad essere molto primitiva: trattamento dei pazienti in acqua
gelata, torture definite innocue (i pazienti venivano spaventati con il rombo dei cannoni in
modo da suscitare in loro emozioni violente). Vi furono anche teorie molto originali quali il
mesmerismo dal medico tedesco Mesmer10, il quale elaborò una tesi sull’influsso dei pianeti
sulle malattie umane. Egli curava i propri pazienti attraverso dei magneti, suscitando in loro
crisi nervose prodromiche. È con Pinel11 e il suo trattato medico filosofico “sull’alienazione
mentale” del 1801 che si assiste a una svolta in quanto si identificano le cause delle malattie
mentali nell’ereditarietà, nelle istituzioni sociali carenti, nello stile di vita irregolare, nel
passaggio da una vita attiva ad una inattiva, nel conflitto tra pulsioni istintuali e dogma
religioso. Egli distingue le malattie mentali in: mania, malinconia, demenza ed idiozia. Pinel
sottolinea l’origine fisiologica della malattia mentale, da ricercarsi in una visione a livello
10
Mesmer (1734 - 1815). Si laureò in filosofia e teologia poi in medicina. Sulla traccia di Paracelso e della
tradizione astrologica, cercò i rapporti tra gli astri e gli organismi viventi e credette di individuare la presenza di
uno spirito o fluido "vitale" che si sprigiona da ogni essere e può determinare influenze profonde tra di essi: di
qui gli studi sul "magnetismo" di minerali e viventi (mesmerismo); in particolare, essendo riuscito a provocare
sonno profondo con l'uso di ferri magnetizzati, teorizzò la presenza di uno spirito vitale (magnetismo animale) e
che sarebbe alla base dell'ipnosi. Mesmer ritenne che attraverso l'influsso magnetico si potessero anche curare le
malattie alla cui origine vi sarebbero disturbi di origine "magnetica".
Pinel (1745 – 1826) fu medico e protagonista del rinnovamento operatosi nella psichiatria alla fine del XVIII
secolo. Egli seppe guardare ai problemi dei malati di mente con spirito nuovo, grazie a una vasta preparazione
multidisciplinare. Nel 1787 cominciò a pubblicare scritti sulle malattie mentali. La notorietà conseguita con una
memoria sul trattamento delle alienazioni dell'età adulta, scritta per un concorso bandito dalla Société royale de
médecine, gli valse nel 1793 l'assegnazione all'asilo di Bicêtre, dove compì lo storico atto di liberare gli alienati
dalle catene e dalle lordure in cui erano mortificati, trasformando i pazzi in malati da studiare e curare. Analoga
opera compì a Salpêtrière qualche anno dopo, accentuando il valore del colloquio nel trattamento del malato
mentale.
11
11
cerebrale determinata da cause genetiche o traumatiche. Egli però pone molta attenzione alla
dimensione affettiva del disturbo e sostiene che, solo medici sensibili alla dimensione
motivazionale e affettiva del comportamento possono curare i malati di mente. Egli crede in
una cura morale dei malati. Dal punto di vista terapeutico muta l’atteggiamento, che non deve
essere di repressione, ma deciso e liberale al tempo stesso. All’interno degli istituti si
suddividono i malati in vari reparti, si sconsigliano le catene e si utilizza la camicia di forza.
Con Pinel nasce il manicomio, istituzione che si diffonde in tutta Europa e la cui cura
coincide con il controllo dei malati. Esquirol12, allievo di Pinel, dà un grande impulso alla
scuola francese e tenta ogni tipo di nuovo rimedio terapeutico individuando nel cervello
l’origine della mania, attribuendo ai cambiamenti sociali dell’uomo moderno la radice di
molte patologie psichiatriche.
Altro contributo fu dato dall’italiano Vincenzo Chiarugi13 il quale portò a termine la riforma
ospedaliera del San Bonifacio. Egli crede nel rispetto del malato di mente da considerare una
persona umana, crede che il medico debba guadagnarsi la fiducia del malato, debba avere
tatto e comprensione in modo da trasmettere la ragione. Tuke seguace di Pinel fondò invece
York Retreat luogo di cura compassionevole ed umanitaria.
Questi studiosi incorporano nell’approccio psichiatrico quello pedagogico e morale, convinti
che il folle possa essere aiutato attraverso una ristrutturazione della personalità una
rieducazione.
Esquirol (1772 – 1840) fu uno psichiatra, considerato il massimo rinnovatore della psichiatria del XIX secolo.
Allievo e continuatore di Pinel, dedicò tutte le sue energie a eliminare i pregiudizi di vario genere che tenevano
gli alienati fuori da ogni legge umana. Egli affermò il concetto che l'alienazione mentale è una vera e propria
malattia, cui si deve far fronte con criteri scientifici e con metodi umani.
12
13
Vincenzo Chiarugi (1759 -1820) fu medico all'Ospedale di Firenze. Insieme a Pinel ha il merito di aver
impostato in modo razionale il problema dell'assistenza ai malati di mente, che sino allora erano oggetto di un
trattamento disumano. Egli organizzò e diresse il manicomio fiorentino di Bonifazio, aperto nel 1788 per volontà
di Leopoldo I, esponendo e sperimentando i suoi metodi innovativi.
12
1.2 Nascita della psichiatria
Nell’Ottocento il medico americano Benjiamin Rush14 denuncia lo stato di arretratezza della
medicina nei confronti della malattia mentale, sottolineandone ritardi e incompetenze, in
quanto i medici possiedono ancora una tesi di matrice organicistica, non lontana dalla teoria
galenica degli umori. La diagnosi è arretrata, le cure sono ferme a trattamenti violenti; solo
nei luoghi più all’avanguardia si ricorre all’ascolto di musica calmante, piuttosto che
all’induzione di trance. È in questo secolo che la follia viene separata: da un lato dai disturbo
organici cronici dell’intelligenza e da un altro lato dai disturbi minori quali la nevrastenia. Ad
una psichiatria delle passioni capeggiata da Pinel, si passa ad una psichiatria dell’inconscio e
del sogno chiamata romantica, che divide il corpo in soma, anima e spirito. Essa nasce
durante il Romanticismo, molti psichiatri di quel tempo furono anche poeti. Il movimento
degli Psychiker considerava le malattie mentali, patologie di un anima senza corpo, mentre il
movimento dei Somatiker15 intendeva le malattie mentali esclusivamente nella loro
componente somatica. Sul piano organizzativo la psichiatria tedesca fu caratterizzata da una
notevole crescita, vennero fondati numerosi istituti moderni orientati all’antropologia
filosofica, che considerava anima e corpo un unità inscindibile. Le cure continuavano ad
essere piuttosto brutali: sedia girevole, docce fredde, terapie della vergogna e del dolore.16 È
nel 1845 che Griesinger pubblica “Patologia e terapia delle malattie psichiche” il quale
localizza le patologie nel cervello, sebbene sostenga che non tutte le malattie mentali trovano
riscontro in lesioni cerebrali. Egli afferma, che tutte le percezioni sensoriali hanno come
centro il cervello, il quale le trasforma in rappresentazioni, che possono rimanere anche
inconsce. Anche le stimolazioni esterne possono produrre disturbi a livello della sfera
emotiva, vengono in questo modo messe in luce le cause psicologiche della patogenesi dei
disturbi mentali. Dopo il 1850 la psichiatria “romantica” entra in crisi, la nascita del
Positivismo e lo sviluppo della neurologia trasformano definitivamente la psichiatria in
14
Benjamin Rush, è il padre della psichiatria americana, pubblicò il primo manuale sulla psichiatria nel 1812. La
masturbazione e il troppo sangue nel cervello furono considerate la causa della pazzia. La cura consisteva nella
cauterizzazione del midollo spinale, dei genitali o nell'immobilizzare le parti intime del paziente nel gesso per
prevenire la masturbazione. Egli progettò la sedia tranquillante per immobilizzare la vittima e tenerla in uno stato
di disagio e di dolore. La sua invenzione derivava dalla "sedia della strega", usata per estorcere confessioni da
persone accusate di stregoneria.
15
Cfr Erwin Ackerknecht, Breve storia della psichiatria, Massari, Bolsena 1999, pp. 53-70.
16
Cfr. Enciclopedia, Salute, La psiche: disturbi e terapie, RCS, Milano 2006, pp. 30-37.
13
disciplina obiettiva e scientifica, basata sulla concezione che la patologia ha origine nel
cervello. Il cervello è la sede dove si localizzano tutte le funzioni dell’organismo, sia fisiche
che psichiche. Lo studio morfologico e funzionale indirizza ad una visione localistica del
sistema nervoso centrale, con specifiche aree deputate a precise funzioni. Ogni regione
cerebrale alterata sostiene anomalie tipiche psichiatriche, emozionali e comportamentali. Il
cervello malato è alla base del comportamento deviato.
Cesare Lombroso17, psichiatra e antropologo italiano, segue questa concezione e cerca,
essendo medico delle carceri di Torino ed ispettore dei manicomi piemontesi, di stabilire una
serie di collegamenti tra anomalie fisiche e psicosomatiche dell’individuo e la degenerazione
morale del delinquente. Secondo lui il criminale è sempre un malato di mente influenzato da
fattori sociali, biologici e personali.
Nel frattempo in Francia si afferma l’opera di Charcot18, il quale tenta di dare maggiore
spessore scientifico alle teorie neurologiche connesse allo studio degli stati di trance ipnotico.
Grazie a lui l’ipnosi viene riconosciuta formalmente come metodo scientifico. Egli studia la
connessione tra i fenomeni ipnotici e le reazioni muscolari e nervose: quindi, mentre in
Francia si assiste all’approfondimento dello studio delle patologie nevrotiche, in Germania si
assiste allo studio delle psicosi gravi, come fece Kraeplin19, il cui studio fu rivolto ai sintomi.
Egli divise le malattie mentali tra curabili ed incurabili. Questo approccio escludeva qualsiasi
considerazione della personalità umana, e dava poche speranze a colui che veniva decretato
malato di mente, abbandonandolo ad un destino certo ed incontrovertibile.
17
Cfr Erwin Ackerknecht, Breve storia della psichiatria, Massari, Bolsena 1999, pp. 100-115.
Charcot (1825 – 1893) fu un neuropatologo e l'esponente più illustre della neuropatologia francese del XIX
sec. Dopo essere stato per un decennio professore di anatomia alla Sorbona, iniziò nel 1882 l'insegnamento
ufficiale della neurologia, tenendo la cattedra di clinica delle malattie nervose a Salpêtrière. Come testimoniano
le sue lezioni, la sua opera spaziò su tutta la neuropatologia, il suo nome è legato all'individuazione della sclerosi
laterale amiotrofica, alla sindrome clinica dello stadio conclamato della sclerosi multipla, alle atrofie muscolari,
alla epilessia jacksoniana, alle afasie, agli studi sulla sintomatologia dell'isteria ed alla interpretazione dei
fenomeni ipnotici come espressione di anormalità nell'ambito dell'isteria. Egli utilizzò il compressore ovarico per
comprimere la zona ovarica per calmare le donne isteriche.
18
Kraepelin (1856 – 1926) fu neuropsichiatra e professore di psichiatria a Dorpat (1886), Heidelberg (1890) e
Monaco (1905), dove diede vita alla Deutsche Forschungsanstalt für Psychiatrie. Elemento saliente della
riforma kraepeliniana è la demenza paranoide nel quadro della demenza precoce, sulla base della loro natura
endogena e del comune decorso progressivo verso una particolare forma di demenza. Valore fondamentale
hanno anche le sue concezioni sulla psicosi maniaco-depressiva. Celebre e ancora valido il suo trattato di
psichiatria, che egli sottopose a continue e importanti rielaborazioni.
19
14
1.3 Nascita della psicoanalisi e dell’approccio fenomenologico
Alla fine dell’Ottocento assistiamo ad una reazione alla mera classificazione psichiatrica,
considerata arida e riduttiva. Inoltre gli ambienti accademici vantavano una tradizione di
ricerca e sperimentazione clinica ormai consolidate.20 È in questo sfondo che si inserisce la
figura di Freud e la nascita di una nuova disciplina: la psicanalisi. Quest’ultima riprende i
temi della psichiatria romantica: il sogno, l’inconscio e li riporta alla luce da un punto di vista
terapeutico, creando un nuovo metodo di indagine, indagatore della natura umana. Freud
elabora la prima teoria globale della personalità basata sull’osservazione e non solo sulla
speculazione. È con l’opera: “Studi sull’isteria” del 1895 che Freud e Breuer danno inizio alla
psicanalisi. Freud, che di formazione è medico e neurologo, inizia ad interessarsi alla
psicologia dopo la visita a Charcot e alla collaborazione con Breuer (uno dei maggiori
professionisti in campo psichiatrico del tempo). Nel testo, i due studiosi affermano che gli
isterici soffrono perché hanno rimosso un evento traumatico, che ha provocato in loro uno
stress emozionale. L’evento torna in modo camuffato nei sintomi e la cura ha il compito di
liberare le emozioni, che sono state represse. Tramite l’ipnosi il paziente ricorda l’evento
traumatico, ma non ne elimina le cause che lo avevano fatto dimenticare. Freud utilizza quindi
un’altra pratica che è la libera associazione di idee, che permetto allo psicanalista di
decodificare il significato simbolico che sottende a ciò che i pazienti raccontano. Il materiale
inconscio tende infatti a tradirsi nella pressione della sua tendenza ad esprimersi. Freud
divenne famoso per “L’interpretazione dei sogni” che mostrava la possibilità di decodificare
il significato latente del sogno, in quanto espressione fondamentale del desiderio inconscio
del paziente. I sogni esprimono infatti il conflitto tra il desiderio inconscio inaccettabile e le
pressioni della censura, che ha lo scopo di difendere l’Io del paziente, attraverso la rimozione
del contenuto spiacevole dalla coscienza. Secondo Freud il desiderio moralmente inaccettabile
è di origine sessuale. Egli elaborò la teoria del complesso di Edipo, ovvero il desiderio
sessuale del bambino nei confronti del genitore del sesso opposto, e la rivalità con il genitore
del proprio sesso. La teoria sullo sviluppo della libido è uno dei capisaldi della teoria
psicoanalitica. Altro studio importante fu la teoria strutturale e la divisione tra Es, Io e Super
Io. Egli elaborò inoltre la nozione di “transfert” che corrisponde alla tendenza del paziente ad
investire inconsciamente il terapeuta di caratteristiche proprie dei suoi genitori. Le conquiste
20
Cfr. Enciclopedia, Salute, La psiche: disturbi e terapie, RCS, Milano 2006, pp. 37-43.
15
della psicoanalisi sono considerate una pietra miliare della cultura del Novecento dalle quali
non si può prescindere negli studi successivi.
Successiva alla psicoanalisi è la prospettiva fenomenologica, corrente di pensiero che
riconosce il suo filo diretto nella filosofia, nell’organizzazione dinamica, normale e patologica
della vita psichica. Capofila di tale teoria è il professore di filosofia, medico e psichiatra Karl
Jasper21 il quale nel 1913 scrive “Psicopatologia generale” sostenendo che: compito dello
psicopatologo è entrare in empatica comprensione del disagio del paziente. Egli infatti, non
vuole scoprire le cause della sofferenza, ma condividere con il paziente il vissuto emotivo, per
condurlo ad un percorso di consapevolezza. Egli non distingue più, il normale dal patologico,
in quanto l’individuo sceglie il modo in cui stare al mondo. Suo seguace fu Binswanger 22, il
quale credeva che la psicologia non deve essere lo studio della coscienza e del
comportamento in astratto, ma lo studio delle modalità di essere dell’uomo nel mondo.
L’obiettivo era quindi quello di aiutare il paziente a creare un proprio progetto di mondo e a
realizzarlo.23
1.3.1 Il processo di deistituzionalizzazione dell’assistenza psichiatrica
pubblica in Italia
Il Novecento porta con sé la prima legge nazionale sull’assistenza psichiatrica, la quale si
concentra più sui problemi della sicurezza pubblica che su quelli dell’assistenza sanitaria. I
malati di mente vengono ancora visti come persone pericolose dalle quali la società si deve
Karl Theodor Jaspers (1883 –1969) fu un filosofo e psichiatra tedesco, il quale diede un notevole impulso alle
riflessioni nel campo della psichiatria, ma anche alla filosofia, alla teologia e alla politica. L’insoddisfazione per
la cura della malattia mentale indusse a Jaspers a mettere in discussione i criteri diagnostici ed i metodi della
psichiatria clinica. Nel 1910 pubblicò un testo rivoluzionario sulla paranoia. Nell'opera venivano esposti i casi di
alcuni pazienti affetti da paranoia, fornendo informazioni biografiche relative ai soggetti in cura e dando un
resoconto del modo in cui gli stessi pazienti interpretavano i loro sintomi. Il metodo biografico si è affermato
come una delle principali pratiche terapiche della moderna psichiatria. Condensò le sue convinzioni sulla
malattia mentale nei due volumi di cui si compone la sua Psicopatologia generale, da cui sono derivati alcuni
criteri diagnostici. Di particolare importanza è la convinzione che i sintomi debbono essere analizzati e
diagnosticati per la loro forma, piuttosto che per il loro contenuto.
21
Binswanger (1881 – 1966) fu uno psichiatra svizzero, considerato massimo esponente dell'analisi esistenziale
e della psichiatria fenomenologica, fu oppositore di Kraepelin. Egli traspose il pensiero di Husserl e Heidegger
nel campo della salute mentale, in particolar modo della schizofrenia. Secondo lui la malattia mentale è uno dei
modi di porsi dell'essere umano.
22
23
Cfr. Enciclopedia, Salute, La psiche: disturbi e terapie, RCS, Milano 2006. pp. 44-57.
16
proteggere. I manicomi isolano i pazienti sempre più tenacemente e divengono un contenitore
di follia, nel quale si praticano nuove terapie, che rispondono alla psichiatria fisica e
psicologica. Vengono praticate terapie farmacologiche, interventi chirurgici che ledono
cerebralmente il paziente, in modo da renderlo più remissivo, un esempio ne è la lobotomia.
Altre terapie sono l’elettroshock e lo shock insulinico, quest’ultimo provoca un coma
ipoglicemico mediante insulina e risveglia il paziente mediante zucchero. Sono degli anni
Quaranta e Cinquanta i primi psicofarmaci, i quali hanno tutt’ora uno sviluppo ormai di
massa. Negli anni Sessanta la denuncia della situazione dei manicomi si fa sempre più forte,
dando luogo alla nascita di strutture psichiatriche alternative come centri e ambulatori di
igiene mentale, case di riposo psichiatriche e reparti psichiatrici in ospedali civili. In Gran
Bretagna nasce la comunità terapeutica, in Francia la psicoterapia istituzionale. In Italia il 18
Marzo 1968 il Parlamento approva la legge n.431 “provvidenze per l’assistenza psichiatrica”
chiamata anche “legge Mariotti” la quale rende possibile il ricovero volontario e non più
forzato, con essa nascono inoltre i centri di igiene mentale. Con tale legge vengono realizzati
alcuni cambiamenti significativi: introduzione di un limite quantitativo dei posti letto degli
O.P24, imposizione di un organico minimo assistenziale25, regolamentazione delle assunzioni
tramite concorso pubblico, regolamentazione dei centri di igiene mentale sotto la direzione di
un direttore psichiatra, introduzione di finanziamenti da parte dello Stato nei confronti delle
amministrazioni provinciali al fine di assumere personale medico e acquisto di attrezzature
medico sanitarie. Se da una parte questa legge introduceva elementi positivi, dall’altra
possedeva ancora il limite del ritenere l’ospedale psichiatrico come unica struttura di ricovero.
È negli anni Sessanta che si ripensa il sistema nel suo complesso. In questo periodo sindacati,
governo e partiti politici sono in piena contrattazione per ridefinire un nuovo concetto di
riforma. È così che nasce il movimento dell’antipsichiatria con a capo Franco Basaglia
psichiatra26 che parte da una cultura fenomenologica. Egli vince un concorso per la direzione
dell’ospedale psichiatrico di Gorizia e trova una situazione, da un punto di vista terapeutico,
estremamente violenta, tanto da affermare “un malato di mente entra nel manicomio come
24
Rabboni M., Etica della riabilitazione psichiatrica. Tensioni e prospettive nelle strategie di intervento, Franco
Angeli, Milano, 1997. Da pag. 10 a 30.
25
In passato la gestione degli O.P. era affidata alle amministrazioni provinciali il personale era scarsamente
qualificato, sia quello medico che infermieristico gli infermieri venivano formati dai medici i quali erano
sottodimensionati come numero in base ai ricoverati. Solo il medico direttore emetteva la diagnosi. I medici non
avevano alcuna specializzazione e sceglievano l’O.P. perché tale posto garantiva dei privilegi equiparati solo a
quelli dei medici primari a quelli degli altri ospedali.
26
Cfr. Enciclopedia, Salute, La psiche: disturbi e terapie, RCS, Milano 2006, pp. 58-59.
17
persona, per diventare una cosa (…) Noi siamo qui per dimenticare di essere psichiatri e
ricordare di essere persone”. Egli sostiene che la conquista della libertà del malato deve
coincidere con la conquista dell’intera comunità. Nel 1971 Basaglia diviene direttore del
manicomio di Trieste San Giovanni che contiene milleduecento malati. Egli istituisce
laboratori di pittura e di teatro e nasce la cooperativa dei pazienti, i quali svolgono lavori
riconosciuti e retribuiti. Nel 1973 fonda il movimento Psichiatria Democratica e Trieste
diventa zona pilota per l’Italia nella ricerca dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sui
servizi di salute mentale. Nel 1978 viene chiuso il manicomio di Trieste e viene approvata la
legge 180, che decreta la chiusura ufficiale dei manicomi. Essa stabilisce che il diritto della
persona alla cura e alla salute, e non più il giudizio di pericolosità, deve stare alla base del
trattamento sanitario, il quale dovrebbe essere di norma volontario. Il trattamento sanitario
obbligatorio deve essere utilizzato quando sono stati fatti tutti i tentativi in precedenza e vi
sono alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici. Dopo questa riforma
si assiste in Italia ad una attiva crescita di presidi territoriali. Segue una crisi nello sviluppo
della riforma e crea; e questo determina una situazione di stallo per quei pazienti, che dimessi
dagli ospedali psichiatrici non avrebbero saputo dove andare con conseguente sovraccarico
per le famiglie. Nel 1978 viene inoltre approvata la legge n.833, che istituisce il servizio
sanitario nazionale; è una legge che include in un unico disegno molti provvedimenti
legislativi approvati negli anni Sessanta e Settanta e che definisce i punti cardine. Essa
modifica l’approccio alla salute spostando il centro dal modello curativo a quello preventivo e
riabilitativo. I servizi vengono decentrati territorialmente, in modo da essere maggiormente
accessibili da parte di tutti i cittadini. I punti forti di tale riforma possono essere sintetizzati in:
decentramento, universalismo, integrazione, programmazione, partecipazione e prevenzione.
La legge definisce l’USL - Unità Sanitaria Locale; oggi Azienda Sanitaria Locale – come il
complesso dei presidi, degli uffici e dei servizi dei Comuni e delle Comunità montane i quali,
in un ambito territoriale, determinano e assolvono i compiti del SSN. Alle USL, dunque spetta
il compito di erogare la maggior parte delle prestazioni a livello locale mentre, a livello
intermedio, alle Regioni compete una funzione di indirizzo, di programmazione di
legiferazione. A livello centrale e, quindi, allo Stato competono funzioni di indirizzo, valide
per tutto il territorio nazionale, funzioni programmatorie di tipo generale e la funzione
legislativa, oltre a quella di controllo/valutazione. Nel 1992 il Parlamento acquisisce ampio
potere di delega in materia di sanità e politica sanitaria; tant’è che nel 1993 le USSL vengono
trasformate in ASL riorganizzando il servizio ospedaliero. L’ASL diventa un ente strumentale
della regione con una propria autonomia e gestione di attività e servizi socio assistenziali.
18
L’azienda si articola in servizi, dipartimenti, presidi, distretti. Sempre negli anni Novanta
viene attuato il “Progetto Obiettivo” che riattiva il processo e riforma, in materia di salute
mentale. Esso individua quattro questioni principali al fine di migliorare l’assistenza
psichiatrica: la costruzione di una rete di servizi in grado di fornire un intervento integrato;
sviluppo dell’organizzazione dipartimentale di lavoro, aumento delle competenze
professionali degli operatori, superamento definitivo dell’ospedale psichiatrico tramite
attuazione di programmi mirati a una nuova sistemazione dei degenti. Successivamente viene
istituito il Dipartimento di Salute Mentale come organo di coordinamento con il compito di
garantire unitarietà ed integrazione dei servizi psichiatrici.27
27
Tognetti Bordogna M., Lineamenti di politica sociale. Cambiamenti normativi e organizzazione dei servizi
alla persona, Franco Angeli, Milano, edizione 2007. pp. 120-193.
19
CAPITOLO 2: L’ORGANIZZAZIONE DEI SERVIZI
PSICHIATRICI IN LOMBARDIA
Premessa
In questo secondo capitolo abbiamo esaminato le strutture psichiatriche che la regione
Lombardia ha messo a disposizione della propria cittadinanza, in seguito alla chiusura dei
manicomi. Partiremo quindi dai centri psicosociali, in quanto sono il primo luogo dove
vengono accolti e indirizzati i pazienti; passeremo poi al servizio psichiatrico di diagnosi e
cura, al centro diurno e alle strutture residenziali. Porremo particolare attenzione alle
comunità protette, perché tema di questa tesi sarà poi la comunità protetta Gabbiano dove ho
effettuato il tirocinio, e il ruolo dell’educatore all’interno delle comunità protette. Questa
panoramica è stata condotta prendendo in considerazione le strutture, il loro ruolo, la tipologia
dei pazienti, gli interventi erogati e gli operatori che vi lavorano; il tutto è stato
contestualizzato nella Regione Lombardia, estrapolando i dati da una ricerca condotta dalla
regione stessa e pubblicata dal sito ufficiale28. Tale ricerca è stata condotta da Antonio Lora e
commissionata dalla Regione Lombardia. Essa si riferisce ad un arco di sette anni dal 1999 al
2005. Essa ha lo scopo di descrivere il funzionamento del sistema psichiatrico lombardo, con
lo scopo di cogliere le linee di sviluppo più significative, in modo da rispondere ad una
domanda che si evolve in continuazione. Altro scopo è stato quello di mostrare in che
direzione si stia muovendo il sistema di salute mentale lombardo. La nostra decisione di
prendere in considerazione tale ricerca è stata quella di attualizzarla in un luogo e in un
periodo di tempo, in modo da comprendere, se vi sia possibilità di uno spazio maggiore per
l’intervento dell’educatore. Tali dati verranno utilizzati nel capitolo seguente anche per
valutare che tipo di intervento può attuare l’educatore in base alla patologia, alla situazione
famigliare, all’età, al grado di istruzione e al sesso del paziente.
Secondo l’articolo 54 della legge regionale n. 33 del 30 dicembre 2009 (testo unico delle leggi
regionali in materia di sanità), la tutela sociosanitaria delle persone con patologia psichiatrica
si attua mediante l’istituzione dei dipartimenti di salute mentale.
28
www.sanita.regione.lombardia.it
20
Il DSM è una struttura organizzativa integrata e interdisciplinare che collega funzionalmente
le unità operative di psichiatria (UOP) e le unità operative di neuropsichiatria dell’infanzia e
dell’adolescenza, le quali compiono un lavoro di prevenzione cura e riabilitazione in stretto
collegamento con gli altri servizi sanitari e socio assistenziali delle Asl e dei comuni.29
L’unità operativa di psichiatria dispone dei seguenti presidi:
 Centri psicosociali per le attività ambulatoriali, terapeutiche e riabilitative;
 Servizio psichiatrico di diagnosi e cura, ubicato in una struttura ospedaliera con un
numero di posti letto non inferiore a sette e non superiore a quanto previsto dalla
normativa vigente;
 Strutture residenziali psichiatriche, con un massimo di venti posti per struttura;
 Centri diurni.
2.1 Centro psicosociale (CPS)
È l’asse portante, il fulcro organizzativo il nucleo operativo, il luogo di confronto del sistema
di cura psichiatrico. Esso è sede di attività ambulatoriali, psichiatriche, psicoterapiche,
psicosociali e riabilitative, e coordina inoltre l’attività domiciliare. Ad esso si rivolgono
famiglie e cittadini che lamentano una sofferenza psichica più o meno grave. L’attività del
CPS è rivolta alla diagnosi, alla cura ed alla riabilitazione, è sede del progetto terapeutico e di
attuazione degli interventi.
Esso è luogo elettivo di intervento in situazione di crisi, in quanto è in questo luogo che viene
effettuata la presa in carico del paziente seguito nella sua globalità, secondo l’ipotesi
eziopatogenetica, biopsicosociale della malattia mentale, per cui tutto il contesto e quindi
anche la famiglia, diventa parte integrante del progetto di cura, che necessità di un arco di
tempo piuttosto lungo, data la complessità delle malattie psichiche e della loro possibile
cronicità. 30
29
Ba G. (a cura di), Metodologia della riabilitazione psicosociale, Franco Angeli, Milano 1997, p. 30.
Secchiaroli L., Turella B., L’operatore sanitario in psichiatria. Teoria e casi clinici sulla relazione con il
pazienti, Carocci editore S.p.a., Roma, 2009, p. 38.
30
21
Il trattamento è rivolto a soggetti con disturbo psichico grave, che necessitano di assistenza e
monitoraggio prolungato nel tempo e del quale il servizio si assume la piena titolarità. La
presa in carico avviene attraverso un’attività multi-professionale integrata, che può
comprendere prestazioni ambulatoriali, domiciliari, territoriali, riabilitative.
I Centri Psicosociali (CPS) sono le strutture territoriali in cui vengono realizzate e coordinate
le attività ambulatoriali di carattere psichiatrico, gli interventi psicoterapici individuali e di
gruppo, le attività rivolte alla famiglia, le attività di riabilitazione e di risocializzazione, le
attività domiciliari31 e gli interventi nelle situazioni di crisi. Inoltre il Centro Psicosociale è la
sede in cui vengono formulati i programmi terapeutico-riabilitativi e di risocializzazione del
singolo paziente, interagendo con le altre strutture dell’Unità Operativa e con le agenzie
sociali del territorio.
La rete dei Centri Psicosociali era già stata completata negli anni ’90, raggiungendo lo
standard, posto dal secondo Progetto Obiettivo regionale, di un Centro Psicosociale ogni
100.000 abitanti. Nel periodo 1999-2005 il numero di Centri Psicosociali si è ridotto,
passando da 110 nel 1999 a 104 nel 2005: questa riduzione è probabilmente effetto delle
procedure di accreditamento, che hanno portato alla chiusura di alcuni Centri Psicosociali, che
non soddisfacevano i criteri previsti, ad esempio per quanto riguarda le ore di apertura. Il
lavoro in queste strutture è incentrato prevalentemente su infermieri e medici, anche se un
ruolo significativo è svolto dal personale psicosociale (psicologi, educatori e assistenti
sociali). La valorizzazione operata dalla Regione Lombardia sull’attività erogata dai Centri
Psicosociali e dagli Ambulatori comprende: sia le prestazioni ambulatoriali, che quelle
territoriali. Nonostante sia avvenuto un aumento complessivo della spesa per queste strutture,
l’incremento è inferiore a quello registrato in media dalla spesa psichiatrica (+69% nel
periodo). In tal modo il peso percentuale dei Centri Psicosociali nel quadro della spesa
generale è diminuito, passando dal 18% del 2000 al 14% nel 2005.
Il Centro Psicosociale è una struttura che eroga in genere pattern di trattamento non intensivi:
solo un paziente su sei riceve più di venti interventi in un anno, mentre un terzo riceve solo
uno due contatti in un anno. Il tasso dei pazienti trattati nei Centri Psicosociali aumentano dal
1999 al 2005 (+36%), per poi stabilizzarsi. I Centri Psicosociali, si confermano comunque
come le strutture a maggiore accessibilità. In essi vi è una presenza del sesso femminile
superiore a quella dei maschi. L’età media degli utenti dei Centri Psicosociali si sta elevando
L’attività domiciliare mostra un incremento modesto e riveste un ruolo di minore centralità all’interno del
Centro Psicosociale. Essa si rivolge prevalentemente a utenti di sesso femminile, meno giovani, e affetti da
disturbo schizofrenico.
31
22
e nel 2005 più della metà degli utenti aveva un’età superiore ai 45 anni. Le fasce centrali di
età mostrano il maggior incremento percentuale nel periodo. In ambedue i sessi è la fascia di
età più giovane, al di sotto dei 25 anni, a presentare i tassi minori; nei maschi presentano i
valori più elevati le fasce 35/44 anni e 45/54 anni, mentre nelle femmine le fasce 45/54 anni e
55/64 anni. Sia nei maschi che nelle femmine le fasce di età più giovani (15/24 anni e 25/34
anni) mostrano un incremento minore, mentre un incremento maggiore si osserva nelle fasce
di età centrali (45/54 e 55/64 anni).
L’età degli utenti dei CPS è cresciuta in questi anni: la percentuale di soggetti con età
superiore ai 45 anni è passata nei maschi dal 43% del 1999 al 48% del 2005 e nelle femmine
dal 57% del 1999 al 60% del 2005. L’età media degli utenti nel 2005 era 46 anni per i maschi
e 50 anni per le femmine. I dati relativi allo stato civile dei pazienti trattati nei Centri
Psicosociali mostrano che: la maggioranza dei maschi è celibe e vive nella famiglia di origine,
mentre la maggioranza delle femmine è coniugata e vive con il partner.
PAZIENTI TRATTATI NEI CENTRI PSICOSOCIALI AMBULATORI PER CENTRI DIAGNOSTICI
DIAGNOSI ICD 10 (PERCENTUALI)
F0 Disturbi psichici di natura organica
F1 Disturbi dovuti all'uso di sostanze
F2 Schizofrenia, sindr. schizopatica e delirante
F3 Sindromi affettive
F4 Sindromi nevrotiche
F5 Sindromi associate ad alterazioni di funzioni
fisiologiche e a fattori somatici
F6 Disturbi della personalità
F7 Ritardo mentale
F8 Sindromi da alterato sviluppo psicologico
F9 Sindromi con esordio nell'infanzia e adolescenza
e F99 e disturbo psichico non specificato
Nessun disturbo psichiatrico
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
3,05% 3,07% 3,07% 3,09% 3,07% 3,02% 3,01%
3,04% 3,03% 3,04% 3,02% 2,03% 2,02% 2,01%
30,02% 28,02% 26,02% 25,05% 25,05% 25,06% 26,01%
24,06% 25,04% 25,05% 25,06% 25,04% 26,03% 26,06%
21,01% 22,03% 24,00% 24,06% 24,05% 24,03% 24,09%
1,03% 1,05% 1,06% 1,07%
10,08% 10,06% 10,05% 10,02%
4,02% 3,08% 3,07% 3,05%
0,02% 0,02% 0,02% 0,02%
0,06%
0,01%
0,09%
0,02%
1,00%
0,02%
1,02%
0,04%
1,06%
9,06%
3,02%
0,02%
1,05%
9,07%
3,02%
0,02%
1,07%
9,05%
3,02%
0,02%
1,01%
2,08%
1,00%
2,01%
0,08%
2,08%
In questi anni è aumentato tra gli utenti dei CPS, sia il livello di scolarità che quello di
occupazione, in particolare tra le utenti di sesso femminile. Per quanto riguarda il titolo di
studio, non si osservano differenze significative tra i due sessi nella percentuale di laureati diplomati, mentre è maggiore la percentuale di maschi in possesso della licenza media e di
femmine in possesso della licenza elementare. In termini percentuali, si osserva un
23
incremento dei soggetti diplomati-laureati (nei maschi: dal 25% del 1999 al 29% del 2005;
nelle femmine dal 25% del 1999 al 30% del 2005).
I disturbi nevrotici, quelli affettivi e la schizofrenia rappresentano complessivamente circa tre
quarti dell’utenza, ma i primi due hanno mostrato un incremento molto superiore a quello dei
disturbi schizofrenici. Quattro diagnosi (schizofrenia, disturbi affettivi, nevrosi e disturbi di
personalità) coprono da sole più dell’85% del totale: le prime tre ammontano a circa un quarto
ciascuno dell’utenza, mentre i disturbi di personalità a circa un decimo. All’interno dei singoli
anni il peso percentuale della schizofrenia va incontro ad una significativa riduzione, come
pure quello dei disturbi di personalità; aumenta quello relativo ai disturbi nevrotici e affettivi.
I tassi più elevati riguardano la schizofrenia, i disturbi affettivi e i disturbi nevrotici;
presentano tassi minori i disturbi di personalità e i disturbi mentali organici. Le diagnosi che
hanno registrato un incremento maggiore sono i disturbi nevrotici (+68%) e i disturbi affettivi
(+53%), mentre hanno mostrato un incremento minore i tassi relativi ai disturbi schizofrenia
(+22%) e ai disturbi di personalità (+25%).
Tale quadro rimane stabile negli anni in termini di peso percentuale, con incrementi ridotti
dei pazienti nelle classi con meno di 6 interventi e in quella compresa tra 6 e 10.
L’attività complessiva dei CPS è aumentata nel periodo 1999-2005 di circa un terzo, senza
differenze tra i due sessi e con valori più elevati nell’ASL di Sondrio e nelle aree orientali
della Lombardia.
24
INTERVENTI EROGATI NEI CENTRI
PSICOSOCIALI - AMBULATORI PER TIPO DI
INTERVENTO (PERCENTUALI)
Visita colloqui (tutte le figure prof.)
Somministrazione farmaci
Valutazione
Visita medica legale
Psicoterapia individuale
Psicoterapia della famiglia
Presenze in gruppi di psicoterapia
Colloqui con i famigliari
Interventi psicoeducativo
Presenza in gruppo famigliari
Riunioni sui casi insieme alle UOP
Riunioni con altre strut. Sanitarie
Riunioni con i gruppi non istituzionali
Interventi individuale sulle abilità di base,
sociali, etc.
Presenze in gruppo incentrato sulle abilità di
base, sociali, etc.
Intervento individuale risocializzazione
Presenze in gruppo di risocializzazione
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
50,01% 50,06% 49,06% 48,06% 48,00% 47,06% 47,03%
15,03% 15,01% 14,07% 13,08% 14,00% 15,02% 15,01%
0,06% 0,06% 0,05% 0,04% 0,04% 0,04% 0,04%
0,06% 0,05% 0,04% 0,04% 0,04% 0,03% 0,03%
0,06% 0,06% 0,06% 5,04% 5,03% 5,02% 0,05%
0,03% 0,03% 0,02% 0,02% 0,02% 0,01% 0,01%
0,06% 0,05% 0,06% 0,07% 0,08% 0,08% 0,07%
4,06% 5,00% 5,03% 5,06% 5,09% 5,08% 6,01%
0,01% 0,01% 0,02% 0,03% 0,04% 0,04% 0,05%
0,04% 0,04% 0,04% 0,04% 0,03% 0,03% 0,03%
3,08% 4,02% 4,03% 4,08% 5,00% 4,09% 5,00%
2,02% 2,04% 2,04% 2,04% 2,05% 2,05% 2,04%
0,07% 0,06% 0,05% 0,05% 0,06% 0,05% 0,06%
1,08%
1,09%
1,07%
1,07%
2,00%
2,02%
2,05%
1,01%
2,02%
3,01%
0,09%
1,07%
2,04%
1,00%
1,07%
3,01%
1,03%
1,09%
3,07%
1,00%
2,01%
3,02%
0,09%
2,01%
2,09%
0,09%
2,02%
3,01%
PROFILI DI ATTIVITA' NEI CENTRI PSICOSOCIALI E NEGLI
AMBULATORI (PERCENTUALI)
1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005
Attività psichiatrica
33%
33%
33%
32%
31%
31%
30%
9%
9%
9%
9%
9%
9%
9%
28%
28%
27%
26%
26%
28%
28%
Attività rivolta alla famiglia
5%
5%
6%
6%
6%
6%
7%
Attività di coordinamento
6%
7%
7%
7%
8%
8%
8%
Attività di riabilitazione
4%
4%
4%
4%
4%
4%
4%
Attività di risocializzazione
7%
6%
7%
8%
7%
7%
7%
Attività di supporto sociale
6%
6%
5%
5%
5%
5%
5%
Attività di supporto alla vita quotidiana
2%
2%
3%
3%
3%
3%
3%
Attività psicologica-psicoterapica
Attività infermieristica
25
La visita colloquio erogata dalle diverse figure professionali e la somministrazione di farmaci
rappresentano gli interventi più frequenti. Le diverse tipologie di intervento riconoscono incrementi
molto differenziati, senza che sia possibile evidenziare uno specifico trend. L’intervento più utilizzato
nei CSM è la visita colloquio erogata dalle diverse figure professionali, che rappresenta da sola circa
la metà del totale. Il 60% delle visite colloquio è erogato dagli psichiatri, il 27% dagli infermieri (circa
un terzo di questi interventi sono al domicilio del paziente), il 4% da assistenti sociali, il 6% da
psicologi, il 2% da educatori e il restante 1% da altre figure professionali. Seguono in ordine di
frequenza la somministrazione di farmaci, i colloqui con i familiari, la psicoterapia individuale e le
riunioni interne alla UOP, gli interventi di supporto sociale e le presenze nei gruppi di
risocializzazione.
L’attività rivolta alla famiglia, le attività di supporto sociale e alla vita quotidiana, l’attività di
riabilitazione rientrano all’interno di un range compreso tra il 3% e il 6%. Le attività di
riabilitazione e risocializzazione svolgono un ruolo tutto sommato secondario nei Centri
Psicosociali (rappresentano poco più di un decimo dell’attività), in quanto nella rete dei
servizi lombardi è prevalentemente il Centro Diurno a erogare tale attività.
La composizione diagnostica dell’attività domiciliare non è mutata sostanzialmente negli
anni: gli interventi rivolti ai pazienti con schizofrenia rappresentano circa i due terzi degli
interventi, mentre gli interventi rivolti ai pazienti con disturbi affettivi un settimo del totale.
INTERVENTI EROGATI NEI CENTRI
PSICOSOCIALI - AMBULATORI PER
FIGURA PROFESSIONALE
(PERCENTUALI)
Medico
Psicologo
Assistente sociale
Infermiere
Educatore
Altro operatore
1999
35%
8%
8%
39%
7%
3%
2000
36%
9%
9%
38%
6%
3%
2001
35%
9%
9%
36%
8%
4%
2002
35%
9%
9%
35%
9%
4%
2003
34%
9%
9%
36%
9%
4%
2004
34%
9%
9%
37%
8%
4%
2005
34%
9%
9%
37%
8%
5%
La maggioranza degli interventi erogati nei Centri Psicosociali e Ambulatori è opera degli
infermieri e dei medici, mentre circa un terzo del personale psicosociale (psicologo, assistente
sociale, educatore, altro operatore). Sette interventi su dieci nei Centri Psicosociali sono opera
di medici e infermieri, mentre il ruolo della componente psicosociale è minore. I tassi di
26
interventi erogati da medici e da infermieri sono di quattro volte superiori a quelli erogati da
altre figure professionali. Mentre medici, infermieri e assistenti sociali aumentano la loro
attività in misura inferiore all’incremento complessivo, l’incremento relativo a psicologi
(+39%), educatori (+59%) e personale appartenente ad altre figure professionali (+113%) è
maggiore.
I Centri Psicosociali hanno rappresentato insieme con gli SPDC le prime strutture attivate nel
corso degli anni ‘80 e la loro espansione è avvenuta in modo relativamente omogeneo nel
territorio regionale. La rete è stata completata già alla fine degli anni ’80, la novità di questi
ultimi anni è data dall’incremento della attività dei poliambulatori, che è quasi raddoppiata. Il
peso dei Centri Psicosociali in termini di valorizzazione, pur aumentando in termini assoluti, è
diminuito in termini percentuali, a fronte del rapido incremento delle Strutture Residenziali e
Semiresidenziali. I Centri Psicosociali hanno visto in questi anni aumentare di più di un terzo
la loro utenza, mentre negli anni successivi i tassi si sono stabilizzati. Essi rappresentano le
strutture con maggiore accessibilità nella rete dei servizi di salute mentale, in quanto nove
pazienti su dieci, tra quelli in trattamento nelle Unità Operative di Psichiatria, ha avuto
almeno un contatto con i Centri Psicosociali. L’utenza è prevalentemente femminile ed è
diventata negli anni più anziana. Le fasce di età più giovani sono meno rappresentate e
presentano minori percentuali di incremento in termini, sia di utenti trattati, che di interventi
erogati. Non si osservano modifiche significative dello stato civile e della collocazione socioambientale dei pazienti, con l’eccezione di un maggiore accesso negli ultimi anni di utenti di
sesso maschile che vivono con il partner. Sia il livello di scolarità (espresso in termini di
numero di utenti diplomati-laureati), che la percentuale di occupati tra i soggetti in età
lavorativa, crescono in ambedue i sessi e in particolare tra le donne. L’utenza sembra quindi
esser diventata negli anni più anziana, più istruita ed occupata, più frequentemente inserita in
un contesto coniugale o di convivenza. Sono cambiate in modo ancora più netto le
caratteristiche diagnostiche dei pazienti: l’incremento maggiore in termini di casi trattati ha
riguardato i disturbi affettivi e quelli nevrotici, mentre il peso percentuale dei pazienti con
disturbi schizofrenici e di personalità è diminuito. I Centri Psicosociali sono così diventati più
accessibili alle patologie più diffuse nella popolazione e non solo ai disturbi mentali gravi. Se
analizziamo l’attività, circa la metà degli interventi si rivolge ancora ai pazienti con disturbi
schizofrenici, ma anche in questo caso nel corso degli anni il peso percentuale della
schizofrenia si è ridotto a fronte dell’incremento degli interventi erogati nei confronti dei
disturbi affettivi e nevrotici. Complessivamente i Centri Psicosociali hanno visto crescere la
loro efficienza, in quanto nel periodo dal 1999 al 2005 hanno aumentato la loro attività del
27
35% a fronte di un incremento di personale del 10%. E anche se questo incremento di attività
può esser spiegato in parte con una più attenta rilevazione degli interventi, è indubbio che una
parte significativa è legata ad un aumento di produttività. Ancora oggi, su dieci interventi
erogati nei Centri Psicosociali, sei sono relativi all’attività clinica degli psichiatri e all’attività
infermieristica (colloquio dell’infermiere in sede o più spesso al domicilio, somministrazione
di farmaci), mentre quattro hanno un chiaro profilo psicosociale. Le attività che si sono
sviluppate in misura maggiore sono quelle rivolte alla famiglia e le attività di coordinamento.
Sette interventi su dieci sono erogati da medici e infermieri, con un incremento che è
maggiore per il personale psicosociale rispetto a quello sanitario. Il Centro Psicosociale
rimane una struttura più orientata sul versante clinico, ma in cui le attività di carattere
psicosociale, seppure con lentezza, acquistano un peso sempre maggiore.
Otto interventi su dieci vengono erogati nella sede del Centro Psicosociale ed è proprio questa
attività, insieme con quella erogata in altro luogo (diverso dal domicilio del paziente), a
mostrare il maggiore incremento. L’attività domiciliare sembra invece riconoscere una
parziale crisi. Essa interessa circa un decimo del totale dei pazienti trattati e degli interventi
erogati, con un incremento ridotto sia in termini di pazienti che di interventi. È indirizzata
prevalentemente a persone di età media o ad anziani e nella metà dei casi gli interventi si
rivolgono a persone con disturbi schizofrenici. I Centri Psicosociali dovrebbero anche essere
titolari della riabilitazione psicosociale nel territorio nei pazienti che non necessitano di un
trattamento semiresidenziale, erogato nei Centri Diurni. Ma queste attività sono oggi poco
sviluppate all’interno dei Centri Psicosociali: solo un intervento su venti ha carattere
riabilitativo. L’attuale strutturazione dell’offerta sembra quindi indicare una minore capacità
delle rete regionale dei servizi, di rispondere ai bisogni di persone con disturbi mentali gravi,
la cui attività riabilitativa può essere svolta al di fuori della semiresidenzialità e all’interno del
contesto comunitario. Le modalità operative sviluppate negli ultimi 30 anni sono entrate in
crisi ed i Centri Psicosociali si trovano di fronte ad un bivio. Da un lato può essere accelerata
la loro trasformazione in strutture in cui è nettamente prevalente la componente ambulatoriale,
sia pure in forme maggiormente diversificate rispetto all’ambulatorio psichiatrico, dall’altro
può essere scelta la strada dell’innovazione, legata a nuove tipologie di intervento
psicosociale e guidata da forme di governo clinico. Questa scelta, critica per lo sviluppo del
sistema regionale di salute mentale, è condizionata non solo dalle risorse che verranno
investite in queste strutture, ma anche dalla cultura e dalla capacità innovativa degli operatori
che vi lavorano.
28
2.2 Servizio psichiatrico di diagnosi e cura (SPDC)
Il servizio psichiatrico di diagnosi e cura è situato nell’ospedale generale, e del presidio che
ha la gestione delle acuzie e dei trattamenti curativi che necessitano di ricovero, sia in regime
di trattamento sanitario volontario, che obbligatorio. Ad esso si accede per invio del CPS o
attraverso il Pronto Soccorso. Tale servizio ha un ruolo centrale per quanto riguarda la
valutazione clinico diagnostica e le impostazioni delle terapie farmacologiche. Esso ha un
numero di posti letto massimo di sedici unità, funziona come un qualunque altro reparto di
medicina e ha le porte di accesso chiuse. In esso vi lavorano medici psichiatri, psicologi,
infermieri professionali, operatori socio-sanitari e in rari casi educatori professionali. La
degenza media è di due settimane e al momento della dimissione verrà concordato con il
paziente e i famigliari la migliore decisione di presa in carico.
I Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura sono state le prime strutture ad essere state attivate in
modo diffuso sul territorio regionale, fino dai primi anni dopo la riforma. Il numero di posti
letto non è variato in modo significativo negli ultimi anni, mentre le risorse a loro attribuite
sono aumentate di circa un terzo. Anche in questo caso, nonostante l’aumento complessivo
della spesa per queste strutture, il peso percentuale degli SPDC nel quadro della spesa
generale è diminuito, seppur in misura minore rispetto ai Centri Psicosociali. Tra i pazienti
trattati ogni anno nei Dipartimenti di Salute Mentale lombardi, uno su otto viene ricoverato in
SPDC e il loro numero è aumentato di circa un quinto dal 1999 al 2005; i ricoveri sono invece
aumentati in misura minore.
I pazienti ricoverati in SPDC sono più giovani degli utenti che afferiscono alle altre strutture
del Dipartimento di Salute Mentale: l’attività di ricovero in SPDC sembra rivolgersi
soprattutto a utenti giovani di sesso maschile e a utenti di età media di sesso femminile, anche
se il maggiore tasso di incremento riguarda i pazienti anziani. In confronto alla globalità dei
pazienti trattati nei Dipartimenti di Salute Mentale, i pazienti ricoverati in SPDC vivono più
frequentemente nella famiglia di origine, sono meno frequentemente occupati ed hanno un
livello scolare più elevato.
Per quanto riguarda le diagnosi, più di due terzi dell’attività erogata negli SPDC è rivolta ai
disturbi schizofrenici e affettivi; seguono come frequenza i disturbi di personalità, le nevrosi e
i disturbi dovuti all’uso di sostanze. La presenza dei pazienti con disturbi schizofrenici negli
SPDC è diminuita in misura significativa, mentre è aumentata quella relativa ai pazienti con
29
disturbi nevrotici, disturbi di personalità, disturbi affettivi e disturbi mentali organici. In
particolare per quanto riguarda i disturbi mentali organici si assiste ad un raddoppio dei
pazienti trattati e delle giornate di degenza erogate. Su dieci pazienti ricoverati in SPDC, sette
hanno un solo ricovero all’anno, mentre tre hanno due o più ricoveri. Il trend di questi anni va
nella direzione di un incremento dei pazienti con ricoveri singoli e con due ricoveri all’anno,
mentre non c’è variazione nel numero di pazienti con più di due ricoveri. La durata
complessiva della degenza in SPDC, considerando tutti i ricoveri ricevuti all’anno, non supera
le due settimane per più della metà dei pazienti; un paziente su quattro rimane ricoverato in
SPDC dalle tre alle quattro settimane e solo uno su cinque più di un mese. Il trend va nella
direzione di una riduzione dei pazienti con degenze complessive superiori ai due mesi in un
anno. Mediamente un ricovero su dieci avviene in regime di Trattamento Sanitario
Obbligatorio, e il loro numero è rimasto stabile negli anni. Il ruolo degli SPDC all’interno
della rete delle strutture non si è modificato in modo sostanziale: la rete di strutture è
completa, la loro mission è chiara (la cura dei disturbi psichiatrici acuti, non trattabili a livello
territoriale), è forse minore il loro peso all’interno del sistema sia in termini di pazienti
ricoverati, che di risorse attribuite tramite il processo di valorizzazione. Il SPDC è diventato
una struttura con meno pazienti “revolving door” (pazienti con ricoveri ripetuti) e con meno
pazienti lungodegenti, anche grazie allo sviluppo della rete di Strutture Residenziali. Non solo
i pattern di trattamento sono cambiati, si è modificato anche il case mix, con un peso minore
della schizofrenia e una presenza più frequente di pazienti con patologie diverse, alle volte al
limite con altre specialità (come nel caso dei disturbi demenziali).
2.3 Centro diurno (CD)
È una struttura semiresidenziale con funzioni terapeutico-riabilitative e di risocializzazione
collocato nel territorio spesso vicino al CPS e in coordinamento con esso. Accoglie pazienti in
carico al DSM ed ospita per dieci ore al giorno, su sei giorni alla settimana. Nel centro vi è
preparazione e consumazione dei pasti ed offerta di varie attività, che vanno dai laboratori
artistici a laboratori nei quali imparare un mestiere. Esso è un contesto protetto che si rivolge
a quegli utenti che soffrono di patologie psichiche nelle quali si riscontra una forte difficoltà
nello stabilire rapporti interpersonali e sociali. In esso infatti l’utente impara ad acquisire le
30
regole elementari e di gruppo, ad apprendere abilità nella cura del sé, e a migliorare le proprie
relazioni interpersonali.
Questa struttura ha una propria equipe di lavoro gestita o direttamente dal DSM o dal privato
sociale e/o imprenditoriale. Il Centro Diurno rappresenta una tipologia di struttura in
espansione nella rete dei servizi lombardi: posti semiresidenziali e le ore di lavoro erogate
sono cresciuti di circa il 70% grazie all’entrata di nuovi erogatori privati. Così pure la
valorizzazione delle attività semiresidenziali è aumentata del 80%, portando nei Centri Diurni
una percentuale maggiore di risorse regionali. Anche se il numero dei pazienti trattati nei
Centri Diurni è quasi raddoppiato, essi continuano a rappresentare una quota ridotta
dell’utenza (meno di un paziente su venti tra quelli in trattamento nei Dipartimenti di Salute
Mentale è in contatto con queste strutture). La distribuzione geografica dell’utenza mostra
un’ampia dispersione territoriale con tassi più elevati nelle aree meridionali della regione.
L’utenza, differentemente dai Centri Psicosociali, è prevalentemente di sesso maschile; il
sesso femminile mostra invece una maggiore percentuale di incremento sia in termini di
pazienti che di attività erogate. Il dato relativo all’età indica che i Centri Diurni intercettano
prevalentemente utenza giovane e di età media, anche se negli anni si è progressivamente
ridotta la quota di attività rivolta alle persone più giovani. I pazienti trattati soffrono di una
significativa disabilità dal punto di vista psicosociale: non sono coniugati, vivono nella
famiglia di origine e nella quasi totalità dei casi non svolgono attività lavorativa.
Più della metà presenta una diagnosi di schizofrenia, anche se negli ultimi anni si osserva un
modesto incremento dei pazienti con disturbi affettivi e di personalità.
In termini di attività erogate, la polarizzazione nei confronti dei pazienti con disturbi
schizofrenici è ancora maggiore (circa due terzi degli interventi totali sono erogati nei loro
confronti), nonostante l’incremento maggiore riguardi le attività rivolte ai pazienti con
disturbi affettivi.
Il Centro Diurno si caratterizza come una struttura che eroga pattern di trattamento intensivi:
quattro pazienti su dieci ricevono più di cinquanta presenze in un anno. Il trend emergente
conferma la specializzazione della struttura nei trattamenti ad alta intensità: sono proprio i
pazienti con maggiore intensità di contatto ad avere il maggiore incremento negli anni tra il
1999 ed il 2005. La quasi totalità dell’attività erogata dai Centri Diurni è di carattere
risocializzante piuttosto che riabilitativo. Questo dato, la prevalenza di attività risocializzanti
su quelle riabilitative, aiuta ad inquadrare meglio la funzione di queste strutture. I Centri
Diurni svolgono un ruolo di gestione della cronicità e della disabilità, arricchendo con
iniziative di carattere risocializzante la vita quotidiana dei pazienti, mentre sembrano meno
31
focalizzati sulla riabilitazione psicosociale in senso stretto (interventi finalizzati alla riacquisizione delle abilità di base, sociali e relazionali da un lato e all’inserimento lavorativo
dall’altro). Il compito dei Centri Diurni è quello di rispondere ai bisogni differenziati dei
pazienti, alcuni dei quali hanno necessità di arricchire la loro vita quotidiana attraverso le
attività risocializzanti del Centro Diurno, mentre altri non accetterebbero la frequenza
giornaliera nella struttura, ma preferiscono ricevere interventi di carattere riabilitativo erogati
nel loro contesto di vita (ad esempio attraverso l’offerta di attività domiciliari finalizzate alla
riabilitazione).
2.4 Le strutture residenziali
Il DSM dispone anche di risorse che rispondano al bisogno abitativo e di cura delle persone
affette da sofferenza psichica. Queste sono chiamate strutture residenziali e rappresentano uno
strumento essenziale, per il superamento della concezione di ospedale psichiatrico. Esse non
sono solo residenziali, ma sono anche spazio privilegiato di realizzazione di programmi
riabilitativi e individualizzati. Il periodo di permanenza dei pazienti è variabile, ma la durata
media è di due anni. Il progetto terapeutico riabilitativo è elaborato in modo da essere
coerente e funzionale al piano di trattamento individuale elaborato dal CPS inviante. La
risposta ai bisogni di ri-accoglimento residenziale e di abitazione in ambiente comunitario si
concretizza all’interno di un’ampia articolazioni di soluzioni, che prevedono il concorso attivo
di diversi interlocutori istituzionali e non, tra i quali l’ente pubblico, il privato sociale, le
cooperative sociali, le organizzazioni di volontariato, il privato profit.
La funzione residenzialità integra esigenze di tipo riabilitativo, con esigenze di tipo
assistenziale. Si suddividono però le strutture riabilitative in: comunità riabilitative ad alta
assistenza, nelle quali la degenza può durare al massimo di diciotto mesi e l’offerta
assistenziale di alto grado è estesa sulle ventiquattrore; in comunità riabilitative a media
assistenza, nelle quali la degenza massima stabilita è ventiquattro mesi e l’assistenza è estesa
sulle ventiquattrore. Mentre le strutture assistenziali si suddividono in: comunità protetta ad
alta assistenza, nelle quali la degenza è di trentasei mesi e l’assistenza è estesa sulle
ventiquattro ore e comunità protette a media assistenza, nelle quali la degenza può durare fino
a trentasei mesi e l’offerta assistenziale di medio grado è estesa sulle otto o dodici ore. In
queste strutture il personale impiegato è composto da: psichiatri, infermieri professionali,
32
educatori professionali, operatori socio sanitari, vi è quindi personale sia sanitario che di tipo
psico-socio-educativo. Anche in queste strutture si pratica la terapia integrata, ovvero il
trattamento farmacologico, psicoterapeutico e riabilitativo.
L'organizzazione del lavoro si fonda sui principi del governo clinico (governance
clinicoassistenziale), in base ai quali le organizzazioni sanitarie devono impegnarsi per il
miglioramento continuo della qualità dei servizi e per il raggiungimento di standard
assistenziali elevati. Le strutture residenziali psichiatriche, nell'ambito delle direttive regionali
e aziendali, operano sulla base di linee guida clinico-assistenziali, validate dalla comunità
scientifica nazionale e internazionale. Ciascuna struttura adotta poi, secondo il piano, una
propria Carta dei Servizi in cui definisce le proprie caratteristiche, le tipologie di offerta, la
dotazione organica con le figure professionali e le specifiche competenze, le procedure di
ammissione/trattamento/dimissione, le modalità di relazione con altre strutture, i piani di
formazione e aggiornamento del personale.
I Piani di trattamento individuali (PTI) dei pazienti, proposti dai Centri di Salute Mentale per
l'inserimento devono riferirsi a specifici criteri diagnostici, prendendo a riferimento le
seguenti diagnosi: disturbi schizofrenici, disturbi dello spettro psicotico, sindromi affettive
gravi, disturbi della personalità con gravi compromissione del funzionamento personale e
sociale. Vengono quindi presi in considerazione la gravità e complessità del quadro clinico, la
compromissione del funzionamento personale e sociale del paziente, da stabilire sulla base di
strumenti di valutazione standardizzati, le risorse o potenzialità riabilitative, le resistenze al
cambiamento, la stabilità clinica. Le risultanze di tali valutazioni orientano, da un lato,
sull'intensità del trattamento riabilitativo, e dall'altro, sul livello assistenziale e tutelare da
prevedere. L'obiettivo è quello di individuare una risposta appropriata ai bisogni specifici del
paziente, stabilendo una correlazione a due livelli:
- il livello di intervento terapeutico riabilitativo richiesto: intensità riabilitativa;
- il livello assistenziale necessario: intensità assistenziale.
Vengono definiti gli interventi necessari al paziente, che nell'insieme rientrano in programmi
differenziati per intensità riabilitativa, i quali prevedono durata e prestazioni appropriate. Da
ciò scaturisce la scelta della tipologia di struttura residenziale. Il percorso clinico-assistenziale
di ciascun utente in una struttura residenziale è declinato nel progetto terapeutico riabilitativo
33
personalizzato (PTRP), specificamente definito ed elaborato dall'equipe della struttura
residenziale, in coerenza con il Piano di trattamento individuale (PTI), in accordo con il CSM.
2.4.1 Le comunità protette in Lombardia
Le Comunità Protette sono strutture residenziali, che offrono programmi riabilitativi e
risocializzanti ai pazienti con disturbi mentali gravi di carattere cronico. Questi trattamenti
sono intesi a sostenere e a sviluppare le residue capacità di autonomia e sono da attuarsi in
condizioni di residenzialità protetta. Le Comunità Protette assicurano diversi livelli di
protezione: da un’assistenza continuativa nelle 24 ore per gli ospiti con problemi clinici
comportamentali e di disabilità più gravi, ad un’assistenza limitata per gli ospiti con parziale
autonomia personale. Alla fine degli anni ‘90 la rete di Comunità Protette non era stata ancora
completata: nel 1999 erano attive 108 CP con 905 posti letto. Sotto la spinta delle dimissioni
34
dagli ex Ospedali Psichiatrici e grazie all’ingresso nel sistema degli erogatori privati nel 2005
le Comunità Protette sono diventate 211, di cui 111 pubbliche e 100 private. Il numero di
posti letto in sette anni si è più che duplicato (+161%), arrivando con 2.363 posti letto, di cui
954 in strutture pubbliche e 1.409 in private. Sono presenti anche 183 posti in regime di
semiresidenzialità, siti prevalentemente (87%) nelle strutture pubbliche. Le Comunità Protette
hanno visto aumentare del 160% il numero di posti letto e hanno sicuramente rappresentato le
strutture con il maggiore sviluppo nel periodo. Rispetto alla dicotomia pubblico privato,
appartengono a erogatori privati il 68% dei posti letto in strutture con personale di assistenza
presente sulle 24 ore, il 50% dei posti letto in strutture con personale presente più di 8 ore, ma
non nell’intera giornata, e il 19% dei posti letto in strutture con personale presente meno di 8
ore.
Le ore di lavoro nelle Comunità Protette, erogate prevalentemente da infermieri e personale di
assistenza, sono quasi triplicate. Le ore di lavoro erogate da tutte le figure professionali a
livello di Comunità Protette sono aumentate del 182% passando da 1.112.294 nel 1999 a
3.140.076 nel 2005. Il lavoro in queste strutture è incentrato su figure professionali di
assistenza (quali OTA e OSA), infermieri e educatori, mentre è minore il peso in termini di
ore di lavoro di medici, psicologi e assistenti sociali.
Il numero dei pazienti trattati è triplicato, con una prevalenza di utenti di sesso maschile. La
maggioranza degli utenti ha un’età compresa tra 45 e 64 anni, anche se in ambedue i sessi il
maggiore incremento è osservato nelle fasce di età più giovani. I pazienti sono residenti
prevalentemente nei comuni siti nella fascia centrale della regione. Mediamente ogni anno, tra
i pazienti che vengono trattati nei servizi lombardi, due su cento sono ammessi nelle
Comunità Protette ed il loro tasso è triplicato negli ultimi anni. In ambedue i sessi, le fasce di
età comprese tra i 45/54 e i 55/64 anni presentano i tassi più elevati, mentre le fasce al di sotto
dei 35 anni i tassi minori. In media i pazienti al di sotto dei 45 anni ricoverati in Comunità
Protetta rappresentano un terzo (37%) del totale: la percentuale di soggetti giovani è maggiore
nei maschi rispetto alle femmine.
35
PAZIENTI RICOVERATI IN COMUNITA'
PROTETTA PER GRUPPI DIAGNOSTICI
ICD 10 (PERCENTUALI)
1999
1,08%
2,03%
2000
1,04%
1,02%
2001
1,04%
1,06%
2002
1,09%
3,04%
2003
6,06%
4,05%
2004
7,01%
4,01%
2005
6,01%
3,08%
F0 Disturbi psichici di natura organica
F1 Disturbi dovuti all'uso di sostanze
F2 Schizofrenia, sindr. Schizopatica e
delirante
67,02% 68,05% 65,04% 60,06% 56,08% 57,03% 57,05%
F3 Sindromi affettive
8,06% 8,07% 9,02% 9,05% 10,06% 11,00% 9,07%
F4 Sindromi nevrotiche
1,07% 1,08% 1,06% 1,09% 1,06% 1,05% 1,07%
F5 Sindromi associate ad alterazioni di
funzioni fisiologiche e a fattori
somatici
0,02% 0,01% 0,01% 0,01% 0,02% 0,02% 0,08%
F6 Disturbi della personalità
8,02% 9,02% 11,01% 12,01% 11,00% 11,00% 10,07%
F7 Ritardo mentale
9,04% 8,05% 8,07% 10,00% 8,02% 7,05% 9,02%
F8 Sindromi da alterato sviluppo
psicologico
0,02% 0,03% 0,01% 0,00% 0,00% 0,01% 0,01%
F9 Sindromi con esordio nell'infanzia e
adolescenza e F99 e disturbo psichico
non specificato
0,03% 0,03% 0,07% 0,04% 0,04% 0,02% 0,03%
Nessun disturbo psichiatrico
0,00% 0,00% 0,00% 0,00% 0,00% 0,00% 0,01%
Nei maschi le fasce di età che presentano un incremento superiore a quello complessivo sono
le fasce di età inferiori ai 44 anni, mentre nelle femmine sia le fasce di età inferiori ai 35 anni
che quelle superiori ai 65 anni. Più di due terzi dei pazienti residenti nelle Comunità Protette
sono celibi-nubili. Per quanto riguarda la collocazione socio-ambientale, circa la metà dei
pazienti vive stabilmente in queste strutture, anche se negli ultimi anni si assiste ad sempre
maggiore inserimento di pazienti che vivono nella famiglia di origine o anche in quella
acquisita. Per quanto riguarda lo stato civile, la maggioranza dei pazienti residenti in
Comunità Protetta è celibe-nubile.
Le Comunità Protette sono strutture che svolgono programmi lungo-degenziali per i pazienti
con maggiore cronicità e maggiori difficoltà di reinserimento sul territorio: questo spiega
come la collocazione socio-ambientale di questi pazienti si identifichi con le strutture in cui
vivono. L’evoluzione degli ultimi anni sembra indicare l’ingresso di nuovi pazienti, in cui una
collocazione socio-ambientale diversa dall’istituzione indica minori difficoltà socioambientali. È infatti ancora ridotta, ma in incremento, la percentuale di soggetti che vivono
nella famiglia di origine e in quella acquisita. I pazienti inseriti in Comunità Protette
presentano una condizione socio-ambientale svantaggiata: quattro pazienti su dieci hanno
raggiunto solo la licenza elementare e nove su dieci non sono occupati. In media il 43% dei
36
maschi e il 46% delle femmine ricoverati in Comunità Protetta ha raggiunto solo la licenza
elementare, la licenza media è stata raggiunta dal 41% dei maschi e dal 36% della femmine, il
diploma o la laurea dal 16% dei maschi e dal 18% delle femmine. Anche la scolarità ha subito
cambiamenti significativi: la percentuale di soggetti che hanno raggiunto solo la licenza
elementare si è ridotta significativamente, mentre è aumentata la percentuale di soggetti che
hanno raggiunto la licenza media o il diploma di scuola media superiore/laurea. Tra coloro
che in età lavorativa sono ricoverati in Comunità Protetta, in media nove pazienti su dieci non
sono occupati, senza differenze significative tra i due sessi. Non si osservano modificazioni
sostanziali, con un modesto incremento degli occupati in ambedue i sessi.
La diagnosi di schizofrenia è ancora quella prevalente, interessando sei pazienti su dieci,
anche se le percentuali di incremento maggiore sono rilevate per i disturbi affettivi e di
personalità. I pazienti con diagnosi di schizofrenia rappresentano in media il 62% dell’utenza
delle Comunità Protette, seguono come frequenza le diagnosi di disturbi di personalità e di
disturbo affettivo (ambedue il 10% del totale). Significativa è anche la presenza del ritardo
mentale (in media il 9%). Il peso percentuale della schizofrenia e del ritardo mentale dal 1999
al 2005 si riduce, mentre aumenta quello relativo ai disturbi affettivi e ai disturbi di
personalità. Più di due terzi dei pazienti ricoverati in Comunità Protette hanno un solo
ricovero nell’anno, un sesto dei pazienti due ricoveri e un altro sesto più di due. Il trend di
questi anni va nella direzione di un aumento superiore alla media dei pazienti con ricoveri
singoli, di un incremento pari all’incremento medio dei pazienti con due ricoveri e di un
incremento inferiore alla media dei pazienti con più due ricoveri. I pazienti residenti in
Comunità Protetta hanno un solo ricovero all’anno, la cui durata è nei due terzi dei casi
maggiore di sei mesi. Considerando le giornate di degenza erogate complessivamente
all’anno, in media un sesto dei pazienti rimane ricoverato meno di due mesi, un sesto dai due
ai sei mesi e circa due terzi più di sei mesi, con una quota di pazienti ricoverati
ininterrottamente lungo l’anno che è andata crescendo negli anni. I ricoveri sono aumentati di
una volta e mezzo interessando in misura maggiore i maschi. Sia nei maschi che nelle
femmine le fasce di età con i tassi più elevati sono quelle comprese tra i 35/44, 45/54 e 55/64
anni. È cresciuto l’utilizzo di queste strutture da parte di soggetti con meno di 45 anni: i
ricoveri di pazienti al di sotto dei 45 anni sono aumentati percentualmente tra il 1999 e il 2005
i tassi relativi alle fasce di età giovani indicano un incremento superiore all’incremento
complessivo.
Le giornate di degenza erogate in Comunità Protetta sono triplicate tra il 1999 ed il 2005, con
tassi di utilizzo maggiori nei maschi.
37
GIORNATE DI DEGENZA IN COMUNITA' PROTETTA
PER GRUPPI DIAGNOSTICI ICD 10 (PERCENTUALI)
F0 Disturbi psichici di natura organica
F1 Disturbi dovuti all'uso di sostanze
F2 Schizofrenia, sindr. Schizopatica e delirante
F3 Sindromi affettive
F4 Sindromi nevrotiche
F5 Sindromi associate ad alterazioni di funzioni
fisiologiche e a fattori somatici
F6 Disturbi della personalità
F7 Ritardo mentale
F8 Sindromi da alterato sviluppo psicologico
F9 Sindromi con esordio nell'infanzia e adolescenza e
F99 e disturbo psichico non specificato
Nessun disturbo psichiatrico
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2,01% 1,05% 1,05% 1,02% 3,01% 2,08% 3,02%
1,05% 1,02% 1,05% 1,08% 3,05% 3,02% 2,07%
72,07% 70,05% 68,08% 66,08% 62,00% 63,07% 63,00%
6,07% 6,07% 6,05% 7,07% 8,04% 8,05% 8,01%
1,02% 1,04% 1,04% 1,02% 1,03% 1,02% 1,02%
0,01%
6,09%
8,02%
0,03%
0,01%
8,03%
9,06%
0,02%
0,01% 0,02% 0,02% 0,02% 0,04%
9,09% 11,04% 11,00% 11,09% 10,02%
9,08% 9,02% 10,01% 9,02% 10,09%
0,01% 0,00% 0,00% 0,00% 0,01%
0,04%
0,00%
0,04%
0,00%
0,05%
0,00%
0,04%
0,00%
0,04%
0,00%
0,02%
0,00%
I tassi sono più elevati nei Comuni siti nelle fasce centrali della regione. Il numero di giornate
di degenza erogate in Comunità Protette è cresciuto complessivamente del 237%. I tassi
relativi ai pazienti di sesso maschile sono costantemente superiori di circa due terzi a quelli
relativi al sesso femminile, con un incremento però maggiore nelle femmine rispetto ai
maschi. I tassi sono più elevati per i maschi nelle fasce di età comprese tra i 35 ed i 64 anni,
per le femmine nelle fasce di età superiori ai 45 anni. L’incremento è maggiore invece nelle
fasce di età più giovani e più anziane. Nei maschi i tassi più elevati relativi alle giornate di
degenza sono rilevati nelle fasce di età 35/44, 45/54 e 55/64 anni, nelle femmine nelle fasce di
età superiori ai 45 anni. Complessivamente la percentuale di giornate di degenza erogate a
pazienti con meno di 45 anni è cresciuta, questo incremento è stato maggiore nei maschi in
confronto alle femmine. In termini di tassi, un incremento maggiore dell’incremento medio
riguarda in ambedue i sessi le fasce più giovani al di sotto dei 35 anni e quelle più anziane al
di sopra dei 64 anni. Due terzi delle giornate di degenza sono erogate nei confronti dei
disturbi schizofrenici, anche se il loro peso percentuale si riduce a vantaggio dei disturbi di
personalità e del ritardo mentale. Questi due disturbi presentano nel periodo un incremento
maggiore. Le giornate di degenza erogate nei confronti dei pazienti con diagnosi di
38
0,02%
0,00%
schizofrenia rappresentano due terzi del totale, seguono come frequenza i disturbi di
personalità, il ritardo mentale e i disturbi affettivi. Tra le diagnosi più frequenti, quelle che
hanno registrato un incremento superiore all’incremento complessivo in termini di tassi di
giornate di degenza sono i disturbi di personalità, il ritardo mentale e i disturbi affettivi;
l’incremento delle giornate di degenza relative alla schizofrenia è invece inferiore.
INTERVENTI EROGATI IN UNA COMUNITA'
PROTETTA PER TIPO DI INTERVENTO
(PERCENTUALI)
Visita colloqui (tutte le figure prof.)
Valutazione
Psicoterapia individuale
Psicoterapia della famiglia
Presenze in gruppi di psicoterapia
Colloqui con i familiari
Interventi psicoeducativo
Presenza in gruppo famigliari
Riunioni sui casi insieme alle UOP
Riunioni con altre strut. Sanitarie
Riunioni con i gruppi non istituzionali
Interventi individuale sulle abilità di base,
sociali, etc.
Presenze in gruppo incentrato sulle abilità di
base, sociali, etc.
Intervento individuale risocializzazione
Presenze in gruppo di risocializzazione
Presenze in gruppo di attività espressive
Presenze in gruppo di attività corporea
Inserimenti lavorativi
Interventi di supporto sociale
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
12,01% 11,07% 10,08% 12,01% 13,01% 12,05% 10,03%
0,01% 0,04% 0,02% 0,02% 1,00% 1,02% 1,01%
0,03% 0,03% 0,02% 0,02% 0,02% 0,01% 0,01%
0,00% 0,00% 0,00% 0,00% 0,00% 0,00% 0,00%
0,02% 0,03% 0,03% 0,05% 1,00% 1,00% 0,07%
1,01% 1,02% 1,02% 0,09% 0,08% 0,07% 0,07%
0,01% 0,00% 0,01% 0,01% 0,02% 0,01% 0,01%
0,00% 0,00% 0,01% 0,01% 0,00% 0,00% 0,00%
9,06% 7,04% 5,05% 6,02% 5,03% 4,06% 2,05%
0,03% 0,04% 0,05% 0,03% 0,03% 0,03% 0,03%
0,01% 0,03% 0,09% 0,04% 0,03% 0,03% 0,03%
17,07% 26,03% 30,02% 25,00% 25,04% 28,07% 34,06%
11,01% 10,07% 10,06% 12,07% 12,06% 11,04% 10,09%
12,08% 10,04% 8,02% 6,08% 5,09% 6,07% 7,05%
27,05% 22,07% 22,09% 24,01% 23,02% 22,06% 21,09%
3,07% 4,01% 4,02% 4,06% 4,04% 4,01% 3,00%
1,01% 1,02% 1,04% 2,04% 2,02% 2,00% 1,06%
0,05% 0,05% 0,04% 0,06% 0,09% 0,08% 1,01%
1,07% 2,01% 2,03% 2,08% 3,01% 2,07% 3,01%
Le attività di riabilitazione e risocializzazione caratterizzano l’offerta delle Comunità Protette:
gli interventi più frequentemente erogati sono i gruppi di risocializzazione e gli interventi
individuali incentrati sul recupero delle abilità di base e sociali.
Otto interventi su dieci ruotano attorno alle attività di risocializzazione e riabilitazione. Nel
periodo si osserva un netto incremento delle attività riabilitative rispetto a quelle di
risocializzazione. I profili di attività erogati più frequentemente dalle Comunità Protette sono
39
le attività di riabilitazione e di risocializzazione; tutte le altre attività presentano valori
compresi tra il 2%-4%, con l’esclusione dell’attività psichiatrica che presenta valori intorno al
5%. L’attività di risocializzazione è scesa di otto punti percentuali a fronte del considerevole
aumento delle attività di riabilitazione.
Le Comunità Protette sono le strutture che sono cresciute in misura maggiore in questi anni. Il
numero di posti letto si è più che duplicato, arrivando a raggiungere il triplo del tasso di posti
letto in SPDC o in CRT, e le risorse a loro attribuite sono raddoppiate, arrivando ad assorbire
nel 2005 il 39% del budget regionale.
La crescita delle Comunità Protette ha permesso da un lato di chiudere definitivamente gli ex
Ospedali Psichiatrici e dall’altro di superare la grave carenza di strutture residenziali
territoriali esistente nella rete dei servizi di salute mentale lombardi. Oggi queste strutture
contengono i tre quinti dei posti letto presenti in Regione e rappresentano di gran lunga la
maggiore spesa all’interno del budget regionale per la salute mentale. Le Comunità Protette
sono strutture delegate a trattare pazienti con patologie croniche ed in alcuni casi hanno
accolto pazienti dimessi dall’Ospedale Psichiatrico. Ogni anno due pazienti su cento tra quelli
trattati nei DSM vengono ricoverati in Comunità Protetta e il loro numero è triplicato tra il
1999 e il 2005, come pure quello delle giornate di degenza erogate. Anche se la quota di
soggetti al di sotto dei 45 anni sta aumentando, i pazienti più anziani rappresentano in media
due terzi dell’utenza di queste strutture.
Sei pazienti su dieci sono maschi e la loro condizione socio-demografica appare decisamente
svantaggiata (otto pazienti su dieci sono celibi-nubili, nove su dieci non svolgono alcuna
attività lavorativa, solo uno su sei ha un livello scolare superiore alla licenza di scuola media).
L’evoluzione degli ultimi anni sembra però indicare l’ingresso di nuovi pazienti più giovani,
in cui una collocazione socio-ambientale diversa dall’istituzione segnala una maggiore
integrazione sociale. Per quanto riguarda le diagnosi, due terzi dell’attività erogata nelle
Comunità Protette è rivolta ai disturbi schizofrenici, seguono i disturbi di personalità, il
ritardo mentale e i disturbi affettivi. Oggi su dieci pazienti residenti in Comunità Protetta sei
soffrono di schizofrenia, uno di disturbo di personalità, uno di disturbo affettivo e uno di
ritardo mentale. Le Comunità Protette si confermano come strutture legate a progetti lungodegenziali, dove due terzi dei pazienti è residente per più di 180 giorni all’anno e dove la
durata media della degenza per paziente all’anno è arrivata a 256 giorni. La quota di pazienti
ricoverati ininterrottamente lungo l’anno è andata crescendo, fino ad arrivare a un terzo del
totale. Il profilo di attività di queste strutture negli ultimi anni sembra orientarsi in misura
maggiore che in passato verso le attività riabilitative, con una riduzione della quota relativa
40
alla risocializzazione. Mentre è maggiore in queste strutture rispetto ai primi anni l’attività di
tipo psichiatrico, svolge un ruolo minore l’attività di supporto sociale. In misura ancora
maggiore che nei Centri Residenziali di Terapie Psichiatriche è da sottolineare come il
numero medio di interventi erogato durante la singola giornata di degenza sia relativamente
basso, ad indicare probabilmente una non completa rilevazione degli interventi strutturati
erogati.
Questo probabilmente comporta una valutazione ancora incompleta per quanto riguarda le
attività erogate in queste strutture. I Centri Residenziali di Terapie Psichiatriche e le Comunità
Protette mantengono tra loro differenze importanti sia in termini di utenza trattata (più
giovane, più inserita nel tessuto sociale e con una minore disabilità nei Centri Residenziali di
Terapie Psichiatriche) che di pattern di trattamento (degenze più lunghe spesso di carattere
lungo-degenziale e una minore presenza delle attività che mirano al reinserimento sociale,
come quella rivolta alla famiglia o quella di supporto sociale, nelle Comunità Protette).
L’ingresso però nella rete delle Comunità Protette di pazienti più giovani e con una maggiore
integrazione sociale, in cui il programma degenziale ha una durata programmata e limitata nel
tempo, dovrebbe spingere in misura ancora maggiore verso la differenziazione delle attività
erogate. Il futuro di queste strutture, come quello dei Centri Residenziali di Terapie
Psichiatriche, va nella direzione di una maggiore differenziazione dei programmi e delle
attività, superando il rischio di diventare il contenitore aspecifico di pazienti con disturbi
mentali gravi non in grado di vivere nel territorio.
ATTIVITA' EROGATE IN COMUNITA'
PROTETTA (PERCENTUALI)
Attività psichiatrica
Attività psicologica-psicoterapica
Attività infermieristica
Attività rivolta alla famiglia
Attività di coordinamento
Attività di riabilitazione
Attività di risocializzazione
Attività di supporto sociale
1999
3%
1%
12%
1%
9%
28%
43%
2%
2000
5%
1%
7%
1%
8%
37%
38%
3%
41
2001
5%
1%
5%
1%
7%
42%
37%
3%
2002
6%
1%
3%
1%
7%
39%
39%
3%
2003
7%
3%
3%
1%
6%
40%
37%
3%
2004
7%
3%
3%
1%
5%
42%
37%
3%
2005
5%
2%
3%
1%
3%
47%
35%
3%
CAPITOLO 3: Ruolo dell’educatore professionale sanitario all’interno di
una Comunità protetta ad alta assistenza
Premessa
La prima domanda che si pongono coloro che non abbiano dimestichezza e conoscenze in
ambito sociale e sanitario è quella della differenza tra educatore professionale e dottore in
scienze dell’educazione e della formazione. Potrebbero sembrare due percorsi formativi
identici, “in fondo sono entrambi educatori”, ma essi differiscono per competenze e per
ambiti.
L’Educatore Professionale è una figura nuova, che fino a un anno fa seguiva un corso di studi
organizzato dall’Università di Medicina e Chirurgia, mentre ora è passato a Scienze Cliniche
e Sperimentali. L’Educatore Professionale per questo motivo è un professionista sanitario che
può lavorare sia in ambito sanitario che sociale. L’Educatore sociale invece viene formato
dalla Facoltà di Scienze della Formazione, non è un professionista sanitario, e può lavorare
nei servizi socioassistenziali e socioeducativi. Nonostante ciò, la presenza di due corsi
formativi non contribuisce al pieno riconoscimento del ruolo dell’educatore professionale:
spesso le due tipologie di educatori non possono operare l’uno in ambito sanitario e l’altro in
ambito sociale, a causa di una carenza dal punto di vista legislativo da parte delle regioni.
Questo capitolo, avendo chiarito sopra tale differenza, ha lo scopo di spiegare quale sia la
figura e il compito dell’Educatore Professionale specificando però il suo intervento educativo
e riabilitativo all’interno di una comunità protetta ad alta assistenza. Passeremo quindi da una
prima parte generale, per addentrarci nella seconda parte, nello specifico dell’ambito da noi
scelto, perché è proprio nei servizi psichiatrici che l’educatore può dare un contributo
essenziale, una prospettiva pedagogica ed educativa che manca alla formazione medicopsichiatrica.
3.1 L' educatore nella storia
Nell’ambito delle professioni a contenuto socio-educativo e socio-assistenziale, l’educatore si
caratterizza in quanto la sua attività è prevalentemente e tipicamente destinata a provvedere
all’istruzione, alla maturazione personale, all’assistenza psicologica di coloro che la società
42
più o meno ufficialmente tiene ai propri margini, e in qualche misura rifiuta o abbandona.
Inoltre, l’ambiente nel quale l’educatore svolge la propria attività pedagogica è quello
extrascolastico ed extra-familiare.
Si tratta di un complesso di attività che raccolgono eredità antiche e che hanno radici storiche
molto profonde, basti pensare al continuo ruolo, in primo luogo assistenziale, ma anche
pedagogico, svolto nei riguardi della marginalità sociale da parte di organizzazioni religiose
lungo tutto l’arco della storia della cristianità, accentuatosi dall’età della Controriforma in poi,
ed "esploso" soprattutto in Italia nel periodo della prima industrializzazione. Tanto che per
molto tempo la funzione educativa "informale" si è spesso confusa con l’attività religiosa. Più
recentemente, e segnatamente negli ultimi quarant’anni, la maturazione civile e politica della
nostra società ha progressivamente portato le attività connesse all’educazione non formale
(sociale) all’interno della sfera pubblica istituzionale.
L’educatore professionale è presente nei servizi italiani ed europei fin dagli anni Cinquanta,
come figura a sostegno di bambini e ragazzi in situazioni di disagio, che vivevano in strutture
residenziali. Negli anni Sessanta si inizia a riconoscere la professione, in quanto gli operatori
stessi iniziano a riflettere sulla propria attività professionale e sul loro ruolo, divenendo
promotori di nuove modalità di intervento. Gli anni Settanta forniscono da un punto di vista
legislativo e formativo una base solida alla figura dell’educatore, il quale si evolve
all’evolvere della situazione sociale, rispondendo ai nuovi bisogni emergenti. Gli anni
Ottanta, sono gli anni dell’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale, dei distretti socio
sanitari, dei presidi, della chiusura delle istituzioni totali, delle sperimentazione, dei progetti
territoriali, è in questo quadro che si delinea sempre più la professione dell’educatore, che
volge al recupero delle potenzialità delle persone. Gli anni Novanta riformano le autonomie
locali e ridefiniscono il concetto di servizi sociali, giungendo ad una definizione più
strutturata dell’ambito dell’integrazione socio-sanitaria. L’interesse si sposta dalle situazioni
di bisogno conclamato, al sociale nel suo complesso. Infatti si cerca di costruire dei servizi sul
territorio che siano coordinati tra loro e in contatto tra la comunità locale, in modo da
rispondere al meglio alle esigenze dei cittadini, elaborando progetti individualizzati e
promuovendo politiche per l’inclusione sociale, nelle quali l’educatore gioca un grosso ruolo.
Vedremo nel capitolo successivo la capacità della cooperativa il Gabbiano di radicarsi e
rispondere alle esigenze nel territorio in cui ha sede ed opera. Il lavoro dell’educatore entra in
questo modo a far parte dei processi di politica sociale e sanitaria, non più centrato
esclusivamente sull’individuo, ma anche sulla promozione dei contesti di vita, sulla
43
progettazione sociale ed organizzativa; sulla cooperazione sociale. In tal modo si amplia lo
spettro di azione dell’educatore in molti servizi ed ambiti, sia nel settore pubblico e privato,
che nella libera professione.
La professione di educatore professionale si è storicamente sviluppata in Italia più
recentemente e con maggiori difficoltà rispetto agli altri principali paesi europei, e in
particolare con un’intensità diverse a seconda delle zone geografiche, ossia più diffusamente
nel Nord sviluppato industrialmente e molto meno nel Sud. Questo per un complesso ordine
di fattori. Basti citarne due. Innanzitutto, la cultura dominante, ancora informata a presupposti
illuministici e positivistici, ha da sempre privilegiato i contenuti strettamente teorici e
razionalisti della formazione, così che l’educazione è sempre di fatto rimasta pressoché
interamente appannaggio dell’istituzione scolastica riconosciuta. Inoltre, l’educazione rivolta
alle persone in difficoltà è stata tradizionalmente assorbita dai compiti istituzionali delle
organizzazioni religiose e umanitarie a base volontaria, nei cui confronti la struttura pubblica
ha sempre ampiamente delegato, determinando un caso unico in Europa di gestione del
disagio sociale; con la conseguenza, che tradizionalmente nel comparto delle professioni
sociali in Italia non è esistita a livello diffuso la possibilità di offrire una preparazione
uniforme e adeguata, e che l’attività connessa è stata attuata a costi certamente contenuti, ma
con criteri assistenzialistici e di beneficenza, e questo non ha incoraggiato l’utilizzo di
professionalità specifiche e qualificate.
3.2 L’educatore professionale nella legislazione nazionale
La professione di educatore ha ricevuto il primo sostanziale riconoscimento giuridico formale
in ambito nazionale nel rapporto della Commissione nazionale di studio istituita nel 1982 dal
Ministero dell’interno. Tale figura, che in seguito venne poi apertamente riconosciuta, sia
dalla letteratura specializzata in materia, sia dalle legislazioni regionali, come profilo ibrido di
"educatore-animatore", venne puntualizzata e precisata in seguito; ma è da qui che occorre
prendere le mosse.
L’educatore professionale è un operatore che, in base a una specifica formazione
professionale di carattere tecnico e tecnico-pratico e nell’ambito di servizi socio-educativi e
educativo-culturali extrascolastici, residenziali o aperti, svolge la propria attività nei riguardi
44
di persone di diverse età, mediante la formulazione e l’attuazione di progetti educativi
caratterizzati da intenzionalità e continuità, volti a promuovere e contribuire al pieno sviluppo
delle potenzialità di crescita personale e di inserimento e partecipazione sociale, agendo, per il
perseguimento di tali obiettivi, sulla relazione interpersonale, sulle dinamiche di gruppo, sul
sistema familiare, sul contesto ambientale e sull’organizzazione dei servizi in campo
educativo.
È questa una definizione che ha il difetto di essere caratterizzata da tratti che sono comuni
anche ad altri operatori sociali, e che invece non coglie i caratteri specifici della professione
dell’educatore.
Ripartiamo ora la definizione di educatore sociale prodotta pochi anni più tardi (1985)
dall’AIEJI32 (Association internationale des éducateurs de jeunes inadaptés), che è stata
depositata presso la commissione Affari Sociali del Parlamento Europeo nel giugno 1988:
"Per educatore professionale si intende la persona che, dopo una formazione specifica,
favorisce con l’uso di metodi e tecniche pedagogiche, psicologiche e sociali lo sviluppo
personale, la maturazione sociale e l’autonomia di persone giovani o adulte, handicappati o
disadattati o a rischio. L’educatore condivide con queste persone le differenti situazioni,
spontanee o suscitate dalla vita quotidiana, sia all’interno di istituzioni residenziali o di servizi
aperti, sia nell’ambiente naturale di vita, attraverso un’azione continua e congiunta sulla
persona e sull’ambiente".
Questa definizione, che pure non ha titolo di rientrare nel nostro ordinamento e che non è
recepita dalla legge italiana, ha tuttavia il merito indiscutibile di porre l’accento su quella che
è probabilmente la caratteristica tipica dell’operato a cui è chiamato l’educatore professionale,
e cioè la capacità di condivisione delle esperienze, dove il quotidiano diventa occasione di
maturazione personale, una sorta di "pedagogia della vita quotidiana".
Diversamente da quanto lascerebbe intendere la strada imboccata dal legislatore, che mira
all’individuazione di una figura professionale univoca di educatore professionale, i compiti a
cui nella pratica è chiamato l’educatore sono tutt’altro che univoci. Il termine educatore viene
infatti utilizzato per designare figure professionali molto diverse tra loro, come per esempio
l’educatrice di scuola materna o l’educatore previsto dalle norme sull’ordinamento
penitenziario. D’altra parte, almeno nella realtà italiana, l’educatore professionale ha avuto
AIEJI è un’associazione franco-tedesca che si pone l’obiettivo di affrontare in veste transnazionale i problemi
dei giovani disadattati, e che svolge la sua opera in relazione con le strutture della Comunità Europea.
32
45
storicamente il polo di riferimento più significativo nel settore sanitario, e questo a causa della
stessa impostazione dell’ordinamento del servizio sanitario, che all’atto della sua istituzione
(1978) attribuiva alle Regioni compiti di integrazione e di coordinamento dei servizi sanitari
con i servizi sociali.
Ma, quanto alla definizione esplicita di un vero e proprio profilo professionale, la legislazione
nazionale, al di là della proposta della Commissione Ministeriale di studio, aveva previsto la
definizione di un profilo, attraverso il D.M. 10 febbraio 1984 (decreto Degan), che mirava
all’identificazione dei profili professionali attinenti a figure nuove atipiche o di dubbia
ascrizione nell’ambito del personale delle Unità Sanitarie Locali. Il decreto Degan è stato in
seguito (settembre 1990) giudicato illegittimo dal Consiglio di Stato, in quanto
l’identificazione concreta dei profili professionali e delle qualifiche funzionali doveva essere
riservata alla contrattazione collettiva. Tale decreto legava i compiti dell’educatore alla sua
funzione socio-sanitaria e definiva l’educatore professionale come segue:
"L’Educatore Professionale cura il recupero e il reinserimento di soggetti portatori di
menomazioni fisiche".
In seguito all’annullamento di tale decreto sia il legislatore statale, sia il legislatore regionale
hanno inserito la figura dell’educatore professionale in una serie di provvedimenti legislativi
successivi, relativi a diversi settori socio-sanitari, mettendo in atto una prassi legislativa, non
priva di contraddittorietà, che sostanzia un riconoscimento indiretto di questa figura
professionale. La previsione dell’educatore nelle varie leggi comprova inoltre, l’effettiva
diffusione e il radicamento di questo tipo di operatore in campo sociale e sanitario.
Si segnala, in particolare, la previsione di impiego di educatori professionali, da parte del
legislatore statale, nel campo della riabilitazione dello stato della tossicodipendenza. Infatti, la
necessità di prevenzione delle infezioni da HIV e del recupero dei tossicodipendenti, hanno
condotto all’emanazione di alcuni provvedimenti, che ridisegnano il quadro della materia, sia
sotto l’aspetto repressivo, sia sotto quello della prevenzione, della cura e della riabilitazione.
Nel nuovo quadro che si è venuto a delineare trova ampio posto l’impiego della figura
dell’educatore professionale, che ottiene così una legittimazione di rilievo, in quanto inserita
in uno dei settori socio-sanitari attualmente di maggiore interesse.
46
Con la legge 26 giugno 1990, n. 162 sono stati istituiti presso le unità sanitarie locali i servizi
per le tossicodipendenze (SerT). Nell’organico del SerT33 sono previste le figure del medico,
dello psicologo, dell’assistente sociale, dell’infermiere e, appunto, dell’educatore, definito
"educatore professionale e di comunità" (a riprova di una non omogeneità della figura
professionale e di poca chiarezza circa la sua definizione).
Vi sono poi alcuni provvedimenti legislativi nei quali la figura dell’educatore, se pure non
prevista esplicitamente, può considerarsi indirettamente richiamata.
Di particolare interesse è la legge quadro del 5 febbraio 1992, n. 104 per l’assistenza,
l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate, che affronta in maniera globale il
problema dell’handicap psichico, fisico e sensoriale. L’aspetto di questa legge che qui
interessa è dato dalla collaborazione tra gli organi scolastici e le unità sanitarie locali per
favorire l’integrazione scolastica della persona handicappata.
L’art. 12 prevede che venga tracciato un profilo dinamico - funzionale dell’alunno ai fini della
formulazione di un piano educativo individualizzato, alla cui definizione provvedono, insieme
ai genitori, gli operatori delle unità sanitarie locali e il personale specializzato della scuola. In
via interpretativa è stato ritenuto che il riferimento agli operatori delle unità sanitarie locali si
identifichi con gli educatori professionali inseriti nei ruoli organici.
L’art. 13 prevede il coordinamento dei servizi scolastici con quelli sanitari, socio-assistenziali,
culturali, ricreativi e sportivi, da realizzarsi attraverso accordi di programma tra enti locali,
organi scolastici e unità sanitarie locali.
In particolare, può venire rivista l’organizzazione degli asili nido a favore dei bambini con
handicap, e può essere assegnato personale specializzato. In questo caso (e in casi simili), il
personale delle unità sanitarie locali più idoneo a svolgere i compiti di raccordo con la scuola,
non può che essere, quello appartenente al profilo dell’educatore.
Un ulteriore possibile settore di impiego degli educatori professionali è indirettamente
contenuto nelle norme relative al processo penale a carico di imputati minorenni.
33
I SerT costituiscono le strutture di riferimento delle unità sanitarie locali per i tossicodipendenti e per le loro
famiglie. Essi devono assicurare la disponibilità dei principali trattamenti di carattere psicologico, socioriabilitativo e medico - farmacologico. Il decreto 30 novembre 1990, n. 444 del Ministero della Sanità disegna
l’organico dei SerT e assegna un educatore professionale ai SerT a bassa utenza (fino a sessanta utenti), due
educatori professionali ai SerT a media utenza (da sessanta a cento utenti) e ad alta utenza (da cento a
centocinquanta utenti). Quando nel territorio di competenza dei SerT sono presenti strutture carcerarie,
l’organico è integrato. Anche in questo caso è previsto l’educatore professionale.
47
Il decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 272, sul processo penale minorile, prevede infatti
strutture per la rieducazione dei minori, alle quali è assegnato personale di servizio sociale e
dell’area pedagogica.
Nel frattempo sono state elaborate diverse proposte di legge, allo scopo di definire una serie
di figure professionali dai profili rimasti incerti, nel vuoto lasciato dall’annullamento del
decreto Degan. Tra queste appare di particolare interesse, anche se giuridicamente ha avuto un
effetto diretto, in quanto è decaduta a causa della fine della legislatura, la "proposta Battaglia"
(dal nome del deputato proponente) che aveva per titolo "Norme per l’esercizio della
professione di educatore professionale ed istituzione del relativo albo". È questo il primo
tentativo di giungere a una disciplina professionale organica e completa dell’educatore
professionale. Nella relazione introduttiva, l’educatore veniva descritto come un operatore
"capace di misurarsi con la molteplicità delle problematiche sociali e sanitarie dall’handicap,
alla droga, al disagio ed alla crescita minorile ed adolescenziale".
L’art. 1 conteneva il profilo e i compiti dell’educatore professionale:
"1. L’educatore professionale opera nell’ambito dei servizi extrascolastici, residenziali o
aperti, e svolge la propria attività nei riguardi di persone di diverse età, mediante la
formulazione e l’attuazione di progetti educativi caratterizzati da intenzionalità, globalità e
continuità, volti a promuovere e a contribuire al pieno sviluppo delle potenzialità di crescita
personale, di inserimento e di partecipazione sociale, agendo, per il perseguimento di tali
obiettivi, sulle relazioni interpersonali, sulle dinamiche di gruppo, sul sistema familiare, sul
contesto ambientale e di vita e sull’organizzazione dei servizi in campo educativo.
2. L’educatore professionale svolge compiti di progettazione, di organizzazione e di gestione,
direttamente o in rapporto con altre figure professionali, e può esercitare attività didatticoformativa e di coordinamento e di direzione dei servizi educativi.
3. La professione di educatore professionale può essere esercitata in forma autonoma o in
rapporto di lavoro subordinato".
La "proposta Battaglia", che prevedeva per l’educatore professionale l’ottenimento del
diploma universitario, suscitò un vivace dibattito tra gli operatori; ne seguì la formulazione di
una proposta di legge parallela, presentata dall’AISEP (Associazione Italiana delle Scuole per
Educatori Professionali), che si differenziava dalla precedente significativamente, solo in
48
quanto contemplava la possibilità, che il titolo potesse essere rilasciato non solo dalle
università, ma anche da istituti di istruzione superiore o da altri istituti dello stesso livello.
Entrambe le proposte decaddero alla fine dell’XI legislatura.
Nel 1996 l’AISEP ha promosso la formulazione di una nuova proposta di legge, che di fatto
sostanziava una ripresentazione dello stesso testo già formulato nel 1993. Anche in questa
seconda istanza, tuttavia, non si è pervenuti al perfezionamento dell’iter di produzione
legislativo.
Soltanto in tempi molto più recenti, nel 1997, con il Decreto del Ministero della Sanità, è stato
riconosciuto a livello nazionale il profilo professionale dell’educatore professionale, ma solo
nell’ambito sanitario pubblico. Tale norma porta pertanto a compimento un percorso
interpretativo e normativo sulla figura professionale dell’educatore, che caratterizza
l’esperienza italiana in questo campo, e che non trova soluzioni dal 1978, anno della riforma
del servizio sanitario nazionale, fino a oggi.
Il decreto ministeriale, che si inserisce nell’ambito del riordino della disciplina sanitaria a
livello nazionale, avviato nel 1992, recita come segue:
"1. È individuata la figura professionale dell’Educatore Professionale, con il seguente profilo:
l’Educatore Professionale è l’operatore sanitario e sociale che, in possesso del diploma
universitario abilitante, attua progetti educativi e riabilitativi, nell’ambito di un progetto
terapeutico elaborato da un’équipe multidisciplinare, volti a uno sviluppo equilibrato della
personalità con obiettivi educativo/relazionali in un contesto di partecipazione alla vita
quotidiana. Cura il positivo inserimento o reinserimento psico-sociale dei soggetti in
difficoltà”.
L’Educatore Professionale:
a) programma, gestisce e verifica interventi educativi mirati al recupero e allo sviluppo delle
potenzialità dei soggetti, per il raggiungimento di livelli sempre più avanzati di autonomia;
b) contribuisce a promuovere e organizzare strutture e risorse sociali e sanitarie, al fine di
realizzare il progetto educativo integrato;
c) progetta, organizza, gestisce e verifica le proprie attività professionali all’interno di servizi
socio-sanitari e strutture socio-sanitarie-rieducative e socio educative, in modo coordinato con
49
altre figure professionali e tipi diversi di strutture, attraverso il coinvolgimento diretto dei
soggetti interessati e/o delle loro famiglie, dei gruppi, della collettività;
d) opera sulle famiglie e sul contesto sociale degli utenti, allo scopo di favorire il
reinserimento nella comunità;
e) partecipa ad attività di studio, ricerca e documentazione.
L’Educatore Professionale contribuisce alla formazione degli studenti e del personale di
supporto, concorre direttamente all’aggiornamento relativo al proprio profilo professionale e
all’educazione alla salute;
L’Educatore Professionale svolge la sua attività professionale in strutture socio-sanitarie e
socio-educative pubbliche o private, sul territorio, nelle strutture residenziali e
semiresidenziali in regime di dipendenza o libero professionale".
Il Ministero della Sanità, con decreto 17 gennaio 1997, n. 57, ha regolamentato il profilo
professionale di una figura, che appare a un primo esame almeno in parte "concorrente" con
quella dell’educatore professionale. Viene infatti individuato il "tecnico dell’educazione e
della riabilitazione psichiatrica e psicosociale", con un campo di attività che per un verso
appare più specialisticamente sanitaria, diretta soprattutto alle situazioni di disagio psichico,
ma anche al disagio psicosociale, e per altro verso risulta più ristretto, rispetto alle attribuzioni
"tradizionali" dell’educatore professionale.
Conseguentemente, si è originato un certo dibattito in ambito specialistico, nel corso del quale
l’AISEP ha assunto una posizione critica nei confronti della definizione di tale nuova
professionalità, che indicherebbe la tendenza a scomporre la professionalità tradizionalmente
attribuita all’educatore professionale, in più figure specialistiche, correndo così il rischio di
restare marginalizzata.
3. 3 L’educatore professionale nella legislazione regionale
A fronte della tardiva e carente legislativa nazionale si riscontra invece una vivace e puntuale
attività normativa svolta delle amministrazioni regionali, soprattutto in forza del disposto
della delega costituzionale (art. 117) in materia di assistenza sanitaria. Va da sé, che la
surroga legislativa regionale alla normativa statale, apre la strada a differenziazioni e
50
discriminazioni tra regione e regione, cosa che si è puntualmente verificata, così che oggi
esiste in materia un netto divario tra il quadro normativo delle regioni del centro-nord, più
industrializzate, e più attente nel rispondere a una domanda di servizi sociali, rispetto al
centro-sud. Appare evidente che nelle diverse regioni sono operanti impostazioni di base solo
in parte assimilabili, e che pertanto l’utilizzo degli educatori professionali in termini
omogenei sul territorio nazionale appaia problematico.
Nella Regione Lombardia l’impiego di educatori professionali è stato previsto in primo luogo
nell’area psichiatrica nel programma triennale approvato nel 1986, che prevede un educatore
professionale nell’organico del Centro psico-sociale (C.P.S.), che è la sede delle attività
ambulatoriali psichiatriche e psicoterapiche, e due educatori professionali nell’organico del
Centro residenziale di terapie psichiatriche e di risocializzazione (C.R.T.), struttura sociosanitaria per trattamenti a medio e lungo termine. Inoltre sono previsti due educatori
professionali per ogni comunità terapeutica, struttura che sostituisce l’ex ospedale
psichiatrico. Inoltre, sempre nel 1986, è stata istituita l’Unità Operativa di Neuropsichiatria
per l’infanzia e l’Adolescenza (UO-NPI), struttura operativa interdisciplinare deputata alla
prevenzione, cura e riabilitazione dei disturbi e degli handicap neuropsichici nell’infanzia e
nell’adolescenza, che prevede nel suo organico la presenza di educatori professionali.
Nel 1988 (L.R. 19.09.88, n. 51) nell’ambito della normativa relativa all’organizzazione, alla
programmazione e all’esercizio delle attività in materia di tossicodipendenza, erano stati
istituiti i "nuclei operativi", come strutture delle (allora) USSL. Tra le figure professionali
attive nei "nuclei operativi" era previsto l’educatore professionale, che si affiancava al
medico, allo psicologo, all’assistente sociale e all’infermiere professionale. I "nuclei
operativi" sono stati sostituiti dai SERT che hanno comunque riconfermato le medesime
figure professionali.
Successivamente, con deliberazione del Consiglio regionale del 28 febbraio 1989 n. IV/1269,
il profilo professionale viene descritto come segue:
"1 L’educatore professionale è l’operatore che, in base a una specifica preparazione di
carattere teorico pratico, svolge la propria attività mediante la formulazione e la realizzazione
di progetti educativi, volti a promuovere lo sviluppo equilibrato della personalità, il recupero
e il reinserimento sociale di soggetti disabili e di persone a rischio di emarginazione sociale.
51
Per il perseguimento di tali obiettivi, nell’ambito del sistema delle risorse sociali e sanitarie,
egli svolge interventi riguardanti i rapporti interpersonali, la famiglia, i gruppi e le istituzioni,
le strutture e i servizi sociali, sanitari ed educativi, il contesto ambientale.
Gli strumenti di cui si avvale sono relativi a metodologie di operatività psicopedagogica e di
riabilitazione psicosociale. Conduce attività di studio, ricerca e documentazione indirizzate
all’intervento educativo. È previsto l’impiego dell’Educatore - ai sensi della normativa socioassistenziale e sanitaria regionale - nei servizi e nelle strutture per minori, quali le comunitàalloggio, gli Istituti, i Centri di pronto intervento; nelle strutture e nei servizi assistenziali e di
riabilitazione neuro-psicologica per disabili, nelle strutture e nei servizi di salute mentale,
negli interventi strutturati con modalità diverse nell’area dell’emarginazione giovanile.
3.4 La situazione attuale dell’educatore
Attualmente il profilo professionale dell’Educatore Professionale è stato riconosciuto dal solo
Ministero della Sanità attraverso il DM 8 ottobre 1998, n. 520 “Regolamento recante norme
per l¹individuazione della figura e del relativo profilo professionale dell’educatore
professionale, ai sensi dell’articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n.
502”
Con il seguente profilo: “L’educatore professionale è l’operatore sociale e sanitario che, in
possesso del diploma universitario abilitante, attua specifici progetti educativi e riabilitativi,
nell’ambito di un progetto terapeutico elaborato da un èquipe multidisciplinare, volti a uno
sviluppo equilibrato della personalità con obiettivi educativi/relazionali in un contesto di
partecipazione e recupero alla vita quotidiana; cura il positivo inserimento o reinserimento
psicosociale dei soggetti in difficoltà”.
Il riconoscimento in ambito sanitario ha inserito la nostra figura tra le professioni dell’area
della riabilitazione (DM 19/3/1999), ha connotato la professione come professione dotata di
autonomia professionale e non più “ausiliaria” del medico (LN 42/99), sono stati stabilite le
equipollenze (DM 27/7/00) ed equivalenze dei titoli pregressi (DPCM 26/7/2011), sono state
definite le modalità di accesso alle funzioni di coordinamento e alla dirigenza (LN 251/00), è
stata approvata la legge per la costituzione degli albi e ordini (LN 43/06 e DDLL1142)
52
Negli altri ambiti di operatività dell’educatore professionale, cioè in campo sociale, sociosanitario e penitenziario, non vi è ad oggi alcuna normazione della nostra figura professionale.
Ciò nonostante la LN 328/00 all’art. 12 e il D.lgvo 229/99 all’art. 3, prevedano il
riconoscimento dei profili delle professioni che operano in quei settori.
3.5 Le competenze dell’educatore
Come abbiamo più volte già scritto non ci sono confini netti tra le diverse competenze
attribuibili all’educatore professionale. Esse infatti sono il risultato di un intervento che
dev’essere il più ampio e il più aperto possibile. Spesso funzioni educative producono effetti
anche in aree sociali e relazionali. Nonostante ciò, le competenze possono essere distinte in:
pedagogiche, psicologiche, riabilitative, animative e culturali.
Le competenze pedagogiche riguardano il processo educativo riguardante l’uomo e il suo
essere in relazione agli altri. L’uomo infatti è in continua evoluzione e in continuo
apprendimento teorico pratico, egli acquisisce nella relazione con gli altri e con l’ambiente
sempre nuove informazioni e nuove competenze.
Come sostiene Miodini e Zini: “l’educazione è gestire l’esperienza acquisita, incrementare le
conoscenze e favorire cambiamenti in un processo senza fine di tipo circolare”. La crescita
dell’individuo è determinata dal confronto con la realtà, che gli propone una serie di
opportunità e contemporaneamente una serie di vincoli interni (bisogni) ed esterni (condizioni
di contesto).
34
L’educatore accompagna il percorso evolutivo e ha il compito di cogliere e
stimolare le potenzialità dell’individuo nella sua unicità e particolarità. Quest’ultimo deve
seguire un proprio percorso in base non solo a chi è, ma al contesto nel quale vive.
L’educatore quindi dovrebbe riuscire a trasformare un’esperienza soggettiva inconsapevole,
in un’esperienza consapevole, favorendo l’evoluzione dell’individuo.
Le competenze psicologiche sono quelle capacità che l’educatore deve sviluppare in modo da
poter comprendere l’individuo in ogni fase della sua evoluzione, tenendo conto delle sue
emozioni, dei suoi sentimenti, del suo vissuto. L’educatore deve essere inoltre capace di
individuare le dinamiche relazionali che soggiacciono ai rapporti, che l’individuo intrattiene
34
Stefania Miodini, Mariateresa Zini, L’educatore professionale, la nuova Italia scientifica, Roma 1997, p. 27.
53
con il mondo che lo circonda, a partire dalla famiglia, passando al gruppo di riferimento,
ovvero quell’insieme di persone che l’individuo considera come elemento di confronto,
rispetto alla definizione del proprio sé; per passare infine alla comunità, considerata come
realtà composta da più elementi. Ciò vuol dire che l’educatore deve tener conto anche delle
dinamiche psicologiche derivanti dal rapporto tra individuo e ambiente sociale, ponendo
un’attenzione particolare ai condizionamenti esterni al quale l’individuo può essere sensibile.
Le competenze riabilitative sono dovute al fatto che l’educatore si occupa di persone in
condizioni di disagio psicofisico derivanti da fattori fisiologici o da “carenze soggettive
indotte dall’ambiente esterno”35. Alla luce della condizione dell’individuo l’educatore deve
essere capace di valutare le risorse di cui dispone il soggetto, alla luce della patologia
diagnosticata, di definire di conseguenza gli obiettivi riabilitativi e di trovare la modalità di
raggiungimento degli stessi. Vedremo successivamente quali saranno gli strumenti dei quali
l’educatore dispone. Le aree nelle quali può intervenire sono: manuale operativa, intellettuale,
psicologico relazionale, espressiva creativa.
Le competenze animative si riferiscono all’animazione che l’educatore può utilizzare a
seconda che abbia a che fare con minori, adolescenti piuttosto che anziani. Tali competenze
hanno la funzione di avviare un processo che stimoli il cambiamento, infatti l’animazione
aiuta le persone a esprimere il proprio sé a liberare la propria fantasia, a riappropriarsi di una
buona immagine di sé, a liberare la sensibilità, a favorire l’espressione della gestualità, in
rapporto da recuperare anche il modo con gli altri.
Le aree dell’animazione sono: l’organizzazione del tempo libero, la drammatizzazione,
l’organizzazione di feste, la programmazione di gite o vacanze, la progettazione di spazi in
centri ricreativi.
Le competenze culturali riguardano la capacità dell’educatore di individuare tutte quelle
attività presenti sul territorio di tipo culturale che possono essere utilizzate come stimolo
nell’attività di recupero. Essi possono essere: cineforum, visite, spettacoli, iniziative
naturalistiche ecc.
Le competenze sociologiche riguardano la capacità dell’educatore di intervenire non solo
nella relazione con l’utente ma anche con la famiglia e l’ambiente sociale circostante36.
35
36
Ibidem, pp. 30-31.
Ibidem, pp. 32-34.
54
3.6 L’educatore nelle comunità protette
Come abbiamo visto nel capitolo precedente il ruolo, i compiti, e l’importanza dell’educatore
mutano a secondo della struttura nella quale egli opera. Nei CPS l’educatore compie poche
attività di riabilitazione e di risocializzazione, nonostante l’area psicosociale sia in aumento
rispetto a quella clinica. L’intervento degli educatori si assesta infatti all’8%, mentre quello
degli psichiatri attraverso la visita colloquio è del 60%. Il margine di intervento nei CPS da
parte degli educatori, può essere ancora ampliato, mentre per quanto riguarda le strutture
residenziali, il lavoro dell’educatore è maggiore rispetto a quello dei clinici. Il trattamento dei
pazienti prevede una terapia integrata composta da: progetto terapeutico riabilitativo affidato
agli educatori e farmacologico affidato agli psichiatri e agli psicologi. Queste figure elaborano
all’interno della struttura residenziale un progetto terapeutico-riabilitativo personalizzato,
frutto di un intenso lavoro di equipe, sulla scia del piano di trattamento individuale (PTI),
elaborato dal Centro di Salute Mentale. L’educatore nelle comunità si trova di fronte persone
la cui fascia di età va dai 45 ai 64 anni, in prevalenza maschi. Due terzi dei pazienti sono
celibi o nubili, anche se sono in aumento le persone coniugate, così come sono in aumento i
giovani. Nelle comunità arrivano comunque persone la cui condizione socio-ambientale è
svantaggiata, in quanto possiedono un basso livello di istruzione e non hanno occupazione.
Al momento sei su dieci sono schizofrenici, ma sono in continuo aumento i disturbi affettivi,
nevrotici e della personalità. I pazienti solitamente affrontano un ricovero all’anno, la cui
durata si assesta sui sei mesi, anche se vi è un aumento delle degenze per persone con meno di
45 anni. Gli interventi più frequenti da parte dell’educatore sono i gruppi di risocializzazione
e gli interventi individuali sul recupero sulle abilità di base e sociali.
Le comunità protette sono cresciute più di tutte le altre strutture, i loro posti letto sono
decuplicati e rappresentano oggi il 39% del budget regionale. Ad un aumento quantitativo
dovrebbe corrispondere anche un aumento della qualità, consistente nella differenziazione dei
programmi e delle attività, come vedremo nel capitolo successivo nella comunità “Il
Gabbiano”, la quale ha attivato tra i tanti progetti quello del teatro e dell’ergoterapia.
Essere educatori in una comunità protetta, che ospita pazienti con diverse patologie
psichiatriche, è un lavoro complesso e quotidiano, un saper fare e un saper essere intimamente
legati al rapporto che giorno per giorno si costruisce con l’utente, all’interno di una complessa
55
dinamica di transfert e controtransfert. L’educatore è infatti il cardine, l’elemento pragmatico
di ciò che accade all’interno della comunità, la cui attività e il cui punto di vista diventa
indispensabile al lavoro di équipe.
Come sostengono Crescentini, De Felice e Tonzar il ruolo dell’educatore diviene
“multifunzionale e permeato da una logica di tipo dinamico; egli si pone quale esempio reale
e tangibile in cui possa avvenire un adeguato processo di identificazione, e questo è
particolarmente importante visto che spesso gli individui sofferenti di patologie di tipo
psichiatrico non hanno avuto la possibilità di risolvere in maniera adeguata la personale
odissea edipica tramite un’identificazione riuscita, per mancanza di un rapporto genitoriale o
per una molteplicità di altre variabili, con una conseguente inadeguatezza della costruzione
del sé e uno sviluppo di relazioni oggettuali spesso difettose”37.
L’educatore diventa quindi punto di riferimento, base sicura per l’utente il quale può esperire
una rinnovata modalità relazionale ed interiorizzarla. Per fare ciò l’educatore deve avere
anche la capacità di creare contesti educativi, caratterizzati da fiducia reciproca e mutua
collaborazione. Trattare con pazienti psichiatrici implica lo svolgere un mestiere complesso
all’interno di un gruppo, caratterizzato da un accordo implicito di collaborazione reciproca,
rispetto, chiarezza, professionalità, per tale motivo l’educatore deve avere competenze
riguardanti la psicopatologia e utilizzare una visione psicodinamica degli avvenimenti
psicopatologici allo scopo di realizzare un intervento efficace. Egli deve coniugare aspetti
teorici e aspetti pratici e adattarli alla quotidianità degli eventi. Oltre a ciò il suo intervento
deve tener conto degli aspetti etici, della legislazione professionale, delle teorie della
comunicazione e delle principali metodiche riabilitative in modo da operare in fieri38.
L’educatore deve porre molta attenzione nel fare quanto sopradescritto in quanto incorre nel
rischio tipico delle professioni d’aiuto chiamato burnout39. Con tale termine si intende il
logorio a livello emotivo, professionale, soggettivo, interpersonale al quale possono andare
incontro gli operatori mostrando conseguenti segni clinici e comportamentali quali
A. Crescentini, F. De Felice, C. Tonzar, L’educatore e la riabilitazione psichiatrica, Carocci Faber, Roma
2011, p. 110.
37
38
Ibdem, pp. 112 – 115.
Dall’inglese bruciato, scoppiato, termine introdotto in letteratura nel 1974 da H. J. Fraudemberg, psicoanalista
americano. Inizialmente tale termine indicava uno stato di insoddisfazione dovuto al mancato raggiungimento di
un obiettivo prefissato, successivamente è diventato una “ritirata” psicologico dal lavoro in seguito ad uno stress
eccessivo e una perdita di entusiasmo nei confronti del lavoro stesso.
39
56
l’abbassamento del rendimento lavorativo, un persistente affaticamento, irritabilità, cefalea,
problemi familiari, abuso di farmaci, sentimenti di inadeguatezza. Questi sintomi sono il
risultato di stress40.
Cherniss41 suggerisce una serie di strategie di prevenzione del burnout:
-
Riduzione delle richieste imposte dagli operatori da loro stessi;
-
Limitazione del numero di pazienti di cui lo staff è responsabile in un determinato
periodo;
-
Creazione di programmi di training e sviluppo per i supervisori;
-
Creazione di meccanismi formali di gruppo per la soluzione del problema
organizzativo e la risoluzione del conflitto;
-
Condivisione della responsabilità delle cure e della terapia con i pazienti con le
famiglie con la comunità sociale42.
3.7 Lo sguardo dell’educatore
Come abbiamo già più volte scritto, l’educatore che lavora in una comunità protetta deve
tentare di trovare un punto di equilibrio tra la psicologia e la psichiatria, ciò vuol dire che pur
lavorando in ambito psichiatrico, egli non deve mai dimenticare la matrice pedagogica del
proprio mestiere. Infatti, il processo educativo è anch’esso di per sé una cura che rende il
soggetto capace di trovare una propria realizzazione e di sviluppare la propria personalità. Per
questo motivo la prospettiva pedagogica può fungere da stimolo anche alla psichiatria, in
modo da renderla più attenta e responsabile dell’aspetto umano e non solo biologico.
L’educatore è maggiormente propenso a prendere in carico l’uomo nella sua totalità,
composta da pensieri, valori, azioni, emozioni, sentimenti, per fare ciò l’operatore deve essere
40
Ibidem, p. 118.
41
Psicologo ed insegnante americano, professore applicato di psicologia e direttore del Organisational
Psychology program, specializzato nelle aree nell’inteligenza emotiva, stress lavorativo, sviluppo della
leadership e famoso sulle sue teoria riguardanti il burnout nelle organizzazioni che prestano servizi di carattere
socio assistenziale e umanitario.
42
Ibidem p. 125-126.
57
un buon osservatore, il suo sguardo può modificare colui che viene osservato. Infatti colui che
osserva, interpreta e attribuisce un significato al mondo che lo circonda, quindi, ciò a cui
arriverà e che comunicherà agli operatori piuttosto che all’équipe risentiranno anche dei suoi
vissuti e delle sue emozioni, suscitate dal suo punto di osservazione, dall’interazione con il
paziente, ma anche dalla propria storia personale e dalla visione della malattia mentale.
Rispetto a ciò, rimandiamo ad uno studio antropologico condotto da Keinman, Eisenberg,
Good descritto nelle conclusioni di questo dell’elaborato.
Come sostiene Brandani bisogna considerare che la realtà può essere vista sotto due aspetti,
quello delle proprietà fisiche dell’oggetto e quello legato all’attribuzione di significato e di
valore a questo oggetto. Bisogna quindi, che il lavoro di osservazione consideri i significati
delle informazioni, dato che a ciascuna informazione possono essere attribuiti significati
diversi.
L’educatore deve essere consapevole di ciò che percepisce, di come lo descrive e di come
elabora le informazioni. Soprattutto quando si interagisce con soggetti psichiatrici la cui
“differenza” può essere letta come assoluta inaccessibilità. Le espressioni e i gesti della
persona affetta da patologie psichiatriche possono essere interpretati dalla lettura della
diagnosi, dalle relazioni cliniche, dai giudizi contenuti nei vari progetti, ma l’educatore ha il
compito di attuare altre forme di conoscenza di andare oltre all’atto del vedere, di assumere
un punto di vista particolare sul mondo, su di sé, sugli altri, nel tentativo sincero di
comprendere la persona e non di dominarla o di spiegarne i gesti. Ciò può avvenire se si attiva
ciò che oggi viene definita l’empatia.
A partire da Edith Stein l’empatia è una qualità che mette in contatto con le emozioni altrui, è
il rendersi conto dell’altro, accorgersi dell’altrui dolore, fare esperienza di un’esperienza che
non è la propria, vivere un sentimento che non è il proprio, mantenere la distinzione tra sé e
l’altro, ma cogliere al contempo le emozioni dell’altro accettando l’inaccessibilità e
l’incomprensibilità degli stati patologici. Solo in questo modo vi può essere una possibilità di
reale condivisione e di apertura verso una possibilità di miglioramento.
58
CAPITOLO 4: Analisi di un’esperienza nella Comunità Protetta
ad Alta Assistenza (C.P.A.) “IL GABBIANO”
Premessa
In questo ultimo capitolo conclusivo affronteremo da un punto di vista pratico, quanto
descritto nei precedenti capitoli, raccontando dell’esperienza di tirocinio che ha condotto con
grande curiosità e desiderio di apprendimento presso la Comunità Protetta ad alta assistenza
“Il Gabbiano”. Il mio lavoro è stato di osservazione quotidiana, fianco a fianco con gli
educatori e con ospiti, lavoro che ho trovato molto stimolante, motivante, ma anche molto
complesso, in quanto come già sottolineato nel capitolo precedente è la quotidianità che
stringe i legami; che sposta gli utenti verso un nuovo modo di stare al mondo, al contempo è
sempre la quotidianità con i momenti difficili in cui sembra che vi siano cadute e
peggioramenti che mette a dura prova la qualità dell’educatore che come già descritto risente
il burnout. In questo capitolo partiremo descrivendo come la Cooperativa il Gabbiano, si
radica nel proprio territorio dando nascita ad una serie di strutture, con ultima l’apertura di un
Hospice connotando la zona da un punto di vista economico e sociale per l’alta gamma di
servizi che è in grado di offrire e al contempo l’alto impiego al personale proveniente dalle
zone limitrofe. Successivamente descriveremo la comunità protetta ad alta assistenza
anch’essa chiamata Gabbiano, addicendo le motivazioni della scelta di aprire una tale struttura
e descrivendola al contempo. Successivamente ci concentreremo sugli aspetti funzionali e
metodologici dell’intervento riabilitativo entrando nel dettaglio delle sue fasi, degli obiettivi,
del progetto e degli strumenti per la realizzazione dello stesso. Enunceremo gli attori interni
ed esterni alla comunità ponendo particolare attenzione alla famiglia. Infine descriverò due tra
i tanti progetti della comunità: il teatro espressivo e il progetto “Gabbiano lavoro”. In ultima
analisi vi sarà la mia esperienza, il racconto di un caso con il relativo PTR.
59
4.1 Presentazione della Cooperativa “Il Gabbiano”
Il Gabbiano (cooperativa sociale di tipo A ai sensi art. 1, L. 381/91, con sede a Pontevico BS)
opera attivamente nella gestione dei servizi socio-sanitari, assistenziali ed educativi nelle
province di Brescia, Cremona e Mantova con una particolare attenzione al territorio del
proprio Distretto socio-sanitario (Leno).
La cooperativa nasce grazie alla collaborazione con alcune amministrazioni locali con lo
scopo di attivare un servizio di assistenza domiciliare agli anziani. Successivamente nel 1990
viene attivato un centro diurno per disabili, orientato all’inserimento lavorativo, che diverrà il
centro Socio Educativo il Gabbiano. La Cooperativa sociale “Il Gabbiano” con sede a
Pontevico un paese nella provincia di Brescia, e vicino a Cremona, ha nella sua storia le
motivazioni etiche ed operative che sottendono alla Comunità riabilitativa psichiatrica. Il
Gabbiano nasce prioritariamente con l’obiettivo di creare strutture di accoglienza alternative
“a grandi contenitori istituzionali” per persone in difficoltà.
La formula imprenditoriale Cooperativa non è stata una scelta casuale, fra i tanti metodi di
fare impresa ma un preciso terreno di confronto democratico condiviso e partecipato, uno
strumento ideale per coniugare comportamenti socioeconomici al quotidiano vivere la
solidarietà sociale.
Gabbiano si propone come strumento di coinvolgimento della comunità locale, attraverso
l’attivazione di servizi progettati in funzione di una risposta ai bisogni del territorio, la
dimensione imprenditoriale contenuta, che consente un costante rapporto con i soci con
momenti formativi e sostegno motivazionale, una scelta di settori di intervento specifici, per
garantire costante progettualità e sperimentazioni innovative.
Negli ultimi 10 anni il Gabbiano si è connotata come una realtà unica nel panorama bresciano
per la territorialità (come modalità nell’approccio alle proprie azioni), per la differenziazione
della gamma dei servizi (risposta ampia ed integrata) abbinata alla notevole specializzazione
(garanzia di qualità) assicurata dalle aree funzionali e la dimensione medio-grande (sviluppo
delle attitudini imprenditoriali, capacità di generare risorse da reinvestire, garanzia di stabilità
dei posti di lavoro). La Cooperativa, non avendo finalità lucrative reinveste le risorse prodotte
in nuovi progetti finalizzati ad ampliare e migliorare la gamma di servizi erogati.
60
Il suo scopo è il perseguimento dell’interesse generale della comunità alla promozione umana
e all’integrazione sociale dei cittadini secondo quanto previsto dalla legge n.381 del 1991. I
soci della cooperativa Il Gabbiano attualmente sono oltre 200 e circa 90 soci lavoratori e
prestatori professionali.
Il Gabbiano si pone i seguenti obiettivi:
 Proporsi sul territorio come interlocutore qualificato nella soluzione di problemi
afferenti alle proprie aree di intervento;
 Acquisire competenze specifiche al fine di diversificare le proprie aree di intervento;
 Gestire direttamente i servizi erogati o in proprie strutture o in collaborazione con altri
enti pubblici o privati;
 Avere come ambito d’intervento prioritario, ma non esclusivo, il proprio territorio;
 Garantire stabilità occupazionale, a tutti i soci-lavoratori ed ai dipendenti;
 Interagire attraverso modalità adeguate con le altre cooperative su scala locale,
nazionale, internazionale;
 Conseguire e mantenere una reputazione collettiva di soggetto-guida in fatto di qualità
dei servizi socio-sanitario-assistenziali ed educativi;
 Creare, attraverso un approccio imprenditoriale, nel rispetto della finalità non
lucrativa, risorse da investire in nuove iniziative di pubblica utilità, incrementando
ulteriormente le opportunità d’impiego.
Nel Marzo 2006 viene costituita la cooperativa progetto gabbiano che nasce dal gruppo
dirigente e dalla stessa cooperativa sociale Il Gabbiano, che partecipa in qualità del Socio
Sovventore ed esprime il Presidente del Consiglio di Amministrazione. Questa nuova
cooperativa sociale, anch’essa destinata alla gestione dei servizi socio-assistenziali-sanitari ed
educativi, nasce con lo specifico obiettivo di rappresentare il soggetto gestore dei servizi in
appalto del gruppo Il Gabbiano, in particolare in area socio-sanitaria, attraverso la presa in
carico di attività esistenti e di nuovi servizi.
61
L’organizzazione a capo di Progetto Gabbiano è assicurata dallo stesso staff direzionale, a
garanzia delle qualità e dell’omogeneità dei servizi. Attualmente i soci lavoratori e dipendenti
della cooperativa sono circa 80.
Le aree d’intervento in cui opera principalmente la Cooperativa Sociale Progetto Gabbiano
sono:
 Area infanzia
 Area minori
 Area disabilità
 Area psichiatrica
 Area anziani
4.2 La Comunità Protetta “Il Gabbiano”
La Comunità Protetta IL GABBIANO è stata attivata nel maggio 2005, l’iniziativa risponde al
bisogno di residenzialità in ambito psichiatrico nel territorio della Bassa Bresciana centrale ed
orientale.
Il progetto è una sperimentazione gestionale pubblico/privato tra l’Azienda Ospedaliera di
Desenzano del Garda e la Società Cooperativa Sociale Onlus IL GABBIANO, finalizzata
all’attivazione di una Comunità destinata ad ospitare 17 soggetti (uomini e donne) con
patologie psichiche invalidanti che necessitano di un trattamento riabilitativo prolungato; il
partner pubblico garantisce:
 La Direzione Scientifica;
 Le funzioni di programmazione/ indirizzo e controllo;
 Le attività formative.
62
La Cooperativa Il Gabbiano è soggetto accreditato ed è titolare della gestione della struttura.
L’edificio della Comunità Protetta è disposto su tre piani ed è dotato di un ampio giardino. Le
stanze sono arredate e attrezzate secondo un modello di tipo domestico, funzionale a tutte le
esigenze di vita quotidiana; vi sono ampi ambienti comuni a disposizione degli ospiti e dei
visitatori e sono presenti inoltre locali destinati alle diverse attività ludico ricreative. La
Comunità dispone di un terreno attiguo al giardino a disposizione per le attività florivivaistiche di orticultura e di allevamento di piccoli animali.
La Comunità presenta i seguenti obiettivi:
 Operare una presa in carico complessiva dell’utente;
 Fornire pacchetti riabilitativi integrati e personalizzati che escano dalla dinamica della
singola prestazione;
 Stimolare la partecipazione e il sostegno consapevole dell’utenza al proprio progetto
riabilitativo;
 Assicurare sinergie di competenze attraverso l’attivazione della rete territoriale.
Gli interventi riabilitativi si realizzano attraverso:
 Attività interne finalizzate alla realizzazione di un’esperienza di vita in struttura
sociale complessa;
 Attività interne di laboratorio (decoupage, restauro, pittura, giardinaggio, allevamento
e floricoltura);
 Attività esterne finalizzate alla socializzazione e all’integrazione nel contesto sociale
locale;
 Attività esterne finalizzate all’attivazione di esperienze lavorative.
Le proposte vengono integrate con le opportunità aggregative, culturali e ricreative, garantite
dal territorio di appartenenza.
Il personale garantisce attività e servizi alla comunità, con un lavoro sinergico e funzionale
dell’equipe coordinata dalla Responsabile di Struttura e dal Direttore Sanitario, composta
dalle seguenti figure professionali, ausiliari socio-assistenziali, addetti ai servizi generali,
educatori e infermieri.
63
Il bisogno sempre più pressante di servizi mirati alla psichiatria, tesi a ridurre prima ed
eliminare poi gli ospedali psichiatrici è stato colto dalla cooperativa Il Gabbiano la quale negli
ultimi anni si è impegnata in un percorso di riflessione e ricerca, il cui obiettivo principale è
quello di poter dare una concreta risposta ai bisogni del disagio mentale garantendo percorsi
riabilitativi differenziati, attuabili, attraverso la permanenza, per periodi di tempo mediolunghi, in una Comunità Protetta ad Alta Assistenza.
I destinatari sono, persone di entrambe i sessi dai 18 ai 65 anni, affette da psicosi o da disturbi
del carattere grave e medio-grave, già in carico al servizio psichiatrico territoriale, necessitano
di una residenzialità, a scopo terapeutico-riabilitativo. Non vengono accolti pazienti con
problematiche di tossicodipendenza, sieropositività, epatite, HIV e patologie psicogeriatriche
e oligofreniche.
La comunità Protetta è nata con lo scopo, di creare/ricreare un contesto il più possibile simile
alla famiglia, per quelle persone che hanno perso nel processo di istituzionalizzazione, il
senso della relazione famigliare, ma che sono abituate a vivere in gruppo. In questi anni, la
cooperativa ha intrattenuto un importante e significativo rapporto con le istituzioni del
territorio, con Enti Locali ed Aziende Sanitarie che ha permesso una quotidiana evoluzione
verso unità di offerte e servizi sociali sempre più qualificate. Il rapporto con tali soggetti
istituzionali si sta ulteriormente rafforzando in una prospettiva di partnership volta alla
collaborazione e all’individualizzazione dei bisogni che il territorio e la sua popolazione
richiede e alla definizione non che alla realizzazione di interventi che soddisfino tale esigenze.
La Comunità Protetta è rivolta a soggetti con patologie psichiatriche specifiche e/o
patologiche ad esse correlate, valutandone all’ingresso il livello di autonomia residua. Esso
trova realizzazione concreta, nella costruzione di una Comunità Terapeutico-Riabilitativa,
deputata a realizzare programmi terapeutico riabilitativi a termine, per quei pazienti che
richiedono una temporanea residenzialità in una struttura di tipo abitativo assistita 24 ore su
24. La capacità di accoglienza della struttura è di 20 posti.
Il progetto si propone di recuperare e consolidare l’autonomia in ambito personale,
relazionale, perseguendo una sempre maggiore integrazione con il territorio. All’interno di
questo percorso teorico ogni soggetto si muove in un progetto individuale che tiene conto
delle sue caratteristiche peculiari. In funzione di un iter costante di verifiche, il percorso
riabilitativo può essere reversibile e continuamente riadeguato. Esso può avere la durata di un
64
massimo di 36 mesi. Dalle valutazioni emerse in seguito al periodo di osservazione iniziale
(un mese circa), viene definito il progetto definitivo (ptr).
4.3 Aspetti funzionali e metodologici dell’intervento riabilitativo
La riabilitazione è il processo per identificare e prevenire o ridurre le cause della
disabilitazione e nello stesso tempo per aiutare l’individuo ad usare e sviluppare le proprie
doti e capacità, acquisendo stima di sé attraverso i successi conseguiti nei ruoli sociali.
Attraverso questo processo la persona viene aiutata a prendere coscienza delle limitazioni
imposte dalla sua momentanea disabilità, con lo scopo di riportarla successivamente al
massimo livello possibile di autonomia. Nell’ambito del disturbo psichiatrico grave e mediograve non c’è distinzione fra curare e riabilitare, perché si assume che malattia e disabilità
siano reversibili. Se spesso si individuano strumenti diversificati per la cura e per la
riabilitazione, ciò accade per una forma di determinazione culturale: in entrambi i casi il fine è
il cambiamento del difficile rapporto fra individuo e ambiente. Se “cura”, in senso stretto,
significa intervento sul mondo interno del paziente, ogni modificazione di questo interno
potrà comportare una modifica anche nelle relazioni, nel comportamento e nei rapporti di
realtà; così come ogni intervento del mondo esterno, compiuto per la messa in atto di una
“riabilitazione”, potrà comportare modificazioni sul mondo interno del paziente. Si pone
quindi la necessità di agire contestualmente e sincronicamente in entrambe le sfere. Di
conseguenza l’intervento non ha più un obiettivo rigidamente definito (ad esempio:
sintomatologico, relazionale, comportamentale) ma tende ad incidere su più ambiti, come:
 Consentire il proseguimento dello sviluppo della persona, svincolandola da forme
rigide di comportamento e di relazione che la fanno soffrire e che provocano reazioni
avverse da parte dell’ambiente.
 Perseguire la massima autonomia possibile ed espressività della persona.
 Aiutare la persona a sviluppare modelli di relazione e di comportamento non solo
tollerabili, ma anche condivisibili da parte della stessa.
 Aiutare l’ambiente a sviluppare modelli di relazione e di comportamento non solo
tollerabili, ma anche condivisibili da parte del paziente.
65
 Collocare tali obbiettivi in un progetto globale di vita che non può essere né
predeterminato e standard né deciso al di fuori della coscienza e dell’esistenza
concreta della persona.
Quando il percorso della malattia viene concepito in questo modo, come evento di esperienza,
cambiano le aeree e gli strumenti della riabilitazione: essi diventano il rapporto internoesterno, la vita quotidiana, le relazioni, e vengono giocati non solo con attitudine pedagogica,
ma anche come atteggiamento emotivo relazionale.
La funzione della riabilitazione non è più né normativa né di contenimento, ma risiede
nell’approntare un percorso reciproco di condivisione fra operatori, persona sofferente e
comunità. La riabilitazione, dunque utilizza come campo operazionale e come strumenti di
intervento la vita quotidiana, le relazioni, il rapporto fra mondo interno del paziente ed
ambiente, strutturandosi come una funzione, che si può definire intermediaria. La funzione
intermediaria consiste nel rendere accessibile al paziente il rapporto con la realtà esterna
attraverso diverse modalità di relazione (accudimento, supporto, stimolo), che l’operatore
cerca di strutturare sulla base della comprensione dei livelli di relazionalità via via conseguiti.
Si tratta di allora di impostare un accompagnamento del paziente, talora materiale, comunque
e sempre mentale, che rappresenta l’espressione di ruolo e dell’agire dell’operatore.
La funzione intermediaria può essere vista come risultante di diverse componenti.
 L’accompagnamento materiale, inteso sia negli aspetti tutoriali di supporto, necessari
in ragione delle particolari disabilità, sia nella presa di contatto dell’operatore con la
realtà concreta in cui il paziente è collocato con le persone che vi fanno parte.
 La mediazione fra il paziente e l’ambiente, con cui egli interagisce con modalità che
tendono ripetitivamente a confermare la sua identità di malato, stimolando negli
interlocutori aspettative di comportamento deviante e provocando in questo modo
reazioni avverse e rimandi retroattive in termini di disistima e di rifiuto.
 La funzione di “tener in mente” che consiste nel mantenere aperta la relazione
terapeutica vera e propria in un tipo di setting mobile che possa contenere e al cui
interno sia possibile elaborare l’emozioni che si attivano lungo tutto il percorso della
riabilitazione: si tratta, in estrema sintesi di attualizzare una capacità professionale
organizzativa, utile ad integrare tutto ciò che per il paziente non è possibile integrare e
66
che anzi un insieme di esperienze e di relazioni plurime tende a mantenere confuso e
scisso.
Le fasi del processo riabilitativo possono essere così riassunte:
 In una prima fase il lavoro dell’educatore è finalizzato a conoscere la realtà del
paziente ed a costruire la relazione. La personalizzazione del rapporto è preminente
rispetto al luogo in cui ciò avviene e a ciò che si fa nel concreto.
 In una fase successiva si vanno costruendo rapporti e relazioni che hanno il significato
o la potenzialità di esperienze condivise.
Il lavoro si sviluppa in spazi fisici con modalità che contano l’esplicarsi della funzione
intermediaria il più possibile in rapporto con la privatezza della vita quotidiana: le
razioni informali all’interno della rete ristretta del gruppo, la ricostruzione delle
scansioni temporali significative della giornata, il lavoro protetto, il gioco, le attività di
svago.
 Nella terza fase si avvia il rapporto con la comunità allargata e la riabilitazione si
svolge all’interno della complessità delle dinamiche sociali.
L’elaborazione delle reazioni avverse e dei rimandi reciprocamente negativi fra paziente ed
ambiente è possibile solo in una trama di rapporti reali all’interno di conflitti interpersonali e
sociali della competizione, delle penurie e limitazioni imposte dalla realtà. L’operatore in
questo momento funziona come supporto, come modello e compagno di un’esperienza di
cooperazione; ma anche come mediatore per consentire l’acquisizione delle chiavi di lettura e
di accesso alle modalità strutturali dell’organizzazione sociale.
Gli obiettivi e le funzioni dell’intervento riabilitativo sono:

FUNZIONE DI ACCOGLIENZA:
Essa riguarda non soltanto l’atteggiamento comportamentale, ma anche la
disponibilità emotiva a creare nella comunità un clima che consenta e favorisca
negli ospiti un investimento affettivo ed approccio relazionale con gli altri ospiti e
67
con gli operatori, così da avvicinare gradualmente un sentimento di appartenenza
che diventa riparatorio nei confronti della frammentazione psicotica della
personalità.

FUNZIONE RISOCIALIZZANTE PROTETTA:
Favorisce il livello di relazionalità dell’ospite in un ambiente non ostile ed in
grado di consentire l’espressione di sé anche attraverso linguaggi simbolici; essa
inoltre costituisce un modello ed un paradigma per relazioni significative da
realizzare all’esterno ed in situazioni non protette.

FUNZIONE RISOCIALIZZANTE ALLARGATA:
Essa mira a ripristinare nell’ospite la capacità di frequentare gli ambiti sociali del
mondo senza in incremento intollerante dei livelli di ansia e di angoscia: tale
funzione si realizza attraverso atteggiamenti progressivi, da parte degli educatori,
che vanno dal tutoriale all’accompagnatorio, al responsabilizzante, e che si
esprimono in situazioni sociali.

FUNZIONE RIABILITATIVA ESSENZIALE:
Essa riguarda il ripristino e/o lo sviluppo delle abilità di base, utile alla gestione
del sé nel quotidiano: la cura della propria persona (pulizia/abbigliamento), gli
elementi più semplici per la cucina dieteticamente corretta, l’uso del denaro e la
fruizione dei pubblici servizi.

FUNZIONE RIABILITATIVA OCCUPAZIONALE:
Concerne l’acquisizione di un’idea, di una pratica del lavoro come arte, mestiere,
guadagno, sostentamento e conseguentemente di una ri-motivazione al lavoro.
68

FUNZIONE RICREATIVA:
Consente l’allontanamento da situazioni stressanti e sottoposte a stress in circolo
vizioso: la funzione ricreativa intende restituire serenità all’ospite ed al suo
ambiente di vita tramite una sospensiva reale e simbolica del loro rapporto.
4.4 Il progetto riabilitativo
L’intervento terapeutico riabilitativo in comunità si colloca all’interno di un progetto globale
individuato con il servizio psichiatrico territoriale, ne rispetto di un percorso orientativo che
prevede diverse fasi:
 VALUTAZIONE INIZIALE ED AMMISSIONE
 PROGETTO INDIVIDUALE
 MONITORAGGIO E SISTEMA DI VERIFICA DEI RISULTATI

Dopo la richiesta di ammissione, inoltrata dal servizio inviante, e la
valutazione favorevole dell’equipe della comunità, il candidato ospite
accede alla fase di presa di contatto con la struttura (visita alla stessa,
iniziale conoscenza degli operatori e degli ospiti).
Si procede quindi, verso la fase contrattuale, in cui, vengono esplicitate la
domanda e l’offerta, e l’accesso alla struttura si concretizza.
Dal momento dell’inserimento, viene dato inizio ad un periodo di
osservazione (da 1 a 3 mesi), che consente di avere un quadro più
approfondito della situazione dell’ospite; delle sue risorse, attitudini, abilità
relazionali.
Al termine di questo periodo, viene valutata la presa in carico del soggetto
e quindi la stesura del progetto individuale.
69

Il progetto individuale viene steso dall’equipe della comunità, in
collaborazione con l’equipe del servizio inviante.
Ogni paziente, durante tutto il periodo di soggiorno, mantiene i rapporti di
cura già avviati, sia di tipo psichiatrico, che psicoterapico, e con tutte le
agenzie sociali del proprio territorio di appartenenza.
Il progetto individuale è inteso in un’ottica assolutamente dinamica, parte
da obiettivi generali ed indicativi e tende alla formulazione di altri
obiettivi, sempre più specifici ed affinati, via via che si approfondisce la
conoscenza.

Durante la fase di osservazione e durante tutto l’iter riabilitativo, sono
previsti momenti di verifica, relativi all’andamento del progetto
individuale fra:

Operatori della comunità

Operatori della comunità e operatori di riferimento esterni alla struttura.
Asse portante dell’intervento terapeutico-riabilitativo è costituito dal “lavoro sulla
quotidianità”.
L’intero complesso delle interazioni interpersonali in seno al gruppo, è volto alla
responsabilizzazione ottimale individuale, nell’abitare lo spazio e nell’organizzazione del
tempo. Ogni specifica situazione di vita quotidiana costituisce occasione di acquisizione di
competenza sociale, in modo da aumentare le probabilità di successo individuale, rispetto ai
propri bisogni ed alle richieste ambientali.
Le attività si suddividono in tre grandi aree:

ATTIVITA’ RIVOLTE AL RAGGIUNGIMENTO/POTENZIAMENTO
DELL’AUTONOMIA: GESTIONE DEL QUOTIDIANO

ERGOTERAPICHE
70

ATTIVITA’ DI TEMPO LIBERO
Ogni momento del progetto personalizzato del paziente, presso la comunità riabilitativa
psichiatrica, è accompagnato da continue osservazioni, finalizzate a continui riadattamenti del
progetto stesso. Gli strumenti di osservazione di cui si avvale la comunità possono essere
raggruppati in due categorie:
 SCHEDA INFORMATIVA GENERALE, che viene consegnata al servizio inviante,
al momento della richiesta di inserimento.
Essa rappresenta un primo elemento conoscitivo del candidato ospite, che mira a
fornire indicazioni riguardanti:

La storia del paziente

L’anamnesi famigliare

L’anamnesi sociale

Il livello di autonomia del paziente

Valutazione diagnostica: sanitaria e psichiatrica.
Inoltre, al servizio inviante, vengono richieste la motivazione della richiesta di inserimento
presso la comunità.
 Scheda di osservazione specifica, ad uso dell’equipe della comunità, per attuare una
conoscenza approfondita rispetto al paziente e costruire/verificare il progetto
individuale:
La scheda di osservazione, analizza varie aree:
 AREA CURA DI SE’ E CURA DELL’AMBIENTE
 AREA AUTOGESTIONE
 AREA DELLA SOCIALIZZAZIONE
71
 AREA DELLA COMUNICAZIONE
 AREA DEI COMPORTAMENTI
 AREA DEGLI AFFETTI
DENTRO CASA
FUORI CASA
ATTIVITA' RIVOLTE AL
RAGGIUNGIMENTO/POTENZIAMENTO
DELL'AUTONOMIA: GESTIONE DEL QUOTIDIANO
1) Cura della propria persona, degli abiti, degli oggetti
1) Educazione sanitaria
personali
(consegna e utilizzo dei
servizi sanitari)
2) Attività domestiche (pulizia ed uso appropriato
2) Utilizzo dei servizi
dell'ambiente in cui l'ospite vive, attività di cucina, gestione
pubblici
mensa, gestione spesa)
3) Educazione sanitaria (gestione della terapia)
3) Partecipazione attività al
territorio
ATTIVITA' ERGOTERAPICHE
Attività occupazionali
Attività occupazionali
Attività espressive: pittura, ceramica, arte terapia
Attività espressive
Attività psicomotorie:
piscina, palestra
ORTOCULTURA
Attività di tempo libero (dentro la casa)
Attività di tempo libero:
Gite
Partecipazione a momenti
ricreativi, feste, cinema,
manifestazioni
72
4.5 Gli attori esterni e interni alla comunità
L’attore esterno alla comunità è il servizio inviante, il quale mantiene la titolarità della presa
in carico terapeutica, in particolare dal punto di vista sanitario. Sono previsti momenti di
lavoro in collaborazione fra l’equipe della Comunità ed i servizi invianti. Con essi l’equipe
della Comunità concorderà gli inserimenti dei candidati ospiti, oltre che alla definizione degli
obbiettivi prioritari, rispetto ai progetti personalizzati degli stessi. Rispetto, alla richiesta di
inserimento di un paziente, presso la Comunità, verrà chiesto al servizio inviante di fornire
una serie di osservazioni, rispetto all’intervento attuato nei confronti del candidato ospite, fino
al momento della richiesta, attraverso una relazione. Inoltre verranno concordati momenti di
verifica, sia intermedi, rispetto cioè all’andamento del progetto individuale, che finale,
qualora si ritenesse ultimato il processo terapeutico riabilitativo presso la Comunità, al fine di
poter garantire una concreta continuità all’intervento.
L’organizzazione della Comunità Riabilitativa Psichiatrica è formata da:
il responsabile il quale concorda e decide la distribuzione dei compiti e dei carichi di lavoro,
definisce le priorità di lavoro, coordina e supporta l’avvio operativo delle funzioni, verifica i
risultati; il direttore sanitario, supporta e monitorizza l’andamento quotidiano del progetto,
garantisce le azioni di problem-solving, quando non trovano soluzione nelle autonomie degli
operatori, gestisce i piani di lavoro e le conseguenti variazioni, presiede e partecipa alle
riunioni d’equipe, in cui si verifica l’andamento del progetto e si adottano soluzioni
migliorative, partecipa alla selezione, partecipa agli incontri con le istituzioni esterne, con cui
interagisce in merito al progetto, è il responsabile del personale, della logistica e
dell’organizzazione generale, presiede i rapporti con la famiglia rispetto al programma; il
direttore amministrativo il quale organizza e pianifica le procedure, gli strumenti e il controllo
amministrativo del progetto, presidia la gestione ordinaria ed approva la gestione straordinaria
in accordo con il responsabile, formula il budget ed il bilancio; lo psichiatra struttura e
supervisiona la gestione terapeutica del progetto di inserimento, interloquisce tecnicamente
con i servizi invianti circa i casi inseriti, attua la selezione dei candidati ospiti in accordo con
il direttore, interviene nei rapporti con la famiglia e in merito ai risvolti terapeutici, garantisce
una corretta gestione della terapia e partecipa all’equipe di direzione; l’educatore
professionale collabora alla gestione dei progetti educativi, collabora la gestione domestica
della casa, programma organizza e gestisce le attività della casa; l’infermiere professionale
73
garantisce la gestione terapeutica quotidiana, collabora la gestione domestica della casa,
collabora al raggiungimento degli obiettivi dei progetti individuali; l’assistente ausiliario
collabora al raggiungimento degli obiettivi dei progetti individuali, collabora alle attività
domestiche, organizza la logistica della casa; il volontario pianifica il suo intervento dentro il
programma delle attività, qualificando e facilitando il compito degli operatori, produce
connessioni con i gruppi di volontariato del territorio.
4.6 La famiglia del progetto Comunità riabilitativa psichiatrica
Pur essendo; il paziente psichiatrico dell’intervento, la comunità considera l’insieme dei
legami famigliari come rete di soggetti che incide profondamente (problema/risorsa) nella
fattibilità della buona riuscita riabilitativa, quindi anche i famigliari possono assumere un
ruolo, un obiettivo ed un percorso parallelo, ovviamente quando le premesse situazionali lo
permettono. Nella logica della massima valorizzazione delle risorse presenti e potenziali, la
famiglia è una risorsa che richiede di essere prevista, strumentata e supportata.
Nella fase di screening iniziale vengono raccolte le informazioni riguardanti la famiglia
utilizzando sia i dati formali esistenti, sia i resoconti dei testimonial esistenti, secondo il
seguente schema:

Dati anagrafici dei conviventi (data di nascita, titolo di studio, professione, grado
di parentela con il candidato).

Struttura del nucleo famigliare convivente, oltre al sistema parentela più prossimo.
Di quest’ultimo distinguendo le persone costantemente in frequentazione con il
candidato ospite, da quelle più lontane, sempre per criterio di frequentazione.

Sintesi del ciclo di vita del nucleo convivente (nascita, morti, unioni, separazioni
ecc.)

Ruoli e funzioni assunte dai membri della famiglia rispetto alla storia della
malattia del candidato, sia dal punto di vista storico che attuale.
74

Livello e tipologia di motivazione alla collaborazione (chi, quanto e come), nel
processo
di
riabilitazione
in
previsione
dell’accoglienza
nel
progetto
COMUNITA’ RIABILITATIVA PSICHIATRICA.

Individuazione di un referente che funga da interfaccia comunicativa tra la
famiglia
ed
il
direttore
del
progetto
COMUNITA’
RIABILITATIVA
PSICHIATRICA.
Per quanto sostenuto in premessa, la struttura residenziale (progetto COMUNITA’
RIABILITATIVA PSICHIATRICA), non attua una vera e propria presa in carico del sistema
famigliare, ma nella peculiarità d’ importanza che gli viene attribuita definisce con essa gli
ambiti di collaborazione, comunicazione e scambio possibili.
In pratica il progetto riabilitativo personalizzato espliciterà e dettaglierà il ruolo, i compiti e le
modalità di verifica dei membri della famiglia disposti a collaborare.
Per loro la struttura residenziale garantirà la comunicazione, l’ascolto e la disponibilità al
Counseling.
Per contro chiederà la possibilità di concordare e verificare l’esito delle azioni dei familiari,
inerenti il progetto, precedentemente concordate.
In presenza di famigliari disposti a collaborare stabilmente con il progetto, la struttura, in
accordo con i servizi territoriali di riferimento, attuerà i supporti necessari, ad orientare un
processo collaterale di comprensione, adattamento, e preparazione dell’eventuale riaccoglienza dell’ospite alla fine del progetto.
E’ da ipotizzare la possibilità della formazione di un gruppo di famigliari in affiancamento
alla vita della struttura residenziale, facilitato da un operatore secondo gli orientamenti
metodologici del self-help.
Nel caso in cui si riscontrasse il bisogno, la volontà e la possibilità di una presa in carico di
tipo terapeutico della famiglia, l’intervento sarà dei servizi territoriali di riferimento.
Il ruolo della famiglia dapprima succedaneo ed esterno potrebbe trasformarsi in centrale ed
interno nell’ipotesi dell’evoluzione del progetto personalizzato verso il graduale rientro in
famiglia dell’ospite.
75
L’intervento formativo sugli operatori nella Comunità Psichiatrica è permanente è così
organizzato:
Incontri settimanali di analisi e verifica dei casi, fra gli operatori, lo psichiatra ed il direttore
della comunità.
 Riunioni a cadenza quindicinale in assetto Balint.43 (gestiti dallo psichiatra della
comunità)
 Incontri di supervisione
 Incontri di supervisione/analisi dei casi, attraverso l’utilizzo della cinepresa.
 Nozioni di base di:
-
Tecniche riabilitative
-
Psicoterapia
-
Farmaco terapia
4.7 Progetti all’interno della Comunità “Il Gabbiano”: teatro espressivo e
Gabbiano Lavoro
Le attività espressive in riabilitazione psichiatrica sono tecniche di intervento in cui il medium
della relazione non è la parola ma la forma artistica, che può essere: l’arte visiva, il teatro, la
danza, la musica. Queste tecniche possono essere di gruppo o individuali e possono essere
utilizzate con finalità psicoterapeutiche ma anche in programmi riabilitativi. L’arte terapia è
frequentemente applicata in ospedali o day-hospital psichiatrici, centri diurni, comunità,
scuole. È rilevabile, infatti, l’utilità dell’arte terapia anche in campo educativo perché può
fornire una dimensione introspettiva che a volte manca nell’educazione, la quale tende a
43
Gruppo Balint: è gruppo che si propone di migliorare le capacità dei medici di utilizzare con i pazienti la
relazione interpersonale come fattore terapeutico. Due ipotesi principali: il medico stesso è il farmaco principale
che viene somministrato al paziente, nel rapporto tra paziente e medico si possono produrre sofferenze ed
irritazioni inutili, che Balint si è reso conto essere evitabili laddove il medico divenga maggiormente in grado di
ascoltare e comprendere ogni paziente nella sua singolarità, entrando in relazione con lui in modo più
consapevole del fatto che anche la loro relazione è parte sia dell’atto diagnostico sia dell’atto di cura.
76
valorizzare quasi esclusivamente le abilità cognitive. L’arte terapia può essere utile agli
insegnanti per valutare in modo globale gli studenti, per migliorare la comunicazione e la
socializzazione. Il gruppo rappresenta una situazione privilegiata in quanto, anche se la
produzione artistica resta un’esperienza individuale, permette una sorta di condivisione e si
crea la sensazione di conoscere ed essere conosciuti profondamente. L’estrema flessibilità
delle tecniche e adattabilità a contesti diversi è uno dei motivi della diffusione dell’arte
terapia. Tuttavia i limiti sono la mancanza di criteri comuni per la valutazione e gli
inserimenti dei pazienti che avvengono per lo più in modo aspecifico in mancanza d criteri
oggettivi.
Sotto l'etichetta "espressive" si raccolgono un ampio e diversificato insieme di attività,
accomunate dalla possibilità di ognuna di consentire al partecipante di esprimere una parte di
sé e della propria individualità. L'esempio paradigmatico è probabilmente quello del
laboratorio teatrale, dove il singolo ospite ha la possibilità di interpretare un ruolo secondo le
sue possibilità di espressione, le sue particolarità, le sue idiosincrasie. Esprimere sé stessi è
importante per tutte quelle persone che, a seguito della propria disabilità, si vedono costrette
ad una ridotto grado di partecipazione globale. Le attività sotto indicate vengono svolte dal
mese di settembre a quello di giugno, con interruzione per la pausa estiva.
LABORATORIO TEATRALE 1 Cos’è: è un’attività espressiva dove, accanto ad esercizi
propedeutici di carattere ludico, motorio ed espressivo, si provano dei veri e propri spettacoli,
da portare effettivamente in scena; sono possibili numerose occasioni di socializzazione,
anche con persone non legate al mondo della disabilità.
Cosa si fa: nel caso dell’allestimento di un nuovo progetto, si inizia con esercizi mirati a
migliorare le rappresentazioni dello spazio contestuale ed in relazione al corpo, la
consapevolezza di sé, l’interazione con il gruppo, il contatto fisico, la gestualità e l’intimità;
in seguito si sperimentano giochi ed esercizi, evolventi verso prove effettive dello spettacolo
che verrà posto in essere e rappresentato pubblicamente.
A cosa serve: il teatro costituisce un’importante occasione per il partecipante di esprimere
elementi della propria personalità ed individualità, riconosciuti dalle altre persone all’interno
del contesto espressivo; consente la sperimentazione di stili e modelli interazionali non
presenti nel repertorio comportamentale del soggetto o non espressi nel suo abituale ambiente
di vita; alimenta il senso di autoefficacia ed autostima, in seguito all’altrui apprezzamento
della realizzazione concretizzata.
77
LABORATORIO TEATRALE 2 Cos’è: è un’attività espressiva caratterizzata da un insieme
di giochi ed esercizi finalizzati all’apprendimento di elementi utili per successivi allestimenti
teatrali.
Cosa si fa: dopo un’iniziale fase di rilassamento in silenzio gli ospiti eseguono esercizi sul
rapporto spazio/corpo, sul contatto fisico con gli altri, esercizi che prevedono l’utilizzo di vari
oggetti; in seguito vengono eseguite le prove di uno spettacolo in effettiva fase di
allestimento.
A cosa serve: il teatro costituisce un’importante occasione per il partecipante di esprimere
elementi della propria personalità ed individualità, riconosciuti dalle altre persone all’interno
del contesto espressivo; consente la sperimentazione di stili e modelli interazionali non
presenti nel repertorio comportamentale del soggetto o non espressi nel suo abituale ambiente
di vita; alimenta il senso di autoefficacia ed autostima, in seguito all’altrui apprezzamento
della realizzazione concretizzata.
Il tema del lavoro è centrale per la riabilitazione psichiatrica sia da un punto di vista storico (è
stata la prima forma terapeutica adottata nei confronti di pazienti psichiatrici) sia per le
prospettive attuali. Nel primo dopoguerra venne introdotto negli ospedali psichiatrici il
concetto di ergoterapia, consiste nel tenere occupata la mente del paziente con attività legate
alla realtà. La terapia occupazionale, diffusa soprattutto negli USA, presenta finalità
strettamente terapeutiche, rivolte al recupero e all'inserimento del paziente tramite il lavoro.
Ci sono 4 tipi di terapia occupazionale: 1) mirata all'inserimento del paziente in un lavoro
normale, 2) l'accento è posto più sulla socializzazione attraverso il lavoro che non sui risultati,
3) di formazione che consentono al paziente di accedere ad un primo lavoro, 4) si fa
attenzione sia alla socializzazione sia alla performance. Attualmente negli USA sono diffusi
due modelli di preparazione all'inserimento lavorativo: i Transitional Employment (lavori
transitori, a termine, di proprietà dell'agenzia che cura il programma, con un inserimento a
rotazione dei pazienti) i Supported Employment (lavori protetti: inserimento in un lavoro
competitivo di almeno 20 ore alla settimana, un contesto integrato di lavoro e un supporto
comunicativo). I buoni risultati ottenuti da alcuni di questi programmi sono attribuibili in
prevalenza a persone solo lievemente disabili. Del resto esistono delle difficoltà oggettive per
l'inserimento lavorativo dei pazienti schizofrenici: deficit cognitivi riguardanti le aree
dell'attenzione, della concentrazione e della memoria e difficoltà relazionali ad accettare i
rapporti di gruppo gerarchici. Ad esempio da molti studi è risultato che i neurolettici hanno
una ripercussione negativa sul funzionamento lavorativo. Tuttavia sono stati attivati dieci
78
programmi rivolti in particolare all'utenza psichiatrica, divisi in due fasi: pre-lavorativa (invio
ai servizi di riabilitazione, valutazione del lavoro e adattamento al lavoro in laboratori
protetti) e fase del collocamento (prevede la ricerca del lavoro, il lavoro e le fasi di inattività).
In tutti i casi il problema principale è stato il passaggio da una fase pre-lavorativa a quella
dell'inserimento vero e proprio. Attualmente il lavoro viene visto come l'obiettivo ultimo di
ogni percorso riabilitativo. Zapparoli sottolinea la necessità di ricondurre alla clinica ogni
progetto di inserimento lavorativo; spesso infatti gli operatori danno per scontato il desiderio
e l'utilità di un programma lavorativo per dei pazienti che, forse, non ne sentono affatto il
bisogno
o
lo
percepiscono
come
una
negazione
violenta
al
loro
malessere.
Cerati parte dalla constatazione che l'inserimento lavorativo non ha di per sé un'efficacia sui
sintomi psichiatrici produttivi, che anzi spesso vengono nascosti e controllati, per poi
esplodere con più violenza a casa. La soluzione sembra essere il part-time con un adeguato
supporto clinico, tale da permettere al paziente di convivere sia con la presenza di un mondo
sociale
integrato
attraverso
il
lavoro
sia
con
un
mondo
soggettivo
delirante.
In Italia la strada prediletta sembra quella del “privato sociale” considerando l'intervento delle
cooperative sociali come produttrici di beni, ma anche di salute psichica. Bisogna inoltre
tenere in considerazione le condizioni del contesto socioeconomico in cui ci si trova ad
operare. Ad esempio in zone con una forte concentrazione di grandi industrie è più difficile
trovare quelle nicchie di mercato in cui singoli pazienti possono inserirsi. Numerosi ospiti
della cooperativa protetta al alta assistenza il Gabbiano possono durante il loro percorso
riabilitativo se in possesso di tutte le loro facoltà e anche terminato tale percorso entrare a far
parte nella cooperativa sociale Gabbiano Lavoro. Il gruppo Gabbiano, infatti ha provveduto a
creare una cooperativa sociale di tipo B (ai sensi art. 1 lettera B) l.381/91 chiamata Gabbiano
Lavoro la quale ha lo scopo di inserire lavorativamente persone svantaggiate. L’ “oggetto
sociale” di Gabbiano Lavoro comprende un’ampia gamma di attività, tra cui le pulizie civili e
industriali, i servizi di ristorazione e gestione mense e attività produttive.
Essa si è prefissata le seguenti finalità:
1) Creare occasioni di lavoro stabile e remunerativo
2) Promuovere l’integrazione lavorativa di persone a rischio di esclusione ed
emarginazione sociale
3) Accompagnare soggetti svantaggiati nel reinserimento nel mercato del lavoro
Le attività finora svolte sono state le seguenti:
79
-
Servizio di pulizia
-
Servizio di portineria
-
Servizio di lavanderia
-
Produzione di assemblaggi plastici
-
Pulizia degli uffici
-
Trasporto
-
Cucina
-
Accompagnamento
-
Manutenzione stradale
-
Manutenzione degli immobili
-
Manutenzione del verde
-
Tinteggiatura
-
Creazione di impianti di irrigazione
Ciò è stato possibile grazie alla collaborazione tra la cooperativa, consorzio tenda,
inserimento lavorativo territoriale (NIL), NOA (Sert), CPS. La tipologia di lavoratori assunti
comprende: invalidi fisici e sensoriali, invalidi psichici, pazienti psichiatrici ed ex degenti in
istituti psichiatrici, minori in età lavorativa in situazioni di difficoltà famigliari, handicap
intellettivo. Le attività si svolgono parte all’interno delle strutture della cooperativa il
gabbiano e in parte presso ambienti esterni di proprietà dell’ente committente (all’interno del
CPA durante il tirocinio ho assistito all’attività di cablaggio, mentre altri ospiti si recavano in
ditte esterne a compiere le pulizie, piuttosto che il servizio di stiratura e riordino presso la
casa di riposo)

Colloquio dei responsabili sociali con gli enti invianti per una prima conoscenza
dei potenziali soggetti da inserire;

Analisi interna alla cooperativa sulla disponibilità ad inserire un lavoratore
svantaggiato;
80

Colloquio conoscitivo con il candidato;

Individuazione del tutor;

Realizzazione del progetto di inserimento lavorativo in funzione delle attitudini
del soggetto e degli obiettivi che si possono individuare;

Assunzione del candidato ed avvio del percorso di inserimento con
l’affiancamento del tutor;

Incontri periodici di verifica tra il tutor ed il responsabile sociale;

Relazioni con l’ente inviante circa l’andamento del percorso di inserimento;

Coinvolgimento del lavoratore ai momenti di incontro di tipo organizzativo o
formativo.
Il percorso si intende concluso quando sono stati raggiunti gli obiettivi individuati nel
progetto in termini di capacità lavorative, di apprendimento e di produttività, di tenuta
lavorativa, e di autonomia relazionale.
4.8 Esperienza di tirocinio presso la Comunità Protetta ad alta assistenza
“Il Gabbiano”
Il tirocinio formativo del secondo anno del corso di studi in educatore professionale sanitario,
ho deciso di svolgerlo presso la comunità protetta ad alta assistenza il gabbiano dal mese di
Febbraio al mese di Luglio 2012. Per un totale di 225 Ore. La mia turnazione settimanale
comprendeva i seguenti orari: dalle 9 alle 16 o dalle 15 alle 20.
In quanto tirocinante il mio compito è stato quello in primo luogo di osservare i pazienti,
l’ambiente, le attività riabilitative e le attività dell’equipe la quale era composta da: un
direttore sanitario, due psichiatri, quattro infermieri, quattro educatori, quattro ausiliari socio
assistenziali.
81
Inoltre prendevo parte attivamente alle attività quotidiane proposte previste dalla struttura con
il fine di favorire l’autonomia dei pazienti attraverso strumenti terapeutici e riabilitativi. Le
attività all’interno della comunità consistevano prevalentemente: nella cura degli spazi propri
e comuni, cura del sé, giardinaggio, decoupage, restauro, pittura, allevamento, lezioni di
alimentazione e di problem-solving, lavori manuali artigianali, visione di un film
accompagnati da un educatore con conseguente dibattito e riflessione, libere attività quali
l’uso del computer, ascolto della musica, gioco delle carte. Inoltre vi erano attività che
prevedevano per i pazienti con un maggiore grado di indipendenza un’uscita al giorno di circa
un’ora da soli oppure per i pazienti maggiormente in difficoltà era prevista un’uscita o una
gita organizzata il sabato e la domenica con l’educatore presso centri commerciali, parchi
naturali, centri storici da visitare. In particolare ho assistito in gruppi da quattro o cinque
pazienti con l’educatore alle seguenti uscite: visite ed acquisti presso il centro commerciale
Verolacenter, questo per stimolare i pazienti a stare in mezzo alle persone in contesti non
protetti, comportandosi adeguatamente, ad utilizzare il denaro in autonomia spendendolo per
il soddisfacimento innanzitutto dei bisogni primari; visita della città di Cremona; visita della
città di Orzinuovi; visita dell’antico paese di Padernello con visita guidata del castello
recentemente ristrutturato questo per stimolare l’interessa, la curiosità e sensibilità verso la
cultura e l’arte. Giornalmente al cambio dei turni avveniva lo scambio di consegne tra
operatori al quale assistevo, durante il quale vi era uno scambio di informazioni riguardante
ciascun paziente. Ogni quindici giorni era prevista una riunione condotta dallo psichiatra
responsabile della struttura alla quale prendevano parte tutti gli operatori (educatori,
infermieri, a.s.a.) durante la quale si discuteva dei vari pazienti con un particolare riguardo per
quelli nuovi e per “i casi difficili”. Durante il tirocinio ho avuto l’incarico di accompagnare
alcuni ospiti nelle loro uscite quotidiane in particolare ho seguito un’utente nell’ acquisto dei
mobili in previsione dell’uscita dalla comunità e del conseguente inserimento in un
appartamento in affitto. Il tirocinio mi ha dato la possibilità di conoscere meglio da vicino gli
ospiti, le differenti patologie, le differenti reazioni, rispetto alla medesima diagnosi, al
differente comportamento tra coloro che erano assistiti dalla propria famiglia e coloro che
erano rimasti soli o non avevano più contatti con la propria famiglia. Nel primo caso infatti vi
era la possibilità di trascorrere il week end con i rispettivi coniugi o famiglie di provenienza e
ciò favoriva al loro rientro un atteggiamento più positivo mentre nel secondo caso la
solitudine aumentava le loro angosce. Vi era inoltre un gruppo chiamato “cento passi” che
prevedeva una uscita a piedi quotidiana per il paese ad un passo sostenuto.
82
Il camminare infatti favorisce lo sviluppo di alcune competenze quali:
 Orientamento al risultato
 Teamworking
 Teamreadership
 Capacità di adattamento
 Autocontrollo
 Fiducia in se stessi
4.9 Analisi di un caso
Durante il mio tirocinio, che è stato di osservazione e di supporto agli educatori ho seguito in
particolar modo una signora che mi ha suscitato molta tenerezza. E’ una bella signora si
teneva e si vestiva bene, e mi ha colpita quando nel conoscerci mi ha dato del LEI, ed io gli
ho detto che doveva darmi del TU.
Al di là delle presentazioni lei era una signora molto insicura, aveva paura un po’ di tutto, era
un dramma quando le si chiedeva di uscire a fare una passeggiata in paese, lei non voleva mai.
Anche per fare altre cose aveva bisogno di essere incoraggiata, anche perché diceva di avere
sempre dei dolori o dei giramenti di testa, ma avendola conosciuta erano solo paure. Allora
con degli incoraggiamenti e offrendogli un braccio dove potersi attaccare si alzava e faceva
quello che gli chiedevi.
La sua malattia diagnosticata è disturbo di personalità e distimia che è una forma di
depressione cronica.
La Signora quando ho fatto il tirocinio era stabile, ed abbastanza autonoma al punto di
concludere il percorso all’interno della comunità. Lei a riguardo si sentiva timorosa di doversi
trasferire in un altro paese, di cucinare, dormire e di stare sempre da sola, anche se seguita da
sua figlia, che era l’unica risorsa che aveva.
83
Un giorno mi chiesero se avevo voglia di accompagnarla a vedere i prezzi dei mobili che
aveva visto lei in precedenza in un negozio; e la accompagnai, e nel tragitto parlammo del
fatto che avesse paura di stare sola, ma la rassicuravo dicendogli che non sarebbe stata sempre
sola perché sua figlia la sarebbe andata a trovare, e gli amici della comunità la sarebbero
andati a trovare, e uscendo di casa andando per esempio al mercato e al bar si faceva nuove
amicizie.
Le attività che faceva all’interno della comunità erano essenzialmente di mantenimento della
casa, di modo che si abituasse a stirare, a lavare, a cucinare da sola. Lei è molto brava, con i
suoi tempi ma le cose le faceva bene, dopo avergliele spiegate precedentemente.
Secondo me le cose che mancano a persone come Lei, sono quelle attività di intrattenimento,
quelle attività per passare del tempo assieme ai compagni e per fare qualcosa di divertente,
che magari non hanno mai fatto, come i laboratori creativi dove fanno dei lavoretti, cose che
magari quando abiteranno da soli non fanno, e servono anche per accrescere una passione e
per sviluppare le abilità manuali fini.
Riassumiamo ora il piano terapeutico riabilitativo del caso preso in considerazione.
M. è stata presa in carico dal CPS di Leno (con il quale si hanno incontri di verifica periodici)
che ha provveduto a inserire l’utente presso il CPA Gabbiano, in quanto le è stato
diagnosticato ICD 10, F25 riassumibile come disordine schizo-affettivo di tipo maniacale.
L’utente è stata inserita il 28/12/09 e il PTR preso in analisi è del 7/01/2012. Gli obiettivi
dell’intervento previsti sono:
-
Consolidamento quadro clinico mediante adeguata terapia psicofarmacologica
-
Valutazione ed eventuale incremento delle autonomie
-
Valutazione e gestione dei problemi sociali
-
Interventi finalizzati al mantenimento della critica di malattia, della compliance al
trattamento.
-
Attivazione di iniziative riabilitative individuali e di gruppo finalizzate al recupero di
abilità relazionali e di funzionamento sociale
-
In atto la pratica per la nomina di un amministratore di sostegno
Ad un’osservazione delle problematiche relative alle diverse aree è stato scritto quanto segue:
84
1) Area della cura del sé/ambiente: la paziente presenta discreta autonomia nella
quotidiana cura della persona, più adeguata rispetto ai primi mesi in merito alla cura
dello abbigliamento. Per quanto riguarda la cura dei propri spazi e di quelli comuni ha
discrete
capacità
necessita
però
di
direttive
in
quanto
insicura
rispetto
all’organizzazione. Ha in atto obiettivi in tal senso. Si rileva la tendenza ad andare in
ansia di fronte alle difficoltà ed in generale un basso grado di autostima. Da tempo si
rileva in una di minore difficoltà nell’affrontare la quotidianità e ciò le fa vivere con
meno ansia anche i piccoli possibili disagi della giornata. Attualmente l’ospite lavora
al mantenimento degli obbiettivi raggiunti.
2) Area della competenza relazionale: la paziente presenta discrete relazioni
interpersonali sia verso gli operatori che verso gli utenti. Non manifesta interessi per
ampliare le relazioni al di fuori della comunità. Buona la relazione con che manifesta
con i figli. In atto obiettivi in tal senso. Firmato accordo di separazione consensuale
con il marito. Partecipa volentieri alle uscite di gruppo, e si mantiene propositiva
anche per quelle individuali. Positiva l’esperienza vissuta a settembre al mare con
ospiti e operatori della CPA.
3) Area della gestione economica: la paziente ha capacità di pianificare le spese
elementari ed ordinarie. E’ stata nominata la figlia in qualità di amministratore di
sostegno.
4) Area delle abilità sociali: permane comunque grave il deficit nelle aree di base del
funzionamento globale, compromette la capacità di organizzazione degli aspetti
sociali. Obiettivi in tal senso non in atto.
Interventi previsti:
Gli interventi previsti sono: colloqui psichiatrici e farmacoterapia, interventi riabilitativi. Per
quanto riguarda la cura del sé si monitora e si sollecita l’igiene personale e cura
dell’abbigliamento, per quanto riguarda la cura della salute fisica si è stimolata la
partecipazione all’utente al gruppo cento passi e ginnastica dolce. Per quanto riguarda la cura
degli spazi comuni si è invitato l’utente al gruppo cura spazio di vita. L’utente è stimolata ed
invitata alla partecipazione di gruppi di gestione giornaliera e settimanale, gruppi di
conoscenza del territorio ed uscite ludico ricreative. Per quanto riguarda la partecipazione
della vita famigliare l’utente esprime una buona relazione con i figli mentre per quanto
riguarda la separazione con il marito vengono previsti colloqui riguardanti tale vissuto
85
traumatico. Per quanto riguarda la gestione economica l’utente ha un’adeguata attribuzione
del valora al denaro mentre per la gestione degli acquisti personali viene monitorata attraverso
colloqui.
86
Conclusioni
Siamo giunti al termine di questo percorso universitario, fatto di studio e di tirocini, di
confronto con i docenti e con i colleghi, di osservazione e di contatto con gli ospiti, utenti,
pazienti, ma prima di tutto persone che hanno contribuito a far crescere in me una maggiore
consapevolezza e sensibilità allo stesso tempo, rispetto al compito, al ruolo e all’importanza,
che la figura dell’educatore professionale sanitario assume, oggi più che mai, in una società
sempre più complessa, multiculturale, multirazziale.
Siamo partiti dal fornire una panoramica, di qual è stato l’approccio dell’essere umano nelle
prime civiltà occidentali rispetto alla malattia mentale, per giungere ai giorni nostri dando un
particolare risalto alla riforma Basaglia.
Nel secondo capitolo abbiamo tentato di fotografare, quella che è l’offerta in campo sanitario
e socioassistenziale, analizzando la situazione nella regione Lombardia.
In seguito ci siamo addentrati nella figura che l’educatore incarna da un punto di vista
legislativo, passando per le competenze e situandolo nelle comunità protette dove il lavoro
quotidiano è a stretto contatto con persone affette da patologie psichiatriche.
Il quarto capitolo ha calato quanto precedentemente descritto, nella realtà di una piccola
Comunità Protetta ad Alta Assistenza, situata nella mia zona di residenza presso la quale ho
svolto il tirocinio.
È infatti tale esperienza che ha suscitato in me il desiderio di approfondire attraverso questo
elaborato, il ruolo e l’importanza che l’educatore ha all’interno di questa tipologia di strutture,
convinta che la cultura pedagogico educativa, come sostengono Barbara Gizzi e Veronica
Neri, in un capitolo pubblicato dal sito dell’Associazione Nazionale Educatori Professionali44,
debba essere messa al centro rispetto alla sanitarizzazione dei servizi.
Nell’articolo viene infatti determinata la situazione odierna, in cui si sta assistendo alla
chiusura dei servizi educativi a favore di servizi assistenziali che non prevedono una relazione
di matrice pedagogica, indispensabile al raggiungimento del benessere personale e collettivo.
L’intenzione è quella di restituire “una visione dell’uomo sociale in prospettiva umanistica,
44
Cfr. B. Gizzi e V. Neri, Rimettere al centro la cultura pedagogico-educativa rispetto alla sanitarizzazione dei
servizi, www.biblioanep.org, 16 Maggio 2011.
87
dove l’individuo è una forza attiva in una continua propensione all’autodeterminazione”45.
Ciò sposta l’asse da un servizio volto esclusivamente ai luoghi del disagio, ad un servizio che
parte dall’agio con lo scopo di fare prevenzione, in un mondo, come abbiamo più volte
appurato, in cui vi è un aumento del disagio giovanile che sfocia nell’ aumentato afflusso
presso strutture psichiatriche residenziali. Inoltre il lavoro dell’educatore sposta un altro asse,
che è quello del prendersi cura e riconoscere lo stato di sofferenza, dato che come sostengono
A. Kleinman, L. Etsenberg e B. Good46 alla biomedicina interessa prevalentemente
individuare e trattare la malattia in questa forma biopatologica, provocando una conseguente
insoddisfazione del paziente e della famiglia.
È l’educatore quindi, che può ascoltare quello stato di sofferenza, andando al di là della
concezione bio-psico-sociale, che differenzia il normale dal patologico, spostando il
paradigma della salute mentale, che include la malattia all’interno delle possibili varianti della
vita. Tale paradigma ci dice che vivere significa, sia ammalarsi, che tornare in salute.
Un buon percorso riabilitativo prevede come sostiene Giovanni Rossi47 nel: dare libertà al
pensiero di coloro che hanno una malattia mentale, i quali non avendo la mente libera (perché
ingombrate dai sintomi) trovano sfogo; instaurare una relazione terapeutica in quanto le
persone si definiscono nel rispecchiamento con gli altri, intervenire sul contesto cercando
collaborazione, lavorare sia sulle capacità residue, che sull’apprendimento di nuove abilità, al
fine di contribuire ad una rinnovata autonomia, evitando che il disagio si trasformi
definitivamente in handicap.
Lo scopo del servizio rimane quello di superare da un punto di vista strutturale e psichiatrico
il problema dell’internamento, che non è stato del tutto superato. Vi sono alcune realtà
territoriali, di comunità che hanno operato uno spostamento dalla psichiatria classica, a quella
di comunità, al campo della salute mentale tra le quali troviamo oltre al caso di Mantova
descritta da Giovanni Rossi, il caso della comunità Gabbiano.
45
M. Palumbo, M. Dondi, C. Torriggiani, La Comunità Terapeutica nella società delle dipendenze, Centro studi
Erickson, Trento 2012, p. 46.
46
Cfr. A. Kleinman, L. Etsenberg e B. Good, Culture, illness, and Care. Clinical lessons from Anthropologic
and Cross-Cultural Research, “Annals of Internal Medicine”, 1978, p. 251 – 258.
47
Cfr. G. Agnetti, A. Erlicher, Y. Kazepov, F. Lucchi, R. Radici, G. Rossi, Territori per la salute mentale,
Manuale per la valutazione delle politiche di inclusione sociale, F. Angeli. Milano, 2008.
88
Come ha ben rilevato Carlo Battaglia (educatore da lungo tempo) nell’articolo intitolato
“Contro le verità riabilitative in psichiatria”, alla fine sono i pazienti, utenti, le persone
disagiate, malate, in difficoltà, che possono fare di noi dei buoni educatori, attraverso la
parola e l’ascolto (atto elementare con cui riconosciamo all’altro la dignità di persona), i gesti
quotidiani frutto d’amore48.
48
Cfr. C. Battaglia, “Ettore, che non aveva il “valore”, www.animazionesociale.gruppobabele.org.
89
Bibliografia
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2002.
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1988.
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G. Agnetti, A. Erlicher, Y. Kazepov, F. Lucchi, R. Radici, G. Rossi, Territori per la salute
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Milano 2008.
-
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Etaslibri RCS Medicina, Milano 1995.
90
-
Floriano Poffa, Formazione e ruolo dell’educatore professionale, Vita e pensiero, Milano
1993.
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Stefania Carla Bonaventura, Educare la follia una sfida possibile, Università degli studi di
Milano 2009.
91
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www.gabbiano.it
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www.somsart.it
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www.istitutomedea.it
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www.sanita.regione.lombardia.it
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www.disinformazione.it/origini_psichiatria.htm
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www.treccani.it/enciclopedia
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www.anep.it
-
www.biblioanep.org
-
www.animazionesociale.gruppobabele.org
92
Ringraziamenti
Trovare le parole adatte per ringraziare tutte le persone che mi sono state vicine in questi anni
non è cosa facile.
Il ringraziamento più vero, è per la mia grande famiglia, in particolare per i miei genitori:
sono il mio esempio costante, coloro che non hanno mai smesso, e continueranno a credere in
me e senza i quali non avrei potuto raggiungere questo traguardo. Coloro che mi hanno
spronata a fare l’università ed incitata ad andare a Mantova a frequentarla.
Ai famigliari, le mie nonne, che mi amano immensamente, ma che adesso non ci sono più, ma
continueranno ad esserci dentro di me. Mi danno la forza ogni giorno, soprattutto oggi, in uno
dei giorni più importanti della mia vita. Sono convinta che mi stanno guardando da lassù.
Un ringraziamento va al mio fidanzato, che mi ha sostenuta, sopportata ed incoraggiata ogni
giorno al mio fianco, e senza smettere un secondo di credere in me.
Alla migliore amica, di sempre, che ha sempre creduto in me e che ha sempre saputo che
potevo arrivare in vetta a qualsiasi montagna. Mi sosteneva, stava al mio fianco e sapeva
farmi ridere anche nei momenti più difficili.
Marta e Petra, alle amiche di sempre, conosciute alle superiori e che da allora non mi hanno
più lasciata.
A Natascia che mi ha sempre incoraggiata ad essere me stessa, ha creduto nelle mie capacità
favorendo e stimolando la mia autostima e crescita.
Al Professor. Benevelli per l’estrema disponibilità e aiuto.
93