UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI BRESCIA DIPARTIMENTO DI SCIENZE CLINICHE E SPERIMENTALI CORSO DI STUDI IN EDUCAZIONE PROFESSIONALE ABILITANTE ALL’ESERCIZIO DELLA PROFESSIONE DI EDUCATORE PROFESSIONALE “L’educatore professionale sanitario all’interno di una comunità residenziale psichiatrica – analisi di un’esperienza” Marta Tavernini Matricola n. 082569 Referente Dottor. Luigi Benevelli ANNO ACCADEMICO 2012/2013 Indice Introduzione CAPITOLO 1: Excursus storico nella malattia mentale ........................................................... 8 Premessa 1.1 La svolta di Pinèl ................................................................................................................. 9 1.2 Nascita della psichiatria ..................................................................................................... 13 1.3 Nascita della psicoanalisi e del modello fenomenologico ................................................ 15 1.3.1 Il processo di deistituzionalizzazione dell’assistenza psichiatrica pubblica in Italia16 CAPITOLO 2: L’organizzazione dei servizi psichiatrici in Lombardia .................................. 20 Premessa 2.1 Il Centro Psicosociale ......................................................................................................... 21 2.2 Il Servizio psichiatrico diagnosi e cura .............................................................................. 29 2.3 Il Centro diurno .................................................................................................................. 30 2.4 Le strutture residenziali ...................................................................................................... 32 2.4.1 Le comunità protette in Lombardia ......................................................................... 34 CAPITOLO 3: Ruolo dell’educatore all’interno di una CPA ................................................. 42 Premessa 3.1 L’educatore nella storia ...................................................................................................... 42 3.2 L’educatore professionale nella legislazione nazionale ..................................................... 44 3.3 L’educatore professionale nella legislazione regionale ..................................................... 50 3.4 La situazione attuale dell’educatore ................................................................................... 52 3.5 Le competenze dell’educatore ............................................................................................ 53 3.6 L’educatore nelle comunità protette ................................................................................... 55 3.7 Lo sguardo dell’educatore .................................................................................................. 57 CAPITOLO 4: Analisi di un’esperienza nella Comunità Protetta ad Alta Assistenza (C.P.A. “IL GABBIANO”) .................................................................................................................. 59 Premessa 4.1 Presentazione della “Cooperativa Il Gabbiano” ................................................................ 60 4.2 La Comunità Protetta il Gabbiano ...................................................................................... 62 4.3 Aspetti funzionali e metodologici dell’intervento riabilitativo .......................................... 65 4.4 Il progetto riabilitativo ....................................................................................................... 69 4.5 Gli attori esterni e interni alla comunità ............................................................................. 73 4.6 La famiglia del progetto comunità riabilitativa psichiatrica .............................................. 74 4.7 Progetti all’interno della Comunità “Il Gabbiano”: teatro espressivo e Gabbiano Lavoro.76 4.8 Esperienza di tirocinio presso la Comunità Protetta ad alta assistenza “Il Gabbiano” ..... 81 4.9 Analisi di un caso ............................................................................................................... 83 Conclusioni e proposte Bibliografia Sitografia Ringraziamenti Introduzione G.R. è un uomo di 72 anni. E’ malato di schizofrenia dall’età di 25 anni. Ultimo di quattro fratelli vive la sua infanzia durante il periodo fascista in miseria, all’età di otto anni viene mandato in convento per offrirgli quell’istruzione che la famiglia per motivi economici non era in grado di fornirgli; infatti riuscirà a diplomarsi e a frequentare un anno di università. Vive per molti anni in questo convento senza troppi contatti con la famiglia, a causa delle regole severe che limitano le visite. Soffre, vuole fuggire, scrive lettere nelle quali esprime il suo malcontento e il suo desiderio di scappare. Quelle lettere non saranno mai spedite. Le sue lamentele vengono costantemente placate dal rettore, il quale lo dissuade ogni volta dal lasciare l’istituto. A venticinque anni G. riesce finalmente ad uscire da questa situazione diventata per lui una prigione, ha un esaurimento nervoso ed è psicologicamente compromesso, sta molto male. La famiglia lo accoglie con stupore e si rivolge immediatamente ad un medico, che gli prescrive psicofarmaci, che lui non prenderà regolarmente. Le condizioni peggiorano. G. viene internato in diversi manicomi. In tutta la sua vita saranno dieci le volte in cui entrerà ed uscirà da queste strutture passando per le più comuni "torture/cure" quali l’elettoshock, shock insulinico, la camicia di forza. La famiglia non nota alcun miglioramento e decide così di accoglierlo in casa, facendolo uscire definitivamente dal manicomio. Sarà il fratello che firmerà tutte le pratiche burocratiche. La famiglia gli offre un tetto, un lavoro, e l’amore che gli permetteranno di assumere meno pastiglie, di stare meglio, pur essendo sempre in terapia e sotto controllo da parte del C.P.S. . Verrà ricoverato nuovamente per ben tre volte presso il C.P.S. una volta con T.S.O. per schizofrenia. Quell’uomo tutt’oggi quando parla di quell’esperienza confessa amaramente che: “Se non sei scemo, ti ci fanno diventare”. Quell’uomo è un mio parente e la famiglia che lo ha ospitato è la mia. Io sono cresciuta in un contesto educativo, senza saperlo, alimentato solo ed esclusivamente dall’amore. Mia nonna, persona amata generosa e disponibile pronta ad accogliere tutti, me lo ha insegnato per prima. Successivamente mia mamma che ha uno spirito da educatrice, ama fare del bene agli altri, ha accudito e accudisce tutt’oggi questo mio parente in tutte le sfaccettature della malattia. Essere cresciuta in un tale contesto mi ha quindi dato la sensibilità, lo sguardo, che io ritengo utili al fine di diventare un buon educatore professionale. Se da una parte ho scoperto questa mia vocazione, dall’altra tale scelta è stata dovuta anche dal fatto di aver vissuto indirettamente i modi barbari in cui il mio parente è stato trattato. Oggi i manicomi non ci sono più, vi sono strutture residenziali che accolgono questa tipologia di persone, con tutt’altre cure e possibilità di riabilitazione. Per questo motivo ho scelto di scrivere questa tesi concentrandomi in particolar modo sul ruolo dell’educatore in comunità protette ad alta assistenza nelle quali vi sono soprattutto malati psichiatrici. Lo scopo di queste non è la contenzione, non è l’isolamento del malato dalla società, ma è il tentativo di un reinserimento in essa, di una rieducazione al fine di portare la persona a riappropriarsi della propria vita. Per fare ciò l’educatore professionale che lavora in questi contesti sanitari assume un’importanza fondamentale. Egli lavora a contatto con pazienti psichiatrici che possono avere disturbi di vario genere quali: disturbi psichici di natura organica, disturbi dovuti all’uso di sostanze, schizofrenia, sindromi affettive, nevrotiche, disturbi della personalità, ritardo mentale, sindromi di alterato sviluppo psicologico, ecc. A volte mi chiedo cosa ne sarebbe stato di questo mio parente se non avesse avuto una famiglia, se fosse restato nei manicomi, se non vi fosse stata la riforma Basaglia. Infatti la schizofrenia, che è traducibile come un comportamento dissociato, è un disturbo che, come abbiamo visto nella storia di G., insorge nel passaggio tra l’adolescenza e l’età adulta, i cui sintomi vanno dalla distorsione della realtà, alla disorganizzazione del pensiero e del comportamento, con presenza di allucinazioni, deliri, comportamenti bizzarri, impoverimento affettivo, deficit neurologico, alogia, abulia. Tale disturbo comporta un grave deterioramento di una o più delle aree esistenziali come il lavoro, lo studio, la cura di sé, la vita di relazione. L’educatore professionale condivide con questi malati la quotidianità, ovvero tutti i momenti della giornata, compie un lavoro sul campo, instaurando con essi una relazione, una comunicazione vera ed efficace, un rapporto di fiducia cercando di contenere il comportamento del paziente. L’educatore diventa osservatore, conoscitore del vissuto della persona e cerca di trasformare questa prossimità spaziale, temporale, affettiva, in un rapporto di comunicazione tendente alla conoscenza autentica dell’altro. L’educatore compie l’arduo compito di educare l’individuo a saper utilizzare le capacità residue e a svilupparne di nuove, educa all’ascolto, all’attesa, alla tolleranza, al non giudizio, alla crescita, allo stare insieme agli altri, al non arrendersi, in modo da riportare la persona verso un percorso di autonomia. Nel primo capitolo partiremo quindi da un excursus storico ripercorrendo le tappe fondamentali di come e dove la “follia” è stata curata, nel secondo capitolo ci concentreremo sulle comunità protette ad alta assistenza e sulle strutture di assistenza ai malati psichiatrici riferendoci alla situazione odierna e concentrandoci in particolar modo sulla Lombardia. Riporteremo infatti dati di una ricerca condotta dalla regione stessa, per fornire una panoramica della situazione odierna. Nel terzo capitolo l’attenzione si sposterà sul ruolo dell’educatore all’interno di tali comunità con l’intento di dimostrare che l’approccio pedagogico ed educativo è complementare da quello medico clinico. Nel quarto ed ultimo capitolo vi sarà la relazione del tirocinio, che ho condotto presso la comunità Il Gabbiano e l’analisi di un caso che ho seguito in prima persona. La metodologia è stata quella di partire dalla storia, passando per un approccio teorico e poi pratico in linea con il corso di studio che ho frequentato. CAPITOLO 1: EXCURSUS STORICO DELLA MALATTIA MENTALE Premessa Nonostante l’uso comune tenda a confonderli, follia, pazzia e malattia mentale non sono dei sinonimi. La “follia” viene dal latino folle che significa mantice, otre, recipiente vuoto e rimanda all’idea di una testa piena d’aria. La parola “pazzia” ha un’origine incerta, ma probabilmente deriva dal greco “pathos”, che significa sofferenza e dal latino “patiens” (paziente, malato), concentrando dunque il significato sull’esperienza dolorosa anziché sulle bizzarrie e le stravaganze del folle. Il termine “follia” è oggi assolutamente in disuso nel linguaggio scientifico, che preferisce usare il termine “malattia mentale”, alludendo a qualcosa di disfunzionale, rappresentabile secondo un particolare modello scientifico, che è quello della medicina clinica. La definizione di malattia mentale fornita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità sottolinea, come punto di partenza generale che: “I disordini mentali e comportamentali” sono intesi come condizioni clinicamente significative, caratterizzate da alterazioni del pensiero dell’umore (emozioni) o del comportamento, associate con afflizioni personali e/o alterazioni funzionali. I disordini mentali e comportamentali non sono semplicemente variazioni nell’ambito della “normalità”, ma sono fenomeni chiaramente anormali o patologici. Il termine classico bio-medico di malattia mentale viene oggi spesso sostituito da espressioni quali: disturbo mentale, malattia psichiatrica, disturbo psichiatrico, disturbo comportamentale, disturbo psichico. L’intento di questo capitolo è quello di fornire una panoramica storica di come e dove la malattia mentale è stata “curata”. Partiremo quindi dall’antichità per giungere ai giorni nostri in cui si assiste ad un processo di cura completamente rinnovato, se si pensa che solo vent’anni fa esistevano ancora i manicomi. 8 1.1 La svolta di Pinèl Per molto tempo la psiche, le sue caratteristiche e i relativi disturbi, non è stata studio di un’unica sola disciplina, ma delle scienze umanistiche quali: la filosofia le scienze naturali e la medicina. Lo studio sistematico ed organico da parte della psichiatria e delle psicologia è molto recente, tanto quanto lo è la connessione tra la psiche e lo studio del cervello. In effetti nell’antichità si pensava infatti, che la psiche fosse situata nel cuore, nel sangue o negli umori corporei1. Alle malattie della psiche veniva dato un significato mistico e religioso e il trattamento consisteva in riti e preghiere2. Durante il Medioevo la medicina non progredisce nelle ricerche. Nascono in questo periodo i primi ricoveri per malati. Il Medioevo associa alla malattia mentale il diavolo, quindi i malati mentali erano considerati gente indemoniata3, che doveva essere curata da sacerdoti e inquisitori. Spesso si ricorreva anche all’uccisione, al rogo e all’impalamento4. Con il Rinascimento l’individuo viene messo al centro e i diritti individuali di persone e di cittadini vengono rivendicati. Ackerknecht individua la “prima rivoluzione psichiatrica” nel 1600. Essa fu capeggiata da Cornelio Agrippa, Paracelso, Girolamo Cardano, Lemnius e Johann Weyer, i quali sostenevano la concezione, secondo la quale le malattie mentali erano viste come eventi naturali, da curare con l’intervento di medici professionisti. Essi non credevano più 1 È con Ippocrate, considerato il primo uomo della medicina nella cultura occidentale, che inizia la clinica medica, intesa come osservazione diretta della malattia. Ippocrate (460 a.C. – 377 a.C.) fu un medico praticante e maestro di medicina ad Atene e in Tessaglia. Secondo la testimonianza di Platone e Aristotele, fu il medico più famoso della sua epoca e il fondatore della medicina scientifica in Grecia. Egli ebbe il merito di far avanzare lo studio sistemico della medicina clinica riassumento le conoscenze mediche delle scuole precendenti e di descrivere le pratiche per i medici attraverso il Corpus Hippocraticum e altre opere. Famosa è la sua teoria riguardante lo squilibrio di uno dei quattro umori presenti nell’organismo, approfondita successivamente da Galeno che distinse quattro tipologie temperamentali: tipo collerico, sanguigno, flemmatico, malinconico, che corrispondevano ai seguenti umori: bile gialla, sangue, flegma, bile nera. La depressione, per esempio, si pensava fosse dovuta ad un eccesso di bile nera. 2 Cfr. Enciclopedia, Salute, La psiche: disturbi e terapie, RCS, Milano 2006, pp. 10-14. 3 Ricordiamo il Malleus maleficarum (martello delle streghe di Sprenger e Hinstitor) come opera principale sulla stregoneria, nella quale viene scritto, che tutti i malati mentali sono indemoniati, perché la forza malvagia, insinuandosi negli umori, contagia il corpo. 4 Cfr Erwin Ackerknecht, Breve storia della psichiatria, Massari, Bolsena 1999, pp. 7 - 15. 9 nell’origine soprannaturale dei disturbi psichici, ma in una forza psichico-spirituale, il cui squilibrio era capace di scatenare malattie psichiche e fisiche5. È nel Seicento che si assiste ad un ridimensionamento della concezione demonologica delle malattie mentali, ma purtroppo coloro che ne soffrono iniziano ad essere spinti verso un totale isolamento. Sono di quest'epoca le strutture come Bicêtre6, Salpêtrière7, le Workhouses e le Zuchthaus tedesche, nelle quali venivano confinati non solo i malati mentali, ma anche i poveri, gli omosessuali, i delinquenti.8 È in questo periodo infatti, che la follia viene considerata una malattia psichiatrica inguaribile, in cui il malato mentale viene trattato alla stregua di un essere pericoloso per la società e viene previsto come trattamento il carcere o il confinamento in case di internamento. Nel Settecento la prima psichiatria, sia quella orientata in senso organicistico, sia quella orientata in senso dinamico si sviluppa su un terreno in cui nasce la fede nella ragione. Questo periodo viene definito Illuminismo, ed è una fase in cui si assiste ad un grande ottimismo verso il progresso dell’umanità. Da una parte vi è uno sviluppo della scienza, un atteggiamento scientifico, il medico è completamente assorto nel suo laboratorio a dissezionare cadaveri; dall’altra si vive negli istituti la violenza più feroce, e il malato impallidisce in un orizzonte lontano. L’interesse è volto esclusivamente all’aspetto organicistico, anatomico e meccanicistico. La svolta decisiva arriva con Stahl9 il quale elabora la teoria nosologica chiamata “animismo”. 5 Cfr. Enciclopedia, Salute, La psiche: disturbi e terapie, RCS, Milano 2006, pp. 22-26. 6 Bicêtre fu un ospedale situato nel comune di Le Kremlin-Bicêtre, in origine era stato progettato come ospedale militare nel 1634. Successivamente fu aperto come orfanotrofio. Nel 1885 prese il nome di Hospice de Bicêtre. Nella sua storia è stato usato in modo successivo come orfanotrofio, prigione, manicomio. Fu il primo a introdurre l'utilizzo della camicia di forza come mezzo di restrizione. 7 Salpêtrière nasce originariamente come una fabbrica di polvere da sparo, successivamente venne costruito un ospedale dove era ubicata la suddetta fabbrica, inaugurando così un rifugio in cui erano detenuti barboni, vagabondi, ladri e truffatori di Parigi. Successivamente viene promosso un ampliamento della struttura allo scopo di accogliere prostitute e donne abbandonate. Fu la sede dove venne effettuato il primo trapianto di cuore in Europa, divenendo una delle più importanti istituzioni mediche di Europa. Oggi è un ospedale che è stato sede di ricoveri illustri (Chirac e la principessa Diana). 8 Cfr Erwin Ackerknecht, Breve storia della psichiatria, Massari, Bolsena 1999, pp. 15-30. Georg Ernst Stahl (1659 - 1734) fu un medico, fisico e chimico tedesco che nella sua opera fondamentale Pheoria medica vera sostenne un sistema animistico in opposizione al meccanicismo. 9 10 Egli recupera il concetto, che vi sia una forza originaria sottostante a tutti gli organismi, che lui chiama anima, ed è un impulso speciale e dinamico che distingue la materia vivente, da quella inerte. Egli mette sullo stesso piano materia umana e materia animale, principio alla base della biologia odierna. Da ciò deriva il fatto che i disturbi mentali non avevano solo un’origine fisica, ma psichica e che la comprensione dell’anima era utile al medico quanto altre nozioni di fisica e di chimica. La scienza subisce in questo modo un progressivo processo di laicizzazione, in cui la ragione sostituisce la fede e la tradizione, la sperimentazione sostituisce l’astrazione e numerosi medici cercano di categorizzare i sintomi dei malati di mente. È nella seconda metà del Settecento, che la psichiatria si definisce come disciplina scientifica, grazie al lavoro di Pinel, Chiarugi, Tuke, Esquirol. Si tenta una sistematizzazione e una categorizzazione delle malattie, ma non le si comprende ancora da un punto di vista psicologico. La cura continua ad essere molto primitiva: trattamento dei pazienti in acqua gelata, torture definite innocue (i pazienti venivano spaventati con il rombo dei cannoni in modo da suscitare in loro emozioni violente). Vi furono anche teorie molto originali quali il mesmerismo dal medico tedesco Mesmer10, il quale elaborò una tesi sull’influsso dei pianeti sulle malattie umane. Egli curava i propri pazienti attraverso dei magneti, suscitando in loro crisi nervose prodromiche. È con Pinel11 e il suo trattato medico filosofico “sull’alienazione mentale” del 1801 che si assiste a una svolta in quanto si identificano le cause delle malattie mentali nell’ereditarietà, nelle istituzioni sociali carenti, nello stile di vita irregolare, nel passaggio da una vita attiva ad una inattiva, nel conflitto tra pulsioni istintuali e dogma religioso. Egli distingue le malattie mentali in: mania, malinconia, demenza ed idiozia. Pinel sottolinea l’origine fisiologica della malattia mentale, da ricercarsi in una visione a livello 10 Mesmer (1734 - 1815). Si laureò in filosofia e teologia poi in medicina. Sulla traccia di Paracelso e della tradizione astrologica, cercò i rapporti tra gli astri e gli organismi viventi e credette di individuare la presenza di uno spirito o fluido "vitale" che si sprigiona da ogni essere e può determinare influenze profonde tra di essi: di qui gli studi sul "magnetismo" di minerali e viventi (mesmerismo); in particolare, essendo riuscito a provocare sonno profondo con l'uso di ferri magnetizzati, teorizzò la presenza di uno spirito vitale (magnetismo animale) e che sarebbe alla base dell'ipnosi. Mesmer ritenne che attraverso l'influsso magnetico si potessero anche curare le malattie alla cui origine vi sarebbero disturbi di origine "magnetica". Pinel (1745 – 1826) fu medico e protagonista del rinnovamento operatosi nella psichiatria alla fine del XVIII secolo. Egli seppe guardare ai problemi dei malati di mente con spirito nuovo, grazie a una vasta preparazione multidisciplinare. Nel 1787 cominciò a pubblicare scritti sulle malattie mentali. La notorietà conseguita con una memoria sul trattamento delle alienazioni dell'età adulta, scritta per un concorso bandito dalla Société royale de médecine, gli valse nel 1793 l'assegnazione all'asilo di Bicêtre, dove compì lo storico atto di liberare gli alienati dalle catene e dalle lordure in cui erano mortificati, trasformando i pazzi in malati da studiare e curare. Analoga opera compì a Salpêtrière qualche anno dopo, accentuando il valore del colloquio nel trattamento del malato mentale. 11 11 cerebrale determinata da cause genetiche o traumatiche. Egli però pone molta attenzione alla dimensione affettiva del disturbo e sostiene che, solo medici sensibili alla dimensione motivazionale e affettiva del comportamento possono curare i malati di mente. Egli crede in una cura morale dei malati. Dal punto di vista terapeutico muta l’atteggiamento, che non deve essere di repressione, ma deciso e liberale al tempo stesso. All’interno degli istituti si suddividono i malati in vari reparti, si sconsigliano le catene e si utilizza la camicia di forza. Con Pinel nasce il manicomio, istituzione che si diffonde in tutta Europa e la cui cura coincide con il controllo dei malati. Esquirol12, allievo di Pinel, dà un grande impulso alla scuola francese e tenta ogni tipo di nuovo rimedio terapeutico individuando nel cervello l’origine della mania, attribuendo ai cambiamenti sociali dell’uomo moderno la radice di molte patologie psichiatriche. Altro contributo fu dato dall’italiano Vincenzo Chiarugi13 il quale portò a termine la riforma ospedaliera del San Bonifacio. Egli crede nel rispetto del malato di mente da considerare una persona umana, crede che il medico debba guadagnarsi la fiducia del malato, debba avere tatto e comprensione in modo da trasmettere la ragione. Tuke seguace di Pinel fondò invece York Retreat luogo di cura compassionevole ed umanitaria. Questi studiosi incorporano nell’approccio psichiatrico quello pedagogico e morale, convinti che il folle possa essere aiutato attraverso una ristrutturazione della personalità una rieducazione. Esquirol (1772 – 1840) fu uno psichiatra, considerato il massimo rinnovatore della psichiatria del XIX secolo. Allievo e continuatore di Pinel, dedicò tutte le sue energie a eliminare i pregiudizi di vario genere che tenevano gli alienati fuori da ogni legge umana. Egli affermò il concetto che l'alienazione mentale è una vera e propria malattia, cui si deve far fronte con criteri scientifici e con metodi umani. 12 13 Vincenzo Chiarugi (1759 -1820) fu medico all'Ospedale di Firenze. Insieme a Pinel ha il merito di aver impostato in modo razionale il problema dell'assistenza ai malati di mente, che sino allora erano oggetto di un trattamento disumano. Egli organizzò e diresse il manicomio fiorentino di Bonifazio, aperto nel 1788 per volontà di Leopoldo I, esponendo e sperimentando i suoi metodi innovativi. 12 1.2 Nascita della psichiatria Nell’Ottocento il medico americano Benjiamin Rush14 denuncia lo stato di arretratezza della medicina nei confronti della malattia mentale, sottolineandone ritardi e incompetenze, in quanto i medici possiedono ancora una tesi di matrice organicistica, non lontana dalla teoria galenica degli umori. La diagnosi è arretrata, le cure sono ferme a trattamenti violenti; solo nei luoghi più all’avanguardia si ricorre all’ascolto di musica calmante, piuttosto che all’induzione di trance. È in questo secolo che la follia viene separata: da un lato dai disturbo organici cronici dell’intelligenza e da un altro lato dai disturbi minori quali la nevrastenia. Ad una psichiatria delle passioni capeggiata da Pinel, si passa ad una psichiatria dell’inconscio e del sogno chiamata romantica, che divide il corpo in soma, anima e spirito. Essa nasce durante il Romanticismo, molti psichiatri di quel tempo furono anche poeti. Il movimento degli Psychiker considerava le malattie mentali, patologie di un anima senza corpo, mentre il movimento dei Somatiker15 intendeva le malattie mentali esclusivamente nella loro componente somatica. Sul piano organizzativo la psichiatria tedesca fu caratterizzata da una notevole crescita, vennero fondati numerosi istituti moderni orientati all’antropologia filosofica, che considerava anima e corpo un unità inscindibile. Le cure continuavano ad essere piuttosto brutali: sedia girevole, docce fredde, terapie della vergogna e del dolore.16 È nel 1845 che Griesinger pubblica “Patologia e terapia delle malattie psichiche” il quale localizza le patologie nel cervello, sebbene sostenga che non tutte le malattie mentali trovano riscontro in lesioni cerebrali. Egli afferma, che tutte le percezioni sensoriali hanno come centro il cervello, il quale le trasforma in rappresentazioni, che possono rimanere anche inconsce. Anche le stimolazioni esterne possono produrre disturbi a livello della sfera emotiva, vengono in questo modo messe in luce le cause psicologiche della patogenesi dei disturbi mentali. Dopo il 1850 la psichiatria “romantica” entra in crisi, la nascita del Positivismo e lo sviluppo della neurologia trasformano definitivamente la psichiatria in 14 Benjamin Rush, è il padre della psichiatria americana, pubblicò il primo manuale sulla psichiatria nel 1812. La masturbazione e il troppo sangue nel cervello furono considerate la causa della pazzia. La cura consisteva nella cauterizzazione del midollo spinale, dei genitali o nell'immobilizzare le parti intime del paziente nel gesso per prevenire la masturbazione. Egli progettò la sedia tranquillante per immobilizzare la vittima e tenerla in uno stato di disagio e di dolore. La sua invenzione derivava dalla "sedia della strega", usata per estorcere confessioni da persone accusate di stregoneria. 15 Cfr Erwin Ackerknecht, Breve storia della psichiatria, Massari, Bolsena 1999, pp. 53-70. 16 Cfr. Enciclopedia, Salute, La psiche: disturbi e terapie, RCS, Milano 2006, pp. 30-37. 13 disciplina obiettiva e scientifica, basata sulla concezione che la patologia ha origine nel cervello. Il cervello è la sede dove si localizzano tutte le funzioni dell’organismo, sia fisiche che psichiche. Lo studio morfologico e funzionale indirizza ad una visione localistica del sistema nervoso centrale, con specifiche aree deputate a precise funzioni. Ogni regione cerebrale alterata sostiene anomalie tipiche psichiatriche, emozionali e comportamentali. Il cervello malato è alla base del comportamento deviato. Cesare Lombroso17, psichiatra e antropologo italiano, segue questa concezione e cerca, essendo medico delle carceri di Torino ed ispettore dei manicomi piemontesi, di stabilire una serie di collegamenti tra anomalie fisiche e psicosomatiche dell’individuo e la degenerazione morale del delinquente. Secondo lui il criminale è sempre un malato di mente influenzato da fattori sociali, biologici e personali. Nel frattempo in Francia si afferma l’opera di Charcot18, il quale tenta di dare maggiore spessore scientifico alle teorie neurologiche connesse allo studio degli stati di trance ipnotico. Grazie a lui l’ipnosi viene riconosciuta formalmente come metodo scientifico. Egli studia la connessione tra i fenomeni ipnotici e le reazioni muscolari e nervose: quindi, mentre in Francia si assiste all’approfondimento dello studio delle patologie nevrotiche, in Germania si assiste allo studio delle psicosi gravi, come fece Kraeplin19, il cui studio fu rivolto ai sintomi. Egli divise le malattie mentali tra curabili ed incurabili. Questo approccio escludeva qualsiasi considerazione della personalità umana, e dava poche speranze a colui che veniva decretato malato di mente, abbandonandolo ad un destino certo ed incontrovertibile. 17 Cfr Erwin Ackerknecht, Breve storia della psichiatria, Massari, Bolsena 1999, pp. 100-115. Charcot (1825 – 1893) fu un neuropatologo e l'esponente più illustre della neuropatologia francese del XIX sec. Dopo essere stato per un decennio professore di anatomia alla Sorbona, iniziò nel 1882 l'insegnamento ufficiale della neurologia, tenendo la cattedra di clinica delle malattie nervose a Salpêtrière. Come testimoniano le sue lezioni, la sua opera spaziò su tutta la neuropatologia, il suo nome è legato all'individuazione della sclerosi laterale amiotrofica, alla sindrome clinica dello stadio conclamato della sclerosi multipla, alle atrofie muscolari, alla epilessia jacksoniana, alle afasie, agli studi sulla sintomatologia dell'isteria ed alla interpretazione dei fenomeni ipnotici come espressione di anormalità nell'ambito dell'isteria. Egli utilizzò il compressore ovarico per comprimere la zona ovarica per calmare le donne isteriche. 18 Kraepelin (1856 – 1926) fu neuropsichiatra e professore di psichiatria a Dorpat (1886), Heidelberg (1890) e Monaco (1905), dove diede vita alla Deutsche Forschungsanstalt für Psychiatrie. Elemento saliente della riforma kraepeliniana è la demenza paranoide nel quadro della demenza precoce, sulla base della loro natura endogena e del comune decorso progressivo verso una particolare forma di demenza. Valore fondamentale hanno anche le sue concezioni sulla psicosi maniaco-depressiva. Celebre e ancora valido il suo trattato di psichiatria, che egli sottopose a continue e importanti rielaborazioni. 19 14 1.3 Nascita della psicoanalisi e dell’approccio fenomenologico Alla fine dell’Ottocento assistiamo ad una reazione alla mera classificazione psichiatrica, considerata arida e riduttiva. Inoltre gli ambienti accademici vantavano una tradizione di ricerca e sperimentazione clinica ormai consolidate.20 È in questo sfondo che si inserisce la figura di Freud e la nascita di una nuova disciplina: la psicanalisi. Quest’ultima riprende i temi della psichiatria romantica: il sogno, l’inconscio e li riporta alla luce da un punto di vista terapeutico, creando un nuovo metodo di indagine, indagatore della natura umana. Freud elabora la prima teoria globale della personalità basata sull’osservazione e non solo sulla speculazione. È con l’opera: “Studi sull’isteria” del 1895 che Freud e Breuer danno inizio alla psicanalisi. Freud, che di formazione è medico e neurologo, inizia ad interessarsi alla psicologia dopo la visita a Charcot e alla collaborazione con Breuer (uno dei maggiori professionisti in campo psichiatrico del tempo). Nel testo, i due studiosi affermano che gli isterici soffrono perché hanno rimosso un evento traumatico, che ha provocato in loro uno stress emozionale. L’evento torna in modo camuffato nei sintomi e la cura ha il compito di liberare le emozioni, che sono state represse. Tramite l’ipnosi il paziente ricorda l’evento traumatico, ma non ne elimina le cause che lo avevano fatto dimenticare. Freud utilizza quindi un’altra pratica che è la libera associazione di idee, che permetto allo psicanalista di decodificare il significato simbolico che sottende a ciò che i pazienti raccontano. Il materiale inconscio tende infatti a tradirsi nella pressione della sua tendenza ad esprimersi. Freud divenne famoso per “L’interpretazione dei sogni” che mostrava la possibilità di decodificare il significato latente del sogno, in quanto espressione fondamentale del desiderio inconscio del paziente. I sogni esprimono infatti il conflitto tra il desiderio inconscio inaccettabile e le pressioni della censura, che ha lo scopo di difendere l’Io del paziente, attraverso la rimozione del contenuto spiacevole dalla coscienza. Secondo Freud il desiderio moralmente inaccettabile è di origine sessuale. Egli elaborò la teoria del complesso di Edipo, ovvero il desiderio sessuale del bambino nei confronti del genitore del sesso opposto, e la rivalità con il genitore del proprio sesso. La teoria sullo sviluppo della libido è uno dei capisaldi della teoria psicoanalitica. Altro studio importante fu la teoria strutturale e la divisione tra Es, Io e Super Io. Egli elaborò inoltre la nozione di “transfert” che corrisponde alla tendenza del paziente ad investire inconsciamente il terapeuta di caratteristiche proprie dei suoi genitori. Le conquiste 20 Cfr. Enciclopedia, Salute, La psiche: disturbi e terapie, RCS, Milano 2006, pp. 37-43. 15 della psicoanalisi sono considerate una pietra miliare della cultura del Novecento dalle quali non si può prescindere negli studi successivi. Successiva alla psicoanalisi è la prospettiva fenomenologica, corrente di pensiero che riconosce il suo filo diretto nella filosofia, nell’organizzazione dinamica, normale e patologica della vita psichica. Capofila di tale teoria è il professore di filosofia, medico e psichiatra Karl Jasper21 il quale nel 1913 scrive “Psicopatologia generale” sostenendo che: compito dello psicopatologo è entrare in empatica comprensione del disagio del paziente. Egli infatti, non vuole scoprire le cause della sofferenza, ma condividere con il paziente il vissuto emotivo, per condurlo ad un percorso di consapevolezza. Egli non distingue più, il normale dal patologico, in quanto l’individuo sceglie il modo in cui stare al mondo. Suo seguace fu Binswanger 22, il quale credeva che la psicologia non deve essere lo studio della coscienza e del comportamento in astratto, ma lo studio delle modalità di essere dell’uomo nel mondo. L’obiettivo era quindi quello di aiutare il paziente a creare un proprio progetto di mondo e a realizzarlo.23 1.3.1 Il processo di deistituzionalizzazione dell’assistenza psichiatrica pubblica in Italia Il Novecento porta con sé la prima legge nazionale sull’assistenza psichiatrica, la quale si concentra più sui problemi della sicurezza pubblica che su quelli dell’assistenza sanitaria. I malati di mente vengono ancora visti come persone pericolose dalle quali la società si deve Karl Theodor Jaspers (1883 –1969) fu un filosofo e psichiatra tedesco, il quale diede un notevole impulso alle riflessioni nel campo della psichiatria, ma anche alla filosofia, alla teologia e alla politica. L’insoddisfazione per la cura della malattia mentale indusse a Jaspers a mettere in discussione i criteri diagnostici ed i metodi della psichiatria clinica. Nel 1910 pubblicò un testo rivoluzionario sulla paranoia. Nell'opera venivano esposti i casi di alcuni pazienti affetti da paranoia, fornendo informazioni biografiche relative ai soggetti in cura e dando un resoconto del modo in cui gli stessi pazienti interpretavano i loro sintomi. Il metodo biografico si è affermato come una delle principali pratiche terapiche della moderna psichiatria. Condensò le sue convinzioni sulla malattia mentale nei due volumi di cui si compone la sua Psicopatologia generale, da cui sono derivati alcuni criteri diagnostici. Di particolare importanza è la convinzione che i sintomi debbono essere analizzati e diagnosticati per la loro forma, piuttosto che per il loro contenuto. 21 Binswanger (1881 – 1966) fu uno psichiatra svizzero, considerato massimo esponente dell'analisi esistenziale e della psichiatria fenomenologica, fu oppositore di Kraepelin. Egli traspose il pensiero di Husserl e Heidegger nel campo della salute mentale, in particolar modo della schizofrenia. Secondo lui la malattia mentale è uno dei modi di porsi dell'essere umano. 22 23 Cfr. Enciclopedia, Salute, La psiche: disturbi e terapie, RCS, Milano 2006. pp. 44-57. 16 proteggere. I manicomi isolano i pazienti sempre più tenacemente e divengono un contenitore di follia, nel quale si praticano nuove terapie, che rispondono alla psichiatria fisica e psicologica. Vengono praticate terapie farmacologiche, interventi chirurgici che ledono cerebralmente il paziente, in modo da renderlo più remissivo, un esempio ne è la lobotomia. Altre terapie sono l’elettroshock e lo shock insulinico, quest’ultimo provoca un coma ipoglicemico mediante insulina e risveglia il paziente mediante zucchero. Sono degli anni Quaranta e Cinquanta i primi psicofarmaci, i quali hanno tutt’ora uno sviluppo ormai di massa. Negli anni Sessanta la denuncia della situazione dei manicomi si fa sempre più forte, dando luogo alla nascita di strutture psichiatriche alternative come centri e ambulatori di igiene mentale, case di riposo psichiatriche e reparti psichiatrici in ospedali civili. In Gran Bretagna nasce la comunità terapeutica, in Francia la psicoterapia istituzionale. In Italia il 18 Marzo 1968 il Parlamento approva la legge n.431 “provvidenze per l’assistenza psichiatrica” chiamata anche “legge Mariotti” la quale rende possibile il ricovero volontario e non più forzato, con essa nascono inoltre i centri di igiene mentale. Con tale legge vengono realizzati alcuni cambiamenti significativi: introduzione di un limite quantitativo dei posti letto degli O.P24, imposizione di un organico minimo assistenziale25, regolamentazione delle assunzioni tramite concorso pubblico, regolamentazione dei centri di igiene mentale sotto la direzione di un direttore psichiatra, introduzione di finanziamenti da parte dello Stato nei confronti delle amministrazioni provinciali al fine di assumere personale medico e acquisto di attrezzature medico sanitarie. Se da una parte questa legge introduceva elementi positivi, dall’altra possedeva ancora il limite del ritenere l’ospedale psichiatrico come unica struttura di ricovero. È negli anni Sessanta che si ripensa il sistema nel suo complesso. In questo periodo sindacati, governo e partiti politici sono in piena contrattazione per ridefinire un nuovo concetto di riforma. È così che nasce il movimento dell’antipsichiatria con a capo Franco Basaglia psichiatra26 che parte da una cultura fenomenologica. Egli vince un concorso per la direzione dell’ospedale psichiatrico di Gorizia e trova una situazione, da un punto di vista terapeutico, estremamente violenta, tanto da affermare “un malato di mente entra nel manicomio come 24 Rabboni M., Etica della riabilitazione psichiatrica. Tensioni e prospettive nelle strategie di intervento, Franco Angeli, Milano, 1997. Da pag. 10 a 30. 25 In passato la gestione degli O.P. era affidata alle amministrazioni provinciali il personale era scarsamente qualificato, sia quello medico che infermieristico gli infermieri venivano formati dai medici i quali erano sottodimensionati come numero in base ai ricoverati. Solo il medico direttore emetteva la diagnosi. I medici non avevano alcuna specializzazione e sceglievano l’O.P. perché tale posto garantiva dei privilegi equiparati solo a quelli dei medici primari a quelli degli altri ospedali. 26 Cfr. Enciclopedia, Salute, La psiche: disturbi e terapie, RCS, Milano 2006, pp. 58-59. 17 persona, per diventare una cosa (…) Noi siamo qui per dimenticare di essere psichiatri e ricordare di essere persone”. Egli sostiene che la conquista della libertà del malato deve coincidere con la conquista dell’intera comunità. Nel 1971 Basaglia diviene direttore del manicomio di Trieste San Giovanni che contiene milleduecento malati. Egli istituisce laboratori di pittura e di teatro e nasce la cooperativa dei pazienti, i quali svolgono lavori riconosciuti e retribuiti. Nel 1973 fonda il movimento Psichiatria Democratica e Trieste diventa zona pilota per l’Italia nella ricerca dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sui servizi di salute mentale. Nel 1978 viene chiuso il manicomio di Trieste e viene approvata la legge 180, che decreta la chiusura ufficiale dei manicomi. Essa stabilisce che il diritto della persona alla cura e alla salute, e non più il giudizio di pericolosità, deve stare alla base del trattamento sanitario, il quale dovrebbe essere di norma volontario. Il trattamento sanitario obbligatorio deve essere utilizzato quando sono stati fatti tutti i tentativi in precedenza e vi sono alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici. Dopo questa riforma si assiste in Italia ad una attiva crescita di presidi territoriali. Segue una crisi nello sviluppo della riforma e crea; e questo determina una situazione di stallo per quei pazienti, che dimessi dagli ospedali psichiatrici non avrebbero saputo dove andare con conseguente sovraccarico per le famiglie. Nel 1978 viene inoltre approvata la legge n.833, che istituisce il servizio sanitario nazionale; è una legge che include in un unico disegno molti provvedimenti legislativi approvati negli anni Sessanta e Settanta e che definisce i punti cardine. Essa modifica l’approccio alla salute spostando il centro dal modello curativo a quello preventivo e riabilitativo. I servizi vengono decentrati territorialmente, in modo da essere maggiormente accessibili da parte di tutti i cittadini. I punti forti di tale riforma possono essere sintetizzati in: decentramento, universalismo, integrazione, programmazione, partecipazione e prevenzione. La legge definisce l’USL - Unità Sanitaria Locale; oggi Azienda Sanitaria Locale – come il complesso dei presidi, degli uffici e dei servizi dei Comuni e delle Comunità montane i quali, in un ambito territoriale, determinano e assolvono i compiti del SSN. Alle USL, dunque spetta il compito di erogare la maggior parte delle prestazioni a livello locale mentre, a livello intermedio, alle Regioni compete una funzione di indirizzo, di programmazione di legiferazione. A livello centrale e, quindi, allo Stato competono funzioni di indirizzo, valide per tutto il territorio nazionale, funzioni programmatorie di tipo generale e la funzione legislativa, oltre a quella di controllo/valutazione. Nel 1992 il Parlamento acquisisce ampio potere di delega in materia di sanità e politica sanitaria; tant’è che nel 1993 le USSL vengono trasformate in ASL riorganizzando il servizio ospedaliero. L’ASL diventa un ente strumentale della regione con una propria autonomia e gestione di attività e servizi socio assistenziali. 18 L’azienda si articola in servizi, dipartimenti, presidi, distretti. Sempre negli anni Novanta viene attuato il “Progetto Obiettivo” che riattiva il processo e riforma, in materia di salute mentale. Esso individua quattro questioni principali al fine di migliorare l’assistenza psichiatrica: la costruzione di una rete di servizi in grado di fornire un intervento integrato; sviluppo dell’organizzazione dipartimentale di lavoro, aumento delle competenze professionali degli operatori, superamento definitivo dell’ospedale psichiatrico tramite attuazione di programmi mirati a una nuova sistemazione dei degenti. Successivamente viene istituito il Dipartimento di Salute Mentale come organo di coordinamento con il compito di garantire unitarietà ed integrazione dei servizi psichiatrici.27 27 Tognetti Bordogna M., Lineamenti di politica sociale. Cambiamenti normativi e organizzazione dei servizi alla persona, Franco Angeli, Milano, edizione 2007. pp. 120-193. 19 CAPITOLO 2: L’ORGANIZZAZIONE DEI SERVIZI PSICHIATRICI IN LOMBARDIA Premessa In questo secondo capitolo abbiamo esaminato le strutture psichiatriche che la regione Lombardia ha messo a disposizione della propria cittadinanza, in seguito alla chiusura dei manicomi. Partiremo quindi dai centri psicosociali, in quanto sono il primo luogo dove vengono accolti e indirizzati i pazienti; passeremo poi al servizio psichiatrico di diagnosi e cura, al centro diurno e alle strutture residenziali. Porremo particolare attenzione alle comunità protette, perché tema di questa tesi sarà poi la comunità protetta Gabbiano dove ho effettuato il tirocinio, e il ruolo dell’educatore all’interno delle comunità protette. Questa panoramica è stata condotta prendendo in considerazione le strutture, il loro ruolo, la tipologia dei pazienti, gli interventi erogati e gli operatori che vi lavorano; il tutto è stato contestualizzato nella Regione Lombardia, estrapolando i dati da una ricerca condotta dalla regione stessa e pubblicata dal sito ufficiale28. Tale ricerca è stata condotta da Antonio Lora e commissionata dalla Regione Lombardia. Essa si riferisce ad un arco di sette anni dal 1999 al 2005. Essa ha lo scopo di descrivere il funzionamento del sistema psichiatrico lombardo, con lo scopo di cogliere le linee di sviluppo più significative, in modo da rispondere ad una domanda che si evolve in continuazione. Altro scopo è stato quello di mostrare in che direzione si stia muovendo il sistema di salute mentale lombardo. La nostra decisione di prendere in considerazione tale ricerca è stata quella di attualizzarla in un luogo e in un periodo di tempo, in modo da comprendere, se vi sia possibilità di uno spazio maggiore per l’intervento dell’educatore. Tali dati verranno utilizzati nel capitolo seguente anche per valutare che tipo di intervento può attuare l’educatore in base alla patologia, alla situazione famigliare, all’età, al grado di istruzione e al sesso del paziente. Secondo l’articolo 54 della legge regionale n. 33 del 30 dicembre 2009 (testo unico delle leggi regionali in materia di sanità), la tutela sociosanitaria delle persone con patologia psichiatrica si attua mediante l’istituzione dei dipartimenti di salute mentale. 28 www.sanita.regione.lombardia.it 20 Il DSM è una struttura organizzativa integrata e interdisciplinare che collega funzionalmente le unità operative di psichiatria (UOP) e le unità operative di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza, le quali compiono un lavoro di prevenzione cura e riabilitazione in stretto collegamento con gli altri servizi sanitari e socio assistenziali delle Asl e dei comuni.29 L’unità operativa di psichiatria dispone dei seguenti presidi: Centri psicosociali per le attività ambulatoriali, terapeutiche e riabilitative; Servizio psichiatrico di diagnosi e cura, ubicato in una struttura ospedaliera con un numero di posti letto non inferiore a sette e non superiore a quanto previsto dalla normativa vigente; Strutture residenziali psichiatriche, con un massimo di venti posti per struttura; Centri diurni. 2.1 Centro psicosociale (CPS) È l’asse portante, il fulcro organizzativo il nucleo operativo, il luogo di confronto del sistema di cura psichiatrico. Esso è sede di attività ambulatoriali, psichiatriche, psicoterapiche, psicosociali e riabilitative, e coordina inoltre l’attività domiciliare. Ad esso si rivolgono famiglie e cittadini che lamentano una sofferenza psichica più o meno grave. L’attività del CPS è rivolta alla diagnosi, alla cura ed alla riabilitazione, è sede del progetto terapeutico e di attuazione degli interventi. Esso è luogo elettivo di intervento in situazione di crisi, in quanto è in questo luogo che viene effettuata la presa in carico del paziente seguito nella sua globalità, secondo l’ipotesi eziopatogenetica, biopsicosociale della malattia mentale, per cui tutto il contesto e quindi anche la famiglia, diventa parte integrante del progetto di cura, che necessità di un arco di tempo piuttosto lungo, data la complessità delle malattie psichiche e della loro possibile cronicità. 30 29 Ba G. (a cura di), Metodologia della riabilitazione psicosociale, Franco Angeli, Milano 1997, p. 30. Secchiaroli L., Turella B., L’operatore sanitario in psichiatria. Teoria e casi clinici sulla relazione con il pazienti, Carocci editore S.p.a., Roma, 2009, p. 38. 30 21 Il trattamento è rivolto a soggetti con disturbo psichico grave, che necessitano di assistenza e monitoraggio prolungato nel tempo e del quale il servizio si assume la piena titolarità. La presa in carico avviene attraverso un’attività multi-professionale integrata, che può comprendere prestazioni ambulatoriali, domiciliari, territoriali, riabilitative. I Centri Psicosociali (CPS) sono le strutture territoriali in cui vengono realizzate e coordinate le attività ambulatoriali di carattere psichiatrico, gli interventi psicoterapici individuali e di gruppo, le attività rivolte alla famiglia, le attività di riabilitazione e di risocializzazione, le attività domiciliari31 e gli interventi nelle situazioni di crisi. Inoltre il Centro Psicosociale è la sede in cui vengono formulati i programmi terapeutico-riabilitativi e di risocializzazione del singolo paziente, interagendo con le altre strutture dell’Unità Operativa e con le agenzie sociali del territorio. La rete dei Centri Psicosociali era già stata completata negli anni ’90, raggiungendo lo standard, posto dal secondo Progetto Obiettivo regionale, di un Centro Psicosociale ogni 100.000 abitanti. Nel periodo 1999-2005 il numero di Centri Psicosociali si è ridotto, passando da 110 nel 1999 a 104 nel 2005: questa riduzione è probabilmente effetto delle procedure di accreditamento, che hanno portato alla chiusura di alcuni Centri Psicosociali, che non soddisfacevano i criteri previsti, ad esempio per quanto riguarda le ore di apertura. Il lavoro in queste strutture è incentrato prevalentemente su infermieri e medici, anche se un ruolo significativo è svolto dal personale psicosociale (psicologi, educatori e assistenti sociali). La valorizzazione operata dalla Regione Lombardia sull’attività erogata dai Centri Psicosociali e dagli Ambulatori comprende: sia le prestazioni ambulatoriali, che quelle territoriali. Nonostante sia avvenuto un aumento complessivo della spesa per queste strutture, l’incremento è inferiore a quello registrato in media dalla spesa psichiatrica (+69% nel periodo). In tal modo il peso percentuale dei Centri Psicosociali nel quadro della spesa generale è diminuito, passando dal 18% del 2000 al 14% nel 2005. Il Centro Psicosociale è una struttura che eroga in genere pattern di trattamento non intensivi: solo un paziente su sei riceve più di venti interventi in un anno, mentre un terzo riceve solo uno due contatti in un anno. Il tasso dei pazienti trattati nei Centri Psicosociali aumentano dal 1999 al 2005 (+36%), per poi stabilizzarsi. I Centri Psicosociali, si confermano comunque come le strutture a maggiore accessibilità. In essi vi è una presenza del sesso femminile superiore a quella dei maschi. L’età media degli utenti dei Centri Psicosociali si sta elevando L’attività domiciliare mostra un incremento modesto e riveste un ruolo di minore centralità all’interno del Centro Psicosociale. Essa si rivolge prevalentemente a utenti di sesso femminile, meno giovani, e affetti da disturbo schizofrenico. 31 22 e nel 2005 più della metà degli utenti aveva un’età superiore ai 45 anni. Le fasce centrali di età mostrano il maggior incremento percentuale nel periodo. In ambedue i sessi è la fascia di età più giovane, al di sotto dei 25 anni, a presentare i tassi minori; nei maschi presentano i valori più elevati le fasce 35/44 anni e 45/54 anni, mentre nelle femmine le fasce 45/54 anni e 55/64 anni. Sia nei maschi che nelle femmine le fasce di età più giovani (15/24 anni e 25/34 anni) mostrano un incremento minore, mentre un incremento maggiore si osserva nelle fasce di età centrali (45/54 e 55/64 anni). L’età degli utenti dei CPS è cresciuta in questi anni: la percentuale di soggetti con età superiore ai 45 anni è passata nei maschi dal 43% del 1999 al 48% del 2005 e nelle femmine dal 57% del 1999 al 60% del 2005. L’età media degli utenti nel 2005 era 46 anni per i maschi e 50 anni per le femmine. I dati relativi allo stato civile dei pazienti trattati nei Centri Psicosociali mostrano che: la maggioranza dei maschi è celibe e vive nella famiglia di origine, mentre la maggioranza delle femmine è coniugata e vive con il partner. PAZIENTI TRATTATI NEI CENTRI PSICOSOCIALI AMBULATORI PER CENTRI DIAGNOSTICI DIAGNOSI ICD 10 (PERCENTUALI) F0 Disturbi psichici di natura organica F1 Disturbi dovuti all'uso di sostanze F2 Schizofrenia, sindr. schizopatica e delirante F3 Sindromi affettive F4 Sindromi nevrotiche F5 Sindromi associate ad alterazioni di funzioni fisiologiche e a fattori somatici F6 Disturbi della personalità F7 Ritardo mentale F8 Sindromi da alterato sviluppo psicologico F9 Sindromi con esordio nell'infanzia e adolescenza e F99 e disturbo psichico non specificato Nessun disturbo psichiatrico 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 3,05% 3,07% 3,07% 3,09% 3,07% 3,02% 3,01% 3,04% 3,03% 3,04% 3,02% 2,03% 2,02% 2,01% 30,02% 28,02% 26,02% 25,05% 25,05% 25,06% 26,01% 24,06% 25,04% 25,05% 25,06% 25,04% 26,03% 26,06% 21,01% 22,03% 24,00% 24,06% 24,05% 24,03% 24,09% 1,03% 1,05% 1,06% 1,07% 10,08% 10,06% 10,05% 10,02% 4,02% 3,08% 3,07% 3,05% 0,02% 0,02% 0,02% 0,02% 0,06% 0,01% 0,09% 0,02% 1,00% 0,02% 1,02% 0,04% 1,06% 9,06% 3,02% 0,02% 1,05% 9,07% 3,02% 0,02% 1,07% 9,05% 3,02% 0,02% 1,01% 2,08% 1,00% 2,01% 0,08% 2,08% In questi anni è aumentato tra gli utenti dei CPS, sia il livello di scolarità che quello di occupazione, in particolare tra le utenti di sesso femminile. Per quanto riguarda il titolo di studio, non si osservano differenze significative tra i due sessi nella percentuale di laureati diplomati, mentre è maggiore la percentuale di maschi in possesso della licenza media e di femmine in possesso della licenza elementare. In termini percentuali, si osserva un 23 incremento dei soggetti diplomati-laureati (nei maschi: dal 25% del 1999 al 29% del 2005; nelle femmine dal 25% del 1999 al 30% del 2005). I disturbi nevrotici, quelli affettivi e la schizofrenia rappresentano complessivamente circa tre quarti dell’utenza, ma i primi due hanno mostrato un incremento molto superiore a quello dei disturbi schizofrenici. Quattro diagnosi (schizofrenia, disturbi affettivi, nevrosi e disturbi di personalità) coprono da sole più dell’85% del totale: le prime tre ammontano a circa un quarto ciascuno dell’utenza, mentre i disturbi di personalità a circa un decimo. All’interno dei singoli anni il peso percentuale della schizofrenia va incontro ad una significativa riduzione, come pure quello dei disturbi di personalità; aumenta quello relativo ai disturbi nevrotici e affettivi. I tassi più elevati riguardano la schizofrenia, i disturbi affettivi e i disturbi nevrotici; presentano tassi minori i disturbi di personalità e i disturbi mentali organici. Le diagnosi che hanno registrato un incremento maggiore sono i disturbi nevrotici (+68%) e i disturbi affettivi (+53%), mentre hanno mostrato un incremento minore i tassi relativi ai disturbi schizofrenia (+22%) e ai disturbi di personalità (+25%). Tale quadro rimane stabile negli anni in termini di peso percentuale, con incrementi ridotti dei pazienti nelle classi con meno di 6 interventi e in quella compresa tra 6 e 10. L’attività complessiva dei CPS è aumentata nel periodo 1999-2005 di circa un terzo, senza differenze tra i due sessi e con valori più elevati nell’ASL di Sondrio e nelle aree orientali della Lombardia. 24 INTERVENTI EROGATI NEI CENTRI PSICOSOCIALI - AMBULATORI PER TIPO DI INTERVENTO (PERCENTUALI) Visita colloqui (tutte le figure prof.) Somministrazione farmaci Valutazione Visita medica legale Psicoterapia individuale Psicoterapia della famiglia Presenze in gruppi di psicoterapia Colloqui con i famigliari Interventi psicoeducativo Presenza in gruppo famigliari Riunioni sui casi insieme alle UOP Riunioni con altre strut. Sanitarie Riunioni con i gruppi non istituzionali Interventi individuale sulle abilità di base, sociali, etc. Presenze in gruppo incentrato sulle abilità di base, sociali, etc. Intervento individuale risocializzazione Presenze in gruppo di risocializzazione 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 50,01% 50,06% 49,06% 48,06% 48,00% 47,06% 47,03% 15,03% 15,01% 14,07% 13,08% 14,00% 15,02% 15,01% 0,06% 0,06% 0,05% 0,04% 0,04% 0,04% 0,04% 0,06% 0,05% 0,04% 0,04% 0,04% 0,03% 0,03% 0,06% 0,06% 0,06% 5,04% 5,03% 5,02% 0,05% 0,03% 0,03% 0,02% 0,02% 0,02% 0,01% 0,01% 0,06% 0,05% 0,06% 0,07% 0,08% 0,08% 0,07% 4,06% 5,00% 5,03% 5,06% 5,09% 5,08% 6,01% 0,01% 0,01% 0,02% 0,03% 0,04% 0,04% 0,05% 0,04% 0,04% 0,04% 0,04% 0,03% 0,03% 0,03% 3,08% 4,02% 4,03% 4,08% 5,00% 4,09% 5,00% 2,02% 2,04% 2,04% 2,04% 2,05% 2,05% 2,04% 0,07% 0,06% 0,05% 0,05% 0,06% 0,05% 0,06% 1,08% 1,09% 1,07% 1,07% 2,00% 2,02% 2,05% 1,01% 2,02% 3,01% 0,09% 1,07% 2,04% 1,00% 1,07% 3,01% 1,03% 1,09% 3,07% 1,00% 2,01% 3,02% 0,09% 2,01% 2,09% 0,09% 2,02% 3,01% PROFILI DI ATTIVITA' NEI CENTRI PSICOSOCIALI E NEGLI AMBULATORI (PERCENTUALI) 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 Attività psichiatrica 33% 33% 33% 32% 31% 31% 30% 9% 9% 9% 9% 9% 9% 9% 28% 28% 27% 26% 26% 28% 28% Attività rivolta alla famiglia 5% 5% 6% 6% 6% 6% 7% Attività di coordinamento 6% 7% 7% 7% 8% 8% 8% Attività di riabilitazione 4% 4% 4% 4% 4% 4% 4% Attività di risocializzazione 7% 6% 7% 8% 7% 7% 7% Attività di supporto sociale 6% 6% 5% 5% 5% 5% 5% Attività di supporto alla vita quotidiana 2% 2% 3% 3% 3% 3% 3% Attività psicologica-psicoterapica Attività infermieristica 25 La visita colloquio erogata dalle diverse figure professionali e la somministrazione di farmaci rappresentano gli interventi più frequenti. Le diverse tipologie di intervento riconoscono incrementi molto differenziati, senza che sia possibile evidenziare uno specifico trend. L’intervento più utilizzato nei CSM è la visita colloquio erogata dalle diverse figure professionali, che rappresenta da sola circa la metà del totale. Il 60% delle visite colloquio è erogato dagli psichiatri, il 27% dagli infermieri (circa un terzo di questi interventi sono al domicilio del paziente), il 4% da assistenti sociali, il 6% da psicologi, il 2% da educatori e il restante 1% da altre figure professionali. Seguono in ordine di frequenza la somministrazione di farmaci, i colloqui con i familiari, la psicoterapia individuale e le riunioni interne alla UOP, gli interventi di supporto sociale e le presenze nei gruppi di risocializzazione. L’attività rivolta alla famiglia, le attività di supporto sociale e alla vita quotidiana, l’attività di riabilitazione rientrano all’interno di un range compreso tra il 3% e il 6%. Le attività di riabilitazione e risocializzazione svolgono un ruolo tutto sommato secondario nei Centri Psicosociali (rappresentano poco più di un decimo dell’attività), in quanto nella rete dei servizi lombardi è prevalentemente il Centro Diurno a erogare tale attività. La composizione diagnostica dell’attività domiciliare non è mutata sostanzialmente negli anni: gli interventi rivolti ai pazienti con schizofrenia rappresentano circa i due terzi degli interventi, mentre gli interventi rivolti ai pazienti con disturbi affettivi un settimo del totale. INTERVENTI EROGATI NEI CENTRI PSICOSOCIALI - AMBULATORI PER FIGURA PROFESSIONALE (PERCENTUALI) Medico Psicologo Assistente sociale Infermiere Educatore Altro operatore 1999 35% 8% 8% 39% 7% 3% 2000 36% 9% 9% 38% 6% 3% 2001 35% 9% 9% 36% 8% 4% 2002 35% 9% 9% 35% 9% 4% 2003 34% 9% 9% 36% 9% 4% 2004 34% 9% 9% 37% 8% 4% 2005 34% 9% 9% 37% 8% 5% La maggioranza degli interventi erogati nei Centri Psicosociali e Ambulatori è opera degli infermieri e dei medici, mentre circa un terzo del personale psicosociale (psicologo, assistente sociale, educatore, altro operatore). Sette interventi su dieci nei Centri Psicosociali sono opera di medici e infermieri, mentre il ruolo della componente psicosociale è minore. I tassi di 26 interventi erogati da medici e da infermieri sono di quattro volte superiori a quelli erogati da altre figure professionali. Mentre medici, infermieri e assistenti sociali aumentano la loro attività in misura inferiore all’incremento complessivo, l’incremento relativo a psicologi (+39%), educatori (+59%) e personale appartenente ad altre figure professionali (+113%) è maggiore. I Centri Psicosociali hanno rappresentato insieme con gli SPDC le prime strutture attivate nel corso degli anni ‘80 e la loro espansione è avvenuta in modo relativamente omogeneo nel territorio regionale. La rete è stata completata già alla fine degli anni ’80, la novità di questi ultimi anni è data dall’incremento della attività dei poliambulatori, che è quasi raddoppiata. Il peso dei Centri Psicosociali in termini di valorizzazione, pur aumentando in termini assoluti, è diminuito in termini percentuali, a fronte del rapido incremento delle Strutture Residenziali e Semiresidenziali. I Centri Psicosociali hanno visto in questi anni aumentare di più di un terzo la loro utenza, mentre negli anni successivi i tassi si sono stabilizzati. Essi rappresentano le strutture con maggiore accessibilità nella rete dei servizi di salute mentale, in quanto nove pazienti su dieci, tra quelli in trattamento nelle Unità Operative di Psichiatria, ha avuto almeno un contatto con i Centri Psicosociali. L’utenza è prevalentemente femminile ed è diventata negli anni più anziana. Le fasce di età più giovani sono meno rappresentate e presentano minori percentuali di incremento in termini, sia di utenti trattati, che di interventi erogati. Non si osservano modifiche significative dello stato civile e della collocazione socioambientale dei pazienti, con l’eccezione di un maggiore accesso negli ultimi anni di utenti di sesso maschile che vivono con il partner. Sia il livello di scolarità (espresso in termini di numero di utenti diplomati-laureati), che la percentuale di occupati tra i soggetti in età lavorativa, crescono in ambedue i sessi e in particolare tra le donne. L’utenza sembra quindi esser diventata negli anni più anziana, più istruita ed occupata, più frequentemente inserita in un contesto coniugale o di convivenza. Sono cambiate in modo ancora più netto le caratteristiche diagnostiche dei pazienti: l’incremento maggiore in termini di casi trattati ha riguardato i disturbi affettivi e quelli nevrotici, mentre il peso percentuale dei pazienti con disturbi schizofrenici e di personalità è diminuito. I Centri Psicosociali sono così diventati più accessibili alle patologie più diffuse nella popolazione e non solo ai disturbi mentali gravi. Se analizziamo l’attività, circa la metà degli interventi si rivolge ancora ai pazienti con disturbi schizofrenici, ma anche in questo caso nel corso degli anni il peso percentuale della schizofrenia si è ridotto a fronte dell’incremento degli interventi erogati nei confronti dei disturbi affettivi e nevrotici. Complessivamente i Centri Psicosociali hanno visto crescere la loro efficienza, in quanto nel periodo dal 1999 al 2005 hanno aumentato la loro attività del 27 35% a fronte di un incremento di personale del 10%. E anche se questo incremento di attività può esser spiegato in parte con una più attenta rilevazione degli interventi, è indubbio che una parte significativa è legata ad un aumento di produttività. Ancora oggi, su dieci interventi erogati nei Centri Psicosociali, sei sono relativi all’attività clinica degli psichiatri e all’attività infermieristica (colloquio dell’infermiere in sede o più spesso al domicilio, somministrazione di farmaci), mentre quattro hanno un chiaro profilo psicosociale. Le attività che si sono sviluppate in misura maggiore sono quelle rivolte alla famiglia e le attività di coordinamento. Sette interventi su dieci sono erogati da medici e infermieri, con un incremento che è maggiore per il personale psicosociale rispetto a quello sanitario. Il Centro Psicosociale rimane una struttura più orientata sul versante clinico, ma in cui le attività di carattere psicosociale, seppure con lentezza, acquistano un peso sempre maggiore. Otto interventi su dieci vengono erogati nella sede del Centro Psicosociale ed è proprio questa attività, insieme con quella erogata in altro luogo (diverso dal domicilio del paziente), a mostrare il maggiore incremento. L’attività domiciliare sembra invece riconoscere una parziale crisi. Essa interessa circa un decimo del totale dei pazienti trattati e degli interventi erogati, con un incremento ridotto sia in termini di pazienti che di interventi. È indirizzata prevalentemente a persone di età media o ad anziani e nella metà dei casi gli interventi si rivolgono a persone con disturbi schizofrenici. I Centri Psicosociali dovrebbero anche essere titolari della riabilitazione psicosociale nel territorio nei pazienti che non necessitano di un trattamento semiresidenziale, erogato nei Centri Diurni. Ma queste attività sono oggi poco sviluppate all’interno dei Centri Psicosociali: solo un intervento su venti ha carattere riabilitativo. L’attuale strutturazione dell’offerta sembra quindi indicare una minore capacità delle rete regionale dei servizi, di rispondere ai bisogni di persone con disturbi mentali gravi, la cui attività riabilitativa può essere svolta al di fuori della semiresidenzialità e all’interno del contesto comunitario. Le modalità operative sviluppate negli ultimi 30 anni sono entrate in crisi ed i Centri Psicosociali si trovano di fronte ad un bivio. Da un lato può essere accelerata la loro trasformazione in strutture in cui è nettamente prevalente la componente ambulatoriale, sia pure in forme maggiormente diversificate rispetto all’ambulatorio psichiatrico, dall’altro può essere scelta la strada dell’innovazione, legata a nuove tipologie di intervento psicosociale e guidata da forme di governo clinico. Questa scelta, critica per lo sviluppo del sistema regionale di salute mentale, è condizionata non solo dalle risorse che verranno investite in queste strutture, ma anche dalla cultura e dalla capacità innovativa degli operatori che vi lavorano. 28 2.2 Servizio psichiatrico di diagnosi e cura (SPDC) Il servizio psichiatrico di diagnosi e cura è situato nell’ospedale generale, e del presidio che ha la gestione delle acuzie e dei trattamenti curativi che necessitano di ricovero, sia in regime di trattamento sanitario volontario, che obbligatorio. Ad esso si accede per invio del CPS o attraverso il Pronto Soccorso. Tale servizio ha un ruolo centrale per quanto riguarda la valutazione clinico diagnostica e le impostazioni delle terapie farmacologiche. Esso ha un numero di posti letto massimo di sedici unità, funziona come un qualunque altro reparto di medicina e ha le porte di accesso chiuse. In esso vi lavorano medici psichiatri, psicologi, infermieri professionali, operatori socio-sanitari e in rari casi educatori professionali. La degenza media è di due settimane e al momento della dimissione verrà concordato con il paziente e i famigliari la migliore decisione di presa in carico. I Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura sono state le prime strutture ad essere state attivate in modo diffuso sul territorio regionale, fino dai primi anni dopo la riforma. Il numero di posti letto non è variato in modo significativo negli ultimi anni, mentre le risorse a loro attribuite sono aumentate di circa un terzo. Anche in questo caso, nonostante l’aumento complessivo della spesa per queste strutture, il peso percentuale degli SPDC nel quadro della spesa generale è diminuito, seppur in misura minore rispetto ai Centri Psicosociali. Tra i pazienti trattati ogni anno nei Dipartimenti di Salute Mentale lombardi, uno su otto viene ricoverato in SPDC e il loro numero è aumentato di circa un quinto dal 1999 al 2005; i ricoveri sono invece aumentati in misura minore. I pazienti ricoverati in SPDC sono più giovani degli utenti che afferiscono alle altre strutture del Dipartimento di Salute Mentale: l’attività di ricovero in SPDC sembra rivolgersi soprattutto a utenti giovani di sesso maschile e a utenti di età media di sesso femminile, anche se il maggiore tasso di incremento riguarda i pazienti anziani. In confronto alla globalità dei pazienti trattati nei Dipartimenti di Salute Mentale, i pazienti ricoverati in SPDC vivono più frequentemente nella famiglia di origine, sono meno frequentemente occupati ed hanno un livello scolare più elevato. Per quanto riguarda le diagnosi, più di due terzi dell’attività erogata negli SPDC è rivolta ai disturbi schizofrenici e affettivi; seguono come frequenza i disturbi di personalità, le nevrosi e i disturbi dovuti all’uso di sostanze. La presenza dei pazienti con disturbi schizofrenici negli SPDC è diminuita in misura significativa, mentre è aumentata quella relativa ai pazienti con 29 disturbi nevrotici, disturbi di personalità, disturbi affettivi e disturbi mentali organici. In particolare per quanto riguarda i disturbi mentali organici si assiste ad un raddoppio dei pazienti trattati e delle giornate di degenza erogate. Su dieci pazienti ricoverati in SPDC, sette hanno un solo ricovero all’anno, mentre tre hanno due o più ricoveri. Il trend di questi anni va nella direzione di un incremento dei pazienti con ricoveri singoli e con due ricoveri all’anno, mentre non c’è variazione nel numero di pazienti con più di due ricoveri. La durata complessiva della degenza in SPDC, considerando tutti i ricoveri ricevuti all’anno, non supera le due settimane per più della metà dei pazienti; un paziente su quattro rimane ricoverato in SPDC dalle tre alle quattro settimane e solo uno su cinque più di un mese. Il trend va nella direzione di una riduzione dei pazienti con degenze complessive superiori ai due mesi in un anno. Mediamente un ricovero su dieci avviene in regime di Trattamento Sanitario Obbligatorio, e il loro numero è rimasto stabile negli anni. Il ruolo degli SPDC all’interno della rete delle strutture non si è modificato in modo sostanziale: la rete di strutture è completa, la loro mission è chiara (la cura dei disturbi psichiatrici acuti, non trattabili a livello territoriale), è forse minore il loro peso all’interno del sistema sia in termini di pazienti ricoverati, che di risorse attribuite tramite il processo di valorizzazione. Il SPDC è diventato una struttura con meno pazienti “revolving door” (pazienti con ricoveri ripetuti) e con meno pazienti lungodegenti, anche grazie allo sviluppo della rete di Strutture Residenziali. Non solo i pattern di trattamento sono cambiati, si è modificato anche il case mix, con un peso minore della schizofrenia e una presenza più frequente di pazienti con patologie diverse, alle volte al limite con altre specialità (come nel caso dei disturbi demenziali). 2.3 Centro diurno (CD) È una struttura semiresidenziale con funzioni terapeutico-riabilitative e di risocializzazione collocato nel territorio spesso vicino al CPS e in coordinamento con esso. Accoglie pazienti in carico al DSM ed ospita per dieci ore al giorno, su sei giorni alla settimana. Nel centro vi è preparazione e consumazione dei pasti ed offerta di varie attività, che vanno dai laboratori artistici a laboratori nei quali imparare un mestiere. Esso è un contesto protetto che si rivolge a quegli utenti che soffrono di patologie psichiche nelle quali si riscontra una forte difficoltà nello stabilire rapporti interpersonali e sociali. In esso infatti l’utente impara ad acquisire le 30 regole elementari e di gruppo, ad apprendere abilità nella cura del sé, e a migliorare le proprie relazioni interpersonali. Questa struttura ha una propria equipe di lavoro gestita o direttamente dal DSM o dal privato sociale e/o imprenditoriale. Il Centro Diurno rappresenta una tipologia di struttura in espansione nella rete dei servizi lombardi: posti semiresidenziali e le ore di lavoro erogate sono cresciuti di circa il 70% grazie all’entrata di nuovi erogatori privati. Così pure la valorizzazione delle attività semiresidenziali è aumentata del 80%, portando nei Centri Diurni una percentuale maggiore di risorse regionali. Anche se il numero dei pazienti trattati nei Centri Diurni è quasi raddoppiato, essi continuano a rappresentare una quota ridotta dell’utenza (meno di un paziente su venti tra quelli in trattamento nei Dipartimenti di Salute Mentale è in contatto con queste strutture). La distribuzione geografica dell’utenza mostra un’ampia dispersione territoriale con tassi più elevati nelle aree meridionali della regione. L’utenza, differentemente dai Centri Psicosociali, è prevalentemente di sesso maschile; il sesso femminile mostra invece una maggiore percentuale di incremento sia in termini di pazienti che di attività erogate. Il dato relativo all’età indica che i Centri Diurni intercettano prevalentemente utenza giovane e di età media, anche se negli anni si è progressivamente ridotta la quota di attività rivolta alle persone più giovani. I pazienti trattati soffrono di una significativa disabilità dal punto di vista psicosociale: non sono coniugati, vivono nella famiglia di origine e nella quasi totalità dei casi non svolgono attività lavorativa. Più della metà presenta una diagnosi di schizofrenia, anche se negli ultimi anni si osserva un modesto incremento dei pazienti con disturbi affettivi e di personalità. In termini di attività erogate, la polarizzazione nei confronti dei pazienti con disturbi schizofrenici è ancora maggiore (circa due terzi degli interventi totali sono erogati nei loro confronti), nonostante l’incremento maggiore riguardi le attività rivolte ai pazienti con disturbi affettivi. Il Centro Diurno si caratterizza come una struttura che eroga pattern di trattamento intensivi: quattro pazienti su dieci ricevono più di cinquanta presenze in un anno. Il trend emergente conferma la specializzazione della struttura nei trattamenti ad alta intensità: sono proprio i pazienti con maggiore intensità di contatto ad avere il maggiore incremento negli anni tra il 1999 ed il 2005. La quasi totalità dell’attività erogata dai Centri Diurni è di carattere risocializzante piuttosto che riabilitativo. Questo dato, la prevalenza di attività risocializzanti su quelle riabilitative, aiuta ad inquadrare meglio la funzione di queste strutture. I Centri Diurni svolgono un ruolo di gestione della cronicità e della disabilità, arricchendo con iniziative di carattere risocializzante la vita quotidiana dei pazienti, mentre sembrano meno 31 focalizzati sulla riabilitazione psicosociale in senso stretto (interventi finalizzati alla riacquisizione delle abilità di base, sociali e relazionali da un lato e all’inserimento lavorativo dall’altro). Il compito dei Centri Diurni è quello di rispondere ai bisogni differenziati dei pazienti, alcuni dei quali hanno necessità di arricchire la loro vita quotidiana attraverso le attività risocializzanti del Centro Diurno, mentre altri non accetterebbero la frequenza giornaliera nella struttura, ma preferiscono ricevere interventi di carattere riabilitativo erogati nel loro contesto di vita (ad esempio attraverso l’offerta di attività domiciliari finalizzate alla riabilitazione). 2.4 Le strutture residenziali Il DSM dispone anche di risorse che rispondano al bisogno abitativo e di cura delle persone affette da sofferenza psichica. Queste sono chiamate strutture residenziali e rappresentano uno strumento essenziale, per il superamento della concezione di ospedale psichiatrico. Esse non sono solo residenziali, ma sono anche spazio privilegiato di realizzazione di programmi riabilitativi e individualizzati. Il periodo di permanenza dei pazienti è variabile, ma la durata media è di due anni. Il progetto terapeutico riabilitativo è elaborato in modo da essere coerente e funzionale al piano di trattamento individuale elaborato dal CPS inviante. La risposta ai bisogni di ri-accoglimento residenziale e di abitazione in ambiente comunitario si concretizza all’interno di un’ampia articolazioni di soluzioni, che prevedono il concorso attivo di diversi interlocutori istituzionali e non, tra i quali l’ente pubblico, il privato sociale, le cooperative sociali, le organizzazioni di volontariato, il privato profit. La funzione residenzialità integra esigenze di tipo riabilitativo, con esigenze di tipo assistenziale. Si suddividono però le strutture riabilitative in: comunità riabilitative ad alta assistenza, nelle quali la degenza può durare al massimo di diciotto mesi e l’offerta assistenziale di alto grado è estesa sulle ventiquattrore; in comunità riabilitative a media assistenza, nelle quali la degenza massima stabilita è ventiquattro mesi e l’assistenza è estesa sulle ventiquattrore. Mentre le strutture assistenziali si suddividono in: comunità protetta ad alta assistenza, nelle quali la degenza è di trentasei mesi e l’assistenza è estesa sulle ventiquattro ore e comunità protette a media assistenza, nelle quali la degenza può durare fino a trentasei mesi e l’offerta assistenziale di medio grado è estesa sulle otto o dodici ore. In queste strutture il personale impiegato è composto da: psichiatri, infermieri professionali, 32 educatori professionali, operatori socio sanitari, vi è quindi personale sia sanitario che di tipo psico-socio-educativo. Anche in queste strutture si pratica la terapia integrata, ovvero il trattamento farmacologico, psicoterapeutico e riabilitativo. L'organizzazione del lavoro si fonda sui principi del governo clinico (governance clinicoassistenziale), in base ai quali le organizzazioni sanitarie devono impegnarsi per il miglioramento continuo della qualità dei servizi e per il raggiungimento di standard assistenziali elevati. Le strutture residenziali psichiatriche, nell'ambito delle direttive regionali e aziendali, operano sulla base di linee guida clinico-assistenziali, validate dalla comunità scientifica nazionale e internazionale. Ciascuna struttura adotta poi, secondo il piano, una propria Carta dei Servizi in cui definisce le proprie caratteristiche, le tipologie di offerta, la dotazione organica con le figure professionali e le specifiche competenze, le procedure di ammissione/trattamento/dimissione, le modalità di relazione con altre strutture, i piani di formazione e aggiornamento del personale. I Piani di trattamento individuali (PTI) dei pazienti, proposti dai Centri di Salute Mentale per l'inserimento devono riferirsi a specifici criteri diagnostici, prendendo a riferimento le seguenti diagnosi: disturbi schizofrenici, disturbi dello spettro psicotico, sindromi affettive gravi, disturbi della personalità con gravi compromissione del funzionamento personale e sociale. Vengono quindi presi in considerazione la gravità e complessità del quadro clinico, la compromissione del funzionamento personale e sociale del paziente, da stabilire sulla base di strumenti di valutazione standardizzati, le risorse o potenzialità riabilitative, le resistenze al cambiamento, la stabilità clinica. Le risultanze di tali valutazioni orientano, da un lato, sull'intensità del trattamento riabilitativo, e dall'altro, sul livello assistenziale e tutelare da prevedere. L'obiettivo è quello di individuare una risposta appropriata ai bisogni specifici del paziente, stabilendo una correlazione a due livelli: - il livello di intervento terapeutico riabilitativo richiesto: intensità riabilitativa; - il livello assistenziale necessario: intensità assistenziale. Vengono definiti gli interventi necessari al paziente, che nell'insieme rientrano in programmi differenziati per intensità riabilitativa, i quali prevedono durata e prestazioni appropriate. Da ciò scaturisce la scelta della tipologia di struttura residenziale. Il percorso clinico-assistenziale di ciascun utente in una struttura residenziale è declinato nel progetto terapeutico riabilitativo 33 personalizzato (PTRP), specificamente definito ed elaborato dall'equipe della struttura residenziale, in coerenza con il Piano di trattamento individuale (PTI), in accordo con il CSM. 2.4.1 Le comunità protette in Lombardia Le Comunità Protette sono strutture residenziali, che offrono programmi riabilitativi e risocializzanti ai pazienti con disturbi mentali gravi di carattere cronico. Questi trattamenti sono intesi a sostenere e a sviluppare le residue capacità di autonomia e sono da attuarsi in condizioni di residenzialità protetta. Le Comunità Protette assicurano diversi livelli di protezione: da un’assistenza continuativa nelle 24 ore per gli ospiti con problemi clinici comportamentali e di disabilità più gravi, ad un’assistenza limitata per gli ospiti con parziale autonomia personale. Alla fine degli anni ‘90 la rete di Comunità Protette non era stata ancora completata: nel 1999 erano attive 108 CP con 905 posti letto. Sotto la spinta delle dimissioni 34 dagli ex Ospedali Psichiatrici e grazie all’ingresso nel sistema degli erogatori privati nel 2005 le Comunità Protette sono diventate 211, di cui 111 pubbliche e 100 private. Il numero di posti letto in sette anni si è più che duplicato (+161%), arrivando con 2.363 posti letto, di cui 954 in strutture pubbliche e 1.409 in private. Sono presenti anche 183 posti in regime di semiresidenzialità, siti prevalentemente (87%) nelle strutture pubbliche. Le Comunità Protette hanno visto aumentare del 160% il numero di posti letto e hanno sicuramente rappresentato le strutture con il maggiore sviluppo nel periodo. Rispetto alla dicotomia pubblico privato, appartengono a erogatori privati il 68% dei posti letto in strutture con personale di assistenza presente sulle 24 ore, il 50% dei posti letto in strutture con personale presente più di 8 ore, ma non nell’intera giornata, e il 19% dei posti letto in strutture con personale presente meno di 8 ore. Le ore di lavoro nelle Comunità Protette, erogate prevalentemente da infermieri e personale di assistenza, sono quasi triplicate. Le ore di lavoro erogate da tutte le figure professionali a livello di Comunità Protette sono aumentate del 182% passando da 1.112.294 nel 1999 a 3.140.076 nel 2005. Il lavoro in queste strutture è incentrato su figure professionali di assistenza (quali OTA e OSA), infermieri e educatori, mentre è minore il peso in termini di ore di lavoro di medici, psicologi e assistenti sociali. Il numero dei pazienti trattati è triplicato, con una prevalenza di utenti di sesso maschile. La maggioranza degli utenti ha un’età compresa tra 45 e 64 anni, anche se in ambedue i sessi il maggiore incremento è osservato nelle fasce di età più giovani. I pazienti sono residenti prevalentemente nei comuni siti nella fascia centrale della regione. Mediamente ogni anno, tra i pazienti che vengono trattati nei servizi lombardi, due su cento sono ammessi nelle Comunità Protette ed il loro tasso è triplicato negli ultimi anni. In ambedue i sessi, le fasce di età comprese tra i 45/54 e i 55/64 anni presentano i tassi più elevati, mentre le fasce al di sotto dei 35 anni i tassi minori. In media i pazienti al di sotto dei 45 anni ricoverati in Comunità Protetta rappresentano un terzo (37%) del totale: la percentuale di soggetti giovani è maggiore nei maschi rispetto alle femmine. 35 PAZIENTI RICOVERATI IN COMUNITA' PROTETTA PER GRUPPI DIAGNOSTICI ICD 10 (PERCENTUALI) 1999 1,08% 2,03% 2000 1,04% 1,02% 2001 1,04% 1,06% 2002 1,09% 3,04% 2003 6,06% 4,05% 2004 7,01% 4,01% 2005 6,01% 3,08% F0 Disturbi psichici di natura organica F1 Disturbi dovuti all'uso di sostanze F2 Schizofrenia, sindr. Schizopatica e delirante 67,02% 68,05% 65,04% 60,06% 56,08% 57,03% 57,05% F3 Sindromi affettive 8,06% 8,07% 9,02% 9,05% 10,06% 11,00% 9,07% F4 Sindromi nevrotiche 1,07% 1,08% 1,06% 1,09% 1,06% 1,05% 1,07% F5 Sindromi associate ad alterazioni di funzioni fisiologiche e a fattori somatici 0,02% 0,01% 0,01% 0,01% 0,02% 0,02% 0,08% F6 Disturbi della personalità 8,02% 9,02% 11,01% 12,01% 11,00% 11,00% 10,07% F7 Ritardo mentale 9,04% 8,05% 8,07% 10,00% 8,02% 7,05% 9,02% F8 Sindromi da alterato sviluppo psicologico 0,02% 0,03% 0,01% 0,00% 0,00% 0,01% 0,01% F9 Sindromi con esordio nell'infanzia e adolescenza e F99 e disturbo psichico non specificato 0,03% 0,03% 0,07% 0,04% 0,04% 0,02% 0,03% Nessun disturbo psichiatrico 0,00% 0,00% 0,00% 0,00% 0,00% 0,00% 0,01% Nei maschi le fasce di età che presentano un incremento superiore a quello complessivo sono le fasce di età inferiori ai 44 anni, mentre nelle femmine sia le fasce di età inferiori ai 35 anni che quelle superiori ai 65 anni. Più di due terzi dei pazienti residenti nelle Comunità Protette sono celibi-nubili. Per quanto riguarda la collocazione socio-ambientale, circa la metà dei pazienti vive stabilmente in queste strutture, anche se negli ultimi anni si assiste ad sempre maggiore inserimento di pazienti che vivono nella famiglia di origine o anche in quella acquisita. Per quanto riguarda lo stato civile, la maggioranza dei pazienti residenti in Comunità Protetta è celibe-nubile. Le Comunità Protette sono strutture che svolgono programmi lungo-degenziali per i pazienti con maggiore cronicità e maggiori difficoltà di reinserimento sul territorio: questo spiega come la collocazione socio-ambientale di questi pazienti si identifichi con le strutture in cui vivono. L’evoluzione degli ultimi anni sembra indicare l’ingresso di nuovi pazienti, in cui una collocazione socio-ambientale diversa dall’istituzione indica minori difficoltà socioambientali. È infatti ancora ridotta, ma in incremento, la percentuale di soggetti che vivono nella famiglia di origine e in quella acquisita. I pazienti inseriti in Comunità Protette presentano una condizione socio-ambientale svantaggiata: quattro pazienti su dieci hanno raggiunto solo la licenza elementare e nove su dieci non sono occupati. In media il 43% dei 36 maschi e il 46% delle femmine ricoverati in Comunità Protetta ha raggiunto solo la licenza elementare, la licenza media è stata raggiunta dal 41% dei maschi e dal 36% della femmine, il diploma o la laurea dal 16% dei maschi e dal 18% delle femmine. Anche la scolarità ha subito cambiamenti significativi: la percentuale di soggetti che hanno raggiunto solo la licenza elementare si è ridotta significativamente, mentre è aumentata la percentuale di soggetti che hanno raggiunto la licenza media o il diploma di scuola media superiore/laurea. Tra coloro che in età lavorativa sono ricoverati in Comunità Protetta, in media nove pazienti su dieci non sono occupati, senza differenze significative tra i due sessi. Non si osservano modificazioni sostanziali, con un modesto incremento degli occupati in ambedue i sessi. La diagnosi di schizofrenia è ancora quella prevalente, interessando sei pazienti su dieci, anche se le percentuali di incremento maggiore sono rilevate per i disturbi affettivi e di personalità. I pazienti con diagnosi di schizofrenia rappresentano in media il 62% dell’utenza delle Comunità Protette, seguono come frequenza le diagnosi di disturbi di personalità e di disturbo affettivo (ambedue il 10% del totale). Significativa è anche la presenza del ritardo mentale (in media il 9%). Il peso percentuale della schizofrenia e del ritardo mentale dal 1999 al 2005 si riduce, mentre aumenta quello relativo ai disturbi affettivi e ai disturbi di personalità. Più di due terzi dei pazienti ricoverati in Comunità Protette hanno un solo ricovero nell’anno, un sesto dei pazienti due ricoveri e un altro sesto più di due. Il trend di questi anni va nella direzione di un aumento superiore alla media dei pazienti con ricoveri singoli, di un incremento pari all’incremento medio dei pazienti con due ricoveri e di un incremento inferiore alla media dei pazienti con più due ricoveri. I pazienti residenti in Comunità Protetta hanno un solo ricovero all’anno, la cui durata è nei due terzi dei casi maggiore di sei mesi. Considerando le giornate di degenza erogate complessivamente all’anno, in media un sesto dei pazienti rimane ricoverato meno di due mesi, un sesto dai due ai sei mesi e circa due terzi più di sei mesi, con una quota di pazienti ricoverati ininterrottamente lungo l’anno che è andata crescendo negli anni. I ricoveri sono aumentati di una volta e mezzo interessando in misura maggiore i maschi. Sia nei maschi che nelle femmine le fasce di età con i tassi più elevati sono quelle comprese tra i 35/44, 45/54 e 55/64 anni. È cresciuto l’utilizzo di queste strutture da parte di soggetti con meno di 45 anni: i ricoveri di pazienti al di sotto dei 45 anni sono aumentati percentualmente tra il 1999 e il 2005 i tassi relativi alle fasce di età giovani indicano un incremento superiore all’incremento complessivo. Le giornate di degenza erogate in Comunità Protetta sono triplicate tra il 1999 ed il 2005, con tassi di utilizzo maggiori nei maschi. 37 GIORNATE DI DEGENZA IN COMUNITA' PROTETTA PER GRUPPI DIAGNOSTICI ICD 10 (PERCENTUALI) F0 Disturbi psichici di natura organica F1 Disturbi dovuti all'uso di sostanze F2 Schizofrenia, sindr. Schizopatica e delirante F3 Sindromi affettive F4 Sindromi nevrotiche F5 Sindromi associate ad alterazioni di funzioni fisiologiche e a fattori somatici F6 Disturbi della personalità F7 Ritardo mentale F8 Sindromi da alterato sviluppo psicologico F9 Sindromi con esordio nell'infanzia e adolescenza e F99 e disturbo psichico non specificato Nessun disturbo psichiatrico 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2,01% 1,05% 1,05% 1,02% 3,01% 2,08% 3,02% 1,05% 1,02% 1,05% 1,08% 3,05% 3,02% 2,07% 72,07% 70,05% 68,08% 66,08% 62,00% 63,07% 63,00% 6,07% 6,07% 6,05% 7,07% 8,04% 8,05% 8,01% 1,02% 1,04% 1,04% 1,02% 1,03% 1,02% 1,02% 0,01% 6,09% 8,02% 0,03% 0,01% 8,03% 9,06% 0,02% 0,01% 0,02% 0,02% 0,02% 0,04% 9,09% 11,04% 11,00% 11,09% 10,02% 9,08% 9,02% 10,01% 9,02% 10,09% 0,01% 0,00% 0,00% 0,00% 0,01% 0,04% 0,00% 0,04% 0,00% 0,05% 0,00% 0,04% 0,00% 0,04% 0,00% 0,02% 0,00% I tassi sono più elevati nei Comuni siti nelle fasce centrali della regione. Il numero di giornate di degenza erogate in Comunità Protette è cresciuto complessivamente del 237%. I tassi relativi ai pazienti di sesso maschile sono costantemente superiori di circa due terzi a quelli relativi al sesso femminile, con un incremento però maggiore nelle femmine rispetto ai maschi. I tassi sono più elevati per i maschi nelle fasce di età comprese tra i 35 ed i 64 anni, per le femmine nelle fasce di età superiori ai 45 anni. L’incremento è maggiore invece nelle fasce di età più giovani e più anziane. Nei maschi i tassi più elevati relativi alle giornate di degenza sono rilevati nelle fasce di età 35/44, 45/54 e 55/64 anni, nelle femmine nelle fasce di età superiori ai 45 anni. Complessivamente la percentuale di giornate di degenza erogate a pazienti con meno di 45 anni è cresciuta, questo incremento è stato maggiore nei maschi in confronto alle femmine. In termini di tassi, un incremento maggiore dell’incremento medio riguarda in ambedue i sessi le fasce più giovani al di sotto dei 35 anni e quelle più anziane al di sopra dei 64 anni. Due terzi delle giornate di degenza sono erogate nei confronti dei disturbi schizofrenici, anche se il loro peso percentuale si riduce a vantaggio dei disturbi di personalità e del ritardo mentale. Questi due disturbi presentano nel periodo un incremento maggiore. Le giornate di degenza erogate nei confronti dei pazienti con diagnosi di 38 0,02% 0,00% schizofrenia rappresentano due terzi del totale, seguono come frequenza i disturbi di personalità, il ritardo mentale e i disturbi affettivi. Tra le diagnosi più frequenti, quelle che hanno registrato un incremento superiore all’incremento complessivo in termini di tassi di giornate di degenza sono i disturbi di personalità, il ritardo mentale e i disturbi affettivi; l’incremento delle giornate di degenza relative alla schizofrenia è invece inferiore. INTERVENTI EROGATI IN UNA COMUNITA' PROTETTA PER TIPO DI INTERVENTO (PERCENTUALI) Visita colloqui (tutte le figure prof.) Valutazione Psicoterapia individuale Psicoterapia della famiglia Presenze in gruppi di psicoterapia Colloqui con i familiari Interventi psicoeducativo Presenza in gruppo famigliari Riunioni sui casi insieme alle UOP Riunioni con altre strut. Sanitarie Riunioni con i gruppi non istituzionali Interventi individuale sulle abilità di base, sociali, etc. Presenze in gruppo incentrato sulle abilità di base, sociali, etc. Intervento individuale risocializzazione Presenze in gruppo di risocializzazione Presenze in gruppo di attività espressive Presenze in gruppo di attività corporea Inserimenti lavorativi Interventi di supporto sociale 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 12,01% 11,07% 10,08% 12,01% 13,01% 12,05% 10,03% 0,01% 0,04% 0,02% 0,02% 1,00% 1,02% 1,01% 0,03% 0,03% 0,02% 0,02% 0,02% 0,01% 0,01% 0,00% 0,00% 0,00% 0,00% 0,00% 0,00% 0,00% 0,02% 0,03% 0,03% 0,05% 1,00% 1,00% 0,07% 1,01% 1,02% 1,02% 0,09% 0,08% 0,07% 0,07% 0,01% 0,00% 0,01% 0,01% 0,02% 0,01% 0,01% 0,00% 0,00% 0,01% 0,01% 0,00% 0,00% 0,00% 9,06% 7,04% 5,05% 6,02% 5,03% 4,06% 2,05% 0,03% 0,04% 0,05% 0,03% 0,03% 0,03% 0,03% 0,01% 0,03% 0,09% 0,04% 0,03% 0,03% 0,03% 17,07% 26,03% 30,02% 25,00% 25,04% 28,07% 34,06% 11,01% 10,07% 10,06% 12,07% 12,06% 11,04% 10,09% 12,08% 10,04% 8,02% 6,08% 5,09% 6,07% 7,05% 27,05% 22,07% 22,09% 24,01% 23,02% 22,06% 21,09% 3,07% 4,01% 4,02% 4,06% 4,04% 4,01% 3,00% 1,01% 1,02% 1,04% 2,04% 2,02% 2,00% 1,06% 0,05% 0,05% 0,04% 0,06% 0,09% 0,08% 1,01% 1,07% 2,01% 2,03% 2,08% 3,01% 2,07% 3,01% Le attività di riabilitazione e risocializzazione caratterizzano l’offerta delle Comunità Protette: gli interventi più frequentemente erogati sono i gruppi di risocializzazione e gli interventi individuali incentrati sul recupero delle abilità di base e sociali. Otto interventi su dieci ruotano attorno alle attività di risocializzazione e riabilitazione. Nel periodo si osserva un netto incremento delle attività riabilitative rispetto a quelle di risocializzazione. I profili di attività erogati più frequentemente dalle Comunità Protette sono 39 le attività di riabilitazione e di risocializzazione; tutte le altre attività presentano valori compresi tra il 2%-4%, con l’esclusione dell’attività psichiatrica che presenta valori intorno al 5%. L’attività di risocializzazione è scesa di otto punti percentuali a fronte del considerevole aumento delle attività di riabilitazione. Le Comunità Protette sono le strutture che sono cresciute in misura maggiore in questi anni. Il numero di posti letto si è più che duplicato, arrivando a raggiungere il triplo del tasso di posti letto in SPDC o in CRT, e le risorse a loro attribuite sono raddoppiate, arrivando ad assorbire nel 2005 il 39% del budget regionale. La crescita delle Comunità Protette ha permesso da un lato di chiudere definitivamente gli ex Ospedali Psichiatrici e dall’altro di superare la grave carenza di strutture residenziali territoriali esistente nella rete dei servizi di salute mentale lombardi. Oggi queste strutture contengono i tre quinti dei posti letto presenti in Regione e rappresentano di gran lunga la maggiore spesa all’interno del budget regionale per la salute mentale. Le Comunità Protette sono strutture delegate a trattare pazienti con patologie croniche ed in alcuni casi hanno accolto pazienti dimessi dall’Ospedale Psichiatrico. Ogni anno due pazienti su cento tra quelli trattati nei DSM vengono ricoverati in Comunità Protetta e il loro numero è triplicato tra il 1999 e il 2005, come pure quello delle giornate di degenza erogate. Anche se la quota di soggetti al di sotto dei 45 anni sta aumentando, i pazienti più anziani rappresentano in media due terzi dell’utenza di queste strutture. Sei pazienti su dieci sono maschi e la loro condizione socio-demografica appare decisamente svantaggiata (otto pazienti su dieci sono celibi-nubili, nove su dieci non svolgono alcuna attività lavorativa, solo uno su sei ha un livello scolare superiore alla licenza di scuola media). L’evoluzione degli ultimi anni sembra però indicare l’ingresso di nuovi pazienti più giovani, in cui una collocazione socio-ambientale diversa dall’istituzione segnala una maggiore integrazione sociale. Per quanto riguarda le diagnosi, due terzi dell’attività erogata nelle Comunità Protette è rivolta ai disturbi schizofrenici, seguono i disturbi di personalità, il ritardo mentale e i disturbi affettivi. Oggi su dieci pazienti residenti in Comunità Protetta sei soffrono di schizofrenia, uno di disturbo di personalità, uno di disturbo affettivo e uno di ritardo mentale. Le Comunità Protette si confermano come strutture legate a progetti lungodegenziali, dove due terzi dei pazienti è residente per più di 180 giorni all’anno e dove la durata media della degenza per paziente all’anno è arrivata a 256 giorni. La quota di pazienti ricoverati ininterrottamente lungo l’anno è andata crescendo, fino ad arrivare a un terzo del totale. Il profilo di attività di queste strutture negli ultimi anni sembra orientarsi in misura maggiore che in passato verso le attività riabilitative, con una riduzione della quota relativa 40 alla risocializzazione. Mentre è maggiore in queste strutture rispetto ai primi anni l’attività di tipo psichiatrico, svolge un ruolo minore l’attività di supporto sociale. In misura ancora maggiore che nei Centri Residenziali di Terapie Psichiatriche è da sottolineare come il numero medio di interventi erogato durante la singola giornata di degenza sia relativamente basso, ad indicare probabilmente una non completa rilevazione degli interventi strutturati erogati. Questo probabilmente comporta una valutazione ancora incompleta per quanto riguarda le attività erogate in queste strutture. I Centri Residenziali di Terapie Psichiatriche e le Comunità Protette mantengono tra loro differenze importanti sia in termini di utenza trattata (più giovane, più inserita nel tessuto sociale e con una minore disabilità nei Centri Residenziali di Terapie Psichiatriche) che di pattern di trattamento (degenze più lunghe spesso di carattere lungo-degenziale e una minore presenza delle attività che mirano al reinserimento sociale, come quella rivolta alla famiglia o quella di supporto sociale, nelle Comunità Protette). L’ingresso però nella rete delle Comunità Protette di pazienti più giovani e con una maggiore integrazione sociale, in cui il programma degenziale ha una durata programmata e limitata nel tempo, dovrebbe spingere in misura ancora maggiore verso la differenziazione delle attività erogate. Il futuro di queste strutture, come quello dei Centri Residenziali di Terapie Psichiatriche, va nella direzione di una maggiore differenziazione dei programmi e delle attività, superando il rischio di diventare il contenitore aspecifico di pazienti con disturbi mentali gravi non in grado di vivere nel territorio. ATTIVITA' EROGATE IN COMUNITA' PROTETTA (PERCENTUALI) Attività psichiatrica Attività psicologica-psicoterapica Attività infermieristica Attività rivolta alla famiglia Attività di coordinamento Attività di riabilitazione Attività di risocializzazione Attività di supporto sociale 1999 3% 1% 12% 1% 9% 28% 43% 2% 2000 5% 1% 7% 1% 8% 37% 38% 3% 41 2001 5% 1% 5% 1% 7% 42% 37% 3% 2002 6% 1% 3% 1% 7% 39% 39% 3% 2003 7% 3% 3% 1% 6% 40% 37% 3% 2004 7% 3% 3% 1% 5% 42% 37% 3% 2005 5% 2% 3% 1% 3% 47% 35% 3% CAPITOLO 3: Ruolo dell’educatore professionale sanitario all’interno di una Comunità protetta ad alta assistenza Premessa La prima domanda che si pongono coloro che non abbiano dimestichezza e conoscenze in ambito sociale e sanitario è quella della differenza tra educatore professionale e dottore in scienze dell’educazione e della formazione. Potrebbero sembrare due percorsi formativi identici, “in fondo sono entrambi educatori”, ma essi differiscono per competenze e per ambiti. L’Educatore Professionale è una figura nuova, che fino a un anno fa seguiva un corso di studi organizzato dall’Università di Medicina e Chirurgia, mentre ora è passato a Scienze Cliniche e Sperimentali. L’Educatore Professionale per questo motivo è un professionista sanitario che può lavorare sia in ambito sanitario che sociale. L’Educatore sociale invece viene formato dalla Facoltà di Scienze della Formazione, non è un professionista sanitario, e può lavorare nei servizi socioassistenziali e socioeducativi. Nonostante ciò, la presenza di due corsi formativi non contribuisce al pieno riconoscimento del ruolo dell’educatore professionale: spesso le due tipologie di educatori non possono operare l’uno in ambito sanitario e l’altro in ambito sociale, a causa di una carenza dal punto di vista legislativo da parte delle regioni. Questo capitolo, avendo chiarito sopra tale differenza, ha lo scopo di spiegare quale sia la figura e il compito dell’Educatore Professionale specificando però il suo intervento educativo e riabilitativo all’interno di una comunità protetta ad alta assistenza. Passeremo quindi da una prima parte generale, per addentrarci nella seconda parte, nello specifico dell’ambito da noi scelto, perché è proprio nei servizi psichiatrici che l’educatore può dare un contributo essenziale, una prospettiva pedagogica ed educativa che manca alla formazione medicopsichiatrica. 3.1 L' educatore nella storia Nell’ambito delle professioni a contenuto socio-educativo e socio-assistenziale, l’educatore si caratterizza in quanto la sua attività è prevalentemente e tipicamente destinata a provvedere all’istruzione, alla maturazione personale, all’assistenza psicologica di coloro che la società 42 più o meno ufficialmente tiene ai propri margini, e in qualche misura rifiuta o abbandona. Inoltre, l’ambiente nel quale l’educatore svolge la propria attività pedagogica è quello extrascolastico ed extra-familiare. Si tratta di un complesso di attività che raccolgono eredità antiche e che hanno radici storiche molto profonde, basti pensare al continuo ruolo, in primo luogo assistenziale, ma anche pedagogico, svolto nei riguardi della marginalità sociale da parte di organizzazioni religiose lungo tutto l’arco della storia della cristianità, accentuatosi dall’età della Controriforma in poi, ed "esploso" soprattutto in Italia nel periodo della prima industrializzazione. Tanto che per molto tempo la funzione educativa "informale" si è spesso confusa con l’attività religiosa. Più recentemente, e segnatamente negli ultimi quarant’anni, la maturazione civile e politica della nostra società ha progressivamente portato le attività connesse all’educazione non formale (sociale) all’interno della sfera pubblica istituzionale. L’educatore professionale è presente nei servizi italiani ed europei fin dagli anni Cinquanta, come figura a sostegno di bambini e ragazzi in situazioni di disagio, che vivevano in strutture residenziali. Negli anni Sessanta si inizia a riconoscere la professione, in quanto gli operatori stessi iniziano a riflettere sulla propria attività professionale e sul loro ruolo, divenendo promotori di nuove modalità di intervento. Gli anni Settanta forniscono da un punto di vista legislativo e formativo una base solida alla figura dell’educatore, il quale si evolve all’evolvere della situazione sociale, rispondendo ai nuovi bisogni emergenti. Gli anni Ottanta, sono gli anni dell’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale, dei distretti socio sanitari, dei presidi, della chiusura delle istituzioni totali, delle sperimentazione, dei progetti territoriali, è in questo quadro che si delinea sempre più la professione dell’educatore, che volge al recupero delle potenzialità delle persone. Gli anni Novanta riformano le autonomie locali e ridefiniscono il concetto di servizi sociali, giungendo ad una definizione più strutturata dell’ambito dell’integrazione socio-sanitaria. L’interesse si sposta dalle situazioni di bisogno conclamato, al sociale nel suo complesso. Infatti si cerca di costruire dei servizi sul territorio che siano coordinati tra loro e in contatto tra la comunità locale, in modo da rispondere al meglio alle esigenze dei cittadini, elaborando progetti individualizzati e promuovendo politiche per l’inclusione sociale, nelle quali l’educatore gioca un grosso ruolo. Vedremo nel capitolo successivo la capacità della cooperativa il Gabbiano di radicarsi e rispondere alle esigenze nel territorio in cui ha sede ed opera. Il lavoro dell’educatore entra in questo modo a far parte dei processi di politica sociale e sanitaria, non più centrato esclusivamente sull’individuo, ma anche sulla promozione dei contesti di vita, sulla 43 progettazione sociale ed organizzativa; sulla cooperazione sociale. In tal modo si amplia lo spettro di azione dell’educatore in molti servizi ed ambiti, sia nel settore pubblico e privato, che nella libera professione. La professione di educatore professionale si è storicamente sviluppata in Italia più recentemente e con maggiori difficoltà rispetto agli altri principali paesi europei, e in particolare con un’intensità diverse a seconda delle zone geografiche, ossia più diffusamente nel Nord sviluppato industrialmente e molto meno nel Sud. Questo per un complesso ordine di fattori. Basti citarne due. Innanzitutto, la cultura dominante, ancora informata a presupposti illuministici e positivistici, ha da sempre privilegiato i contenuti strettamente teorici e razionalisti della formazione, così che l’educazione è sempre di fatto rimasta pressoché interamente appannaggio dell’istituzione scolastica riconosciuta. Inoltre, l’educazione rivolta alle persone in difficoltà è stata tradizionalmente assorbita dai compiti istituzionali delle organizzazioni religiose e umanitarie a base volontaria, nei cui confronti la struttura pubblica ha sempre ampiamente delegato, determinando un caso unico in Europa di gestione del disagio sociale; con la conseguenza, che tradizionalmente nel comparto delle professioni sociali in Italia non è esistita a livello diffuso la possibilità di offrire una preparazione uniforme e adeguata, e che l’attività connessa è stata attuata a costi certamente contenuti, ma con criteri assistenzialistici e di beneficenza, e questo non ha incoraggiato l’utilizzo di professionalità specifiche e qualificate. 3.2 L’educatore professionale nella legislazione nazionale La professione di educatore ha ricevuto il primo sostanziale riconoscimento giuridico formale in ambito nazionale nel rapporto della Commissione nazionale di studio istituita nel 1982 dal Ministero dell’interno. Tale figura, che in seguito venne poi apertamente riconosciuta, sia dalla letteratura specializzata in materia, sia dalle legislazioni regionali, come profilo ibrido di "educatore-animatore", venne puntualizzata e precisata in seguito; ma è da qui che occorre prendere le mosse. L’educatore professionale è un operatore che, in base a una specifica formazione professionale di carattere tecnico e tecnico-pratico e nell’ambito di servizi socio-educativi e educativo-culturali extrascolastici, residenziali o aperti, svolge la propria attività nei riguardi 44 di persone di diverse età, mediante la formulazione e l’attuazione di progetti educativi caratterizzati da intenzionalità e continuità, volti a promuovere e contribuire al pieno sviluppo delle potenzialità di crescita personale e di inserimento e partecipazione sociale, agendo, per il perseguimento di tali obiettivi, sulla relazione interpersonale, sulle dinamiche di gruppo, sul sistema familiare, sul contesto ambientale e sull’organizzazione dei servizi in campo educativo. È questa una definizione che ha il difetto di essere caratterizzata da tratti che sono comuni anche ad altri operatori sociali, e che invece non coglie i caratteri specifici della professione dell’educatore. Ripartiamo ora la definizione di educatore sociale prodotta pochi anni più tardi (1985) dall’AIEJI32 (Association internationale des éducateurs de jeunes inadaptés), che è stata depositata presso la commissione Affari Sociali del Parlamento Europeo nel giugno 1988: "Per educatore professionale si intende la persona che, dopo una formazione specifica, favorisce con l’uso di metodi e tecniche pedagogiche, psicologiche e sociali lo sviluppo personale, la maturazione sociale e l’autonomia di persone giovani o adulte, handicappati o disadattati o a rischio. L’educatore condivide con queste persone le differenti situazioni, spontanee o suscitate dalla vita quotidiana, sia all’interno di istituzioni residenziali o di servizi aperti, sia nell’ambiente naturale di vita, attraverso un’azione continua e congiunta sulla persona e sull’ambiente". Questa definizione, che pure non ha titolo di rientrare nel nostro ordinamento e che non è recepita dalla legge italiana, ha tuttavia il merito indiscutibile di porre l’accento su quella che è probabilmente la caratteristica tipica dell’operato a cui è chiamato l’educatore professionale, e cioè la capacità di condivisione delle esperienze, dove il quotidiano diventa occasione di maturazione personale, una sorta di "pedagogia della vita quotidiana". Diversamente da quanto lascerebbe intendere la strada imboccata dal legislatore, che mira all’individuazione di una figura professionale univoca di educatore professionale, i compiti a cui nella pratica è chiamato l’educatore sono tutt’altro che univoci. Il termine educatore viene infatti utilizzato per designare figure professionali molto diverse tra loro, come per esempio l’educatrice di scuola materna o l’educatore previsto dalle norme sull’ordinamento penitenziario. D’altra parte, almeno nella realtà italiana, l’educatore professionale ha avuto AIEJI è un’associazione franco-tedesca che si pone l’obiettivo di affrontare in veste transnazionale i problemi dei giovani disadattati, e che svolge la sua opera in relazione con le strutture della Comunità Europea. 32 45 storicamente il polo di riferimento più significativo nel settore sanitario, e questo a causa della stessa impostazione dell’ordinamento del servizio sanitario, che all’atto della sua istituzione (1978) attribuiva alle Regioni compiti di integrazione e di coordinamento dei servizi sanitari con i servizi sociali. Ma, quanto alla definizione esplicita di un vero e proprio profilo professionale, la legislazione nazionale, al di là della proposta della Commissione Ministeriale di studio, aveva previsto la definizione di un profilo, attraverso il D.M. 10 febbraio 1984 (decreto Degan), che mirava all’identificazione dei profili professionali attinenti a figure nuove atipiche o di dubbia ascrizione nell’ambito del personale delle Unità Sanitarie Locali. Il decreto Degan è stato in seguito (settembre 1990) giudicato illegittimo dal Consiglio di Stato, in quanto l’identificazione concreta dei profili professionali e delle qualifiche funzionali doveva essere riservata alla contrattazione collettiva. Tale decreto legava i compiti dell’educatore alla sua funzione socio-sanitaria e definiva l’educatore professionale come segue: "L’Educatore Professionale cura il recupero e il reinserimento di soggetti portatori di menomazioni fisiche". In seguito all’annullamento di tale decreto sia il legislatore statale, sia il legislatore regionale hanno inserito la figura dell’educatore professionale in una serie di provvedimenti legislativi successivi, relativi a diversi settori socio-sanitari, mettendo in atto una prassi legislativa, non priva di contraddittorietà, che sostanzia un riconoscimento indiretto di questa figura professionale. La previsione dell’educatore nelle varie leggi comprova inoltre, l’effettiva diffusione e il radicamento di questo tipo di operatore in campo sociale e sanitario. Si segnala, in particolare, la previsione di impiego di educatori professionali, da parte del legislatore statale, nel campo della riabilitazione dello stato della tossicodipendenza. Infatti, la necessità di prevenzione delle infezioni da HIV e del recupero dei tossicodipendenti, hanno condotto all’emanazione di alcuni provvedimenti, che ridisegnano il quadro della materia, sia sotto l’aspetto repressivo, sia sotto quello della prevenzione, della cura e della riabilitazione. Nel nuovo quadro che si è venuto a delineare trova ampio posto l’impiego della figura dell’educatore professionale, che ottiene così una legittimazione di rilievo, in quanto inserita in uno dei settori socio-sanitari attualmente di maggiore interesse. 46 Con la legge 26 giugno 1990, n. 162 sono stati istituiti presso le unità sanitarie locali i servizi per le tossicodipendenze (SerT). Nell’organico del SerT33 sono previste le figure del medico, dello psicologo, dell’assistente sociale, dell’infermiere e, appunto, dell’educatore, definito "educatore professionale e di comunità" (a riprova di una non omogeneità della figura professionale e di poca chiarezza circa la sua definizione). Vi sono poi alcuni provvedimenti legislativi nei quali la figura dell’educatore, se pure non prevista esplicitamente, può considerarsi indirettamente richiamata. Di particolare interesse è la legge quadro del 5 febbraio 1992, n. 104 per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate, che affronta in maniera globale il problema dell’handicap psichico, fisico e sensoriale. L’aspetto di questa legge che qui interessa è dato dalla collaborazione tra gli organi scolastici e le unità sanitarie locali per favorire l’integrazione scolastica della persona handicappata. L’art. 12 prevede che venga tracciato un profilo dinamico - funzionale dell’alunno ai fini della formulazione di un piano educativo individualizzato, alla cui definizione provvedono, insieme ai genitori, gli operatori delle unità sanitarie locali e il personale specializzato della scuola. In via interpretativa è stato ritenuto che il riferimento agli operatori delle unità sanitarie locali si identifichi con gli educatori professionali inseriti nei ruoli organici. L’art. 13 prevede il coordinamento dei servizi scolastici con quelli sanitari, socio-assistenziali, culturali, ricreativi e sportivi, da realizzarsi attraverso accordi di programma tra enti locali, organi scolastici e unità sanitarie locali. In particolare, può venire rivista l’organizzazione degli asili nido a favore dei bambini con handicap, e può essere assegnato personale specializzato. In questo caso (e in casi simili), il personale delle unità sanitarie locali più idoneo a svolgere i compiti di raccordo con la scuola, non può che essere, quello appartenente al profilo dell’educatore. Un ulteriore possibile settore di impiego degli educatori professionali è indirettamente contenuto nelle norme relative al processo penale a carico di imputati minorenni. 33 I SerT costituiscono le strutture di riferimento delle unità sanitarie locali per i tossicodipendenti e per le loro famiglie. Essi devono assicurare la disponibilità dei principali trattamenti di carattere psicologico, socioriabilitativo e medico - farmacologico. Il decreto 30 novembre 1990, n. 444 del Ministero della Sanità disegna l’organico dei SerT e assegna un educatore professionale ai SerT a bassa utenza (fino a sessanta utenti), due educatori professionali ai SerT a media utenza (da sessanta a cento utenti) e ad alta utenza (da cento a centocinquanta utenti). Quando nel territorio di competenza dei SerT sono presenti strutture carcerarie, l’organico è integrato. Anche in questo caso è previsto l’educatore professionale. 47 Il decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 272, sul processo penale minorile, prevede infatti strutture per la rieducazione dei minori, alle quali è assegnato personale di servizio sociale e dell’area pedagogica. Nel frattempo sono state elaborate diverse proposte di legge, allo scopo di definire una serie di figure professionali dai profili rimasti incerti, nel vuoto lasciato dall’annullamento del decreto Degan. Tra queste appare di particolare interesse, anche se giuridicamente ha avuto un effetto diretto, in quanto è decaduta a causa della fine della legislatura, la "proposta Battaglia" (dal nome del deputato proponente) che aveva per titolo "Norme per l’esercizio della professione di educatore professionale ed istituzione del relativo albo". È questo il primo tentativo di giungere a una disciplina professionale organica e completa dell’educatore professionale. Nella relazione introduttiva, l’educatore veniva descritto come un operatore "capace di misurarsi con la molteplicità delle problematiche sociali e sanitarie dall’handicap, alla droga, al disagio ed alla crescita minorile ed adolescenziale". L’art. 1 conteneva il profilo e i compiti dell’educatore professionale: "1. L’educatore professionale opera nell’ambito dei servizi extrascolastici, residenziali o aperti, e svolge la propria attività nei riguardi di persone di diverse età, mediante la formulazione e l’attuazione di progetti educativi caratterizzati da intenzionalità, globalità e continuità, volti a promuovere e a contribuire al pieno sviluppo delle potenzialità di crescita personale, di inserimento e di partecipazione sociale, agendo, per il perseguimento di tali obiettivi, sulle relazioni interpersonali, sulle dinamiche di gruppo, sul sistema familiare, sul contesto ambientale e di vita e sull’organizzazione dei servizi in campo educativo. 2. L’educatore professionale svolge compiti di progettazione, di organizzazione e di gestione, direttamente o in rapporto con altre figure professionali, e può esercitare attività didatticoformativa e di coordinamento e di direzione dei servizi educativi. 3. La professione di educatore professionale può essere esercitata in forma autonoma o in rapporto di lavoro subordinato". La "proposta Battaglia", che prevedeva per l’educatore professionale l’ottenimento del diploma universitario, suscitò un vivace dibattito tra gli operatori; ne seguì la formulazione di una proposta di legge parallela, presentata dall’AISEP (Associazione Italiana delle Scuole per Educatori Professionali), che si differenziava dalla precedente significativamente, solo in 48 quanto contemplava la possibilità, che il titolo potesse essere rilasciato non solo dalle università, ma anche da istituti di istruzione superiore o da altri istituti dello stesso livello. Entrambe le proposte decaddero alla fine dell’XI legislatura. Nel 1996 l’AISEP ha promosso la formulazione di una nuova proposta di legge, che di fatto sostanziava una ripresentazione dello stesso testo già formulato nel 1993. Anche in questa seconda istanza, tuttavia, non si è pervenuti al perfezionamento dell’iter di produzione legislativo. Soltanto in tempi molto più recenti, nel 1997, con il Decreto del Ministero della Sanità, è stato riconosciuto a livello nazionale il profilo professionale dell’educatore professionale, ma solo nell’ambito sanitario pubblico. Tale norma porta pertanto a compimento un percorso interpretativo e normativo sulla figura professionale dell’educatore, che caratterizza l’esperienza italiana in questo campo, e che non trova soluzioni dal 1978, anno della riforma del servizio sanitario nazionale, fino a oggi. Il decreto ministeriale, che si inserisce nell’ambito del riordino della disciplina sanitaria a livello nazionale, avviato nel 1992, recita come segue: "1. È individuata la figura professionale dell’Educatore Professionale, con il seguente profilo: l’Educatore Professionale è l’operatore sanitario e sociale che, in possesso del diploma universitario abilitante, attua progetti educativi e riabilitativi, nell’ambito di un progetto terapeutico elaborato da un’équipe multidisciplinare, volti a uno sviluppo equilibrato della personalità con obiettivi educativo/relazionali in un contesto di partecipazione alla vita quotidiana. Cura il positivo inserimento o reinserimento psico-sociale dei soggetti in difficoltà”. L’Educatore Professionale: a) programma, gestisce e verifica interventi educativi mirati al recupero e allo sviluppo delle potenzialità dei soggetti, per il raggiungimento di livelli sempre più avanzati di autonomia; b) contribuisce a promuovere e organizzare strutture e risorse sociali e sanitarie, al fine di realizzare il progetto educativo integrato; c) progetta, organizza, gestisce e verifica le proprie attività professionali all’interno di servizi socio-sanitari e strutture socio-sanitarie-rieducative e socio educative, in modo coordinato con 49 altre figure professionali e tipi diversi di strutture, attraverso il coinvolgimento diretto dei soggetti interessati e/o delle loro famiglie, dei gruppi, della collettività; d) opera sulle famiglie e sul contesto sociale degli utenti, allo scopo di favorire il reinserimento nella comunità; e) partecipa ad attività di studio, ricerca e documentazione. L’Educatore Professionale contribuisce alla formazione degli studenti e del personale di supporto, concorre direttamente all’aggiornamento relativo al proprio profilo professionale e all’educazione alla salute; L’Educatore Professionale svolge la sua attività professionale in strutture socio-sanitarie e socio-educative pubbliche o private, sul territorio, nelle strutture residenziali e semiresidenziali in regime di dipendenza o libero professionale". Il Ministero della Sanità, con decreto 17 gennaio 1997, n. 57, ha regolamentato il profilo professionale di una figura, che appare a un primo esame almeno in parte "concorrente" con quella dell’educatore professionale. Viene infatti individuato il "tecnico dell’educazione e della riabilitazione psichiatrica e psicosociale", con un campo di attività che per un verso appare più specialisticamente sanitaria, diretta soprattutto alle situazioni di disagio psichico, ma anche al disagio psicosociale, e per altro verso risulta più ristretto, rispetto alle attribuzioni "tradizionali" dell’educatore professionale. Conseguentemente, si è originato un certo dibattito in ambito specialistico, nel corso del quale l’AISEP ha assunto una posizione critica nei confronti della definizione di tale nuova professionalità, che indicherebbe la tendenza a scomporre la professionalità tradizionalmente attribuita all’educatore professionale, in più figure specialistiche, correndo così il rischio di restare marginalizzata. 3. 3 L’educatore professionale nella legislazione regionale A fronte della tardiva e carente legislativa nazionale si riscontra invece una vivace e puntuale attività normativa svolta delle amministrazioni regionali, soprattutto in forza del disposto della delega costituzionale (art. 117) in materia di assistenza sanitaria. Va da sé, che la surroga legislativa regionale alla normativa statale, apre la strada a differenziazioni e 50 discriminazioni tra regione e regione, cosa che si è puntualmente verificata, così che oggi esiste in materia un netto divario tra il quadro normativo delle regioni del centro-nord, più industrializzate, e più attente nel rispondere a una domanda di servizi sociali, rispetto al centro-sud. Appare evidente che nelle diverse regioni sono operanti impostazioni di base solo in parte assimilabili, e che pertanto l’utilizzo degli educatori professionali in termini omogenei sul territorio nazionale appaia problematico. Nella Regione Lombardia l’impiego di educatori professionali è stato previsto in primo luogo nell’area psichiatrica nel programma triennale approvato nel 1986, che prevede un educatore professionale nell’organico del Centro psico-sociale (C.P.S.), che è la sede delle attività ambulatoriali psichiatriche e psicoterapiche, e due educatori professionali nell’organico del Centro residenziale di terapie psichiatriche e di risocializzazione (C.R.T.), struttura sociosanitaria per trattamenti a medio e lungo termine. Inoltre sono previsti due educatori professionali per ogni comunità terapeutica, struttura che sostituisce l’ex ospedale psichiatrico. Inoltre, sempre nel 1986, è stata istituita l’Unità Operativa di Neuropsichiatria per l’infanzia e l’Adolescenza (UO-NPI), struttura operativa interdisciplinare deputata alla prevenzione, cura e riabilitazione dei disturbi e degli handicap neuropsichici nell’infanzia e nell’adolescenza, che prevede nel suo organico la presenza di educatori professionali. Nel 1988 (L.R. 19.09.88, n. 51) nell’ambito della normativa relativa all’organizzazione, alla programmazione e all’esercizio delle attività in materia di tossicodipendenza, erano stati istituiti i "nuclei operativi", come strutture delle (allora) USSL. Tra le figure professionali attive nei "nuclei operativi" era previsto l’educatore professionale, che si affiancava al medico, allo psicologo, all’assistente sociale e all’infermiere professionale. I "nuclei operativi" sono stati sostituiti dai SERT che hanno comunque riconfermato le medesime figure professionali. Successivamente, con deliberazione del Consiglio regionale del 28 febbraio 1989 n. IV/1269, il profilo professionale viene descritto come segue: "1 L’educatore professionale è l’operatore che, in base a una specifica preparazione di carattere teorico pratico, svolge la propria attività mediante la formulazione e la realizzazione di progetti educativi, volti a promuovere lo sviluppo equilibrato della personalità, il recupero e il reinserimento sociale di soggetti disabili e di persone a rischio di emarginazione sociale. 51 Per il perseguimento di tali obiettivi, nell’ambito del sistema delle risorse sociali e sanitarie, egli svolge interventi riguardanti i rapporti interpersonali, la famiglia, i gruppi e le istituzioni, le strutture e i servizi sociali, sanitari ed educativi, il contesto ambientale. Gli strumenti di cui si avvale sono relativi a metodologie di operatività psicopedagogica e di riabilitazione psicosociale. Conduce attività di studio, ricerca e documentazione indirizzate all’intervento educativo. È previsto l’impiego dell’Educatore - ai sensi della normativa socioassistenziale e sanitaria regionale - nei servizi e nelle strutture per minori, quali le comunitàalloggio, gli Istituti, i Centri di pronto intervento; nelle strutture e nei servizi assistenziali e di riabilitazione neuro-psicologica per disabili, nelle strutture e nei servizi di salute mentale, negli interventi strutturati con modalità diverse nell’area dell’emarginazione giovanile. 3.4 La situazione attuale dell’educatore Attualmente il profilo professionale dell’Educatore Professionale è stato riconosciuto dal solo Ministero della Sanità attraverso il DM 8 ottobre 1998, n. 520 “Regolamento recante norme per l¹individuazione della figura e del relativo profilo professionale dell’educatore professionale, ai sensi dell’articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502” Con il seguente profilo: “L’educatore professionale è l’operatore sociale e sanitario che, in possesso del diploma universitario abilitante, attua specifici progetti educativi e riabilitativi, nell’ambito di un progetto terapeutico elaborato da un èquipe multidisciplinare, volti a uno sviluppo equilibrato della personalità con obiettivi educativi/relazionali in un contesto di partecipazione e recupero alla vita quotidiana; cura il positivo inserimento o reinserimento psicosociale dei soggetti in difficoltà”. Il riconoscimento in ambito sanitario ha inserito la nostra figura tra le professioni dell’area della riabilitazione (DM 19/3/1999), ha connotato la professione come professione dotata di autonomia professionale e non più “ausiliaria” del medico (LN 42/99), sono stati stabilite le equipollenze (DM 27/7/00) ed equivalenze dei titoli pregressi (DPCM 26/7/2011), sono state definite le modalità di accesso alle funzioni di coordinamento e alla dirigenza (LN 251/00), è stata approvata la legge per la costituzione degli albi e ordini (LN 43/06 e DDLL1142) 52 Negli altri ambiti di operatività dell’educatore professionale, cioè in campo sociale, sociosanitario e penitenziario, non vi è ad oggi alcuna normazione della nostra figura professionale. Ciò nonostante la LN 328/00 all’art. 12 e il D.lgvo 229/99 all’art. 3, prevedano il riconoscimento dei profili delle professioni che operano in quei settori. 3.5 Le competenze dell’educatore Come abbiamo più volte già scritto non ci sono confini netti tra le diverse competenze attribuibili all’educatore professionale. Esse infatti sono il risultato di un intervento che dev’essere il più ampio e il più aperto possibile. Spesso funzioni educative producono effetti anche in aree sociali e relazionali. Nonostante ciò, le competenze possono essere distinte in: pedagogiche, psicologiche, riabilitative, animative e culturali. Le competenze pedagogiche riguardano il processo educativo riguardante l’uomo e il suo essere in relazione agli altri. L’uomo infatti è in continua evoluzione e in continuo apprendimento teorico pratico, egli acquisisce nella relazione con gli altri e con l’ambiente sempre nuove informazioni e nuove competenze. Come sostiene Miodini e Zini: “l’educazione è gestire l’esperienza acquisita, incrementare le conoscenze e favorire cambiamenti in un processo senza fine di tipo circolare”. La crescita dell’individuo è determinata dal confronto con la realtà, che gli propone una serie di opportunità e contemporaneamente una serie di vincoli interni (bisogni) ed esterni (condizioni di contesto). 34 L’educatore accompagna il percorso evolutivo e ha il compito di cogliere e stimolare le potenzialità dell’individuo nella sua unicità e particolarità. Quest’ultimo deve seguire un proprio percorso in base non solo a chi è, ma al contesto nel quale vive. L’educatore quindi dovrebbe riuscire a trasformare un’esperienza soggettiva inconsapevole, in un’esperienza consapevole, favorendo l’evoluzione dell’individuo. Le competenze psicologiche sono quelle capacità che l’educatore deve sviluppare in modo da poter comprendere l’individuo in ogni fase della sua evoluzione, tenendo conto delle sue emozioni, dei suoi sentimenti, del suo vissuto. L’educatore deve essere inoltre capace di individuare le dinamiche relazionali che soggiacciono ai rapporti, che l’individuo intrattiene 34 Stefania Miodini, Mariateresa Zini, L’educatore professionale, la nuova Italia scientifica, Roma 1997, p. 27. 53 con il mondo che lo circonda, a partire dalla famiglia, passando al gruppo di riferimento, ovvero quell’insieme di persone che l’individuo considera come elemento di confronto, rispetto alla definizione del proprio sé; per passare infine alla comunità, considerata come realtà composta da più elementi. Ciò vuol dire che l’educatore deve tener conto anche delle dinamiche psicologiche derivanti dal rapporto tra individuo e ambiente sociale, ponendo un’attenzione particolare ai condizionamenti esterni al quale l’individuo può essere sensibile. Le competenze riabilitative sono dovute al fatto che l’educatore si occupa di persone in condizioni di disagio psicofisico derivanti da fattori fisiologici o da “carenze soggettive indotte dall’ambiente esterno”35. Alla luce della condizione dell’individuo l’educatore deve essere capace di valutare le risorse di cui dispone il soggetto, alla luce della patologia diagnosticata, di definire di conseguenza gli obiettivi riabilitativi e di trovare la modalità di raggiungimento degli stessi. Vedremo successivamente quali saranno gli strumenti dei quali l’educatore dispone. Le aree nelle quali può intervenire sono: manuale operativa, intellettuale, psicologico relazionale, espressiva creativa. Le competenze animative si riferiscono all’animazione che l’educatore può utilizzare a seconda che abbia a che fare con minori, adolescenti piuttosto che anziani. Tali competenze hanno la funzione di avviare un processo che stimoli il cambiamento, infatti l’animazione aiuta le persone a esprimere il proprio sé a liberare la propria fantasia, a riappropriarsi di una buona immagine di sé, a liberare la sensibilità, a favorire l’espressione della gestualità, in rapporto da recuperare anche il modo con gli altri. Le aree dell’animazione sono: l’organizzazione del tempo libero, la drammatizzazione, l’organizzazione di feste, la programmazione di gite o vacanze, la progettazione di spazi in centri ricreativi. Le competenze culturali riguardano la capacità dell’educatore di individuare tutte quelle attività presenti sul territorio di tipo culturale che possono essere utilizzate come stimolo nell’attività di recupero. Essi possono essere: cineforum, visite, spettacoli, iniziative naturalistiche ecc. Le competenze sociologiche riguardano la capacità dell’educatore di intervenire non solo nella relazione con l’utente ma anche con la famiglia e l’ambiente sociale circostante36. 35 36 Ibidem, pp. 30-31. Ibidem, pp. 32-34. 54 3.6 L’educatore nelle comunità protette Come abbiamo visto nel capitolo precedente il ruolo, i compiti, e l’importanza dell’educatore mutano a secondo della struttura nella quale egli opera. Nei CPS l’educatore compie poche attività di riabilitazione e di risocializzazione, nonostante l’area psicosociale sia in aumento rispetto a quella clinica. L’intervento degli educatori si assesta infatti all’8%, mentre quello degli psichiatri attraverso la visita colloquio è del 60%. Il margine di intervento nei CPS da parte degli educatori, può essere ancora ampliato, mentre per quanto riguarda le strutture residenziali, il lavoro dell’educatore è maggiore rispetto a quello dei clinici. Il trattamento dei pazienti prevede una terapia integrata composta da: progetto terapeutico riabilitativo affidato agli educatori e farmacologico affidato agli psichiatri e agli psicologi. Queste figure elaborano all’interno della struttura residenziale un progetto terapeutico-riabilitativo personalizzato, frutto di un intenso lavoro di equipe, sulla scia del piano di trattamento individuale (PTI), elaborato dal Centro di Salute Mentale. L’educatore nelle comunità si trova di fronte persone la cui fascia di età va dai 45 ai 64 anni, in prevalenza maschi. Due terzi dei pazienti sono celibi o nubili, anche se sono in aumento le persone coniugate, così come sono in aumento i giovani. Nelle comunità arrivano comunque persone la cui condizione socio-ambientale è svantaggiata, in quanto possiedono un basso livello di istruzione e non hanno occupazione. Al momento sei su dieci sono schizofrenici, ma sono in continuo aumento i disturbi affettivi, nevrotici e della personalità. I pazienti solitamente affrontano un ricovero all’anno, la cui durata si assesta sui sei mesi, anche se vi è un aumento delle degenze per persone con meno di 45 anni. Gli interventi più frequenti da parte dell’educatore sono i gruppi di risocializzazione e gli interventi individuali sul recupero sulle abilità di base e sociali. Le comunità protette sono cresciute più di tutte le altre strutture, i loro posti letto sono decuplicati e rappresentano oggi il 39% del budget regionale. Ad un aumento quantitativo dovrebbe corrispondere anche un aumento della qualità, consistente nella differenziazione dei programmi e delle attività, come vedremo nel capitolo successivo nella comunità “Il Gabbiano”, la quale ha attivato tra i tanti progetti quello del teatro e dell’ergoterapia. Essere educatori in una comunità protetta, che ospita pazienti con diverse patologie psichiatriche, è un lavoro complesso e quotidiano, un saper fare e un saper essere intimamente legati al rapporto che giorno per giorno si costruisce con l’utente, all’interno di una complessa 55 dinamica di transfert e controtransfert. L’educatore è infatti il cardine, l’elemento pragmatico di ciò che accade all’interno della comunità, la cui attività e il cui punto di vista diventa indispensabile al lavoro di équipe. Come sostengono Crescentini, De Felice e Tonzar il ruolo dell’educatore diviene “multifunzionale e permeato da una logica di tipo dinamico; egli si pone quale esempio reale e tangibile in cui possa avvenire un adeguato processo di identificazione, e questo è particolarmente importante visto che spesso gli individui sofferenti di patologie di tipo psichiatrico non hanno avuto la possibilità di risolvere in maniera adeguata la personale odissea edipica tramite un’identificazione riuscita, per mancanza di un rapporto genitoriale o per una molteplicità di altre variabili, con una conseguente inadeguatezza della costruzione del sé e uno sviluppo di relazioni oggettuali spesso difettose”37. L’educatore diventa quindi punto di riferimento, base sicura per l’utente il quale può esperire una rinnovata modalità relazionale ed interiorizzarla. Per fare ciò l’educatore deve avere anche la capacità di creare contesti educativi, caratterizzati da fiducia reciproca e mutua collaborazione. Trattare con pazienti psichiatrici implica lo svolgere un mestiere complesso all’interno di un gruppo, caratterizzato da un accordo implicito di collaborazione reciproca, rispetto, chiarezza, professionalità, per tale motivo l’educatore deve avere competenze riguardanti la psicopatologia e utilizzare una visione psicodinamica degli avvenimenti psicopatologici allo scopo di realizzare un intervento efficace. Egli deve coniugare aspetti teorici e aspetti pratici e adattarli alla quotidianità degli eventi. Oltre a ciò il suo intervento deve tener conto degli aspetti etici, della legislazione professionale, delle teorie della comunicazione e delle principali metodiche riabilitative in modo da operare in fieri38. L’educatore deve porre molta attenzione nel fare quanto sopradescritto in quanto incorre nel rischio tipico delle professioni d’aiuto chiamato burnout39. Con tale termine si intende il logorio a livello emotivo, professionale, soggettivo, interpersonale al quale possono andare incontro gli operatori mostrando conseguenti segni clinici e comportamentali quali A. Crescentini, F. De Felice, C. Tonzar, L’educatore e la riabilitazione psichiatrica, Carocci Faber, Roma 2011, p. 110. 37 38 Ibdem, pp. 112 – 115. Dall’inglese bruciato, scoppiato, termine introdotto in letteratura nel 1974 da H. J. Fraudemberg, psicoanalista americano. Inizialmente tale termine indicava uno stato di insoddisfazione dovuto al mancato raggiungimento di un obiettivo prefissato, successivamente è diventato una “ritirata” psicologico dal lavoro in seguito ad uno stress eccessivo e una perdita di entusiasmo nei confronti del lavoro stesso. 39 56 l’abbassamento del rendimento lavorativo, un persistente affaticamento, irritabilità, cefalea, problemi familiari, abuso di farmaci, sentimenti di inadeguatezza. Questi sintomi sono il risultato di stress40. Cherniss41 suggerisce una serie di strategie di prevenzione del burnout: - Riduzione delle richieste imposte dagli operatori da loro stessi; - Limitazione del numero di pazienti di cui lo staff è responsabile in un determinato periodo; - Creazione di programmi di training e sviluppo per i supervisori; - Creazione di meccanismi formali di gruppo per la soluzione del problema organizzativo e la risoluzione del conflitto; - Condivisione della responsabilità delle cure e della terapia con i pazienti con le famiglie con la comunità sociale42. 3.7 Lo sguardo dell’educatore Come abbiamo già più volte scritto, l’educatore che lavora in una comunità protetta deve tentare di trovare un punto di equilibrio tra la psicologia e la psichiatria, ciò vuol dire che pur lavorando in ambito psichiatrico, egli non deve mai dimenticare la matrice pedagogica del proprio mestiere. Infatti, il processo educativo è anch’esso di per sé una cura che rende il soggetto capace di trovare una propria realizzazione e di sviluppare la propria personalità. Per questo motivo la prospettiva pedagogica può fungere da stimolo anche alla psichiatria, in modo da renderla più attenta e responsabile dell’aspetto umano e non solo biologico. L’educatore è maggiormente propenso a prendere in carico l’uomo nella sua totalità, composta da pensieri, valori, azioni, emozioni, sentimenti, per fare ciò l’operatore deve essere 40 Ibidem, p. 118. 41 Psicologo ed insegnante americano, professore applicato di psicologia e direttore del Organisational Psychology program, specializzato nelle aree nell’inteligenza emotiva, stress lavorativo, sviluppo della leadership e famoso sulle sue teoria riguardanti il burnout nelle organizzazioni che prestano servizi di carattere socio assistenziale e umanitario. 42 Ibidem p. 125-126. 57 un buon osservatore, il suo sguardo può modificare colui che viene osservato. Infatti colui che osserva, interpreta e attribuisce un significato al mondo che lo circonda, quindi, ciò a cui arriverà e che comunicherà agli operatori piuttosto che all’équipe risentiranno anche dei suoi vissuti e delle sue emozioni, suscitate dal suo punto di osservazione, dall’interazione con il paziente, ma anche dalla propria storia personale e dalla visione della malattia mentale. Rispetto a ciò, rimandiamo ad uno studio antropologico condotto da Keinman, Eisenberg, Good descritto nelle conclusioni di questo dell’elaborato. Come sostiene Brandani bisogna considerare che la realtà può essere vista sotto due aspetti, quello delle proprietà fisiche dell’oggetto e quello legato all’attribuzione di significato e di valore a questo oggetto. Bisogna quindi, che il lavoro di osservazione consideri i significati delle informazioni, dato che a ciascuna informazione possono essere attribuiti significati diversi. L’educatore deve essere consapevole di ciò che percepisce, di come lo descrive e di come elabora le informazioni. Soprattutto quando si interagisce con soggetti psichiatrici la cui “differenza” può essere letta come assoluta inaccessibilità. Le espressioni e i gesti della persona affetta da patologie psichiatriche possono essere interpretati dalla lettura della diagnosi, dalle relazioni cliniche, dai giudizi contenuti nei vari progetti, ma l’educatore ha il compito di attuare altre forme di conoscenza di andare oltre all’atto del vedere, di assumere un punto di vista particolare sul mondo, su di sé, sugli altri, nel tentativo sincero di comprendere la persona e non di dominarla o di spiegarne i gesti. Ciò può avvenire se si attiva ciò che oggi viene definita l’empatia. A partire da Edith Stein l’empatia è una qualità che mette in contatto con le emozioni altrui, è il rendersi conto dell’altro, accorgersi dell’altrui dolore, fare esperienza di un’esperienza che non è la propria, vivere un sentimento che non è il proprio, mantenere la distinzione tra sé e l’altro, ma cogliere al contempo le emozioni dell’altro accettando l’inaccessibilità e l’incomprensibilità degli stati patologici. Solo in questo modo vi può essere una possibilità di reale condivisione e di apertura verso una possibilità di miglioramento. 58 CAPITOLO 4: Analisi di un’esperienza nella Comunità Protetta ad Alta Assistenza (C.P.A.) “IL GABBIANO” Premessa In questo ultimo capitolo conclusivo affronteremo da un punto di vista pratico, quanto descritto nei precedenti capitoli, raccontando dell’esperienza di tirocinio che ha condotto con grande curiosità e desiderio di apprendimento presso la Comunità Protetta ad alta assistenza “Il Gabbiano”. Il mio lavoro è stato di osservazione quotidiana, fianco a fianco con gli educatori e con ospiti, lavoro che ho trovato molto stimolante, motivante, ma anche molto complesso, in quanto come già sottolineato nel capitolo precedente è la quotidianità che stringe i legami; che sposta gli utenti verso un nuovo modo di stare al mondo, al contempo è sempre la quotidianità con i momenti difficili in cui sembra che vi siano cadute e peggioramenti che mette a dura prova la qualità dell’educatore che come già descritto risente il burnout. In questo capitolo partiremo descrivendo come la Cooperativa il Gabbiano, si radica nel proprio territorio dando nascita ad una serie di strutture, con ultima l’apertura di un Hospice connotando la zona da un punto di vista economico e sociale per l’alta gamma di servizi che è in grado di offrire e al contempo l’alto impiego al personale proveniente dalle zone limitrofe. Successivamente descriveremo la comunità protetta ad alta assistenza anch’essa chiamata Gabbiano, addicendo le motivazioni della scelta di aprire una tale struttura e descrivendola al contempo. Successivamente ci concentreremo sugli aspetti funzionali e metodologici dell’intervento riabilitativo entrando nel dettaglio delle sue fasi, degli obiettivi, del progetto e degli strumenti per la realizzazione dello stesso. Enunceremo gli attori interni ed esterni alla comunità ponendo particolare attenzione alla famiglia. Infine descriverò due tra i tanti progetti della comunità: il teatro espressivo e il progetto “Gabbiano lavoro”. In ultima analisi vi sarà la mia esperienza, il racconto di un caso con il relativo PTR. 59 4.1 Presentazione della Cooperativa “Il Gabbiano” Il Gabbiano (cooperativa sociale di tipo A ai sensi art. 1, L. 381/91, con sede a Pontevico BS) opera attivamente nella gestione dei servizi socio-sanitari, assistenziali ed educativi nelle province di Brescia, Cremona e Mantova con una particolare attenzione al territorio del proprio Distretto socio-sanitario (Leno). La cooperativa nasce grazie alla collaborazione con alcune amministrazioni locali con lo scopo di attivare un servizio di assistenza domiciliare agli anziani. Successivamente nel 1990 viene attivato un centro diurno per disabili, orientato all’inserimento lavorativo, che diverrà il centro Socio Educativo il Gabbiano. La Cooperativa sociale “Il Gabbiano” con sede a Pontevico un paese nella provincia di Brescia, e vicino a Cremona, ha nella sua storia le motivazioni etiche ed operative che sottendono alla Comunità riabilitativa psichiatrica. Il Gabbiano nasce prioritariamente con l’obiettivo di creare strutture di accoglienza alternative “a grandi contenitori istituzionali” per persone in difficoltà. La formula imprenditoriale Cooperativa non è stata una scelta casuale, fra i tanti metodi di fare impresa ma un preciso terreno di confronto democratico condiviso e partecipato, uno strumento ideale per coniugare comportamenti socioeconomici al quotidiano vivere la solidarietà sociale. Gabbiano si propone come strumento di coinvolgimento della comunità locale, attraverso l’attivazione di servizi progettati in funzione di una risposta ai bisogni del territorio, la dimensione imprenditoriale contenuta, che consente un costante rapporto con i soci con momenti formativi e sostegno motivazionale, una scelta di settori di intervento specifici, per garantire costante progettualità e sperimentazioni innovative. Negli ultimi 10 anni il Gabbiano si è connotata come una realtà unica nel panorama bresciano per la territorialità (come modalità nell’approccio alle proprie azioni), per la differenziazione della gamma dei servizi (risposta ampia ed integrata) abbinata alla notevole specializzazione (garanzia di qualità) assicurata dalle aree funzionali e la dimensione medio-grande (sviluppo delle attitudini imprenditoriali, capacità di generare risorse da reinvestire, garanzia di stabilità dei posti di lavoro). La Cooperativa, non avendo finalità lucrative reinveste le risorse prodotte in nuovi progetti finalizzati ad ampliare e migliorare la gamma di servizi erogati. 60 Il suo scopo è il perseguimento dell’interesse generale della comunità alla promozione umana e all’integrazione sociale dei cittadini secondo quanto previsto dalla legge n.381 del 1991. I soci della cooperativa Il Gabbiano attualmente sono oltre 200 e circa 90 soci lavoratori e prestatori professionali. Il Gabbiano si pone i seguenti obiettivi: Proporsi sul territorio come interlocutore qualificato nella soluzione di problemi afferenti alle proprie aree di intervento; Acquisire competenze specifiche al fine di diversificare le proprie aree di intervento; Gestire direttamente i servizi erogati o in proprie strutture o in collaborazione con altri enti pubblici o privati; Avere come ambito d’intervento prioritario, ma non esclusivo, il proprio territorio; Garantire stabilità occupazionale, a tutti i soci-lavoratori ed ai dipendenti; Interagire attraverso modalità adeguate con le altre cooperative su scala locale, nazionale, internazionale; Conseguire e mantenere una reputazione collettiva di soggetto-guida in fatto di qualità dei servizi socio-sanitario-assistenziali ed educativi; Creare, attraverso un approccio imprenditoriale, nel rispetto della finalità non lucrativa, risorse da investire in nuove iniziative di pubblica utilità, incrementando ulteriormente le opportunità d’impiego. Nel Marzo 2006 viene costituita la cooperativa progetto gabbiano che nasce dal gruppo dirigente e dalla stessa cooperativa sociale Il Gabbiano, che partecipa in qualità del Socio Sovventore ed esprime il Presidente del Consiglio di Amministrazione. Questa nuova cooperativa sociale, anch’essa destinata alla gestione dei servizi socio-assistenziali-sanitari ed educativi, nasce con lo specifico obiettivo di rappresentare il soggetto gestore dei servizi in appalto del gruppo Il Gabbiano, in particolare in area socio-sanitaria, attraverso la presa in carico di attività esistenti e di nuovi servizi. 61 L’organizzazione a capo di Progetto Gabbiano è assicurata dallo stesso staff direzionale, a garanzia delle qualità e dell’omogeneità dei servizi. Attualmente i soci lavoratori e dipendenti della cooperativa sono circa 80. Le aree d’intervento in cui opera principalmente la Cooperativa Sociale Progetto Gabbiano sono: Area infanzia Area minori Area disabilità Area psichiatrica Area anziani 4.2 La Comunità Protetta “Il Gabbiano” La Comunità Protetta IL GABBIANO è stata attivata nel maggio 2005, l’iniziativa risponde al bisogno di residenzialità in ambito psichiatrico nel territorio della Bassa Bresciana centrale ed orientale. Il progetto è una sperimentazione gestionale pubblico/privato tra l’Azienda Ospedaliera di Desenzano del Garda e la Società Cooperativa Sociale Onlus IL GABBIANO, finalizzata all’attivazione di una Comunità destinata ad ospitare 17 soggetti (uomini e donne) con patologie psichiche invalidanti che necessitano di un trattamento riabilitativo prolungato; il partner pubblico garantisce: La Direzione Scientifica; Le funzioni di programmazione/ indirizzo e controllo; Le attività formative. 62 La Cooperativa Il Gabbiano è soggetto accreditato ed è titolare della gestione della struttura. L’edificio della Comunità Protetta è disposto su tre piani ed è dotato di un ampio giardino. Le stanze sono arredate e attrezzate secondo un modello di tipo domestico, funzionale a tutte le esigenze di vita quotidiana; vi sono ampi ambienti comuni a disposizione degli ospiti e dei visitatori e sono presenti inoltre locali destinati alle diverse attività ludico ricreative. La Comunità dispone di un terreno attiguo al giardino a disposizione per le attività florivivaistiche di orticultura e di allevamento di piccoli animali. La Comunità presenta i seguenti obiettivi: Operare una presa in carico complessiva dell’utente; Fornire pacchetti riabilitativi integrati e personalizzati che escano dalla dinamica della singola prestazione; Stimolare la partecipazione e il sostegno consapevole dell’utenza al proprio progetto riabilitativo; Assicurare sinergie di competenze attraverso l’attivazione della rete territoriale. Gli interventi riabilitativi si realizzano attraverso: Attività interne finalizzate alla realizzazione di un’esperienza di vita in struttura sociale complessa; Attività interne di laboratorio (decoupage, restauro, pittura, giardinaggio, allevamento e floricoltura); Attività esterne finalizzate alla socializzazione e all’integrazione nel contesto sociale locale; Attività esterne finalizzate all’attivazione di esperienze lavorative. Le proposte vengono integrate con le opportunità aggregative, culturali e ricreative, garantite dal territorio di appartenenza. Il personale garantisce attività e servizi alla comunità, con un lavoro sinergico e funzionale dell’equipe coordinata dalla Responsabile di Struttura e dal Direttore Sanitario, composta dalle seguenti figure professionali, ausiliari socio-assistenziali, addetti ai servizi generali, educatori e infermieri. 63 Il bisogno sempre più pressante di servizi mirati alla psichiatria, tesi a ridurre prima ed eliminare poi gli ospedali psichiatrici è stato colto dalla cooperativa Il Gabbiano la quale negli ultimi anni si è impegnata in un percorso di riflessione e ricerca, il cui obiettivo principale è quello di poter dare una concreta risposta ai bisogni del disagio mentale garantendo percorsi riabilitativi differenziati, attuabili, attraverso la permanenza, per periodi di tempo mediolunghi, in una Comunità Protetta ad Alta Assistenza. I destinatari sono, persone di entrambe i sessi dai 18 ai 65 anni, affette da psicosi o da disturbi del carattere grave e medio-grave, già in carico al servizio psichiatrico territoriale, necessitano di una residenzialità, a scopo terapeutico-riabilitativo. Non vengono accolti pazienti con problematiche di tossicodipendenza, sieropositività, epatite, HIV e patologie psicogeriatriche e oligofreniche. La comunità Protetta è nata con lo scopo, di creare/ricreare un contesto il più possibile simile alla famiglia, per quelle persone che hanno perso nel processo di istituzionalizzazione, il senso della relazione famigliare, ma che sono abituate a vivere in gruppo. In questi anni, la cooperativa ha intrattenuto un importante e significativo rapporto con le istituzioni del territorio, con Enti Locali ed Aziende Sanitarie che ha permesso una quotidiana evoluzione verso unità di offerte e servizi sociali sempre più qualificate. Il rapporto con tali soggetti istituzionali si sta ulteriormente rafforzando in una prospettiva di partnership volta alla collaborazione e all’individualizzazione dei bisogni che il territorio e la sua popolazione richiede e alla definizione non che alla realizzazione di interventi che soddisfino tale esigenze. La Comunità Protetta è rivolta a soggetti con patologie psichiatriche specifiche e/o patologiche ad esse correlate, valutandone all’ingresso il livello di autonomia residua. Esso trova realizzazione concreta, nella costruzione di una Comunità Terapeutico-Riabilitativa, deputata a realizzare programmi terapeutico riabilitativi a termine, per quei pazienti che richiedono una temporanea residenzialità in una struttura di tipo abitativo assistita 24 ore su 24. La capacità di accoglienza della struttura è di 20 posti. Il progetto si propone di recuperare e consolidare l’autonomia in ambito personale, relazionale, perseguendo una sempre maggiore integrazione con il territorio. All’interno di questo percorso teorico ogni soggetto si muove in un progetto individuale che tiene conto delle sue caratteristiche peculiari. In funzione di un iter costante di verifiche, il percorso riabilitativo può essere reversibile e continuamente riadeguato. Esso può avere la durata di un 64 massimo di 36 mesi. Dalle valutazioni emerse in seguito al periodo di osservazione iniziale (un mese circa), viene definito il progetto definitivo (ptr). 4.3 Aspetti funzionali e metodologici dell’intervento riabilitativo La riabilitazione è il processo per identificare e prevenire o ridurre le cause della disabilitazione e nello stesso tempo per aiutare l’individuo ad usare e sviluppare le proprie doti e capacità, acquisendo stima di sé attraverso i successi conseguiti nei ruoli sociali. Attraverso questo processo la persona viene aiutata a prendere coscienza delle limitazioni imposte dalla sua momentanea disabilità, con lo scopo di riportarla successivamente al massimo livello possibile di autonomia. Nell’ambito del disturbo psichiatrico grave e mediograve non c’è distinzione fra curare e riabilitare, perché si assume che malattia e disabilità siano reversibili. Se spesso si individuano strumenti diversificati per la cura e per la riabilitazione, ciò accade per una forma di determinazione culturale: in entrambi i casi il fine è il cambiamento del difficile rapporto fra individuo e ambiente. Se “cura”, in senso stretto, significa intervento sul mondo interno del paziente, ogni modificazione di questo interno potrà comportare una modifica anche nelle relazioni, nel comportamento e nei rapporti di realtà; così come ogni intervento del mondo esterno, compiuto per la messa in atto di una “riabilitazione”, potrà comportare modificazioni sul mondo interno del paziente. Si pone quindi la necessità di agire contestualmente e sincronicamente in entrambe le sfere. Di conseguenza l’intervento non ha più un obiettivo rigidamente definito (ad esempio: sintomatologico, relazionale, comportamentale) ma tende ad incidere su più ambiti, come: Consentire il proseguimento dello sviluppo della persona, svincolandola da forme rigide di comportamento e di relazione che la fanno soffrire e che provocano reazioni avverse da parte dell’ambiente. Perseguire la massima autonomia possibile ed espressività della persona. Aiutare la persona a sviluppare modelli di relazione e di comportamento non solo tollerabili, ma anche condivisibili da parte della stessa. Aiutare l’ambiente a sviluppare modelli di relazione e di comportamento non solo tollerabili, ma anche condivisibili da parte del paziente. 65 Collocare tali obbiettivi in un progetto globale di vita che non può essere né predeterminato e standard né deciso al di fuori della coscienza e dell’esistenza concreta della persona. Quando il percorso della malattia viene concepito in questo modo, come evento di esperienza, cambiano le aeree e gli strumenti della riabilitazione: essi diventano il rapporto internoesterno, la vita quotidiana, le relazioni, e vengono giocati non solo con attitudine pedagogica, ma anche come atteggiamento emotivo relazionale. La funzione della riabilitazione non è più né normativa né di contenimento, ma risiede nell’approntare un percorso reciproco di condivisione fra operatori, persona sofferente e comunità. La riabilitazione, dunque utilizza come campo operazionale e come strumenti di intervento la vita quotidiana, le relazioni, il rapporto fra mondo interno del paziente ed ambiente, strutturandosi come una funzione, che si può definire intermediaria. La funzione intermediaria consiste nel rendere accessibile al paziente il rapporto con la realtà esterna attraverso diverse modalità di relazione (accudimento, supporto, stimolo), che l’operatore cerca di strutturare sulla base della comprensione dei livelli di relazionalità via via conseguiti. Si tratta di allora di impostare un accompagnamento del paziente, talora materiale, comunque e sempre mentale, che rappresenta l’espressione di ruolo e dell’agire dell’operatore. La funzione intermediaria può essere vista come risultante di diverse componenti. L’accompagnamento materiale, inteso sia negli aspetti tutoriali di supporto, necessari in ragione delle particolari disabilità, sia nella presa di contatto dell’operatore con la realtà concreta in cui il paziente è collocato con le persone che vi fanno parte. La mediazione fra il paziente e l’ambiente, con cui egli interagisce con modalità che tendono ripetitivamente a confermare la sua identità di malato, stimolando negli interlocutori aspettative di comportamento deviante e provocando in questo modo reazioni avverse e rimandi retroattive in termini di disistima e di rifiuto. La funzione di “tener in mente” che consiste nel mantenere aperta la relazione terapeutica vera e propria in un tipo di setting mobile che possa contenere e al cui interno sia possibile elaborare l’emozioni che si attivano lungo tutto il percorso della riabilitazione: si tratta, in estrema sintesi di attualizzare una capacità professionale organizzativa, utile ad integrare tutto ciò che per il paziente non è possibile integrare e 66 che anzi un insieme di esperienze e di relazioni plurime tende a mantenere confuso e scisso. Le fasi del processo riabilitativo possono essere così riassunte: In una prima fase il lavoro dell’educatore è finalizzato a conoscere la realtà del paziente ed a costruire la relazione. La personalizzazione del rapporto è preminente rispetto al luogo in cui ciò avviene e a ciò che si fa nel concreto. In una fase successiva si vanno costruendo rapporti e relazioni che hanno il significato o la potenzialità di esperienze condivise. Il lavoro si sviluppa in spazi fisici con modalità che contano l’esplicarsi della funzione intermediaria il più possibile in rapporto con la privatezza della vita quotidiana: le razioni informali all’interno della rete ristretta del gruppo, la ricostruzione delle scansioni temporali significative della giornata, il lavoro protetto, il gioco, le attività di svago. Nella terza fase si avvia il rapporto con la comunità allargata e la riabilitazione si svolge all’interno della complessità delle dinamiche sociali. L’elaborazione delle reazioni avverse e dei rimandi reciprocamente negativi fra paziente ed ambiente è possibile solo in una trama di rapporti reali all’interno di conflitti interpersonali e sociali della competizione, delle penurie e limitazioni imposte dalla realtà. L’operatore in questo momento funziona come supporto, come modello e compagno di un’esperienza di cooperazione; ma anche come mediatore per consentire l’acquisizione delle chiavi di lettura e di accesso alle modalità strutturali dell’organizzazione sociale. Gli obiettivi e le funzioni dell’intervento riabilitativo sono: FUNZIONE DI ACCOGLIENZA: Essa riguarda non soltanto l’atteggiamento comportamentale, ma anche la disponibilità emotiva a creare nella comunità un clima che consenta e favorisca negli ospiti un investimento affettivo ed approccio relazionale con gli altri ospiti e 67 con gli operatori, così da avvicinare gradualmente un sentimento di appartenenza che diventa riparatorio nei confronti della frammentazione psicotica della personalità. FUNZIONE RISOCIALIZZANTE PROTETTA: Favorisce il livello di relazionalità dell’ospite in un ambiente non ostile ed in grado di consentire l’espressione di sé anche attraverso linguaggi simbolici; essa inoltre costituisce un modello ed un paradigma per relazioni significative da realizzare all’esterno ed in situazioni non protette. FUNZIONE RISOCIALIZZANTE ALLARGATA: Essa mira a ripristinare nell’ospite la capacità di frequentare gli ambiti sociali del mondo senza in incremento intollerante dei livelli di ansia e di angoscia: tale funzione si realizza attraverso atteggiamenti progressivi, da parte degli educatori, che vanno dal tutoriale all’accompagnatorio, al responsabilizzante, e che si esprimono in situazioni sociali. FUNZIONE RIABILITATIVA ESSENZIALE: Essa riguarda il ripristino e/o lo sviluppo delle abilità di base, utile alla gestione del sé nel quotidiano: la cura della propria persona (pulizia/abbigliamento), gli elementi più semplici per la cucina dieteticamente corretta, l’uso del denaro e la fruizione dei pubblici servizi. FUNZIONE RIABILITATIVA OCCUPAZIONALE: Concerne l’acquisizione di un’idea, di una pratica del lavoro come arte, mestiere, guadagno, sostentamento e conseguentemente di una ri-motivazione al lavoro. 68 FUNZIONE RICREATIVA: Consente l’allontanamento da situazioni stressanti e sottoposte a stress in circolo vizioso: la funzione ricreativa intende restituire serenità all’ospite ed al suo ambiente di vita tramite una sospensiva reale e simbolica del loro rapporto. 4.4 Il progetto riabilitativo L’intervento terapeutico riabilitativo in comunità si colloca all’interno di un progetto globale individuato con il servizio psichiatrico territoriale, ne rispetto di un percorso orientativo che prevede diverse fasi: VALUTAZIONE INIZIALE ED AMMISSIONE PROGETTO INDIVIDUALE MONITORAGGIO E SISTEMA DI VERIFICA DEI RISULTATI Dopo la richiesta di ammissione, inoltrata dal servizio inviante, e la valutazione favorevole dell’equipe della comunità, il candidato ospite accede alla fase di presa di contatto con la struttura (visita alla stessa, iniziale conoscenza degli operatori e degli ospiti). Si procede quindi, verso la fase contrattuale, in cui, vengono esplicitate la domanda e l’offerta, e l’accesso alla struttura si concretizza. Dal momento dell’inserimento, viene dato inizio ad un periodo di osservazione (da 1 a 3 mesi), che consente di avere un quadro più approfondito della situazione dell’ospite; delle sue risorse, attitudini, abilità relazionali. Al termine di questo periodo, viene valutata la presa in carico del soggetto e quindi la stesura del progetto individuale. 69 Il progetto individuale viene steso dall’equipe della comunità, in collaborazione con l’equipe del servizio inviante. Ogni paziente, durante tutto il periodo di soggiorno, mantiene i rapporti di cura già avviati, sia di tipo psichiatrico, che psicoterapico, e con tutte le agenzie sociali del proprio territorio di appartenenza. Il progetto individuale è inteso in un’ottica assolutamente dinamica, parte da obiettivi generali ed indicativi e tende alla formulazione di altri obiettivi, sempre più specifici ed affinati, via via che si approfondisce la conoscenza. Durante la fase di osservazione e durante tutto l’iter riabilitativo, sono previsti momenti di verifica, relativi all’andamento del progetto individuale fra: Operatori della comunità Operatori della comunità e operatori di riferimento esterni alla struttura. Asse portante dell’intervento terapeutico-riabilitativo è costituito dal “lavoro sulla quotidianità”. L’intero complesso delle interazioni interpersonali in seno al gruppo, è volto alla responsabilizzazione ottimale individuale, nell’abitare lo spazio e nell’organizzazione del tempo. Ogni specifica situazione di vita quotidiana costituisce occasione di acquisizione di competenza sociale, in modo da aumentare le probabilità di successo individuale, rispetto ai propri bisogni ed alle richieste ambientali. Le attività si suddividono in tre grandi aree: ATTIVITA’ RIVOLTE AL RAGGIUNGIMENTO/POTENZIAMENTO DELL’AUTONOMIA: GESTIONE DEL QUOTIDIANO ERGOTERAPICHE 70 ATTIVITA’ DI TEMPO LIBERO Ogni momento del progetto personalizzato del paziente, presso la comunità riabilitativa psichiatrica, è accompagnato da continue osservazioni, finalizzate a continui riadattamenti del progetto stesso. Gli strumenti di osservazione di cui si avvale la comunità possono essere raggruppati in due categorie: SCHEDA INFORMATIVA GENERALE, che viene consegnata al servizio inviante, al momento della richiesta di inserimento. Essa rappresenta un primo elemento conoscitivo del candidato ospite, che mira a fornire indicazioni riguardanti: La storia del paziente L’anamnesi famigliare L’anamnesi sociale Il livello di autonomia del paziente Valutazione diagnostica: sanitaria e psichiatrica. Inoltre, al servizio inviante, vengono richieste la motivazione della richiesta di inserimento presso la comunità. Scheda di osservazione specifica, ad uso dell’equipe della comunità, per attuare una conoscenza approfondita rispetto al paziente e costruire/verificare il progetto individuale: La scheda di osservazione, analizza varie aree: AREA CURA DI SE’ E CURA DELL’AMBIENTE AREA AUTOGESTIONE AREA DELLA SOCIALIZZAZIONE 71 AREA DELLA COMUNICAZIONE AREA DEI COMPORTAMENTI AREA DEGLI AFFETTI DENTRO CASA FUORI CASA ATTIVITA' RIVOLTE AL RAGGIUNGIMENTO/POTENZIAMENTO DELL'AUTONOMIA: GESTIONE DEL QUOTIDIANO 1) Cura della propria persona, degli abiti, degli oggetti 1) Educazione sanitaria personali (consegna e utilizzo dei servizi sanitari) 2) Attività domestiche (pulizia ed uso appropriato 2) Utilizzo dei servizi dell'ambiente in cui l'ospite vive, attività di cucina, gestione pubblici mensa, gestione spesa) 3) Educazione sanitaria (gestione della terapia) 3) Partecipazione attività al territorio ATTIVITA' ERGOTERAPICHE Attività occupazionali Attività occupazionali Attività espressive: pittura, ceramica, arte terapia Attività espressive Attività psicomotorie: piscina, palestra ORTOCULTURA Attività di tempo libero (dentro la casa) Attività di tempo libero: Gite Partecipazione a momenti ricreativi, feste, cinema, manifestazioni 72 4.5 Gli attori esterni e interni alla comunità L’attore esterno alla comunità è il servizio inviante, il quale mantiene la titolarità della presa in carico terapeutica, in particolare dal punto di vista sanitario. Sono previsti momenti di lavoro in collaborazione fra l’equipe della Comunità ed i servizi invianti. Con essi l’equipe della Comunità concorderà gli inserimenti dei candidati ospiti, oltre che alla definizione degli obbiettivi prioritari, rispetto ai progetti personalizzati degli stessi. Rispetto, alla richiesta di inserimento di un paziente, presso la Comunità, verrà chiesto al servizio inviante di fornire una serie di osservazioni, rispetto all’intervento attuato nei confronti del candidato ospite, fino al momento della richiesta, attraverso una relazione. Inoltre verranno concordati momenti di verifica, sia intermedi, rispetto cioè all’andamento del progetto individuale, che finale, qualora si ritenesse ultimato il processo terapeutico riabilitativo presso la Comunità, al fine di poter garantire una concreta continuità all’intervento. L’organizzazione della Comunità Riabilitativa Psichiatrica è formata da: il responsabile il quale concorda e decide la distribuzione dei compiti e dei carichi di lavoro, definisce le priorità di lavoro, coordina e supporta l’avvio operativo delle funzioni, verifica i risultati; il direttore sanitario, supporta e monitorizza l’andamento quotidiano del progetto, garantisce le azioni di problem-solving, quando non trovano soluzione nelle autonomie degli operatori, gestisce i piani di lavoro e le conseguenti variazioni, presiede e partecipa alle riunioni d’equipe, in cui si verifica l’andamento del progetto e si adottano soluzioni migliorative, partecipa alla selezione, partecipa agli incontri con le istituzioni esterne, con cui interagisce in merito al progetto, è il responsabile del personale, della logistica e dell’organizzazione generale, presiede i rapporti con la famiglia rispetto al programma; il direttore amministrativo il quale organizza e pianifica le procedure, gli strumenti e il controllo amministrativo del progetto, presidia la gestione ordinaria ed approva la gestione straordinaria in accordo con il responsabile, formula il budget ed il bilancio; lo psichiatra struttura e supervisiona la gestione terapeutica del progetto di inserimento, interloquisce tecnicamente con i servizi invianti circa i casi inseriti, attua la selezione dei candidati ospiti in accordo con il direttore, interviene nei rapporti con la famiglia e in merito ai risvolti terapeutici, garantisce una corretta gestione della terapia e partecipa all’equipe di direzione; l’educatore professionale collabora alla gestione dei progetti educativi, collabora la gestione domestica della casa, programma organizza e gestisce le attività della casa; l’infermiere professionale 73 garantisce la gestione terapeutica quotidiana, collabora la gestione domestica della casa, collabora al raggiungimento degli obiettivi dei progetti individuali; l’assistente ausiliario collabora al raggiungimento degli obiettivi dei progetti individuali, collabora alle attività domestiche, organizza la logistica della casa; il volontario pianifica il suo intervento dentro il programma delle attività, qualificando e facilitando il compito degli operatori, produce connessioni con i gruppi di volontariato del territorio. 4.6 La famiglia del progetto Comunità riabilitativa psichiatrica Pur essendo; il paziente psichiatrico dell’intervento, la comunità considera l’insieme dei legami famigliari come rete di soggetti che incide profondamente (problema/risorsa) nella fattibilità della buona riuscita riabilitativa, quindi anche i famigliari possono assumere un ruolo, un obiettivo ed un percorso parallelo, ovviamente quando le premesse situazionali lo permettono. Nella logica della massima valorizzazione delle risorse presenti e potenziali, la famiglia è una risorsa che richiede di essere prevista, strumentata e supportata. Nella fase di screening iniziale vengono raccolte le informazioni riguardanti la famiglia utilizzando sia i dati formali esistenti, sia i resoconti dei testimonial esistenti, secondo il seguente schema: Dati anagrafici dei conviventi (data di nascita, titolo di studio, professione, grado di parentela con il candidato). Struttura del nucleo famigliare convivente, oltre al sistema parentela più prossimo. Di quest’ultimo distinguendo le persone costantemente in frequentazione con il candidato ospite, da quelle più lontane, sempre per criterio di frequentazione. Sintesi del ciclo di vita del nucleo convivente (nascita, morti, unioni, separazioni ecc.) Ruoli e funzioni assunte dai membri della famiglia rispetto alla storia della malattia del candidato, sia dal punto di vista storico che attuale. 74 Livello e tipologia di motivazione alla collaborazione (chi, quanto e come), nel processo di riabilitazione in previsione dell’accoglienza nel progetto COMUNITA’ RIABILITATIVA PSICHIATRICA. Individuazione di un referente che funga da interfaccia comunicativa tra la famiglia ed il direttore del progetto COMUNITA’ RIABILITATIVA PSICHIATRICA. Per quanto sostenuto in premessa, la struttura residenziale (progetto COMUNITA’ RIABILITATIVA PSICHIATRICA), non attua una vera e propria presa in carico del sistema famigliare, ma nella peculiarità d’ importanza che gli viene attribuita definisce con essa gli ambiti di collaborazione, comunicazione e scambio possibili. In pratica il progetto riabilitativo personalizzato espliciterà e dettaglierà il ruolo, i compiti e le modalità di verifica dei membri della famiglia disposti a collaborare. Per loro la struttura residenziale garantirà la comunicazione, l’ascolto e la disponibilità al Counseling. Per contro chiederà la possibilità di concordare e verificare l’esito delle azioni dei familiari, inerenti il progetto, precedentemente concordate. In presenza di famigliari disposti a collaborare stabilmente con il progetto, la struttura, in accordo con i servizi territoriali di riferimento, attuerà i supporti necessari, ad orientare un processo collaterale di comprensione, adattamento, e preparazione dell’eventuale riaccoglienza dell’ospite alla fine del progetto. E’ da ipotizzare la possibilità della formazione di un gruppo di famigliari in affiancamento alla vita della struttura residenziale, facilitato da un operatore secondo gli orientamenti metodologici del self-help. Nel caso in cui si riscontrasse il bisogno, la volontà e la possibilità di una presa in carico di tipo terapeutico della famiglia, l’intervento sarà dei servizi territoriali di riferimento. Il ruolo della famiglia dapprima succedaneo ed esterno potrebbe trasformarsi in centrale ed interno nell’ipotesi dell’evoluzione del progetto personalizzato verso il graduale rientro in famiglia dell’ospite. 75 L’intervento formativo sugli operatori nella Comunità Psichiatrica è permanente è così organizzato: Incontri settimanali di analisi e verifica dei casi, fra gli operatori, lo psichiatra ed il direttore della comunità. Riunioni a cadenza quindicinale in assetto Balint.43 (gestiti dallo psichiatra della comunità) Incontri di supervisione Incontri di supervisione/analisi dei casi, attraverso l’utilizzo della cinepresa. Nozioni di base di: - Tecniche riabilitative - Psicoterapia - Farmaco terapia 4.7 Progetti all’interno della Comunità “Il Gabbiano”: teatro espressivo e Gabbiano Lavoro Le attività espressive in riabilitazione psichiatrica sono tecniche di intervento in cui il medium della relazione non è la parola ma la forma artistica, che può essere: l’arte visiva, il teatro, la danza, la musica. Queste tecniche possono essere di gruppo o individuali e possono essere utilizzate con finalità psicoterapeutiche ma anche in programmi riabilitativi. L’arte terapia è frequentemente applicata in ospedali o day-hospital psichiatrici, centri diurni, comunità, scuole. È rilevabile, infatti, l’utilità dell’arte terapia anche in campo educativo perché può fornire una dimensione introspettiva che a volte manca nell’educazione, la quale tende a 43 Gruppo Balint: è gruppo che si propone di migliorare le capacità dei medici di utilizzare con i pazienti la relazione interpersonale come fattore terapeutico. Due ipotesi principali: il medico stesso è il farmaco principale che viene somministrato al paziente, nel rapporto tra paziente e medico si possono produrre sofferenze ed irritazioni inutili, che Balint si è reso conto essere evitabili laddove il medico divenga maggiormente in grado di ascoltare e comprendere ogni paziente nella sua singolarità, entrando in relazione con lui in modo più consapevole del fatto che anche la loro relazione è parte sia dell’atto diagnostico sia dell’atto di cura. 76 valorizzare quasi esclusivamente le abilità cognitive. L’arte terapia può essere utile agli insegnanti per valutare in modo globale gli studenti, per migliorare la comunicazione e la socializzazione. Il gruppo rappresenta una situazione privilegiata in quanto, anche se la produzione artistica resta un’esperienza individuale, permette una sorta di condivisione e si crea la sensazione di conoscere ed essere conosciuti profondamente. L’estrema flessibilità delle tecniche e adattabilità a contesti diversi è uno dei motivi della diffusione dell’arte terapia. Tuttavia i limiti sono la mancanza di criteri comuni per la valutazione e gli inserimenti dei pazienti che avvengono per lo più in modo aspecifico in mancanza d criteri oggettivi. Sotto l'etichetta "espressive" si raccolgono un ampio e diversificato insieme di attività, accomunate dalla possibilità di ognuna di consentire al partecipante di esprimere una parte di sé e della propria individualità. L'esempio paradigmatico è probabilmente quello del laboratorio teatrale, dove il singolo ospite ha la possibilità di interpretare un ruolo secondo le sue possibilità di espressione, le sue particolarità, le sue idiosincrasie. Esprimere sé stessi è importante per tutte quelle persone che, a seguito della propria disabilità, si vedono costrette ad una ridotto grado di partecipazione globale. Le attività sotto indicate vengono svolte dal mese di settembre a quello di giugno, con interruzione per la pausa estiva. LABORATORIO TEATRALE 1 Cos’è: è un’attività espressiva dove, accanto ad esercizi propedeutici di carattere ludico, motorio ed espressivo, si provano dei veri e propri spettacoli, da portare effettivamente in scena; sono possibili numerose occasioni di socializzazione, anche con persone non legate al mondo della disabilità. Cosa si fa: nel caso dell’allestimento di un nuovo progetto, si inizia con esercizi mirati a migliorare le rappresentazioni dello spazio contestuale ed in relazione al corpo, la consapevolezza di sé, l’interazione con il gruppo, il contatto fisico, la gestualità e l’intimità; in seguito si sperimentano giochi ed esercizi, evolventi verso prove effettive dello spettacolo che verrà posto in essere e rappresentato pubblicamente. A cosa serve: il teatro costituisce un’importante occasione per il partecipante di esprimere elementi della propria personalità ed individualità, riconosciuti dalle altre persone all’interno del contesto espressivo; consente la sperimentazione di stili e modelli interazionali non presenti nel repertorio comportamentale del soggetto o non espressi nel suo abituale ambiente di vita; alimenta il senso di autoefficacia ed autostima, in seguito all’altrui apprezzamento della realizzazione concretizzata. 77 LABORATORIO TEATRALE 2 Cos’è: è un’attività espressiva caratterizzata da un insieme di giochi ed esercizi finalizzati all’apprendimento di elementi utili per successivi allestimenti teatrali. Cosa si fa: dopo un’iniziale fase di rilassamento in silenzio gli ospiti eseguono esercizi sul rapporto spazio/corpo, sul contatto fisico con gli altri, esercizi che prevedono l’utilizzo di vari oggetti; in seguito vengono eseguite le prove di uno spettacolo in effettiva fase di allestimento. A cosa serve: il teatro costituisce un’importante occasione per il partecipante di esprimere elementi della propria personalità ed individualità, riconosciuti dalle altre persone all’interno del contesto espressivo; consente la sperimentazione di stili e modelli interazionali non presenti nel repertorio comportamentale del soggetto o non espressi nel suo abituale ambiente di vita; alimenta il senso di autoefficacia ed autostima, in seguito all’altrui apprezzamento della realizzazione concretizzata. Il tema del lavoro è centrale per la riabilitazione psichiatrica sia da un punto di vista storico (è stata la prima forma terapeutica adottata nei confronti di pazienti psichiatrici) sia per le prospettive attuali. Nel primo dopoguerra venne introdotto negli ospedali psichiatrici il concetto di ergoterapia, consiste nel tenere occupata la mente del paziente con attività legate alla realtà. La terapia occupazionale, diffusa soprattutto negli USA, presenta finalità strettamente terapeutiche, rivolte al recupero e all'inserimento del paziente tramite il lavoro. Ci sono 4 tipi di terapia occupazionale: 1) mirata all'inserimento del paziente in un lavoro normale, 2) l'accento è posto più sulla socializzazione attraverso il lavoro che non sui risultati, 3) di formazione che consentono al paziente di accedere ad un primo lavoro, 4) si fa attenzione sia alla socializzazione sia alla performance. Attualmente negli USA sono diffusi due modelli di preparazione all'inserimento lavorativo: i Transitional Employment (lavori transitori, a termine, di proprietà dell'agenzia che cura il programma, con un inserimento a rotazione dei pazienti) i Supported Employment (lavori protetti: inserimento in un lavoro competitivo di almeno 20 ore alla settimana, un contesto integrato di lavoro e un supporto comunicativo). I buoni risultati ottenuti da alcuni di questi programmi sono attribuibili in prevalenza a persone solo lievemente disabili. Del resto esistono delle difficoltà oggettive per l'inserimento lavorativo dei pazienti schizofrenici: deficit cognitivi riguardanti le aree dell'attenzione, della concentrazione e della memoria e difficoltà relazionali ad accettare i rapporti di gruppo gerarchici. Ad esempio da molti studi è risultato che i neurolettici hanno una ripercussione negativa sul funzionamento lavorativo. Tuttavia sono stati attivati dieci 78 programmi rivolti in particolare all'utenza psichiatrica, divisi in due fasi: pre-lavorativa (invio ai servizi di riabilitazione, valutazione del lavoro e adattamento al lavoro in laboratori protetti) e fase del collocamento (prevede la ricerca del lavoro, il lavoro e le fasi di inattività). In tutti i casi il problema principale è stato il passaggio da una fase pre-lavorativa a quella dell'inserimento vero e proprio. Attualmente il lavoro viene visto come l'obiettivo ultimo di ogni percorso riabilitativo. Zapparoli sottolinea la necessità di ricondurre alla clinica ogni progetto di inserimento lavorativo; spesso infatti gli operatori danno per scontato il desiderio e l'utilità di un programma lavorativo per dei pazienti che, forse, non ne sentono affatto il bisogno o lo percepiscono come una negazione violenta al loro malessere. Cerati parte dalla constatazione che l'inserimento lavorativo non ha di per sé un'efficacia sui sintomi psichiatrici produttivi, che anzi spesso vengono nascosti e controllati, per poi esplodere con più violenza a casa. La soluzione sembra essere il part-time con un adeguato supporto clinico, tale da permettere al paziente di convivere sia con la presenza di un mondo sociale integrato attraverso il lavoro sia con un mondo soggettivo delirante. In Italia la strada prediletta sembra quella del “privato sociale” considerando l'intervento delle cooperative sociali come produttrici di beni, ma anche di salute psichica. Bisogna inoltre tenere in considerazione le condizioni del contesto socioeconomico in cui ci si trova ad operare. Ad esempio in zone con una forte concentrazione di grandi industrie è più difficile trovare quelle nicchie di mercato in cui singoli pazienti possono inserirsi. Numerosi ospiti della cooperativa protetta al alta assistenza il Gabbiano possono durante il loro percorso riabilitativo se in possesso di tutte le loro facoltà e anche terminato tale percorso entrare a far parte nella cooperativa sociale Gabbiano Lavoro. Il gruppo Gabbiano, infatti ha provveduto a creare una cooperativa sociale di tipo B (ai sensi art. 1 lettera B) l.381/91 chiamata Gabbiano Lavoro la quale ha lo scopo di inserire lavorativamente persone svantaggiate. L’ “oggetto sociale” di Gabbiano Lavoro comprende un’ampia gamma di attività, tra cui le pulizie civili e industriali, i servizi di ristorazione e gestione mense e attività produttive. Essa si è prefissata le seguenti finalità: 1) Creare occasioni di lavoro stabile e remunerativo 2) Promuovere l’integrazione lavorativa di persone a rischio di esclusione ed emarginazione sociale 3) Accompagnare soggetti svantaggiati nel reinserimento nel mercato del lavoro Le attività finora svolte sono state le seguenti: 79 - Servizio di pulizia - Servizio di portineria - Servizio di lavanderia - Produzione di assemblaggi plastici - Pulizia degli uffici - Trasporto - Cucina - Accompagnamento - Manutenzione stradale - Manutenzione degli immobili - Manutenzione del verde - Tinteggiatura - Creazione di impianti di irrigazione Ciò è stato possibile grazie alla collaborazione tra la cooperativa, consorzio tenda, inserimento lavorativo territoriale (NIL), NOA (Sert), CPS. La tipologia di lavoratori assunti comprende: invalidi fisici e sensoriali, invalidi psichici, pazienti psichiatrici ed ex degenti in istituti psichiatrici, minori in età lavorativa in situazioni di difficoltà famigliari, handicap intellettivo. Le attività si svolgono parte all’interno delle strutture della cooperativa il gabbiano e in parte presso ambienti esterni di proprietà dell’ente committente (all’interno del CPA durante il tirocinio ho assistito all’attività di cablaggio, mentre altri ospiti si recavano in ditte esterne a compiere le pulizie, piuttosto che il servizio di stiratura e riordino presso la casa di riposo) Colloquio dei responsabili sociali con gli enti invianti per una prima conoscenza dei potenziali soggetti da inserire; Analisi interna alla cooperativa sulla disponibilità ad inserire un lavoratore svantaggiato; 80 Colloquio conoscitivo con il candidato; Individuazione del tutor; Realizzazione del progetto di inserimento lavorativo in funzione delle attitudini del soggetto e degli obiettivi che si possono individuare; Assunzione del candidato ed avvio del percorso di inserimento con l’affiancamento del tutor; Incontri periodici di verifica tra il tutor ed il responsabile sociale; Relazioni con l’ente inviante circa l’andamento del percorso di inserimento; Coinvolgimento del lavoratore ai momenti di incontro di tipo organizzativo o formativo. Il percorso si intende concluso quando sono stati raggiunti gli obiettivi individuati nel progetto in termini di capacità lavorative, di apprendimento e di produttività, di tenuta lavorativa, e di autonomia relazionale. 4.8 Esperienza di tirocinio presso la Comunità Protetta ad alta assistenza “Il Gabbiano” Il tirocinio formativo del secondo anno del corso di studi in educatore professionale sanitario, ho deciso di svolgerlo presso la comunità protetta ad alta assistenza il gabbiano dal mese di Febbraio al mese di Luglio 2012. Per un totale di 225 Ore. La mia turnazione settimanale comprendeva i seguenti orari: dalle 9 alle 16 o dalle 15 alle 20. In quanto tirocinante il mio compito è stato quello in primo luogo di osservare i pazienti, l’ambiente, le attività riabilitative e le attività dell’equipe la quale era composta da: un direttore sanitario, due psichiatri, quattro infermieri, quattro educatori, quattro ausiliari socio assistenziali. 81 Inoltre prendevo parte attivamente alle attività quotidiane proposte previste dalla struttura con il fine di favorire l’autonomia dei pazienti attraverso strumenti terapeutici e riabilitativi. Le attività all’interno della comunità consistevano prevalentemente: nella cura degli spazi propri e comuni, cura del sé, giardinaggio, decoupage, restauro, pittura, allevamento, lezioni di alimentazione e di problem-solving, lavori manuali artigianali, visione di un film accompagnati da un educatore con conseguente dibattito e riflessione, libere attività quali l’uso del computer, ascolto della musica, gioco delle carte. Inoltre vi erano attività che prevedevano per i pazienti con un maggiore grado di indipendenza un’uscita al giorno di circa un’ora da soli oppure per i pazienti maggiormente in difficoltà era prevista un’uscita o una gita organizzata il sabato e la domenica con l’educatore presso centri commerciali, parchi naturali, centri storici da visitare. In particolare ho assistito in gruppi da quattro o cinque pazienti con l’educatore alle seguenti uscite: visite ed acquisti presso il centro commerciale Verolacenter, questo per stimolare i pazienti a stare in mezzo alle persone in contesti non protetti, comportandosi adeguatamente, ad utilizzare il denaro in autonomia spendendolo per il soddisfacimento innanzitutto dei bisogni primari; visita della città di Cremona; visita della città di Orzinuovi; visita dell’antico paese di Padernello con visita guidata del castello recentemente ristrutturato questo per stimolare l’interessa, la curiosità e sensibilità verso la cultura e l’arte. Giornalmente al cambio dei turni avveniva lo scambio di consegne tra operatori al quale assistevo, durante il quale vi era uno scambio di informazioni riguardante ciascun paziente. Ogni quindici giorni era prevista una riunione condotta dallo psichiatra responsabile della struttura alla quale prendevano parte tutti gli operatori (educatori, infermieri, a.s.a.) durante la quale si discuteva dei vari pazienti con un particolare riguardo per quelli nuovi e per “i casi difficili”. Durante il tirocinio ho avuto l’incarico di accompagnare alcuni ospiti nelle loro uscite quotidiane in particolare ho seguito un’utente nell’ acquisto dei mobili in previsione dell’uscita dalla comunità e del conseguente inserimento in un appartamento in affitto. Il tirocinio mi ha dato la possibilità di conoscere meglio da vicino gli ospiti, le differenti patologie, le differenti reazioni, rispetto alla medesima diagnosi, al differente comportamento tra coloro che erano assistiti dalla propria famiglia e coloro che erano rimasti soli o non avevano più contatti con la propria famiglia. Nel primo caso infatti vi era la possibilità di trascorrere il week end con i rispettivi coniugi o famiglie di provenienza e ciò favoriva al loro rientro un atteggiamento più positivo mentre nel secondo caso la solitudine aumentava le loro angosce. Vi era inoltre un gruppo chiamato “cento passi” che prevedeva una uscita a piedi quotidiana per il paese ad un passo sostenuto. 82 Il camminare infatti favorisce lo sviluppo di alcune competenze quali: Orientamento al risultato Teamworking Teamreadership Capacità di adattamento Autocontrollo Fiducia in se stessi 4.9 Analisi di un caso Durante il mio tirocinio, che è stato di osservazione e di supporto agli educatori ho seguito in particolar modo una signora che mi ha suscitato molta tenerezza. E’ una bella signora si teneva e si vestiva bene, e mi ha colpita quando nel conoscerci mi ha dato del LEI, ed io gli ho detto che doveva darmi del TU. Al di là delle presentazioni lei era una signora molto insicura, aveva paura un po’ di tutto, era un dramma quando le si chiedeva di uscire a fare una passeggiata in paese, lei non voleva mai. Anche per fare altre cose aveva bisogno di essere incoraggiata, anche perché diceva di avere sempre dei dolori o dei giramenti di testa, ma avendola conosciuta erano solo paure. Allora con degli incoraggiamenti e offrendogli un braccio dove potersi attaccare si alzava e faceva quello che gli chiedevi. La sua malattia diagnosticata è disturbo di personalità e distimia che è una forma di depressione cronica. La Signora quando ho fatto il tirocinio era stabile, ed abbastanza autonoma al punto di concludere il percorso all’interno della comunità. Lei a riguardo si sentiva timorosa di doversi trasferire in un altro paese, di cucinare, dormire e di stare sempre da sola, anche se seguita da sua figlia, che era l’unica risorsa che aveva. 83 Un giorno mi chiesero se avevo voglia di accompagnarla a vedere i prezzi dei mobili che aveva visto lei in precedenza in un negozio; e la accompagnai, e nel tragitto parlammo del fatto che avesse paura di stare sola, ma la rassicuravo dicendogli che non sarebbe stata sempre sola perché sua figlia la sarebbe andata a trovare, e gli amici della comunità la sarebbero andati a trovare, e uscendo di casa andando per esempio al mercato e al bar si faceva nuove amicizie. Le attività che faceva all’interno della comunità erano essenzialmente di mantenimento della casa, di modo che si abituasse a stirare, a lavare, a cucinare da sola. Lei è molto brava, con i suoi tempi ma le cose le faceva bene, dopo avergliele spiegate precedentemente. Secondo me le cose che mancano a persone come Lei, sono quelle attività di intrattenimento, quelle attività per passare del tempo assieme ai compagni e per fare qualcosa di divertente, che magari non hanno mai fatto, come i laboratori creativi dove fanno dei lavoretti, cose che magari quando abiteranno da soli non fanno, e servono anche per accrescere una passione e per sviluppare le abilità manuali fini. Riassumiamo ora il piano terapeutico riabilitativo del caso preso in considerazione. M. è stata presa in carico dal CPS di Leno (con il quale si hanno incontri di verifica periodici) che ha provveduto a inserire l’utente presso il CPA Gabbiano, in quanto le è stato diagnosticato ICD 10, F25 riassumibile come disordine schizo-affettivo di tipo maniacale. L’utente è stata inserita il 28/12/09 e il PTR preso in analisi è del 7/01/2012. Gli obiettivi dell’intervento previsti sono: - Consolidamento quadro clinico mediante adeguata terapia psicofarmacologica - Valutazione ed eventuale incremento delle autonomie - Valutazione e gestione dei problemi sociali - Interventi finalizzati al mantenimento della critica di malattia, della compliance al trattamento. - Attivazione di iniziative riabilitative individuali e di gruppo finalizzate al recupero di abilità relazionali e di funzionamento sociale - In atto la pratica per la nomina di un amministratore di sostegno Ad un’osservazione delle problematiche relative alle diverse aree è stato scritto quanto segue: 84 1) Area della cura del sé/ambiente: la paziente presenta discreta autonomia nella quotidiana cura della persona, più adeguata rispetto ai primi mesi in merito alla cura dello abbigliamento. Per quanto riguarda la cura dei propri spazi e di quelli comuni ha discrete capacità necessita però di direttive in quanto insicura rispetto all’organizzazione. Ha in atto obiettivi in tal senso. Si rileva la tendenza ad andare in ansia di fronte alle difficoltà ed in generale un basso grado di autostima. Da tempo si rileva in una di minore difficoltà nell’affrontare la quotidianità e ciò le fa vivere con meno ansia anche i piccoli possibili disagi della giornata. Attualmente l’ospite lavora al mantenimento degli obbiettivi raggiunti. 2) Area della competenza relazionale: la paziente presenta discrete relazioni interpersonali sia verso gli operatori che verso gli utenti. Non manifesta interessi per ampliare le relazioni al di fuori della comunità. Buona la relazione con che manifesta con i figli. In atto obiettivi in tal senso. Firmato accordo di separazione consensuale con il marito. Partecipa volentieri alle uscite di gruppo, e si mantiene propositiva anche per quelle individuali. Positiva l’esperienza vissuta a settembre al mare con ospiti e operatori della CPA. 3) Area della gestione economica: la paziente ha capacità di pianificare le spese elementari ed ordinarie. E’ stata nominata la figlia in qualità di amministratore di sostegno. 4) Area delle abilità sociali: permane comunque grave il deficit nelle aree di base del funzionamento globale, compromette la capacità di organizzazione degli aspetti sociali. Obiettivi in tal senso non in atto. Interventi previsti: Gli interventi previsti sono: colloqui psichiatrici e farmacoterapia, interventi riabilitativi. Per quanto riguarda la cura del sé si monitora e si sollecita l’igiene personale e cura dell’abbigliamento, per quanto riguarda la cura della salute fisica si è stimolata la partecipazione all’utente al gruppo cento passi e ginnastica dolce. Per quanto riguarda la cura degli spazi comuni si è invitato l’utente al gruppo cura spazio di vita. L’utente è stimolata ed invitata alla partecipazione di gruppi di gestione giornaliera e settimanale, gruppi di conoscenza del territorio ed uscite ludico ricreative. Per quanto riguarda la partecipazione della vita famigliare l’utente esprime una buona relazione con i figli mentre per quanto riguarda la separazione con il marito vengono previsti colloqui riguardanti tale vissuto 85 traumatico. Per quanto riguarda la gestione economica l’utente ha un’adeguata attribuzione del valora al denaro mentre per la gestione degli acquisti personali viene monitorata attraverso colloqui. 86 Conclusioni Siamo giunti al termine di questo percorso universitario, fatto di studio e di tirocini, di confronto con i docenti e con i colleghi, di osservazione e di contatto con gli ospiti, utenti, pazienti, ma prima di tutto persone che hanno contribuito a far crescere in me una maggiore consapevolezza e sensibilità allo stesso tempo, rispetto al compito, al ruolo e all’importanza, che la figura dell’educatore professionale sanitario assume, oggi più che mai, in una società sempre più complessa, multiculturale, multirazziale. Siamo partiti dal fornire una panoramica, di qual è stato l’approccio dell’essere umano nelle prime civiltà occidentali rispetto alla malattia mentale, per giungere ai giorni nostri dando un particolare risalto alla riforma Basaglia. Nel secondo capitolo abbiamo tentato di fotografare, quella che è l’offerta in campo sanitario e socioassistenziale, analizzando la situazione nella regione Lombardia. In seguito ci siamo addentrati nella figura che l’educatore incarna da un punto di vista legislativo, passando per le competenze e situandolo nelle comunità protette dove il lavoro quotidiano è a stretto contatto con persone affette da patologie psichiatriche. Il quarto capitolo ha calato quanto precedentemente descritto, nella realtà di una piccola Comunità Protetta ad Alta Assistenza, situata nella mia zona di residenza presso la quale ho svolto il tirocinio. È infatti tale esperienza che ha suscitato in me il desiderio di approfondire attraverso questo elaborato, il ruolo e l’importanza che l’educatore ha all’interno di questa tipologia di strutture, convinta che la cultura pedagogico educativa, come sostengono Barbara Gizzi e Veronica Neri, in un capitolo pubblicato dal sito dell’Associazione Nazionale Educatori Professionali44, debba essere messa al centro rispetto alla sanitarizzazione dei servizi. Nell’articolo viene infatti determinata la situazione odierna, in cui si sta assistendo alla chiusura dei servizi educativi a favore di servizi assistenziali che non prevedono una relazione di matrice pedagogica, indispensabile al raggiungimento del benessere personale e collettivo. L’intenzione è quella di restituire “una visione dell’uomo sociale in prospettiva umanistica, 44 Cfr. B. Gizzi e V. Neri, Rimettere al centro la cultura pedagogico-educativa rispetto alla sanitarizzazione dei servizi, www.biblioanep.org, 16 Maggio 2011. 87 dove l’individuo è una forza attiva in una continua propensione all’autodeterminazione”45. Ciò sposta l’asse da un servizio volto esclusivamente ai luoghi del disagio, ad un servizio che parte dall’agio con lo scopo di fare prevenzione, in un mondo, come abbiamo più volte appurato, in cui vi è un aumento del disagio giovanile che sfocia nell’ aumentato afflusso presso strutture psichiatriche residenziali. Inoltre il lavoro dell’educatore sposta un altro asse, che è quello del prendersi cura e riconoscere lo stato di sofferenza, dato che come sostengono A. Kleinman, L. Etsenberg e B. Good46 alla biomedicina interessa prevalentemente individuare e trattare la malattia in questa forma biopatologica, provocando una conseguente insoddisfazione del paziente e della famiglia. È l’educatore quindi, che può ascoltare quello stato di sofferenza, andando al di là della concezione bio-psico-sociale, che differenzia il normale dal patologico, spostando il paradigma della salute mentale, che include la malattia all’interno delle possibili varianti della vita. Tale paradigma ci dice che vivere significa, sia ammalarsi, che tornare in salute. Un buon percorso riabilitativo prevede come sostiene Giovanni Rossi47 nel: dare libertà al pensiero di coloro che hanno una malattia mentale, i quali non avendo la mente libera (perché ingombrate dai sintomi) trovano sfogo; instaurare una relazione terapeutica in quanto le persone si definiscono nel rispecchiamento con gli altri, intervenire sul contesto cercando collaborazione, lavorare sia sulle capacità residue, che sull’apprendimento di nuove abilità, al fine di contribuire ad una rinnovata autonomia, evitando che il disagio si trasformi definitivamente in handicap. Lo scopo del servizio rimane quello di superare da un punto di vista strutturale e psichiatrico il problema dell’internamento, che non è stato del tutto superato. Vi sono alcune realtà territoriali, di comunità che hanno operato uno spostamento dalla psichiatria classica, a quella di comunità, al campo della salute mentale tra le quali troviamo oltre al caso di Mantova descritta da Giovanni Rossi, il caso della comunità Gabbiano. 45 M. Palumbo, M. Dondi, C. Torriggiani, La Comunità Terapeutica nella società delle dipendenze, Centro studi Erickson, Trento 2012, p. 46. 46 Cfr. A. Kleinman, L. Etsenberg e B. Good, Culture, illness, and Care. Clinical lessons from Anthropologic and Cross-Cultural Research, “Annals of Internal Medicine”, 1978, p. 251 – 258. 47 Cfr. G. Agnetti, A. Erlicher, Y. Kazepov, F. Lucchi, R. Radici, G. Rossi, Territori per la salute mentale, Manuale per la valutazione delle politiche di inclusione sociale, F. Angeli. Milano, 2008. 88 Come ha ben rilevato Carlo Battaglia (educatore da lungo tempo) nell’articolo intitolato “Contro le verità riabilitative in psichiatria”, alla fine sono i pazienti, utenti, le persone disagiate, malate, in difficoltà, che possono fare di noi dei buoni educatori, attraverso la parola e l’ascolto (atto elementare con cui riconosciamo all’altro la dignità di persona), i gesti quotidiani frutto d’amore48. 48 Cfr. C. Battaglia, “Ettore, che non aveva il “valore”, www.animazionesociale.gruppobabele.org. 89 Bibliografia - Salute, la psiche disturbi e terapie, RCS, Milano 2006. - Rabboni M., Etica della riabilitazione psichiatrica. Tensioni e prospettive nelle strategie di intervento, Franco Angeli, Milano 1997. - Tognetti Bordogna M., Lineamenti di politica sociale. Cambiamenti normativi e organizzazione dei servizi alla persona, Franco Angeli, Milano 2007. - Cfr Erwin Ackerknech, Breve storia della psichiatria, Massari Editore, Bolsena 1999. - Cfr L. Mosher, L. Burti, Psichiatria territoriale, Centro Scientifico Editore, Torino 2002. - Stefania Miodini e Maria Teresa Zini, L’educatore professionale, formazione, ruolo, competenze, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1992. - William A. Anthony, Mikal R. Cohen, Marianne Farks, Formazione e metodologia dell’assistenza in riabilitazione psichiatrica, Edizioni Fatebenefratelli, Milano 1988. - Sergio Ceretti o.h., Evoluzione dell’assistenza psichiatrica: assistenza e formazione presso l’istituto neuropsichiatrico Sacro Cuore Brescia. Edizioni Fatebenefratelli, Milano 1990. - L. Croce, M. Galeazzi, R. Pioli, Istituto s. Cuore Fatebenefratelli Brescia, La Comunità Psichiatrica come nuovo modello di assistenza al malato di mente, Milano 1988. - M. Palumbo, M. Dondi, C. Torriggiani, La Comunità Terapeutica nella società delle dipendenze, Centro studi Erickson, Trento 2012. - A. Kleinman, L. Etsenberg e B. Good, Culture, illness, and Care. Clinical lessons from Anthropologic and Cross-Cultural Research, “Annals of Internal Medicine”, 1978. - G. Agnetti, A. Erlicher, Y. Kazepov, F. Lucchi, R. Radici, G. Rossi, Territori per la salute mentale, Manuale per la valutazione delle politiche di inclusione sociale, Franco Angeli. Milano 2008. - Benedetto Saraceno, La fine dell’intrattenimento, manuale di riabilitazione psichiatrica, Etaslibri RCS Medicina, Milano 1995. 90 - Floriano Poffa, Formazione e ruolo dell’educatore professionale, Vita e pensiero, Milano 1993. - Alessandro Crescentini, Franco De Felice, Claudio Tonzar, L’educatore e la riabilitazione psichiatrica, L’integrazione professionale nelle Comunità terapeutiche, Carocci Faber, Roma 2004. - Alice Ronconi, L’educatore professionale in una nuova sfida di intervento territoriale psichiatrico: il C.A.R.T., Università degli studi di Milano 2010. - Maria Simion, L’educatore Professionale nella relazione con la persona affetta da disturbo schizofrenico, Università degli Studi di Ferrara 2010. - Stefania Carla Bonaventura, Educare la follia una sfida possibile, Università degli studi di Milano 2009. 91 Sitografia - www.gabbiano.it - www.somsart.it - www.istitutomedea.it - www.sanita.regione.lombardia.it - www.disinformazione.it/origini_psichiatria.htm - www.treccani.it/enciclopedia - www.anep.it - www.biblioanep.org - www.animazionesociale.gruppobabele.org 92 Ringraziamenti Trovare le parole adatte per ringraziare tutte le persone che mi sono state vicine in questi anni non è cosa facile. Il ringraziamento più vero, è per la mia grande famiglia, in particolare per i miei genitori: sono il mio esempio costante, coloro che non hanno mai smesso, e continueranno a credere in me e senza i quali non avrei potuto raggiungere questo traguardo. Coloro che mi hanno spronata a fare l’università ed incitata ad andare a Mantova a frequentarla. Ai famigliari, le mie nonne, che mi amano immensamente, ma che adesso non ci sono più, ma continueranno ad esserci dentro di me. Mi danno la forza ogni giorno, soprattutto oggi, in uno dei giorni più importanti della mia vita. Sono convinta che mi stanno guardando da lassù. Un ringraziamento va al mio fidanzato, che mi ha sostenuta, sopportata ed incoraggiata ogni giorno al mio fianco, e senza smettere un secondo di credere in me. Alla migliore amica, di sempre, che ha sempre creduto in me e che ha sempre saputo che potevo arrivare in vetta a qualsiasi montagna. Mi sosteneva, stava al mio fianco e sapeva farmi ridere anche nei momenti più difficili. Marta e Petra, alle amiche di sempre, conosciute alle superiori e che da allora non mi hanno più lasciata. A Natascia che mi ha sempre incoraggiata ad essere me stessa, ha creduto nelle mie capacità favorendo e stimolando la mia autostima e crescita. Al Professor. Benevelli per l’estrema disponibilità e aiuto. 93