Approfondimenti - Fondazione per la Sussidiarietà

Approfondimenti
David Cameron e le politiche
del nuovo Partito
Conservatore britannico
di Pierluigi Barrotta
Il nuovo Partito Conservatore
Dopo una serie di pesanti sconfitte elettorali, il Partito
Conservatore sembra essersi rilanciato sotto la guida di
David Cameron. Pur giovanissimo (è nato nel 1966) e
un outsider rispetto ai più esperti concorrenti, è riuscito a dare la sensazione di proporre idee nuove, di cui si
sentiva urgente bisogno di fronte al New Labour di Tony
Blair, capace di presidiare saldamente il centro politico.
In quale direzione si sta dunque muovendo il Partito
Conservatore britannico? Per rispondere alla domanda,
è forse opportuno partire dal lascito culturale e politico
di Margaret Thatcher.
Poche settimane prima delle elezioni politiche di quest’anno, suscitando non poco scandalo, Gordon Brown
aveva orgogliosamente dichiarato che il New Labour era
il vero erede della Thatcher. C’è qualcosa di sensato in
questa affermazione, in quanto il New Labour ha preso
atto della irreversibilità delle riforme della Thatcher e la
sua gestione dell’economia si è dimostrata sicuramente
positiva. Un sondaggio del «Daily Telegraph» ha rivelato
che Tony Blair è percepito come un uomo politico di
destra moderata, e un’antologia dedicata al pensiero
conservatore ha persino inserito Blair tra i grandi politici neoconservatori contemporanei1. In una situazione in
cui il thatcherismo appare un lascito culturale condivi-
so, Cameron ha dichiarato in una serie di interviste che
il suo partito deve abbandonare per sempre l’eredità
della Thatcher. Per capire la “sostanza” dietro il diverso stile di Cameron, credo che si debba partire da questa affermazione.
L’eredità della Thatcher
Negli anni Settanta, la Gran Bretagna era un Paese in
piena crisi. Conservatori e laburisti avevano per anni
seguito lo stesso paradigma economico e culturale,
convinti che lo Stato dovesse garantire il pieno impiego, attraverso interventi diretti sull’economia, un’ampia
previdenza sociale e un notevole attivismo nelle relazioni industriali. Le politiche keynesiane, in origine incentrate sul breve periodo, vennero reinterpretate per giustificare un’illimitata espansione dei compiti dello
Stato. Alla lunga, tuttavia, il Big State si rivelò assai
debole di fronte agli interessi particolari dei gruppi
politicamente più agguerriti. Le ragioni furono ampiamente e analiticamente segnalate dalla scuola di public
choice e da Friedrich von Hayek. In termini molto semplici, i gruppi di interesse – lobbies, sindacati, albi professionali, etc. – hanno risorse, capacità di pressione,
di coordinamento delle proprie azioni e di acquisizione
delle informazioni superiori a quelle della collettività.
In questo modo, i benefici della loro pressione ricadono
PIERLUIGI BARROTTA È DIRETTORE DELL’ISTITUTO ITALIANO DI CULTURA DI LONDRA.
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su gruppi limitati, mentre i costi vengono distribuiti,
attraverso la leva fiscale, su tutti i contribuenti, in larga
misura inconsapevoli. Perciò, da una politica interventista consegue inevitabilmente la continua espansione
della spesa pubblica: uno Stato sempre più grande
diventa sempre più debole di fronte alle richieste dei
gruppi di interesse. Infatti, il welfare state di quegli
anni si dimostrava impossibilitato a soddisfare tutte le
richieste dei gruppi di pressione.
La Thatcher si pose l’obiettivo di ristabilire l’autorità
dello Stato di fronte a quei gruppi organizzati che si
pongono come intermediari tra gli interessi individuali e
lo Stato. In quegli anni, per la Thatcher, le associazioni
ed istituzioni intermedie erano i veri nemici da battere.
Come ha estesamente studiato Robert Devigne2, la
Thatcher aveva di fronte a sé due opzioni, corrispondenti a due diverse filosofie politiche: quella proposta
da Hayek e quella proposta da Michael Oakeshott3.
In questo contesto, è particolarmente rilevante la loro
distinzione tra taxis e cosmos (nella terminologia di
Hayek) o quella tra teleocrazia e nomocrazia (nella terminologia di Oakeshott). Sinteticamente, con il concetto di taxis (o teleocrazia) si indica un’organizzazione
che ha l’obiettivo di raggiungere scopi assegnati (per
esempio, per un sindacato la difesa degli interessi dei
propri iscritti o, più idealmente, di realizzare una specifica concezione della giustizia sociale).
Conseguentemente, i membri dell’organizzazione svolgono compiti prefissati a raggiungere l’obiettivo comune. Al contrario, con il concetto di cosmos (o nomocrazia) si indica un ordine che non ha alcuno scopo particolare, poiché in esso sono presenti innumerevoli scopi
specifici, sovente tra loro in competizione. Un cosmos
rimane un “ordine” (non un caos), perché coordina le
azioni degli individui (i cui scopi sono molteplici e
incompatibili) con regole di condotta astratte, non crea-
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te deliberatamente da persone particolari. Un esempio
di cosmos particolarmente importante è il mercato. Un
altro, a esso connesso, è una società libera che consente a tutti gli individui e alle organizzazioni di perseguire
i loro fini sotto le regole della legge.
I sostenitori del Big State tendevano a trascurare l’importanza di questa distinzione e, conseguentemente, a
confondere due possibili e diverse funzioni dello Stato.
Un conto è affidargli il compito di tutelare l’ordine
spontaneo del mercato e della società attraverso l’imperio della legge, un altro è intervenire sull’ordine spontaneo allo scopo di realizzare finalità specifiche, come il
pieno impiego o una particolare visione della giustizia
distributiva. Con il Big State di derivazione keynesiana
si era lentamente passati dal primo al secondo compito, con conseguente indebolimento dello Stato e una
spesa pubblica fuori controllo. Ora possiamo valutare
anche gli svantaggi in termini di libertà: cercare di
imporre obiettivi specifici all’intera società significa
eterodirigere gli sforzi individuali allo scopo di realizzare tali obiettivi.
Seguendo l’analisi di Hayek e di Oakeshott, il compito
della Thatcher era veramente formidabile. Restituire
allo Stato la sua autorità voleva dire abbandonare
(almeno in parte) il secondo dei compiti individuati,
quando la logica dell’azione collettiva e della politica
spingevano invece a un continuo ampliamento dell’intervento dello Stato. Negli anni Settanta, i white papers
presentati da tutti i governi, conservatori e laburisti,
prevedevano tagli nelle spese, intenzioni sistematicamente frustrate dalle pressioni delle lobbies, dei sindacati e degli enti locali. Nel 1977, il governo laburista
dovette ricorrere al Fondo Monetario Internazionale.
Se il problema era per la Thatcher assai chiaro, più difficile era capire la soluzione: su questo punto le strategie suggerite da Hayek e Oakeshott divergono. Per
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Hayek, la soluzione era un nuovo costituzionalismo che
mettesse sotto controllo la sfrenata attività legislativa
dello Stato, come esposto in modo sistematico nel
terzo volume di Legge, legislazione e libertà. Per
Oakeshott, attento studioso di Hobbes, la soluzione
passava attraverso un rafforzamento dell’autorità dell’esecutivo e del Parlamento su tutte le organizzazioni
intermedie. Come scrisse senza mezzi termini Roger
Scruton: «è compito del governo stabilire la sua sovranità su tutti i poteri de facto: sulle associazioni criminali, i sindacati, gli enti locali, e su qualsiasi altra
organizzazione che possa mettere in pericolo la libertà
[...] del comune cittadino»4.
Sebbene la Thatcher fosse un’ardente ammiratrice di
Hayek, alla fine seguì i suggerimenti derivanti dal liberalismo hobbesiano di Oakeshott. Con un controllo di
ferro sulla sua maggioranza parlamentare (che le valse
il titolo di “lady di ferro”), ella si impegnò in una serie
di durissime battaglie non solo contro i sindacati, ma
anche contro gli enti locali, sovente utilizzati dalla sinistra laburista in chiave antigovernativa. In questo
modo, ristabilì l’autorità dello Stato, liberando allo stesso tempo il mercato e la società civile dalle indebite
interferenze dei gruppi di pressione.
L’innovazione di Cameron
La Thatcher amava ripetere una frase di chiaro sapore
hayekiano: «non esiste la società, esistono solo gli individui», chiaramente funzionale alla sua strategia di
ristabilire a un tempo l’autorità dello Stato e la libertà
degli individui. Nell’esporre quella che egli stesso ha
definito la sua filosofia politica, Cameron ha contrapposto la seguente affermazione: «esiste una cosa che è la
società, solo che essa non equivale allo Stato», aggiungendo che «la più grande sfida che il nostro Paese
affronta non è il declino economico, ma il declino
sociale»5. In sintesi, mentre per la Thatcher le organizzazioni intermedie erano un nemico da battere, per
Cameron sono una risorsa da liberare per il benessere
del Paese. Questo è il fondamento del suo
Compassionate Conservatism.
Va subito detto che la differenza è più di enfasi che di
sostanza. A questo riguardo, è opportuno chiarire la
distinzione tra sussidiarietà “verticale” e sussidiarietà
“orizzontale”. Per sussidiarietà verticale si intende la
trasmissione di poteri dalle agenzie statali centrali a
quelle periferiche: in questa forma di sussidiarietà, il
potere rimane all’interno delle organizzazioni statali. Per
sussidiarietà orizzontale, invece, si intende la trasmissione di poteri a quelle associazioni che emergono spontaneamente dalla società civile, come le organizzazioni
del volontariato e le famiglie. L’attribuzione di poteri alle
agenzie statali avverrebbe solo quando queste associazioni non riescono ad assolvere i loro compiti.
La Thatcher era contraria alla sussidiarietà verticale. Il
tipo di devolution praticato dalla Gran Bretagna negli
anni Sessanta e Settanta aveva condotto a una conflittualità di poteri tra governo e amministrazioni periferiche. Tuttavia, non c’è evidenza alcuna che la Thatcher
sarebbe stata contraria alla sussidiarietà orizzontale. Gli
scritti di Hayek, sempre ben presenti alla Thatcher,
sono pieni di riconoscimenti verso le associazioni intermedie sorte spontaneamente nella società civile6.
Hayek osteggiava tali associazioni solo quando, come
avvenuto per i sindacati, riuscivano a strappare, tramite
l’attività legislativa dello Stato, illegittime condizioni di
oligopolio. Cameron è lungi dal rivalutare il ruolo delle
amministrazioni governative; al contrario, egli sembra
ritenere che ci sia ancora molto da fare nella lotta contro l’invasività dello Stato: «(oggi) se gestite una scuola, un ospedale o una forza di polizia, dovete rispondere a Whitehall – cioè al governo britannico – e non alle
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persone che usano il servizio»7. Il suo antistatalismo è
tanto acceso quanto quello della Thatcher: così scrive
contro il laburismo, anche nella versione di Blair:
«Ovunque (i laburisti) vedono un problema, essi vedono
la soluzione nell’azione dello Stato»8. Oppure: «sono
determinato a portare i processi decisionali più vicino
alle persone. Ciò significa rovesciare la centralizzazione
del laburismo, l’approccio del Big Government»9.
Dunque, ritengo che le differenze tra Cameron e la
Thatcher siano meno ampie di quanto suggeriscano i
giornali britannici10 e che sia più una questione di
enfasi che di sostanza, anche se le questioni di enfasi
sono in politica importanti. Cameron ha il merito di
aver segnalato ai conservatori le conseguenze della
radicale trasformazione che la Gran Bretagna ha subito
dagli anni Settanta. Sconfitta l’ideologia statalista,
almeno nelle sue forme più discutibili, bisogna ora
ricostruire i valori che consentono il prosperare della
società civile: «in mente abbiamo un’immagine della
Gran Bretagna in cui la qualità della vita conta tanto
quanto la quantità del denaro»11. È questo un compito
non meno facile di quello che intraprese la Thatcher.
L’idea di fondo di Cameron è che un nuovo welfare
possa nascere dall’applicazione di due principi-guida:
“aver fiducia nelle persone” e “la condivisione delle
responsabilità”. Con il primo principio, Cameron intende affermare che in genere gli individui “fanno la cosa
giusta” se vengono dati loro il potere e la responsabilità
delle loro vite. Con il secondo, egli intende affermare
che le sfide che un individuo deve affrontare possono
essere meglio risolte se egli si unisce con coloro che
devono affrontare le stesse sfide. Con questo approccio,
è chiaro che il settore del volontariato acquista un’importanza primaria: «Per i politici è quasi un cliché [...]
sottolineare l’importanza del volontariato. Io vedo la
situazione in modo differente. Non credo che il volonta-
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riato abbia un ruolo importante da giocare. Io credo
che debba avere un ruolo cruciale»12. Per il leader conservatore, questi due principi-guida dovrebbero essere
applicati in tutti settori del welfare, ma anche alla
povertà nel mondo e alla difesa dell’ambiente.
Cameron avverte che la sua politica inevitabilmente si
concentra sul lungo periodo. Ove la prassi sociale è
deteriorata nei termini del rispetto reciproco e dei valori, è difficile immaginare che ci possano essere efficaci
stratagemmi istituzionali di breve periodo. In questo
contesto, ci si può chiedere se Cameron non possa far
leva sul sentimento religioso, ma qui troviamo una
delle principali differenze tra il neoconservatorismo
americano e quello britannico. In un famoso articolo,
Irving Kristol, uno dei padri del neoconservatorismo
americano, spiegò il suo rifiuto a pubblicare sulla rivista «Encounter» un saggio di Oakeshott adducendo il
suo eccessivo secolarismo: «la società conservatrice
ideale di Oakeshott è una società senza religione»13.
Cameron nota che la società britannica è troppo secolarizzata per far leva sul sentimento religioso, ma allo
stesso tempo sottolinea come ci siano sentimenti spirituali che accomunano religiosi e non religiosi14. Questa
questione dovrebbe essere attentamente discussa
anche in Italia.
Sul piano concreto, in termini ancora generici, le proposte di Cameron vanno da un alleggerimento delle
procedure burocratiche che impediscono il decollo del
volontariato a una appropriata politica fiscale, con l’avvertenza che ciò non significa un brutale e immediato
ridimensionamento delle tradizionali competenze dello
Stato. Su questo punto non mancano ambiguità. Per
esempio, non è chiaro se la proposta di rafforzare la
presenza dello Stato nella sanità derivi da sano realismo, data l’insufficienza dell’offerta da parte del settore privato e del volontariato, oppure una proposta che
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contraddice i suoi enunciati di principio. Lo stesso si
può dire per la sua rinuncia ad abbassare le tasse,
almeno nell’immediato. Per i suoi critici, dietro le
generiche affermazioni di principio, Cameron sta di
fatto cancellando ogni distinzione tra il Partito
Conservatore e il laburismo15.
È ancora presto per capire dove si dirigerà il nuovo
Partito Conservatore di Cameron. È mia convinzione,
tuttavia, che la sua filosofia politica sia di indubbio
interesse e, almeno per chi scrive, sicuramente accettabile, anche se certamente lasciata ancora troppo nel
vago.
12 D. Cameron, Building a pro-social society, in http://www.davidcame-
ronmp.com/articles/outside-parliament.php
13 I. Kristol, America’s Exceptional Conservatism, in I. Kristol,
Neoconservatism. The Autobiography of an Idea, Elephant Paperbacks,
Chicago 1995.
14 D. Cameron, Building a pro-social society, cit.: «in tutta l’Europa, la
presenza nelle chiese si è dimezzata dagli anni Settanta. Tuttavia, c’è
una repressa necessità di esprimere la propria spiritualità, che si manifesta sporadicamente e potentemente».
15 Sconcertando l’ala thatcheriana del partito, Cameron ha annunciato
di abbandonare la policy del “passaporto per i pazienti”, che consente
di finanziare i pazienti che preferiscono il settore privato al sistema
sanitario nazionale. Negli scritti di Cameron non mancano certo ondeggiamenti. Si esamini la seguente affermazione (contenuta in A Modern
Note
Conservative Approach to Public Service): «Dobbiamo […] rompere le
1 I. Stelzer, The Neocon Reader, Grove Press, New York 2004.
barriere tra il pubblico, il volontariato e il privato. Ma dobbiamo sempre
2 R. Devigne, Recasting Conservatism, Yale University Press, London
ricordare che i più poveri per la maggior parte si affidano al settore
1996.
pubblico. Dobbiamo dimostrare, senza ambiguità la nostra dedizione ai
3 Oakeshott fu un grande pensatore conservatore, sinora non sufficien-
servizi pubblici e al loro miglioramento[...]. Dobbiamo comprendere, e
temente apprezzato in Italia.
sinceramente credere, che il denaro che noi spendiamo sui servizi pub-
4 R. Scruton, Untimely Tracts, Macmilian, London 1987.
blici è un bene necessario, non un male di cui rammaricarci».
5 D. Cameron, Social Action for Social Justice in Britain in
http://www.davidcameronmp.com/articles/outside-parliament.php
Bibliografia
6 Si veda, per esempio, F. Hayek, Individualism and Economic Order,
R. Devigne, Recasting Conservatism, Yale University Press, London
Routledge, London 1948.
1996.
7 D. Cameron, A Modern Conservative Approach to Public Service
F. Hayek, Individualism and Economic Order, Routledge, London 1948.
Reform, in http://www.davidcameronmp.com/articles/outside-parlia-
F. Hayek, La società libera, SEAM, Formello 1999.
ment.php
F. Hayek, Legge, Legislazione e Libertà, Il Saggiatore, Milano 1986.
8 D. Cameron, Modern Conservatism, in
I. Kristol, Neoconservatism. The Autobiography of an Idea, Elephant
http://www.davidcameronmp.com/articles/outside-parliament.php
Paperbacks, Chicago 1995.
9 D. Cameron, A New Mood of Confidence and Optimism”, in
M. Oakeshott, La condotta umana, Il Mulino, Bologna 1985.
http://conservativehome.blogs.com/platform/david_cameron_mp/index.ht
M. Oakeshott, Rationalism in Politics and Other Essays, Liberty Fund,
ml
Indianapolis 1962.
10 Lo stesso Cameron ha poi precisato che non intende porre in discus-
R. Scruton, Untimely Tracts, Macmillan, London 1987.
sione i risultati ottenuti dalla Thatcher.
I. Stelzer, The Neocon Reader, Grove Press, New York 2004.
11 D. Cameron, Modern Conservatism, cit.
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