Premessa
«Qßlatta, Qßlatta», «Mare, mare», gridano migliaia di soldati greci quando vedono l’acqua salata dopo mesi di peregrinazioni in territorio ostile: corrono loro, i cavalli, persino gli
animali da soma; lo racconta Senofonte che, prima di essere
uno storico, è in mezzo a quegli uomini d’arme, mercenario
tra i mercenari, assoldato anch’egli dal fratello del re di Persia
che, quattro secoli prima della nascita di Cristo, cerca invano
di scacciare il fratello dal trono.
E quello che vedono e che consentirà loro di tornare in
patria è il Mar Nero, una propaggine densa di storia del Mediterraneo, che i Romani, un po’ per affetto e un po’ per vanto,
chiamarono Nostrum e fecero divenire il vero centro pulsante
del loro impero.
Lo stesso mare attraversato da apostoli e discepoli per annunciare Gesù al mondo allora conosciuto.
Ispirandoci alla passione di questi nostri predecessori, ma
anche con la rilassatezza curiosa dei viaggiatori per diporto
d’un tempo, iniziamo quest’altro nostro viaggio.
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Pianeta azzurro
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Nessuno probabilmente ignora, se non il nome, l’opera di Hokusai, l’artista giapponese, capace di emozionare prima gli impressionisti francesi e poi tutti quanti attraverso le sue stampe, nate
da incisioni sul legno.
Non sarà uno sforzo, quindi, citare una delle sue opere più famose: La grande onda presso la costa di Kanagawa.
Quell’enormità di flutti bianchi, neri, blu e azzurri, avvolgendosi per quasi metà dell’inquadratura, rendono risibili le misere
imbarcazioni umane in primo piano e, sullo sfondo, quasi inconsistente il Fujiyama, massimo e nobile rilievo dell’arcipelago
nipponico, che dovrebbe essere il protagonista della raccolta di
trentasei vedute.
Può essere un suggerimento per affrontare con spirito di incantato
rispetto verso il mare la nostra navigazione attraverso i numeri
e le leggi, le superfici e gli abissi, per arrivare persino su Marte,
passando attraverso i segreti di una medusa che ha imparato a
rinascere.
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Un protagonista in breve
La nostra memoria, ma sicuramente il nostro cuore, molto
probabilmente non hanno dimenticato quel video di Adriano
Celentano che, sulle note gradevoli e coinvolgenti di Manu
Chao, canta Non so più cosa fare, mentre sullo sfondo passano
immagini di combattimenti e si sentono frasi contro la guerra, pronunciate, tra gli altri, da Jovanotti e Franco Battiato.
Ebbene, “il molleggiato”, per sottolineare la disperazione
di fronte alla mancanza di pace, grida che non ha più voglia di
mare e nemmeno di nuotare, rifiutando di netto quell’acqua
salata che per gli italiani è molto più di una risorsa fondamentale per nutrirsi, spostarsi e produrre energia, rappresentando
un punto fermo fondamentale della cultura nazionale.
Se proprio vogliamo esagerare, potremmo tirare in ballo
persino il grande psicoanalista Carl Gustav Jung, che parlava
degli archetipi come immagini originarie, comuni «almeno a
tutto un popolo o a tutta un’epoca».
Più semplicemente il mare invade trasversalmente tutto il
vissuto italiano con toni, temi e colori diversissimi: dai film
di Alberto Sordi alle poesie di Foscolo o di Montale, dalle repubbliche marinare al concetto stesso di vera vacanza italiana.
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E non si tratta sicuramente di un’esclusiva nazionale, visto
quanto scrive lo storico indiano Kirti N. Chaudhuri: «Il fatto
che il mare sia assente o presente come elemento della vita collettiva è altrettanto importante quanto i sistemi di spaziatura e di
pausa che separano le parole nel discorso scritto e orale».
L’immenso azzurro che occupa gran parte della superficie
terrestre ha da sempre distinto la storia dei popoli a seconda della distanza che avevano dalle coste, obbligando persino
molti conquistatori che arrivavano dall’interno dei continenti
a impratichirsi della navigazione per raggiungere i loro fini.
Come tutti quanti abbiamo potuto vedere con chiarezza
da quando l’uomo ha incominciato a solcare lo spazio con
le sue navicelle, ben il 71% del nostro pianeta è ricoperto di
acqua mista ai sali ceduti dalla crosta terrestre che si raffreddava, che non sono soltanto il classico cloruro di sodio, ma
anche composti di magnesio, zolfo, calcio, potassio e molti
altri ancora.
In media, ci sono una trentina di grammi di sostanze chimiche disciolte in ogni litro d’acqua, che fanno oscillare la
salinità dal 9‰ del Baltico al 43 del Mar Rosso, con un 38‰
per il nostro Mediterraneo (nonostante le differenze di concentrazione, non cambia il rapporto tra gli elementi responsabili di questa caratteristica).
Ma veniamo ai numeri più significativi: il volume complessivo è stimato in 1,3 miliardi di chilometri cubi e, a separare la
terraferma dal mare, sono quasi 356.000 i chilometri di coste.
Queste, a loro volta, sono continuamente rimodellate dalle
onde che, se raggiungono un’altezza di una ventina di metri,
esercitano una pressione fortissima: più di trenta tonnellate
al metro quadrato (tra l’altro può essere interessante ricordare che, nonostante l’impressione di movimento in avanti, in
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realtà il moto ondoso non fa traslare le molecole d’acqua, che
semplicemente si alzano e si abbassano).
Al concetto di oceano si associa strettamente l’idea di profondità e la fantascienza dell’Ottocento, quella di Jules Verne
e del suo Ventimila leghe sotto i mari, ha fatto sognare per
decenni milioni di bambini: nel 2012 tutti abbiamo potuto
vedere riproposta per la terza volta nella storia (la prima con
un solo esploratore) la discesa di un sommergibile nella Fossa
delle Marianne, il punto più basso di tutti i mari, quasi duemila metri in più dell’altezza dell’Everest, che si trova a un paio di migliaia di chilometri al largo di Filippine e Giappone.
A compiere l’impresa un regista, James Cameron, lo stesso del
kolossal Titanic, che si è immerso con il suo Deepsea Challenger in questa enorme area, larga più di 2.500 chilometri
(nonostante il suo nome faccia pensare ad una specie di profondissimo pozzo).
Il viaggio è durato un’ora e mezza, dopodiché il protagonista dell’impresa ha realizzato delle riprese tridimensionali e
prelevato campioni.
Al di là delle curiosità da record, si tratta di un punto importante per studiare il nostro passato climatico, perché sembra che le grandi depressioni oceaniche funzionino da enormi riserve di anidride carbonica e giochino, quindi, un ruolo
nella formazione del buco dell’ozono (il compito dei mari è
fondamentale anche nella regolazione del clima, attraverso
l’immagazzinamento di grandi quantità di calore in estate e
il conseguente rilascio d’inverno, che mitiga le oscillazioni di
temperatura dell’atmosfera).
Molte delle specie animali che vi abitano sono ancora da
studiare, ma già Piccard, che vi scese con il suo batiscafo nel
1960, scoprì sogliole e platesse viverci tranquillamente.
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Come avrete notato non abbiamo riportato la profondità,
ma non si tratta di una dimenticanza: semplicemente i dati,
anche recenti, sono discordi e forse è più opportuno dire che
Cameron è sceso fino a 10.898 metri.
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